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Caroli, Gatti Storia del Giappone RIASSUNTO, Sintesi del corso di Storia dell'Asia

Riassunto completo del libro storia del giappone, per esame con prof Ferretti

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 07/05/2019

Nella123
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Scarica Caroli, Gatti Storia del Giappone RIASSUNTO e più Sintesi del corso in PDF di Storia dell'Asia solo su Docsity! Capitolo 1: Dalle origini alla fondazione dello stato su modello cinese Le origini della cultura giapponese nel periodo pre-agricolo Il problema delle origini etniche della cultura preistorica dell’arcipelago giapponese è oggetto di continue indagini su come e quando i primi popoli primitivi si stanziarono nell’arcipelago. La tesi più condivisa suggerisce che ciò sia avvenuto quando le isole giapponesi erano ancora unite al continente. Utilizzavano utensili litici e di osso rozzamente realizzati, praticavano forme di caccia, andarono popolando alcune zone costiere e non erano in grado di produrre oggetti di ceramica. La fase di passaggio verso il neolitico è collocata circa attorno al 10.000 a C si tratta del periodo Jomon( o del disegno a Corda o di stuoie di paglia). I più antichi manufatti di terracotta (dogu) riproducono figure a cavallo tra il mondo umano e quello animale, presentano seni e addomi sporgenti (si suppone che fossero donne) e la loro funzione sembrerebbe collegata all’invocazione della fertilità dell’abbondanza. La loro funzione forse era quella di una sorta di amuleti su cui trasferire le malattie, le calamità degli individui, e probabilmente lo stesso rischio di morte legato al parto. È possibile definire alcune fasi dell’evoluzione di questa cultura. • Fase iniziale: transizione tra il Paleolitico e il Neolitico attorno al IX-VIII millennio a.C. Sfruttamento dei prodotti marini favorito dalla fine dell'epoca glaciale e maggiore stabilità climatica Vivevano in gruppi in piccole capanne Seminterrate Diffusione della pesca e della caccia (ritrovamenti di ami da pesca, arpioni e archi) Uso di piante e semi selvatici • Tra 5000 e il 3500 a.C: miglioramento delle condizioni climatiche e innalzamento del livello del mare. Kanto si trasforma in a in un’ampia palude di marea, nelle regioni occidentali e nelle isole Ryukyu è probabile che fosse praticata anche la pesca in profondità • Metà del IV millennio a.C.: spostamento del centro della cultura Jomon dalle fasce costiere alle regioni interne • A partire da circa il 2000 a.C.: sviluppo di un’economia fondata sullo sfruttamento dei prodotti marini con tecniche più elaborate per effettuare la pesca in profondità Lo studio della ceramica nella fase conclusiva del periodo indica la presenza di contatti tra alcune regioni del Giappone e la penisola Coreana Attraverso la pen. Coreana è stata introdotta fra il IV e III secolo a.C.la tecnica di coltivazione del riso tramite irrigazione I prodromi dell’economia della società agricola L’introduzione della risicoltura dal continente segna l’inizio del periodo Yayoi (300 a.C-250-300 d.C) prende nome dalla zona di Tokyo che restituì i primi esemplari di un nuovo tipo di ceramica. Pur se decorata in modo meno elaborato la ceramica yayoi, lavorata al tornio e prodotta in un’ampia varietà di fogge e misure risulta essere di qualità superiore rispetto a quella jomon Attraverso la penisola coreana sarebbero giunti dalla Cina anche oggetti e prodotti nuovi come armi e specchi di bronzo o attrezzi agricoli in legno pietra e ferro. I contatti con il continente vanno via via aumentando. La diffusione della risicoltura interesso dapprima il Nord del Kyushu (zona più prossima alle vie di comunicazione con la pen. Coreana) L’economia ha continuato a fondarsi anche su altre attività quali la caccia e la raccolta, praticate per lo più nelle zone collinari, e la pesca effettuata lungo le coste marine. Nelle zone più facilmente irrigabili si stanziarono gruppi di famiglie che vivevano in capanne dal pavimento di terra, pilastri, travi di legno e tetti di paglia, costruite l’una accanto all’altra e raggruppate in villaggi. La prima parte del periodo Yayoi è comprovata dalla produzione di una ceramica assai varia e diversificata. Vari e diversificati risultano essere anche i culti e riti: il benessere dipendeva infatti dalla terra, dall’acqua e dal sole, indispensabili per un buon raccolto e i riti erano finalizzati a propiziarsi il favore della natura attraverso l’ottenimento della protezione delle divinità locali, i Kami. Il capo della comunità assume il potere spirituale accanto a quello politico divenendo una sorta di sommo protettore. Questo è il culto dello shinto primitivo caratterizzato da credenze animistiche, pratiche magiche e influssi sciamanici e del tutto privo di speculazioni metafisiche, di dottrine o di sistemi morali. Lo scintoismo primitivo è dunque un culto della natura che si esprimeva nell’identificare come Kami monti, fiumi e cascate, alberi, rocce o vulcani e nel ritmare le fasi vitali dell’attività produttiva come la semina il raccolto. Non concepiva l’idea del peccato come effetto di una trasgressione; il male (tsumi o cosa sgradita agli dei) è il risultato di un’azione esterna, una condizione che poteva essere trasformata con il ricorso al rito. È probabile che in origine gli scarsi contatti tra le singole comunità abbiano portato all’affermazione di culti differenziati e che solo successivamente si sia generata la loro fusione. L’impegno collettivo del culto dei Kami contribuì a rafforzare il legame spirituale tra i gruppi di famiglie che si erano stanziate. le opere redatte in Cina nel periodo precedente alla diffusione del sistema di scrittura cinese nelle isole giapponesi costituiscono le prime testimonianze scritte relative alla seconda metà della cultura yayoi. A partire da circa il 100 d.C andava avviandosi una lenta trasformazione delle comunità locali all’interno delle quali prendeva forma una stratificazione sociale. si sarebbe poi determinata una differenziazione della forza economica e militare tra le singole comunità. Gli scavi archeologici hanno riportato alla luce numerose tombe nella regione settentrionale del Kyushu risalenti alla seconda metà del periodo yayoi, contenenti specchi, armi di bronzo e ornamenti di Giada che testimoniano un’intensificazione dei contatti con il continente. Una cronaca cinese accenna viaggi effettuati nella penisola coreana dove erano disponibili oggetti di ferro di vario uso. In effetti nella parte finale del periodo Yayoi il ferro era ormai ampiamente impiegato per scopi agricoli oltre che militari, come anche la tecnica di fusione del bronzo. Verso il terzo secolo le isole giapponesi erano teatro di scontri tra paesi guidati da capi locali. Inizia ad affermarsi l’uso di costruire grandi tombe a forma di tumulo (Kofun). Lo sviluppo dell’organizzazione socioeconomica e contatti con il continente nel periodo Kofun Il periodo che vide la diffusione di grandi monumenti funerari costruiti in tumuli di terra con una forma simile a quella di una collinetta (kofun), prende avvio verso il 250-300 d.C e si protrae fino sino a circa la metà del VI secolo, quando l’introduzione del buddhismo portò al superamento di tale pratica. In genere i kofun erano corredati di grandi sculture di terracotta dette “haniwa”. Inizialmente gli haniwa avevano la forma di case, poste nel punto più elevato del tumulo e destinate ospitare lo spirito del defunto; Poi comparvero haniwa che riproducevano oggetti militari, in seguito si diffusero terracotte con figure animali e umane. Negli spazi interni era disposto il corpo del defunto, attorno al quale venivano posti vari oggetti. Questi monumenti erano simbolo della posizione delle classi egemoni, è quindi possibile attingere una serie di indicazioni in merito alla vita e costumi delle èlite del periodo come dimostra la difformità delle dimensioni di queste tombe. I capi che disponevano delle risorse per la realizzazione di ricche tombe appartenevano al nucleo dominante più noto con il termine Uji, potente famiglia di cui faceva parte un certo numero di membri legati da un vincolo di sangue. Il termine dunque esprime l’idea di una sorta di famiglia allargata e viene in genere tradotto come clan. Ciascun Uji esercitava il controllo sul territorio, a differenza della popolazione comune avevano un cognome e anche un titolo onorifico. Gli appartenenti al clan ritenevano di discendere direttamente da un comune antenato divino (lo Ujigami). Sottostavano a un’organizzazione gerarchica al cui vertice figurava il capo del clan, a lui spettava l’autorità patriarcale così come il potere di sommo sacerdote. Le facoltà di cui era investito gli venivano trasmesse in modo ereditario. riferimento a documenti scritti. In definitiva in questo periodo si può individuare un momento di transizione assai rilevante: quello tra il periodo protostorico e quello propriamente storico. Il processo di creazione dello Stato imperiale nel Giappone storico Il Giappone cominciò a perdere il controllo sulla penisola coreana a partire dal 532, quando le truppe inviate per sostenere la difesa di Paekche contro l’attacco di Siila riportarono una pesante sconfitta. Le ambizioni giapponesi furono ridimensionate con la riunificazione della Cina sotto la dinastia Sui nel 589 e, quindi, con l’unificazione della Corea avvenuta nel 668. Il capo Yamato, che aveva ormai assunto le sembianze di un sovrano esercitava un potere solo formale, che non gli consentiva di disporre delle risorse necessarie per proseguire l’attività militare, né per difendersi dalla minaccia che sembrava provenire dal continente. Così, la Cina venne a rappresentare una potenza da temere, ma anche un modello da cui trarre ispirazione. Il timore dell’espansionismo cinese, palese nell’opera di fortificazione avviata nella seconda metà del settimo secolo, ha contribuito ad accelerare il processo di centralizzazione del potere. La vittoria dei Soga apri le porte all’arrivo di monaci, reliquie, artigiani e costruttori di templi. Essi diedero un apporto determinante alla diffusione del buddhismo tra le classi dominanti. Nella zona di Asuka a poco più a sud di Nara, dove furono stabilite le sedi della corte Yamato, la nuova religione prese a fiorire producendo opere artistiche e architettoniche di grande valore. Tra queste occorre ricordare il primo vero tempio buddhista costruito in Giappone Asukadera, fatto edificare dai Soga e ultimato nel 596. Furono i Soga a rappresentare una minaccia per l’egemonia dell’uji Yamato, dato che il successo militare garantì loro una posizione predominante, fu possibile persino tentare di usurpare l’autorità del sovrano. Infatti, dopo aver sconfitto i propri avversari, Soga no Umako si impegnò per consolidare il proprio potere a corte, facendo uccidere l’imperatore in carica che, pur essendo suo nipote contrastava le sue ambizioni. Nel 592 salì al trono l’Imperatrice Suiko, che fu la prima donna ad accedere a questa carica. Allo stesso tempo, un principe sposato a una donna del clan Soga, fu nominato reggente dell’Imperatrice in carica, assumendo le redini del governo. Questo principe è noto come Shotoku Taishi (574-622), ed ha dominato per alcuni decenni la scena politica, facendosi promotore di importanti riforme che avrebbero gettato le basi dello Stato imperiale. La figura di Shotoku Taishi occupa una posizione di rilievo nella storia ufficiale giapponese; svolse un ruolo essenziale nella diffusione della nuova religione buddhista, così come nell’adozione delle idee, la cultura e le istituzioni cinesi. Mirava al consolidamento dell’autorità dei Soga che ormai si erano infiltrati nell’ambiente, ciò implicava il ridimensionamento del potere di tutti gli altri grandi capi. Il suo contributo fu determinante nello stabilimento di un solido legame del buddhismo con l’istituzione imperiale, così come nell’adozione delle concezioni cinesi cui prese a ispirarsi la creazione di uno Stato centralizzato. Avviò contatti diretti con la corte dei Sui inviando una missione ufficiale nel 600. Inoltre provvide a introdurre alcune importanti riforme ispirate al modello cinese. Nel 603, infatti, fu istituito un sistema di 12 ranghi di corte, la cui assegnazione spettava al sovrano sulla base delle sue priorità. A Shotoku è attribuita la stesura della cosiddetta “Costituzione dei diciassette articoli”, scritta in cinese ed emanata nel 604. Essa contiene un elenco di precetti e regole morali ispirati a valori confuciani, buddisti e taoisti. Il suo scopo è quello di affermare il diritto sovrano e di eliminare il potere autonomo degli uji sostituendolo con una sorta di “burocrazia”. L’ imperatore rappresenta il legame tra il cielo e la terra. Deve prevalere l’armonia che deve essere garantita attraverso il superamento dell’interesse particolare. In questo periodo, fu coniato il termine “Tenno”, composto da due caratteri cinesi che significano “cielo” e “sovrano”. Il termine, quindi, indicava un sovrano che regnava non per mandato del cielo così come postulava la filosofia politica cinese, quanto piuttosto in qualità di diretto discendente del cielo che deteneva in perpetuo il potere sacerdotale e politico. L’influsso della Cina investì anche altri ambiti, dalla poesia e dalla storiografia sino all’arte e all’architettura. La figura imperiale non smise di fondarsi sulle credenze shintoiste e non rinunciò al potere spirituale che da esse derivava. La morte di Shotoku Taishi avvenuta nel 622, interruppe solo momentaneamente il processo di riforme, che sarebbe ripartito una volta eliminata l’egemonia dei Soga, il cui il capo cadde vittima di una congiura nel 645 sotto la guida di un principe imperiale, Naka no Oe e di un membro del clan Nakatomi. Quest’ultimo fu ricompensato con un nuovo prestigioso cognome, quello di Fujiwara. Il colpo di stato che spazzò via il potere dei Soga avvenne nel primo anno dell'era Taika (Grande cambiamento). L’anno successivo l’imperatore promulgò un editto di riforma che segnò un ulteriore importante passaggio verso la centralizzazione del potere della corte imperiale. L’editto, provvedeva in primo luogo ad abolire tutti i titoli che garantivano i privilegi locali ovvero i possessi privati, assegnando il pieno controllo delle terre dei suoi abitanti al sovrano. Poi introduceva un sistema amministrativo, il quale prevedeva la nomina di funzionari che dovevano servire l’imperatore con fedeltà e obbedienza. Il territorio fu quindi organizzato in province a capo delle quali erano posti governatori provinciali. Le province erano a loro volta suddivise in distretti, guidati da capi di distretto. A livello più basso, le unità amministrative erano rappresentate da villaggi rurali e quartieri urbani, ciascuno dei quali era guidato da un capo scelto tra gli abitanti. Il centro dell’amministrazione era rappresentato dal governo imperiale. Come terzo provvedimento, si sanciva l’istituzione di registi di censo delle tasse, e venivano ordinati un censimento della popolazione e un catasto. Tutte le forme di tasse esistenti sino ad allora furono cancellate, e vennero gettate le basi di un nuovo sistema di tassazione. La riforma Taika prevedeva che la popolazione contadina fosse registrata per famiglie, le famiglie erano organizzate in villaggi. Le terre agricole furono divise sulla base di un sistema (detto Jori) che prevedeva la ripartizione di un grande quadrato di terra in altri 36 quadrati uguali, a loro volta divisi in 10 strisce. Ogni striscia, chiamata “tan” costituiva la base per l’assegnazione. Ai maschi spettavano due tan di terra mentre alle femmine spettavano due terzi della quota assegnata ai maschi. In caso di sudditi non liberi la quota si riduceva a un terzo. Il sistema era già in uso in Cina e indicato da tre caratteri (bocca, divisione e risaia) che in giapponese si leggono “Kubunden”. Gli assegnatari erano tenuti a lavorare i campi e a versare le relative tasse. Inizialmente erano costituite principalmente da seta grezza o lavorata, ma dall’ottavo secolo prevalse l’uso di versare anche cereali (in primo luogo il riso). Ai maschi era anche imposto l’obbligo di prestare servizi di corvée civili e militari, sostituibili da una tassa supplementare rappresentata da prodotti locali. L’assegnazione delle terre era soggetta a periodiche redistribuzioni. Non tutte le terre rientrarono nel sistema “kubunden”, alcune vennero assegnate sulla base di altri criteri (per rango, per merito per funzioni ufficiali). Queste erano dunque le caratteristiche del sistema fondiario fiscale previsto dalla riforma del 646, che sarebbe divenuto operativo solo dopo alcuni decenni. L’editto Taika, dunque, inaugurò una stagione di riforme finalizzate a subordinare le terre e i capi locali all’autorità imperiale, a contenere il potere di importanti famiglie vicine alla corte, e provvedere un sistema economico atto a sostenere le nuove istituzioni. Esso prevedeva la creazione di un Consiglio di Stato (dajokan) e di otto ministeri da esso dipendenti. Al di sotto vi erano altri due ministeri, della Destra e della Sinistra. Fu revisionato il sistema di ranghi di corte istituito da Shotoku Taishi. L’opera riformatrice proseguì sino a quando una disputa per la successione al trono riportò il paese in uno stato di guerra che durò alcuni mesi. Emerse un nuovo Imperatore, si tratta dell’Imperatore Tenmu, che regnò dal 673 al 686 consolidando le riforme avviate. Egli è ricordato innanzitutto per aver ristrutturato il sistema dei titoli onorifici. Questo nuovo sistema di ranghi di corte segnò così un deciso riallineamento della gerarchia politica, consentendo all’imperatore di promuovere i propri alleati e far retrocedere i propri nemici. Egli iniziò anche la compilazione di un codice che avrebbe costituito la base del famoso codice Taiho. Tenmu ritenne di consolidare la posizione del sovrano ordinando la stesura di un’opera storica ultimata molti anni dopo con il titolo di “Kojiki”. Tenmu dimorò nella residenza di Asuka, dove morì nel 686, prima che fosse edificata una nuova capitale permanente. Invece di allontanare la corte dal luogo reso impuro dal decesso del sovrano, si preferì una più razionale soluzione, basata sul ricorso di imponenti riti purificatori finalizzati piuttosto ad allontanare la contaminazione dalla sede del potere imperiale. Le grandi capitali imperiali Nel 694 fu sperimentata la prima capitale stabile a Fujiwara, poco a nord di Asuka. Dopo soli sedici anni la sede del governo imperiale fu trasferita a Nara. In questo periodo di tempo fu completato il codice di leggi avviato in precedenza, emanato nel 702 e noto sia con il nome Taiho, sia come Codice Ritsuryo, composto da due parti distinte: le leggi penali e le norme amministrative. Costituì l’ultimo atto del processo di riforme, finalizzate a stabilire un saldo controllo della famiglia del governo imperiale. Questo codice è posto in relazione con il periodo Nara (710-784). Entrato in vigore nel 702 e revisionato nel 718, il codice Ritsuryo gettò le basi del sistema amministrativo. Prevedeva il definitivo superamento delle realtà uji (che divennero soggetti all’autorità del governo imperiale) e la creazione di una massa di sudditi intesi come “persone pubbliche” (komin), sottoposte all’imperatore. I sudditi liberi (ryomin) potevano essere funzionari (kannin) e coltivatori delle terre di Stato (komin), mentre alla base di questa gerarchia figuravano i sudditi non liberi (senmin). In generale questo codice seguiva le forme e i principi di quelli cinesi. Le leggi penali adottate in Giappone, pur definendo varie tipologie di reato punite con la relativa condanna, non introdussero alcun limite alla possibilità di scegliere un coniuge all’interno del gruppo familiare, a differenza del divieto imposto dal codice Tang al matrimonio endogamo. Inoltre, all’adozione del criterio meritocratico si preferì pertanto il mantenimento di un’aristocrazia ereditaria. Al già menzionato Dajokan (consiglio di Stato) si affiancava un Ministero delle Divinità, designato con il termine Jingikan. All’inizio del periodo Nara le province erano 67, mentre i distretti erano circa 650. Dunque queste furono le istituzioni politiche, economiche e sociali adottate dal governo imperiale che, nel 710, si trasferì A Nara (all’epoca chiamata Heijokyo). La capitale copriva un’estensione di circa 20 km². I sovrani finanziarono la realizzazione di magnifiche opere buddhiste, edificate anche con l’intento di proteggere il paese da calamità e sciagure. Un esempio è il grande Buddha del Todaiji a Nara. Il Giappone, aveva all’epoca instaurato contatti pure con l’Indonesia, il Vietnam e la Malesia, anche se il partner privilegiato era costituito dalla Cina, con cui i rapporti erano stati ripristinati nel 701, a seguito dell’invio di una missione alla corte dei Tang. Pur ispirandosi alle concezioni cinesi, il Giappone coniò soluzioni originali, visibili nell’architettura, nell’arte, nella poesia e nella storiografia. Nel 712 fu ultimata la compilazione del “Kojiki” in tre volumi, scritto in puro giapponese con un complicato uso di caratteri cinesi. Da un punto di vista storico esso risulta essere poco attendibile. Assai più attendibile è invece il “Nihonshoki”, Ultimato nel 720 e ispirato al modello delle storie ufficiali cinesi. Scritto in lingua cinese, si compone di 30 volumi. Entrambe le opere avevano come scopo la glorificazione del passato e la legittimazione del diritto perpetuo della dinastia regnante. Nonostante il successo incontrato dal Buddhismo, lo Shintoismo continuò a esercitare un forte sostegno all’istituto imperiale e, come culto popolare, restò ancorato alla vita quotidiana dei giapponesi. Il sostegno accordato dall’aristocrazia di corte alla religione straniera, assorbì molte risorse economiche dello Stato e conferì al clero buddhista un potere che andava al di là di quello spirituale. Questo legame tra istituzioni buddhiste e affari di governo, fu collegato anche alla pratica assai diffusa tra la nobiltà e tra gli stessi sovrani, di diventare monaci. Non solo la carriera monastica risultava attraente per molti membri che si vedevano preclusa l’ascesa, ma per un certo periodo la scelta di ritirarsi nei templi era stata compiuta da alcuni imperatori per meglio esercitare il loro potere. Nel corso del periodo Nara ci fu una pericolosa disputa per il potere all’interno della stessa corte: salita al trono nel 749, Koken fu una fervente buddhista. Nel governo, fece affidamento su due ministri della famiglia Fujiwara sino a quando, nel 758, abdicò a favore dell’imperatore Junnin, per ritirarsi a vita monastica. Ripose fiducia in un monaco, Dokyo, che la indusse a concedergli vari titoli. Il monaco assunse un potere tale da richiedere, nel 764 un intervento armato contro di lui. Il monaco riuscì a sventare l’attacco militare, mentre l’ex imperatrice riaccedette al trono con il nome di Shotoku e provvide a condannare all’esilio il suo predecessore. Il monaco ottenne altre importanti cariche: non solo quella di Gran ministro, ma anche la carica di “Hoo” con cui si designava un imperatore che aveva abdicato per ricevere i voti buddisti. L’ambizioso monaco pretese di essere nominato Imperatore, ma l’imperatrice decise di non abdicare a favore del monaco. La fine del potere di Dokyo fu determinata dalla morte dell’imperatrice nel 770. Dopo questo episodio, solo altre due donne e diventarono imperatrici, ma la successione al trono fu ufficialmente limitata dopo il periodo Meiji. si diffuse anche il buddhismo tantrico, dottrina essenzialmente esoterica che presentava anche un aspetto popolare. Essa concepiva l’universo come una manifestazione del Buddha Dainichi (Il Grande Sole) e ne proponeva una rappresentazione con un diagramma cosmico (detto mandala). L’edificazione dei complessi monastici all’esterno di Heian rispecchiava la libertà del governo imperiale dall’influenza del clero; nel corso del periodo tuttavia numerosi templi privati furono costruiti all’interno della città, con l’effetto di riportare i monaci nella capitale. Anche se nel periodo Heian non si verificarono pericolose interferenze religiose nella sfera politica, le istituzioni religiose entrarono a pieno titolo nella competizione per il possesso delle terre. La diffusione della fede buddhista presso le masse avvenne solo dopo la fine del periodo Heian, successivamente cominciò ad essere popolarizzata grazie a nuove dottrine, come quella della Terra Pura (Jodo), Introdotta dalla Cina. Questa dottrina consisteva nella fede nel potere salvifico di Amida, Il Buddha del paradiso d’occidente, che poteva essere ottenuto recitando l’invocazione del suo nome, oppure la concezione del “Mappo” secondo cui esistevano tre fasi successive alla morte del Buddha storico: 100 anni di prosperità, una seconda fase di declino di durata millenaria, e infine l’ultimo periodo di degenerazione e decadenza. Ritenendo che il mondo si stesse avvicinando a quest’ultima fase, tale dottrina lasciava aperta un’unica via di salvezza. Queste concezioni trovarono credito più ampio nell’epoca di inquietudine e incertezza che accompagnò la transizione verso la prima età feudale, caratterizzata da sanguinose lotte civili. La diffusione del buddhismo beneficiò anche della sua capacità di assimilare i culti shintoisti, si pensava che i Kami fossero una manifestazione della divinità buddhiste, così, ad esempio, si ritenne che la divinità solare Amaterasu fosse realtà il Buddha Dainichi. Anche in ambito artistico la sospensione dei rapporti ufficiali con la Cina segna una fase di passaggio verso la creazione di una tradizione libera dai rigidi condizionamenti cinesi. La vera innovazione riguardò lo sviluppo di un’arte pittorica profana, nota come “Yamatoe”, distinta dallo stile della pittura cinese. Le corti dei ricchi templi cominciarono ad essere riempite di giardini e boschetti, di stagni e laghetti sormontati da ponti, padiglioni e altri elementi tipicamente giapponesi. L’introduzione di nuove forme artistiche dalla Cina non interruppe la ricerca di soluzioni autonome e indipendenti. Sono dunque le espressioni culturali a rappresentare l’aspetto più vitale e creativo del periodo Heian, che ci viene tramandato dalla ricca e pregevole produzione letteraria e artistica. Essa ruota attorno all’aristocrazia, che all’epoca rappresentava circa l’1% della popolazione giapponese. Tuttavia la vita che si svolgeva fuori era ben diversa dall’ambiente sino ad ora descritto: sul piano sociale il modo di vivere nelle province era comunque caratterizzato da una marcata distinzione gerarchica e la trasmissione dei diritti per via ereditaria. Origine e diffusione dello “shoen” Nel periodo Nara erano stati adottati alcuni provvedimenti che contraddicevano in modo palese i principi fondamentali stabiliti dalla riforma Taika. Infatti, allo scopo di aumentare il volume delle entrate provenienti dalla tassazione, era stata consentita la possibilità di mantenere il controllo delle aree a coloro che avevano provveduto a bonificarle. Una povertà diffusa in molte aree, unita agli onerosi obblighi fiscali aveva spinto numero crescente di contadini ad allontanarsi dalle terre Kubunden. Il governo centrale intervenì annunciando nel 722 un ambizioso progetto finalizzato a rendere coltivabili ampie zone delle regioni nord orientali, senza però riuscire a reclutare la manodopera necessaria. Di conseguenza fu deciso di affidare il compito di bonificare i terreni a singole famiglie o istituzioni, in cambio della concessione del loro possesso da una a tre generazioni. Due decenni dopo questa misura fu trasformata nella garanzia del possesso perpetuo. Di questa possibilità avevano approfittato innanzitutto la nobiltà e le istituzioni religiose. Questa tendenza si accentuò nel corso del periodo e progressivamente portò a una riduzione delle terre sottoposte al sistema kubunden. Verso questi possedimenti privati (noti come shoen) che gradualmente si affrancarono dal controllo centrale e dall’obbligo di pagare le tasse al governo, si diressero gruppi di contadini, che oberati dall’onere fiscale abbandonavano le terre statali. Con il passare del tempo prevalse sempre di più la pratica secondo cui le terre e il popolo erano di fatto controllati da privati, con evidenti conseguenze sulla stessa autonomia del sovrano. Intanto l’èlite guerriera si stava affermando nelle province. Durante il periodo di regno di alcuni energici efficienti imperatori o comunque nei primi decenni del periodo Heian, furono attuati alcuni tentativi finalizzati a riaffermare il primato politico dell’imperatore. Ma, con l’indebolimento del governo centralizzato, la nobiltà di origine uji e le grandi istituzioni religiose poterono estendere il controllo, ricorrendo a varie misure, ad esempio si servirono della loro posizione politica per acquistare e mantenere i diritti di possesso sulle terre. Alla diminuzione delle entrate provenienti dalle terre kubunden corrispose un aumento della tassazione agricola e i contadini cercarono di sottrarsi all’onere fiscale chiedendo protezione a coloro che erano riusciti a ottenere l’esenzione del pagamento delle imposte. D’altra parte, un elemento essenziale che concorse alla formazione e allo sviluppo del sistema shoen fu rappresentato dalla concessione di esenzioni fiscali da parte del governo imperiale all’inizio limitata alla produzione di cereali ma poi estesa a tutto il resto delle colture. Un’ulteriore misura che trasforma queste tenute in veri e propri possedimenti privati fu quella di escludere i dipendenti del governo centrale della possibilità di accedervi al fine di svolgere i compiti amministrativi e di tutela dell’ordine. Ciò ha segnato la transizione verso un’istituzione nota come “Ichien shoen”, che designa i possedimenti terrieri all'interno dei quali il beneficiario dei privilegi deteneva tutti compiti di governo. Questa figura, era nota come “Ryoshu”, una sorta di proprietario dello shoen. Il processo di formazione e diffusione del sistema shoen è avvenuto in modo lento a partire dall’ottavo secolo, riguardando dapprima solo zone limitate e poi affermandosi progressivamente. Attorno all’undicesimo secolo, circa la metà delle terre agricole del paese furono interessate dal processo, mentre la completa maturazione si ebbe nel tredicesimo secolo: In questo periodo più di 5000 shoen erano nelle mani di alcune centinaia di proprietari, tra cui figuravano importanti clan, templi buddhisti e santuari shintoisti. Spesso un singolo proprietario controllava molteplici possedimenti, il più delle volte situati in regioni diverse. Nel caso in cui risiedesse nella zona della capitale era costretto a delegare i compiti amministrativi ai funzionari locali, detti “shokan”. Anche nelle province i capi delle famiglie avevano cercato di trarre beneficio dalla possibilità di reclamare il possesso perpetuo delle zone bonificate, trasformandosi così in ryoshu e prendendo parte al processo di privatizzazione delle terre agricole. In genere essi ricorrevano all’appoggio di potenti e autorevoli figure appartenenti all’ambiente di corte. Queste ultime prestavano la loro opera come una sorta di garanti o protettori (detti honke), in cambio di un compenso. In tal modo, i ryoshu residenti in loco riuscivano ad assicurarsi il mantenimento dell’immunità e il controllo diretto delle terre. A differenza di coloro appartenenti alle famiglie aristocratiche di corte che risiedevano spesso lontani dalle proprie tenute agricole, i ryoshu residenti furono in grado di consolidare il proprio potere e di acquisire anche una forza militare. Nell’undicesimo e dodicesimo secolo, questi individui andarono via via assumendo un più definito ruolo militare, divenendo sempre più aggressivi. L’organizzazione interna dello shoen differiva a seconda che il ryoshu risiedesse o meno in loco. Infatti, la figura dello honke, il garante presso la corte, era richiesta qualora il proprietario vivesse all’interno del possedimento, nel qual caso questi era tenuto a occuparsi direttamente del governo dello shoen. Invece, nel caso in cui fosse residente lontano dalla propria tenuta, egli delegava agli shokan i compiti amministrativi, di difesa e di sorveglianza. Per quanto riguarda il resto della gerarchia l’assetto era simile in entrambi casi e comprendeva la massa di agricoltori che lavoravano i campi. Questi ultimi comunque occupavano una posizione diversa tra loro: sopra ai coltivatori dipendenti infatti, stavano i contadini proprietari “Myoshu”. In definitiva, l’organizzazione interna dello shoen vedeva al vertice la figura del proprietario, quindi il garante, i deputati all’amministrazione, i contadini proprietari, e infine, quelli dipendenti. La ripartizione dei prodotti delle terre shoen avveniva sulla base del ruolo svolto dalle figure sopra elencate. Ognuna di esse infatti, aveva specifici doveri, da questi doveri derivavano diritti o benefici (“shiki)”. A ogni shiki corrispondevano specifici doveri e diritti relativamente allo shoen e adesso equivaleva a una quota della produzione agricola. Pertanto lo shiki costituiva un beneficio individuale che poteva essere ereditato, suddiviso e venduto, e che si fondava su accordi di natura privata e personale. Il contadino stabiliva con i propri superiori un legame che si allontanava completamente dall’idea di suddito dell’imperatore. Ciò contribuì a segnare il superamento delle concezioni istituite all’epoca delle grandi riforme. La diffusione dello shoen ebbe importanti riflessi non solo sul sistema di comunicazione, che fu migliorato per consentire il trasporto dei prodotti, ma anche sul livello culturale economico delle campagne, dove i contatti con la cultura superiore prodotta dal centro si intensificarono, e sorsero numerosi centri artigianali e commerciali. L’espansione del sistema e dell’organizzazione shoen implicò anche una crescente stratificazione nei villaggi, dove un gruppo ristretto di famiglie andava conquistando un potere economico sempre maggiore. Spesso si trattava di famiglie discendenti degli antichi uji, che avevano continuato a godere di una posizione privilegiata e avevano saputo imporre sul territorio un controllo militare. Il processo di formazione della classe guerriera attinse generando un grande mutamento nella società e negli equilibri di potere del paese. E’ anche vero che non tutte le famiglie collegate all’antica èlite locale furono in grado di trasformarsi in capi militari terrieri. In questo contesto, assume un preciso significato la ribellione compiuta Nel 935 da Taira Masakado, dopo aver visto fallire il suo tentativo di ottenere un altro incarico nel governo imperiale. Trascesa della classe guerriera La creazione di un esercito nazionale era stata legata alla necessità di indebolire il potere militare dei clan locali, inoltre il consolidamento della Cina si pensava potesse minacciare l’incolumità del Giappone. l’introduzione di un sistema di reclutamento obbligatorio tuttavia non aveva avuto un grande successo. I maschi di età compresa tra i 20 e sessant’anni dovevano prestare servizio militare nelle unità militari delle province e non solo. Si trattava di un obbligo che per molti era assai oneroso, sia perché gli stessi soldati dovevano provvedere all’armamentario e ai viveri, sia perché esso privava la famiglia di forza lavoro. Ne era risultato un esercito con uno scarso senso di disciplina, spesso assai meno efficace e potente delle milizie private. Il sistema di arruolamento obbligatorio era stato superato con l’istituzione, nel 792, di un sistema di milizie locali (chiamate kondei) il quale prevedeva l’arruolamento di valenti maschi, selezionati tra le famiglie di funzionari distrettuali o di influenti personalità locali. Ciò contribuì a creare una base di potere militare locale sempre più autonomo dal centro. All’interno degli stessi shoen si rese necessaria l’organizzazione di corpi combattenti per scopi difensivi o punitivi. Ciò concorse alla nascita e allo sviluppo di eminenti figure di guerrieri professionisti appartenenti all’èlite locale, dediti all’addestramento alle arti militari e dotati di armature e cavalli, i quali avrebbero via via forgiato un’identità comune come classe distinta dal resto della società. Fu tra il nono e il decimo secolo che la forza e il talento militare presero ad essere esercitati in modo sempre più esclusivo da gruppi di professionisti, appellati con varie designazioni tra cui “bushi” o “saburai”. Si trattava di abili guerrieri incaricati dalle èlite dominanti a svolgere compiti militari e civili. Con il passare del tempo, divennero competitivi rispetto persino alle grandi famiglie dell’aristocrazia civile. Dal momento in cui in Giappone fu istituito il primo governo militare a Kamakura nel 1185, sino al sedicesimo secolo il potere dell’èlite militare si sarebbe esteso a discapito dell’aristocrazia civile. Già dal nono secolo era progressivamente venuto meno il controllo del governo imperiale, vi erano sempre più frequenti incursioni di bande armate nelle zone rurali che avevano spinto molti contadini a difendersi armandosi o cercando protezione. Così, l’èlite guerriera si consolidò parallelamente. Nonostante il basso credito di cui i guerrieri godevano presso la nobiltà, quest’ultima necessitava di una forza militare per mantenere il controllo sulle proprie terre. Le famiglie dell’aristocrazia di corte, quindi, presero a disporre di milizie proprie, in modo analogo a quanto fecero le istituzioni religiose. Yoritomo, dalla corte, sempre nel 1185 ottenne il titolo di “sotsuibushi” (Capo della polizia militare), il quale gli conferiva il diritto di inviare in tutte le province un suo dipendente deputato a svolgere compiti di sorveglianza e di amministrazione. Questi personaggi, in seguito detti “shugo” (letteralmente protettori, ma in genere noti come governatori militari) reclutavano i propri dipendenti in loco al fine di garantire il pagamento delle tasse oltre che l’amministrazione della giustizia e il mantenimento dell’ordine pubblico. La pratica di delegare simili funzioni ai capi militari provinciali a partire dal 1185 venne affermata in modo sistematico e uniforme, acquisendo una base permanente anche grazie al fatto che questa carica sarebbe divenuta ereditaria in seguito. Queste figure sarebbero giunte a sostituire del tutto l’autorità dei kokushi. Il 1185 è spesso considerato come la data di transizione al feudalesimo in Giappone. I poteri di Yoritomo furono ulteriormente estesi quando, nel 1190 egli ricevette le nomine di “soshugo” (capo dei governatori militari) e “sojito” (Capo degli intendenti terrieri militari) grazie alle quali assumeva il diritto di inviare gli shugo e i “jito” anche nelle provincie esterne al Kanto. Nel 1185 aveva provveduto a nominare tra i suoi seguaci un intendente (jito) in ogni tenuta che collaborasse con i funzionari dello shoen. L’intendente beneficiava di una quota del reddito dello shoen, ed era incaricato di garantire la pace e l’ordine, di dirimere le contese interne e di riscuotere una tassa d’emergenza nota come “Hyoromai”. La figura del Jito, La cui posizione divenne ereditaria, assunse un ruolo rilevante all’interno degli shoen, Offuscando il ruolo degli amministratori preposti dai proprietari. Yoritomo poté così stabilire una rete di controllo sugli affari interni degli shoen di tutto il Giappone, che diede al governo di Kamakura la fisionomia di un ente amministrativo di carattere nazionale. Estese il proprio dominio sulle province lontane da Kamakura, e nel 1192 ottenne la più alta carica militare, quella di shogun inviato contro i “barbari”, che in effetti egli riuscì a sottomettere estendendo la frontiera del Giappone sino all’estremità settentrionale dello Honshu. L’apparato amministrativo del bakufu di Kamakura si fondava su tre organismi principali. In primo luogo l’ufficio degli affari militari (samurai dokoro), cui spettava il compito di controllare i suoi vassalli e sovrintendere agli affari militari e di polizia. Il secondo era il Kumonjo (ufficio dei documenti pubblici) che poi confluì nel Mandokoro (ufficio amministrativo), nel quale erano conservati i documenti pubblici e che si occupava delle questioni amministrative e politiche. Infine, il Monchujo (ufficio investigativo), creato con il compito di fungere da corte d’appello presso cui accogliere i reclami e dirimere le contese di natura legale, di far rispettare le norme penali e di conservare la documentazione giudiziaria e catastale. Ciascuno di questi tre uffici era guidato da un capo, selezionato personalmente da Yoritomo. Il potere di Yoritomo era basato sulla fedeltà di circa 2000 casate militari e sul sistema di Shugo e Jito esteso nel paese. I guerrieri delle regioni orientali, emersero come una classe e con una precisa posizione nella società, oltre che con un’identità aristocratica. All’interno della classe militare esisteva una rigida gerarchia, al cui apice stava un numero ristretto di vassalli gokenin di comprovata fedeltà; a essi Yoritomo garantì una posizione privilegiata. Al di sotto dei gokenin trovavano posto i samurai, che disponevano di cavalli e di un gruppo di seguaci, mentre al gradino più basso erano collocati i fanti (zusa), privi di cavalli e di elaborate armature. A tutti i livelli della classe militare era imposta l’osservanza del vincolo di obbedienza assoluta verso il superiore, e ciascuno doveva conformarsi alle virtù della lealtà, dell’onore, del coraggio, della disciplina e della frugalità. Nel loro insieme queste virtù hanno contribuito a creare il culto di una “via” esclusiva riservata al guerriero, noto come “bushido”. Yoritomo morì nel 1199, lasciando due giovani figli, che non si mostrarono in grado di gestire l’eredità paterna. La moglie si fece monaca dopo la morte del marito. Alla disputa accesasi tra i vassalli di Yoritomo in merito alla successione alla guida del bakufu infatti, fu posta fine con la nomina del primo figlio a shogun per un breve periodo e con la successione del secondo nel 1203. Il nonno materno, in questo stesso anno assunse la carica di “shikken”, Grazie alla quale riuscì a ottenere la funzione di reggente dello shogun. Da allora la famiglia gesti il potere attraverso il monopolio su questa carica. Sotto la guida di questa famiglia, il governo di Kamakura assicurò un periodo di pace e di stabilità interna, grazie a una solida ed efficace amministrazione intesa a tutelare i diritti sulle terre agricole. Questo clima ebbe un positivo effetto sulla vita nelle campagne, dove si assistette all’incremento della produttività agricola che generò anche un generale miglioramento delle condizioni economiche del paese. Inizialmente, Kamakura non riuscì a stabilire un completo controllo sugli shoen; una svolta si ebbe nel 1221, quando l’imperatore in ritiro Go Toba fallì nel suo tentativo di guidare una coalizione per attaccare il bakufu. Quest’ultimo reagì punendo gli autori della ribellione: il sovrano in carica venne deposto e sostituito con uno più gradito, Go Toba fu esiliato, e il governo ottenne il diritto di interferire nelle questioni della corte imperiale inviando nella residenza di Rokuhara, due rappresentanti dello shogun, detti “tandai”, incaricati di vegliare sul trono e di approvarne ogni iniziativa; infine estese il sistema Jito sulle tenute dell’intero paese. Ci fu una ulteriore creazione di nuovi organismi, come il Consiglio di Stato, istituito nel 1226. La più significativa innovazione introdotta dagli Hojo è rappresentata dal cosiddetto Codice Joei, emanato nel 1232, che sostituì le vecchie norme stabilite dalla corte imperiale e dettò i principi per la legislazione della classe militare. Redatto in 51 articoli, enunciava i diritti e le norme di comportamento dei bushi e definiva i compiti dei funzionari dipendenti da Kamakura. Nel periodo Kamakura si ebbe un grande fervore religioso, e il buddhismo si affermò anche negli strati meno elevati della società. Ci fu una marcata diffusione di concezioni come quelle associate al culto di Amida o la Scuola della Terra Pura. Venne anche fondata la Vera Scuola della Terra Pura che, assieme alla precedente accolse un gran numero di fedeli e resta ancora oggi una tra le più popolari in Giappone. Un’altra figura di rilievo è quella di Nichiren, che creò la Setta del Loto, affermando che la vera salvezza potesse essere conseguita invocando la preghiera racchiusa nel titolo del “Sutra del loto”. La propagazione della fede buddhista fu accompagnata dal moltiplicarsi di centri religiosi in tutte le zone del paese, attraendo anche la stessa classe guerriera. Ma l’aristocrazia guerriera trovò un sostegno culturale in un’altra scuola buddista, quella “Zen”, sviluppatasi in Cina attorno alla pratica meditativa finalizzata a controllare il corpo e la mente, e giunta in Giappone agli inizi del periodo Kamakura. Per questa classe risultò di particolare interesse il fatto che, attraverso la disciplina mentale, l’individuo potesse giungere alla conoscenza interiore e ottenere fiducia in se stesso, forgiando in tal modo una personalità solida e decisa. Il bakufu stabilì uno stretto legame con i monasteri Zen. Il grande fervore religioso diede una nuova vitalità alla letteratura, all'arte e alla architettura. Le opere si rivolgevano a un pubblico più vasto e differenziato rispetto al passato, composto in primo luogo dai guerrieri. Il mondo, le gesta, i gusti e valori della classe militare presero posto nelle varie espressioni culturali; la letteratura vide lo sviluppo dei “Rekishi monogatari” (romanzi storici). Verso la fine del tredicesimo secolo, Kamakura era divenuta un grande centro, che pare contasse oltre 1 milione di abitanti. In questo stesso periodo, nel continente i capi mongoli avevano fondato in Cina la dinastia Yuan (1271-1368). Nel 1266, Qubilay Qan inviò al Giappone la richiesta di sottomettersi alla sua autorità. Di fronte al rifiuto opposto dagli Hojo, I mongoli reagirono inviando una spedizione navale, tutta via dopo un solo giorno di battaglia, un provvidenziale tifone provocò ingenti danni alla flotta nemica costringendolo a ritirarsi. Gran parte dell’energia del paese fu così impiegata per edificare una difesa di fronte a un successivo attacco, che giunse nel 1281. Dopo due mesi, fu di nuovo l’arrivo di un tifone a indurre gli invasori a ritirarsi, lasciando comunque il paese nel timore di una futura minaccia. Le attività di difesa impegnarono gran parte delle finanze del bakufu e delle energie umane del paese. Il “Vento Divino” suscitò un orgoglio nazionale e sembrò persino conferire prestigio agli Hojo, ma gli effetti delle invasioni mongole furono fatali al bakufu di Kamakura: il successo riportato contro i mongoli non aveva fruttato alcun bottino di guerra da dividere tra i vincitori e Kamakura non era in grado di risarcire le famiglie delle vittime e quanti ritenevano di meritare una giusta ricompensa. L’incapacità dimostrata da Kamakura nel far fronte alle richieste dei suoi creditori finì con il minare l’ideale di governo giusto. La restaurazione Kenmu e la transizione al secondo periodo feudale Verso la fine del tredicesimo secolo si ravvisavano i sintomi della crisi del potere degli Hojo. L’ultimo shikken di Kamakura, non brillò per intelligenza e rigore morale. Ciò contribuì a rafforzare il sentimento di ostilità da cui non restarono immuni neppure i loro stessi vassalli. Prese forma il progetto noto come restaurazione Kenmu, finalizzato a riportare la guida del governo nelle mani dell’imperatore. Tuttavia, ciò non solo si sarebbe rivelato incapace di eliminare la rete di privilegi feudali, ma avrebbe generato anche una serie di rilevanti conseguenze sulle istituzioni politiche e sugli equilibri di potere. L’artefice di questo tentativo di restaurazione fu Go Daigo, divenuto imperatore nel 1318. Nel 1321 provvide ad abolire il sistema degli Imperatori in ritiro (insei), ma per realizzare le proprie ambizioni, occorreva aprire una disputa con il governo di Kamakura; pertanto, Go Daigo cercó di guadagnarsi l’appoggio militare di quanti auspicavano la fine della supremazia degli Hojo. Di fronte ai ripetuti tentativi di complotto contro il bakufu, nel 1331 Kamakura reagì punendo gli esponenti di rilievo e inviando uomini armati a Kyoto. Go Daigo fuggì dalla capitale portando con sé i simboli della autorità imperiale, ma fu catturato e deposto. Nel 1333 Go Daigo evase dall’isola in cui era stato confinato. Kamakura quindi inviò due contingenti di truppe guidati da due generali, uno dei quali cadde in battaglia lasciando l’altro al comando delle forze shogunali: Ashikaga Takauji. Takauji non esitò a compiere un atto di insubordinazione schierandosi dalla parte della coalizione filo imperiale, nel 1333 sconfisse la resistenza shogunale e Go Daigo si reinsedió nella capitale. Questi eventi segnarono la fine del bakufu di Kamakura, mentre a Kyoto Go Daigo proclamò l’inizio dell’era Kenmu nel 1334 e diede inizio al suo progetto di restaurazione del potere, che tuttavia si rivelò inopportuno e anacronistico. Go Daigo stesso parve essere consapevole di non possedere la forza per sovvertire il sistema di privilegi feudali, né la coalizione che lo aveva sostenuto mantenne una sua coesione dopo la caduta di Kamakura. Se in un primo momento la alleanza filo imperiale si coagulò attorno al comune obiettivo di eliminare la supremazia degli Hojo, il vero scopo che mosse i grandi clan guerrieri fu quello di partecipare alla competizione per ottenere maggior potere. Molti provvedimenti varati dal sovrano contraddicevano gli obiettivi stessi della restaurazione, ad esempio assegnò importanti cariche ai grandi capi militari e si mostrò altrettanto generoso con le istituzioni religiose. Takauji si ritenne insoddisfatto delle pur importanti cariche ottenute, e ancor di più del fatto che l’imperatore aveva nominato shogun suo figlio. Nel 1336, dopo essersi ribellato al sovrano e aver sconfitto le truppe imperiali, Takauji potè rientrare trionfalmente a Kyoto, dove provvide a deporre Go Daigo a favore di un imperatore della linea principale. Qui Takauji stabilì la sede del suo governo, ufficializzato nel 1338, anno in cui ottenne la carica di shogun. Il tentativo di restaurazione terminò quindi con la nascita di un nuovo governo militare, con ulteriore spostamento del potere verso l’autorità militare. La stessa casa imperiale, si trovò privata delle proprietà che, al fine di ripristinare il governo imperiale centralizzato, erano state assegnate al tesoro pubblico. L’opera di Go Daigo fornì dunque l’opportunità per procedere a una redistribuzione dei privilegi feudali. Ma la vittoria di Takauji e la nascita del bakufu a Kyoto non riportarono la pace nel paese, che continuò ad essere afflitto da turbolenze interne. Il periodo Muromachi (1338-1573) Il periodo vide 15 membri del clan Ashikaga avvicendarsi alla carica di shogun, e prende il nome dal quartiere di Kyoto dove fu istituita la sede del governo. L’effettivo potere del bakufu degli Ashikaga sarebbe andato declinando trasferendosi nelle mani dei grandi capi militari locali. Nel gettare le basi del suo governo, Takauji si ispirò al modello del precedente Bakufu, da cui prese in prestito le istituzioni, le concezioni e parte del personale. L’assetto del governo centrale rispecchiò quello di Kamakura fondandosi sul Samurai dokoro, il Mandokoro e il Monchujo. La carica più elevata era quella di kanrei (capo dell’amministrazione). Esisteva poi un ufficio per le ricompense (Onshogata), incaricato di regolare le questioni relative ai vassalli e al resto della classe guerriera. Takauji delegò buona parte delle responsabilità amministrative a suo fratello Tadayoshi. Questa divisione dell’autorità sarebbe stata all’origine di una competizione che avrebbe generato effetti negativi sul governo degli Ashikaga. mura si dotarono anche di organi di autodifesa. Nelle comunità di villaggio ci fu un rafforzamento della coesione sociale e lo sviluppo di un’agricoltura collettiva, che contribuirono all’innalzamento della produttività agricola. Sul piano sociale e economico si registrarono sviluppi rilevanti. Nelle campagne, la diffusione dell’uso di fertilizzanti e il miglioramento della loro qualità contribuirono all’incremento della produttività agricola, che beneficiò anche dal miglioramento delle tecniche di irrigazione e dal crescente impiego degli animali nel lavoro dei campi. Si affermò sempre più la possibilità di effettuare un doppio raccolto annuo del riso e di altri cereali, mentre nei mercati si vendevano prodotti agricoli e commerciali. Nell’ambito del commercio e dei trasporti, la creazione di vari centri di potere locale determinò una richiesta di merci e rifornimenti alimentari che stimolò l’attività economica. Il commercio con la Cina immise in Giappone merci pregiate e nuove tecniche per la lavorazione della seta, mentre dalla Corea si apprese la tecnica per produrre cotone. Artigiani e mercanti accrebbero il loro livello di specializzazione, si cimentarono nella pratica del prestito dell’usura, e si costituirono in attive corporazioni. Queste corporazioni assunsero il monopolio sulla vendita e la lavorazione di specifici prodotti e crearono una rete di distribuzione sempre più estesa. Questa vitalità economica e sociale fu accompagnata da un marcato progresso culturale: si poteva condividere il piacere delle nuove espressioni teatrali, dei racconti storici, mentre altre forme culturali erano diffuse anche tra le classi meno elevate, come brevi racconti orali, o le rappresentazioni di danzatori, musicanti e mimi. La diffusione della cultura presso le classi popolari fu pure favorita dagli accresciuti contatti tra le diverse province. Fu proprio tra gli strati popolari che, spesso, presero forma espressioni artistiche che vennero poi “elevate” dalle classi dominanti. I templi Zen divennero centri di meditazione per i guerrieri e luoghi di educazione per i loro figli, e stabilirono solidi legami con i capi militari locali. Nei templi fiorirono altri nuovi e sobri stili architettonici e suggestivi giardini, assieme ad arti raffinatissime come la cerimonia del tè. Monaci Zen accolsero le nuove tecniche pittoriche giunte dalla Cina, in primo luogo la pittura monocroma ad inchiostro. Anche se lo zen domino vari aspetti della vita di questo periodo, le tradizionali scuole buddhiste mantennero comunque un’influenza sulla società medievale. Monaci provenienti dalla Cina introdussero in Giappone il pensiero neo confuciano di Zhu Xi. L’inversione di rotta al processo che, nel corso del periodo Sengoku, aveva condotto a un totale decentramento prese avvio nel 1568, quando Oda Nobunaga (1534-1582), un ambizioso ed energico daimyo riuscì a conquistare Kyoto, da cui cinque anni dopo caccio Yoshiaki, quindicesimo e ultimo shogun Ashikaga. Nobunaga diede così inizio all’opera di riunificazione del paese che fu proseguita da Toyotomi Hideyoshi e poi da Tokugawa Ieyasu, il quale, per oltre due secoli e mezzo, avrebbe assicurato alla sua famiglia la successione alla carica di shogun. Mentre in Giappone si svolgevano queste vicende sotto la guida dei tre grandi riunificatori, nei mari dell’Asia orientale avevano fatto la loro comparsa mercanti e missionari giunti dall’Europa. I rapporti con il mondo esterno I rapporti tributari stabiliti da Yoshimitsu con la Cina avevano rappresentato l’epilogo di una serie di tentativi compiuti dai Ming per indurre il Giappone a reprimere l’attività predatoria effettuata lungo le coste cinesi dai cosiddetti “wako”. Il termine indicava i pirati giapponesi, ma partecipavano a questo genere di attività anche marinai provenienti dalla Cina e altri paesi. Essi erano dediti anche al commercio illegale, e a tal fine Yoshimitsu aveva acconsentito ad aderire al “sistema dei contrassegni” (“kango”) atto a garantire le missioni e il commercio ufficiali. Tuttavia, il deterioramento del governo degli Ashikaga minò la sua effettiva capacità di reprimere il commercio illegale e la pirateria, e di limitare lo sviluppo degli scambi privati. Anche per la stessa Cina divenne sempre più difficile stroncare un’attività che attirava i ceti agiati e le classi meno abbienti delle regioni meridionali. L’ultima missione ufficiale partì per la Cina nel 1547 e successivamente i contatti con i Ming furono formalmente interrotti. Parallelamente, era andato crescendo il numero di pirati e di trafficanti non autorizzati attivi nel commercio clandestino tra il Giappone e la Cina, i quali tuttavia si trovarono in concorrenza con i mercati europei. I primi mercanti portoghesi arrivarono nel 1543. L’attività dei portoghesi non si limitò al commercio, ma interessò anche l’ambito religioso. L’opera di evangelizzazione fu svolta in primo luogo da missionari, uno di questi era Francesco Saverio. Recatosi a Kyoto con l’intento di ottenere il consenso a svolgere la sua attività missionaria, e deluso dal rifiuto oppostogli dallo shogun in carica, egli riuscì comunque a istituire la prima chiesa e una comunità cattolica a Yamaguchi. Furono in primo luogo i daimyo del Kyushu, zona più esposta ai contatti con gli europei, ad accogliere la nuova fede, che da qui si diffuse poi verso il Giappone centrale interessando anche le classi rurali. Dopo la sua ascesa al potere, lo stesso Oda Nobunaga accordò la propria protezione ai missionari della Compagnia di Gesù. Per oltre mezzo secolo i contatti con gli europei furono limitati ai portoghesi, mentre dopo il 1584 giunsero in Giappone mercanti spagnoli, che garantirono la loro protezione all’attività missionaria dei francescani. Diversamente, la presenza degli olandesi (1609) e degli inglesi (1613), fu determinata da scopi prettamente commerciali dato che questi due paesi protestanti avevano uno scarso interesse alla diffusione del proprio credo. I missionari riuscirono a diffondere la propria fede in modo più efficace rispetto a quanto seppero fare quelli di altri ordini religiosi. In effetti i giapponesi erano più ricettivi di altri popoli dell’Asia di fronte a queste religioni e ciò ha indotto gli studiosi a definire il periodo come “secolo Cristiano”. Tuttavia, il limitato impatto che la nuova dottrina ebbe sulla cultura giapponese e l’interesse extra-religioso che spinse molti signori feudali ad accogliere i missionari nei loro feudi suggerisce come parlare di secolo cristiano sia alquanto eccessivo. In effetti, i daimyo convertiti sostennero l’attività missionaria al fine di trarre beneficio dalle conoscenze dei gesuiti e dal legame che essi avevano con i mercanti portoghesi. A livello popolare, la religione introdotta dagli europei era percepita con un sentimento genuino, e la solida fede e la forza morale mostrate dai missionari costituivano un esempio da seguire in un’epoca di incertezza politica. Tuttavia il cristianesimo non ebbe un impatto sulla vita culturale del paese paragonabile a quello sortito circa un millennio prima dal buddhismo. Attorno alla metà del cinquecento, i mercanti portoghesi avevano stabilito una sorta di monopolio sul trasporto di merci giapponesi all’estero e sull’importazione di prodotti stranieri, e la conversione di molti daimyo del Kyushu fu determinata più dal desiderio di partecipare alle attività commerciali, che non da ragioni di natura spirituale. Tali contatti inoltre, consentivano di acquisire nuovi prodotti, conoscenze e tecnologia provenienti dall’Europa come ad esempio nel 1543 con l’introduzione delle prime armi da fuoco. Ciò, assieme all’acquisizione di nuove tecniche militari, influenzò in modo profondo gli eventi bellici che si stavano svolgendo nel paese, dove l’impiego di armi da fuoco determinò sempre più le sorti delle battaglie. L’attività militare, pertanto, richiese crescenti risorse economiche di cui solo i maggiori daimyo disponevano, ciò consentì loro di consolidare il proprio potere ed eliminare con facilità i rivali. I giapponesi ebbero modo di conoscere gli orologi e gli occhiali, gli articoli di vetro e tessuti di lana e velluto, il tabacco e la patata. Molte parole di origine portoghese furono adottate in questo periodo. Questa intensa attività fu caratterizzata anche da una ricomparsa delle attività marittime dirette verso le coste del continente. In quello stesso periodo, sotto la guida del secondo riunificatore Hideyoshi, il Giappone tentava un’avventura espansionista inviando due spedizioni militari in Corea con l’obiettivo ultimo di conquistare la Cina, ma che ebbe termine con l’improvvisa scomparsa del capo giapponese nel 1598. Con la riunificazione del paese e il consolidamento del potere dei Tokugawa, il bakufu avrebbe potuto riasserire un rigido controllo sugli scambi con l’estero, che furono sottoposti a un sistema di autorizzazioni. L’intolleranza verso la fede cristiana, già dimostrata da Hideyoshi con un editto di proibizione emanato nel 1587 e poi con la crocifissione di 26 credenti nel 1597, ha assunto sempre più le sembianze di una vera e propria persecuzione violenta, conclusasi con l’espulsione di missionari e mercanti dei paesi cattolici e con la soppressione della Chiesa cattolica in Giappone. Così il paese si avviava verso una politica di quasi totale isolamento, destinato a durare per oltre due secoli. Capitolo 4: Verso un “feudalesimo centralizzato”: la riunificazione del paese e l’istituzione del bakufu di Edo L’avvio dell’opera di riunificazione: dall’ascesa di Oda Nobunaga al regime di Toyotomi Hideyoshi Il superamento dello stato di decentramento nel periodo Sengoku fu dovuto dall’opera di tre daimyo, i quali estesero il controllo sull’area di Kyoto e sul resto del paese. Occorre considerare una serie di fattori che concorsero a rendere possibile la riunificazione. L’emergere di potenti daimyo che detenevano il governo assoluto nei propri territori fu stimolato dalla sfida lanciata loro dalle classi inferiori. Il crescente ricorso a una nuova e costosa tecnologia militare, inoltre, accrebbe ulteriormente la distanza tra quanti potevano investire risorse in attività belliche e quanti no. Alla disgregazione del precedente assetto feudale concorse anche la generale crescita economica scaturita dall’espansione dell’attività commerciale interna ed estera, che immise nel paese una nuova ricchezza. Molti daimyo del Kyushu dagli scambi con l’estero acquisirono un potere economico che andava ben al di là di quello garantito loro dalle rendite fondiarie di cui disponevano. La protezione accordata da Oda ai missioniari fu motivata dalla volontà di attirare verso i propri domini le navi portoghesi e i profitti derivanti dai traffici con l’estero; anche i suoi successori seguirono il suo esempio, progettando di porre il commercio sotto un regime di monopolio. L’incapacità di attuare questa politica avrebbe condotto a una progressiva riduzione degli scambi con l’estero, sino all’adozione di una politica di chiusura quasi totale. In un paese al momento privo di una efficace autorità centrale, la presenza degli europei era avvertita come un pericolo. Lo stesso cristianesimo, che si era spesso mostrato intollerante verso il clero buddhista e i culti tradizionali del giappone, era percepito come una dottrina che proiettava l’obbedienza dei giapponesi convertiti verso un capo straniero residente in un luogo remoto. Fu, dunque, all’interno di questo contesto che prese corpo il progetto di riunificare militarmente il paese, e di ristabilire un unico e legittimo centro di potere. L’esercito guidato da Oda Nobunaga riuscì a conquistare Kyoto nel 1568. Dotato di grandi capacità militari, si dedicò a consolidare il potere attraverso alleanze e matrimoni e raggiunse un prestigio tale da attirare l’attenzione dell’imperatore, nonché di Ashikaga Yoshiaki, desideroso di assicurarsi la successione alla guida del bakufu. Conquistò Kyoto e garantì a Yoshiaki la carica di quindicesimo shogun della dinastia Ashikaga. Lo shogun iniziò così a cospirare per eliminare il suo ex protettore, il quale reagì, costringendolo nel 1573 a lasciare la carica segregandolo lontano dalla capitale. Questi avvenimenti segnarono la fine del bakufu degli Ashikaga, ovvero del periodo Muromachi. Il potere di Nobunaga si affermò ricorrendo a metodi di violenza estrema per eliminare quanti si opponevano alla sua ascesa. Una particolare efferatezza fu impiegata per sopravvivere alla resistenza monastica. Nel 1571 egli attaccò l’Enryakuji, sterminando migliaia di monaci. In tal modo fu posta fine all’autonomia e al potere che queste istituzioni religiose avevano tradizionalmente detenuto, e furono gettate le basi per l’assoggettamento del buddhismo e dello shintoismo al governo militare. Diverso fu l’atteggiamento riservato al cristianesimo, che egli favorì attirando moltissimi missionari nella zona della capitale. Nobunaga fu il primo giapponese a usare le armi per scopi offensivi e difensivi e a impiegare rivestimenti di ferro nelle sue navi da guerra; inoltre fece erigere fortezze di pietra in grado di resistere agli assalti di armi da fuoco. Il primo fu un castello edificato nel 1576 ad Azuki, per porvi la sede del suo quartier generale. Nobunaga inaugurò così la tradizione di concentrare gli eserciti in quartier generali fortificati, spesso riccamente adornati da esperti artisti. Il favore mostrato da Nobunaga nei confronti di mercanti e missionari giunti dall’Europa gli fruttò una grande notorietà al punto che fu il primo capo giapponese ad apparire nella storia occidentale.
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