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La Rivoluzione Francese: La Transformazione dello Stato e l'Assemblea Nazionale, Sintesi del corso di Storia

La necessità di una riforma fiscale in francia nel 1787, che portò all'emergere degli stati generali e alla richiesta di una trasformazione della monarchia. Il testo illustra la situazione politica e sociale in francia durante quegli anni, con particolare attenzione alla nascita dell'assemblea nazionale e alla presa della bastiglia. Vengono inoltre trattati i principali eventi successivi, come la dichiarazione dei diritti e la costituzione della nuova francia.

Tipologia: Sintesi del corso

2023/2024

Caricato il 10/02/2024

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Scarica La Rivoluzione Francese: La Transformazione dello Stato e l'Assemblea Nazionale e più Sintesi del corso in PDF di Storia solo su Docsity! CAPITOLO 5 IL PROBLEMA FRANCESE La Francia settecentesca era il Paese più popoloso del continente (26 milioni di abitanti) e aveva un’economia ben funzionante. Il suo più grande problema era lo stato assoluto nella quale però vi era una forte contraddizione, per via del suo potere politico assolutistico e allo stesso tempo debole. L’assolutismo si era formato grazie alla moltiplicazione di benefici, privilegi e uffici per tenersi stretto la nobiltà di spada e di toga. Perciò quando la monarchia cercò di attuare una politica riformatrice e attaccare questi privilegi si ritrovò solo, con nessuna delle classi sociali dalla sua parte. Perciò no fu possibile realizzare nessuna delle riforme di cui la Francia avrebbe avuto bisogno, ad esempio l’eliminazione delle eredità del passato che ostacolavano la crescita delle forze economiche e sociali più dinamiche. Un’atro problema che si sarebbe dovuto affrontare era quello del debito dello stato dovuto a varie cause, non potendo tassare ancora di più i contadini avrebbero dovuto agire riformando il sistema fiscale, riducendo le esenzioni di cui godevano il clero e la nobiltà. Tuttavia il problema principale era rappresentato dall’assolutismo stesso che non riusciva più a realizzare né potere di comando né coesione sociale. Praticamente tutti ne erano insoddisfatti, soprattutto gli innovatori e i progressisti che sognavano una monarchia costituzionale come quella inglese. La monarchia assoluta non rispondeva più alle aspettative né dei ceti che l’avevano sorretta né delle forze più vive di un paese in cui la cultura dei Lumi (idee di diritti, libertà, costituzione) aveva colpito profondamente. Tuttavia i sudditi rispettavano ed erano devoti al sovrano, al di là delle critiche. La debolezza della monarchia emerse con evidenza nella relazione con i parlamenti (intesi come tribunali), che giudicavano cause molto importanti. I 13 parlamenti costituivano un forte gruppo di pressione, formato principalmente dalla nobiltà di toga, decisa a difendere i propri privilegi, soprattutto l’eredità della carica. Perciò da un lato erano la forza più importante nella resistenza a ogni riforma, dall’altro si presentavano come paladini delle libertà contro il dispotismo del monarca ottenendo spesso i sostegno del popolo. IN CONFLITTO PER LE TASSE Di fronte un debito pubblico in continuo incremento i ministri delle finanze tentarono più volte a tassare il clero e di introdurre il catasto delle proprietà immobiliari, così a individuare con certezza i proprietari e imporre loro il tributo, ma non ebbero mai successo. Per dimostrare l’assoluta necessità di una riforma fiscale, nel 1787, il sovrano Luigi XVI decise di pubblicare il disastroso bilancio dello stato per l’anno seguente. Di fronte al rischio concreto della bancarotta il sovrano decise di introdurre un’imposta fondiaria unica, senza eccezioni. Il Parlamento di Parigi si rifiutò di registrare l’editto perciò venne esiliato d’autorità. Tuttavia le preteste che ne seguirono indussero il sovrano a richiamare il parlamento alla fine di quelli stesso anno. LA “RIVOLTA NOBILIARE” Nell’estate del 1788, la situazione si ripetè su scala maggiore. Il parlamento si rifiutò di autorizzare un prestito e fu privato dell’autorità. In tutto il regno scoppiarono tumulti in difesa del parlamento e contro l’assolutismo. Si parla di "rivolta nobiliare” perché fu guidata dalla nobiltà di spada e di toga, ma coinvolse tutti i ceti sociali. Perciò il re fu costretto a fare un passo indietro e a convocare gli Stati generali (antica assemblea che univa clero, nobiltà e terzo stato) che non veniva più riunita dal 1614. I deputati degli Stati generali dovevano essere eletti attraverso apposite assemblee, separate per ciascuno dei tre ordini. Vennero indirizzati al sovrano circa 60 000 Cahiers de doléances, cioè quaderni di lamentele e suppliche nei quali i borghesi e i contadini avanzavano le proprie richieste al re e protestavano contro i privilegi. Un opuscolo in particolare ebbe un grande successo: “Che cos’è il Terzo stato?” Di Emmanuel-Joseph Sieyès, un abate che si presentava alle elezioni nelle file del Terzo stato, affermava: “Che cos’è il Terzo stato? Tutto. Che cosa è stato finora nell’ordinamento politico? Nulla. Che cosa chiede? Divenire qualcosa. In realtà stava avendo luogo la trasformazione degli Stati generali in Assemblea della nazione e la fine della società di Antico regime. Gli Stati generali si riunirono a Versailles il 5 maggio 1789, tuttavia tutti i partecipanti volevano cose diverse: -il sovrano: voleva utilizzare l’assemblea per ottenere il benestare a un prestito e voleva imporre ai privilegiati la sua volontà in campo fiscale. -l’aristocrazia: mirava a tutelare i propri privilegi -borghesi: videro l’occasione per richiedere una trasformazione della monarchia in senso costituzionale. Questo “equivoco” venne subito alla luce su una questione procedurale, cioè il metodo di voto: per ordine (come in passato) o per testa (ogni deputato il suo voto). Dato che i deputati del Terzo stato erano il doppio rispetto agli altri ordini sarebbero stati in maggioranza numerica nel caso della votazione per testa. Tuttavia chi si poneva dal lato del voto per ordine si rifaceva alla concezione della rappresentanza tipica dell’Antico regine, dove la volontà dell’individuo valeva solo all’interno di un ordine. Mentre la richiesta del voto per testa interpretava gli Stati generali come un’assemblea rappresentativa del popolo, inteso come insieme di individui. IL TERZO STATO DIVENTA ASSEMBLEA NAZIONALE Il Terzo stato proponeva che i tre ordini si riunissero insieme e deliberassero il voto per testa, parecchi deputati degli altri due ordini erano d’accordo, ma non raggiungevano la maggioranza. Si andò avanti per settimane e in questo periodo i deputati del Terzo stato provenienti da parti diverse della Francia cominciarono a conoscersi e a maturare una linea politica comune, inoltre si resero conto di avere la gente dalla loro parte, in quanto le loro riunioni erano aperte al pubblico e ogni volta si verificava una notevole affluenza. Intorno a quelle riunioni sta nascendo un’opinione pubblica nuova. Il 17 giugno il Terzo stato si autoproclamò Assemblea nazionale, sotto proposta di Sieyés. Con questo atto, da un punto di vista giuridico, era iniziata la rivoluzione, infrangendo lo schema dei tre ordini e dando alla luce un’assemblea di legittimi rappresentanti del popolo francese. Il sovrano reagì facendo chiudere il locale dove si riuniva l’assemblea, perciò essi si trasferirono nella sala detta della “Pallacorda” (un gioco simile al tennis) e giurarono di non separarsi più e di riunirsi ovunque lo richiedessero le circostanze, questo giramento prese il nome di “giuramento della Pallacorda” (20 giugno). LA PRESA DELLA BASTIGLIA (14 luglio 1789) Nel frattempo Luigi XVI mandava truppe scelte a Versailles, perciò tutti a Parigi (dove già c’era un malcontento generale per il raddoppiamento del prezzo del pane) si convissero che ci sarebbe stato presto un attacco contro l’Assemblea. Perciò, la notte dell’11 luglio scoppiò l’insurrezione dove un gruppo di popolani incendiò il posto dove si pagava il dazio sulle farine importate in città, presto i borghesi presero il controllo della rivolta costituendo la Guardia nazionale (una milizia popolare) il cui comando venne affidato al marchese La Fayette (eroe della guerra per l’indipendenza americana), e il 14 luglio 1789 espugnarono la Bastiglia, cioè il carcere dove venivano rinchiusi i detenuti politici (simbolo dell’assolutismo). Infine gli insorti presero il controllo dei comuni parigini. Ancora oggi in Francia il 14 luglio celebrano la loro festa nazionale. Di fronte a questi eventi il re fu costretto a presentarsi di fronte all’Assemblea nazionale riconoscendola ufficialmente, tuttavia gli atti successi a Parigi ispirarono gli abitanti di altre città francesi a fare lo stesso, in particolare entrarono in scena i contadini, infatti a partire dal 20 luglio una violenta rivolta divampò nelle campagne e contadini armati LA FUGA DI VARENNES E LA CRISI DELLA MONARCHIA Nel 1791 si incrinò definitivamente il rapporto tra la rivoluzione e la monarchia, infatti ormai correvano molte voci su un complotto organizzato dai nobili emigrati in combutta con il sovrano. La situazione precipitò con la fallita fuga di Varennes. Nella notte del 20 giugno 1791 Luigi XVI e la regina Maria Antonietta lasciarono in segreto il Palazzo reale, ma vennero riconosciuti e fermati a Varennes sulla strada dei Paesi Bassi austriaci (dove regnava il fratello della regina). Non è chiaro cosa avesse in mente il re, forse sperava di suscitare un movimento contrario alla rivoluzione. Tuttavia è certo che la fallita fuga ruppe il filo sottile che legava il re alla rivoluzione. Per il momento i deputati finsero di credere che il sovrano era stato ingannato dai suoi consiglieri e trascinato inconsapevole alla fuga. Ma i sentimenti antimonarchici crescevano sempre di più ed il 17 luglio 1791 insorse una grande manifestazione popolare al Campo di Marte che chiedeva la destituzione del sovrano, ma venne dispersa dalla Guardia Nazionale. LA RIVOLUZIONE NELLA CITTÀ Sin dal 14 luglio 1789 l’opinione pubblica e le masse popolari parigine avevano giocato un ruolo decisivo dando vita a numerosi episodi insurrezionali. Ebbe conseguenze importanti il trasferimento dell’Assemblea a Parigi, perché portò i deputati a diretto contatto con la rivoluzione che si svolgeva nelle vie, nelle piazze, nei salotti e nei circoli delle 48 sezioni elettorali in cui la città era stata divisa. Ad accompagnare la rivoluzione fu un intenso fenomeno politicizzazione, coinvolgendo anche ampi strati popolari. Un ruolo da protagoniste lo ebbero anche le donne, che spesso si ponevano in prima fila nella manifestazioni di piazza e nei dibatti politici. Il talento giornalistico e l’abilità oratoria si rivelarono requisiti essenziali per il successo di leader spesso sconosciuti e molto giovani. La parola fu una delle grandi protagoniste di una rivoluzione che si giocò quasi giorno per giorno. I GIACOBINI La maggior parte dei gruppi politici dell’Assemblea aveva dato vita a club e società popolari. Il circolo destinato a maggior fortuna fu quello dei giacobini, dal nome del convento dei domenicani (in francese Jacobins) in cui si riunivano. Facevano inizialmente parte della società uomini come La Fayette, Maximilien de Robespierre… In breve tempo la rete organizzativa dei giacobini si estese a macchia d’olio, con società affiliate in tutta la Francia, e il suo peso politico aumentò. Il gruppo aveva in origine un orientamento monarchico-costituzionale, ma nel corso della rivoluzione diede difensore della repubblica democratica. I giacobini non erano favorevoli né all’eguaglianza assoluta né all’eliminazione della proprietà privata, piuttosto pensavano a una società di piccoli produttori indipendenti. Ponevano l’uguaglianza prima della libertà, il diretto all’esistenza prima di quello alla proprietà e credevano che la legge dovesse agire per assicurare la felicità di tutti i cittadini, a parte dalla soddisfazione dei loro bisogni essenziali. Inoltre, per i giacobini, era compito della legge quello di realizzare una società giusta, fondata sulla virtù. Più a sinistra dei giacobini si collocava il club dei cordiglieri, su posizioni nettamente antimonarchiche. La figura di maggiore spicco era Georges-Jacques Danton, di umilissime origini. Fu lui a proporre la destituzione del re nella sanguinosa manifestazione del Campo di Marte. Il 14 settembre 1791 Luigi XVI giurò finalmente fedeltà a una Costituzione che in realtà non approvava, ma non poteva fare altrimenti dopo la fuga di Varennes. Già nel mese di luglio la maggior parte dei giacobini aveva costituito un nuovo circolo, chiamato i foglianti (dal nome del convento francescano in cui si trasferirono), affermavano che la rivoluzione fosse finita e che ora bisognava consolidarla. Il resto dei giacobini non era d’accordo, infatti erano convinti che la rivoluzione dovesse proseguire in alleanza con il movimento popolare, per raggiungere una piena realizzazione della sovranità popolare. L’ASSEMBLEA LEGISLATIVA Avendo concluso il suo compito l’Assemblea nazionale decise di sciogliersi. Uno dei suoi ultimi atti fu il decreto di emancipazione degli ebrei (27 settembre 1791). A fine settembre si tennero le votazioni, co suffragio censuario, per l’elezione dell’Assemblea legislativa. Nell’Assemblea legislativa vi erano schieramenti che si rifacevano ai diversi orientamenti politici dei club, che rimanevano i veri protagonisti della vita politica. Tutti i deputati dell’Assemblea legislativa erano alle prime armi, perché sto era deciso, sotto consiglio di Robespierre, che i deputati dell’Assemblea nazionale non potessero venire rieletti. I GIRONDINI Fu la sinistra a mostrare una maggiore iniziativa politica e capacità di ottenere consensi. In particolare emerse come leader Jacques-Pierre Brissot, dotato di grande talento oratorio e si circondò di una serie di deputato che vennero chiamati girondini (perché per la maggior parte provenivano dalla Gironda, regione di Bordeaux), che divennero in poco tempo il gruppo più influente dell’Assemblea. L’EMIGRAZIONE W I “COMPLOTTI” Dopo la fallita fuga del re, la difesa della rivoluzione e delle sue conquiste dai complotti controrivoluzionari orditi dagli aristocratici divenne la parola d’ordine della sinistra. L’emigrazione di migliaia di ufficiali, prelati e nobili, che si era intensificata dopo la Costituzione civile del clero e la fallita del re, aveva creato un embrione di movimento controrivoluzionario fuori dalla Francia. Tuttavia i loro ranghi erano piuttosto ridotti e i tentativi di creare sollevazioni controrivoluzionarie in Francia fallirono miseramente. LE POTENZE EUROPEE E LA RIVOLUZIONE I sovrani europei e i loro governi, pur guardando con ostilità gli avvenimenti in Francia, avevano tenuto inizialmente un atteggiamento prudente, che però cominciò a mutare dopo la fuga di Verennes. Già nell’agosto 1791, con la dichiarazione di Pillnitz, l’imperatore d’Austria e il re di Prussia avevano minacciato di intervenire qualora la rivoluzione non fosse rimasta entro binari moderati. La situazione peggiorò quando salì al trono d’Austria Francesco II, nipote di Maria Antonietta, che si sapeva propensò a intervenire per impedire un “contagio” rivoluzionario. Perciò ormai si era quasi certi che la Francia avrebbe subito un attacco entro Reve, l’Assemblea rispose con un decreto che intimava gli emigrati a sciogliere le loro armate, ma il re oppose il veto. I girondini lanciarono e sostennero con grande forza un’idea che avrebbe impresso alla rivoluzione una drammatica svolta: muovere guerra all’Austria e alla Prussia. Una guerra che essi presentarono come una crociata contro l’assolutismo. A favore della guerra si creò un’alleanza paradossale tra il re Luigi XVI e i girondini. Infatti il re sperava che essa avrebbe determinato la sconfitta della rivoluzione, mentre i girondini avevano lo scopo opposto. Robespierre era uno di quelli che si opposero alla guerra perché temeva che avrebbe spazzato via la rivoluzione. Ma alla fine, il 20 aprile 1792, la Francia dichiarò guerra all’Austria, a fianco della quale si schierò la Prussia.
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