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CAPITOLO 2 - STORIA E STORIOGRAFIA - MARCO DE MARINIS CAPIRE IL TEATRO, Sintesi del corso di Storia del Teatro e dello Spettacolo

CAPITOLO 2 - STORIA E STORIOGRAFIA - MARCO DE MARINIS CAPIRE IL TEATRO, CON INTEGRAZIONE DI APPUNTI

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 14/12/2021

CarmenPacifico
CarmenPacifico 🇮🇹

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(99)

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Scarica CAPITOLO 2 - STORIA E STORIOGRAFIA - MARCO DE MARINIS CAPIRE IL TEATRO e più Sintesi del corso in PDF di Storia del Teatro e dello Spettacolo solo su Docsity! CAPITOLO 2: STORIA E STORIOGRAFIA Questo capitolo tratta l’approccio storico al teatro che tende a ricostruire l'evoluzione di un certo fenomeno teatrale nel suo contesto culturale e nello sviluppo storico. La storia dei teatri comincia a essere un titolo ricorrente proprio a partire dal 1700 secolo in poi e infatti l'arte teatrale stessa tende a imporsi nella sua piena autonomia, dignità, di arte al pari delle altre. Fino al XVII secolo il teatro era avversato anche culturalmente, ideologicamente dalla chiesa, dalla accademia, dalla cultura letteraria del tempo. Questa nascita della storia del teatro conosce un momento di grande e di straordinaria fioritura verso la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento, in età positivista quando l'atteggiamento mentale degli intellettuali dell'epoca propendendo una valutazione dei fenomeni in base a dati misurabili e quindi a ricostruire i lineamenti dei fenomeni storici mediante delle prove inconfutabili. Grazie a questo tipo di atteggiamento mentale si riescono a riordinare una grande quantità di documenti che permettono la composizione di poderose opere storiche che hanno lasciato traccia nel corso dei secoli: una di queste opere è Origini del teatro italiano di Alessandro D'Ancona. Questo testo parla della storia del teatro dall'epoca medievale fino al Seicento. Quindi una storia enorme che non soltanto racconta la storia del teatro, ma anche dei personaggi, dei committenti, degli attori e inoltre lo fa in questa narrazione storica. Alessandro D'Ancona riesce a raccogliere una quantità di informazioni documentarie assolutamente sorprendenti e quindi dimostra come la rete di conoscenze tra archivisti, bibliotecari, intellettuali fosse strettissima e in un continuo scambio di informazioni. Questa età di trionfo del documento e della narrazione storica vede all'opera varie scuole con diversi centri produttivi diffusi in tutta Europa e rappresentano una stagione importantissima per gli studi storico teatrali proprio in virtù del fatto che queste hanno raccolto nei loro archivi molti documenti che consentono di tracciare dei profili storici accurati, approfonditi e attendibili di attori importanti, di fenomeni teatrali e di tecniche di produzione teatrale che altrimenti sarebbero rimaste ignote. I contributi degli anni 50/60 provengono da settori disciplinari diversi da quelli della storia del teatro perché nell'università italiana la storia del teatro non esiste come insegnamento per cui l'Accademia italiana faceva fatica a riconoscere dignità di disciplina alla storia del teatro vera e propria. Lo studioso di storia del teatro che proviene dall'Accademia d'arte drammatica fondata a Roma negli anni 30, ma poi diventata L'Accademia d'arte drammatica Silvio D'Amico, è proprio Silvio D'Amico che scrive una storia del teatro italiano, ma rivelando alcuni dei limiti principali di un certo tipo di storia del teatro. I LIMITI nella voce storia e storiografia, uno dei limiti analizzati da Marco de Marinis è quello di dare al testo drammaturgico tutta l'importanza del caso. In effetti, guardando alla storia del teatro di Silvio d'amico vede che si tratta soprattutto di una storia di testi letterari, sembra non esserci spazio per la scenografia, o per gli attori, non c'è spazio per una storia della regia; paradossalmente proprio chi insegna all'Accademia tende a trascurare gli aspetti principali che costituiscono il fenomeno teatrale, quali le componenti artistiche portate avanti dal lavoro dell'attore, dal lavoro del regista, dalla presenza di una consumistica, di una scenografia, insomma quei codici comunicativi. Uno dei limiti che si manifesta molto presto è questo testocentrismo: questo primato assoluto che viene assegnato ai testi (e per tanto la tendenza a svalutare tutti gli altri elementi importanti dello spettacolo a vantaggio del testo perché solo il testo sarebbe l'unico elemento che perdura nel tempo, il testo si può trasmettere, il testo può essere storicizzabile, gli altri elementi, in quanto transitori, come appunto la recitazione di una sera di un certo attore o la scenografia di un determinato spettacolo scompare dopo lo spettacolo) secondo cui il testo diventa l'unico grande protagonista di queste storie teatrali, è in realtà un limite perché è un modo limitato di concepire il teatro per le ragioni che abbiamo già detto. Il segno teatrale si compone di molte sfaccettature che si mescolano al suo interno per arrivare a quella sintesi che vediamo sul palcoscenico. Insomma, quando si recita in quel momento la recitazione è multi lineare, multanime, non è soltanto parola e oltretutto parola scritta preventivamente allo spettacolo. Un altro elemento che è giusto considerare un limite del positivismo riguarda l'osservazione da parte del positivista poiché essa è attenta a ricostruire le cause e a prevedere gli effetti. Il nesso causale è l'elemento fondativo di qualsiasi narrare storico e, in quanto tale, deve avere un punto di partenza che rappresenta la causa originaria. Quindi, l'ossessione del termine, ha una sua ragion d'essere, si lega a questa concezione di base, quali i fenomeni delle cause originarie, si sviluppano per poi decrescere, decadere e in fine morire. La visione della grande stagione del metodo è un po' quello evoluzionismo e questo evoluzionismo, che tende a irrigidire il movimento dello osservatore entro i limiti di una osservazione che costruisca con i nessi della causa ed effetto tutto il suo ragionare, evolve e arriva a determinare un fine, un “ telos”. Di conseguenza, si sviluppa un vizio evoluzionistico e anche una narrazione che mira ad arrivare ad un certo fine: di norma Quindi è opportuno ricostruire il percorso di quel documento giunto fino a noi, in quella determinata collezione; capire quindi il passaggio di proprietà di quel determinato documento da un collezionista all'altro, ci consenta anche di comprendere meglio perché si è conservato e non è scomparso. Inoltre, occorre interpretare le motivazioni storiche e culturali di quel documento. Ci dice Le Goff della scuola degli Annales: "Il documento non è innocuo, è il risultato, prima di tutto, di un montaggio conscio e inconscio della storia, dell'epoca, della società che lo hanno prodotto ma anche delle opere successive durante le quali ha continuato a vivere, magari dimenticato, durante le quali ha continuato a essere manipolato, magari dal silenzio." Se questo documento arriva fino a noi è perché ha trovato chi era interessato a conservarlo per delle ragioni sue ideologiche e quindi già questo depone a favore di una comprensione integrale del documento; seconda cosa occorre demistificare il documento e dice sempre Le Goff: " l'intervento dello storico che sceglie il documento, pescandolo dal mucchio dei dati del passato, preferendolo ad altri attribuendogli un valore di testimonianza che dipende almeno in parte dalla propria posizione nella società nella sua epoca e della organizzazione mentale, si innesta su una condizione iniziale che è ancora meno neutra del suo intervento. Il documento è una cosa che resta, che dure e la testimonianza, l'insegnamento, per richiamare l'etimologia, che reca devono essere in prima luogo analizzate, demistificandone il significato apparente". Quando lo storico reperisce un documento, manoscritto o a stampa, per prima cosa dovrà contestualizzare questo racconto perché il documento è depositario di molte verità. Quindi, il compito dello storico è anche quello di rendere comprensibile per l'attualità quel documento antico, se è un documento soprattutto storico. A livello metodologico, ciò che viene raccomandato allo storico è avere un approccio concettualizzante al documento, ed essere attrezzatati di studi e strumenti metodologici che provengono dagli studi degli storici della scuola francese degli Annales, per sviluppare una consapevolezza del proprio operato da storico o da analista di documenti o testimonianze storiche o attuali relative allo spettacolo. In qualche modo, il lavoro dello storico del teatro o comunque di colui che si approccia al fenomeno del teatro deve essere sempre quello di considerare il documento come vero testo, oggetto della sua ricerca prima ancora di fare dello spettacolo l'oggetto della ricerca. 6. L'intermezzo NO 7. L'ANALISI CONTESTUALE DELL’EVENTO TEATRALE La nozione allargata di documento permette un approccio contestuale allo spettacolo del passato su basi più ampie di quelle concesse da un’impostazione di tipo storico. Di grande utilità, a tal proposito, può rivelarsi un concetto come quello di intertestualità, cioè il gioco complesso di prestiti. Citazioni, trasposizioni, rimandi, riferimenti ecc. questo tipo di lavoro permette di mettere meglio a fuoco il fenomeno teatrale nel suo essere continuamente un insieme di “già detto” e “non ancora detto”, di tradizione e innovazione. Vediamo qualche esempio: 1) le ricerche di Ludovico Zorzi sulla scenografia e sul luogo teatrale nel Rinascimento, che implicano un’analisi contestuale dei documenti e dei fatti, leggendo le fasi salienti di questo sviluppo — organico e coerente — sullo sfondo della pittura, dell’architettura e dell’urbanistica. 2) Ma anche l’articolatissimo studio di Franco Ruffini attorno e all’interno, ben in profondità, della Calandra del Bibbiena: l’analisi del testo, con conseguente messa in luce del “problema Plauto”, la stufetta, il bestirario, nonché il significato stesso dell’uccello “calandra” e la sua identificazione con Cristo; per non parlare poi dell’evento teatrale ad Urbino, nel 1513, che viene indagato da Ruffini evitando l’errore della storiografia tradizionale che scompone l’evento nelle sue varie componenti (commedia, intermezzi, sala e scena) senza conservarne una visione unitaria. Tanti risultati non si sarebbero potuti conseguire senza un ricorso sistematico alla definizione di intertestualità; se l’incontro fra storici del teatro e semiologi non ha ancora dato i frutti sperati, ciò lo si deve addebitare ad alcuni limiti della ricerca semiotica nel passato e, in parte, di oggi. Ed è proprio in rapporto a questi limiti che emerge l’importanza del contributo dello storico, che può aiutare il semiologo a vincere le tentazioni di una scienza astratta, antistorica. Solo così la semiotica può afferrare l’oggetto teatrale, comprendendoli nella loro concretezza di oggetti storici. 8. A GUISA DI CONCLUSIONE: PER UNA SEMIOTICA STORICA DEI FATTI TEATRALI In questo paragrafo vengono analizzati una serie di aspetti importanti di cui la storia dell'arte e della letteratura si sono servite per analizzare il panorama di una civiltà nella quale si svolge quel determinato spettacolo proponendo una ricerca ampia, contestuale e globale, cioè dove il testo non sia l'unico elemento che si valuta ma che si tengono presente contestualmente tutti gli elementi per arrivare ad una piena comprensione della testimonianza di quel determinato documento. Dunque, nel paragrafo 8. "Ageusia di conclusione per una semiotica storica dei fatti teatrali" De Marinis tenta una estrema mediazione delle posizioni contrapposte tra semiologi e storici. Dice a pagina 118: "Ho cominciato questo capitolo stilando un Cahiers de doléances sulle carenze metodologiche e i vizi ideologici della storiografia teatrale intendendo con questo in particolare una c'era fase della storiografia teatrale e non tutta, e ho cercato poi di mostrare come il paradigma semiotico potrebbe contribuire per la sua parte a quella rifondazione degli studi sul teatro che da più parti ormai si reclama come una esigenza indifferibile." Questi sono ragionamenti che De Marins faceva attorno agli anni 80 del XX, adesso le cose sono cambiate perché certamente la storiografia teatrale non commette più gli errori di cui qui De Marinis si è fatto censore e in qualche modo questa contrapposizione tra storici e semiologi è superata. La proposta che avanza De Marinis è quella di un dialogo costruttivo tra questi due ambiti e queste due metodologie per arrivare a una sorta di sintesi, a mio modo di veder un po' complessa perché dice infatti: "Se l'incontro tra storici del teatro e semiologi non ha dato finora i frutti sperati ed è stato anzi sostanzialmente un non incontro, un dialogo tra sordi, questo lo si deve addebitare anche ad alcuni limiti, ad alcune chiusure denunciate dalla ricerca semiotica (quindi anche la semiotica a ha sue colpe) ed è proprio rispetto a questi limiti ad alcune chiusure che emerge l'importanza del contributo che a sua volta lo storico del teatro può offrire al semiologo, in primo luogo aiutandolo a ripudiare ogni forviante riduttiva vocazione sincronica". Questo è l'aspetto debole della semiologia applicata allo studio del teatro: la semiologia tende a formulare delle leggi, degli schemi, dei paradigmi interpretativi del fenomeno teatro validi per tutte le epoche; una ipotesi è trovare uno schema che sia valido per tutto quanto come, ad esempio, per il fenomeno della commedia dell'arte, come si articola la compagnia, in quali modi si fissano le relazioni tra i vari personaggi negli scenari della commedia dell'arte. Diversi formalisti russi e strutturalisti hanno tentato di fare delle ipotesi a proposito di molti fenomeni della cultura popolare; si pensi ad esempio alla fiaba che aveva fissato alcuni schemi di narrazione invariabili e ridotti all'essenza come leggi che governano la narrazione fiabesca di tutti i tempi, molto affascinate il lavoro di Prop sulla fiaba ma è un tipo di operazione difficile da riprodurre, tale e quale in altri ambiti della
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