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Capitolo 6 – Analisi della domanda La doman, Sintesi del corso di Marketing

Riassunti per la preparazione dell'esame di Marketing, elaborati con l'aiuto del libro di testo, appunti e conoscenza personali. Completi di schemi.

Tipologia: Sintesi del corso

2015/2016

In vendita dal 23/04/2016

MartaCavGasp
MartaCavGasp 🇮🇹

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Scarica Capitolo 6 – Analisi della domanda La doman e più Sintesi del corso in PDF di Marketing solo su Docsity! Capitolo 6 – Analisi della domanda La domanda è costituita dalla quantità e qualità dei prodotti, dei beni e servizi, richiesti dai clienti di un determinato settore, o mercato. I clienti esprimono una domanda in senso economico o in senso psicologico. La quantità e qualità dei prodotti richiesti dalle persone si è modificata in modo sensibile, fondamentalmente per ragioni economiche e socioculturali. Esistono differenze sensibili nella domanda laddove siano presi in considerazione i beni di consumo, i beni industriali, i servizi. Il trade gioca un ruolo determinante nel trasmettere la domanda, dalla clientela alle imprese manifatturiere o di servizio. La domanda, in chiave di marketing, può assumere diverse configurazioni, tutte utili e necessarie per comprendere come si evolve il mercato e agire di conseguenza. L’analisi del mercato si occupa della domanda. Esso si sostanzia nel numero di acquirenti, e nella qualità di beni o servizi da questi domandati. Per quantità si intende l’ammontare fisico di volumi o economico in valori dei prodotti richiesti. Per qualità si intende la tipologia e il loro valore economico. La domanda si manifesta in un determinato contesto e momento. Per un breve periodo essa può essere considerata costante e definita, ma nel medio lungo periodo si modifica alle volte anche in modo radicale. E’ da considerarsi inoltre che la domanda si esprime in modi diversi a seconda dei settori o dei mercati di riferimento. Il modo in cui i consumatori finali. Anche nello stesso settore, operatori diversi esprimono domande diverse. Dal punto di vista economico e commerciale, la domanda si può manifestare con diverse configurazioni, la cui comprensione è di primaria importanza per il passaggio alle fasi successive della programmazione di marketing: un conto è misurare la domanda potenziale e un altro è quella effettiva, un conto è la domanda di mercato e un conto è quella d’impresa. 6.1 L’evoluzione della domanda tra storia ed economia La domanda è uno dei principali indicatori economici a cui guardano i governi dei paesi occidentali: a differenza che in passato, da qualche tempo la si considera come uno degli elementi che determinano la crescita dei sistemi economici nazionali e dell’economia mondiale nel suo complesso. Perciò il fatto che la ricchezza sia generata dalle attività svolte nelle catene del valore delle filiere produttivi e dei canali distributivi, ciò che si considera prioritario per la crescita del PIL è la domanda, ovvero la quell’attività che si situa a valle dei processi di produzione e distribuzione del valore. La politica economica e industriale si è orientata in questa direzione. È una situazione invertita rispetto a qualche decennio fa, quando l’attenzione era rivolta verso l’offerta che era oggetto di sostegno e supporto. Secondo questa nuova prospettiva di politica economica, sarebbero dunque i consumatori finali a sostenere lo sviluppo. Metterli nelle condizioni di poter acquistare è un obiettivo prioritario che i governi perseguono attraverso incentivi diretti e indiretti come la politica fiscale. La domanda non costituisce soltanto l’elemento che la direzione di marketing delle imprese guarda con attenzione per comprendere se il mercato crescerà o calerà. È anche un elemento fondamentale per la vita economica di molti paesi, nella convinzione che sia essa a tirarne lo sviluppo. La nascita del ruolo propulsivo della domanda nell’economia di una nazione può essere collocata all’incirca in corrispondenza della Prima rivoluzione industriale. Se è vero che la storia economica ci racconta un periodo di forte innovazione tecnologica, investimenti in grandi strutture produttive, progressiva trasformazione della struttura sociale da agricola a industriale, è anche vero che si riscontrano significativi mutamenti della domanda. Senza tutto ciò non ci sarebbe stato lo spazio di mercato necessario ad assorbire gli incrementi di produzione che si andavano realizzando. Neil McKendrick sostiene che sia stata anzitutto la nascita di una domanda di massa a generare le opportunità di vendita per i prodotti della Rivoluzione industriale e quindi la convenienza degli investimenti sul versante dell’offerta. È la società inglese del tempo che si trasforma e comincia a richiedere beni e servizi che fino a poco tempo prima erano appannaggio di una ristretta cerchia di alto borghesi ecc. Non si stratta di beni della stessa qualità ma della progressiva banalizzazione delle merci che in precedenza erano realizzate in chiave artigianale che in questo periodo si sono trasformate in produzione di massa (commodification: un bene problematico richiede un processo d’acquisto complesso e articolato. Con l’aumento del potere d’acquisto e la diffusione sul mercato, il loro acquisto tende a somigliare a quello di beni più elementari e semplici quali le materie prime). Ciò implicò trasformazioni sociali di ampia portata ma anche di strutture microsociali. L’industria tessile e quella dei trasporti sono due delle filiere trainanti di questo sviluppo, e forniscono alle famiglie inglese beni di consumo e servizi logistici che contribuiscono alla loro progressiva emancipazione. Si pongono le basi per la nascita e diffusione di ciò che oggi si chiama società dei consumi. L’evoluzione della domanda corre in parallelo a quella dell’offerta e determina l’evoluzione dei sistemi economici: i consumatori costituiscono la sponda a cui le imprese si rivolgono, e da questa interazione dipende l’evoluzione dei mercati, dei prezzi e delle tendenze. Questo è testabile nel campo della moda. Infatti nel tempo sono emersi nuovi modelli di relazione domanda – offerta che non sostituiscono quelli tradizionali, ma li integrano, con il risultato che i consumatori esprimono un ruolo più costruttivo e autonomo: le loro scelte si discostano dal modello delle fashion victim e assumono una crescente valenza critica. Le imprese reagiscono e si adeguano con il pronto moda (è una modalità di organizzazione della produzione e distribuzione dei prodotti di abbigliamento in cui non si esegue la classica articolazione per stagioni, ma la produzione è rinnovata continuamente e le consegne seguono gli ordini senza soluzione di continuità), il fast fashion (il nuovo prodotto deve essere realizzato e proposto al mercato nel modo più veloce possibile, senza passare alla presentazione delle collezioni nelle sedi istituzionali: il prodotto pass direttamente dal design alla produzione, al negozio) e altre innovazioni, assecondando tali tendenze di domanda. I consumatori diventano più sensibili al prezzo. Non accettano più supinamente le politiche di premium price delle marche più note e cercano la convenienza anche nell’acquisto dei prodotti di marca. La domanda e l’offerta costituiscono anche le due facce dello sviluppo economico, dalla loro interazione i mercati emergono come istituzioni in cui acquirenti e compratori interagiscono scambiandosi merci e denaro. 6.2 Il Processo di acquisto Il nucleo fonante del marketing management è il marketing concept. Esso consiste in una vera propria filosofia di gestione delle imprese e delle organizzazioni, basata sulla centralità del cliente dei suoi bisogni (sono necessitò ed esigenze che il cliente percepisce nel momento in cui si accorge che non sono soddisfatte in modo adeguate. Un consumatore sente il bisogno) e desideri (sono oggetti che il cliente vorrebbe ottenere per soddisfare un determinato bisogno che, evidentemente, non è soddisfatto in modo adeguato. Un medesimo bisogno può determinare desideri diversi in base alle caratteristiche dell’individuo nel contesto sociale e culturale in cui è collocato). In base ai principi enunciati nel marketing concept, il marketing avrebbe il compito di analizzare e conoscere il compratore e proporgli delle product offering competitive e in grado di esprimere un adeguato valore a suo beneficio. Monitorando continuamente le reazioni della clientela alle proposte commerciali e con il supporto operativo della distribuzione e della comunicazione, l’impresa dovrebbe stimolare la fedeltà della domanda. Così facendo si attiverebbe un circolo virtuoso, grazie al quale il cliente sarebbe soddisfatto e l’azienda dovrebbe incrementare i propri profitti. Il marketing concept non riguarda soltanto la funzione Marketing. Per rendere l’ambizioso intendimento del marketing concept, è infatti necessario che tutta l’organizzazione si orienti al cliente, vero fulcro intorno a cui ruota l’intero sistema d’impresa, alla ricerca della sua massima soddisfazione e per mezzo di essa il profitto. Se quindi il cliente costituisce il principale elemento d riferimento per la funzione Marketing, risulta fondamentale comprende come se ne concretizzi il processo di acquisto. 6.2.1 Il modello generale Il cliente comincia a pensare a un acquisto nel momento in cui percepisce uno stato di carenza o quando si rende conto che uno dei suoi bisogni non è soddisfatto in modo adeguato. Ciò vale sia per gli acquirenti consumatori responsabili di acquisto (shopper), che per gli acquirenti professionali, che si occupano degli approvvigionamenti di beni e servizi nelle organizzazioni (buyer). La programmazione dell’acquisto da parte della domanda parte dunque da una fase critica, che è quella della ricognizione del bisogno da soddisfare, cui ne conseguono altre. Le fasi sono: 1. Ricognizione del bisogno 2. Ricerca delle alternative 3. Valutazione delle alternative 4. Acquisto 5. Valutazione post – acquisto Nelle fasi 1 e 2 il compratore ancora nella genericità: percepisce un bisogno per far cessare il quale non ha ancora la soluzione. Nelle fasi successive si entra nell’area della specificazione, dove iniziano a prendere forma delle alternative di scelta ma accomunate dalla comune attitudine a far cessare il bisogno iniziale. La ricerca delle alternative consiste in una fase in cui il cliente cerca le informazioni relativi alle product offering dotate delle caratteristiche adatte a soddisfare il bisogno in modo adeguato. In questa fase si svolgono attività delicate e critiche per le fasi successive che possono portare all’inclusione della product offering dell’impresa tra le alternative considerate per la valutazione (consideration set: è un insieme delle marche recuperate dalla memoria, o identificate sul mercato, tra cui il cliente sceglie quella preferita) oppure alla sua esclusione. Essere considerati tra le alternative tra cui operare la valutazione è uno degli obiettivi primari, in particolare della politica di comunicazione e l’entità degli investimenti pubblicitari orientati in questa direzione assai cospicua: si tratta di un investimento in ciò che in gergo si definisce brand awareness (consapevolezza della marca) e che costituisce la conditio sine qua non per essere inseriti nel consideration set. La fase della valutazione consiste nell’effettivo confronto tra le diverse product offering prese in considerazione e nell’identificazione dei relativi pregi e difetti. Il consumatore contemporaneo ha a disposizione servizi online che lo aiutano in questo compito. Esistono anche altre risorse di tipo corporate. La fase di acquisto corrisponde al momento in cui il cliente sceglie effettivamente la product offering che ha considerato migliore nella fase precedente. A una lettura superficiale la scelta dovrebbe essere un esito automatico della valutazione: una volta individuato il prodotto migliore, il cliente procede al suo acquisto come presuppone la teoria economica classica. In pratica esistono molteplici condizioni in cui ciò non avviene e in cui gli esseri umani si dimostrano assai diversi dalle rappresentazioni che ne offrono anche le più consolidate teorie economiche e psicologiche (una difformità può aversi quando il prodotto non è disponibile presso il nostro punto vendita – rottura di stock). È anche possibile che nel momento di effettuare l’acquisto alcune caratteristiche della product offering divento più importante di altre, rispetto al momento in cui sono state valutate (per esempio il prezzo). Nel momento esatto dell’acquisto è possibile che le valutazioni effettuate non siano rispettate alla lettera e che la scelta finale effettiva sia di tipo diverso. di acquisto. Anche i siti di commercio elettronico sono diventati sensibili a questa esigenza e consentono ai consumatori di esprimere le proprie valutazioni sulle product offering in vendita: la disponibilità di recensioni realizzate da altri consumatori che hanno acquistato il bene o il servizio in precedenza contribuisce a ridurre il rischio percepito. È da considerare lo sviluppo di una tipologia particolare di recensioni, quelle video. Il rischio percepito può essere inferiore e il processo diviene di conseguenza più breve e semplificato. Quando il consumatore matura una certa esperienza con quel tipo di acquisto o di prodotti e sviluppa che si definisce familiarità. Mano a mano che acquista dimestichezza con il prodotto, il consumatore si sente più sicuro e sceglie i propri acquisti successivi con maggiore disinvoltura e rapidità. Spesso la familiarità aumenta anche grazie alla frequenza d’acquisto. La frequenza d’acquisto rende il processo d’acquisto più elementare anche perché spesso riguarda beni che costano relativamente poco. La conseguenza è che per ognuno di essi sarebbe inconcepibile investire del tempo per effettuare un acquisto efficiente. Il rischio percepito di un errore nell’acquisto è più basso in quanto l’eventuale perdita è circoscritta. Perciò i beni di valore unitario modesto sono acquistati con una certa disinvoltura e un certo distacco e le relative scelte d’acquisto potrebbero non essere particolarmente efficienti. Nel caso in cui il prodotto appartenga a categorie problematiche (tipi di prodotto associati a elevato rischio percepito, bassa frequenza d’acquisto ed elevato valore unitario), l’attività di marketing deve prevedere adeguati supporti e suggerimenti per facilitare il processo decisionale del consumatore. Nelle condizioni opposte è necessario assecondare un processo di per sé assai semplificato, nell’ambito del quale il consumatore non ha il tempo per prendere in considerazione troppe informazioni e applica procedure cognitive e comportamenti di tipo semplificato. La domanda di beni industriali Gli acquisti di beni o servizi in ambito B2B presentano alcune peculiarità rilevanti rispetto al modello generale del processo d’acquisto e rispetto alle osservazioni fin qui condotte sui comportamenti dei consumatori finali. Assumono rilevanza generale: - La natura della domanda derivata - La concentrazione del portafoglio clienti - La presenza di ruoli decisionali - La dimensione funzionale della domanda Nei sistemi di scambio B2B si manifesta una domanda derivata (la domanda di beni industriali dipendente a sua volta dalla domanda di beni finali a cui si riferisce), la cui entità ed evoluzione nel tempo dipendono dagli andamenti dei settori a valle. La domanda espressa dal compratore finale è filtrata dalle imprese commerciali e si riflette a monte sui mercati in cui queste imprese domandano beni e servizi. Pertanto la domanda di beni industriali risente degli andamenti e della composizione della domanda finale. Le imprese che operano nei settori B2B devono quindi comprendere l’evoluzione della domanda finale per ottimizzare i loro acquisti a monte presso la comunità dei produttori. Le attività di marketing e comunicazione devono essere proiettate anche verso il mercato finale, onde ottenere effetti di ritorno sul mercato in cui l’impresa opera. Un’altra peculiarità della domanda di beni industriali da considerare è che è l’espressione di un numero molto molto inferiore di soggetti: la domanda B2B è in generale più concentrata e quindi il numero delle relazioni commerciali da gestire è ridotto. Ciò può significare che gli acquisti effettuati dal singolo cliente possono assumere maggiore rilievo di quanto non accade nei settori B2C, il che rende la funzione Vendite e le attività di gestione della clientela molto più significative: la perdita o la conquista di un singolo cliente possono avere conseguenze rilevanti per il fatturato aziendale. Nei mercati concentrati l’impego delle politiche di marketing ha effetti diversi che nei mercati di massa, principalmente perché i clienti hanno la possibilità di interagire tra loro e scambiarsi informazioni mettendo in competizione tra loro i fornitori. La concentrazione del mercato nei settori B2B rende la gestione della domanda al tempo stesso più critica e più complessa e accentua la dimensione negoziale dell’attività di marketing. Si riscontra che l processo d’acquisto è più articolato, in virtù della partecipazione di diversi soggetti. Mentre il responsabile degli acquisti di beni di consumo, lo shopper, è una persona sola che generalmente coincide con chi consuma il prodotto, nell’ambito dei beni industriali la responsabilità dell’acquisto è distribuita su più ruoli, e quello dell’utilizzatore finale non è sempre il più importante. I ruoli sono quello dell’iniziatore, che è il soggetto che dà inizio al processo d’acquisto e può essere un dipendente che utilizza una macchina o un manager che sente il bisogno di supportare le proprie scelte di marketing con una ricerca. Altro ruolo è quello dell’utente, che deve essere consultato per definire le specifiche del prodotto da acquistare e dei soggetti influenzatori, che possono essere consulenti o membri dello staff tecnico dell’impresa impegnati a indirizzare le scelte. I decisori hanno il compito di prendere in rassegna le alternative disponibili e definire le caratteristiche del prodotto da acquistare e possono appartenere alla funzione Tecnica o di produzione. L’acquirente vero e proprio è colui che ha l’ultima parola sulla scelta, e generalmente, è il responsabile degli acquisti o una figura del suo staff. Vi sono i gatekeeper, ovvero qualsiasi altro soggetto che assume un ruolo nel processo d’identificazione e scelta del bene o esercizio, come i responsabili della progettazione che potrebbero esprimere preferenze dal punto di vista tecnico, estetico o funzionale. Il combinato disporsi di questi ruoli dà vita al cosiddetto centro d’acquisto. Nei settori B2B, gli acquisti sono meno influenzati da fattori emotivi ed esperienziali e più caratterizzati in senso tecnico ed economico. non si può trascurare che entrambi i soggetti dello scambio perseguono obiettivi di profitto e ragionano con le medesime categorie logiche. Anche sul piano commerciale le relazioni con la clientela sono gestite in modi assai diversi rispetto al rapporto con l’utente finale. Il marketing B2B è più concreto e i benefici promessi alla clientela sono orientati verso attributi di performance più tangibili e soprattutto con riscontri economici più precisi. Il premium price di un bene industriale deve essere collegato in modo preciso a specifiche prestazioni che l’acquirente industriale deve essere in grado di valutare per decidere se scegliere quel prodotto. Anche nei settori B2B esistono spazi per la comunicazione, lo styling e il design, ma tale spazio è più limitato rispetto ai beni di consumo. La domanda si esprime tramite operatori professionali che traducono le esigenze dell’impresa a cui appartengono in specifiche tecniche e aspettative economiche. La domanda di servizi Le product offering che si usa definire servizi possono essere indirizzate sia ai consumatori finali, sia alle impese: nel primo caso di parla di servizi alla persona e alla famiglia, mentre nel secondo caso di parla di servizi alle imprese la cui domanda ha alcuni tratti in comuni e con la domanda di beni industriali. Il primo tratto rilevante da sottolineare è la natura intangibile del servizio: il cliente che acquista un servizio non ottiene il possesso materiale di un oggetto fisco, ma la possibilità di usufruire per un certo periodo di un insieme di beni e attività che il fornitore gli mette a disposizione per generare una prestazione che ne soddisfi le esigenze. Le fasi del processo decisionale che servono a selezionare l’offerta più appropriata non possono pertanto fare riferimento ad attributi fisici o tangibili. I servizi sono anche eterogenei: utenti diversi richiedono prestazioni diverse, anche nel medesimo settore, principalmente per le esigenze soggettive che esprimono. Anche dal versante dell’offerta c’è una spinta all’eterogeneità visto la fornitura del servizio passa attraverso l’interazione tra il cliente e l personale di vendita, e in tale interazione possono emergere aspetti diversi da un caso all’altro. Perciò la domanda risulta eterogenea e difficilmente prevedibile in tutti i suoi aspetti e l’offerta non è standardizzabile. Le caratteristiche della domanda dipendono strettamente dal mood in cui il fornitore interagisce con i propri clienti e l guida a manifestare le proprie esigenze nel modo più appropriato. Altra caratteristica dei servizi è l’inseparabilità della prodizione e del consumo o utilizzo del servizio: questo deve essere prodotto nel momento in cui l’utente desidera consumarlo e facendo capire al fornitore se e come il servizio si adegui alle sue aspettative. Perciò le imprese devono darsi una struttura tale da soddisfare la domanda nel momento in cui si manifesta. Ciò influisce sulla qualità del servizio, che è scarsamente prevedibile prima dell’esperienza di utilizzo. I servizi sono altamente deperibili e non possono essere immagazzinati, diretta conseguenza del punto precedente. 6.2.3 Il ruolo degli intermediari commerciali Gli intermediari commerciali hanno ruolo determinante nei processi di marketing. Si collocano negli schemi di analisi competitiva dell’impresa. E costituiscono uno dei canali attraverso cui si manifesta la domanda. Si può parlare, allora, di domanda derivata. Nella relazione di scambio fra il produttore e il trade si può distinguere: - Una dimensione tecnica - Una dimensione strategica. La dimensione più tecnica della domanda espressa dagli intermediari consiste nelle richieste di riassortimento (operazione di fornitura con la quale il punto vendita viene rifornito delle produce offering in via di esaurimento o esaurite) delle scorte di prodotto che l’intermediario vede progressivamente ridursi a seguito degli acquisti degli clienti finali. La distribuzione interagisce con i produttori in modo quasi meccanico durante l’anno, per gestire l’approvvigionamento dei prodotti e il ricambio dell’assortimento. Esiste una dimensione più rilevante in chiave commerciale e strategica del rapporto di fornitura che è quella relativa agli ordini di nuovi prodotti e perciò alla modifica e rinnovamento degli assortimenti, nonché della definizione dei contratti di fornitura che hanno generalmente cadenza annuale. In questa attività gli intermediari costitusicono un riferimento importante per le imprese manifatturiere, in quanto contribuiscono a modificare la struttura del mercato e influenzano i processi competitivi. Possono collaborare con le imprese, aiutandole a sviluppare i prodotti più adeguati per le esigenze della domanda finale. Ma dall’altro possono porsi in contrapposizione con i fornitori mettendoli in concorrenza tra loro o chiedendo contributi e sconti per farli accedere ai propri spazi di vendita. Il ruolo dell’intermediario commerciale nel processo di manifestazione della domanda non è neutrale e può influire in modo significativo sulla concorrenza tra le imprese industriali che cercano di conquistare quote crescenti di tale domanda. L’intermediario si trasforma da cliente /distributore in vero e proprio concorrente. La domanda degli intermediari si caratterizza per elementi accessori e di servizio che non si riscontrano nella domanda finale dei consumatori. Viste le diverse caratteristiche strutturali e le tipologie di ordine effettuate dagli intermediari commerciali, ai fornitori sono richiesti servizi d’informazione, amministrativi e si consegna e supporto alle vendite. La consegna deve essere effettuata rispettando i formati e le dimensioni degli ordini che dipendono dalle strutture commerciali e dai magazzini impiegati dalle piattaforme di distribuzione di cui si servono gli intermediari. Una parte cospicua del contratto di fornitura riguarda il supporto alle vendite. Gli intermediari pretendono dai propri fornitori industriali a messa a punto di attività di promozione e co – marketing che si svolgono nel punto vendita, ma non solo: dalla promozione delle vendite, alla realizzazione di campagne di comunicazione, alla stampa dei cataloghi delle offerte che le catene al dettaglio utilizzano sui mercati locali. La domanda espressa dalla distribuzione riguarda i prodotti richiesti dalla domanda finale, ma prevede l’aggiunta di risorse e servizi accessori senza i quali la domanda stessa non si manifesterebbe e si rivolgerebbe ad altri fornitori. La domanda espressa dagli intermediari commerciali non può essere considerata come una mera trasposizione quantitativa della domanda dei clienti alle imprese industriali. Gli intermediari nell’abbigliamento Nell’industria dell’abbigliamento e accessori sono presenti diverse tipologie di canale che esprimono domanda assai diverse - Distribuzione specializzata tradizionale: il sistema dei piccoli negozi che si riforniscono spesso presso grossisti e fornitori locali - Distribuzione specializzata organizzata: catene in franchising o di proprietà in cui il fornitore industriale collaboa con la rete dei propri negozi per diffondere i propri prodotti sul mercato in concorrenza con altre filiere. La domanda degli intermediari si manifesta nell’ambito di un rapporto contrattuale o di proprietà ed è oggetto di negoziazione con il fornitore sia nella quantità e qualità dei beni richiesti sia nella dimensione economica, sia in quella di servizio. - Grande distribuzione organizzata: in questo contesto operano i reparti della distribuzione generalista, come pure le catene di grandi punti vendita. Questi operatori esprimono una domanda di beni e servizi a condizioni economiche molto competitive e hanno un rapporto piuttosto conflittuale con i fornitori, nel senso che pretendono condizioni economiche e di servizio assai impegnative per i propri partner. In alcuni casi i fornitori si trovano a lavorare in via esclusiva per queste catene e hanno margini di manovra molto circoscritti. - Outlet: costituiscono un canale che si è sviluppato con grande dinamismo negli ultimi anni e hanno modificato in modo radicale il comportamento d’acquisto dei consumatori. Costituiscono un’opportunità per i fornitori industriali in quanto manifestano una domanda per il prodotto invenduto o comunque che non rientra nella collezione standard che si rivolge ai canali principali. Col tempo sono diventanti un canale a tutti gli effetti e rappresentano una quota di domanda significativa che i fornitori industriali non possono ignorare, tanto che spesso investono direttamente in tali attività e/o realizzazione prodotti, collezioni o campagne ad hoc. - Commercio elettronico: ha subito una rilevanza notevole rispetto al mercato complessivo e cresce in modo sostenuto. Il prodotto e i servizi richiesti da questi operatori hanno caratteristiche specifiche in relazione alle problematiche di mercato, che sono decisamente diverse rispetto alla distribuzione tradizionale. 6.3 Configurazioni e analisi della domanda Dopo aver considerato la domanda è opportuno ora concentrare l’attenzione sulle diverse configurazioni che essa può assumere. Un aspetto fondamentale del marketing management è la costante attenzione alla misurazione delle variabili e dei fenomeni di mercato. Fra queste la quantificazione della domanda ex ante, nella forma di stima, ed ex post nella forma di misura, è una delle più importanti in quanto consente di valutarne l’appetibilità e dimensionare adeguatamente gli investimenti di marketing. 6.3.1 Domanda potenziale, primaria e secondaria La domanda di una determinata categoria di prodotti può essere distinta in: - Domanda potenziale - Domanda primaria - Domanda secondaria. La domanda potenziale consiste nella quantità domandata da coloro che potrebbero essere interessati al prodotto all’interno di un certo mercato geograficamente definito. La domanda potenziale è rappresentata da una retta e cioè si suppone costante: è accettabile in un orizzonte temporale relativamente breve e nell’ipotesi che gli investimenti di marketing delle imprese non siano in grado di esprimere effetti significativi. Date certe condizioni è peraltro possibile che le strategie di una o poche imprese possano stimolare il potenziale di mercato: ciò avviene quando le imprese portano sul mercato nuovi prodotti tecnologicamente o economicamente molto competitivi e riescono a far aumentare il numero di potenziali clienti interessati al prodotto o al servizio, non solo a quello dell’impresa, ma alla categoria in generale. La domanda primaria consiste nella domanda effettivamente espressa per la categoria di prodotto nel complesso e si rivolge a tutti i produttori che operano su quel mercato. Corrisponde a tutti coloro che realmente richiedono e sono disposti ad acquistare il bene o il servizio in questione. Si tratta della domanda nella sua dimensione più ampia e costituisce il corrispondente dell’offerta all’interno dei un dato settore. La differenza (gap) tra domanda potenziale e domanda primaria si può spiegare ni vari modi: anzitutto potrebbero esistere un certo numero di potenziali user che non usano né useranno il prodotto o servizio. Questo numero può essere ridotto progressivamente eliminando le cause tecniche o che impediscono ai clienti di accedere alla domanda primaria. Alcuni clienti potrebbero non utilizzare il prodotto in tute le occasioni possibili. La quantità consumata può variare da un soggetto all’altro (heavy users : classe di consumatori effettivi della categoria di prodotto, caratterizzati da elevata frequenza e dimensione del consumo). La domanda primaria generalmente cresce nel tempo e ciò è ragionevole considerando che i mercati nascono e si evolvono in funzione degli investimenti delle imprese: comunicazione, innovazione del prodotto, concorrenza di prezzo sono orientati a far crescere le vendite delle imprese, sia sottraendo clienti ai concorrenti, sia trasformando il maggior numero possibile di clienti potenziali in effettivi. La domanda secondaria è quella parte della domanda primaria che si rivolge all’impresa e che si traduce nelle vendite. Quanto più la domanda secondaria si avvicina alla domanda primaria, tanto maggiore sarà la quota di mercato dell’impresa, che potrà contare quindi su un elevato livello di controllo del mercato aggregato. Viceversa quando la quota di mercato è molto bassa, l’impresa gioca un ruolo marginale all’interno del mercato di riferimento. Si osserva che l’andamento della domanda secondaria segue quello della domanda primaria, il che significa che le vendite dell’impresa sono correlate con quelle dell’intero mercato aggregato. Ciò implica che la quota di mercato rimane costante. Anche in questo caso si tratta di una semplificazione necessaria a rendere la sostanza del fenomeno. La quota di mercato può essere utilizzata per valutare l’efficacia delle politiche di marketing e misurare il successo dell’impresa sul piano competitivo e può essere assunta come obiettivo della strategia. - La dimensione cultuale del consumo si esprime anche in senso critico: se è vero che molti consumatori seguono e apprezzano le indicazioni ricevute dagli operatori di mercato, basti pensare agli appassionati di moda, è anche vero che ci sono consumatori che sempre più dimostrano sensibili a stili di consumo più semplici e parsimoniosi, sia per ridurre l’impatto sull’ambiente sociale e naturale, sia per moderare certi eccessi e recuperare un approccio alla vita quotidiana. E’ possibile riconoscere nella domanda di beni e servizi una dimensione culturale che si esprime sia in chiave nazionale o etnica, e cioè con comportamenti che tendono ad avvicinarsi o ad allontanarsi dalla propria tradizione culturale, sia in chiave più generale, in tutti quei casi in cui un acquisto o un’esperienza di consumo non ha obiettivi funzionali, ma soddisfa il bisogno delle persone di esprimersi e di relazionarsi con gli altri. 9. Comportamento e segmentazione della domanda La domanda è il riferimento fondamentale di ogni scelta di marketing. L’essenza stessa del marketing concept si fonda sulla centralità del compratore. La domanda potenziale di una categoria qualsiasi di prodotto è apparentemente omogenea: a un occhio attento essa appare uno scrigno di istanze, bisogni, atteggiamenti, personalità, motivazione sempre diverse e differentemente miscelate fra loro. Per aiutare a capire e analizzare un quadro tanto complesso, la teoria di marketing ha sviluppato dei costrutti analitici e uno strumento analitico di straordinaria utilità: la segmentazione della domanda. La comprensione del compratore, che è il riferimento indispensabile al fine di definire la product offering e i programmi di marketing, avviene attraverso l’uso di concetti economici e non. La domanda riveste un’importanza straordinaria nel marketing sia per il fatto di essere a controparte con la quale l’offerta costruisce e intrattiene relazioni per il suo essere collocata al centro di ogni processo decisionali attinente il mercato dell’imprese. Nelle economie OCSE (organizzazione internazionale non governativa che raggruppa alcuni paesi aventi in comune l’economia di mercato e un sistema politico democratico. Comprende le principali economie avanzate) la domanda delle varie categorie si manifesta con delle caratteristiche generali piuttosto comuni. Questo primo scorcio del XXI secolo mostra l’esistenza di una differenza profonda, fra la domanda di un paese con una massa di persone che ha raggiunto il benessere e quella di uno le cui famiglie percorrono un percorso di progressivo affrancamento dalla povertà. La prima è tendenzialmente guidata da istanze di consumo che si sono affrancate dalla necessità di base. Il prodotto si sceglie in base a considerazione di ordine superiore, non meramente legate al prodotto. La domanda di una medesima categoria possiede un’intrinseca eterogeneità legata al fatto che ogni persona è unica e irripetibile, e che questa monade identitaria si riflette nelle scelte di acquisto e consumo laddove sussistano le condizioni materiali per farlo. Se spostiamo l’attenzione sui sistemi B2B, la questione dell’eterogeneità intrinseca della domanda non cambia di molto. La pratica del marketing ha trasformato il dato di fatto dell’eterogeneità intrinseca della domanda in uno strumento manageriale molto efficace e intelligente, chiamato segmentazione della domanda. La segmentazione è lo strumento capace di mettere assieme l’esigenza di conferire massima efficacia alla product offering e quella di governare l’efficienza tecnico economica dell’impresa. 9.1 Il comportamento del comparatore Per i marketer la domanda è l’oggetto di analisi dentro il quale sono racchiusi due fatti di mercato fondamentali: l’acquisto e il consumo. Il primo evento determina lo scambio fra il denaro e la proprietà/possesso, il secondo la fruizione e percezione delle performance del prodotto. Acquirente (shopper) e utilizzatore finale (user) sono le due soggettività che formano il generico consumatore. Lo shopper e user agiscono secondo diverse scansioni temporali: lo shopper svolge un insieme di attività precedenti al manifestarsi dell’atto di acquisto vero e proprio e in ciò è possibile sia influenzato all’esistenza di istanze di consumo (molle motivazionali che guidano le scelte di acquisto e di consumo. Possono essere legate a elementi di stimolo ambientale, o a tratti della personalità individuale) che ne guidano le scelte. La scelta vera e propria è un atto conclusivo di un processo. Tale atto è soggetto a un continuo interscambio di stimoli. Nel B2B troviamo una situazione analoga dove si distingue il compratore (buyer) dall’utilizzatore (user). Analogamente a quanto vale per il consumatore, anche qui i due ruoli possono convergere sulla medesima persona oppure no. Anche in questo caso il processo si può svolgere secondo una sequenza di fasi successive, che può durare anche un tempo considerevole. L’individuo – acquirente si muove in un ambiente di consumo (insieme di condizioni, definite nello spazio e nel tempo, nelle quali il compratore viene a contatto con l’offerta accessibile ed esprime la propria azione decisionale) all’interno del quale esprime una serie di attività, il processo d’acquisto (insieme di attività elementari, ordinate in sequenza, mediante le quali il compratore mira a soddisfare un’esigenza di partenza: raccolta d’informazioni, considerazione di alternative, comparazione, decisione), influenzate da numerose vriabili e fenomeni, sia esterni sia interni a se medesimo. L’interazione che si attiva fra queste variabili e fenomeni determina il comportamento d’acquisto (agire del compratore sotto l’influenza integrata di variabili dell’offerta e individuali. E’ il modo in cui il compratore conduce il processo). In ambito consumer possiamo semplificare i concetti: - L’ambiente di acquisto determina la condizione specifica entro la quale il soggetto trova a compire la propria scelta di acquisto e condiziona i gradi di libertà con cui lo shopper compie i propri acquisti. Ad esempio la scelta può essere: di prodotto, di servizio, di prezzo e di marca. - Il processo di acquisto configura l’insieme dei passaggi che vengono esperiti dallo shopper nell’ambiente di acquisto ed è influenzato dalle condizioni in cui esso è organizzato. Nei punti a libero servizio (tecnica di vendita al dettaglio che lascia al compratore ampia libertà di movimento all’interno dello spazio commerciale), lo shopper ricerca, compara, verifica, sceglie, sostanzialmente da solo basandosi sulla confezione e sul prezzo esposto, nei punti vendita a servizio assistito, lo shopper interagisce con il venditore e perciò può esercitare un’influenza diretta sul processo. L processo può essere articolato complesso e lungo, come nel caso dei beni problematici come negli acquisti d’impulso (scelta di acquisto non ponderata, derivante dall’immediata traduzione in acquisto dall’esposizione visiva della product offering). - Il comportamento di acquisto concerne il modo in cui il processo prende forma nell’ambiente. A seconda dello shopper ci sarà qualche differenza nel modo di eseguire il processo dell’uno rispetto all’altro. Non si tratta di esprimere, si badi, giudizi di valore, nel senso che uno sia migliore dell’altro, ma solo di evidenziare delle differenze nel modo di percorrere il percorso di scelta, che dipendono squisitamente dall’individuo. La cultura, il reddito disponibile, la classe sociale di riferimento, il tempo disponibile, sono tutte variabili che influenzano il comportamento e lo rendono eterogeneo. Il compratore può esercitare un processo di scelta molto vario, in quanto l’ambiente di consumo dipende dal suo personale stile di vita: un ambientalista tenderà a essere maggiormente esposto a stimoli green e alle suggestioni del consumo equo e solidale e probabilmente frequenterà molti mercati e centri distributivi a chilometri zero, più che i centri commerciali e si appoggerà a comunità di consumo (gruppi di individui che si organizzano per effettuare acquisti in comune, scambi di prodotti e ricercare economicità grazie alla collaborazione). Anche la condizione dell’acquisto è rilevante per comprendere il comportamento (Routinaria. Tecnica di acquisto che consente al compratore di risparmiare tempo ed energie psicofisiche, grazie al rendere automatica la scelta della product offering. Si ha in contesti di bassissimo coinvolgimento emotivo). Ogni persona sviluppa un comportamento che ne riflette il modo di essere la formazione educativa e culturale, il grado di affinamento del gusto, l’apprendimento di regole sociali e di status non scritte. Non vi sono né regole né rigidità possibili, dato che il comportamento costituisce il territorio in cui si esprime il potere del compratore con tutta la sua soggettività, varietà, variabilità e indeterminatezza di persona. Questa eterogeneità di condizioni nelle quali i soggetti della domanda esercitano la loro azione, pone le imprese venditrici di fronte a un dilemma: affrontare tutti con un’offerta sostanzialmente omogena, valida universalmente, prendendo atto dell’enorme varietà di condizioni possibili, oppure all’opposto puntare sui singoli compratori e cercare di costruire un’offerta quanto più possibile su misura, ritagliata sulle esigenze e sui comportamenti specifici? La scelta La scelta d’acquisto è l’uotput di un processo razionale, percettivo e cognitivo, più o meno intricato a seconda della tipologia di prodotto che ne è interessata. Essa è figurata come esito definitivo di un ricorsivo sforzo di percezione e ponderazione delle alternative disponibili sul mercato, messo in atto dai consumatori a valle del consapevole riconoscimento dell’esistenza del bisogno. La scelta può anche essere rappresentata nei suoi contenuti, ovvero per come è composto il suo oggetto. La scelta del consumatore emerge così come una variabile composita che rappresenta cinque elementi distinti: - Il prodotto sia esso inteso come bene o servizio - Brand - Punto vendita / insegna - Prezzo finale - Tempo, inteso come allineamento fra momento della presa di possesso del prodotto e timing del sostenimento effettivo del relativo sacrificio economico Perché possa dirsi che un consumatore ha effettivamente esperito la propria scelta d’acquisto, occorre che tutte le variabili su indicate vengano definite ed espresse in un paniere definitivo compiuto. La product offering rappresenta l’offerta che l’impresa compone nella consapevolezza di questa natura composita della scelta d’acquisto. L’impresa non vende prodotti: è invece il sistema d’offerta, rappresentato dal produttore e dal distributore, che compone e presenta una product offering dotata di un certo valore, affinchè scelta del compratore. L’arbitraggio L’arbitraggio è un’operazione che tutti compiamo sena rendercene conto. Essa consiste nel modificare le condizioni in cui si esprime il processo di acquisto giocando sostanzialmente sulle variabili spazio tempo, con il fine di raggiungere le condizioni di massima convenienza per il compratore. Desideriamo acquistare una determinata product offering e giochiamo sulla variabile spazio. L’arbitraggio può esercitarsi anche su variabili di product offering. L’arbitraggio è nella dialettica di scambio fra i venditori e il compratore, certamente un’arma a disposizione di quest’ultimo per assicurarsi condizioni più vantaggiose. 9.1.1 Ambiente di consumo e marketing Nell’ambiente di consumo il compratore è esposto agli stimoli di marketing che gli provengono dall’intero sistema dell’offerta cui è esposto e li assorbe in maniera selettiva (comportamento di selezione degli stimoli ambientali esterni cui si è esposti, in ragione di aspetti personali, della reputazione della fonte di stimolo e dei valori individuali), all’interno del proprio perimetro identitario. Naturalmente tutto ciò avviene in condizioni di concorrenza, per cui i produttori e distributori che operano in tal modo sono numerosi e abbiamo così la sensazione di essere sottoposti a un bombardamento di stimoli. Un formidabile protagonista dell’ambiente di consumo è il punto vendita, luogo in cui lo shopper è abituato ad andare a cercare una determinata categoria di prodotto e che perciò costituisce un vincolo alle scelte di distribuzione del produttore. Naturalmente questo vincolo non è quasi mai assoluto, fatta eccezione per le categorie speciali (la vendita dei prodotti è regolamentata per legge in ogni paese. In Italia essa distingue tre casi: i prodotti alimentari, i non alimentari, le categorie speciali. La ratio legis è che questi prodotti giocano un ruolo speciale nella vita personale e sociale). Tuttavia queste scelte hanno lo scopo di aggiungere ulteriori punti di accessibilità alle offerte, piuttosto che di sostituire i tradizionali con dei nuovi. Altro grande protagonista degli acquisti è lo spazio comunicativo, ovvero il contesto ideale all’interno del quale il soggetto è fatto bersaglio dei messaggi commerciali più disparati, nelle forme e nelle modalità di invio. L’ossatura di questo spazio è costituita dai media classici e dalle loro forme di fruizione nell’arco della giornata. Questa si articola in ambienti e attività che espongono lo shopper agli stimoli di diversi media e soggetti influenti. La vita dinamica e in mobilità che caratterizzerà l’uomo del Xxi secolo, pone le imprese che intendono raggiungerlo il problema di entrare in contatto con lui. Di qui la rilevanza del touch point (canale attraverso il quale i consumatori interagiscono con la product offering dell’impresa, con i programmi di marketing messi in atto o con l’impresa medesima). L’ambiente di consumo immerge il consumatore in un contesto d’offerta e che esprime e genera continui stimoli al suo pensare e agire: alcuni di questi sono frutto delle scelte distributive del produttore, altri delle scelte di marketing del distributore altri ancora delle scelte di comunicazione del produttore e/o del distributore medesimo. Sembra semplice, ma non lo è, e non solo per le possibili difficoltà tecniche che s’incontrano nel condurre queste attività. Il problema principale è che oggi nel concetto stesso di medium, in quelli di scelta delle modalità secondo le quali effettuare gli acquisti e nei nostri stessi stili di vita (espressione coniata dallo psicologo austriaco Adler per esprimere sinteticamente il modo di vita di un individuo e il suo rifletterne aspetti personali e sociali), si sta interrompendo quella sostanziale linearità che connette lo spazio di esposizione del consumatore ai messaggi commerciali e di lì al punto vendita. Il punto vendita costituisce tradizionalmente il punto di atterraggio delle attività di stimolo comunicativo dei produttori: queste avvengono sostanzialmente pria e fuori da esso, e poi eventualmente richiamate e rinforzate all’interno del punto vendita il quale è uno spazio chiuso. Il punto vendita costituisce tradizionalmente il punto di atterraggio delle attività di stimolo comunicativo dei produttori: queste avvengono sostanzialmente prima e fuori da esso e poi eventualmente richiamate e rinforzate all’interno del punto vendita il quale poi è uno spazio chiuso. La digitalizzazione sta rapidamente costruendo una condizione differente che modifica l’ambiente di consumo in profondità: da un lato la portabilità dei digital device e la disponibilità di sempre più potenti reti di connessione consentono al consumatore di godere della condizione nota come always on, cioè di connessione costante alla rete e ai suoi contenuti; il progresso digitale abbatte considerevolmente i costi d’uso della rete per tutti i player d’offerta, per cui dotarsi di un website, di un sistema di app e di presidio dei social network è sostanzilamente alla portata di tutti, indipentemente dalla dimensione aziendale. Il combinato disporsi di questi fneomeni modifica radicalmente l’ambiente di consumo in quanto: - Dilata il perimetro dell’ambiente comunicativo, sia in senso spaziale sia temporale, così che il consumatore è potenzialmente raggiungeibile e può esperire fasi e processi di acquisto in qualsiasi momento della giornata e della notte, nonché in qualunque luogo o località - Modifica la direzione delc ontatto fra stimoli e consumatore (one way dell’inserzone pubblicitaria classica accoglie accanto a s+ quello two ways – il primo modello delinea un flusso unidirezionale dello stimolo, il secondo l’interazione che va e viene tra i due soggetti) E’ agevole comprendere quanto erratico e frammentato in molteplici forme a seconda delle situazioni di contesto, del tipo di prodotto, dell’entità del sacrificio finanziario richiesto e via decidendo, possa essere il comportamento del consumatore. Ci che in definitiva ha rilevanza per l’impresa è il riuscire a cogliere la leva motivazionale fondamentale, il driver, il fattore rilevante che poi spina lo shopper alla scelta della propria offerta. Naturalmente ciò riflette necessariamente la natura poliedrica e multiforme dell’individuo – consumatore e perciò le ragioni di appeal non potranno che essere varie. Il comportamento di acquisto viene distinto dal modello EKB in due momenti rilevanti: - Il primo acquisto ovvero la scelta di una determinata product offering per la pria volta - Gli acquisti ripetuti ovvero la ripetizione dell’acquisto per sostituzione del primo prodotto acquistato. Le imprese dedicano grande attenzione oggi al comportamento post acquisto e all’esito della perfomance della product offering percepita dal consumatore. La customer satisfaction è la metrica fondamentale che viene utilizzata per controllare che la peformance sia stata all’altezza delle aspettative, nel convincimento che un suo valore positivo sia la condizione necessaria affinchè l’acquisto si ripeta. Le dimensioni dell’appeal sono: - Product concept: le caratteristiche funzionali del prodotto e il grado complessio di innovatività dell’esperienza di consumo che promette - Brand system: i valori simbolici e di fiducia di cui una marca è dotata e la sua capacità di rinnovarli nel tempo - Prezzo: la diminuzione del sacrificio economico percepito, necessario per godere dei benefici della product offering - Servizi accessori: prestazioni accessorie rispetto a quella centrale che aumentano il valore percepito dalla product offering - Accessibilità: la riduzione del costo complessivo a carico dello shopper, scaricandolo degli oneri di acquisto. Le sequenze logiche del processo valutativo La matrice logica di Assael, dal nome dello studioso che la propose nel 1987 identifica alcuni modelli tipo di processo valutativo del consumatore. Il consumatore si orienta alla ricerca della varietà quando è disposto a sostenere un modesto sforzo mentale nell’acquisto, l che si traduce in scelte contingenti che poggiano essenzialmente sul processo valutativo del momento, nella consapevolezza che esistono molte marche, ciascuna portatrice di promosse di valori differenti. Un grado di coinvolgimento maggiore cambia invece la natura del processo, orientandolo alla ripetizione della scelta di marca laddove il primo acquisto abbia generato soddisfazione: l’atteggiamento dl pre acquisto è legato alla valutazione post acquisto dell’esperienza precedente Laddove invece la differenziazione percepita sia modesta, un basso coinvolgimento psicologico conduce a comportamenti fortemente dipendenti dall’ambiente di consumo e dalle contingenze del momento: non vi è traccia dell’esperienza post acquisto precedente e le scelte sono vissute piuttosto passivamente. Ci si affida all’abitudine e si ricerca la convenienza. La dissonanza cognitiva si ha laddve l’assenza del portato dell’esperienza, la modesta capacità di comprendere le differenze fra e varie offering, portano a concludere scelte che lasciano vivo il timore di non aver fatto la scelta migliore possibile. È perciò forte la ricerca di rassicurazione. 9.2 Il dilemma strategico La domanda potenziale di una qualsiasi categoria è intrinsecamente e naturalmente dinamica, liquida ed eterogenea: le persone che la compongono sono differenti fra loro per elementi personali, sociali e di comportamento; le aziende che la compongono, nel B2B, sono anch’esse eterogenee per dimensione, localizzazione e tipo di processo d’acquisto. Dal lato della domanda c’è un compratore, difficile da decifrare e intercettare. Questi desidera prodotti che gli assomigliano il più possibile, nel senso di soddisfarne esigenze e problemi, da un lato e fargli vivere esperienze piacevoli e gratificanti dall’altro. Sul versante dell’offerta si ha invece un sistema che ha necessità di standardizzare quanto più possibile i propri processi di mercato e di produzione, in quanto ciò consente di contenere i costi e poter agire in regime di economicità complessiva. A complicare il quadro c’è la circostanza che ciascun produttore si tra a dover competere sulla scelta di acquisto di un compratore con molti altri concorrenti e ciò oltre che innalzare presumibilmente gli oneri conduce di fronte a un bivio strategico: - Competere sui prezzi, cercando di contenere al massimo i costi così da poter trasferire al compratore il margine economico risparmiato, abbattendo i suoi oneri di acquisto e acquisendo per questa via competitività - Competere sulla differenza cercando di offrire al compratore delle product offering che siano facilmente percettibili come differenti da quelle dei compratori. Questo ragionamento può essere condotto in combinazione con il dilemma richiamato in precedenza: offrire a tutti un’offerta sostanzialmente omogenea e all’opposto puntare sui singoli compratori presi uno a uno e cercare di costruire un’offerta tailor made. L’incrocio fra queste due considerazioni configura i seguenti possibili quattro approcci strategici: - Mass market o marketing indifferenziato: si ha quando il produttore decide di offrire alla domanda una product offering sostanzialmente uguale per tutti, che non offre perciò un particolare valore di esperienza o di personalizzazione, ma che di contro garantisce la prestazione core della categoria a basso prezzo. Il punto di atterraggio di questo approccio di mercato sia rappresentato naturalmente dalle asce del value market. - One to one market, o marketing specializzato: è l’approccio diametralmente opposta, nel quale il produttore punta a esaltare l’unicità e l’individualità del consumatore, offrendo una product offering disegnata sulla persona e quindi differente perché unica da tutte le altre. Il posizionamento di prezzo (price positioning: scelta della fascia di valore nella quale collocare la product offering) naturale tende a essere nelle fasce premium e luxury del mercato di categoria - Segmented market o marketing differenziato: configura una sorta di via di mezzo fra le due precedentemente illustrate. Il produttore cerca di aggregare i consumatori in grani cluster, e riconoscendone l’omogeneità sotto qualche punto di vista, cerca di costruire una product offering quanto più tarata su queste caratteristiche. Il punto fondamentale è la scelta del criterio in base al quale segmentare la domanda. - Cost leadership strategy: cerca di combinare la capacità di governare i processi di produzione in maniera molto efficiente, così da contenerne i costi e i vantaggi delle tecnologie digitali che consentono personalizzazioni molto spinte. Si tratta di una circostanza emergente soprattutto a livello di competizione globale e B2B, dove molte multinazionali dei paesi in via di sviluppo possono godere dei vantaggi di una forza lavoro abbondante e specializzata e del possesso di tecnologie molto avanzate. La scelta di approccio parte da alcuni dati di fatto, innanzitutto nessuna impresa può ormai pensare di soddisfare le esigenze di tutti gli acquirenti di una determinata categoria in maniera profittevole. Inoltre viviamo in un’epoca nella quale la globalizzazione ha generato una proliferazione quantitativa di prodotti e brand alternativi, in misura mai sperimentata finora dall’umanità. Questa sovrabbondanza ha progressivamente mutato le abitudini di consumo, in particolare nei mercati consumer: le persone sono abituate all’idea di poter disporre più o meno sempre di molte possibilità alternative a product offering standardizzate e uguali per tutti. Questa struttura della domanda in qualche misura forza le imprese a ricercare sempre nuove modalità di differenziazione, aiutate in ciò da una tecnologica di produzione sempre più in grado di differenziazione aiutate in ciò da una tecnologia di produzione sempre più in grado di offrire la necessaria flessibilità a costi contenuti. La questione di fondo che un’impresa deve risolvere, una volta che, individuato un mercato di riferimento, si confronti con la relativa domanda potenziale è semplice: decidere se raccogliere o meno la sfida della differenziazione della product offering lanciata dall’intrinseca eterogeneità della domanda. Si tratta di guardare la domanda potenziale della categoria o della classe di prodotto e valutare se la diversità delle persone che compongono la domanda meriti di essere vista come un’opportunità di valore. Si è giocato su due verbi similari, guardare e vedere per sottolineare la circostanza che questa operazione si trova nella sfera di soggettività del decisore aziendale. Due imprese possono guardare alla medesima domanda potenziale e vedervi l’esistenza di gruppi differenti di persone oppure l’una può vederla, l’altra considerare tale eterogeneità sostanzialmente poco rilevante. 9.3 La segmentazione della domanda potenziale L’operazione di segmentazione della domanda può essere vista in due modi equivalenti, ciascuno corrispondente a un differente modo di lavoro: - Raggruppare gli individui che compongono la domanda potenziale in insieme omogenei - Frammentare la domanda potenziale in sottoinsiemi distinti fra di loro e che esauriscono la domanda medesima. Nel primo caso si parte dall’individuo e lo si raggruppa entro cluster (letteralmente grappolo costituisce l’insieme dei consumatori aggregati per le caratteristiche simili. Denomina la cluster analysis, una tecnica statistica usata per la segmentazione) popolati da individui a lui simili, che poi definiranno segmenti. Nel secondo si parte dalla domanda e se ne individuano degli aspetti di eterogeneità rilevante, sulla base dei quali vengono definiti perimetri nei quali collocare gli individui della domanda medesima. La quantità dei segmenti in cui una determinata domanda potenziale può essere suddivisa risponde più a valutazioni soggettive. Non è possibile stabilire quale sia un numero ideale di segmenti, né definire dei criteri rigidi o degli algoritmi per stimarlo. La frammentazione di una domanda potenziale in un determinato numero di segmenti è possibile che cambi nel tempo, aumentando, diminuendo e/o modificando il numero e il profilo dei segmenti. Si possono avere condizioni cosiddette di ipersegmentazione (segmentazione della domanda potenziale in un numero molto elevato di segmentazione, esasperando l’eterogeneità della domanda ai fini di adattamento della product offering) laddove il processo competitivo spinga le imprese a ricercare segmentazioni sempre più estreme e parcellizzate che tendenzialmente alla fine distruggono il valore. L’operazione contraria detta controsegmentazione (riduzione del numero dei segmenti, riaccorpandone alcuni o cambiando le chiavi di analisi) opera nella direzione inversa, riaccorpando segmenti più piccoli in aggregati di maggiori dimensioni, per recuperare sostanza numerica e rilevanza economica al segmento. Non è possibile stabilire quali siano i segmenti giusti di un determinato mercato, ovvero definire criteri di qualità dei segmenti. L’operazione di segmentazione è estremamente soggettiva e una medesima domanda potenziale può essere oggetto di differenti segmentazioni, idealmente tante quanti sono i player che competono per conquistarla. In tanta indeterminatezza e soggettività è possibile individuare alcuni criteri da seguire, che possono valere come principi di buona segmentazione, da tenere sempre e comunque in considerazione. La nicchia Gli aspetti che contraddistinguono una nicchia sono 4: - Specialità. La nicchia si basa su un sistema di prodotto speciale. Esso costituisce la traduzione: 1) Di una specifica scheda di domanda del consumatore – target che non trova rispondenza diretta nel panorama delle altre product offering presenti nella categoria di riferimento 2) Di una scheda di domanda non preesistente, che emerge dall’intersezione fra più categorie di prodotto e nella quale il consumatore – target giunge a riconoscere la soddisfazione di una particolare istanza finora insoddisfatta oppure nella modifica disruptive di una categoria. La specialità è data dal prodotto e supportata dal brand. - Originalità: la product offering di nicchia tende a mettersi subito in evidenza nel panorama d’offerta per la sua originalità tanto da risultare immediatamente riconoscibile come tale agli occhi dei consumatori – target, e priva di sostituti perfetti. Se la tensione dell’impresa verso il carattere di originalità della nicchia cala, l’intera impalcatura dell’offerta viene meno e così le vendite. Il patrimonio di originalità è valorizzato dal brand e dal suo posizionamento - Enfasi del valore. La nicchia riesce a monetizzare il plusvalore che il consumatore – target riconosce alla product offering speciale. La centralità del mantenimento della promessa di valore enfatizza il ruolo della customer satisfacion: la soddisfazione del consumatore, ovvero l’effettivo riscontro delle caratteristiche di specialità promesse nella prestazione del prodotto, è il vero motore della sopravvivenza del business. La promessi di valore è sinteticamente espressa dal posizionamento di prezzo. - Relatività. La natura tendenzialmente innovativa della nicchia e la specificità del proprio target, limitano naturalmente le dimensioni del business perlomeno in avvio. Dal punto di vista quantitativo tutte o quasi le grandezze sono di dimensione inferiore a quella del mercato di riferimento. La relatività influenza la gestione operativa della nicchia e i suoi economics. Si realizza una sorta di isolamento concorrenziale: il business di nicchia evita lo scontro frontale con le product offering del mercato di riferimento, preferendo la giustapposizione alla contrapposizione. Il carattere della specialità della product offering dovrebbe imprimere rigidità alla curva di domanda specifica, rompendo la concorrenza e annullando l’effetto sostituzione con altri prodotti della medesima categoria. 9.3.1 I requisiti di un segmento Una volta definita la ripartizione di una domanda in gruppi, occorre domandarsi se ciascuno di questi rispetti o meno i seguenti criteri. - Massima solitudine e omogeneità interna: i clienti di un segmento dovrebbero essere quanto più omogenei possibile rispetto alla caratteristica che li ha aggregati (variabile discriminante. è la variabile o il set di variabili congiunte, in base alla quale si decide di formare il segmento) e al tipo di risposta offerta agli stimoli di marketing. - Massima distanza ed eterogeneità esterna: i clienti di differenti segmenti dovrebbero essere fra loro quanto più distanti possibile rispetto alle variabili usate per aggregarli e al tipo di risposta offerta agli stimoli di marketing. - Rilevanza economica: il segmento dovrebbe essere di dimensioni sufficientemente grandi da consentire in prospettiva a fronte di uno specifico programma di marketing, la generazione di un volume di reddito soddisfacente e in linea con gli obiettivi dell’impresa. - Misurabilità: tutte le grandezze rilevanti per descrivere il segmento e definirne le dimensioni dovrebbero essere oggettivamente misurabili, così da potersi predisporre adeguati piani di business. Un segmento non misurabile. Ma solo definito concettualmente non è un buon segmento. - Sostenibilità: un buon segmento dovrebbe essere fondato su caratteristiche significative, tali da giustificare lo sforzo di adattamento delle product offering e/o dell’intero programma di marketing. Queste caratteristiche devono non solo esistere, ma anche mostrare attitudine a durare nel tempo. - Operatività: le dimensioni di eterogeneità della domanda usate nella formazione del segmento dovrebbero esser tali da funzionare come indirizzo per la definizione della product offering e dei programmi di marketing. Possiamo affinare ulteriormente la definizione di segmento: un omogeneo gruppo d’individui, economicamente significativo e operativamente raggiungibile, che manifesta un’elevata probabilità di rispondere a un medesimo stimolo di marketing in modo similare. È importante sottolineare che la rispondenza dei segmenti individuati a tutti questi criteri non è un esercizio di stile, man preciso imperativo gestionale: solo se saranno soddisfatti i criteri, l’impresa potrà attendersi risultati economici competitivi e di mercato positivi e sostenibili. 9.3.2 Dal segmento al target La segmentazione produce una sorta di frammentazione concettuale della domanda potenziale di una data categoria. L’impresa guarda alla domanda, riconosce e vede in essa la presenza di opportunità di business attraverso la sua frammentazione definendone un certo numero e tipo. Accertata la presenza di segmenti nella domanda, il processo di marketing management prevede che si operi una scelta strategica, che si sostanzia nel termine target. Il target rappresenta il segmento cui ci s’intende rivolgere, intorno al quale la product offering è costruita e al quale indirizzare gli stimoli di marketing, è il segmento con il quale si costruisce la relazione di mercato, orientandola al lungo periodo, laddove possibile e adeguato, è l’individuo protagonista del processo di acquisto nell’ambito di mercato. Le scelte di target possono porre l’impresa in una delle tre condizioni di seguito specificate: 1- Mass marketer: l’impresa decide che la segmentazione operata non è significativa, oppure si accorge di non disporre delle risorse adeguati per farvi fronte. Decide perciò di azzerare il proprio punto di vista sulla disomogeneità e rivolgersi a tutta la domanda. 9.4.4 I benefici ricercati Un beneficio è un vantaggio di cui una persona gode in una determinata condizione e può avere natura materiale o immateriale. I prodotti quindi non sono acquistati solo per ciò che fanno ma anche per ciò che significano e ciò avviene secondo delle modalità: - Area dei benefici funzionali di prodotto: vantaggi pratici, concretamente verificabili, che il consumatore riceve dall’utilizzo del prodotto. Riguardano sostanzialmente la ragion d’essere stessa del prodotto e sono alla base della sua ideazione e progettazione. - Area dei benefici simbolici di prodotto: mettono in campo aspetti socio relazionali, come la comunicazione di un certo status (collocazione di rango dell’individuo all’interno della società, o di un gruppo sociale) attraverso il possesso di un prodotto/brand, edonistici, come il piacere egocentrico che si ricava dal possesso e uso, emozionali, come la sperimentazione di situazioni esclusive legate al possesso. E’ evidente come la segmentazione per benefici ricercati conduca dentro i territori più profondi della personalità umana e costituisca una manifestazione molto elevata di quel mix di arte e mestiere che fa del marketer una professionalità unica nel panorama del management. Ciascuno di noi esprime interesse per certi suoi aspetti che saranno probabilmente differenti da individuo a individuo. Conoscere questi benefici ricercati, mapparli e stimarne la rilevanza relativa (la rilevanza relativa di un prodotto può essere stimata rilevando un voto per ciascuno dei suoi attributi e poi ordinandoli in ordine di importanza percepita) può offrire straordinari spunti di differenziazione dell’offerta e dei programmi di marketing. 9.5 La domanda B2B e la sua segmentazione La maggior parte delle persone identifica cliente come il consumatore. Nella realtà della maggior parte delle organizzazioni quel termine è riferito a un’impresa o ad un’organizzazione e non al consumatore. La parola cliente nel B2B può significare: 9.5.1 Peculiarità del B2B Vi sono alcuni elementi di fondo che contraddistinguono l’ambiente di consumo, il processo e il comportamento di acquisto dei compratori cosiddetti business, che è bene tenere in considerazione. - Ambiente di consumo: gli stimoli all’acquisto pervengono da esigenze di base, legati il più delle volte al funzionamento dell’organizzazione e alla sua capacità di soddisfare i propri clienti finali. Queste esigenze sono semplici se confrontate con quelle che muovono i consumatori: si acquistano prodotti da rivendere, o da immettere nel proprio ciclo di trasformazione. Una seconda importante specificità dell’ambiente di consumo in esame è data dal fatto che gli stimoli esterni al compratore vengono portati il più delle volte direttamente, da parte di agenti e venditori del produttore che contattano e visitano direttamente il compratore potenziale, piuttosto che da forme di comunicazione indiretta e massiva come la pubblicità - Processo d’acquisto: un tratto caratterizzante questo contesto di mercato è il fatto che le scelte di acquisto non di rado vengano assunte da un gruppo di persone, più che da un solo individuo. Ciò si motiva con l’importanza tecnico -. Economica di molte decisioni di acquisto e la loro criticità per il buon funzionamento del business stesso. La realtà mostra l’esistenza di alcuni specifici ruoli che possono avere spazio e influenza sulla decisione finale. Con riferimento a un macchinario: l’utilizzatore è il responsabile del reparto, gli influenzatori gli ingegneri e i ricercatori interni, il buyer è il responsabile acquisti e i decisori la persona cui spetta la decisione se procedere o meno all’acquisto, i gatekeeper, persone che possono facilitare, filtrare, ostacolare il passaggio delle informazioni all’interno dell’organizzazione. - Comportamento d’acquisto: il compratore business è solitamente meno legato e influenzato da fattori emozionali ed esperienziali, meno suscettibile alle suggestioni intangibili della product offering. Il modo di procedere nel processo di scelta appare legato prevalentemente a fattori ed elementi di tipo economico – finanziario e tecnico, nonché alla certezza di ricevere le forniture al posto giusto e al momento giusto. In secondo luogo dato che spesso la decisione di acquisto in azienda è assunta con il concorso di più persone, possono assumere grande rilevanza elementi legati alle relazioni interpersonali. - Non va trascurato il fatto che l’effettuazione di acquisti secondo routine è un costume molto presente in questo ambito, dato che speso le esigenze si ripresentano nel tempo sempre allo stesso modo. Non va mai dimenticato che le persone che effettuano gli acquisti all’interno di un’organizzazione sono pur sempre esseri umani e quindi le dimensioni comportamentali discusse a proposito dei consumatori valgono anche per loro. Una decisione di acquisto in ambito business e organization presenta una grande complessità, legata alla compresenza di tanti obiettivi e interessi soggettivi eterogenei. L’impresa interessata legge ogni scelta di acquisto alla luce delle proprie esigenze d’innovazione e competizione sul mercato, ne valuta il possibile impatto sulla customer satisfacion dei propri clienti, pondera l’utilità d’acquisto con i conti interni e le esigenze di profittabilità imposte dai piani aziendali. Chi compie queste valutazioni di impresa, sono sempre e comunque degli esseri umani i quali si trovano a lavorare prestando attenzione a certi bisogni personali. Le aspirazioni di carriera, l’apprezzamento da parte dei superiori, le buone relazioni con gli altri membri dello staff, potranno avere il loro gioco nell’influenzare le decisioni così come anche la propensione al rischio, all’innovazione e alla sperimentazione. Gli acquisti che un’organizzazione effettua possono avere una triplice natura: - Acquisto completamente nuovo: il fabbisogno d’informazione richiesto è elevato e l’intera organizzazione di acquisto è coinvolta per un tempo che può essere molto lungo - Riacquisto costante: è la condizione di routine maggiore, dove si persegue il risultato con il minimo sforzo possibile in termini di tempo impiegato, energie profuse e persone coinvolte. - Riacquisto modificato: è lo status di mezz fra i due precedenti. La criticità del marketing da considerarsi da parte del venditore saranno differenti. Premesso che la varietà di condizioni possibili è elevatissima e perciò è arduo fare asserzioni di universale validità, quanto più l’acquisto si configura come routinario, tanto maggiori sono le possibilità di avvalersi di strumenti di comunicazione impersonale di marketing. Fonti informative impersonali sono dunque cataloghi di vendita, le web page, riviste di settore e specifiche per gli acquisti. Fonti informative personali sono le visite della forza vendita, le fiere e le manifestazioni di prova prodotto. 9.5.2 Segmentare la domanda La segmentazione della domanda professionale segue i medesimi principi di quella dei mercati di consumo. Gli obbiettivi e l’utilità della segmentazione non cambiano. Si può osservare una gerarchia di criteri seguiti, in base alla frequenza d’uso: - Profilo anagrafico dell’impresa: settore di attività, classe dimensionale, localizzazione - Variabili operative: capacità del cliente, intensità d’uso del prodotto, tecnologia utilizzata - Variabilii organizzative: complessità dell’organizzazione decisionale, natura delle relazioni, policy di acquisto, criteri seguiti - Fattori contingenti: urgenza, applicazioni specifiche, dimensioni dell’ordine - Caratteristiche personali; analogia acquirente, venditore, attitudine al rischio, fedeltà L’eterogeneità della domanda manifesta una dinamica molto più lenta di quella dei mercati consumer e la prevedibilità delle istanze di acquisto è molto superiore. Le imprese che operano come venditori nei contesti B2B sono meno stressati sul versante della segmentazione a conservare più a lungo i medesimi target di riferimento. 10. Strategie competitive Strategie competitive: modalità con la quale competere all’interno di uno specifico mercato. Stabilito il portafoglio di business nel quale l’impresa intende operare. In ciascuno di essi occorre definire una specifica strategia competitiva, ovvero stabilire le modalità attraverso le quali concorrere con successo nella specifica arena competitiva: quali vantaggi costruire rispetto ai concorrenti, quale proposizione di valore offrire ai clienti, come mettere a disposizione dei clienti stessi tale proposizione di valore. 10.1 Il framework teorico La definizione della strategia di business prevede una fase analitica e una decisionale. Nella fase analitica si procede a un’analisi dell’ambiente esterno e delle risorse interne, mettendo in luce le opportunità e le minacce dell’ambiente nonché i punti di forza e di debolezza dell’impresa, un’attività rilevante da ritenersi propedeutica alla definizione di strategia competitiva. Dopo la fase analitica si passa a quella di definizione della strategia nella quale occorre: - Individuare le competenze e gli asset strategici sui quali basare la competizione e stabilire come acquisirli - Specificare, all’interno del business, i prodotti – mercati di riferimento e i relativi target e qualificare l’arena competitiva, individuando i concorrenti - Esplicitare la value proposition ovvero l’insieme degli elementi tangibili e intangibili che caratterizzano il sistema d’offerta e che troveranno la loro espressione nella product offering, evidenziando quelli sui quali si fonda l’opzione strategica distintiva - Definire i piani specifici funzionali Seguendo l’impostazione di David A. Aaker, definiamo opzione strategica una specifica proposizione di valore, rivolta ad un certo mercato, in competizione con determinati concorrenti, supportata da un insieme di risorse e competenze attuata attraverso piani specifici funzionali, presentata con un determinato posizionamento. L’opzione strategica riassume la strategia di business prescelta, che comprende tutti e quattro gli aspetti sopra citati e che tende a fare leva su un vantaggio competitivo. 10.2 L’analisi SWOT Per delineare il quadro strategico all’interno del quale deve essere definita la strategia di business viene utilizzato il modello SWOT, che consente di analizzare in modo organico e strutturato l’ambiente di marketing esterno e interno. L’acronimo SWOT richiama le seguenti aree oggetto d’indagine: - I punti di forza (Strenghts) - I punti di debolezza (Weaknesses) - Le opportunità (Opportunities) - Le minacce (Threats). I primi due punti si situano nell’ambito dell’analisi interna, mentre gli altri due sono relativi all’analisi esterna. Tale modello si propone di rilevare in modo organizzato le informazioni utili per fare delle valutazioni in chiave strategica sulla posizione dell’impresa nel business di riferimento offrendo gli spunti sui passi da realizzare per cogliere al meglio le opportunità del mercato e migliorare la performance competitive. L’approccio è strutturato nelle seguenti fasi: - Esame delle opportunità e delle minacce dell’ambiente - Rilevazione dei punti di forza e di debolezza dell’impresa - Assegnazione dell’importanza ai fattori individuati - Confronto del posizionamento sui fattori interni ed esterni - Individuazione delle linee di azione. Esame delle opportunità e delle minacce dell’ambiente E’ fondamentale per l’impresa monitorare i motivi chiave e le tendenze dell’ambiente di marketing relativo al business di riferimento. Tali motivi – tendenze possono influenzare positivamente o negativamente le prospettive dell’impresa. Le opportunità sono quei motivi – tendenze ambientali che possono favorire un miglioramento delle performance dell’impresa. Le minacce sono quei motivi tendenze che possono mettere a repentaglio i suoi risultati. Occorre sottolineare che tali concetti sono relativi, nel senso che un’opportunità – minaccia deve essere considerata come tale da un’impresa in relazione al suo specifico posizionamento competitivo in quel business. Ciò che può costituire un’opportunità per un’impresa, al tempo stesso può essere una minaccia per un’altra. Rilevazione dei punti di forza e di debolezza dell’impresa Guardando alle proprie risorse, competenze, capacità, l’impresa deve mettere in evidenza i propri elementi distintivi, i punti di forza, sui quali fare leva per sostanziare l suo vantaggio competitivo. Parimenti, deve prendere consapevolezza delle proprie carenze, dei punti di debolezza da colmare per non pregiudicare le proprie prestazioni, anche in questo caso il principio è relativo e la valutazione context specific nel senso che forze e debolezze per un’impresa sono tali in relazione alla situazione di mercato e competitiva. Assegnazione dell’importanza ai fattori individuati (opportunità – minacce, forze – debolezze) L’analisi si esaurisce nella mera elencazione d fattori interni ed esterni, ma poiché intende supportare il processo di definizione delle alternative strategiche prosegue con la valutazione dei fattori individuati. Le forze – debolezze vengono dunque qualificate in termini di rilevanze e prestazione. Le opportunità – minacce vengono valutate in termini di attrattività o gravità e in relazione alla probabilità di verificarsi, l’ingresso sul mercato di un nuovo importante concorrente può essere considerato molto rilevante e la sua probabilità di verificarsi molto elevata attivando la pianificazione di tempestive azioni di risposta. È utile analizzare il processo di definizione del posizionamento strategico, che si sviluppa nelle seguenti fasi: qualificazione dell’ambiente competitivo di riferimento, identificazione dei punti distintivi della concorrenza, definizione del posizionamento, comunicazione del posizionamento. 1. Qualificazione dell’ambiente competitivo di riferimento. A partire dal prodotto – mercato prescelto occorre identificare i concorrenti rispetto ai quali condurre l’analisi e definire il posizionamento. Tale attività porta con sé non banali complicazioni: difatti la qualificazione dei confini competitivi è tutt’altro che agevole. Basti pensare alle diverse dimensioni della concorrenza. Una particolare complicazione può scaturire per i brand operanti in più ambienti competitivi, per i quali può rivelarsi necessario sviluppare un posizionamento specifico nei confronti di ogni classe di concorrenti. 2. Identificazione dei punti distintivi della concorrenza. Il processo di posizionamento prevede poi di identificare i benefici che sono rilevanti per il target e di verificare su questi punti di differenziazione e i punti di parità rispetto alla concorrenza. I punti di differenziazione sono quei benefici/attributi in relazione ai quali i consumatori riconoscono a una determinata marca una posizione superiore. Essi possono essere riferiti a numerosi aspetti: funzionali o performance del prodotto, di servizio, immateriali legati all’immagine della marca legati al prezzo e alle condizioni di vendita. Una marca forte può vantare molteplici punti di differenziazione. Accanto ai punti di differenziazione occorre rilevare anche i cosiddetti punti di parità con la concorrenza, ovvero quegli elementi della product offering ritenuti fondamentali dai consumatori e sui quali le performance dell’impresa non possono scendere al di sotto di un determinato standard di prestazione o al di sotto di un determinato livello di prestazione del diretto competitor. Solo se i punti di parità sono soddisfatti, il brand può ambire a posizionarsi in modo distintivo sui punti di differenziazione. 3. Definizione del posizionamento. Qualificato l’ambiente competitivo di riferimento e identificati i punti di differenziazione e i punti di parità con la concorrenza, l’impresa deve decidere su quali elementi costruire il posizionamento competitivo della propria marca. I criteri utilizzabili sono molteplici e possono riguardare sia aspetti funzionali/materiali sia simbolici/immateriali del sistema d’offerta. Tra le variabili di tipo funzionale/materiale, che richiamano dunque valutazioni maggiormente di ordine razionale, si collocano: gli attributi tangibili e le performance del prodotto, i benefici ricercati dai consumatori, il prezzo di vendita, l’occasione d’uso, la focalizzazione sul target, la comparazione con il concorrente. Tra le variabili di tipo simbolico/immateriale, che sollecitano valutazioni di tipo soggettivo e valoriale, troviamo l’immagine di marca, il paese di origine (associazione dei valori detenuti da un paese, in un determinato campo di attività, alla marca che richiama la provenienza dei suoi prodotti da tale paese), il forte riconoscimento con un testimonial/opinion leader. Il posizionamento viene esplicitato e sottolineato anche dallo slogan, una breve fase che svolge il ruolo di potenziamento del valore descrittivo, evocativo, persuasivo del brand name. Il criterio prescelto deve essere tale da garantire una differenziazione unica, effettiva, distintiva, non facilmente imitabile, rilevante per il consumatore, sostenibile nel tempo con le risorse dell’impresa, comunicabile in modo efficace. È bene evidente come questa scelta abbia una grande rilevanza nella strategia di business. Una volta definito il criterio è necessario individuare il posizionamento attuale della marca dell’impresa e compararlo con quello dei concorrenti. Si può definire il posizionamento strategico obiettivo. Risulta evidente che tra un posizionamento progettato e posizionamento percepito può esserci un gap. Uno strumento utile per svolgere questa analisi è la mappa percettiva che è una raffigurazione di come le diverse marche sono percepite rispetto alle variabili di posizionamento prescelte. 4. Comunicazione del posizionamento. La quarta e ultima fase del processo consiste nella comunicazione del posizionamento, indispensabile al fine di ottenere l’obiettivo ultimo, ovvero una determinata collocazione della marca nella mente dei consumatori, rispetto ai concorrenti. Il punto di partenza è la definizione del cosiddetto mantra della marca, ovvero di una locuzione sintetica correlata ai concetti di essenza e di promessa della marca, che qualifica il cuore e l’anima della marca stessa. Il mantra si rivolge sia all’interno dell’impresa, sia all’esterno ai consumatori in primis, ma anche agli altri interlocutori sociali e di mercato. All’esterno dell’impresa, il mantra è assumere la veste di slogan ed essere veicolato attraverso gli strumenti del marketing communication mix. Per affermare il proprio posizionamento l’impresa deve specificare l’appartenenza alla categoria, e successivamente marcare la propria differenza rispetto ai concorrenti. I consumatori devono poter facilmente comprendere che cosa è il prodotto e a che cosa serve, collocarlo in una categoria, sapere per conseguenza con quali altre marche compete e poterne a questo punto apprezzare le qualità distintive. Per evidenziare la categoria di appartenenza, in comunicazione si possono adottare diversi accorgimenti: far leva sui benefici della categoria, richiamare i brand leader della categoria, utilizzare il descrittore del prodotto (è un breve testo che viene associato al brand name proprio per qualificarne la funzionalità). La marcatura della differenza viene fatta in relazione al criterio stabilito e veicolata attraverso il logo, lo slogan, le campagne di comunicazione, utilizzando gli elementi testuali, visivi, sonori dei messaggi. Da evidenziare che l’identificazione degli elementi di differenziazione sui quali fare leva presenta delle difficoltà. Le diverse prospettive della concorrenza La concorrenza può essere esaminata da diversi punti di vista. Nella prospettiva dell’offerta, si definiscono concorrenti tutte le imprese appartenenti a un determinato settore che offrono prodotti realizzati con una determinata tecnologia e che svolgono la stessa funzione d’uso. Nella prospettiva della domanda si definiscono concorrenti tutte le imprese che sono in grado di soddisfare lo stesso bisogno di una dete0rminata classe di clienti, prescindendo dalla modalità con la quale esse vanno incontro a tale bisogno intesa come prodotti servizi tecnologie. In una chiave di marketing la seconda prospettiva appare la più idonee, in quanto garantisce una corretta visione delle effettive minacce competitive e favorisce lo sviluppo di strategie di business volte all’innovazione. Il posizionamento attraverso la narrazione di marca Taluni esperti di marketing hanno suggerito approcci più innovativi, qualitativi e creativi per posizionare la marca nella mente dei consumatori: lo storytelling di marca è uno tra questi. La narrazione di marca mira a creare un posizionamento basato su una storia che abbia un’ambientazione, dei personaggi, un arco narrativo e un linguaggio ben preciso. La narrazione lega così la marca ai consumatori, entrando in profondità nella loro memoria, agendo sulle associazioni mentali e collegandosi alle esperienze e storie del singolo. 10.6 Posizioni competitive e strategie di business La strategia di business non può essere fortemente condizionata dalla posizione competitiva dell’impresa nel mercato di riferimento e dalle strategie dei concorrenti. È indispensabile definire correttamente la propria arena competitiva e comprendere la posizione di ciascuno. Grazie a questa attività risulterà più agevole qualificare la migliore strategia di business consapevoli delle reali forze in campo e dei mezzi necessari per perseguire obiettivi definiti. Qualificare un mercato di riferimento in modo troppo ampio può risultare dispersivo e sfocato e condurre a scarse performance, di contro delimitarlo in modo tropo stretto non consente di guardare alle orme di concorrenza allargata e preclude prospetti di sviluppo e innovazione nel medio lungo termine. Per identificare e classificare i clienti si può far riferimento a due variabili fondamentali: i bisogni serviti e le tecnologie/risorse utilizzate. Una volta qualificata l’arena competitiva è possibile studiare i diversi posizionamenti competitivi e poi definire la strategia di business. La posizione competitiva è fondamentalmente determinata dalla quota di mercato detenuta. È in relazione a tale elemento che tipicamente vengono identificate quattro diverse tipologie di strategie competitive: quella del leader, dello sfidante, del follower e dello specialista. Il leader di mercato è l’impresa che detiene la quota di mercato più ampia e dunque assume la posizione dominante nel mercato stesso, riconosciuta dai concorrenti. Il leader è in grado di determinare la natura dei concorrenti. L’impresa leader può adottare diverse strategie: - Attaccare il mercato, cercando di sviluppare la domanda complessiva - Difendere la posizione dagli attacchi dei concorrenti, attraverso iniziative di tipo proattivo o di tipo difensivo. Lo sfidante è un’impresa che aspira a migliorare significativamente la propria posizione di mercato, migliorando la quota fino a voler soppiantare il leader. Perciò adotta delle strategie competitive aggressive, che richiedono di: - Individuare gli avversari - Scegliere la strategia di attacco; frontale, laterale. La strategia dello sfidante è molto delicata. Occorre considerare attentamente le risorse disponibili, in quanto l’erosione di quota di mercato richiede quantità e qualità di risorse. È probabile che li leader reagisca all’attacco per cui è importante che venga valutata attentamente la possibile reazione e le proprie capacità di difesa. Il follower è un’impresa che occupa una posizione di mercato meno rilevante e che preferisce un comportamento adattivo a uno proattivo di sfida. Non fa leva sull’innovazione evitandone i costi e i rischi quanto sull’imitazione concentrandosi in particolare sull’efficienza operativa. Le strategie del follower più comuni sono: - L’adattamento, ovvero la creazione di prodotti specifici aventi una matrice di ispirazione nel prodotto dell’impresa leader, ma con l’adeguamento di alcune caratteristiche al fine di rivolgersi a specifici target; - L’imitazione, ovvero la creazione di prodotti simili a quelli del leader, a eccezione di elementi legati al prezzo, confezionamento, canali distributivi, comunicazione - La clonazione, ovvero l’imitazione spinta di tutti gli elementi del prodotto, realizzata dai cosiddetti copycat o look alike products (sono quelli che imitano in tutto i prodotti leader, in particolare nelle forme esteriori e nel packaging, al fine di appropriarsi delle associazioni positive d’immagine detenute dal leader). - Lo specialista è un’impresa, una marca, che decide d rivolgersi a piccolo segmenti di mercato, o nicchie, sui quali generalmente le grandi imprese non vogliono impegnarsi con l’obiettivo di occupare una posizione preminente in un contesto più circoscritto. La strategia di nicchia richiede l’individuazione di una chiave di specializzazione rilevante ai fini competitivi, che può essere di tipo geografico, sulla tipologia di cliente, sui contenuti e il livello di servizio, su una determina tecnologia di prodotto, su un mix delle precedenti. 12. Il perno dell’offerta: il prodotto Il termine prodotto assume diverse accezioni. Le scelte di prodotto sono espressione di condizionamenti tecnico economico sinteticamente espressi dall’area produzione, delle istanze espressa dalla domanda e del confronto competitivo. Tutto ciò assume una dimensione longitudinale e intertemporale. Il prodotto è ovviamente centrale nella vita dell’impresa e le scelte che concernono la sua concezione e organizzazione complessiva investono il cuore stesso del suo modello. Le imprese nascono perché c’è qualcuno che sa fare un certo prodotto. Nelle cose umane un fenomeno conta davvero se ha senso parlare di un prima e di un poi. La produzione è un’attività umana antichissima, ma è solo grazie al cambio di paradigma della tecnologia che essa è evoluta nella forma oggi consueta. Il prodotto e la produzione sono i protagonisti assoluti dell’economia anche nel bel mezzo di quel mondo che il sociologo De Masi ebbe a definire post industriale: un mondo che vive una società basata sulla produzione e consumo d’informazioni, servizi, simboli, valori, estetica, un mondo che produce nuovi stili di vita e modalità di lavoro, ma che comunque dei prodotti manifatturieri non può fare a meno. Il prodotto è al centro: le imprese nascono perché una persona è capace di realizzare un determinato prodotto, i consumatori fanno la lista della spesa elencando alcuni prodotti di uso corrente risparmiano parte del loro reddito per poterne acquistare degli altri in futuro. Dentro l’impresa il prodotto si colloca al confine tra due ripartizioni organizzative, la produzione e il marketing, fra due mentalità culture e obiettivi distinti: le efficienze e l’ottimizzazione dei processi, la prima, l’efficacia e la soddisfazione dei clienti, la seconda. È questione anche di uomini: i responsabili di produzione hanno solitamente background culturali basati sulle scienze esatte laddove i marketer provengono invece solitamente da percorsi formativi più umanistici e questo sembra sistemare le cose in modo tale che le due funzioni siano fatte proprio per non capirsi. Queste due anime primarie dell’impresa sono in costante integrazione e armonizzazione reciproca alle volte spinta da nuove filosofie gestionali che s’impongono altre per opera di uomini straordinari e capaci di cambiare il senso delle cose. Resta il fatto che la produzione senza marketing, oggi non ha senso di esistere. Il mondo dei prodotti è letteralmente straordinario: la globalizzazione e la tecnologia hanno generato una proliferazione di varietà di prodotti mai ista nella storia umana. La dialettica produzione – consumo sembra sperimentare nuove soluzioni, basate sulla partecipazione e collaborazione reciproca fra domanda e offerta. I progressi del BANG (Bit, Atomo, Neuroscienze, Genoma. Si tratta dei quattro campi di ricerca scientifica dai quali si ritiene promaneranno le invenzioni future) lasciano immaginare innovazioni ancora più straordinarie che investiranno materiali, prodotti e le nostre vite. 12.1 Processi, prodotti e mercato Il prodotto è la materia fondamentale dello scambio, dunque la base essenziale per la quale l’intera impalcatura del marketing management ha ragione di esistere. Esso può rappresentare diverse realtà: 1. L’oggetto fondamentale dello scambio di mercato 2. Il perno della formula di offerta che il venditore propone al compratore, dotandola di una chiara collocazione in una fascia di valore 3. Il generico output di un processo di trasformazione, detto product category che definisce un mercato in termini di aggregati 4. Un quid che a seconda della natura prevalente delle sue caratteristiche prende il nome di bene o servizio. La Terza Rivoluzione Industriale La terza rivoluzione industriale segnala un fenomeno assolutamente significativo: il cambiamento del paradigma della produzione manifatturiera. La Prima rivoluzione industriale si deve alla meccanizzazione dell’industria tessile avvenuta nel Regno Unito nel XVIII secolo, la Seconda è riassunta nell’innovazione operata da Henry Ford nel Novecento. Questi due passaggi modificarono strutturalmente il mondo, rendendo la massa delle persone che lo abitavano sempre più benestanti e trasformandole in cittadini urbanizzati. La terza scorre sotto i nostri piedi e cambierà per sempre i nostri modelli economici e le nostre vite. Essa sorge dal combinato disposto di più eventi: - La diffusione di tecnologie intelligenti, generatrici di soluzioni nanotecnologiche ai problemi della vita quotidiana - La creazione e il perfezionamento di nuovi materiali, come la fibra di carbonio, in grado di offrire prestazioni d’uso ai limiti delle leggi della fisica. - Il perfezionamento della robotica - L’innovazione di processo, sostenuta dalla diffusione delle cosiddette stampanti tridimensionali, strumenti capaci di realizzare prototipi e oggetti in casa disegnandoli sul computer, il cui effetto netto sarà di rendere più rilevanti e diffuse le competenze di progettazione. - Il potenziamento del contributo della digitalizzazione, con la crescita dei servizi Internet – based. Questa miscela fruttuosa consentirà di liberare la produzione dalle logiche tecnico – economiche della scala dimensionale e quindi di produrre oggetti personalizzati a costi contenuti. Il mix sopra richiamato cambierà la manifattura-. Questa terza rivoluzione industriale certamente in atto, promette ancora una volta di cambiare il nostro mondo e le nostre vite attraverso le cose e forse l’era post industriale e post fordista sarà più correttamente definita neo industriale. 12.1.1 La Funzione di produzione All’area Produzione sono assegnati precisi obiettivi strategici progettuali: decidere quale scala dimensionale e capacità produttiva conferire agli impianti, quale struttura tecnica (tecnologia) scegliere per l’impianto, dove localizzare l’impianto, come progettarne la struttura (layout – disegno tecnico dell’impianto produttivo. Concerne la collocazione significa nello spazio dei macchinari e delle persone, funzionale alla migliore esecuzione dei processi produttivi) e in che misura integrare verticalmente (e/o esternalizzare – scorporo di attività dell’impresa e affidamento a soggetti esterni a essa. Nei termini della catena del valore, rappresenta la dismissione di uno o più anelli per affidamento a partener esterni) tutte le fasi che portano dalle risorse iniziali al prodotto finito. L’insieme di queste scelto sono non redimibili nel breve periodo, per cui conferiscono all’impresa una struttura produttiva pro tempore costante. Una volta assunte queste decisioni, l’impresa si è messa nelle condizioni di realizzare una data varietà di prodotti, con dati quantitativi massimi producibili, a un costo unitario di produzione che dipende dalla tecnologia installata e dall’efficienza ottenibile dal miglior funzionamento dell’impianto di cui si è capaci. Scopo della funzione di produzione è quello di perseguire tre obiettivi chiave: - La riduzione dei costi unitari medi, attuabile attraverso: la standardizzazione dei prodotti, la generazione di volumi di produzione ottimali per la tecnologia installata, la minimizzazione dei costi di non qualità, il dotarsi di risorse specializzare in impianti ad alta intensità di capitale - La flessibilità strettamente dipendente dal livello tecnologico degli impianti: riguarda l’attitudine a realizzare dei prodotti differenziati pur con un medesimo impianto, potendo contare su bassi tempi di setup delle macchine. - L’elasticità: anch’essa legata al livello degli impianti e concernente la capacità di variare rapidamente i volumi di produzione senza incrementare i costi unitari medi. Alla funzione di produzione sono richieste delle capacità di pensare e governare i processi manifatturieri, in modo tale da garantire: il livello qualitativo del prodotto che è stato progettato; la disponibilità dei volumi 12.1.3 La gerarchia di prodotto Occorre ora specificare ulteriormente il termine categoria di prodotto. Dal punto di vista tecnico – merceologico, ognuno di questi processi produttivi delineati può idealmente generare una certa varietà di prodotto che opportunamente organizzata prende il nome di gerarchia di prodotto (data una tecnologica produttiva, esprime il complesso delle varianti di prodotto che tale tecnologia consente di realizzare. È resa vitale dall’innovazione tecnologica e dalla competizione per differenziazione). - A livello più alto abbiamo la product category (o product class) - Subito sotto, ogni product category è suddivisa in varianti di primo livello (product form) - Ogni variante di primo livello può essere articolata in sottovarianti (variations of class) - All’ultimo livello stanno i brand: ciascuna sottovariante viene ulteriormente articolata in relazione ai brand che la offrono su un dato mercato, coi relativi livelli di prezzo. La gerarchia dei prodotti costituisce però la mappa delle possibili varianti di prodotto che un dato processo produttivo è in grado di realizzare. Essa è storicamente determinata, nel senso che cambia nel corso del tempo e nello spazio: nel primo casi si avvale del progresso tecnico e tecnologico, che modificando le macchine utensili, consente di realizzare maggiori varietà di prodotto e di migliore qualità, nel secondo caso si mette in evidenza il fatto che le tecnologie di produzione disponibili non sono ovunque le medesime. I prodotti che appartengono alla stessa categoria, per quanto differenti tra di loro possano apparire, sono omogenei nella struttura tecnica che li esprime, nelle funzioni d’uso di base e in alcuni aspetti esteriori che rendono ciascuna varietà di prodotto immediatamente riconoscibile, come appartenente alla categoria medesima. Sono infatti un aggregato di output accomunati dalla medesima tecnologia di produzione e modalità di presentazione all’acquirente. La categoria di prodotto può essere anche espressa in termini funzionali, ovvero utilizzando come criterio di raggruppamento delle diverse forme e varianti di prodotto non la tecnologia di produzione, ma l’uso (rappresenta il bisogno fondamentale che un dato prodotto generico soddisfa. Normalmente a una medesima funzione d’uso possono far riferimento più prodotti diversi) che il consumatore ne fa. Questa gerarchizzazione è importante perché consente all’analista di mercato di farsi un quadro completo dell’offerta, sia merceologica sia commerciale, vigenti in un dato momento all’interno di una determinata area geografica. La gerarchia di prodotto è la base sulla quale viene definito il mercato di riferimento e si conviene di esprimerlo attraverso delle misure (insieme di indicatori parametri che consentono di esprimere valutazioni in merito all’efficacia e all’efficienza dei programmi e attività di marketing) che ne descrivono lo stato e le dinamiche. Queste possono essere in valore assoluto o in percentuale e fanno riferimento a grandezze differenti. 1. Vendite della categoria, rappresentate mediante due chiavi di lettura: - Volumi, ovvero le quantità vendute all’interno di uno spazio di mercato definito in un dato arco temporale - Valore degli scambi complessivi del mercato, ottenuto aggregando i volumi per i rispettivi prezzi 2. Consumi pro capite della categoria, articolati in diversi segmenti o in sottoripartizioni geografiche dell’area di mercato in esame. 12.2 Modelli di analisi dei prodotti Gli stati di mercato propri del marketing management sono quelli oligopolisti e della concorrenza monopolistica, dove cioè un numero relativamente basso di produttori competono sostanzialmente per conquistare la preferenza di scelta dei consumatori. La creazione di differenze percepite fra i vari prodotti costituisce la strada maestra lungo la quale s’indirizzano tutti gli sforzi congiunti della funzione tecnica e di quella di marketing. Ciò postula un’idea iniziale, di un modello teorico di riferimento del prodotto da usare come base di partenza per esercitare questo fondamentale effetto di mercato. Negli anni ne sono stati adottato più di uno. Tre sono: - Il prodotto come insieme di attributi percepiti - Il prodotto come stratificazione di livelli di valore - Il prodotto come concept della product offering. 12.2.1 Il prodotto come insieme di attributi L’idea di fondo di questa interpretazione pare dal collocarsi nella posizione dell’acquirente che deve valutare quale sembri avere un maggior valore per lui. Un secondo assunto di questo modello è che l’insieme inscindibile, dato che dal prodotto e dalla relativa marca, costituisca il quid che il compratore compara con altri omologhi. L’idea è che questo insieme inscindibile sia formato da un certo numero di attributi (caratteristiche di prodotto che corrispondono direttamente al beneficio ricercato dal compratore), alcuni dei quali sono tangibili, altri intangibili. Un attributo è una variabile che può avere due distinte nature: - Funzionale: attiene prettamente il prodotto come fatto tecnico e capace di performance concrete. La progettazione e generazione di questi attributi è di pertinenza dell’area tecnica, mentre al marketing è dato stabilire il giusto mix di attributi rispetto alla fascia d mercato che si andrà a presidiare. - Simbolico: attiene alcuni attributi del prodotto e la capacità del brand di svolgere un ruolo comunicativo dal soggetto verso altri e se stessi. Ogni attributo può essere presente a diversi gradi nei vari prodotti, differenziando in tal modo un medesimo prodotto sul piano della prestazione. Ogni categoria di prodotto presenta un certo grado di attributi che sono da considerarsi di base, ossia immancabili e facenti parte dell’essenza stessa del prodotto. Questi sono considerai ovvi dal cliente e perciò non hanno potere differenziante, né di stimolo all’acquisto. La differenziazione avviene sia agendo sul livello degli attributi di base, sia arricchendo il paniere complessivo di attributi con degli altri. Nei value market gli attributi funzionali è sufficiente che siano di base, infatti i prodotti sono sostanzialmente standardizzati e il contenimento dei costi di produzione è la priorità produttiva, essendo fasce di mercato dove il consumatore ha atteggiamenti di tipo problem solving, non sono necessari attributi simbolici particolari. Nei premium market invece gli attributi svolgono un ruolo motivazionale, dovendo generare un valore maggiore a fronte di un prezzo più elevato: gli attributi funzionali sono orientati a conferire una maggiore capacità di performance e quelli simbolici devono sostenere e trasmettere istintività e comunicare il savoir vivre di chi li consuma. Nei luxury market vengono estremizzati entrambi gli attributi, conferendo all’offerta di prodotto delle dotazioni di esclusività e capacità di prestazioni superiori alle aspettative. L’utilità del prodotto distintiva risiede nella capacità di connettere le scelte di prodotto con la capacità del consumatore di percepire il valore. È una visione marketing oriented del prodotto, ottica che è alla base anche della classificazione classica dei beni di consumo. Classificare i prodotti sulla base del processo di acquisto Se guardiamo a come si acquistano i prodotti di consumo, ovvero quelli e le persone fisiche ricercano per soddisfare i propri bisogni individuali, otteniamo una classificazione delle categorie ricca di indicazioni per i marketer. Convenience: categorie di prodotto di cui il consumatore necessita ma per le quali non è disposto a impiegare né tempo, né sforzi. Sono acquistati frequentemente in maniera spesso abitudinaria e ripetitiva, senza particolare coinvolgimento emotivo e intellettuale e hanno un basso prezzo. I convenience possono essere: - Di base (staple), ad acquisto ricorrente e routinario - D’impulso (impulse), ad acquisto non programmato e strettamente connesso al luogo e momento in cui l’acquirente li vede - Di emergenza (emergencu) acquistati immediatamente nel momento stesso in cui si manifesta una necessità. Preference: categorie per le quali il consumatore percepisce un grado di coinvolgimento maggiore rispetto ai primi, pur dedicando all’acquisto risorse di tempo e mentali non molto superiori. In genere si subisce l’effetto delle politiche di brand dei produttori. Shopping: categorie che il consumatore ritiene meritevoli di attenzione e tempo in occasione dell’acquisto, per compararli fra diverse marche alternative. Si distinguono in: - Percepiti omogenei: prodotti di un certo grado di complessità ma le cui differenze fra le varie marche sono evidenti o consistenti. Gli sforzi sono finalizzati alla ricerca del prezzo migliore - Percepiti eterogenei: sono analoghi ai precedenti ma presentano agli occhi del consumatore dei contenuti di differenza, anche sostanziali e che perciò giustificano pienamente gli sforzi di acquisto. Il processo di acquisto richiede tempo ed energie. Speciality: prodotti a elevato grado di desiderabilità da parte del consumatore, che è disposto a sostenere anche sforzi straordinari per trovarli. Siamo nel mondo delle fasce di valore elevate, del superpremium e luxury. Gli sforzi sono orientati a specifici oggetti di acquisto desiderati, che possono essere anche non necessari. Unsought: prodotti cui il consumatore non pensa o perché ignora l’esistenza della categoria stessa, o perché non ne fa abitualmente uso. Senza uno specifico sforzo di marketing, difficilmente verranno acquistati. Possono essere tali perché nuove categorie non ancora note alla domanda potenziale, sia perchè sistematicamente trascurati dal consumatore. 12.2.2 Il prodotto come stratificazione di livelli La differenziazione del prodotto risiede in diverse dimensioni dello stesso, le quali possono essere manovrate dall’impresa a piacimento, secondo una logica di stratificazione successiva. I Livelli individuati da Theodore Levitt (1980) sono quattro: - Prodotto generico - Prodotto atteso - Prodotto ampliato - Prodotto potenziale Al livello elementare troviamo il prodotto generico corrispondente all’oggetto realizzato dal produttore con le sue caratteristiche tecniche. A questo livello non vi è differenziazione possibile. Il produttore che intende posizionarsi nel mass market può decidere di fermarsi qui e offrire un prodotto avente solo le caratteristiche base che la tecnologia richiede. A un livello immediatamente superiore si trova il prodotto atteso, in cui si dota il generico di quelle caratteristiche minimali che il consumatore attende. Queste possono variare in ragione del consumatore e consentono dei primi adattamenti differenzianti, sebbene ancora minimali. Il produttore può decidere di giocare la partita della differenziazione a livello di prodotto ampliato dotandolo nella configurazione di base di attributi aggiuntivi (i cosiddetti accessori – elemento che si aggiunge al prodotto nella sua configurazione di base per ampliarne il valore e lo spettro di prestazioni fornite) che consentono al prodotto di superare le aspettative medie del consumatore e lo distinguono dal prodotto concorrenti. Il quarto livello di differenziazione si può avere a livello di prodotto potenziale dove si differenzia il prodotto mediante degli attributi originali che possono stimolare il desiderio del consumatore. L’idea di prodotto di Levitt cerca di fornire al produttore una guida utile alla sua configurazione mettendo a sistema le ragioni di appeal per il consumatore, i costi di produzione interni e il confronto competitivo. La stratificazione proposta rende potenzialmente possibile per l’impresa concepire prodotti semplici, sostanzialmente non differenziati e mirati alle esigenze di base; prodotti complessi dotati di caratteri distintivi rispetto ai competitori e di appeal per il compratore e prodotti sperimentali, di rottura delle convenzioni di mercato, dotati di potenziale concorrenziale e di soddisfazione del cliente di tipo disruptive. 12.2.3 Il prodotto come concept Questo punto di vista sul prodotto si basa sulla considerazione dell’esistenza di due soggetti: il prodotto generico, rappresentato nell’architettura della gerarchia di prodotto, e quello specifico, che la singola impresa concepisce e realizza. Il product concept è la specifica formulazione di un prodotto che l’impresa concepisce e con la quale va a popolare una product category esistente a qualasiasi livello gerarchico della stessa o ne crea una nuova. Il product concept fonde sinteticamente in un unicum delle caratteristiche: - Tecniche, che conferiscono un detemrinato livello quantitativo di prodotto - Di forma, che impattano sulla capacità del prodotto di produrre sia la propria performance funzionale che quelle estetica e simbolica - Di servizio, che aumentano la capacità del prodotto di generare i benefici funzionali per il consumatore. Le caratteristiche tecniche sono sinteticamente riassumibili nel termine qualità. Quello della qualità del prodotto è un tema assai ricco, che investe, in un flusso continuo e integrato, la progettazione, la realizzazione e la percezione di prestazione del prodotto. La qualità del product concept è un tema che riveste interesse per il marketing su due fronti: - La customer satisfacion, ovvero il livello di soddisfazione che il consumatore ricava grazie agli attributi del product concept, la quale deve essere almeno in linea con le aspettative tipiche della fascia di valore nella quale si opera - I costi complessi di produzione, che devono consentire di posizionarsi in modo profittevole nella fascia di mercato di riferimento. Le caratteristiche di forma sono sinteticamente riassumibili nel termine industrial design (la concezione e progettazione di un product concept ai fini della riproduzione seriale). Si tratta di un processo creativo e tecnico che miscela fattori ingegneristici e tecnologici, i materiali produttivi e l’estetica da realizzare e che convoglia il tutto in soluzioni riproducibili dalle macchine utensili all’interno di un processo manifatturiero. Il design ha a che fare sia con la capacità del concept di produrre prestazioni funzionali all’altezza delle aspettative, sia con quella di produrre un’esperienza estetica. È bene sottolineare che ogni prodotto manifatturiero possiede un design, termine qui inteso nel senso della sua componente ingegneristica ed ergonomica (attiene la massimizzazione della qualità e performance percepita nel rapporto funzionale fra l’essere umano e gli oggetti per questi progettati), ma è solo dai primi del Novecento che il termine è andato a cogliere anche le potenzialità differenzianti insite nella componente estetica del disegno industriale. Va osservato che sebbene nel parlare comune l’espressione quell’oggetto di design stia a indicare un prodotto costoso, nella realtà così non è. Il design può esprimersi anche attraverso una componente particolare del product concept e cioè il packaging, ovvero la confezione materiale che da un punto di vista funzionale: - Fraziona il prodotto nell’unità di vendita e consumo - Facilita l’uso corretto del prodotto - Consente il trasporto del prodotto dal luogo di acquisto a quello di consumo, difendendone l’integrità - Consente lo stoccaggio Per queste fondamentali utilità funzionali, il packaging può rientrare nella progettazione complessiva del design industriale. Il packaging assume anche delle importantissime funzioni comunicative e promozionali. Le caratteristiche di servizio del product concept fano riferimento a un’ampia congerie di attributi che innalzano la capacità del prodotto di esprimere tutto il proprio valore a beneficio del compratore. Esse possono essere utilizzate per espandere il profilo di valore del product concept e come elemento di differenziazione dei competitori. - Customer information: informazioni sull’utilizzo che consentono al consumatore di far correttamente funzionare il prodotto, facendogli esprimere tutto il proprio potenziale. Possono essere veicolate sul packaging, in un supporto a parte oppure online. - Customer service: servizio di assistenza in remota che risolve i problemi di utilizzo del prodotto e raccoglie eventuali segnalazioni d’insoddisfazione. Può essere erogato per via telefonica o mediante altri strumenti digitali - Servizio all’installazione e manutenzione ordinaria: l’uso di alcuni prodotti presuppone un’installazione on accessibile a chiunque ragion per cui l’offerta del prodotto è da intendersi completata da questo servizio. Molti Il lancio corrisponde alla nascita del mercato, fase nella quale le vendite sono bassissime per il fato che la domanda target ancora non conosce l’esistenza del nuovo prodotto e i distributori coperti sono ancora pochi. Questa circostanza impone di investire cifre anche considerevoli su azioni di marketing operativo molto importanti: pubblicità su quanti più media possibile per creare notorietà di marca (risposta cognitiva dei consumatori agli stimoli di marketing. Comprende sia un aspetto conoscitivo puro che associativo), promozioni di stimolo per sollecitare alla prova del nuovo prodotto, investimenti commerciali per aumentare rapidamente la copertura distributiva e dare al prodotto visibilità all’interno del punto vendita (instore promotion e merchandising), eventi sul target per accelerare in essi la crescita di consapevolezza dei benefici differenziali proposti, movimentazione sui social media per stimolare l’attenzione e l’interesse della rete verso le novità. In sostanza in questa fase i costi di marketing sono molto elevati ciò pone il conto economico di prodotto in perdita economica. La crescita del mercato si ha quando la domanda sia stata innescata con successo: le vendite del prodotto conoscono un rapido incremento che si mantiene ostante per un pò di tempo a tassi crescenti. Evidentemente in questa fase il mercato si sblocca e libera tutte le proprie potenzialità: introdurre il prodotto nei canali diviene più semplice anche perché i distributori anno che i clienti cercano e desiderano quel prodotto, i clienti anche attraverso meccanismi virali di comunicazione, sono coperti dalla notorietà e consapevolezza del prodotto e lo inseriscono nei loro panieri di spesa, i concorrenti iniziano a farsi numerosi. Quest’ultima circostanza ha effetto sulla profittabilità del prodotto: nella fase di crescita i prodotti per l’intero novero dei produttori crescono e raggiungono il loro massimo livello, mettendo a reddito tutto il potenziale di novità del prodotto. L’intensificarsi della competizione che ne deriva innesca investimenti anche sul prodotto ma soprattutto sul mercato nel più breve tempo possibile, la copertura distributiva sulla scia del successo in atto. La maturità del prodotto è il momento in cui le vendite cumulate toccano il loro massimo storico, ma in cui i tassi di crescita delle stesse rallentano, per poi fermarsi definitivamente. Ciò inizia a conferire alla curva del ciclo di vita un andamento flat o a plateau, cioè orizzontale all’asse dell’ascisse. Questo stato di cose, per il mercato di categoria nel suo complesso può durare anche anni. L’ingresso di competitori aggressivi rende via via meno profittevole per il mercato a meno che non ci si trovi in una condizione di oligopolio. Diverso il discorso per le imprese che possono sperimentare condizioni di ciclo di vita del tutto diverse. Successivamente alla fase di maturità, la categoria può sperimentare tre situazioni possibili: - Il declino, in cui il prodotto esce progressivamente dalla sfera d’interesse dei consumatori, dei clienti e dei produttori per marginalizzarsi in una nicchia di ritorno o sparire completamente perché magari superato tecnologicamente - La pietrificazione, cioè l’assestamento delle vendite su un certo livello di volumi, con una condizione produttiva e di mercato fissa, assestata su livelli bassissimi di volumi o anche elevati ma comunque flat - La rivitalizzazione, in cui qualche produttore riesce a innescare un nuovo ciclo di vita del prodotto introducendo un’innovazione tecnica che lo rende adeguato ai tempi o reinventando un mercato, o ripensando gli attributi fondamentali del concept. Il ciclo di vita del prodotto non disegna una prospettiva certa di mercato né un modello previsionale di vendite. È una modellizzazione empirica che determina alcune condizione – tipo di scambio e indica in linea di massima le priorità del marketing da seguire e di cui aver cura. La curva specifica dell’impresa può seguire destini differenti da quella della categoria a cui si riferisce, ma comunque risulta utile e proficuo per il manager avere coscienza delle condizioni tipo nelle quali questi esprime il proprio potenziale competitivo. 12.4 L’adozione del nuovo prodotto Non tutte le persone hanno i medesimi atteggiamenti di fronte all’innovazione. Gli studi condotti sul tema hanno prodotto una rappresentazione di come in media i compratori si rapportino di fronte a una nuova categoria di prodotti proponendo una tassonomia: - Innovatori (2%): la curiosità intellettuale per ciò che è nuovo e per le performance che può indurre è l’atteggiamento mentale preminente. Sono propensi al rischio, intellettualmente curiosi e cognitivamente dotati nei termini delle capacità di comprensione e uso del prodotto - Pionieri (15%): l’atteggiamento mentale prevalente è l’attenzione al contributo della performance che il nuovo prodotto promette. La dotazione cognitiva tecnica è discreta e unita alla bassa propensione al rischio li pone in situazioni di ansia - Maggioranza anticipatoria (34%): compratori che rifiutano la nuova categoria, almeno fino a quando non abbia avuto tempo di diffondersi. Si tratta di compratori tendenzialmente avversi al rischio e fortemente emotivi. - Maggioranza ritardataria (34%): segue la precedente categoria a breve distanza di tempo. Il prezzo basso costituisce la leva fondamentale per stimolare l’adozione della categoria e la marca gioca un ruolo rilevantissimo. - Ritardatari (16%): entrano in campo a effetto – novità ormai scaduto. Sono attenti ai prezzi e alla facilità d’uso del prodotto. I compratori sia business sia consumer: le imprese sono fatte da uomini e di questi recano l’impronta attitudinale e cognitiva. Per questa ragione vi sono imprese più aperte al nuovo e alla sperimentazione e imprese più caute. Queste categorie sono ovviamente tendenziali e fotografano comportamenti medi. Capitolo 13 Il perno dell’offerta: il brand system Branding è un termine fondamentale nel lessico del marketing. Il suo significato è ampio e comprende tanto le scelte ordinarie di gestione, quanto le scelte più estemporanee e sporadiche. L’oggetto del branding è il brand system, un costrutto complesso che assolve importanti funzioni. La sua architettura è delicata e complessa. 13.1 Marca e business model Più volte abbiamo avuto modo di osservare come il prodotto, rappresenti solo una componente della più articolata offerta d’impresa: l’impresa non vende meramente prodotti ma delle offerte di prodotto composte di più elementi integrati fra loro. L’oggetto della seconda macrofase del marketing management , la progettazione della product offering, attiene alla definizione a tavolino di tutto ciò , con il fine di comporre un’offerta di valore competitiva. Per output intangibile si intende il servizio e delle sue specifiche caratteristiche, che impongono condizioni differenti, nella produzione così come nell’erogazione e nella distribuzione per il marketing management. Il tema del branding (insieme di attività attinenti alla creazione gestione e valorizzazione del brand system. Opera sia sulle singole unità elementari del brand sia sul brand system medesimo), ovvero di quella funzione di produzione che produce un valore immateriale, il quale si integra a quello della funzione di trasformazione, manifatturiera o servizio. Il brand system (sistema marca risultante dalla giustapposizione di elementi diversi in uno schema narrativo che aggiunto valore alla product offering) opera sul bene/servizio una seconda trasformazione, che va ad aggiungersi a quella già avvenuta nel processo produttivo. Questa trasformazione del prodotto operata dal brand system va letta in senso: - Commerciale, perché dota il prodotto di alcuni elementi che facilitano la vendibilità - Intellettuale, perché veste il prodotto di elementi che attengono alla mente dello shopper, sia sul lato dei processi cognitivi sia su quello della percezione - Simbolico – emozionale, perché aggiunge della valenza simboliche ai prodotti, indispensabili a creare quel valore complesso che l’uomo sempre ricerca. - Le due funzioni di produzione hanno mostrato come il business model, considerato al netto della finanziarizzazione dell’impresa e quindi nella sua sola componente reale (economia che attiene all’innovazione, alla trasformazione delle idee in prodotti e alla loro valorizzazione economica. Si contrappone solitamente a quella finanziaria) poggi essenzialmente su due fondamentali funzioni di produzione. 1. La funzione di produzione del tangibile: è il sistema di trasformazione manifatturiera, che genera product concept ed esprime un valore prevalentemente funzionale - emozionale, legato cioè all’uso del prodotto e alla sua performance, e marginalmente anche del valore simbolico, legato a componenti intangibili 2. La funzione di produzione dell’intangibile: è il sistema di creazione di valori intangibili che chiameremo branding, un processo che genera e governa l’insieme di elementi simbolico – linguistici che conferiscono un’identità unica e distinta al product concept e che ne riassumono la promessa originale di prestazione a beneficio del compratore. Vi sono sempre degli elementi di contatto fra trasformazione e branding, che sono fondamentali ai fini della costruzione dell’offerta di valore e che devono essere accuratamente progettati e gestiti del management. La funzione di produzione del tangibile e quella dell’intangibile presentano un processo proprio e indipendente. La trasformazione svolge questo processo all’interno del sistema di fabbrica, in senso alto, il branding lo svolge nella rete di partner di conoscenza e strategici dei quali l’impresa si avvale. Le due funzioni di produzione non sono tuttavia perfettamente indipendenti: esiste un’area nella quale esse si intersecano, producendo item comuni di offerta. Sono tali il design e il packaging, attributi della product offering che assolvono sia una funzione tecnica sia estetica. La product offering dell’impresa si compone di una miscela coordinata di item di natura sia manifatturiera sia di significato e il ruolo del branding nella generazione di questi ultimi è essenziale. Il brand system è un ingrediente oggi indispensabile della complessiva formula competitiva o business model, dell’impresa. Ne accresce il valore della product offering e la sua probabilità di affermarsi nelle scelte di acquisto del compratore. Esso offre un contributo originale alla potenza competitiva della product offering, che si articola in alcune proposizioni che di seguito esprimiamo ed esemplifichiamo. La marca fa la differenza La marca dà la possibilità al produttore di posizionarsi in rapporto ai propri concorrenti e di far conoscere le qualità distintive, il punto di differenza (insieme di attributi che conferiscono al brand una personalità propria e una percezione distinta rispetto ai concorrenti) che rivendica le proprie produzioni. La marca funge così da strumento della lotta concorrenziale e contribuisce a ridurre per il consumatore la nebulosità dell’offerta. La marca vale L’awareness e l’immagine di marca accumulano il valore delle azioni che si sono andate susseguendo nel tempo. Alcune marche sono addirittura ultracentenarie e per il produttore che le possiede costituiscono un cespite patrimoniale vero e proprio, che si può paragonare a una riserva in conto capitale, risultato di anni d’investimento. La marca attraverso il tempo, il prodotto no Contrariamente a quello che di solito si crede, la marca non è una rendita, una sorta di abbonamento pattuito con il consumatore, essa vive e prospera solo se è in grado di apportare un vero valore aggiunto al consumatore, evolvendosi in armonia coi tempi. Il consumatore la sottopone ogni volta a un test, istituendo confronti, abituandosi velocemente alle innovazioni che propone, a tal punto da considerare normale anche la più recente innovazione apportata. La marca ha davanti a sé una strada obbligata per sopravvivere: rimettere il prodotto costantemente in gioco, innovarlo, adeguarlo all’evoluzione dei gusti e dei desiderai dei consumatori, modificandone prestazioni, valore d’uso, qualità. Alle volte questo processo può risultare tanto accelerato da rende l’immagine della marca più vecchia del prodotto che connota (sfumatura di senso che una parola veicola insieme al suo significato di base). Il prodotto passa, la marca no. La marca garantisce sul prodotto La marca è una vera e propria firma, che identifica un produttore e che lo responsabilizza in modo continuativo nei confronti della clientela alla quale si riferisce: nel passato ciò si sostanziava nel fare del cognome dell’imprenditore la marca dei propri prodotti. Una volta costruita la marca e fattala conoscere e apprezzare, il produttore deve vigilare affinchè il livello di qualità che a essa era originariamente associato non venga mai meno e anzi sia costantemente implementato. 13.2 Marca e acquisto Il paradigma gestionale che il marketing propugna e formalizza nell’espressione del marketing concept, pone al centro della sfera d’interesse dei player il cliente finale. La scelta (momento centrale dell’attenzione del marketer. Variabile – risultato dell’investimento complessivo o risultato di un processo percettivo – cognitivo complesso. L’oggetto di scelta è la product offering) che questi ha a libertà di compiere, nell’atto di approvvigionamento dei beni e servizi che gli sono necessari, costituisce, il problema sul quale tutte le attenzioni degli operatori economici tendono fatalmente a convergere, sia che si tratti di contesti B2B che di B2C. senza tale libertà di scelta l’idea stessa del paradigma di marketing management sarebbe sostanzialmente superflua, utile e mero esercizio di stile: in monopolo non c’è scelta e perciò non vi è ratio economica che giustifichi l’investimento aziendale nel management di marketing. Il marketing vede la scelta di acquisto come una variabile – risultato: siffatta natura le deriva dal fatto di essere espressa come output ultimo di un processo razionale, percettivo e cognitivo più o meno intricato, a seconda della tipologia di prodotto che ne è interessata. Essa è configurata come esito definitivo di un continuo sforzo di percezione e ponderazione delle alternative disponibili sul mercato, messo in atto dai consumatori successivamente al consapevole riconoscimento dell’esistenza di un bisogno. La scelta dell’individuo appare influenzata da una molteplicità di elementi, fra i quali: - Aspetti personali: quando parliamo di cliente consideriamo l’individuo con tutta la sua complessità intrinseca, cogliendolo in un momento preciso della sua vita attiva, ossia nell’atto dell’approvvigionamento che effettua attraverso i propri acquisti. Il cliente reca sempre con sé il proprio essere che costituisce la base fondante delle Una delle conseguenze della misurabilità della brand equity è che in linea di principio una marca può essere oggetto d scambio fra due imprese. Il progetto architettonico del brand system si articola in due sotto progetti, l’uno indispensabile all’altro. Il brand nella visione dell’American Marketing Association Nel marketing le definizioni non sono mai oggettive, ma frutto di interpretazione soggettiva maturata sotto l’ipotesi di validità di certe condizioni entro le quali si effettua l’osservazione della realtà che ne è la base. L’american Marketing Association (AMA) è la più grande e autorevole associazione nordamericana di marketing. Unendo gli sforzi e le culture degli accademici e dei pratitioner, l’AMA costituisce il fondamentale riferimento culturale nella disciplina a livello mondiale, e vi si fa spesso riferimento allorchè si vogliano studiare i fenomeni di mercato. Il termine brand è presente da decenni in questa forma: a name, term, design symbol or any other feature that identifies one seller’s good or service ad distinct from those of other sellers. P del tutto evidente come tale concezione della marca sia strutturale e faccia riferimento alla funzione storicamente da essa giocata negli scambi: identificare e segnare il punto di differenza dell’offerta interessata rispetto alle concorrenti. Resisi conto dell’evidente insufficienza di questa definizione i tecnici dell’AMA si premurarono di aggiornare il significato della parola estendendolo per ben due volte nel tempo. La prima : a brand is a customer experience represented by a collection of images and ideas, it refers to a symbol such as a name, logo, slogan and design scheme L’aggiornamento richiamato è fondamentale: si riconosce che il brand è qualcosa che ha cittadinanza nella mente del consumatore, è lì che se ne formano i valori, i significati e lo stesso senso identitario. Si prende anche atto della ricchezza di elementi che costitusicono l’architettura del brand, esplicitandoli in un successivo aggiornamento concettuale: a brand often includes an explicit logo, fonts, color schemes, symbols, sound which may be developed to represent imlicit values, ideas and even personality. Con questo secondo step la fiusta e necessaria correzione del concetto di brand da mero aggregato di segni a soggetto dotato d’identità nella mente del consumatore e capace di produrre esperienza a suo vantaggio è completata. 13.3.2 Le tessere cognitive La memoria selezioni fra le pletora costante di stimoli che riceve, incamerandone alcune e scartandone degli altri secondo logiche e meccanismi sempre oggetto di studio da parte degli scienziati della mente. Obiettivo dei marketer è far sì che gli stimoli con i quali un brand system sollecita la memoria siano efficaci nel senso di colpire l’attenzione. Una marca nota e ben presente nella memoria dello shopper ha maggiori probabilità di affermarsi nel processo di specificazione dei generici bisogni, in un’alternativa di acquisto dell’oggetto di desiderio. Se una marca è forte dal punto di vista cognitivo, la probabilità che essa venga immediatamente collocata nel set di alternativa fra le quali effettuare la scelta finale di acquisto è elevata. Obiettivo dell’imprsa proprietaria di un brand system è quello di progettarlo in modo che sia capace di interagire al meglio coi processi percettivi e mentali dell’individuo. Dati i meccanismi di selettività che il cervello mette in opera per sua propria natura quanto più adeguata ai meccanismi mentali ne sarò la progettazione, tanto maggiore ne sarà l’efficacia in termini cognitivi. I sensi particolarmente coinvolti dalle componenti architettoniche del brand system sono: - La vista, che è sollecitata dagli elementi oratici, come il lettering, da quelli simbolici come il logo (tema grafico – fatto di codici tipografici, figurativi, plastici che realizza l’identità visiva del brand e la applica, moltiplicandone le opportunità di esposizione, estensivamente su prodotti e supporti) dai colori che sono usati a sottolineare visivamente l’identità della marca - L’udito, che è sollecitato dai suoni che in forma sinteticamente semplice (jingle – breve motivo musicale, semplice e facilmente memorizzabile, associato a un testo pubblicitario), vengono ripetuti in contesti di associazione univoca a una determinata marca - L’olfatto, gioca un ruolo terzo rispetto ai due precedenti, in quanto relegato a situazioni e contesti di esposizione della marca al consumatore meno frequenti, ciò non toglie che l’odore specifico di un prodotto giochi un ruolo cognitivo. Maggiore è il numero di sensi stimolati contemporaneamente da un soggetto più alta è la probabilità di memorizzarlo. Ne discende che il marketer ha interesse a dotare la marca di un numero di tessere cognitive quanto più elevato possibile, in grado di stimolare quanti più sensi possibile del consumatore. Le tessere a disposizione del marketer: - Tessere proprietarie: si tratta di elementi del brand system che vengono ideati, costruiti e gestiti direttamente dal player. Sono a tutti gli effetti di sua proprietà e tendono a restare legate al prodotto per sempre. Si tratta delle seguenti componenti: a) Brand name: il nome, ovvero la parte pronunciabile della marca. Può puntare su elementi immediati, denotativi oppure dal significato più mediato, connotativo e di fantasia b) Brand logo: la parte grafica della marca, che riassume in sé i colori, le immagini i simboli e gli stessi caratteri coi quali il nome è scritto. Questa componente ha grande criticità in quanto concretizza l’identità visiva del brand, attributo cruciale della brand identity e ideale ponte di collegamento fra i due insieme di tessere. c) Brand slogan: è una breve fase che accostata al brand name, ne comunica informazioni di carattere descrittivo persuasivo o evocativo. Lo slogan è un componente di grande potenza, in quanto contribuisce a definire la consapevolezza di un brand, in maniera immediata e sintetica d) Brand sound: la componente musicale del messaggio identitario del brand. È solo in anni recenti che è andata crescendo la consapevolezza della sua utilità in termini di risposta cognitiva del consumatore e quindi il suo utilizzo deliberato. - Tessere contrattualizzate (p acquisite): si tratta di elementi del brand system che vengono legati al brand attraverso forme contrattuali e tendono quindi a restarvi legate per archi temporali, definiti e limitati, anche lunghi. È il caso del brand testimonial, personalità note e dotate di carisma e capacità rappresentativa presso il target di riferimento. E’ importante sottolineare che le tessere cognitive a impatto visivo rientrano in un più ampio contsto d’uso noto come brand identification system. Si tratta della progettazione e gestione coordinata delle modalità di presenza degli elementi iconici della marca su una moltitudine di supporti che supera ampiamento il perimetro di stretta pertinenza commerciale. Gli elementi cognitivi del brand system vengono applicati a tutti quei contesti di contatto visivo fra il brand e il consumatore, estendendo quindi il campo della presenza di marca al punto vendita, al packaging, il web site, gli edifici, gli automezzi, le pubblicità. 13.3.3 Le tessere semantiche Il brand system costituito dalle tessere cognitive è un po' come la scatola vuota, un contenitore magari anche solido ma privo di significati associati. Occorre quindi riempirlo di contenuti, compito affidato e assolto da una seconda famiglia di tessere del mosaico del brand: le tessere semantiche. Queste sono accomunate dal fatto di dotare il brand di significati e senso compito per il quale le tessere precedentemente esaminate appaiono del tutto inefficaci poiché inadatte allo scopo. Le tessere semantiche dotano il brand system di un costrutto importantissimo, la brand image, che per l’appunto attiene ai significati, alle associazioni mentali, alle utilità promesse dai brand ai loro utilizzatori. Alle tessere semantiche è affidato il compito di definire e veicolare l’unique selling proposition (la promessa fondamentale di valore dell’offerta che il brand porta sul mercato. Si fonda sul punto di differenza essenziale e realisticamente dimostrabile con il quale il brand si posiziona) del brand verso lo shopper. Appare opportuno rappresentare l’universo delle tessere semantiche in ragione della loro genesi e non del legame contrattuale che le lega all’azienda. Ciò che conta per le tessere semantiche no è di chi siano, ma chi sia a generarle e governarle. A differenza infatti delle tessere cognitive, che rientrano completamente entro la sfera decisionale del management quelle semantiche sono anche l frutto di elementi fuori dal controllo puntuale del management quelle semantiche sono anche il frutto di elementi fuori dal controllo puntuale del management, come il tempo di esistenza del brand sul mercato o la performance dei suoi prodotti percepita dai consumatori. Si distinguono i seguenti elementi: - Tessere endogene: elementi del brand system che vengono ideati costruiti e gestiti direttamente dall’impresa. Sono a tutti gli effetti di sua proprietà, w tendono a restare legare al prodotto sostanzialmente per sempre. Esse vengono formalizzate dai marketer con processi che spesso vedono anche il contributo creativo di partner esterni che aiutano l’impresa a focalizzare gli obiettivi. Si tratta dei seguenti concetti: a) Brand identity: insieme dei contenuti di significato del brand name, progettati dal manahgement e trasmessi nel posizionamento competitivo.si tratta di un’idea di significato identitario, codificata dall’azienda proprietaria e da essa, attraverso i canali a disposizione, trasferita al target, affinchè connoti il brand medesimo come desiderato dal management. La brand identity mostra un soldo legame con le tessere cognitive nella cosiddetta visual identity ovvero nella codifica visiva dei segni che compongono il logo e ogni altro manifestazione visiva del brand b) Brand heritage: l’eredità, i lascito, il patrimonio di notorietà che viene conferito a un brand system dalla sua longevità ed esistenza sul mercato da un lungo periodo di tempo. L’heritage di un brand capitalizza il tempo nella reputazione veicolando messaggi di affidabilità e competenza specifica e conferisce un posizionamento di rango elevato nella categoria. - Tessere esogene: elementi del brand che incidono sulla sua immagine, sebbene siano del tutto fuori dalla sfera di controllo del player. a) Brand reputation: la considerazione o attenzione benevola/malevola di cui un brand gode in virtù della propria capacità di mantenere la promessa contenuta nell’identità. È un contenuto di autorevolezza che al brand è riconosciuto quale tipica variabile, risultato che promana dall’esperienza diretta e/o indiretta del consumatore. Rientra in questo ambito anche la corporate reputation, ovvero la reputazione dell’impresa che può riverberarsi su quella dei propri brand. b) Country of Origin Effect: non è presente in tutti i mercati, ma in alcuni è un potentissimo endorsement che rafforza la brand image dell’impresa, dotandola di per sé di credibilità in una determinata produzione. Il brand svolge un fondamentale lavoro in termini di image generando appeal grazie al combinato agire di questo secondo set di tessere e alla loro produzione di un’unique selling proposition unica e posizionata in un’area di non sovrapposizione con le altre. 13.4 La gestione ordinaria del brand system Il brand management denota una serie di attività analitiche decisionali e operative che si snodano lungo l’intero arco di vita della marca e che prendono il via a seguito della sua progettazione. È da quando una marca nasce e prende forma di brand system che possiamo riconoscere l’esistenza di due scuole di pensiero distinte e non conciliabili fra loro, sul ruolo che essa debba avere nelle politiche di marketing dell’impresa. - L’impostazione marca – centrica: l’idea di fondo è che i consumatori desiderano scelgono e consumano marche, non prodotti. Ha senso affidare alla marca il ruolo. guida nelle politiche di mercato e subordinare a essa tutte le altre variabili. È possibile immaginare una catena del valore della marca, che fa dipendere la performance di mercato dell’impresa dalla qualità dell’interazione fra il programma di marketing e le strutture cognitive del cliente. - L’impostazione valore centrica: l’idea di gondo è che i consumatori desiderano, scelgono e consumano delle strutture di valore complesse e integrate, le product offering, perno delle quali è il prodotto, sebbene non sempre in posizione guida. Alle volte consumatori scelgono guidati dalla marca, alle volte dal prodotto, altre dal prezzo va oltre ancora dal punto vendita. Quale che sia la variabile guida, il prodotto riveste sempre un ruolo anche lievemente, preminente, grazie al suo apporto funzionale al benessere del consumatore. La prima impostazione ribalta completamente il processo di marketing management, subordinando le scelte di prodotto, comunicazione e distribuzione alle scelte in tema d’identità della marca e suo posizionamento rispetto al target. Si tratta di un modello affascinante che si deve a uno studioso americano Kevin Lane Keller. La gestione della marca mira ad alcuni specifici obiettivi: - Operare una prima trasformazione commerciale del product concept, rendendolo conoscibile memorizzabile e ricordabile - Incrementare il valore percepito del procut concept attraverso l’aggiunta emozionale e simbolico, quest’ultimo sia di tipo autoreferenziale sia sociale - Incrementare la percezione di qualità del prodotto fungendo da surrogato informativo laddove il consumatore non possegga le conoscenza atte a comprenderla - Accrescere il potenziale competitivo della product offering definendone il punto di differenza rispetto ai competitor attraverso il posizionamento e parlando al target - Facilitare la marketing operations, in particolare l comunicazione e il customer relationship management, fungendo da ancora cui legare le attività. Schema di Keller Il brand system assolve molti e cruciali compiti nel marketing manager, sia strutturando maggiormente la product offering, sia potenziandone l’efficacia di mercato. La sua gestone da parte del management è questione assolutamente decisiva per gli esiti che può generare a beneficio dell’impresa. È possibile isolare alcuni momenti gestionali chiave che sono sempre rilevanti per il management e di cui ci si occuperà nei successivi paragrafi: - La macroarchitettura della marca, ovvero le scelte da compiere laddove un’impresa abbia una pluralità di marche - Il governo dell’efficacia cognitiva del brand, ovvero la generazione di risposte cognitive positive - Il governo dell’efficacia semantica del brand. 13.4.1 La macroarchitettura Capita molto spesso che le imprese dispongano di un portafoglio di brand, che un’impresa sia mono brand è l’eccezione. Questa situazione pone i manager nelle condizioni di dover organizzare il proprio portafoglio in modo tale da: non creare confusioni, sovrapposizioni e ridondanza, da un lato; creare delle sinergie fra i vari brand system, presidiare meglio il canale e fidelizzare i consumatori, dall’altro. Emergono nuove e rilevanti qualificazioni della marca, che occorre conoscere e che sono il riflesso diretto delle politiche di organizzazione del portafoglio prodotti dell’impresa: - Umbrella brand: è la marca madre (parent brand) sotto la quale si addensano delle altre marche (sub brand) secondo un ordine logico che può essere di canale e di target ecc. - Corporate brand: il livello superiore di brand, che identifica l’impresa oltre che le product offering che essa genera - Line brand: che si estende su più tipi di prodotto fra loro complementari - Family brand: copre diverse categorie di prodotto e può articolarsi a sua volta in diversi brand di prodotto. Le soluzioni per progettare un’efficace mappa delle marche dell’impresa tale da assicurare un efficace presidio del mercato e non consentire contemporaneamente di usare efficacemente le risorse investite sono molte. Anche in questo caso le varietà di formule è diretto riflesso delle grandi opportunità per consulenti e pubblicitari. In questo mare magnum, si distingue l’interessante soluzione proposta da Aaker e Joachimsthaler che hanno evidenziato l’esistenza di un continuum di possibilità. A un estremo vi è la forma cosiddetta branded house, che organizza tutti i brand aziendali lungo un medesimo fil rouge dato dal brand originario. La category extension è anch’essa molto frequente e rappresenta la veste marketing delle strategie corporate di diversificazione. Questa scelta strategica amplia il portafoglio prodotti dell’impresa consentendole di preparare in più mercati diversi fra loro. Un’impresa che diversifica è solitamente un’impresa forte, coi conti in rodine, opportunità di investire liquidità in esubero guadagnata sul mercato originario, disponibilità di un brand dotato di una solida equity. La brand extension genera un curioso paradosso: da un lato le imprese stressano l’uso della marca anche per aiutare le product offering a ritagliarsi spazi di visibilità all’interno di un’offerta affollata, dall’altro l’effetto cumulato del fatto che molte imprese agiscono secondo questo ragionamento contribuisce ad affollare ulteriormente lo spazio di offerta, alimentando un circolo vizioso che acuisce il fabbisogno di branding. 13.5.2 Il riposizionamento della marca Il riposizionamento del brand system è un’operazione straordinaria nel senso più letterale del termine, cioè esula dalle condizioni ordinarie di funzionamento di questo fondamentale asset aziendale. Il riposizionamento è una risposta a un problema che si riscontra sul mercato e che può concerne più dinamiche. - L’affievolirsi de mercato stesso: le vendite hanno un andamento stabile o addirittura declinante, per cui si cercano aree limitrofe di opportunità - La perdita di consonanza del target: il mio brand è invecchiato e i giovani cui intendo riferirlo lo abbandonano - La perdita di rilevanza delle variabili su cui il brand aveva costruire il punto di differenza. Sebbene il posizionamento si riconosca più frequentemente come risposta alle ragioni esterne richiamate non mancano esempi di riposizionamento per cogliere opportunità. - Meta mercato del vintage - Ciclitità delle mode. La scelta di riposizionamento viene ad incidere sulla collocazione del brand system nella ideale mappa mentale dei consumatori modificandola. Si tratta di un’operazione della massima delicatezza difficile da implementar e non sempre dagli esiti favorevoli. 13.5.3 Il co - branding Quest’operazione straordinaria si colloca nel novero delle attività volte a cogliere e/o creare delle opportunità di mercato per il brand system di riferimento. Il co – branding concerno l’uso congiunto di due o più brand system in una o più product offering, e presuppone tecnicamente la presenza di un accordo contrattuale fra le imprese proprietarie. L’accordo su obiettivi e linee di azioni strategici e il coordinamento operativo delle attività di marketing rappresentano gli elementi più delicati della questione. La realtà commerciale mostra l’esistenza di un’enorme varietà di formule d’offerta nelle quali è riconoscibile l’operazione di co – branding dovuta alla naturale flessibilità d’uso del brand system. Arricchimento della product offering dei seguenti tipi: - Funzionale: si tratta di incrementare la capacità della product offering di generare benefici pratici per il consumatore, miscelando più componenti brandizzate assieme. Si tratta el cosiddetto ingredient co – branding, con il quale un brand noto si integra nel product concept di un altro nell’intento di rafforzarsi reciprocamente. - Simbolico: si tratta di generare un potenziamento dell’immagine delle marche partner attraverso un endorsement reciproco dei brand - Comunicativo: uso congiunto di brand nella comunicazione per accrescere l’awareness reciproca. Il co - branding costituisce una classe di operazioni straordinarie di branding che cerca di aumentare il valore della marca e sfruttarlo al massimo delle proprie potenzialità. Una delle caratteristiche chiave per il successo dell’operazione sembra esserne la temporaneità. 14. Scelte distributive L’impresa deve definire le strategie e le politiche distributive ovvero deve predisporre quell’insieme di condizioni strutturali, organizzative, relazionali, competitive, coerenti con la sua strategia complessiva, che le consentano di realizzare la commercializzazione della propria product offering rendendo i prodotti disponibili all’acquirente per l’uso o il consumo nel luogo nella forma e nella quantità atte a soddisfare le sue necessità. La commercializzazione vien realizzata tramite u canale di distribuzione dove vengono svolge le funzioni distributive (insieme di tipo logicistico, informativo e accessorio, che consentono di trasferire un prodotto dal produttore al consumatore attraverso un canale distributivo), prevedendo o meno l’intervento di intermediari commerciali. È opportuna sottolineare come le scelte di distribuzione rivestano un’estrema rilevanza nel marketing management. Una valida strategia distributiva infatti è conditio sine qua non per un efficace approccio al mercato. Essa può influenzare significativamente le altre variabili di marketing e può richiedere ingenti investimenti o impieghi di lungo temine nei confronti dei partner commerciali. 14.1 Il ruolo economico della distribuzione e la creazione di valore per gli acquirenti I canali di distribuzione sono costituiti da un insieme di soggetti interdipendenti che svolgono il complesso di attività necessarie a facilitare il processo di scambio creando valore per gli acquirenti, in termini di utilità di luogo, di tempo, dio stato e di varietà. Si rende il prodotto disponibile in un luogo, in un momento e secondo modalità diverse dalla produzione. Tale attività vanno a costituire il servizio commerciale. Il servizio commerciale mira a incontrare i bisogni del consumatore target con riferimento a diversi aspetti. - Prossimità: il servizio di prossimità favorisce l’accesso al prodotto da un punto di vista spaziale, esso viene realizzato sostanzialmente attraverso l’ubicazione di punti vendita, le attività di trasporto e di vigilanza. - Disponibilità: il canale distributivo deve dare risposta alla richiesta di disponibilità del prodotto con una tempistica coerente con le richieste del mercato. A tale finalità rivolte le attività logistiche (disciplina che si occupa della gestione del flusso fisico delle merci): magazzinaggio, trasporto, consegna - Quantità acquistabili: il cliente ha la necessità di poter acquistare quantità di prodotto secondo le proprie necessità e prescindendo da eventuali vincoli tecnici propri del sistema produtto - Varietà dell’offerta: le esigenze di varietà dell’acquirente concernono da una parte la possibilità di concentrare gli acquisti di diverse categorie di prodotto in un’unica occasione, potendo fruire di un assortimento ampio, dall’altra riguardano la possibilità di scelta in ciascuna categoria, grazie a un assortimento profondo - Informazione: attraverso il canale distributivo, l’acquirente ottiene informazioni inerenti l’impresa fornitrice, la marca le caratteristiche dei prodotti, le condizioni d’acquisto, occasioni promozionali, sovente è proprio nel punto vendita, reale o virtuale che l’acquirente costruisce la mappa delle alternative possibili. - Relazione: il contatto tra il canale distributivo e il cliente è il vettore sul quale può essere attivata una relazione fiduciaria, personalizzata e duratura, un aspetto particolarmente rilevante nel caso dei prodotti problematici e dei servizi della persona. - Garanzia: il canale distributivo può fungere da garante dell’offerta che esso propone ai nuovi clienti. - Servizi accessori funzionali: attraverso il canale distributivo il cliente può fruire di ulteriori servizi quali il credito, l’installazione, l’assistenza post vendita - Servizi accessori esperienziali: nel punto vendita si può esprimere la dimensione ludica, esperienziale e sociale del processo d’acquisto. L’erogazione di questi servizi dà luogo a flussi di diversa natura tra gli attori del processo di scambio: flussi di tipo logistico, informativo, finanziario e giuridico. I clienti chiedono a fornitori l’erogazione del servizio commerciale più idoneo in relazione alle loro esigenze e aspettative. Il sistema d’offerta dovrà configurarsi in modo tale da massimizzare l’efficienza e l’efficacia dei processi commerciali nei confronti dello specifico target di mercato, con l’obiettivo di accrescere il valore della product offering e di aumentarne l’appetibilità e la visibilità nel punto vendita rispetto ai concorrenti diretti. Nel definire le proprie strategie distributive, l’impresa è chiamata a dare risposta alle seguenti domande: - Quale servizio commerciale s’intende erogare a livello di canale? - Con quali modalità? - Quali soggetti dovranno partecipare al processo? - Come vengono ripartite le attività di servizio commerciale tra i soggetti partecipanti? 14.2 Struttura dei canali distributivi e strategie commerciali 14.2.1 Gli intermediari commerciali e la struttura dei canali La prima categoria di intermediari commerciali è quella dei commercianti, i quali assumono il diritto di proprietà dei beni che distribuiscono. Tra i commercianti distinguiamo i grossisti (wholesalers), che acquistano i prodotti dai produttori per rivenderli in quantità inferiori ai dettaglianti e i dettaglianti (retailer), i quali acquistano dai produttori o dai grossisti rivendono direttamente ai clienti finali. È opportuno sottolineare che nell’ambito di tale categoria di intermediari si è osservata una costante innovazione delle forme distributive (è il prodotto dell’impresa commerciale, costituito da uno specifico mix di servizi commerciali elementari), in relazione alla maturazione del processo di modernizzazione del commercio che ha visto la marginalizzazione dei distributori tradizionali e dei grossisti. Gli agenti (o rappresentati) sono degli intermediari che assumono diritto di proprietà dei beni ma negoziano per conto di una o più imprese mandanti, per cui vengono definiti rispettivamente monomandatari e plurimandatari, funzioni similari vengono svolte dai mediatori e dati broker (sono degli intermediari che hanno la funzione di porre in contatto acquirenti e venditori assistendoli nella negoziazione). In un canale distribuito ritroviamo anche delle società di servizi, intermediari ausiliari o facilitatori, che svolgono le attività di supporto necessarie per il funzionamento del sistema, si pensi agli operatori logistici ma anche ai fornitori di tecnologia oppure agli infomediari (è un intermediario dell’informazione che fornisce indicazioni utili al fine dello sviluppo del processo marketing online) sul web. La struttura del canale discende dalla numerosità e dalla tipologia d’intermediari che lo compongono. Le fattispecie tipologiche sono molto articolate, tuttavia è possibile identificare alcune configurazioni – tipo. La prima è quella del canale diretto, che prevede la vendita diretta dal produttore al cliente senza il ricorso a intermediari. Il canale diretto può essere realizzato attraverso punti vendita di proprietà. Si tratta di un canale utilizzato sovente nel B2B, dove la fase distribuzione e le relazioni con i clienti vengono generalmente gestite attraverso una struttura commerciale di venditori. Nel B2C nella maggior parte dei casi il canale diretto si configura con dei negozi monomarca e viene utilizzato quando è richiesto un elevato controllo dell’immagine e del livello di servizio. La seconda configurazione tipo è quella del canale corto, che prevede il ricorso a un intermediario. Nel B2C il canale corto è diffuso soprattutto nei fast moving, conusmer, consumer goods, dove i servizi commerciali possono essere erogati in modo più efficiente ed efficace dai distributori. È in questo ambito che i sistemi distributivi hanno subito negli scorsi decenni profonde trasformazioni, con la crescita della Grande Distribuzione Organizzata e la diffusione delle forme distributive moderne, che hanno sancito il ruolo chiave del dettagliante nel canale. Il canale corto è diffuso anche nel B2B, in questo caso le figure di intermediario più utilizzate sono i distributori industriali e gli agenti. Infine abbiamo i canali lunghi, dove operano due o più intermediari. Nel B2C essi sono fondati sulla figura del grossista, attraverso il quale si può realizzare una distribuzione capillare e raggiungere un numero elevato di punti vendita, anche di piccole dimensioni. Nel B2B il canale lungo raramente viene adottato. 14.2.2 Le strategie distributive dei prodotti La scelta di ricorrere a intermediari può presentare degli aspetti positivi e negativi. Quando nel canale si introducono uno o più intermediari, il produttore perde il controllo di una parte del processo di marketing, che viene acquisito dal distributore, non ha più il contatto diretto con i clienti finali e deve cedere ad altri fattori della filiera una parte del valore aggiunto generato a livello di sistema. La presenza degli intermediari nel canale di marketing può portare significativi vantaggi. Il produttore può concentrare le sue risorse sul suo core business d’impresa industriale, in una logica di costo opportunità infatti può essere prioritario investire in ricerca e sviluppo, innovazione di prodotto e processo, politiche di marca, piuttosto che nell’implementazione gestione diretta del canale distributivo. Un secondo ordine di vantaggio riguarda il livello di servizio. I distributori possono offrire un importante valore aggiunto attraverso la definizione di assortimenti plurimarca, possono garantire una maggiore qualità del servizio e anche promuovere l’innovazione dello stesso. La presenza di un intermediario può incidere positivamente sull’efficienza e sul livello complessivo dei costi di canale. I distributori possono godere di economie di scala gestionali e logistiche di economie di scopo (nella distribuzione intervengono quando si definisce un’offerta assortimentale ampia: i costi aumentano in misura meno che proporzionale rispetto all’aumento della varietà delle categorie trattate) e garantire una razionalizzazione e moltiplicazione dei contatti e delle relazioni commerciali. La distribuzione con intermediari, grossisti e dettaglianti, può essere più efficiente poiché riduce il numero di transazioni e relazioni da gestire, consentendo altresì di raggiungere un numero elevato di clienti. In assenza di intermediari ciascun produttore deve attivare e gestire dei rapporti commerciali con ciascuno dei tre clienti, così che a livello di sistema si generano nuove relazioni, nel canale corto ciascun produttore si rivolge all’intermediario e questi a sua volta ai tre clienti, per un totale di sei relazioni da gestire. Evidentemente il distributor dovrà vedere remunerare la sua attività con il margine commerciale, tuttavia si istituisce come l’intervento dell’intermediario possa portare a un miglioramento sul sistema. Le scelte relative alla struttura del canale discendono anche da altri elementi: - Caratteristiche intrinseche dei beni - Qualità specifiche dell’impresa - Caratteristiche del mercato Per quanto riguarda le caratteristiche dei prodotti si rileva un approccio differente tra i ben banali e i beni problematici. I beni banali (convenience goods) hanno un basso valore unitario, vengono acquistati in modo routinario, seguendo un processo d’acquisto semplificato e caratterizzato dalla concentrazione degli acquisti. Per la loro commercializzazione prevale il canale indiretto in quanto siamo in presenza di un basso valore aggiunto della distribuzione e di significative economie di scopo che impediscono l’integrazione a valle dei produttori. Fanno eccezioni i prodotti deperibili, per i quali è utilizzato il canale diretto, per motivazioni strettamente collegata alla loro conservabilità. I beni problematici (shopping goods) hanno un alto valore unitario, sono contraddistinti da un paniere di attribuiti articolato, richiedono un servizio commerciale più esteso, sono caratterizzati da un processo d’acquisto complesso. La fase distributiva assume una rilevanza fondamentale, per cui l’industria tende ad adottare delle soluzioni d’integrazione del canale distributivo, che le consentano di mantenere un elevato controllo. La commercializzazione dei beni problematici avviene prevalentemente attraverso canali diretti. Anche i servizi devono essere resi accessibili e disponibili al mercato obiettivo. La distribuzione dei servizi avviene normalmente con canali diretti o corti. Osservando i diversi comparti merceologici si può evidenziare che ciascuno si caratterizza per una struttura del sistema distributivo peculiare che prevede una minore maggiore lunghezza del canale, il ricorso a determinare tipologie di intermediari, l’utilizzo di taluni format distributivi, l’erogazione di particolari servizi commerciali. Alcuni aspetti specifici riferiti all’impresa possono influire sulla struttura del canale. Pensiamo all’ampiezza della gamma di prodotti disponibile, che può consentire o meno soluzioni di accorciamento del canale, alla capacità finanziaria, e dunque alle risorse - Copertura numerica: n. punti vendita che tratta il prodotto dell’impresa / tot numero punti vendita potenziali - Copertura ponderata: fatturato (nella categoria) dei p. vendita che trattano il prodotto dell’impresa / tot fatturato (di categoria) di tutti i prod vend potenziali 14.4 I costi di distribuzione 14.4.1 L’analisi dei costi di distribuzione Uno dei fattori rilevanti per la definizione delle strategie distributive è costituito dai costi del canale. I costi di distribuzione costituiscono una componente rilevante del costo complessivo dei beni e quindi del prezzo finale, nella maggior parte dei settori manifatturieri. I costi di distribuzione sono superiori ai costi di produzioni, che possono essere esaminati secondo due prospettive: la prospetta micro, riferita alla singola impresa e quella macro, relativa al canale distributivo nel suo complesso., nell’ottica dell’impresa il costo di distribuzione è dato dall’insieme degli oneri sostenuti per realizzare il collocamento del bene nel proprio mercato di sbocco, attraverso l’erogazione del servizio commerciale. Esso è costituito dalla somma dei corrispettivi economici delle attività di carattere distributivo sia di tipo logistico, sia di tipo commerciale e informativo. Un’adeguata conoscenza dei costi di distribuzione è il punto di partenza imprescindibile per l’adozione di importanti decisioni di marketing. Dalla scelta relativa alla struttura del canale all’organizzazione della struttura commerciale e della forza vendita, fino ad arrivare alla valutazione relativa al mantenimento o all’esclusione di determinati prodotti dal portafoglio o di dati segmenti di domanda dai mercati serviti. Rilevante è la struttura dei costi di distribuzione, nei termini dell’incidenza dei costi fissi rispetto ai costi variabili. Nella prassi aziendale esistono differenti dimensioni di analisi per valutare l’efficienza delle politiche distributive, ciascuna delle quali utilizza una diversa configurazione di costo. Il costo complessivo viene scomposto nelle sue componenti di dettaglio secondo criteri differenti, derivanti dalle finalità conoscitiva. Ci sono tre principali dimensioni di analisi: - Analisi per natura di costo: è focalizzata sull’articolazione dei costi distributivi a seconda della loro natura o tipologia così come configurata dal sistema di contabilità generale. - Analisi per attività: è rivolta a valutare i costi delle diverse attività facenti parte del processo distributivo - Analisi per distinzione: ha come oggetto i prodotti, i clienti, le aree di vendita. Dall’analisi dei costi per la destinazione, considerando fatturati e margini commerciali, con un efficace sistema di contabilità analitica si può giungere a un’analisi di redditività riferita alle tre dimensioni di cui sopra Tutte le analisi sopra dette devono prevedere un confronto con il budget di tipo temporale e spaziale, i dati di costo devono essere valutati in termini assoluti e come incidenza percentuale. Nell’ottica macro il costo di distribuzione può essere correttamente inteso come la somma dei costi commerciali sostenuti da tutti i soggetti attivi nel canale che hanno contribuito a trasferire il prodotto verso il mercato finale: quindi dal momento in cui il bene può esser correttamente inteso dal punto di vista produttivo a quello in cui arriva sul mercato. Dal punto di vista generale è possibile scomporre il costo di distribuzione in due parti: il osto dei fattori e i margini di prodotto. Bisogna considerare tutti gli oneri relativi ai fattori impiegati direttamente nelle attività distributive svolte dagli attori nel canale, dall’altra i margini di profitto spettanti agli stessi, che vanno a remunerare le funzioni da loro svolte. 14.4.2 Il margine del distributore Il margine del distributore è un concetto fondamentale per l’analisi del valore aggiunto del canale distributivo. Le valutazioni intorno al margine del distributore sono rilevanti non solo per l’impresa commerciale stessa, ma anche per l’impresa industriale. Il margine del distributore si calcola come differenza tra il prezzo unitario pagato dall’ultimo acquirente e il prezzo pagato al produttore dal primo acquirente. Nel caso di canale indiretto lungo, dove più intermediari partecipano alla distribuzione del prodotto, il margine di distribuzione complessivo di canale è pari alla sommatoria dei margini di ciascun operatore. Con riferimento a un singolo distributore, il margine unitario lordo è uguale a: Il calcolo del margine commerciale assume una certa complessità. Il margine del distributore iene espresso in termini relativi, come percentuale o del prezzo di vendita o del costo d’acquisto. Quando M viene rapportato a P si ottiene il margine commerciale (MC) che rappresenta la percentuale del prezzo di vendita che va a coprire i costi di gestione del distributore e a formare il profitto. Si ha quindi: Pertanto: Laddove il margine del distributore venga rapportato al costo d’acquisto, si ottiene, il cosiddetto margine di ricarico o mark up (MR) che consiste nella percentuale che aggiunta al costo d’acquisto del bene, ne determina il prezzo finale. E quindi: Il distributore valuta la propria redditività con riferimento al margine commerciale. 15. La funzione del prezzo La determinazione del prezzo di vendita è una scelta la cui rilevanza è enorme. Il prezzo possiede una natura complessa, sia economico finanziaria sia psicologica, e ciò lo rende un elemento cruciale nella formula di valore con cui la product offering si posiziona nel mercato. La connessione fra il posizionamento di brand e di prezzo è strettissima così come quella fra il livello al quale è fissato e la struttura e dinamica dei costi d’impresa. Il posizionamento del prezzo qualifica la mappatura della concorrenza diretta identificando i brand che insistono sulla medesima posizione e si propongono perciò quali alternative effettive di scelta. 15.1 Il prezzo nelle relazioni di mercato Il prezzo misura sostanzialmente il valore di scambiato tra le parti - A livello di scenario esogeno rilevante, il prezzo interessa la componente E della PEST analysis; l’economia. Le imprese sono interessate al livello generale dei prezzi vigenti nel mercato geografico di riferimento e al loro andamento. L’inflazione misura una tendenza generale all’aumento dei prezzi in un dato paese, la deflazione il contrario. Interessa anche la distribuzione del reddito e la misura in cui essa sia più o meno equilibrata: una distribuzione equilibrata aumenta il benessere materiale delle famiglie, al contrario laddove la distribuzione no sia equilibrata r la ricchezza prodotta si concentri nelle mani di pochi soggetti. - Dal punto di vista del venditore, il prezzo rappresenta il parametro di valorizzazione delle quantità scambiate sul mercato e regge perciò la formula di ricavo punto fondamentale degli economics d’impresa. Si sono individuati due distinzioni di prezzo: a) Sell in price: che regola le relazioni di scambio fra produttori e distributori b) Sell out price: che regola le relazioni fra lo shopper, acquirente finale e venditore. - Dal punto d vista del compratore, il prezzo rappresenta una grandezza negativa, che gli sottrae disponibilità economico – finanziarie. La sua valutazione da parte del compratore tiene anche in considerazione il costo – opportunità derivante dal non possibile impiego per altri scopi dei denari che il prezzo rappresenta. Si distingue: a) Sell in price: rappresenta una voce di costo di approvvigionamento da parte del retailer, e il comprator esercita tutto il proprio potere contrattuale per abbattere questo costo a livello più basso possibile b) Sell put price: che rappresenta una misura economica numerica del sacrificio percepito, lo shopper valuta l’adeguatezza del prezzo richiesto e lo affronta come un onere da sostenere per acquisire il possesso e la disponibilità della product offering. - Dal punto di vista dei concorrenti il prezzo cui è posizionata una product offering chiarisce i seguenti punti: il quadro dei concorrenti diretti effettivi in una determinata fascia di valore. Questa informazione aiuta il player a operare un sostenibile posizionamento di valore sul mercato; i margini di manovra tattica che si possono operare sul prezzo delle proprie product offering. Una posizione in fascia value è solitamente molto più sensibile alle promozioni di taglio – prezzo; i margini che possono essere utilizzati nel condurre politiche di concorrenza price based (è la scelta di portare la competizione relativa alla scelta dell’acquirente su prezzi più bassi. Postula la capacitò di gestire un’efficienza superiore). E’ perciò del tutto evidente che la funzione che l prezzo riveste nello scambio è cruciale e ha natura: 1. Economica, il prezzo può manifestarsi sotto forma di costo e di ricavo a seconda del player dello scambio considerato 2. Finanziaria: la manifestazione monetaria effettiva di un costo o di un ricavo 3. Informativa, il punto – prezzo rappresenta una dichiarazione di valore con la quale il venditore accompagna la propria offerta e che il compratore percepisce, e in quanto è utilizzata da tutti i player coinvolti e interessati nello scambio. 15.2 Il prezzo e l’economia La scienza economica fornisce al management i concetti fondamentali sulla struttura delle relazioni di mercato e sul suo funzionamento. 15.2.1 Inflazione e competizione A livello generale al decisore aziendale i prezzi interessano soprattutto in riferimento all’inflazione vigente e prevista. Un contratto di fornitura prevede dei pagamenti dilazionati nel tempo: dato che il venditore non ottiene il pagamento in contanti, ma con una dilazione di oafamento, eglimaturerò un credito verso il compratore locale. I alore nominale del credito tende a diminuire nel tempo se l’inflazione crsce, e quindi il venditore dovrà garatnirsi contro questa eventualità. La dottrina economica sottolinea che i margini di manovra sul prezzo per l’impresa cambiano a seconda dello stato concorrenziale igente sul emrcato. Si è sviluppato un corpus di conoscenza considerevole sin dal principio del secondolo scoso. Non è sfuggita all’attenzione degli studiosila circostanza che in bnumero di soggetti che offrono una medesima categoria di prootto su un determinato mercato geogradico ne ingluenzi considerevolmente il prezzo e il valore complessivo percepito, qualità del prodotto in primis. È evidente che se un’impresa si trovasse a essere la sola a offrire un determinato prodotto condizione detta di konopolo, la sua tensione a migliorare la qualità del prodotto medesimo sarà modesta. La presenza di più player che offrono una determinata categoria di prodotto sul mercato incentiva il miflioramento del valore oferto dalla produt offering al cliente e inibisce condotte di prezzo predatorie. Questa semplice constatazione è parte del pensiero liberista: senza stimoli l’essere umano tende a non migliorare e a trarre i massimo beneficio dallo satus quo. Quando si è n monopolio i gradi di libertò nella fissazione del prezzo sono molto elevati per l’impresa a meno che non interangono regole del decisore pubblico per calmierarli (public utilities – impresa di servizi di pubblica utilità – traporti, ecc. per il particolare impatto dei loro prodotti sul benessere della fmaiglie, esse sono spesso sottoposte a regimi di prezzi controlalti o imposti). Il conumatore solitamente percpisce un alto impatto di queste product offering sulla propria qualità della vita, ma ciò è legao sostanzialmente alal sola funzionalità del podotto. Le cose cambiano di poco nel caso dell’oligopolio indifferenziato, dove lniterdipendenza fra i concorrenti è elevatissima e la percezione del differenziale di valore del prodotto offerto dai player è bassa. Le politiche di pricing tendno ad allineasi al leader che fa il prezzo. L’oligopolo differenziato vede salite il livello di itnensità competitia sul mercato e il ruolo del prezzo può determinare lo spostamento di noteoli quote di domanda fr abrand ocnorrenti. La leva prezzo può essere manovrata con grande intensità e freuqneza questa manova viene accompagnata da selte che mirano ad ccrescere la percezione di differenziazione della product offering. In concorrenza monopolistica vero territorio di elezione del marketing management, dove ess spirigiona tutta la prorpia valenza competiva la differenziazione delle procut offering viene attuata afendo su tutte le componenti del valore. La competizone si spsota dal versante del prezzo a quello della differenziazione percepita, cercando di creare nel consumatore una situazione di monopolio psicologico della product offering. In concorrenza perfetta l’impresa non ha alcun frado di libertà nel fissare il prezzo che sorge dal linberp gioco della domanda e dell’ggerta. 15.2.2 Elasticità della domanda La microeconomia misua se e in che misura una variazione del prezzo di una detemrinata product offering possa incidere sulla quantitò domandata dalal medesima sul mercato. Data una categoria di prodotto, ques’attitudine della quantità dmanda a regire alle variazioni di prezzo si chaiama elasticità della domanda. E ci sono tre configurazioni possibili: - Domanda elastica: la variazione percentuale della domanda in risposta a un incremento del prezzo è forte - Domanda inelastica: la variazione percentuale della domanda in risposta a un incremento del prezzo è debole - Elasticità unitaria: la variazione percentuale della quantità domandata è esattamente pari a quella del prezzo. L’elasticità della domanda tende a essere superiore all’unità nel medio periodo, in quando nell’immediato i consumatori possono non essere nelle condizioni di modificare le proprie scelte in risposta a un aumento del prezzo, cosa che invece accade nel tempo. L’elasticità è anche influenzata dalla facilitò con la quale i consumatori possono effettivamente sostituire le product offering il cui prezzo aumenta con altre marche. Non è detto che l’elasticità della domanda di una determinata product offering possa tradursi automaticamente in un aumento della quantità domanda a seguito di una diminuzione di prezzo: l’elasticità ci dice soltanto che questo risultato è tendenzialmente possibile ma non certo. Problemi di non adeguata copertura distributiva del mercato, di non conoscenza o bassa reputazione della marca possono vanificare l’abbattimento del prezzo e non generare la sperata risposta di vendita. Il concetto di elasticità della domanda è alla base dello strumento di stimolo delle vendite probabilmente più celebre e usato dalle imprese il taglia prezzo (abbassamento del prezzo solo in un determinato periodo). Esistono delle relazioni incrociate di domanda che influiscono sull’elasticità delle singole categorie di prodotto. 15,3 Gli obiettivi di prezzo nel lungo periodo La microeconomia insegna che il prezzo è la risultante del gioco combinato di domanda e offerta sul mercato: l’incontro della domanda e dell’offerta. Quel punto esprime il livello di prezzo al quale il prezzo che soddisfa gli obiettivi economici finanziari del venditore e le necessitò del compratore. È chiaro che l’economica vera raggiunge la situazione teorica in maniera non lineare: il gioco dello scambio varia molto a seconda delle situazioni contingenti nelle quali si realizza, del momento in cui avviene. Ogni impresa ben gestita, nel fissare il price point, si dà degli obiettivi di lungo periodo, che cioè considerano la prospettiva temporale e non il momento contingente. Ciò consente numerosi vantaggi: aiuta a fare i conti e a equilibrare i bilanci aziendali, costituisce un punto fermo nel quale applicare successivamente le necessarie politiche di prezzo di breve termine e per il cliente, consente di governare la natura segnaletica del prezzo espressa dal posizionamento del brand nella fascia di valore di pertinenza. L’impresa deve chiarirsi preliminarmente quali siano gli obiettivi che intende raggiungere con la determinazione del punto – prezzo. È utile ricordare a tal proposito che la funzione economia fondamentale è espressa dalla seguente relazione: mirano ad accrescerne la sensazione di sostenibilità e accessibilità e a ridurre la sensazione sgradevole che il compratore patisce nel doversi privare di denaro. Lo shopper considera perciò l’acquisto alla luce di un quadro più ampio per cui valuta anche elementi quali il costo opportunità che l’accettazione di quel prezzo comporta oltre alla coerenza del price point rispetto all’idea di valore che il brand system veicola. Per il compratore professionale condizione tipica del B2B, le considerazioni sopra richiamate valgono meno in quanto la visione costo del prezzo predomina e quella psicologica è assente. 15.4.3 Pricing e costi Considerare i costi come parametro di riferimenti per la fissazione del prezzo la via più naturale e semplice. È inoltre la via più consueta per manager e imprenditori, in quanto il fabbisogno informativo necessario è prevalentemente di fonte interna. Il procedimento è semplice: si calcolano i costi e si decide se fissare un punto prezzo pari a essi, oppure se aggiungerci un quantum, detto mark up (metodo di fissazione del prezzo che si fonda sulla determinazione di un ricarico) che può assumere la forma di un ammontare stabilito di denaro, o di un ammontare calcolato in percentuale. La decisione se fissare il punto prezzo a una misura pari ai costi è legata alle condizioni competitive e alle esigenze commerciali del momento. Un’altra situazione possibile si ha quando si dispone di un portafoglio prodotti e si ritiene opportuno alleggerire le product offering più deboli o quelle appena lanciate sul mercato così da poter praticare un prezzo di vendita più leggero. Le circostanze possibili sono molte e l’importante è tenere a mente il principio che non sempre la determinazione del punto – prezzo segue rigide regole contabili e la ricerca del massimo fabbisogno possibile. La competizione di mercato è dura instabile e frastagliata spesso condotta a livello microterritoriale o su cluster di clienti che fissare regole universali di pricing è velleitario, meglio stimare alcuni principi. Il punto critico risiede nella determinazione dei costi in quanto: non sempre il sistema contabile interno consente di misurare con esattezza quanti costi un prodotto, esistono numerose configurazioni di costo che si possono prendere in considerazione, la reticolarizzazione ed esternalizzazione delle attività d’impresa rende ancora più complesso determinare i costi complessivi in quanto molte voci escono dalla sfera del controllo contabile interno. Non sempre le imprese hanno una contabilità analitica organizzata in modo da determinare con certezza il costo del prodotto. Il più delle volte ci sono alcune voci che sono oggetto d’imputazione. Ciò che interessa ai manager, non è tanto il costo del singolo prodotto, ma l’intero ammontare dei costi aziendali e le politiche di prezzo puntano perciò a ottenere dei prezzi che siano convenienti rispetto a questo totale. I costi comuni a più prodotti possono essere consistenti e la loro manovra consente di operare politiche molto differenziate. Nome Configurazione Prezzo Costi fissi Costi che non variano al crescere del volume di produzione Prezzo di pareggio Il prezzo di vendita è calcolato in funzione dei costi complessivi e delle quantità che occorre vendere per recuperarli Costi variabili Costi che variano al crescere del volume di produzione Costi diretti Costi direttamente imputabili alla produzione. Non considerano costi generali né comuni a più produzioni Prezzo limite Corrisponde al totale dei costi diretti e non prevede l’aggiunta di alcun ricarico. È il limite inferiore sotto cui non si vende altrimenti si va sotto anche delle spese Costi totali Costi relativi alla produzione, al marketing, alla struttura Prezzo tecnico Prezzo che copre i costi totali. Consente una copertura maggiore del caso precedente dove invece i costi generali sono coperti. Costo pieno Costo totale medio del prodotto Cost – plus pricing Prezzo ottenuto applicando u margine al costo medio del prodotto. Prezzo e qualità “Buon rapporto qualità prezzo “è un’espressione frequente del lessico quotidiano. Essa non significa nulla è solo un modo di dire. Sappiamo che la fascia dei value market rappresenta la sede naturale del good value for monet e che in essa si collocano product offering che puntano proprio su questa promessa di valore. La natura semantica del prezzo è però più ampia e gli studi di marketing hanno rappresentato un certo ventaglio di situazioni nelle quali esso assolve una funzione di segnale di qualità del prodotto. Il prezzo viene interpretato dal compratore come segnale di qualità del prodotto quando: - La qualità del prodotto non è percepibile aprioristicamente - Lo user non ha la dotazione cognitiva sufficiente a decodificare il prodotto - Lo shopper abbia una percezione di rischio elevata nella situazione d’acquisto - Il ventaglio prezzi delle alternative è ampio per cui quanto maggiore è il ventaglio i prezzi presente tanto più il prezzo segnala la qualità dei ari modelli - La differenza fra il prezzo minore e il maggiore a scaffale è elevata - La product offering risponde a esigenze segnaletiche di status sociale quindi poter mostrare che si è speso può essere usato anche come segno del bon vivre di persona che sa scegliere la qualità. I limiti della fissazione del prezzo sui soli costi La fissazione del prezzo del prodotto sulla base del costo medio totale del prodotto medesimo è una prassi frequentissima. Questa pratica presenta dei difetti: - Trascura completamente la domanda - Trascura la concorrenza - Dà per contata la certezza contabile del costo medio - È esporta al problema della rispondenza del consuntivo al preventivo - Non tiene conto dell’elasticità. 15.4.4 Pricing e concorrenza La concorrenza diretta all’interno della medesima categoria si esprima compiutamente a livello di fasce di valore. La fissazione del price pooint consente all’impresa di chiarire quali siano i propri competitori di riferimento, avviando un confronto competitivo: - frontale, con quelle procut offering che abbiano il medesimo price point o un appena prossimo - Ampliato, con quelle product offering che si collochino in un intorno di prezzo contenuto nei termini di pochi punti percentuali. La fissazione del price point otterrà anche l’effetto di isolare la product offering da quelle il cui prezzo sia marcatamente distante. La concorrenza esercita i propri effetti sulle scelte di pricing, sia in ragione della situazione competitiva che la loro numerosità sul mercato determina, sia del valore percepito dal cliente, a seguito di una sua valutazione bilanciata fra i benefici promessi e il sacrifico percepito: ciò s’intende con l’espressione valore percepito dal cliente. L’impresa può cercare di perseguire alcune filosofie strategiche: - La parità competitiva, il prezzo viene fissato al medesimo livello del concorrente di più diretto riferimento, offrendo la medesima formula di beneficio che genera un atteggiamento di sostanziale indifferenza nel cliente fra le due marche - La strategia del valore: il prezzo viene fissato a un livello sostanzialmente omogeneo al concorrente di riferimento offrendo un profilo di benefici più articolato e arricchito. - La strategia di cost innovation: un approccio emergente e caratterizzante in particolare le multinazionali dei paesi emergenti i quali riescono a combinare prezzi aggressivi, fissare a un livello sensibilmente più basso dei concorrenti, e product offering altamente innovative. Il confronto fondato sui prezzi certamente la forma più dinamica e tempestiva di competizione e sovente sfocia anche in manovre di breve respiro dette tattiche, che possono alterare lo stato di equilibrio del mercato e avviare così intensi periodi di lotta concorrenziale. 15.5. La gestione ordinaria del price point Le decisioni sui prezzi sono volte a massimizzare il profitto dell’impresa sebbene questo obiettivo sia difficile determinazione e misurazione. Vi sono circostanze nelle quali il pricing di una determinata product offering può essere gestito in regime di eccezione rispetto a questo principio. Fra le principali fattispecie: - Prezzi civetta: l’abbattimento del price point di product offering note e desiderate in misura considerevole, tale da essere immediate notata dal consumatore. Questa scelta è compiuta da imprese commerciali per definire un posizionamento di convenienza dell’insegna e attrarre nuovi clienti - Promozioni prezzo: abbassamento temporaneo del price point di qualche punto percentuale o ammontare di denaro risponde a necessità di accelerare le vendite - Prezzo di penetrazione: abbassamento del price point nella fase di lancio di una nuova product offering al fine di accrescere la base clienti e favorire la prova del nuovo prodotto. È il contrario del prezzo di scrematura che si propone invece di incontrare solo una piccola e qualificata parte della domanda di categoria. - Guerre di prezzo: tattiche d manovra del price point in risposta a iniziative aggressive dei concorrenti diretti. Solitamente si genera un circuito di attacchi risposte che termina con un accordo fra i contendenti - Discriminazione de prezzi: politiche di manovra del price point che lo differenziano a seconda del target del momento del consumo, o del mercato. - Prezzi imitativi: soprattutto in presenza di rilevanti incertezze nella stima dei costi, si possono adottare scelte da price follower di fissazione del price point a un livello uguale o simile a quello scelto dai concorrenti di riferimento o a qualche punto di distanza da quello del leader di mercato. Questa condotta detta parità competitiva è particolarmente indicata laddove i prodotti siano percepiti come differenziati o siano standardizzati. - Prezzo barriera: un’impresa particolarmente efficiente e quindi in grado di governare verso il basso la funzione di costo può fissare il price point a un livello molto basso. L’utilizzo delle pratiche di pricing sopra richiamate è prassi quotidiana nella realtà degli scambi di mercato. Il fatto gestionale più rilevante ai fini della gestione ordinaria del price point, resta la relazione di canale fra il produttore e il retailer. L’impresa commerciale è un soggetto economico autonomo, dotato di una sua propria funzione economico finanziaria e che si trova per necessità reciproca a interagire con il produttore. Le tensioni sul prezzo di sell in sono sempre considerevoli, data la natura di costo per l’una e di ricavo per l’altra parte, ma anche quelle sul prezzo di sell out non sono da meno. Alcune volte ai produttori non è lasciata libera possibilità di fissare i prezzi in tal caso di ha il prezzo amministrato, definito solitamente da provvedimenti della PA per calmierare l’impatto di alcuni servizi e beni essenziali sull’inflazione e tutelare alcune fasce sociali. La manovra del price point è delicata. Si ricorre perciò allo strumento della promozione o delle condizioni accessorie per raggiungere il risultato senza intaccare strutturalmente il posizionamento di valore costruito col price point. 17. Corporate e marketing communication L’impresa deve ricercare la massima legittimazione nel suo ambiente di riferiment e deve sviluppare la propria attività di business in piena coerenza con i desiderata del mercato cui si rivolge. Le organizzazioni imprenditoriali sono chiamate a gestire una complessa rete di relazioni commerciali e cooperative: con il mercato di riferimento i business partner le componenti interne dell’impresa, gli attori sociali, le istruzioni. L’attività d’impresa le è fondata su un continuo interscambio con tutti gli stakeholder nell’ambito delle relazioni avviate e gestite attraverso una ricca e complessa categoria di attività e strumenti che va sotto il nome di comunicazione. La comunicazione d’impresa e la comunicazione di marketing pertanto assumono una rilevanza strategica nel governo delle organizzazioni, poiché costituiscono la linfa vitale dei processi relazionali tra l’impresa, l’ambiente esogeno rilevante e competitivo e i suoi interlocutori. 17.1 La comunicazione nell’impresa 17.1.1 Il ruolo della comunicazione La comunicazione d’impresa comprende un insieme di attività che nutrono le relazioni biunivoche tra l’impresa e i suoi pubblici interni ed esterni. Si tratta di un processo circolare sovente interattivo e bidirezionale. Essa ha l’obiettivo di attivare i contatti, gestire i rapporti, creare e mantenere la fiducia, stimolare la coevoluzione, l’adattamento, la dialettica la retroazione ovvero tutto ciò che consente all’impresa di vivere e svilupparsi interagendo con il suo ambiente. La comunicazione consente di esercitare strategie di influenza e di condizionamento verso tutti gli stakeholder. Si può affermare che la comunicazione ha la capacità di diffondere e di creare valore, si consideri che l’impresa nel suo complesso e i suoi output produttivi hanno un valore intrinseco, il quale se non adeguatamente percepito dal pubblico di riferimento, resta una mera potenzialità. Il primo compito della comunicazione è quello di diffondere il valore intrinseco oggettivo di un’impresa o di una product offering. Poiché il pubblico dell’impresa non attribuisce valore esclusivamente agli elementi oggettivi e materiali ma anche agli elementi immateriali e simbolici, la comunicazione ha la possibilità di creare valore addizionale, contribuendo alla definizione dell’immagine e dunque alla creazione del brand system. 17.1.2 Le aree della comunicazione d’impresa La comunicazione si rivolge a molteplici destinatari perseguendo una pluralità di obiettivi e assumendo differenti contenuti. In relazione a tali variabili la comunicazione d’impresa viene tipicamente articolata in quattro macroaree: considera con riferimento a una determinata categorie di prodotti) rafforza la qualità della relazione con l’impresa - Da un punto di vista comportamentale gli esiti della comunicazione di marketing si spostano sul piano dell’azione assumono finalità di stampo persuasivo e riguardano anzitutto l’influenza sulla decisione d’acquisto e sul comportamento post acquisto, vengono perseguite risposte comportamentali di tipo intermedio. Gli investimenti in comunicazione possono influenzare altresì la conformazione della curva di domanda determinando due conseguenze. La curva di domanda può subire uno spostamento verso destra (da D1 a D2) con maggiori vendite a parità di prezzo o il mantenimento dei volumi a prezzi superiori, è evidente che questo esito è perseguito nelle cosiddette politiche premium, dove l’investimento sulla brand equity punta proprio all’accrescimento della dotazione di valore semantico. Gli investimenti in comunicazione possono determinare anche un cambiamento dell’elasticità della domanda alle variazioni di prezzo: il maggiore livello di brand image e di brand loyalty ottenuto fa sì che a fronte di un incremento del prezzo la quantità venduta vari in misura inferiore rispetto alla situazione precedente (P2a, Q2a) dall’altra la maggiore attrattività dell’offerta fa sì che a un decremento di prezzo corrisponda una variazione incrementale del volume di domanda più che proporzionale (P2b, Q2b). Taluni effetti della comunicazione di marketing non corrispondono immediati ritorni di natura commerciale. Non è possibile calcolare l’effetto diretto degli investimenti in comunicazione sull’andamento delle vendite e dunque stabilire il giusto investimento da realizzare. La strategia di comunicazione deve necessariamente essere rivolta contestualmente a obiettivi di risultato intermedie di tipo comunicazionale in senso stretto e a obiettivi di risultato finali. Si può rilevare come la comunicazione possa contribuire significativamente alla costruzione di vantaggi competitivi per la product offering operando sugli attributi immateriali dell’offerta, su differenziazione e posizionamento sulla costruzione di una forte band image e di posizioni brand loyalty con conseguente capitalizzazione in termine di brand equity. 17.3.2 Il marketing communication mix I processi comunicazionali dell’impresa vengono declinati attraverso il marketing communication mix che è caratterizzato da due fondamentali elementi costituivi: gli strumenti e i mezzi. Nell’ambito de processo di comunicazione gli strumenti costituiscono le modalità attraverso le quali l’impresa/organizzazione raggiunge il proprio target di comunicazione, veicolandogli un messaggio attraverso un mezzo. Gli strumenti della comunicazione di marketing sono: - Pubblicità - Pubbliche relazioni - Promozioni - Direct marketing - Vendita personale - Altri. VI sono strumenti più idonei a influenzare la sfera cognitiva del consumatore, altri più efficaci nella dimensione affettiva altri ancora maggiormente possono influenzare una risposta comportamentale. I vari strumenti si differenziazione in relazione al grado di controllo detenuto dall’impresa ai costi di accesso alla credibilità per i destinatari, alla dispersione dei contatti. Una campagna di comunicazione efficace prevede necessariamente l’utilizzo congiunto di un mix di strumenti allo scopo di fare leva sulle sinergie ottenibili tra di essi rispetto agli obiettivi perseguiti. Per ciascuno strumento poi dovranno essere definiti i mezzi e i veicoli che consentiranno di raggiungere un target di comunicazione. 17.3.3. Le tendenze evolutive La comunicazione di marketing negli ultimi anni ha subito profonde trasformazioni sospinta dai cambiamenti legati fondamentalmente all’evoluzione della tecnologia e dei consumatori. L’evoluzione della tecnologia, delle ICT e di Internet apre a opportunità iinedite e straordinarie sia riguardo ai mezzi a disposizione sia alla natura del rapporto con i consumatori. Per quanto riguarda i consumatori rileva n particolare il cambiamento che si è verificato nella fruizione dei mezzi, dovuto a un insieme di fattori: dalle dinamiche di tipo sociale e demografico, ai mutamenti nella cultura e negli stili di vita, alla digitalizzazione stessa. Le tendenze evolutive della communicazione di marketing possonoe ssere sintetizzate nei seguenti punti: - Relazione: il communication mix viene sempre più indirizzato alla gestione della relazione con il consumatore, pin un’ottica interattiva, partecipativa, personalizzata, orientata al medio lungo periodo - Narrowcasting: gli investimenti in pubblicità (broadcasting o above the line) mostrano crescenti problemi di efficacia, in funzione del sovraffollamento dei mass media, dell’eccessiva pressione verso il target, della specifica natura di comunicazione standardizzata, one to may. Si osserva lo spostamento degli investimenti verso strumenti e mezzi maggiormente capaci di raggiungere target specifici come il direct marketing e il web, fino al one to one marketing - Engagement: i consumatori sono raggiunti da una straordinaria quantità di input comunicazionali cosicchè sono indotti a elevare dei filtri cognitivi che rendono i suddetti input inefficaci. La comunicazione di marketing deve basarsi su strumenti mezzi, messaggi capaci di coinvolgere l’audience mediante un mix di contenuti e stimoli soprattutto di carattere emozionale. - Esperienzialità: il paradigma del marketing esperienziale fonda l’approccio al mercato dell’impresa sulla centralità e multidimensionalità dell’esperienza di consumo, focalizzandosi sugli aspetti situazionale. Tale approccio fa leva in particolare su nuove forme di comunicazione di marketing. Attribuendo particolare rilevanza ai driver emozionali del consumo, definisce ill sistema d’offerta a parte dall’esperienza la quale viene costruita su diverse dimensioni: sens, feel, think, act relate. - Social media e User Generated Content: il fenomeno dei social media ha assunto dimensioni straordinarie, con tassi di crescita annui eccezionali. In ambito social i contenuti della comunicazione vengono sviluppati direttamente dagli utenti e sfuggono al controllo delle imprese, pur riguardando molto spesso brand e prodotti. Le imprese si occupano di ascoltare, analizzare, partecipare, cercare di amministrare i flussi comunicazionali e di condivisione che si svolgono tra i consumatori. - Contesualizzazione: le ICT e la diffusione dei device mobili consentono di attivare flussi di comunicazionali personalizzati in funzione di una contestualizzazione spazio temporale. Ciò apre la possibilità di attivare iniziative di proximity marketing (proposta commerciale o comunicazionale personalizzata in relazione alla geolocalizzazione del destinatario) e di customizzazione spinta con tassi di redemption (tasso di risposta ottenuto a fronte di uno stimolo comunicazionale avente un obiettivo di risposta comportamentale) inusitati. - Moltiplicatore e frammentazione del touch point: la varietà dei mezzi a disposizione delle imprese per comunicare è enormemente cresciuta. L’impresa entra in contatto con i destinatari mediante una molteplicità di touch point dove si sostanzia lo scambio informativo con i consumatori. Essa deve gestire la cross medialità dei suoi processi comunicazionali ovvero la complementarità integrazione sinergica e osmosi degli stessi perseguendo un adeguato grado di copertura e d’integrazione. 17.3.4 La media revolution Nell’ultimo decennio si è realizzata una vera e propria media revolution, caratterizzata dalla moltiplicazione e frammentazione dei mezzi, dell’accrescersi del loro potenziale interattivo, dalla loro complementarità e ibridazione, dalle nuove modalità di media consumption (modalità quali quantitativa di fruizione dei mezzi di comunicazione da parte degli utenti). I media tradizionali giocano ancora un ruolo importante nelle strategie di comunicazione delle imprese. Oggi le imprese possono utilizzare un ampio ventaglio di nuovi mezzi dalle caratteristiche molto attraenti, sia per le impese sia per gli utenti. Questi ultimi manifestano comportamenti sempre più orientati all’uso contemporaneo di più mezzi. L’attenzione delle imprese e gli investimenti in comunicazione si stanno sempre più spostando sui nuovi media. È necessario guardare ai mezzi secondo nuove chiavi di lettura. Per questa via si perviene alla distinzione tra paid media, owned media, earned media, sold media: - I paid media comprendono le forme della pubblicità classica above the line, le forme della pubblicità online, il product placement. - Gli owned media sono mezzi proprietari dell’impresa da essa detenuti e gestiti con piena autonomia per i quali non è richiesto un esborso a terzi per l’acquisto di spazi ma solo il sostenimento delle spese di produzione. Costi e livello di controllo in primis gli owned media costituiscono sempre più un punto di attenzione prioritario per le imprese. - Gli earned media sono quegli ambienti di comnuicazione many to many all’interno dei quali l’impresa o la marca viene citata e commentata dagli utente. L’impresa ha un potere d’influenza su tali conversazioni assai modesto se non nullo, ma deve monitorare attentamente ciò che accade in tali ambienti, ciò i consumatori e gli opinion leader dicono su di essa e sui suoi prodotti. Quando la comunicazione generata dagli utenti contribuisce favorevolmente alla notorietà e all’immagine del brand, o media in oggetto diventano earned, ovvero si accostano ai canali utilizzati dall’impesa nella comunicazione pianificata. - I sold media sono aprte degli owned media che un’impresa può vendere a terze parti. Un mezzo proprietario può risultare d’interesse per un’impresa inserzionista. La media revolution induce importanti cambiamenti nella pianificazione e nella gestione della comunicazione e richiede nuove competenze. I nuovi media devono essere gestiti in modo integrato, assegnano a ciascuno un ruolo be preciso. I mezzi piad possono essere utilizzati per due macrofinalità: - Per sostenere e ampliare i mezzi owned i quali possono gestire la relazione con il cliente e costruire un’engaging experience in modo molto più efficace ed efficiente - Per gli scopi più tradizionali. Gli investimenti in comunicazione devono essere allocati opportunamente i mezzi owned richiedono risorse, konw how, impegno, soprattutto per realizzare programmi di generazione di traffico e ricchezza contenuti. La strategia digital assume un ruolo chiave, sia per perseguire l’obiettivo di orientare un User Generated Media verso un earned media sia per affrontare eventuali attacchi al brand. 18. Comunicazione di marketing: gli strumenti Le strategie di comunicazione delle imprese si fanno più complesse. Oggi i punti di contatto con i consumatori si sono moltiplicati e frammentati e il comportamento delle persone in termini di fruizione dei mezzi è sempre più articolato e personalizzato. Le imprese hanno a disposizione una vasta gamma di strumenti, mezzi, veicoli per gestire la loro relazione con i consumatori e deono declinare le loro strategie comunicazionali qualificando di volta in volta il communication mix più idoneo sia in termini di efficienza sia di efficacia. Ogni strumento è caratterizzato da propri aspetti distintivi. Pertanto per configurare il giusto communication mix è necessario approfondire la conoscenza dei principali strumenti. 18.1 La pubblicità 18.1.1 Generalità La pubblicità è una forma di comunicazione non personale nella quale un inserzionista ben identificato acquista uno spazio per trasmettere un messaggio a un pubblico definito attraverso uno o più media. Nella forma tradizionale si tratta di una modalità di comunicazione unidirezionale, top down che consente all’impresa di raggiungere un’ampia audience (l’audience relativo a un veicolo pubblicitario è data dall’insieme degli individui esposti ai messaggi dello stesso in un determinato periodo di tempo) con un messaggio predefinito e standardizzato in tempi rapii e con un costo per contatto contenuto. Può essere utilizzata dall’impresa per una molteplicità di finalità, di carattere cognitivo, affettivo e comportamentale. La pubblicità è lo strumento più importante del marketing communication mic quello che tutt’oggi assorbe la maggir aprte degli investimenti in comunicazione delle imprese. Si osserva un trend decrescente dovuto alla sempre minore efficacia dello strumento attribuibile da una parte al sovraffollamento pubblicitario dei mass media e dall’altra alla natura intrinseca della pubblicità classica, che non consente di attivare quegli elementi d’interazione e personalizzazione sempre più richiesti dal pubblico e offerti invece da altri strumenti di comunicazione. Essendo una forma di comunicazione controllata dal venditore, per di più in forma standardizzata e non interattiva, la pubblicità non gode della piena credibilità agli occhi del pubblico destinatario. Ciò nonostante svolge un’importante funzione informativa, riferita alle caratteristiche dell’offerta rivendicate dall’impresa e al relativo postioning, riducendo l’onere di tempo richiesto al consumatore per la raccolta delle informazioni. Si distinguono tre tipi di pubblicità: - Pubblicità informativa: la comunicazione pubblicitaria informativa ha come precipuo scopo quello di generare interesse, rilevanza, desiderio, notorietà di orientare le preferenze in modo da stimolare l’acquisto. Numerose campagne vengono sviluppate con l’obiettivo prevalente di creare conoscenza, interesse, preferenza e intention to buy. I contenuti si concentrano sui benefici distintivi del bene/servizio sull’eccellenza delle sue specifiche funzionalità e caratteristiche distintive del prodotto. - Pubblicità d’immagine: a differenza della pubblicità informativa la pubblicità d’immagine è concentrata sulla marca sia a livello corporate sia di prodotto. Essa trova la sua ragion d’essere nell’obiettivo strategico di comunicare un dato brand positioning e di affermare una coerente e forte immagine di marca. I contenuti di questa forma pubblicitaria saranno riconducibili ai valori chiave e simbolici del band. - Pubblicità promozionale: quest’ultima macrocategoria ha una natura tattica e un respiro di breve periodo. L’obiettivo in questo caso non è la costruzione dell’immagine di marca nel tempo in linea con il posizionamento prescelto né è lo sviluppo della conoscenza della value proposition, ma è lo stimolo di una risposta comportamentale da parte del destinatario. I contenuti di questa forma pubblicitaria vengono ideati, realizzati e veicolati in modo da presentare una valenza fortemente persuasiva, capace di sollecitare, in un arco temporale ridotto, la cosiddetta Call to action (sollecitazione che interviene sul piano coativo ad attuare una determinata azione) La pubblicità comparativa La pubblicità comparativa è quella modalità di comunicazione pubblicitaria con la quale un’impresa promuove i propri beni servizi mettendoli a confronto con quelli dei concorrenti. Tali concorrenti possono essere citati in modo esplicito o implicito. In Italia la pubblicità comparativa è ritenuta lecita solo se non è ingannevole. Si tratta di una forma di pubblicità che presenta un elevato potenziale competitivo. Nella prassi viene utilizzata raramente e con molta accortezza in quanto può implicare ripercussioni negative sia di ordine strategico sia di ordine giuridico. Nei paesi anglosassoni e negli USA in particolare essa ha una discreta diffusione. 18.1.2 La definizione di una campagna pubblicitaria La strategia di comunicazione delle imprese viene sempre più messa in atto attraverso delle campagne di comunicazione integrata, che prevedono l’impiego coordinato di molteplici strumenti e mezzi di comunicazione. Tra di essi generalmente la pubblicità assume un ruolo primario al punto di condizionare la declinazione degli altri strumenti. La campagna pubblicitaria si colloca evidentemente all’interno di un piano di marketing e di un piano di comunicazione più generale. La sua definizione è un processo complesso, che si sviluppa in diverse fasi e che prevede il coinvolgimento di una molteplicità di attori: l’impresa inserzionista, l’agenzia pubblicitaria, gli specialisti della produzione, il centro media, le concessionarie dei mezzi che vengono spazi messi a disposizione dagli editori. L’impresa inserzionista deve definire gli obiettivi di marketing e di comunicazione della campagna e qualificare di conseguenza il target di comunicazione ai quali rivolgere il messaggio La misurazione dei risultati di una campagna promozionale è un’attività complessa poiché numerose sono le variabili che possono influenzare tale valutazione, rendendola potenzialmente fallace. È possibile individuare i concetti fondamentali intorno ai quali devono essere elaborate le opportune valutazioni. Nel periodo antecedente alla promozione, il trend normale delle vendite è definito. In prossimità dell’avvicinarsi del periodo promozionale laddove sia noto al mercato l’iniziativa dello stesso è lecito attendersi una riduzione delle vendite. Nel periodo promozionale si verificherò con ogni probabilità un incremento del volume delle vendite. Esso va interpretato: il quantitativo corrispondente alla tendenza normale delle vendite sarebbe comunque venduta, a prezzo pieno e non a prezzo promozionale, inoltre un certo quantitativo di vendite potrebbe scaturire una cannibalizzazione (vendita di un prodotto da parte di un’impresa a discapito di un altro suo prodotto) di un prodotto della stessa impresa, che nel periodo viene venduto a prezzo pieno, l’effetto ricercato è quello di indurre alla prova del prodotto nuovi consumatori (prova) o sottrarre consumatori alle marche concorrenti. Al termine del periodo promozionale si attende una temporanea flessione delle vendite, dovuta al sovrastoccaggio realizzato dai consumatori nel periodo promozionale. Se la promozione ha consentito di raggiungere e mantenere dei consumatori nuovi per la marca dopo la promozione, il volume di vendita normale si stabilizza su livelli superiori (effetto rimanenza). Il cause related marketing Il cause related marketing comprende le attività di marketing collegate a una causa sociale e realizzate in collaborazione tra un’impresa profit e un’organizzazione non profit. Tale collaborazione può prevedere diverse forme: l’impresa trasferisce alla non profit una quota dei vantaggi economici derivanti dal progetto congiunto; l’impresa veicola il messaggio della non profit attraverso i suoi prodotti o le sue attività, l’impresa riconosce delle royalties in relazione all’utilizzo del marchio della non profit, l’impresa collabora nella raccolta di fondi per la causa della nonprofit. I loyalty program e i coalition program Le programmazioni di valore nascono nel 1850 negli USA a opera di Babbel, un produttore di sapone da bucato. Babbel pensò di utilizzare la carta di confezionamento come prova d’acquisto da raccogliere e conservare per ottenere un premio cui si aveva diritto al raggiungimento di 25 acquisti. Oggi definiamo programmi fedeltà quelle iniziative promozionali definite su un ampio arco temporale e ricolte a un gruppo di clienti ai quali, a fronte di un determinato comportamento d’acquisto, si offrono una serie di benefici con l’intento di incrementare la fedeltà e di sviluppare con loro un legame emozionale. In Italia lo sviluppo dei loyalty program ha avuto una straordinaria accelerazione negli anni Novanta con la diffusione delle carte fedeltà. Consentono una diffusione una gestione automatizzata delle promozioni di continuità rendendole efficienti attraenti e user friendly. Le nuove tecnologie offrono diverse soluzioni per il Customer Relationship Managemetn e per la comunicazione con il cliente ampliando ulteriormente le potenzialità dei loyalty program. Un fenomeno che si sta diffondendo sempre più è quello dei coalition program, cioè programmi sviluppati in partnership da più soggetti. I coalition program offrono ai consumatori l’opportunità di realizzare la raccolta punti acquistando i prodotti di diverse imprese appartenenti a settori differenti, propongono loro ampie alternative di ricompensa nell’ambito delle attività dei vari partner, hanno dei costi di gestione inferiori per le imprese partner, in quanto essi vengono ripartiti tra più soggetti. 18.3 Pubbliche relazioni Le pubbliche relazioni (PR) riguardano la gestione delle relazioni tra l’impresa e i suoi stakeholder allo scopo di sviluppare la sua credibilità nell’ambiente di riferimento (corporate public relations). Le pubbliche relazioni veicolano agli skaeholder i valori, le strategie, le qualità dell’impresa, le ricadute positive della sua attività in modo da consolidare la goodwill. Le corporate relations sono lo strumento principe della corporate communication. Accano a questo ruolo primario svolgono anche una funzione di supporto al marketing. In questa seconda funzione le marketing public relations costituiscono uno strumento importante della integrated marketing communication. Le pubbliche relazioni possono essere utilizzate per dialogare con diversi pubblici dai collaboratori dell’impresa (internal relations) agli investitori (investitor relations) alle istituzioni (corporate affairs o lobbyng) ai consumatori (consumer relations) alla società nel suo complesso. E consegue che debbano essere definiti diversi programmi Le PR vengono definite come strumento composito del communication mix, specifici, che trovano applicazione con una molteplicità di mezzi: - I rapporti con la stampa: si tratta di fornire ai media le informazioni relative all’attività dell’impresa in modo efficace inducendo l’organo di stampa a farle proprie e a presentarle al pubblico - Le sponsorship: consistono nel sostegno spesso finanziario, fornito a una persona, un gruppo, un’organizzazione, una specifica manifestazione, ottenendo in cambio l’esplicita evidenziazione della sponsorship al pubblico. Le più diffuse sono quelle sportive a cui seguono quelle culturali e sociali. - Gli eventi: consistono nella realizzazione di manifestazioni di carattere tematico, rivolte a uno specifico pubblico e finalizzate a un determinato obiettivo. Si distinguono i product events, i corporate events, i community events. - I PR media digitali: la rete presenta nuove opportunità di comunicazione alle imprese, così come nuove sfida da fronteggiare. Le PR online si possono avvalere oggi di strumenti aziendali come il sito, le pagine nei social network, i blog gestiti direttamente. Esse devono preoccuparsi di monitorare e moderare la comunicazione orizzontale tra i consumatori. Le pubbliche relazioni non prevedono l’acquisto di spazi di comunicazione presso concessionarie per cui richiedono investimenti più contenuti. Esse sono anche dotate di un notevole potenziale di coinvolgimento del pubblico e di una più elevata credibilità. 18.4 Direct marketing Il Direct Marketing (DM) è uno strumento di comunicazione volte a interagire con il target definito in modo diretto, interattivo e personalizzato, ottenendo risposte misurabili. Gli obiettivi perseguiti sono prevalentemente di tipo comportamentale e comprendono: la generazione di un ordine, l’ottenimento di informazioni e/o la registrazione a un data base/sito/servizio, la visita a un punto vendita o ad altro luogo commerciale. Il direct marketing consente di impostare delle campagne di tipo narrow casting fino ad arrivare al one to marketing(marketing specifico per ogni destinatario), senza il ricordo a figure di intermediario. Il database commerciale (DB) è il cuore di questa strategia, al punto che taluni usano il termine database marketing in alternativa a direct marketing. Le informazioni contenuto nel DB potranno essere utilizzate per realizzare una costumer profiling (profilazione della cliente secondo variabili di tipo socio demografico a quelle comportamentali) molto avanzato e pianificare in modo personalizzato le campagne di DM. Il DM si prospetta come un eccellente approccio per attuare le seguenti strategie. - Acquisition (acquisizione di nuovi clienti): a tale scopo è necessario costruire un database di prospect e comunicare con essi in modo personalizzato con l’obiettivo di indurli alla prova del prodotto - Up selling (vendita di prodotti/servizi di maggiore valore): si rivolge in particolare a clienti che stanno entrando nella fase di sviluppo del ciclo di vita della relazione con l’impresa ai quali vengono proposti prodotti e servizi nella stessa categoria aventi valore e marginalità superiori. - Cross selling (vendita di prodotti /servizi complementari); si rivolge in particolare a clienti che hanno una relazione matura e consolidata con l’impresa ai quali vengono offerti ulteriori prodotti/servizi, in categorie di prodotto nuove e/o complementari a quelle tradizionali, incrementando il fatturato e marginalità. - Retention (mantenimento del cliente): monitorando l comportamento del cliente, si possono cogliere dei segnali utili per ridefinire l’offerta o proporre degli incentivi per rafforzare la relazione. L’utilizzo di un approccio diretto e la possibilità di attivare facilmente un contratto generano elevati rischi di intrusività nella privacy del destinatario con la conseguenza di poter determinare un effetto negativo nella percezione dello stesso. Pertanto sovente si procede alla richiesta preventiva al destinatario del permesso di attivare una relazione seguendo i principi del permission marketing. Si evita l’effetto negativo che potrebbe generare la ricezione di un messaggio non desiderato e si incrementa fortemente il potenziale di redemption dei messaggi veicolati. Si può cercare di comunicare con il consumatore in contrasti che lasciano intendere un potenziale interesse specifico verso ciò che l’impresa propone. Anche il DM trova applicazione attraverso numerosi mezzi: - Direct mail: invio postale di corrispondenza commerciale, è il mezzo più utilizzato attualmente e per questo sconta una potenziale limitata efficacia dovuta proprio al sovraffollamento. Grazie ad avanzate tecnologie di stampa, attraverso l’integrazione con il database il direct mail può rivolgersi in modo personalizzato ai vari cluster di clienti. - Email marketing: invio di email, è uno dei mezzi più convenienti e personalizzabile, potendo convogliare in modo assai efficace i destinatari su siti e piattaforme commerciali. Va utilizzato con molta attenzione in quanto è particolarmente esposto al rischio di spamming (invio di email a destinatari non in target, che conseguentemente non gradiscono l’intrusione commerciale) - Telemarketing: contatto attraverso il mezzo telefonico, consente un approccio personalizzato real time e soprattutto interattivo particolarmente utile per instaurare un primo rapporto con il cliente, ma anche per gestire a relazione e dare un buon livello di customer service. - TV digitale: utilizzo delle piattaforme televisive interattive si tratta di una modalità che presenta un enorme potenziali ma ancora marginale. Ha il vantaggio di poter veicolare messaggi fortemente contestualizzati. - Mobile marketing: concerne tutte le attività di marketing, comunicazione, vendita, realizzate attraverso un canale mobile. La connessione mobile è ovunque 24 ore su 24, aprendo alle imprese straordinarie opportunità di contatto e di relazione. Le campagna di DM mobile possono godere di opportunità di personalizzazione contestuale di grande efficacia, nell’ambito del proximity marketing. - World wide web: il servizio di Internet che permette di navigare e di usufruire di un insieme vastissimo di contenuti, la rete è l’ambiente dove l’approccio di DM trova la sua più naturale espressione. Attraverso appositi software è possibile analizzare il comportamento del consumatore in ree nelle sue interazioni con l’impresa, combinare queste informazioni con quelle di carattere anagrafico e con quelle presenti nel database commerciale e definire delle campagne digital di straordinaria efficacia. Permission Marketing Il concetto è stato sviluppato da Seth Godin nel 1999, nel suo libro Permission marketing. Una permission relationship viene avviata nel momento in cui un consumatore esprime un esplicito consenso a ricevere messaggi commerciali da parte dell’impresa. la relazione di marketing sprigiona molteplici vantaggi. Per i consumatori: - riduzione dei costi di ricerca delle informazioni - migliore organizzazione delle attività di ricerca delle informazioni - maggiore rilevanza delle informazioni ricevute Per l’impresa: - più efficace targeting e personalizzazione - acquisizione di nuovi clienti - consolidamento della relazione con i clienti attuali - maggiore efficienza ed efficacia nella gestione della relazione con i clienti attuali e potenziali Email marketing L’email marketing è uno strumento di direct marketing che prevede l’utilizzo esclusivo del mezzo posta elettronica. Esso unisce alle potenzialità delle comunicazioni one to on i vantaggi della digitalizzazione. Il successo di una campagna di email marketing è legato a tre aspetti: - la corretta costruzione e gestione del database clienti a cui destinare l’invio - la scelta del subject utilizzato nella mail che deve attirare l’attenzione e la curiosità dell’utente utilizzando solo poche parole. - La scelta e la formulazione de contenuti. L’attenzione a questi tre aspetti riduce enormemente il rischio di inviare comunicazione non richieste o percepito come intrusive e non gradite ai clienti. Per le sue caratteristiche l’email marketing rappresenta uno strumento di grande interesse per gli inserzionisti che devono raggiungere dei target specifici e che puntano a stimolare un’azione da parte dell’utente come la sottoscrizione l’acquisto la partecipazione a una promozione o a una ricerca di mercato, soprattutto in ambito digitale. Proximity marketing Una particolare applicazione del mobile marketing è quella del proximity marketing che attiva una comunicazione contestuale e geolocalizzata, con informazioni o contenuti multimediali dove si trova il destinatario. Il potenziale della rete abbinato alla contestualizzazione geografica o si uso si esprime alla massima potenza garantendo livelli di redemption eccezionali. 18.5 Marketing non convenzionale La sfida fondamentale per l’impresa che comunica è riuscire a superare la soglia percettiva dei destinatari, catturarne l’attenzione, stimolarne l’interesse, coinvolgerli emotivamente. Gli strumenti tradizionali manifestano limiti in tal senso per diverse ragioni, sicchè le imprese anno sempre più ricorso alle opzioni del marketing convenzionale un insieme di approcci, soluzioni, strumenti di comunicazione innovativi, che hanno la capacità di sorprendere e/o coinvolgere i consumatori, entrando nella loro sfera emotiva. Il marketing non convenzionale può operare in rete, con il supporto delle nuove tecnologie o in entrambi. - Il viral marketing è una forma di marketing non convenzionale che reinterpreta in forma moderna una delle più antiche forme di comunicazione: il passaparola. Si tratta di una forma di comunicazione realizzata sul web, che fa leva sulla partecipazione attiva dei destinatari alla successiva diffusione del messaggio, generando le condizioni per una cresciuta esponenziale della sua notorietà e influenza. Quando il messaggio è efficace, la diffusione dello stesso avviene da parte dell’emittente grazie alle interazioni che intervengono tra gli utenti stessi. - Il guerilla marketing (o guerilla communication) è una strategia di comunicazione non convenzionale che grazie ad un’idea creativa, originale e sorprendente ha l’obiettivo di superare le barriere percettive dei destinatari e di ottenere un’elevata visibilità con mezzi contenuti. Date le peculiarità dell’idea esso si configura come un approccio di comunicazione a elevato contenuto d’intrattenimento. Il buon rapporto tra investimenti e risultati della comunicazione è dovuto al fatto che il guerilla marketing non prevedere l’acquisto di mezzi di comunicazione ma fa leva sul passaparola e sul media hunting, ovvero sul coinvolgimento dei media per ottenere l’amplificazione del messaggio. - C’è la crescita di strategie di marketing tribale. Si tratta di una serie di azioni realizzate dall’impresa per supportarne la costituzione e lo sviluppo di gruppi di persone (tribù) non necessariamente omogenee per caratteristiche sociodemografiche ma accomunate tra di loro dalla condivisione di una forte passione per un prodotto, una marca un’attività specifica. L’impresa può operare al fine di rafforzare i legami al suo interno estenderne le dimensioni e cercare di estrarre valore dalla tribù stessa. - Il marketing esperienziale basandosi sulle più recenti indicazioni provenienti dagli studi sul comportamento dei consumatori, fonda l’approccio al mercato dell’impresa sulla centralità e multidimensionalità dell’esperienza di consumo focalizzandosi sugli aspetti situazionali. Tale approccio definisce il sistema d’offerta a partire dall’esperienza la quale vien costruita su diverse dimensioni: sense (percezione sensoriale), feel (emozioni), think (processi cognitivi di riferimento), act (comportamenti e stili di vita), relate (interazione). Nel retailing il marketing esprienziale trova applicazione in particolare attraverso i format del flagship store e del concept store. 18.6 Comunicazione digitale Le imprese devono ormai gestire la comunicazione di marketing integrando i mezzi tipici del communication mix offline con i cosiddetti media digitali. Con tale espressione intendiamo tutti i mezzi, infrastrutture, hardware/device, e applicazioni software, che basano il loro funzionamento sull’utilizzo dei bit della codificazione dei contenuti e per i quali è sempre più importante la connessione in rete nella fase di diffusione/condivisione dei contenuti stessi. Dal punto di vista del fruitore finale, i media digitali sono soprattutto i device. Sono questi supporti multimediali a determinare nei fatti la user experience. Occorre ricordaare che questi device sono componenti di sistema mediali digitali più ampi, come Internet il web o il mobile. Dal punto di vista del management sono media digitali anche gli strumenti di comunicazione di marketing digitale, quali i blog, i social network o le app. La locuzione media digitale presenta diversi livelli di significato e non può essere riferita in via esclusiva ai meri strumenti di delivery dei messaggi, ma più correttamente a nuovi sistemi culturali emergenti - I sistemi verticali di marketing sono composti da soggetti che opeano in modo coordinato allo scopo di ottimizzare la loro efficacia sul mercato e di realizzare eocnomie nella gestione e nell’acquisizione delle risorse. Le relazioni son fondate su un rapporto di collaborazione e cooperazione, i membri del canale si costituiscono a sistema, con l’obiettivo di gestire in modo sinergico il processo di generazione di valore per il cliente finale. Il sistema sovente viene attivato su stimolo di un soggetto promotore che assume la funzione di coordinamento e di indirizzo in alcuni casi si tratta di una collaborazione a senso unico. - I canali contesi son quelli dove i soggetti che interagiscono nel canale di marketing esprimono un contrasto sulle reciproche aree d’influenza e sull’appropriazione di quote di valore aggiunto. Si mette ni discussione il principio della specializzazione e dell’integrazione funzionale in quanto il produttore e il distributore ambiscono entrambi a governare un più vasto ambito del processo acquisendo in particolare il controllo delle attività di marketing. Le relazioni verticali assumono una connotazione conflittuale. Il rapporto tra produttore e distributore può assumere caratteri diversi a seconda che prevalgano condizioni di natura negoziale, collaborativa o conflittuale, il verificarsi dell’una o dell’altra tipologia di relazioni dipende dalla modalità con la quale si ripartiscono tra le imprese di produzione e le imprese commerciali due fattori fondamentali: la creazione di valore aggiunto (è il corrispettivo economico che l’acquirente finale è disposto a pagare per i servizi commerciali ricevuti dal distributore, esso è dato dalla differenza tra il costo d’acquisto del prodotto commercializzato sostenuto dal distributore e il prezzo di vendita pagato dall’acquirente finale) e il potere di mercato. Il contributo recato dalla funzione distributiva alla creazione del valore aggiunto all’interno del canale influisce in modo determinante sulla possibilità di sviluppare relazioni di natura collaborativa e strategica: quando il ruolo del distributore nella generazione del valore aggiunto è significativo i produttore sono assai motivati a instaurare delle relazioni stabili e collaborative con i distributori. Una situazione di questo tipo si verifica in presenza di tre condizioni: 1) l’assenza di economie di aggregazione o di scopo, 2) l’erogazione nella fase distributiva di servizi accessoriai prodotti/servizi commercializzati 3) la personalizzazione del prodotto/servizio. Condizioni che si trovano in particolare nei settori dei prodotti problematici. Di fronte a uno squilibrio del potere di mercato il rapporto sovente assume le vesti di una collaborazione a senso unico, ovvero di una collaborazione imposta dal partner più forte che stabilisce le regole di funzionamento del canale, le condizioni contrattuali ecc., quando invece industria e distribuzione detengono un potere paritario, il sistema sviluppa situazioni di conflitto derivanti dalla volontà dei due soggetti di imporre alla controparte le proprie politiche e le proprie condizioni. Il contenuto delle relazioni non assume necessariamente caratteri competitivi, infatti l’acquisizione di una visione sistemica del canale mette in evidenza ragioni di collaborazione molto forti che fanno emergere relazioni collaborative a prevalente contenuto strategico orientate al lungo periodo. 19.2.2 L’evoluzione dei rapporti verticali Vediamo come al mutare delle condizioni ambientali, economiche e competitive, la dinamica evolutiva dei rapporti di canale si sia sviluppata nel tempo secondo una sequenza di fasi. In Italia collocabile fino ai primi anni Cinquanta la leadership era detenuta dal grossista che garantiva il coordinamento di tutte le attività realizzate all’interno del capitale. I rapporti tra industria e distribuzione erano regolati secondo un criterio di divisione del lavoro, che assegnava agli intermediari commerciali il compito di adattamento e di trasferimento dei prodotti dalla produzione al consumo e ai produttori le funzioni di trasformazione manifatturiera in senso stretto. Negli anni seguenti crescono i consumi e si sviluppa la produzione di massa sfruttando le economie di scala derivanti dalla standardizzazione e dalla crescente dimensione delle imprese. I produttori acquisiscono il governo dell’intero processo commerciale. Con il mutamento strutturale del sistema dovuto alla rivoluzione commerciale a partire dagli anni Ottanta si entra progressivamente in una nuova fase: il potere di mercato acquisito dai distributori accostato alla loro crescita culturale, organizzativa, manageriale, determina un mutamento di specie dei rapporti di canale, i quali si spostano su un terreno caratterizzato da contenuti sostanzialmente competitivi e conflittuali. Si sviluppa una relazione tra concentrazione, efficienza e potere della distribuzione: l’aumento della concentrazione della distribuzione l’incremento del suo potere di mercato, la modernizzazione delle unità operative e dunque la maggiore efficienza nello svolgimento delle funzioni commerciali si alimentano vicendevolmente in un circolo virtuoso che attribuisce al trade un ruolo più determinante all’interno del canale. La distribuzione è soggetta a una forte concorrenza orizzontale, ed esprime proprie strategie e politiche di marketing incentrate sulla differenziazione dell’insegna, con l’obiettivo di conquistare le preferenze die consumatori a discapito dei concorrenti. Il trade cessa di essere una funzione controllata dall’industria. I produttori non vendono alla distribuzione. Emerge la necessità per le imprese industriali di affrontare la concorrenza su due livelli successivi e interdipendenti: sul mercato intermedio della distribuzione e sul mercato finale del consumo. Il produttore non può più raggiungere il consumatore in maniera autonoma e indipendente poiché alla sua politica di consumer marketing si sovrappone la politica di retailing del distributore che si sviluppa con obiettivi spesso contrastanti rispetto a quelli dell’industria, e che gode di un vantaggio decisivo, ovvero del contatto diretto con il consumatore. L’offerta dell’impresa di distribuzione è basata sull’insegna e sul servizio commerciale, il quale è composto da una serie di servizi associati alla proposta di un assortimento di prodotti, mentre l’offerta dell’impresa industriale è basata sulla marca e sul prodotto. Questa differenza è alla base della conflittualità delle politiche di marketing dei due soggetti: l’obiettivo principale del distributore è quello di vendere al consumatore il proprio servizio commerciale e il proprio assortimento e di ottenere che la scelta del punto vendita, ovvero dell’insegna commerciale diventi prioritaria rispetto alla scelta del prodotto industriale. Le prerogative naturali del settore grocery unita all’autonomia della distribuzione, enfatizzano le componenti competitive del rapporto verticale il quale assume dei connotati a prevalente natura conflittuale. Il conflitto si genera in diversi ambiti gestionali: nella negoziazione e nella definizione delle condizioni commerciali, nella politica di prodotto e assortimentale, nella politica di prezzo e promozionale, nella politica di marca nella logistica nella gestione di informazioni. Negli anni successivi, l’ambiente si modifica con l’affermarsi della globalizzazione. La crescente internazionalizzazione del trade, la crisi economica che induce dei cambiamenti nei comportamenti d’acquisto e di consumo. I distributori acquisiscono una cultura e delle competenze manageriali e di marketing sempre più avanzati. L’intero sistema si evolve allo scopo di massimizzare il valore aggiunto generato dal sistema. 19.2.3 La collaborazione e il marketing sistemico di canale L’impostazione dei rapporti verticali sui binari di un costante ed elevata conflittualità ha generati una competizione esasperata sia nella dimensione orizzontale sia verticale. La contrapposizione che si verifica tra produttori e distributori riguardo alla ripartizione delle funzioni di marketing torna a ricomporsi con riferimento alla generazione del surplus stesso. Nel sistema verticale vi è un interesse divergente nella distribuzione del valore aggiunto e dunque vi è conflittualità ma è altrettanto vero che vi è un interesse comune alla massimizzazione del valore aggiunto complessivo del prodotto, il che richiama la necessità di passare a una logica collaborativa. L’attivazione di meccanismi di coordinamento tra i diversi componenti del canale può consentire di incrementare l’efficienza e l’efficacia dell’intero sistema e il surplus generato e i relativi benefici per i singoli componenti. Tale coordinamento si sviluppa su tre direttrici fondamentali: - L’integrazione dei processi logistici e amministrativi - L’efficacia di mercato e la generazione della domanda - I rapporti contrattuali negoziali. Per quanto riguarda l’integrazione dei processi logistici e amministrativi la comunione d’interessi tra produttori e distributori è evidente di fronte a soluzioni che possono accrescere l’efficienza e quindi ridurre i costi per entrambi i comparti e incrementare l’efficacia. Attraverso una gestione integrata della supply chain, si può ottimizzare la durata del ciclo ordine – consegna e i relativi costi, ridurre il volume complessivo delle scorte del canale, evitare le rotture di stock (quando in un punto vendita viene a mancare il prodotto a scaffale. Ciò comporta sia la perdita della vendita sia un disservizio al consumatore) minimizzare le perdite di prodotto, diminuire i costi relativi all’imballaggio e alla gestione amministrativa. Nel marketing e nelle relazioni commerciali le difficoltà di coordinamento e di collaborazione sono maggiori. Posta la forte interdipendenza tra marketing industriale e commerciale, la comunione d’interessi si ritrova da una parte nella necessità di evitare che la sovrapposizione delle politiche renda inefficaci le iniziative dei singoli operatori, dall’altra nell’opportunità di sfruttare le potenziali sinergie nello sviluppo del mercato che derivano da un approccio integrato. Per realizzare una collaborazione nel marketing e nelle relazioni commerciali, occorre fare un notevole salto culturale volte ad adottare una gestione di tali processi coerente con la nuova visione del canale. E’ facile che prevalgano interessi particolaristici di breve periodo, dettati da una logica istintiva, incapace di fare propri i progressi di più ampia portata acquisibili nel medio lungo termine mediante la costituzione di un sistema canale integrato per la realizzazione di un approccio coordinato al mercato. Nell’area del marketing, soluzioni fondate sulla collaborazione verticale vengono ricercate nell’ambito di problematiche di grande rilevanza. A partire dalla condivisione delle informazioni di mercato, sugli acquirenti sui consumatori, il focus si sposta sulla ricerca di un incremento di efficacia del sistema di offerta, anche attraverso il ricorso al category management nonché sulla gestione di relazioni durature e profittevoli con i consumatori, basata sui principi del CRM. A oggi vi è un’elevata criticità in questo ambito e una significativa insoddisfazione da parte degli operatori di entrambi i comparti. Il modello negoziale attuale è basato su una contrattazione prevalentemente muscolare che denota una mancanza di orientamento al mercato e al consumatore e l’assenza di obiettivi condivisi. A ciò si aggiungano tempi e costi elevati della negoziazione molteplicità i livelli negoziali mancata condivisione delle informazioni, scarsa trasparenza inefficienze nell’attuazione degli accordi. Si può realizzare senza dubbio un’ottimizzazione dei processi. Risulta ben evidente l’auspicata collaborazione richiede un’integrazione sia di tipo culturale sia organizzativo o tecnologico. La collaborazione nei canali distributivi: il progetto ECR Non si può evidenziare il ruolo chiave svolto in proposito da ECR (efficient consumer response). ECR nasce in Italia nel 1993 come asociazione paritetica fra imprese industriali e imprese commerciali avente la missione di deinire e favorire l’applicazione di strumenti di raccordo tra industria di marca e grande distribuzione organizzata. Partecipano a ECR le principali imprese industriali operanti nel nostro paese e le principali organizzazione della GDO. Accanto a ECR Italia, in Europea ci sono altre venti organizzazioni operanti a livello nazionale. Le organizzazioni nazionali partecipano poi a ECR Europa, che costituisce il punto di raccordo dove si svolge un confronto e una valutazione delle pratiche e delle esperienze nazionali. Dalla sua nascita a oggi, ECR ha realizzato numerosi progetti che hanno affrontato tutte le problematiche a partire da quelle relative alla supply side, demand side e giungere ai temi facilitatori, e infine a quelli trasversali. 19.2.4 Approcci di marketing e relazione di canale I meccanismi di funzionamento del canale e le relazioni tra industria e distribuzione sono influenzati anche dall’approccio di marketing adottato dall’impresa industriale. Nella prospettiva del produttore il problema principale è quello di ottenere un bilanciamento tra consumer marketing e trade marketing, allo scopo di ottenere la collaborazione dei distributori da una parte e per facilitare l’inserimento dei prodotti nell’assortimento commerciale, dall’altra per ottenere il sell out. Si collocano la strategia push e la strategia pull. - La strategia push: si basa sull’allocazione prioritaria degli investimenti di marketing al trade. Per questa via il produttore si assicura la collaborazione dei distributori, i quali saranno propensi ad accogliere in assortimento i suoi prodotti e a sostenerli per la vendita al consumatore finale. Questa strategia viene seguita da imprese di non grandi dimensioni, in posizione di follower (si colloca in una posizione competitiva inferiore all’impresa leader, in termini di potere di mercato, quota di mercato, brand loyalty) - La strategia pull: privilegia gli investimenti di marketing rivolti ai consumatori finali, finalizzati prevalentemente a rafforzare l’immagine di marca e generare un atteggiamento di brand loyalty, ovvero di fedeltà alla marca industriale a discapito dell’insegna commerciale. Il produttore ottiene la collaborazione del distributore a seguito dell’esplicita richiesta del consumatore. La strategia pull viene seguita dalle grandi imprese. 19.2.5 Le dimensioni concorrenziali Nei canali distributivi l’analisi competitiva debba essere sviluppata su più dimensioni: - Concorrenza orizzontale nel comparto industriale. La competizione tra imprese è crescente stimolata da numerosi fattori tra i quali la globalizzazione dell’economia, l’eccesso di offerta, la continua innovazione dei prodotti indotta dalla concorrenza e dai nuovi modelli di consumo. Anche l’evoluzione del settore distributivo contribuisce ad accentuare le dinamiche concorrenziali nell’industria, la distribuzione sottrae al produttore parte delle funzioni di marketing e anche parte del mercato attraverso lo sviluppo delle marche commerciali. - Concorrenza orizzontale nel comparto distributivo: la competizione aumenta anche tra le imprese commerciali, con il completamento della trasformazione strutturale del settore e la crescente apertura internazionale. Il livello concorrenziale è oramai a livelli molto elevati e i retailer si confrontano con strategie di maketing improntate alla differenziazione dell’insegna, all’innovazione dei format distributivi, all’implementazione di soluzioni gestionali avanzate, al miglioramento dell’efficienza dei processi. - Conflittualità verticale: il rapporto competitivo tra produttori e distributori dipende fondamentalmente dal fatto che ciascun soggetto ambisce a controllare la maggiore quota possibile di valore aggiunto generato all’interno del canale, esso deriva in buona sostanza dalla tendenziale incompatibilità degli obiettivi di marketing delle due categorie di imprese. - Concorrenza tra sistemi verticali: i processi competitivi tendono a svilupparsi sempre più in una dimensione interorganizzativa, all’interno della quale le fonti del vantaggio competitivo non sono più riconducibili in modo assoluto alle risorse specifiche della singola organizzazione quanto al network nel suo complesso. Si diffonde una visione sistematica del canale e si sviluppano accordi verticali tra imprese industriali e imprese commerciali che vanno a configurare soluzioni integrate talvolta alternative e perciò concorrenti, per il soddisfacimento della domanda id beni e di servizi commerciali dei consumatori. Emerge una dimensione competitiva tra sistemi verticali all’interno del quale il successo del binomio industria distribuzione dipende dalla sua capacità di fonder le rispettive competenze e risorse in un contesto di collaborazione e fiducia. - Concorrenza tra settori convergenti: emerge un’ulteriore dimensione competitiva di tipo orizzontale e verticale che coinvolge imprese provenienti da settori di origine diversa le quali si contendono vendite e clienti su categorie e prodotti servizi cross settoriali. 20.1 Vendita di relazione e sales management I rapporti di vendita variano dalla singola vendita occasionale in cui due operatori non si aspettano di essere coinvolti in future transazioni di vendita, alla relazione funzionale, che può evolvere in partenership relazione fino alla partnership strategica. Quando entrambi i partner compiono rilevanti investimenti per migliorare la redditività di ciascuna delle due parti con un orizzonte temporale di lungo termine, la partnership viene definita strategica. L’obiettivo dell’attività di vendita diviene quello di costruire la relazione e quindi l’orientamento si sposta sul lungo termine, mentre il ruolo chiave del venditore diviene quello di creare valore per il cliente e per l’impresa. È quest’ottica che vede il venditore impegnato direttamente nell’innovazione commerciale cioè nella creazione di nuove soluzioni per il cliente sviluppando una vera partenership. Si sviluppa in tal modo un’attività di marketing di vendita che integra le risorse aziendali nella vendita, che avvicina l’impresa al cliente ma soprattutto il cliente all’impresa. Seguendo tale evoluzione il venditore diviene sempre più responsabile della gestione del marketing operativo verso un gruppo di clienti. Il sales manager pianifica, dirige, controlla l’attività di vendita, incluse le attività di organizzazione, reclutamento, selezione, addestramento e assegnazione di compiti, supervision motivazione valutazione della forza di vendita. Rientrano tra le sue funzioni la previsione delle vendite, l’analisi di mercato, la pianificazione strategica delle vendite, l’analisi dei comportamenti dei clienti, l’individuazione di opportunità, l’allocazione di risorse, l’analisi dei costi e dei profitti, la pianificazione e la gestione del budget, l’esercizio della leadership sulla forma vendita assegnata nonché il presidio dei processi comunicazionali verso la clientela. 20.2. Il processo di vendita Il processo di vendita è costituito da più fasi successive. La prima fase riguarda l’attività d’identificazione dei potenziali clienti (prospecting) e la loro classificazione secondo il livello di attrattività per il fornitore. Un buon cliente potenziale viene esaminato attraverso la compilazione di opportune check list. - Il cliente potenziale individuato presenta un bisogno o una richiesta che può essere soddisfatta da un prodotto dell’impresa? - Il cliente potenziale ha la capacità di far fronte ai pagamenti necessari? - Il cliente potenziale ha il potere decisionale di acquistare. Come influenza la decisione di acquisto? - Il cliente potenziale può essere avvicinato con relativa facilità? La seconda fase del processo riguarda la preparazione alla visita. In questa fase vi sono due momenti principali: quello della pianificazione della visita e quello del contatto con il cliente. Si dice che una vendita di successo dipenda per il 40% dalla preparazione e per il 20% dalla presentazione e il restante 40% dalla follow up.
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