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Caro vecchio neon - David Foster Wallace, Dispense di Filosofia del Linguaggio

Analisi del testo "Caro vecchio neon" + integrazione appunti presi a lezione

Tipologia: Dispense

2022/2023
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Caricato il 18/02/2023

Nicole.253
Nicole.253 🇮🇹

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Anteprima parziale del testo

Scarica Caro vecchio neon - David Foster Wallace e più Dispense in PDF di Filosofia del Linguaggio solo su Docsity! . “CARO VECCHIO NEON” Il racconto è un MONOLOGO INTERIORE del protagonista, Neal, un giovane e rampante socio creativo di una ditta di consulenza, che espone come abbia maturato e messo in pratica la decisione di suicidarsi. Sostiene di avere, per tutta la vita, ingannato sia gli altri che sé stesso, cercando di fare il possibile per far colpo sulle persone in ogni modo, dai bei voti alle prestazioni sportive, specialmente nel baseball. Ha provato tutto, «l'elettroshockterapia, un viaggio di andata e ritorno in Nuova Scozia con una bici a dieci marce, l'ipnosi, la cocaina, la chiropratica sacrocervicale», ma nulla è riuscito a farlo sentire sincero, e la sua autostima è conseguentemente molto bassa. Così, «come quasi tutti quelli che allora si avvicinavano ai trent'anni» decide di tentare con la psicanalisi, raccontando di sé al dottor Gustafson, inizialmente esitando ad aprirsi, ma alla fine rivelando ciò che pensa: la conclusione dello psicologo è la stessa a cui era giunto Neal, ovvero che se riesce a raccontare, sinceramente, che crede di essere un imbroglione e un calcolatore, non lo è più di tanto. Scade così, come lo chiama il protagonista, nel "paradosso dell'impostura". Al dottore, però, viene diagnosticato un tumore al colon, mentre Neal, sempre più costretto in quella che vede come una situazione senza uscita, decide di suicidarsi, assumendo prima dei tranquillanti e successivamente andandosi a schiantare con l'auto. Nel corso dello svolgimento della trama, l'autore si rivolge direttamente al lettore, dandogli del tu; frequenti i riferimenti alla logica, specialmente ai paradossi, e alla concezione lineare del tempo (messa in dubbio nella parte finale, con la descrizione dell'esperienza della morte).  2 TERMINI CHE RICORRERANNO COSTANTEMENTE = PARADOSSO e CLICHE ’ Il PARADOSSO è una proporzione formulata in apparente contraddizione con l’esperienza comune o con i principi elementari della logica // Il CLICHE’ è uno schema di ragionamento o di un discorso (o anche di un comportamento) che si ripete abitualmente.  PRIMO PARADOSSO che esiste per tutti noi = il nostro essere al mondo è un paradosso a partire dal paradosso stesso del mondo che non esiste senza che noi ne siamo consapevoli, dunque, che ce lo rappresentiamo e che lo portiamo con noi (quando si muore questo mondo non ha più alcuna consistenza); però al tempo stesso noi sentiamo che questo mondo ci pre-esiste e che esisterà anche dopo di noi. Il mondo esiste indipendentemente dalla nostra esistenza, la vita umana è solo una piccola parte del tutto. Ciò può creare una sensazione di insignificanza o di relatività delle nostre azioni e dei nostri pensieri rispetto alla grandezza e alla complessità dell'universo. Inoltre, l'idea che la vita umana sia effimera e che l'universo continuerà a esistere anche dopo la nostra scomparsa, può essere considerata un paradosso in quanto ci fa sentire una parte minuscola e transitoria del mondo. “ Il mondo come volontà e rappresentazione ” = libro del filosofo tedesco Arthur Schopenhauer, che sostiene che la realtà è determinata dalla volontà e dalla rappresentazione che ne abbiamo. La VOLONTA’ è la forza vitale che muove tutte le cose, mentre la RAPPRESENTAZIONE è la percezione che ne abbiamo. Egli sostiene che la volontà è l'essenza stessa dell'esistenza, una forza che guida tutto ciò che esiste, incluso l'uomo. La volontà è la fonte di tutti i desideri e le azioni umane, e non può essere soddisfatta in modo permanente. La rappresentazione, d'altra parte, è la percezione che abbiamo della realtà attraverso i nostri sensi. Schopenhauer sostiene che la rappresentazione è solo un'immagine illusoria della volontà e non può mai catturare l'essenza dell'esistenza.  IL TIPO DI STRUTTURA NARRATIVA = parliamo del nastro di Möbius = trae il suo nome dal matematico tedesco August Ferdinand Möbius. Non è un nastro comune = le superfici che definiamo ordinarie o comuni, in senso matematico, sono superfici che, come tutte le altre, hanno sempre due facce. Se camminiamo su una faccia, non possiamo ritrovarci a farlo sull’altra. Non è possibile, a meno che non si attraversi un suo spigolo, un bordo, una qualsiasi superficie di demarcazione. E’ ciò che avviene ad esempio alla sfera, o al cilindro, superfici di cui è possibile stabilire convenzionalmente un lato “superiore” o “inferiore”, oppure “interno” o “esterno”. L’interno del Nastro di Moebius non esiste, o meglio, non è distinguibile dal suo esterno. Questo nastro diventa fonte di riflessioni = parliamo di una superficie che non ha interno ed esterno, che possiamo percorrere all’infinito senza mai capire su quale delle sue parti stiamo camminando. // Ciò accade nel racconto = c’è una persona che continua a parlare, sperimentiamo l’alterazione del punto di vista da Niel a David Wallace rimanendo nella metafora del “nastro”, cioè il racconto funziona come il nastro di Moebius ((c’è una persona che parla, parla, ma alla fine dubitiamo che ciò che è stato detto possa esser stato frutto dell’immaginazione di un altro)).  PRIMA FRASE: “ Per tutta la vita sono stato un impostore …” = “My whole life I’ve been a fraud” (della versione originale in inglese) = la traduttrice rende la parola “fraud” con “impostore”, e ci rendiamo conto che la radice etimologica ce l’abbiamo in italiano, ovvero “frode” e la condizione è la fraudolenza (ci sono comportamenti, parole, situazioni, che possiamo caratterizzare fraudolenti). Frodare, mentire, essere ingannevoli, ingannare, essere un impostore = termini che si rispecchiano a vicenda. Leggere questa frase ci chiarisce cosa significa essere impostore / c’è da dire che nella versione originale dalla prima frase potremmo star parlando di una donna o di un maschio (si scoprirà poi subito dopo che si tratterà di un uomo, Niel), in italiano comprendiamo da subito che stiamo parlando di un uomo, attraverso “un impostore”. Questo essere menzognero, ingannevole, è aggravata dal fatto che parliamo di una condizione TOTALIZZANTE = egli dice “per tutta la vita”, dunque abbiamo un’informazione cruciale, già da questo capiamo l’identità di colui che parla, che questa condizione di impostura è sempre stata all’insegna della sua vita. Questa condizione non ha alternative, è inscalfibile, MA se veramente questo personaggio non è altro che un impostore, ciò che trascuriamo come lettori è che tutto ciò che viene narrato potrebbe essere un’impostura, oppure l’auto-descrizione stessa dell’impostore potrebbe essere un’impostura.  “IMMAGINE DI SE’” = per tutto il tempo egli ha offerto un’immagine di sé agli altri, ha CREATO tale immagine. C’è qualcosa tra colui che narra e le persone a cui si relaziona che non sono solo parole, gesti, ma è qualcosa che riguarda il lento strutturarsi dell’“immagine di me” (insieme di atti, gesti, pensieri, omissioni) = in questo modo nell’esperienza altrui (la memoria, il ricordo) si sedimenta un’immagine (ad es. ho un’immagine di x persona che poi si dimostra tutt’altro). L’immagine di sé è un qualcosa che gli altri si creano ma che io stesso POSSO INDURRE, OFFRIRE, GETTARE IN PASTO, PROPORRE agli altri. Le persone attivamente possono intervenire su questa immagine, manipolarla, controllarla, e così spacciarsi per qualcosa che in realtà non si è fino in fondo. ((categoria esterno-interno = ad es. all’esterno ci si mostra, all’interno si è vuoti in realtà)). “Il nostro linguaggio non è altro che un gioco linguistico – (frase di Wittgenstein, filosofo austriaco)” ((il gioco è un’attività soggetta a delle regole, il linguaggio è una pratica collettiva che le comunità mettono in campo, da cui vengono influenzate e che modificano di continuo)). -I veri possessori della nostra immagine non siamo noi ma sono gli altri -  “Più che altro per piacere e essere ammirato” = l’essere umano VUOLE piacere agli altri, essere gradevoli, essere ammirati, guardati in un certo modo = ciò è tipico del nostro essere.  DESCRIZIONE DELLO STUDIO DELL’ANALISTA : non ha i caratteri di cura dell’ambiente e rassicurazione che dovrebbero mettere il paziente a suo agio; nonostante questo, l’impostore si sente a proprio agio. Anche la postura dell’analista non è una postura dedita all’ascolto: “doveva stare tutto curvo in avanti”. Il dottor Gustafson ha degli atteggiamenti che avrebbero consentito al paziente di confessare il suo problema: ma questa è una prospettiva che il narratore non prende neanche in considerazione, perché è troppo impegnato a illustrare la sua superiorità. Tentativo di mostrarsi più intelligente dell’analista. La “grande intuizione” del dottore è un’espressione ironica, perché è l’intuizione che lui gli ha permesso di raggiungere, nella sua prospettiva. “Contraddizione logica” o “paradosso”: io affermo di essere un impostore. Ma se confesso la diagnosi di me stesso, cioè dico di essere sempre un bugiardo, perché dovrei essere sincero quando dico di essere un impostore? Allora non è vero che sono un impostore in tutti i momenti della mia vita. Ma potrei mentire anche mentre lo dico, e quindi in realtà potrei non essere mai un bugiardo  Autocostruzione sul passato del narratore = egli venne adottato, sua sorella = Fern (figlia biologica dei genitori adottivi di Niel). Vi è una quantità abnorme di informazioni che ci sembrano non avere alcuna utilità, abbiamo tante descrizioni, digressioni. Qual è la funzione di queste digressioni che rallentano il contatto con il momento del suicidio? E’ uno stile che chiamiamo DIGRESSIVO-PARENTETICO = si tratta di frazionare il testo aprendo e chiudendo delle parentetiche che fanno quasi perdere il filo del discorso. Bisogna cogliere sia il contenuto di queste informazioni, sia coglierne l’utilità narrativa.  “C’era un paradosso logico di fondo che io chiamavo il paradosso dell'impostura e che avevo scoperto praticamente da solo mentre seguivo un corso di logica matematica a scuola” = l'autore ci dice di aver scoperto da sé, da solo, un paradosso relativo alla impostura. Il corso viene descritto in maniera accurata, come un corso universitario (“limpido e meccanico come la stessa logica”). == QUI AVEVA 19 ANNI. Vengono evocati nomi di “Russel” e “Barry” (logici molto importante) = questi nomi ci dicono che siamo difronte ad un narratore che ha una formazione, una competenza, e una passione di tipo logico, nel suo modo di inquadrare la realtà è determinante questo approccio logico-filosofico (ciò non accade per tutti, ad esempio chi si occupa di filosofia, non è detto che viva la sua vita secondo quest’ottica, imponendo una serie di norme, categorie, un’etica della filosofia). Il narratore ha uno sguardo dentro le cose che è profondamente informato da un’ottica logico-filosofica, egli non prende le cose nella sua immediatezza, egli mira a riflettere sulle cose (forse anche troppo). Egli è dotato di una “potenza di fuoco” (quella che manca all’analista) = è una mancata logica non da un punto di vista culturale, ma intellettuale. - Altra caratteristica linguistica = costante riformulazione, che ritroviamo in “spaventati, soli, alienati ecc.” = egli sta minando la possibilità stessa che il linguaggio possa riflettere in modo completo la realtà. Ogni volta che mi trovo in cospetto della realtà, produco una serie enorme, una catena di enunciati, senza che mai questi enunciati mi diano impressione di aver immobilizzato la realtà, di averla colta completamente. Non c’è un rapporto tra la parola e l’esperienza = per questo c’è una costante LOGORREA (i logoi, i discorsi, le parole, scivolano e scorrono, traboccando costantemente, è un completo logorroico discorso che mai completamente arriva a toccare il “fulcro” della realtà).  “Più tempo e più impegno mettevi nel cercare di far colpo sugli altri o di affascinarli, meno sorprendente o affascinante ti sentivi dentro: ERI UN IMPOSTORE. E più ti sentivi un impostore, più ti sforzavi di offrire un’immagine sorprendente o piacevole di te stesso..” Com’è possibile insieme essere un mentitore e sapere di star mentendo? = questo è il grande paradosso, perché essere un mentitore e sapere di esserlo si devono in qualche modo tenere insieme, senza mai scindersi. Egli è consapevole di essere disonesto, vuoto = da ciò deriva il suo mostrarsi “sorprendente” agli occhi degli altri. PARADOSSO SULL’IMPOSTURA = più tempo e più impegno mettevi nel cercare di far colpo sugli altri meno sorprendente o affascinante ti sentivi dentro = si riconosce come persona VUOTA e DISONESTA.  “Altro paradosso di ordine superiore, che non ha né forma né nome” = non poteva essere fuori dall’impostura, pur essendo consapevole di essa. Questo paradosso di ordine superiore è il vincolo che rende il locutore schiavo di sé stesso = nel momento in cui dice che la verità di sé è essere un mentitore, se la verità di sé è questa, se sei un mentitore da sempre, se questa è la tua verità non puoi essere altro che questo = se nella totalità del tuo essere non c’è nient’altro che impostura, da dove esce fuori qualcosa che dovrebbe mettere in questione l’impostura? Per quale motivo? Se sai di non essere nient’altro che quello, com’è possibile che tu voglia essere altro? PARADOSSO NEL CAMBIAMENTO DI PER SE’ IMPOSSIBILE (presenza della prima SCHEGGIATURA nel discorso) = Quindi il paradosso di ordine superiore sta nel fatto di voler concepire un cambiamento che in realtà è impossibile, sta nel fatto di immaginarsi diversi senza poter essere diversi. Ma allora da dove viene questa riserva di immaginazione o di desiderio che ci fa ipotizzare di voler essere diversi. //// Se la verità del tuo essere è questa, avendola espressa come “totalità” (ovvero quella dell’impostura), da dove arriva questa tenue irradiazione, questo desiderio di poter essere altrimenti? = da questo momento iniziamo a sentire una VOCE (potrebbe essere quella di David Wallace) che va da una parte opposta alla corrente superficiale, il discorso dunque si scheggia, non è più totale e uniforme. - QUANDO RICONOSCE DI ESSERE UNA PERSONA DISONESTA? A 4 ANNI = quando mentì al suo patrigno riguardo la rottura della coppa = Niel è stato adottato, premette che i suoi genitori sono stati ottimi, sicuramente migliori di tanti genitori biologici. Altro protagonista in questa vicenda = FERN (sorella di Niel, figlia biologica). La retrocessione dai 19 ai 4 anni = questa è una retrocessione faticosa (solitamente non ci ricordiamo in modo peculiare della nostra infanzia), ma il personaggio riesce ad arrivarci e ci racconta dell’episodio della coppa che fece cadere. Ci dice che a 4 anni, prima ancora di parlare, di avere una cognizione logica, descrive qualcosa che non si articolò nel linguaggio e né nei pensieri, ma si tratta di un’istante in cui capisce che mostrandosi in un certo modo, succede qualcosa, e posso costringere gli altri a vedermi in un certo modo = induco gli altri a vedermi in un certo modo. Già a 4 anni si rapporta agli altri nei termini di manipolatore, al fine di indurre gli altri a vederlo in un certo modo. Lavorando sulla mia immagine in un certo modo, costringo gli altri a guardarmi in un certo modo. ((infatti la colpa riguardo la rottura della coppa ricadrà su Fern)). - “La verità è che fu magnifico” = scoperta del poter far fare agli altri qualcosa, attraverso il mio modo di essere, manipolandoli e inducendoli a considerarci in un certo modo. - Egli dice “Il punto è che ho cominciato allora a essere un impostore” = se da sempre sono un impostore, non posso determinare un’origine o una causa della mia impostura = non vuol dire che a 3 anni egli non fosse impostore, l’episodio della coppa rotta non è causa o origine di impostura, questo è solo un ricordo, un ricordo della parte DISONESTA di sé. - “Non dimenticate che avevo solo quattro anni ” ecco un'altra allocuzione: chi è che non deve dimenticare? a chi si sta rivolgendo il protagonista? sta di nuovo sta parlando con se stesso? QUESTIONE DELLO SPECCHIO CIOÈ DEL NOSTRO MODO DI COMPORTARCI = ad esempio proviamo a pensare di trovarci di fronte ad un’ altra persona , chiaramente la nostra postura e la nostra attitudine cambierà sulla base di quelle che sono le reazioni dell’altra persona = è una cosa naturale, cioè una capacità di adattamento rispetto al contesto in cui ci troviamo. E il narratore a 4 anni non ha fatto che questo cioè ha detto al padrino “l’ho rotta io la coppa” però l’ha detto, interpretando le reazioni del patrigno e interpretando le reazioni del patrigno si è reso conto di come avrebbe potuto ribaltare la situazione scaricando la colpa sulla sorella = “a quella conclusione non ero arrivato a parole, non c’è un procedimento mentale, logico , razionale di tipo lineare , c’è una risposta a uno stimolo. Il narratore ci dice che ha racconto effettivamente come sono andate le cos , però effettivamente l’ha fatto in maniera poco plausibile, ha dato una confessione però l’ha fatto in modo tale che i genitori non credessero alla sua versione. Il meccanismo si ripete (come nella prima pagina sull’episodio di Angela Mead, afferma di non aver dato a lei lo spazio giusto per potersi mostrare per quella che lei veramente era = c’è una presupposizione da parte del narratore di poter gestire le altre persone , di poter arrivare a sostituire le altre persone ) = in questo caso sta sostituendo i suoi genitori adottivi, cioè si sta mettendo dalla parte die suoi genitori adottivi e sta guardando la situazione dalla loro prospettiva con quelli però che sono i suoi occhi Tra l’altro qui c’è una DUPLICE PROIEZIONE perché non è soltanto il narratore che si comporta in quel modo perché l’immagine che lui proietta è quella di un bambino altruista , generoso e di carattere, ma è una proiezione che riguarda anche i genitori adottivi , perché sulla base del comportamento del loro figlio adottato riescono a valutare quelli che sono stati i loro insegnamenti , perché se il bambino si sta comportando in questo modo, si sta comportando così per difendere la sorella e allora è un bambino altruista e allora hanno insegnato a questo bambino ad essere altruista e generoso  ALTRO PARADOSSO nell’affermazione della falsità, si ritrova in questa falsità una verità ; nell’affermazione della verità si trova in questa verità una falsità. [ la sua versione che è vera , la fa apparire falso in modo tale che i genitori incolpino la sorella] - Carattere etico della vicenda = qui abbiamo anche una possibile motivazione del motivo per il quale il narratore a 4 anni inizia a mentire: perché i genitori gli hanno detto che mentire è la cosa più aberrante che si possa fare e lui studia, crea una strategia che gli permette di mentire facendo finta di non mentire. METAFORA DEL PUZZLE = il narratore dice che una tessera del puzzle è sempre una tessera del puzzle anche prima che noi riusciamo a capire come incastrare quel pezzetto di carta, perché la riconosciamo come parte di un tutto, e sapremmo riconoscere quell’oggetto nella sua valenza in qualsiasi posto dovessimo trovarlo = allo stesso modo lui era un impostore in qualsiasi situazione si trovasse, sia se uno. Lui tra l’altro qui fa un’affermazione molto forte cioè quella di sapere da sempre di essere un impostore, cioè non è neanche stato quell’episodio scatenante, quel punto nella sua vita quando aveva 4 anni ad aver innescato questi meccanismi di impostura = è qualcosa che esiste da sempre in lui al punto che pensa che possa esistere un gene dell’impostura pur di non ammettere che questo era un meccanismo che lui avrebbe potuto interrompere. Questa metafora viene spiegata con un’immagine tanto cara a Wallace (che presenta in “Questa è l’acqua”): la storia di un pesce più anziano ed uno più giovane, cui viene posta la domanda “Com’è oggi l’acqua?” e loro rispondono “Cos’è l’acqua?”, cioè il pesce non sa di essere nell’acqua. Ciò indica che quando si è parte di qualcosa non necessariamente si ha nozione di quello di cui si fa parte (come la cresta dell’onda, non sa di essere parte di un oceano)… allo stesso tempo noi non abbiamo coscienza dell’espressione “la mia intera esistenza” = struttura + grande di noi.  PRIMA PAUSA NEL TESTO = “E naturalmente a questo punto avrai notato il PARADOSSO CENTRALE…” = il narratore si rivolge direttamente al lettore. Tutti i vari paradossi di cui ci ha precedentemente parlato, portano al PARADOSSO CENTRALE = c’è una chiarezza filosofica e lucida di come funziona il discorso A questo punto assistiamo alla PRIMA PAUSA del testo (dopo averci raccontato del dottor, di lui da bambino, dell’impossibilità di amare ecc.). Tale paradosso centrale cosa riguarda? Non è che fin dall’inizio (Avendo detto che sono un impostore) mi contraddico? Ma dicendo che dico sempre il falso, allora sto dicendo la verità (quindi non è davvero un impostore).  “Io e te siamo seduti in una MACCHINA usando parole e consumando un tempo sempre più prezioso” = siamo in 2 presenti fisicamente nella macchina, e c’è una sorta di anticipo: chi è questo “tu” direttamente interessato? Il suicida? Oppure c’è un’altra persona interessata? Tutto ciò che l’autore sta facendo è letteralmente fornirci un’idea del perché sia arrivato alla decisione di suicidarsi. - Il “macchinario dentro cui ci troviamo io e te/ io e voi” = sarà la macchina che procede a tutta velocità verso il ponte? Qui veniamo dunque a scoprire che questa persona non è da sola in macchina. - “Per te il tempo è prezioso”, perché tu lettore stai applicando del tuo tempo alla lettura, all’ascolto, lo stai dedicando a ciò. Ma se il paradosso è che metto insieme parole e poi non arrivo alla conclusione, perché abusare del tuo tempo? = concetto importante DELL’ESSERE INSIEME IN QUESTA MACCHINA, CON IL SOSPETTO CHE CHI STA PARLANDO SI CONTRADDICE FIN DALL’INIZIO SUL PIANO LOGICO. Io sto ascoltando qualcuno, non capendo ciò che dice, e mi viene il sospetto che egli si avvolga in una spirale di contraddizione, tale per cui, alla fine, qual è il senso di ciò che dice? Tali esperienze sono state veramente vissute? Ha davvero vissuto tutto ciò che dice di aver fatto? Ancora una volta c’è il PARADOSSO LETTERARIO = perché stiamo ascoltando un racconto se non potrebbe avere nulla a che fare con la realtà? - “ … Se mi fossi ammazzato per davvero, come faresti a sentire certe cose ?” = se è morto, come fa ad esistere ciò che ci sta dicendo? L’autore di questo testo (David Foster Wallace) non è tra noi, ma anche il narratore in qualche modo ci dice che non è più tra noi, che parla da una condizione postuma che non possiamo neanche immaginarti. Niel, il personaggio, è inesistente, è un personaggio su carta, eppure ci ha già portato dentro il suo racconto. Ma qui non sappiamo chi parla, abbiamo solo un insieme di cose scritte. Abbiamo dunque questa ALLOCUZIONE che apre il testo ad un’alterità e mira ad uscire fuori dal testo. - “Secondo te finora quanto tempo è passato?” = significa quanto tempo è passato dal momento in cui abbiamo iniziato la lettura? Non lo possiamo sapere, perché la lettura per definizione può essere frazionata, interrotta, ripresa, o non terminata. Che tipo di tempo viene chiamato in causa? E’ una domanda complicata perché non sappiamo chi la rivolge a chi (David Wallace, Niel, o l’autore David Foster Wallace?) Anche questa domanda dobbiamo lasciarla aperta = questo è un elemento specifico di questo testo, a differenza di altri testi in cui C’E’ UN CONTROLLO assoluto sulla trama degli eventi, qui ogni tanto ci imbattiamo in delle interruzioni, SOSPENSIONI. Noi adesso dobbiamo lasciare aperta questa domanda perché non abbiamo gli elementi per rispondere, e può essere che anche alla decima lettura non avremmo tali elementi = qui non c’è un linguaggio inarrivabile, è un linguaggio pienamente comprensibile, quasi amichevole, eppure nonostante tale trasparenza, vediamo che c’è una zona di opacità che non siamo in grado di PADRONEGGIARE.  CARDINALITA’ vs ORDINALITA’ “In termini logici una cosa espressa a parole manterrà la stessa cardinalità, ma non la stessa ordinalità” = qui è condensato tutto il senso del racconto. La cardinalità di un insieme è quell’elemento che ci permette di individuare in maniera univoca il numero degli elementi che compone un insieme; l’ordinalità è il fattore che ci consente di ordinare questi elementi secondo il linguaggio. Quindi, una cosa espressa a parole mantiene la stessa essenzialità, cioè non cambia di forma, però non presenta più la stessa ordinalità = ciò sintetizza il senso del racconto. Ciò significa che non è possibile stabilire un’ordinalità nei nostri pensieri, per quanto essi abbiano la stessa cardinalità, cioè appartengono ad uno stesso insieme che è quello dato dalla nostra mente, la nostra persona. Nel racconto vi è la sovrapposizione tra più piani temporali distinti, cioè non vi è mai un’ordinalità in questo racconto, nonostante tutto corrisponda alla stessa cardinalità.  DIGRESSIONE SU FERN – cliché sulla solitudine = digressione che non implica neanche la parentesi = a partire da “Fern, a proposito, ha i capelli rossicci … ” = in questo punto passa da un discorso all’altro con facilità, introducendo questa digressione dal nulla. Descrivendo il viso, l’aria e l’essenza di Fern, ci parla della sorella in modo positivo, quasi attraverso un linguaggio emotivo = ma ci starà prendendo in giro su questo? Dopo questa ulteriore digressione in cui ci fa balenare la descrizione positiva della sorella, ci dice ancora che siamo tutti infelici e soli. == riferendosi a ciò come un cliché. “Lo sanno tutti, è quasi un cliché” = se questa frase è detta da un impostore, forse non è proprio vero che siamo tutti soli. Ci troviamo dinanzi ad una CONTRADDIZIONE = egli dice che tutti sono soli, ma definisce la sua solitudine “speciale”, dunque, anche qui abbiamo un altro strato di impostura (considerando la sua solitudine come particolare essendo il più infelice, vuoto, disonesto).  PARADOSSO CHE ESPRIME L’ANALISTA sulla falsità/onestà == L’analista dice “Ma se lei è costituzionalmente falso e manipolatore e incapace di essere onesto su chi è lei per davvero, come ha fatto ad essere onesto con me un attimo fa?= qui il lettore si apre alla paradossalità di tutta la lettura, il lettore sa che quello che sta parlando dice come prima frase di essere un impostore, e dunque tutto ciò che leggo potrebbe essere un’impostura // ma se dici sempre falsità, dicendomi che sei un impostore, non è vero che lo sei – oppure per una volta sei stato sincero (dunque non sei così impostore). Il dottor G. addirittura ha la pretesa di scavare più a fondo nell’animo Niel di quanto egli stesso (Niel) riesca a farlo = avviene un RIBALTAMENTO, il problema non è più l’immagine che Niel vuole dare in pasto agli altri, ma di COME NIEL VEDE SE STESSO = potrebbe trattarsi di un immagine che auto-manipola, convincendosi di un immagine che non è vera, cioè si auto definisce un impostore e si illude che tale assegnazione di “impostore” sia rispondente alla propria interiorità. Niel dunque sta INGANNADO sé stesso, è l’impostore di sé stesso, svia sé stesso = non inganna solo gli altri, ma la verità è che è convinto di essere una cosa che in realtà non è = questa è la VERITA’ che l’analista cerca di toccare con mano.  AUTOINGANNO nei confronti dell’analista = Egli continua ad andare dall’analista = fa credere all’analista di sentirsi aiutato, continua la sua impostura, in questo modo mette in atto l’autoinganno dell’analista (che crede di saperlo aiutare), in questo modo cresce l’autostima dell’analista (ma è un’autostima ingannevole, è acquisita attraverso un inganno). ///CERCA SEMPRE DI MOSTRARSI superiore al D.G. - “ Un altro modo di fare il finto tonto nelle tante sedute successive fu di contestare la sua diagnosi ottimistica” = a tale punto vi è una digressione in parentesi, che ci dice che questo manipolatore forse non è tale da tutta la vita, e nelle sedute d’analisi concepisce l’idea di ammazzarsi usando una sorta di “riguardo” a sé stesso (morire senza provare un dolore eccessivo) e agli altri (non fare pasticci). Però, schiantarsi contro un ponte non è proprio il modo meno doloroso di morire. L’idea di questa morte per “rincorsa e schianto” corteggia l’idea di una morte che si approssima all’esperienza istantanea. Lo schianto è dunque più prossimo ad una morte come istantanea. A prima vista abbiamo l’impressione che come al solito, come quando lui dice “adesso te la faccio breve” e poi elenca tutto in modo per niente breve; anche qui c’è un dire che sembra un disdire. ((Ci dice che non vuole provare dolore e poi si schianta contro un ponte????)). /// Qui, quando fa delle digressioni, fa un passo indietro rispetto al solito scorrere della narrazione. Questa pausa introdotta dalle parentesi si interrompe quando fa l’elenco delle azioni che ha fatto da persona disonesta: Egli aveva detto che inizialmente l’episodio della coppa (quando aveva 4 anni) è il primo episodio in cui ha scoperto di essere impostore, invece, più avanti dice che tutto ciò parte dai suoi 19 anni, a quell’età ha scoperto di essere impostore. Dobbiamo distinguere questi 2 momenti della scoperta di impostura emotivamente parlando (a contatto con la famiglia) e la scoperta di dare un modo a questo atteggiamento, di definirlo cioè “paradosso dell’impostura”. E’ a 19 anni che acquisisce questa consapevolezza di tipo FORMALE, LINGUISTICO, che non è più “so di poter essere in questo modo”, ma in qualche modo riesce a fare un passo fuori da questo atteggiamento, dove una molteplicità di esperienza diverse sono legate e messe insieme sotto il nome di impostura. Parliamo dunque di 2 consapevolezze diverse (quella dei 4 anni e dei 19 anni). Prima non era consapevole, ingannava sé stesso, di punto in bianco riesce a vedere che tipo di persona è = altro paradosso, egli sa ciò che è, ma ciò non vuol dire avere la forza e la condizione di essere altrimenti rispetto a ciò che è realmente. Divenire consapevole dell’impostura non cambia niente nella condizione esistenziale di questo personaggio = diviene consapevole strutturalmente e formalmente di definire tale impostura, ma non esce fuori da ciò.  CHIESA CARISMATICA DI NEPERVILLE (4 MESI) “ero stato un impostore tutti quei mesi anche nella chiesa e in realtà facevo e dicevo quelle cose solo perché le facevano tutti i vecchi parrocchiani e io volevo che tutti credessero che ero sincero”= Anche in Chiesa, mentiva agli altri = Egli voleva che, mentendo, gli altri credessero egli fosse sincero. L’abisso dell’insincerità è qualcosa che si abbatte sulla persona stessa che pratica l’insincerità = egli non riesce ad essere sincero nemmeno con sé stesso, dunque si illude, si inganna. Noi siamo indotti dalle parole del narratore a considerare l’esperienza della Chiesa come fatta solo di impostura, ma d’altro canto di punto in bianco egli acquisisce la consapevolezza. Dunque, ha spinto l’impostura fino al punto di rovesciare questo autoinganno fino alla consapevolezza della sua natura di impostore.  RAPPORTO IMMAGINE-PAROLA “il PESCE è un importante simbolo di Cristo per i carismatici. Tant’è che la maggior parte di quelli tra noi che erano più devoti e attivi nella chiesa avevano degli adesivi sul paraurti dell’auto senza scritte o altro se non la semplice sagoma tratteggiata di un pesce della realtà perché gli altri continuano a fare la loro vita (passano davanti alla statua e non lo degnano di uno sguardo) è soltanto lui che sta li a lustrare la statua , ecc, è soltanto lui preoccupato dal fatto che gli altri possano vedere che sta muovendo le labbra su un disco che viene interrotto.  OROLOGIO “RESPICE FINEM” (caro alla matrigna) = un altro dei pezzi d’antiquariato cari alla matrigna (dopo la coppa di cristallo che era stata rotta da lui, per la cui rottura era stata incolpata Fern). Senza un’apparente legame passiamo da due sogni al sistema familiare. C’era un orologio d’argento del nonno materno con la scritta latina “RESPICE FINEM” incisa all’interno della cassa ; si parla chiaramente di un orologio da tasca, la scritta significa “guarda il fine, considera il fine / la fine” = c’è questa DOPPIA LETTURA del fine come scopo, conseguenza , fine a cui tendere e la fine come fine della propria esistenza, cioè il fatto che ogni individuo ha in fondo un solo fine che è quello della morte. Questa è come se fosse una parentesi = flusso di pensieri che si sovrappone, non c’è una linea retta , c’è una continua sovrapposizione di un tema e di un altro = dall’orologio della matrigna di ripassa al sogno - “sole trascorreva avanti e indietro…” = e non c’è un tempo che può essere stabilito , è un tempo che viene espresso soltanto nei termini di una velocità e quel movimento del sole non indica altro che un giorno che è passato ; questo giorno che trascorre da una velocità che viene impressa all’intera esistenza di Neal, non è soltanto quel giorno, quel momento, quel sogno, è la sua intera esistenza che è sottomessa allo scorrere del tempo cronologico e tuttavia non può essere più regolato , ordinato su uno strumento di misurazione meccanico, quindi su un orologio. == ((di base c’è un collegamento tra il sogno e l’orologio)))  MANIPOLAZIONE DELL’AZIENDA “dose quasi incredibile di disonestà e calcolo presenti nella mia professione” = in realtà non c’è un tentativo vero e proprio di manipolazione perché è semplicemente un modo per convincere gli altri delle proprie capacità; diventa un tentativo di manipolazione perché Neal ci dice che è un impostore. Non è solo un gesto manipolatorio che va al di sotto , ma è anche una manipolazione che va al di sopra = è lui che si pone in modo tale quasi da validare la posizione dei suoi superiori perché dice che questi superiori devono riconoscersi come più intelligenti rispetto a lui che è chiaramente a loro sottoposto ; inoltre è una manipolazione che non riguarda più soltanto lui ma una manipolazione che riguarda tutta l’azienda, è proprio una politica aziendale ed “è un balletto basato sull’impostura e sulla manipolazione dell’immagine che gli altri si facevano della tua capacità di manipolare le immagini” = gioco ironico di Wallace in cui la manipolazione della propria immagine si riflette nella capacità personale di manipolare le immagini perché siamo in un’agenzia pubblicitaria in cui si occupa di media buying e quindi dello studio statistico volto alla valorizzazione dei messaggi pubblicitari che vengono collocati per ragioni di calcolo su determinati siti e in determinate fasce orarie ed è lì chiaramente una manipolazione delle immagini. --- da qui abbiamo uno STACCO GRAFICO (spazio bianco).  DOTTOR GUSTAFSON che si “lisciava i baffi” = siamo ritornati con un salto notevole al momento in cui il dottor Gustafson si lisciava i baffi ed è il momento in cui c’è quella rivelazione che precede il momento della rivelazione sull’impostura. Come viene stravolto questo gesto che precede la dichiarazione intuitiva da parte del dottor Gustafson? Con una sorta di CONTRO-ANALISI che viene portata avanti da Neal [aveva detto in precedenza che continuava ad andare in analisi per aiutare il dottor Gustafson e non per lui] = questa sua contro intuizione è supportata nella sua visione dall’idea che il dottor Gustafon voleva incentrare la sua terapia su due temi (molto sentiti all’interno di un certo tipo di società statunitense , cioè quella dei maschi bianchi che si trovano in una posizione privilegiata dal punto di vista sociale “self made man”) = questi temi sono la PROBLEMATICA DELLA MASCOLINA IN GENERALE e l’IDEA CHE LUI SI ERA FATTO DELLA SUA MASCOLINITÀ / VIRILITÀ (si riflette ancora una volta come cliché). - COSA PENSA NIEL DEL D.G. IN QUESTO AMBITO? Il dottor Gustafson si liscia i baffi perchè vuole essere rassicurato sulla propria sessualità, sulla propria virilità, in realtà sta facendo questo perchè addirittura ha delle insicurezze sessuali o forse è omosessuale. Tutte queste insicurezze che appartengono alla sfera del dottor Gustafson vengono riversate da lui sui suoi pazienti = cioè tutti i tentativi messi in atto dal dottor Gustafson sono in realtà un tentativo di nascondimento di quelle che sono le sue problematiche. Il D.G. afferma che è la cultura americana ha portato i maschi bianchi con una certa posizione sociale ad avere un’idea sbagliata di quello che è il vero uomo, cioè di quello che è il simbolo della mascolinità /virilità. Serie di cliché = è tutto un sistema rappresentativo americano che qui il dottor Gustafson mette in atto per far capire a Neal di essere anche lui vittima di questo sistema, però Neal utilizza questo sistema a svantaggio del dottor Gustafson e non a suo vantaggio, cioè ribalta la questione, non è lui ad avere un problema con questo sistema di rappresentazione del vero uomo, ma è il dottor G. che ha degli scompensi di carattere sessuale sempre nella visione di Neal. [QUINDI IN REALTÀ TUTTO QUELLO CHE IL DOTTORE DICE DI LUI È UNA SUA MANIERA INCONSCIA PER AFFRONTARE DEI PROBLEMI CHE NON VUOLE AFFRONTARE]  TEMA DELLA MASCOLINITA’ (appartenenza al mondo maschile) = nei confronti dell’omosessualità del D.G. L’essere maschile viene ridotto ad un cliché = infatti Niel stesso è emblema del maschio bianco americano sportivo, lavoratore, donnaiolo ecc. In tutte le descrizioni è presente l’ansia di non essere all’altezza, sono esperienze di paura (paura dello sguardo degli altri, di essere all’altezza, di compiere un gesto). A riguardo del D.G. e riguardo la mascolinità Niel pensa “che subiva forti insicurezze sessuali e forse anche di tipo omosessuale” = il D.G. cercava di nascondere le sue nefandezze e per farlo proiettava le sue insicurezze sui pazienti, spingendoli a credere che la cultura americana avesse un sistema brutale verso la figura di quello che deve essere un “vero uomo” (ovvero, vincere ad ogni costo, dominare gli altri, non manifestare emozioni, vedere solo risultati).  2 ORIENTAMENTI CHE UNA PERSONA HA NEL MONDO = AMORE E PAURA = L = LOVE / F = FEAR. Per ogni esperienza o c’è l’una o c’è l’altra, non vi è mai un esperienza in cui non ci sia l’una o l’altra. Neal ci dice che IL DOTTOR GUSTAFSON AVEVA AVUTO UN INTUIZIONE riguardo i due soli orientamenti di un essere umano ovvero l’AMORE o la PAURA = o si vive nell’amore o si vive nella paura, se si è innamorati non si può avere paura, se si ha paura non si può essere innamorati; e questo viene tradotto in termini logici. Qual è il problema di Neal che viene decriptato dal dottor Gustafson? Quello di essere figlio di una mascolinità che viene imposta dal modello americano (considerare il maschio come il self made man, QUESTIONE DEL SOGNO AMERICANO). = questo modello impedisce al maschio americano di amare perché viene provocata in lui, in maniera inconscia una forma di paura (se si vive nella paura non si può vivere nell’amore ). C’è uno spostamento dall’impostura, cioè dall’immagine, dalla consapevolezza che è questa difficoltà e incapacità di rivolgersi agli altri senza prima aver costruito un’immagine di sé ad un INCAPACITÀ DI AMARE PER DAVVERO = che quindi viene riletta nei termini di una prospettiva di genere ( non è semplicemente una questione di genere dice Neal ma siccome è un maschio bianco statunitense che vive questo problema allora sto generalizzando questo problema per capire la mia impostura ) allora forse la sua impostura deriva da una INCAPACITÀ CONGENITA DI AMARE.  BEVERLY-ELIZABETH SLANE (-chiesa Carismatica) = Questa ragazza METTE A PARAGONE NEAL CON UNA MACCHINA, UNO STRUMENTO IN GRADO DI CAPIRE LA PERSONA CHE GLI STA DI FRONTE MEGLIO DI QUANTO POTESSE FARE LA PERSONA STESSA = In un rapporto umano non c’è bisogno soltanto del riconoscimento della comprensione di uno stato quanto di una significazione di quello stato. E questo manca a Neal, perché lui è arrivato a una condizione esistenziale in cui è talmente abituato ad analizzare ogni minima reazione da parte degli altri, ma non dà a quella reazione un significato, cioè NEAL NON RIESCE MAI AD ENTRARE IN EMPATIA CON L’ALTRO. Beverly-Elisabeth Slane ((che detiene la cosiddetta “potenza di fuoco” è l’unica fino a questo momento insieme al momento Gurpreet ( questa è una consapevolezza da parte di Neal che non viene mai confermata dai fatti ) a mettere Neal di fronte alla sua pochezza, di fronte al suo vuoto interiore. = gli dice molte cose dure rispetto al suo modo di porsi di fronte a lei [UNO SGUARDO CHE è CAPACE DI PENETRARE, DI COMPRENDERE, però NON RIESCE AD ESSERNE PARTECIPE, NON C’È EMPATIA] = PERCHE SI STA GUARDANDO L’ALTRA PERSONA SEMPLICEMENTE COME SE FOSSE UN PROBLEMA O UN ENIGMA DA RISOLVERE. = NEAL TRATTA LE PERSONE COME ENIGMI DA RISOLVERE. === sintesi conclusiva è che ESSERE DISONESTI ed ESSERE INCAPACI DI AMARE sono la stessa cosa.  Niel come una MACCHINA DIAGNOSTICA = egli riconosce a Beverly una potenza di fuoco, rendendo omaggio alla sua lucidità, essendo una (se non l’unica) persona che è andata realmente a fondo e che avesse enunciato in modo chiaro la disperata condizione esistenziale di Niel. Egli, come una macchina diagnostica vede tutte le cose distintamente fino in fondo nel loro dettaglio = questo penetrare all’interno e vedere nel dettaglio non ha però un significato affettivo, se non quello di immagazzinare ciò e reinvestirlo a beneficio di una manipolazione (verso sé stesso e verso l’altro).  DISONESTA’ uguale ad INCAPACITA’ DI AMARE “Anche se essere disonesti ed essere incapaci di amare di fatto erano la stessa cosa …” = bisogno di manipolare gli altri affinché mi vedano come voglio, questo è odio verso di sé, è non concedersi alcuna spontaneità né amore autentico, è una forma di odio di sé (non c’è odio peggiore di sé che non consentirsi di amare, non amare che in questo caso significa anche odiare sé nella misura in cui non ci si consente di evadere da questo “gioco”). Di fatti la RADICE non era la disonestà ma l’incapacità di amare (che poi si riveleranno la stessa cosa) = a tale proposito, cita una ragazza GINGER MANLEY (di Aurora Est High, 1979), vista come l’unica ragazza che avesse amato veramente. Egli afferma però “la verità è che era la prima ragazza con cui fossi andato a letto ed il sentimento di tenerezza che provavo per lei era più nostalgia per la sensazione” = anche qui, di fondo, non c’era “empatia”, piuttosto un pensare a sé stesso.  PARADOSSO, quando capisce che l’impostura porta con sé anche la paura di amare = la comprensione che l’impostura porta con sé anche i temi dell’amare e dell’avere paura ci spinge fino al VERTICE dell’analisi (e in qualche modo ci aspetteremmo una “discesa” in questo percorso); ma proprio in quel momento Niel ci racconta che prende la decisione di suicidarsi. Quando capisce che l’impostura comprende l’amare e l’odiare sembra essere talmente privo di originalità, talmente abusato, addirittura fastidioso, da essere deriso per la sua falsità. Quella risata è, in breve, parte del gioco dell’impostura e mostra la definitiva presa di distanza da tutto ciò che appare sincero ed emotivamente coinvolgente, precludendo definitivamente ogni possibile soluzione al paradosso del mentitore. Da qui la scelta di Neal di togliersi la vita. - “Tu penserai questo tizio non fa altro che tirarla per le lunghe, perché non arriva alla parte in cui si ammazza e spiega o giustifica perché è seduto qui accanto a me in questo BOLIDE a raccontarmi tutto questo se è morto nel 1991” = quando dice “tu” a chi si riferisce? Al lettore? E’ niel che parla al lettore oppure David Wallace che immagina tutto ciò? Ci afferma di essere morto nel 1991, allora come fa a parlare da una condizione POST-MORTEM? Riferimento al “bolide” = ci avviciniamo di più al senso dell’automobile. Questo riferimento ci inganna, perché sembra dare un nome a quel “macchinario” (di qualche pagina prima) e sembra volerlo avvicinare all’automobile con cui il narratore si suicida. Ci avviciniamo ad una delle parti più toccanti del racconto = quando parla del momento che ha vissuto prima di morire, gli ultimi pensieri, la chiamata all’ufficio, e soprattutto il rivolgersi alla sorella. - “Prima di prendere il primo Benadryl passai quasi due ore a scrivere a mano un biglietto per mia sorella Fern… nel biglietto mi scusavo per la mia disonestà E/O incapacità di amare ” = con l’artificio dello slash c’è il connubio tra disonestà e/o incapacità di amare. Parla di come sia difficile esprimere il proprio rincrescimento, tenere qualcosa dentro, non condividerla, e illudersi che non condividendola si possa comunque andare avanti. Il suo biglietto è una serie di lunghe scuse e di espressioni di quanto gli dispiaccia aver avuto quel comportamento con la sorella, ma poi dice che sa che le scuse non possono bastare ad ottenere il perdono (altra ambiguità). - Mentre quest’uomo dall’aldilà rievoca la scrittura del biglietto suicidario, non sono molte le situazioni in cui il protagonista ritrae sé stesso nella figura di scrittore, come colui che scrive un testo / Niel parla e racconta, scrive = sappiamo che scrive perché ce ne parla, oppure sappiamo quello che dice quando parla perché non è nient’altro che lo scrittore? Se lui scrivendo a Fern non entra nei dettagli come fa con noi, tutto quello che abbiamo letto fin’ora cambia registro = 1) tutto quello che leggiamo è un lungo biglietto di addio scritto da una condizione post- mortem, 2) oppure lo scrive prima di ammazzarsi immaginando queste cose, 3) oppure non si è ucciso ma leggiamo solo un testo di chi ci destina tutto ciò in senso scritto (e quindi parliamo di David Wallace). Noi indentifichiamo Niel come l’asse del narrare / David Wallace non spiccica una parola di suo (leggendo il testo non troviamo parole che potremmo legare a lui, perché egli è sul divano, sfoglia l’annuario e pensa cosa potrebbe essere successo a quel ragazzo, immaginando), però c’è anche David Foster Wallace che non immagina, ma prioritariamente scrive. Insieme a Niel, David Wallace e David Foster Wallace, subito dopo ci siamo noi = e la comunicazione avviene tramite questi fili dati dalla differenza di potenziale tra Niel che parla e racconta e David Wallace che immagina Niel parlare e raccontare. - “… siamo arrivati a quanto ti avevo PROMESSO ” = elemento cruciale, nella misura in cui la FIDUCIA non è semplicemente la condizione che ci tiene vincolati all’ascolto della narrazione. Ogni ascolto e narrazione presuppongono un PATTO DI FIDUCIA tra il parlante ed il destinatario = tale elemento è oggetto di una costante negazione, di paradossi, cliché.  PRIMA DEL SUICIDIO (biglietto a Fern) = si preoccupa di dire a Fern che lei non rientra nei motivi del suo gesto, maturando un senso di colpa che è riconoscimento del suo problema (disagio, insoddisfazione, incompiutezza, inganno, disonestà costante). Il DISCORSO INTERIORE del protagonista, che si avvicina all’istante del suicidio, nutre una serie di paure in più rispetto al momento che equivale alla PROGRAMMAZIONE del suicidio (quando era a casa sua facendo colazione o la notte in preda all’insonnia). NEL BIGLIETTO A FERN = Niel ancora una volta è consapevole dello stile che bisogna usare in questa conversazione = se si fosse abbandonato ad una scrittura filosofico-logico, avrebbe omesso quella spontaneità, c’è dunque ancora una volta un controllo su ciò che scrive, sulla “manipolazione di sé”. Il biglietto “suicida” non riesce ad evadere da quella “prigione” dell’impostura: nel biglietto egli modula le sue scelte in base all’utilità/impressione, alla reazione che questo biglietto provocherebbe nella sorella Fern. Il biglietto apre uno squarcio sulla FUNZIONE DELLA SCRITTURA = la funzione dello scrivere ci invita a prendere nota delle molteplici possibilità del linguaggio e della comunicazione, cioè dei vari ordini del discorso che qui si intrecciano = il dire, il narrare, il raccontare, possono essere da un lato espressione di parlare ed enunciare a voce; dall’altro lato possono significare “mettere per iscritto”, trasmettere attraverso la scrittura. Queste modalità si intrecciano, come in un gioco di specchi. In questo biglietto c’è tutto il tempo per chiedersi, ipotizzare, immaginare quale sarà la reazione della sorella.  PARADOSSO: se è morto, come può parlare? Il protagonista parla di sé come di una persona che si è tolta la vita, dunque nel momento in cui prende la parola per destinarci questo racconto, egli evidentemente non deve essere in vita = ovvero, non condivide più come noi lettori del tempo presente un radicamento in un luogo e un momento (che siano spazialmente e temporalmente collocabili). Il paradosso si instaura in quanto l’interlocutore del suicida è al tempo stesso dentro la sua macchina quando il suicida sta per ammazzarsi, ma è anche dentro un altro tipo di macchina (non intesa come “vettura”) = leggendo le sue parole siamo anche noi in quella macchina lanciata ad alta velocità ((come effettivamente ognuno di noi nella sua vita è lanciato ad alta velocità verso una fine che non si può “scansare”, e siamo insieme al protagonista nel senso della descrizione minuziosa di tempi, luoghi, pensieri, stati d’animo)).  “E siamo arrivati alla parte dove mi uccido per davvero…” = ciò accade alle 9.17 di sera del 19 agosto 1991. Si sveglia e decide di farla finita, perde 2 ore per scrivere il biglietto a Fern, ma passano delle ore fino alle 19, passano altre 2 ore di preparativi e poi si schianta = è tutto un po' incerto, è un terreno friabile, non sappiamo realmente cosa ci sia stato nel mezzo di quelle ore. (((Fa un affastellamento di cliché che portano quasi il lettore al nervoso, e poi il narratore riprende la nostra attenzione facendoci rimanere incollati alla pagina, perché ogni cosa che dice ci porta di più sempre verso il momento in cui si suicida. E’ dall’inizio del racconto che dice di evitarci elenchi, approfondimenti ecc., ma in realtà non fa altro che proseguire per elenchi, approfondimenti, digressioni: continua così a riformulare sempre le solite cose, allontanando il momento del suicidio.)))  PARADOSSO DELLA FINZIONE, TEATRALITA’ = più vediamo scene, più diventano cliché, ma pur essendo cliché (essendo teatrali ed avvincenti, come la scena del suicida che scrive il biglietto di addio) hanno anche qualcosa di molto importante: “permettono di comunicare realtà emotive complesse e molto profonde… ”. Fin da quando abbiamo la capacità di leggere o vedere spettacoli teatrali, ci siamo imbattuti in scene di persone che prima di suicidarsi scrivono un biglietto di addio = il paradosso sta nel fatto che quelle scene sono e non sono un cliché, ma siccome non possiamo fare a meno di vedere tali scene, siamo spinti a provare “empatia” di queste scene, di vederle in film, teatro ecc, e cosa ci porta a ciò? Che le scene teatrali sono talmente teatrali da essere avvincenti, dal catturare la nostra attenzione e il nostro sguardo, c’è un’intrinseca seduzione. Questo sarebbe già sufficiente a spiegare perché rivediamo milioni di volte scene ad esempio della nostra coppia preferita in quel dato film. Ma l’altro livello, uscendo fuori dal testo, è che nonostante tutti questi moduli narrativi/cliché (cose di cui siamo pieni fin da sempre), tutta questa ritualizzazione che fa di questi modelli qualcosa di profondamente toccante, è che queste scene permettono di comunicare realtà emotive molto complesse/ed è quasi impossibile esprimere tali realtà emotive se non attraverso quei moduli narrativi, attraverso quei mezzi. Sappiamo che è finzione, che non è nulla di reale, che si tratta sempre dello stesso cliché (i 2 che si amano ma si separano, i 2 che si amano ma sono destinati a stare lontani ecc.), eppure ogni volta tutto ciò che ci arriva tramite quelle scene ci spinge a continuare. Non solo lo strumento letterario seduce lo sguardo dello spettatore, ma attraverso questa seduzione e questo cliché, esso permette soprattutto di comunicare realtà profondamente emotive che sarebbe quasi impossibile esprimere in altri modi. Il problema non è più il cliché in quanto tale, ma l’uso che facciamo di tale cliché, l’esperienza che abilita.  PARADOSSO GRAFFITI PRIMA DELLO SCHIANTO = “… imbrattato di graffiti che non si riesce neanche a leggerli (il che annulla lo scopo dei graffiti, a mio parere)” .= il paradosso è che più si scrive su questa parete e meno ha senso scriverci sopra, perché più si ricopre di graffiti e meno si riesce a leggere, dunque viene meno il senso dei graffiti. Estendendo tale paradosso, potremmo dire che più ci si sforza, più ci si mette impegno per raggiungere uno scopo e meno si riesce ad ottenere una cosa = più si scrive e meno si rende possibile una lettura. Il fatto che più si facciano graffiti e meno è possibile che qualcuno li legga, vale anche per le parole del protagonista che ha “ammucchiato” descrizioni, sinonimi, perifrasi, esempi, prima di giungere al momento cruciale, e ciò che ha fatto è stato rende il testo meno leggibile, più frazionato. (ciò si lega al paradosso linguaggio-esperienza, vedi sotto). - Verso una PROSA LIRICA = Prima abbiamo stili di prosa molto netti, con una robusta prosa letteraria, più avanti la frase è spezzata, contratta, interrotta con gli “ecc.ecc.”, quasi non c’è più il verbo che connette i sostantivi tra loro, e tutto ciò ci rimanda ad una prosa lirica. - “Ero preoccupato che l’uomo che avevo a fianco (in macchina) cercasse di andarsene nel modo più teatrale possibile” = chi è che parla in questo caso? Vi è la prospettiva esterna di un qualcuno.  PARADOSSO DELLA NEBBIA (che si estende al linguaggio ) “La nebbia al suolo tende a raddensarsi …” = quando un automobile è nella nebbia, più si potenzia l’illuminazione per cercare di vedere meglio e meno si riesce a dissolvere questa visibilità, dunque il tentativo di illuminare qualcosa significa renderla meno visibile. Questo paradosso si estende al linguaggio in quanto nel momento in cui noi aumentiamo la nostra capacità di descrivere, illuminare e determinare attraverso le parole, proprio quello è il momento in cui le cose ci sfuggono maggiormente. Tale paradosso indica anche lo SFORZARSI PER OTTENERE MENO = intensità e sforzo rendono meno intensa l’esperienza, fino al rischio di farcela perdere completamente. ripresenta la macchina per la TERZA volta, già citata, probabilmente si tratta della Corvette. La METAFORA TEMPORALE (legata anche alla funzione della nebbia) fa sì che questa macchina a bordo della quale ciascuno di noi viaggia compie un percorso, e dunque si lascia alle proprie spalle un tratto di strada che diventa sempre più grande (passato) e si spinge verso qualcosa di nebuloso, di ignoto (futuro), e l’istante presente ce lo rappresentiamo come la punta di questa automobile che tende verso la nebbia del futuro, ci entra facendo scorrere gli istanti. ALTRO PARADOSSO SUL TEMPO = “come fai per parlare di tempo che fluisce o si muove vai subito a sbattere contro il paradosso”: paradosso consiste nel fatto che il tempo è la misura dello scorrere, eppure esso stesso scorre. Ma come fa qualcosa che scorre esso stesso a rappresentare la misura di tutto ciò che scorre, cioè di tutto ciò che ha un movimento e una velocità? Proprio in qui risiede il PARADOSSO, il tempo misura il movimento (altrimenti ci sarebbe quiete), ma scorre esso stesso, e dunque è in movimento. C’è anche un riferimento importante al NEON = per un racconto che si chiama “caro vecchio neon”. == VEDERE BENE QUESTO PASSAGGIO del perché del titolo.  DOPO LA PAROLA “FINE” (dopo la nota) C’E’ ALTRO = anche dopo questa nota e dopo l’ultima parola “fine”, ci sono comunque altre parole, altre riformulazioni, altre cose da dire = usando altre parole, ulteriori a quelle usate fin’ora, si va avanti. Non c’è capoversazione, non ci sono virgolette, la nota interrompe in modo non sostanziale la linearità e contrassegna la prosa del testo. Quest’ultima nota, da un punto di vista redazionale, ci vuole segnare un intervento ma va a sterzare il racconto verso una fine, senza interrompere la PRESA DI PAROLA, la soggettività del discorso, il soggetto del discorso (che è sempre Niel). - “Ma ecco fa così bene…” = è Niel che parla oppure David Wallace che ha un infinità pietà di questo ragazzo, dicendo a Niel che si è ucciso, ma gli avrebbe detto “certo che sei stato un impostore, certo che manovri quale parte mostrare di te, ma ciò non avrebbe dovuto concludersi con un suicidio, ho provato a immaginare e darti parola, mi sono messo nella tua testa, ho immaginato tutto, e posso dire (dopo questo sforzo immane di immaginare cosa ha segnato la tua vita) che sicuramente eri impostore, ma questo non implica la necessità di togliersi la vita, se l’hai fatto è perché hai deciso di farlo, ma non era necessario farlo”. L’alterativa a tutto ciò quale sarebbe stata? Ridere, piangere, aprirsi, condividere = dunque, FALLIRE. Un suicidio è per certo un fallimento, sentirsi imprigionati e non fare nient’altro che farla finita / oppure uno può fallire, affrontare percorsi, lavorare su sé stesso, aprirsi a nuove esperienze, e tutto questo non si può rimproverare a chi si toglie la vita. Non è solo triste fallire, dichiarare la propria infelicità, è ancora più triste spegnersi e togliersi la vita = parliamo di un personaggio che aveva “la potenza di fuoco” e nonostante tale capacità verbale, logico-filosofico, decide di togliersi la vita - Il punto è = è Niel che parla a sé stesso? O David Wallace che parla a Niel? Se fosse Niel in soliloquio con sé stesso prima di schiantarsi, i tempi verbali non ci tornerebbero completamente/ per uno che si approssima all’istante della morte, che senso ha evocare una contro-possibilità? Se questa contro-possibilità ci persuade, se cambiamo idea, allora abbiamo ancora una strada, invece la conclusione è quella dell’impatto della macchina. “… tutti gli infiniti frattali di collegamento ripiegati su se stessi e le armonie di voci diverse” = tutte le voci che parlano nella nostra testa, come in quella del protagonista che ha rievocato le figure incontrate nel corso della sua vita, che ha parlato secondo registri diversi, ecco tutti questi registri sono altrettante voci che si sono INTRECCIATE in un'unica voce (quella di chi narra). UNA SECONDA VOCE = “certo, sei un impostore, certo, quello che gli altri vedono non sei mai tu. E tu certo lo sai, e tu certo cercherai di manovrare quella parte che vedono se sai che è solo una parte..." = sembra che vi sia un’AMBIVALENZA nell’interlocuzione, che gradualmente stia affiorando nella voce di questo protagonista un’altra voce, o una voce altra che davvero non possiamo ridurre fino in fondo alla voce del protagonista. - “Il paradosso che sbattevo in faccia al Dottor Gustafson” = il momento in cui pensiamo che sia David Wallace a rivolgersi a Niel, viene interrotto da una parentetica, quindi di nuovo c’è quest’oscillazione che ci porta a dare a Niel il soggetto del discorso = “.. un po' come il paradosso che sbattevo in faccia a Gustafson: si può essere impostore senza esserne consapevole?”. Questa frase la può pronunciare soltanto il paziente del DG, ossia il narratore, nonostante per un istante avevamo avuto l’impressione che un’altra persona stesse parlando. Tutto è costruito in modo da essere intrattabile, siamo sempre dentro la MACCHINA DELLA NARRAZIONE = “io e te siamo in questa macchina” = questo lo dice lo scrittore, e lo dice Niel rivolgendosi ad un presunto tu, trovandosi in una macchina e usando del tempo prezioso. Parliamo di questa macchinazione significa parlare del MECCANISMO del racconto, dei mille ingranaggi del racconto.  DAVID WALLACE = è l’emblema di uno che ha sperimentato in tutti i modi il fallimento, una larva insicura che tuttavia ha avuto la potenza di fuoco, la forza indescrivibile di lavorare con sé stesso, fino ad arrivare a capire che il cliché per cui non mostriamo tutto di noi né guardare negli altri, non è qualcosa che possa sbeffeggiare il tentativo di continuare a lavorare su sé stessi e continuare a fallire, ma fallire in un modo autentico (e non in un modo inautentico che rappresenta il suicidio di Niel). David Wallace ha la parte più umana, tollerante, più paziente e capace di misurarsi con la sofferenza, che è la parte più senziente, è la parte dei sentimenti con la loro autenticità, che spesso nella parte narrata da Niel era stata scalzata in secondo piano. Questa conclusione è a sua volta PARADOSSALE = l’espressione “Non una parola di più” è precisamente una parola di più. Per immaginare cosa ha condotto Niel al suicidio non è stato sufficiente dare un occhio alla sua foto, sentire, compatire, porsi nella posizione di chi prova compassione, e tollerare il dramma della sua decisione. Ma per immaginare tutto ciò e per dire che ciò si poteva evitare, c’è stato bisogno di molte altre parole. - E’ chiaro che abbiamo dei NASTRI, degli STRATI DI LETTURA, dei LIVELLI che sono = 1. Niel che narra 2. oppure David Wallace che immagina Niel che narra 3. oppure David Foster Wallace immagina David Wallace che scrive di Niel, immaginando la sua figura = quello che narra dall’inizio alla fine è sempre lo stesso, ma la cosa eccezionale è il modello del nastro di Mobius secondo cui funziona la narrazione: è sempre lo stesso nastro, che non si apre mai. Entrambi i piani stanno nella testa dello scrittore (quello di Niel o quello di David Wallace) = lo scrittore immagina scrivendo, ci sono risorse che la scrittura permette di accendere nell’immaginazione. Torniamo al TRANSITO LETTERARIO = non basta guardare, parlare, ma per toccare l’UMANITA’ dell’umano c’è bisogno della scrittura. Lo scrittore ci ha accompagnato nella narrazione, senza perdere la nostra fiducia.  E’ cosi sicuro che Niel non immagina? Egli parla di sé, dell’infanzia, di come si schianta, e da dopo morto dice tutte queste cose, e poi un certo David Wallace immagina cosa lo avrebbe portato ad ammazzarsi. Ma l’idea è: così come David Foster Wallace scrive e immagina i personaggi di Niel e David Wallace, siamo sicuri che siano solo David Foster Wallace e David Wallace (che sfoglia l’annuario) ad immaginare? Siamo sicuri che Niel oltre che a parlare, scrivere, narrare, non immagini anche? SE NIEL NON SI FOSSE UCCISO e ogni volta dicendo “tu lo sai ecc.”, stesse parlando lui con qualcuno che immagina potrebbe essere sopravvissuto? Dunque, quello che abbiamo letto potrebbe essere anche L’IMMAGINAZIONE DI NIEL, che è un impostore ecc., e ha messo in scena la propria morte prima che avvenisse, ha messo in scena ciò che si prova, ha immaginato David Wallace (che dopo la sua eventuale morte) lo immagina, e lo immagina non come solitamente noi immaginiamo altri, ma lo immagina DANDOLI LA PAROLA. Allora, la parola è di David Wallace, ma è stata mentalmente esercitata da Niel.  COSA DISTINGUE le 2 istanze di immaginazione di Niel e David Wallace , cosa distingue questi 2 esercizi? 1. L’esercizio immaginativo di Niel è un tentativo animato dalla compassione, immaginare cioè cosa abbia condotto qualcuno a togliersi la vita, dicendo lui che non era necessario ammazzarsi, ma senza giudicarlo = compassione nell’entrare nella testa di un altro, entrandoci empaticamente. 2. Niel che parla e immagina David Wallace che lo immagina parlare, che esercizio è? Niel per tutta la sua vita immagina in che modo gli altri lo vedono per manipolarli, è stato dunque un ESERCIZIO STRUMENTALE, cerco di vedere in che modo mi vuole vedere quella persona, così manipolo la mia immagine. Il punto terminale qui è sempre NIEL, perché David Wallace è descritto come qualcuno che ora ha un’immagine di Niel == dunque Niel riesce ancora una volta nell’impostura, fornendo l’immagine di sé a David Wallace.  TEMA DELL’IMMAGINAZIONE = possiamo individuare generalmente una distinzione tra immaginazione INAUTENTICA (calcolatrice, che immagina cosa pensano gli altri solo per trarne un vantaggio personale, si utilizza per creare o rappresentare qualcosa che non è reale o non è vero. Ciò può includere la creazione di finzioni o illusioni, o la rappresentazione di qualcosa in modo fuorviante o ingannevole) vs immaginazione AUTENTICA ( che tenta empaticamente di accostarsi all’altro, di capirlo nelle sue reazioni, che ha dunque un valore positivo. WALLACE e NIEL = possono essere distinti come caratteri finzionali, personaggi in cui prevale l’una o l’altra funzione. NEAL è rappresentato come colui che ci intrattiene parlando di sé, è colui che narra, ma quando arriviamo alla fine del racconto, tutto questo si ribalta e tutte quelle parole potrebbero essere nella mente di WALLACE = egli presta la parola a Neal, permettendogli di parlare seppur è ormai morto (attraverso l’atto dell’immaginazione). L’immaginazione è dunque entrare NELLA STANZA DELL’ALTRO, ma se Neal durante la sua vita ha cercato di mettersi nella testa degli altri per calcolare reazioni ed impressioni che avrebbero avuto di lui, WALLACE prova a trasferirsi DENTRO la testa di Niel, dandogli parola ed immaginando.  CAMBIO DI PROSPETTIVA SUL PARADOSSO “La realtà è che morire non è brutto, ma dura per sempre. E per sempre non rientra nel tempo. Lo so che sembra una contraddizione, o magari un gioco di parole. In realtà si tratta, a ben vedere, di una questione di prospettiva.” = ciò implica che l’enunciazione stessa della contraddizione del paradosso insieme al modo in cui esse viene sperimentata e vissuta, dipende profondamente dalla prospettiva che si ha sulla contraddizione e sul paradosso. Come a dire che la paradossalità non è qualcosa di neutro e statico e completamente indipendente dall’esperienza che se ne ha. Il paradosso invece PUO’ CAMBIARE completamente di senso a partire dall’esperienza che se compie: non è mai possibile che l’esperienza fuoriesca dalla sua condizione paradossale, ma tuttavia si può stare
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