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CARROZZO-CIMAGALLI, Storia della musica occidentale, vol. 3, Sintesi del corso di Storia Della Musica Moderna E Contemporanea

Riassunto del testo "Storia della musica occidentale - vol. 3" di Mario Carrozzo e Cristina Cimagalli (Armando Editore). Tale riassunto riporta in maniera curata e ordinata i contenuti di ciascun capitolo del volume, senza però fare riferimento agli approfondimenti presenti nel libro.

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 14/10/2020

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Scarica CARROZZO-CIMAGALLI, Storia della musica occidentale, vol. 3 e più Sintesi del corso in PDF di Storia Della Musica Moderna E Contemporanea solo su Docsity! M. Carrozzo, C. Cimagalli – Storia della musica occidentale, vol. 3 1 STORIA DELLA MUSICA OCCIDENTALE, VOL. 3 Dal Romanticismo alla musica elettronica 32.1. GIOACCHINO ROSSINI. Storia di n ironico pesarese, tra opera settecentesca e grand opéra romantico Il primo Ottocento è caratterizzato da un dualismo stilistico, impersonato dalle figure di Beethoven e Rossini: due modi diversi di concepire la musica e due modalità differenti di ricezione. Hanno però un punto che li accomuna: il terzo periodo di Beethoven (1816-27) e la quasi totalità della produzione teatrale di Rossini (1810-29) si collocano in un periodo storico particolare, ovvero la Restaurazione successiva alle guerre napoleoniche, avviatasi con il Congresso di Vienna del 1815, caratterizzata dal desiderio di pacificazione, di disimpegno dalle grandi passioni politico-ideali e di ritorno alla quieta mentalità borghese. Ciò si traduce, per entrambi i compositori, in un atteggiamento distaccato e critico verso la realtà a loro contemporanea, che essi avvertivano come estranea a loro. La musica di Rossini, infatti, apparentemente immediata e di facile fruizione, porta con sé un messaggio ironico, amaro e disincantato. Gioacchino Rossini (Pesaro, 1792-Passy, 1868) Gioacchino Rossini nasce a Pesaro nel 1792 da una famiglia di musicisti. Ha una precoce esperienza nella viva pratica musicale e affronta studi di composizione, mostrando presto il suo talento. A dodici anni compone le Sonate a quattro per due violini, violoncello e contrabbasso. Intorno ai quattordici o sedici anni (prima del 1809) compone per un’occasione privata la sua prima opera, il dramma serio in due atti Demetrio e Polibio, rappresentato pubblicamente nel 1812 al Teatro Valle di Roma. Nel frattempo, il suo debutto come compositore teatrale avviene a Venezia, nel 1810, con la rappresentazione al Teatro S. Moisè della farsa in un atto La cambiale di matrimonio. I primi sette anni della sua carriera operistica sono dedicati prevalentemente al genere comico, scrivendo ad un’elevata velocità: per citarne alcune, L’italiana in Algeri (Venezia 1813), Il turco in Italia (Milano 1814), Il barbiere di Siviglia (Roma 1816), La Cenerentola (Roma 1817) e l’opera semiseria La gazza ladra (Milano 1817). Secondo il musicologo Luigi Rognoni, studioso di Rossini, la grande carica della musica rossiniana risiede nel ritmo. Non è il ritmo musicale ad adattarsi alle parole del testo, ma sono le parole, travolte dal ritmo musicale, che si spezzettano in modo innaturale, si frantumano in singoli fonemi senza senso, si ricompongono in modo assurdo, con velocissimi ribattuti, trasformandosi in pretesto sonoro. Il personaggio è un burattino i cui fili sono tenuti da qualcuno al di fuori di sé. Si crea un effetto non realistico ma comico, che sottintende un fondo di grande amarezza: l’uomo è una marionetta agìta da altri, che si illude vanamente di essere padrone delle proprie azioni. Lo spirito sembra più quella della Rivoluzione che della Restaurazione. In un primo periodo a R. non interessa approfondire più di tanto lo scavo psicologico-musicale dei personaggi. Egli trasferisce interi pezzi chiusi da un’opera all’altra. M. Carrozzo, C. Cimagalli – Storia della musica occidentale, vol. 3 2 Ad ogni modo, il trattamento rossiniano della voce non prescinde dal contenuto delle parole, pur se ne deforma la dizione. Ad esempio, l’apice della frammentazione sillabica, ai confini del non sense e dell’afasia, è raggiunto nei momenti in cui i personaggi sono in preda alla massima confusione. Le voci umani si ‘strumentalizzano’, mentre gli strumenti tendono ad umanizzarsi: l’articolazione fraseologica delle melodie affidate all’orchestra, soprattutto nelle sinfonie introduttive, è decisamente vocale, ‘parlante’. Rossini esprime un proprio pensiero riguardo al rapporto tra musica e testo: la musica non deve descrivere o rappresentare gli avvenimenti o le particolarità degli affetti, perché per questo c’è già il testo; la musica dev’essere l’atmosfera morale che riempie il luogo. Le sue prime opere di genere serio che riscuotono grande successo sono: Tancredi (Venezia 1813), Elisabetta, regina d’Inghilterra (Napoli 1815), Otello (Napoli 1816). Dalla metà del 1817 al 1829 (dai suoi 25 ai suoi 37 anni), Rossini si dedica quasi esclusivamente a tale repertorio: Mosè in Egitto [azione tragico-sacra] (Napoli 1818; rielaborata nel 1827 per Parigi, col titolo Moïse et Pharaon), La donna del lago (Napoli 1819), Maometto II (Napoli 1820; nel 1826 elaborata in tragédie lyrique per Parigi, col titolo di Le Siège de Corinthe), Semiramide (Venezia 1823; ultima opera composta per l’Italia), Guillaume Tell (opéra in quattro atti, Parigi 1829; ultima opera in assoluto). Le sue opere serie sono in numero doppio rispetto a quelle buffe e assumono anche un’importanza maggiore: Rossini con l’opera buffa porta a compimento un genere musicale, decretandone quasi l’estinzione, mentre con l’opera seria avvia nuove convenzioni, diventando un’indiscussa autorità. Le novità di Rossini riguardano innanzitutto gli aspetti formali. Nonostante egli fosse molto criticato dai tedeschi – soprattutto da Wagner, che considerava Rossini incurante della forma – le sue forme musicali sono molto razionali. Già dalla fine del Settecento, l’opera seria italiana conobbe un’evoluzione, grazie alle influenze dell’opera buffa e di altri generi musicali. Scomparì così l’aria col ‘da capo’, che era molto statica. Come nelle opere buffe e semiserie, l’aria dell’opera seria iniziò ad essere divisa in più sezioni dall’andamento contrastante (es. aria bipartita: un tempo lento seguito da un tempo veloce) e soprattutto all’interno di essa cominciò ad essere contenuto lo svolgimento dell’azione, anche con la presenza dei ‘pertichini’ [personaggi che interloquivano con il protagonista dell’aria, senza però trasformarla in un duetto]. Lo svolgersi dell’azione prevedeva anche un mutamento nella situazione emotiva del personaggio, spezzando così l’unità d’affetto tipica dell’aria col ‘da capo’. Inoltre, visto che l’azione si svolgeva ‘in presa diretta’, aumentarono i pezzi d’insieme anche nell’opera seria. Le novità che riguardavano l’opera seria italiana giunsero anche dalla tragédie lyrique: maggiore presenza del coro (anche nelle arie), ricca orchestrazione, abbandono del recitativo secco in favore di quello accompagnato, tendenza a saldare le singole scene in grandi blocchi unitari. Rossini fa una sintesi di tutte queste novità, adottando soluzioni già sperimentate prima anche da altri compositori, come Simon Mayr. Ecco sintetizzate le novità formali di Rossini: ➢ Anche nell’opera seria, usa arie in più sezioni di andamento contrastante: 1. scena (= recitativo, generalmente accompagnato, con coro o ‘pertichino’); 2. cantabile (= sezione lenta); M. Carrozzo, C. Cimagalli – Storia della musica occidentale, vol. 3 5 32. Matilde di Shabran, o sia Bellezza e cuor di ferro (Roma, 1821). Opera semieria; 33. Zelmira (Napoli, 1822). Opera seria; 34. Semiramide (Venezia, 1823). Opera seria (melodramma tragico); 35. Ugo, Re d'Italia (perduta, progettata a Londra nel 1824); 36. Il viaggio a Reims (Théâtre des Italiens, Parigi, 1825). Opera buffa; 37. Ivanhoé (Teatro dell'Odéon, Parigi 1826). centone (pastiche), in francese; 38. Le siège de Corinthe [L’assedio di Corinto], rifacimento di Maometto secondo (Opéra, Parigi, 1826). Tragédie lyrique, in francese; 39. Moïse et Pharaon [Mosè e Faraone], rifacimento di Mosè in Egitto (Opéra, Parigi, 1827). In francese; 40. Le Comte Ory [Il Conte Ory] (Opéra, Parigi, 1828). Opera buffa, opéra-comique, in francese; 41. Guillaume Tell (Opéra, Parigi, 1829). Grand opéra, in francese; 42. Robert Bruce (Opéra, Parigi 1846). Centone (pastiche), in francese. 33.1. LA PRIMA GENERAZIONE ROMANTICA: WEBER E SCHUBERT. Storia di un compositore del nord e di uno del sud WEBER E IL FREISCHÜTZ Carl Maria von Weber (Eutin, Germania, 1786 – Londra,1826) Der Freischütz (Il franco cacciatore) di Carl Maria von Weber è considerata la prima opera romantica tedesca e fu rappresentata a Berlino nel 1821. Anche il frontespizio riporta la dicitura ‘opera romantica’. Il libretto fu scritto da Johann Friedrich Kind, ma la trama proveniva da un’antica leggenda tedesca. Trama: il giovane cacciatore Max, per ottenere il posto di guardacaccia del principe e la mano della sua innamorata Agathe, deve superare una prova di tiro al bersaglio. Timoroso di fallire, si lascia convincere dal cacciatore Caspar a ricorrere a demoniache pallottole magiche, che vengono create in una notte di eclissi lunare in cui appare a Caspar e Max il demonio Samiel. Il giorno seguente, durante la gara, Max uccide inavvertitamente Caspar. Max confessa la verità sulle pallottole demoniache e, grazie all’intercessione di un santo eremita, viene perdonato. Formalmente, si considera un Singspiel in tre atti, essendo in lingua tedesca ed essendo costituito da dialoghi recitati inframmezzati da pezzi chiusi musicali. Der Freischütz attinge anche ad altri repertori vocali: ➢ soprattutto all’opéra-comique francese, di cui Weber aveva avuto ampia esperienza come direttore di teatro a Praga e a Dresda. I tipi vocali di molti personaggi sono infatti rintracciabili proprio nell’opéra-comique (anch’essa, tra l’altro, aveva i dialoghi parlati). Inoltre, Weber fa molto uso di strumenti a fiato, tratto tipico francese; ➢ anche influssi dell’opera italiana, nonostante la lontananza che Weber voleva prendere da questo repertorio. Nel secondo atto, ad Agathe è riservata una scena ed aria in stile italiano, con recitativo accompagnato, cantabile molto espressivo e cabaletta di bravura. M. Carrozzo, C. Cimagalli – Storia della musica occidentale, vol. 3 6 Tuttavia, Weber seppe unire questi elementi conferendo una struttura unitaria e un colore davvero tedesco e romantico: canti e danze dalla tradizione popolare tedesca, presenza della natura, ambientazione spesso notturna, oscure presenze soprannaturali. L’opera si definisce romantica anche per ragioni puramente musicali e drammaturgiche: ➢ uso di motivi ricorrenti, che aiutano a collegare più scene, facendole sfumare l’una nell’altra; ➢ disegno armonico pianificato e coerente, con significati simbolici: tonalità maggiori per i personaggi positivi, quelle minore per i demoniaci (Max le alterna). Es. do maggiore è la ‘tonalità bianca’, mentre al male è legato all’accordo di settima diminuita e ad un uso intenso di cromatismi [scena della Gola del lupo]; re maggiore è l’incontrastato dominio della natura; ➢ forma romantica, squilibrata, con massima tensione alla fine che si interrompe bruscamente. Der Freischütz ebbe un grandissimo successo in tutta Europa. Weber compì così il passo successivo, scrivere una ‘grande opera eroico-romantica’, una sorta di grand opéra, ossia un’opera interamente musicata senza dialoghi parlati e con un argomento ‘eroico’: Euryanthe fu rappresentata Vienna nel 1823, su commissione di Domenico Barbaja, impresario del teatro di corte di Porta Carinzia, senza però ottenere il successo sperato, forse a causa della pochezza e della frammentarietà del libretto. L’ultima opera di Weber è Oberon (rappresentata a Londa nel 1826), in lingua inglese, secondo il genere del Singspiel e con la dicitura ‘opera romantica’. Ebbe successo, ma non come Der Freischütz. Weber si può considerare come il primo dei grandi romantici, soprattutto per il suo attivismo culturale: ➢ Lotta contro i ‘filistei’, aristocratici e borghesi legati al vecchio e mediocre mondo; ➢ Pianista virtuoso; ➢ Direttore d’orchestra; ➢ Diffusore della nuova musica, sia sua che altrui; ➢ Direttore artistico dell’Opera di Praga e dell’Opera di Dresda; ➢ Fondatore dell’Harmonischer Verein, società che aveva lo scopo di eseguire le musiche dei suoi membri; ➢ Critico musicale e scrittore (iniziò un romanzo, Vita di un musicista, rimasto incompiuto). Frequentò intellettuali e poeti dell’epoca (Hoffmann, Brentano, ecc.) Principali composizioni di Weber: 6 tra opere e Singspiele, 2 sinfonie, ouvertures, vari pezzi per orchestra (anche con strumenti solisti), pezzi per pianoforte, musica da camera, messe, cantate, ecc. SCHUBERT E VIENNA Franz Schubert (Vienna, 1797 – Vienna, 1828) Franz Schubert nacque e visse a Vienna. Compì i primi studi al Regio-Imperial Convitto, cantando come voce bianca nella cappella di corte diretta da Antonio Salieri, con cui studiò composizione per circa quattro anni. A 21 anni lasciò la famiglia e il suo impiego come maestro nella scuola diretta dal padre, ritrovandosi in una situazione economica molto difficile. Le esecuzioni pubbliche dei suoi lavori furono molto scarse e soprattutto in occasioni non di rilievo: suonava in case di amici o tuttalpiù in salotti nobiliari. Proprio per queste occasioni scrisse molta musica da camera, M. Carrozzo, C. Cimagalli – Storia della musica occidentale, vol. 3 7 soprattutto i circa 600 Lieder. Inoltre, emergere in una città come Vienna era molto difficile, perché Beethoven rimaneva il compositore per eccellenza. Gli anni ’20 per Schubert furono negativi. A parte la prima e felice esecuzione di Erlkönig (1821), Schubert non ebbe molti successi. Scrisse Singspiele e opere, che però furono quasi tutte rifiutate dai teatri. Iniziò a pubblicare i primi lavori, principalmente Lieder, ma senza ottenere grandi riscontri. Schubert fu criticato dai suoi contemporanei, che pensavano scrivesse in modo troppo complicato, troppo difficile tecnicamente, e usasse modulazioni troppo audaci e un accompagnamento troppo pesante. Schubert era considerato dalla stampa un giovane ambizioso e senza stile che aveva ancora tanto da imparare. Solo dopo il 1825, la sua reputazione migliorò e iniziò per lui un’ascesa: alcune sue musiche furono eseguito presso la Gesellschaft der Musikfreunde (Società degli Amici della musica) e al Conservatorio di Vienna. Gli editori cominciarono a cercarlo. Nel 1827 fu ammesso come socio della Gesellschaft e l’anno dopo riuscì ad organizzare un concerto interamente dedicato alla sua musica. Negli ultimi anni della sua vita compose alcuni tra i suoi più grandi capolavori: Winterreise (Viaggio d’inverno, 1827), le ultime tre sonate per pianoforte (1828), la Wandererfantasie (1822), i Momenti musicali (1823-28), gli Improvvisi (1827), varie composizioni per pianoforte a quattro mani, tra cui la Fantasia in fa minore (1828), e alcuni quartetti d’archi, tra cui Der Tod und das Mädchen (La morte e la fanciulla). Oltre a musica sacra, danze per pianoforte, trii, ecc., Schubert scrisse otto sinfonie (o nove, se si considera un abbozzo di sinfonia in mi maggiore nel 1820). Le prime sei, scritte tra il 1813 e il 1818, si considerano giovanili. Del 1822 è l’Incompiuta in si minore, con soli due movimenti. Tra il 1825 e il 1828 scrisse La grande in do maggiore, che però non fu mai eseguita quando Schubert era ancora in vita, perché fu considerata dalla Gesellschaft der Musikfreunde, la dedicataria, troppo difficile. L’ultima composizione in assoluto fu il Quintetto per archi in do maggiore, completato un mese prima di morire. Schubert morì il 18 novembre 1828, a soli 31 anni. Sappiamo che un paio di settimane prima di morire aveva preso accorso con il maestro Simon Sechter per ricevere lezioni di contrappunto. Schubert si considera il ‘classico della musica romantica’. Dal Classicismo riprende il principio dell’economia, ossia il fatto di costruire grandi forme basate sull’elaborazione motivico-tematica a partire da un materiale musicale apparentemente essenziale, ma che presenta una grande ricchezza di possibilità latenti da sviluppare, creando una profonda coesione strutturale e tematica. In Schubert ci sono tante affinità nascoste e richiami tematici. I tratti tipici della musica romantica in lui sono: 1. Tendenza per un tono lirico-contemplativo, con una particolare attenzione alla melodia. Si passa quindi dalla logica armonica, alla base della forma-sonata, a quella tematica; 2. Dal punto di vista armonico, compie modulazioni a gradi diversi dal V, soprattutto il III, IV e VI. Esplora relazioni armoniche dissonanti, con uso di cromatismi ed enarmonia; 3. La forma è sbilanciata, perché le modulazioni a gradi diversi dal V non creano necessariamente una tensione da risolvere, quindi il compositore decide di spostare il climax a proprio piacimento. In questo caso, alla fine; 4. Il ritmo è uniforme, generando così un progressivo accumulo di tensione; M. Carrozzo, C. Cimagalli – Storia della musica occidentale, vol. 3 10 facevano per lui e abbandonò definitivamente l’università. Tornò così a Lipsia per studiare pianoforte con Friedrich Wieck. Schumann era un apprezzato pianista, ma voleva anche comporre, pur non avendo però basi tecniche, perché era praticamente un autodidatta nella composizione. Solo nel 1831-32 prese regolari lezioni di composizione da Heinrich Dorn, direttore del teatro di Lipsia. La sua volontà di apprendere durò per tutta la vita, soprattutto studiando da solo le opere contrappuntistiche di Bach e vari trattati sulla fuga e sulla composizione. Gli anni 1832-35 furono molto intensi per Schumann e segnano l’inizio del suo attivismo culturale: ➢ Pianista virtuoso. La carriera fu però interrotta; ➢ Diffusore della nuova musica, soprattutto in qualità di critico musicale. Nel 1834 fonda la Neue Zeitschrift für Musik (Nuova rivista musicale), che diresse fino al 1844. Schumann avviò una vera e propria battaglia culturale con un triplice scopo: ricordare e attingere alla musica dell’epoca precedente, di Bach, Beethoven e Schubert; lottare contro i ‘filistei’; tendere verso una nuova età poetica. Schumann fu anche scopritore di giovani talenti (p. es., Chopin, Mendelssohn, Berlioz, Liszt e soprattutto Brahms); ➢ Fondatore di una lega artistica, immaginaria, intorno al 1833: la ‘Lega di David’ (Davidsbund), che aveva il compito di combattere i ‘filistei’. I personaggi principali, che firmavano spesso articoli e recensioni scritti da Schumann, erano Florestano (impulsivo e appassionato), Eusebio (riflessivo e dolce) e Maestro Raro (saggio e maturo). Florestano ed Eusebio rappresentano la Zerrissenheit schumanniana [come Vult e Walt di Anni acerbi di Jean Paul]. Nel 1835, Schumann si innamorò di Clara Wieck e nel 1840 si sposarono. Qui notiamo un’altra Zerrissenheit: Schumann, pur essendo molto innamorato di Clara, era geloso della sua bravura e del suo successo pianistico. Schumann provò ad intraprendere una carriera di direttore d’orchestra e di direttore artistico, ma con risultati fallimentari. A Düsseldorf dovette dare le dimissioni, in seguito alle critiche ricevute. Già dagli anni 1832-35 si manifestarono i primi segni di squilibrio mentale. Nel 1854, Schumann si buttò nelle acque del Reno, ma fu salvato da un gruppo di pescatori. Fu portato al manicomio di Endenich, nei pressi di Bonn, dove morì nel 1856. Schumann, nelle sue composizioni, sintetizza in un certo senso le sue fratture interiori in un unico mondo musicale ‘poetico’, che comprende musica, letterature, relazioni personali e sentimenti. Il rapporto tra musica ed elementi extramusicali è molto stretto. Ci sono composizioni legate ad opere letterarie (come Papillons, legato a un romanzo di Jean Paul, o Kreisleriana, che riprende un personaggio di E. T. A. Hoffmann). Frequente è la presenza di ‘motti’ letterari (es. nella Fantasia op. 17 o nei Davidsbündlertänze) e di citazioni musicali più o meno esplicite (es. Beethoven nella Fantasia op. 17 e nella terza delle Novelletten, Clara Wieck nei Davidsbündlertänze; fa anche autocitazioni di se stesso). Schumann compone anche temi che cifrano nomi di personaggi secondo la notazione alfabetica tedesca (es. ‘Abegg’, ‘Asch’, ‘Gade’, o, più velatamente, ‘Clara’). Principali composizioni di Schumann: per quanto riguarda l’aspetto compositivo, Schumann era molto organizzato e sistematico, esplorando un genere particolare per ogni periodo: 1. Tra il 1829 e il 1839 compose quasi solo per pianoforte, fino all’op. 28 (Tre Romanze); M. Carrozzo, C. Cimagalli – Storia della musica occidentale, vol. 3 11 2. 1840 [anno in cui sposa Clara]: Lieder per voce e pianoforte, come Myrthen, Dichterliebe (Amore di poeta) su testi di Heine, Frauenliebe und Leben (Amore e vita di donna), ma ne compose altri nel corso della sua vita; 3. 1841 [-51]: quattro sinfonie; 4. 1842: musica da camera, spesso eseguita dal quartetto d’archi del Gewandhaus, con Clara o Mendelssohn come pianisti. Es. Quartetti d’archi op. 41, Quartetto op. 47 e Quintetto op. 44 con pianoforte; 5. 1843: oratorio. Per la prima volta Schumann diresse alla Gewandhaus il suo oratorio profano, Il paradiso e la Peri per voci, coro e orchestra; 6. [1884: anno critico per la salute]; 7. 1845: passione per la fuga, quindi molte composizioni contrappuntistiche (come le Sei fughe sul nome di Bach per organo). Scrive anche il Concerto per pianoforte e orchestra op. 54; 8. 1846: completò la Seconda sinfonia; 9. 1847: due Trii con pianoforte, op. 63 e op. 80; 10. 1848: un’opera, l’unica che scrisse, dal titolo Genoveva. Da qui, produzione più frastagliata: musiche di scena per il Manfred di Byron, tanta musica per coro a cappella, le Waldszenen, Bilder aus Osten e l’Album per la gioventù. Nel 1850 la Terza sinfonia, detta Renana, e nel 1852 la Messa e il Requiem per coro e orchestra. CHOPIN, O LA BARBARICITÀ Fryderyk Chopin (Żelazowa Wola, Polonia 1810 – Parigi, 1849) Fryderyk Chopin nacque in Polonia. Il padre era francese, ma si era trasferito in Polonia fin dall’età di 16 anni; aveva lavorato prima come precettore in famiglie nobiliari, poi come insegnante di lingua e letteratura francese al liceo. La madre era invece polacca, di buona cultura anche se di modesta estrazione condizione sociale; fu lei ad avviare il figlio allo studio del pianoforte. Chopin frequentò il liceo di Varsavia, studiando privatamente musica con il boemo Zywny e composizione con Elsner, con cui proseguì gli studi al Conservatorio di Varsavia. Tra il 1828 e il ’29, Chopin ebbe modo di conoscere a Varsavia i grandi pianisti-compositori Hummel e Joseph Kessler, nonché Niccolò Paganini. Negli stessi anni, fece un breve viaggio a Berlino, dove vide Mendelssohn, Zelter e Spontini. Nell’agosto del 1829, la carriera concertistica di Chopin lo portò a Vienna, esibendosi in due concerti al Kärtnertor Theater, in cui ottenne un discreto successo e dove eseguì suoi pezzi per pianoforte e orchestra: le Variazioni su ‘Là ci darem la mano’ op. 2 e il rondò Krakowiak op. 14. Ritornato a Varsavia, tra il 1829 e il ’31 scrisse altre composizioni in vista di una nuova tournée europea, tra cui i due Concerti e l’Andante spianato e Grande polacca brillante per pianoforte e orchestra. Il 2 novembre 1830 lasciò definitivamente la Polonia per un secondo soggiorno a Vienna, che però fu una delusione. Decise quindi di partire per Londa, facendo tappa a Parigi, che sarebbe diventata la sua città, la sua seconda patria. Parigi era una delle città più importanti d’Europa, anche dal punto di vista culturale. Lì Chopin conobbe Berlioz, Rossini Bellini, Liszt, Mendelssohn, Kalkbrenner, oltre ad altri importanti artisti e letterati. Chopin entrò nel giro dell’alta società parigini: suonava nei salotti più importanti della città e insegnava pianoforte, guadagnando molto. Dal 1838 al 1847 fu legato sentimentale alla scrittrice George Sand. M. Carrozzo, C. Cimagalli – Storia della musica occidentale, vol. 3 12 Nel febbraio 1848, Chopin si esibì un’ultima volta nella Sala Pleyel, dove non suonava più dal 1842, ottenendo un grande successo. In seguito ai moti rivoluzionari, ad aprile partì per l’Inghilterra e la Scozia, dove rimase fino a novembre e dove effettuò diversi concerti. Rientrato a Parigi, trascorse il suo ultimo anno di vita in condizioni difficili: la rivoluzione aveva cambiato la società e non poteva più contare sul mondo aristocratico che gli permetteva di vivere agiatamente; inoltre, la sua salute si era molto aggravata e non gli permetteva di portare avanti impegni lavorativi importanti. Non componeva quasi più: negli ultimi due anni di vita, scrisse solo un valzer (oggi perduto, del 1848) e due mazurche (op. 67 n. 2, 1848, e op. 68 n. 4, 1849). Chopin era considerato da Schumann e da Liszt un Sàrmata [antico popolo iranico], un selvaggio, con una propria originalità stilistica e un audace uso di dissonanze e armonie inconsuete. Veniva infatti percepito come uno straniero, proveniente da un mondo profondamente estraneo alla cultura europea. Il suo legame con il folclore della sua patria era molto forte. Inoltre, la formazione di Chopin non aveva nulla a che vedere con il Classicismo viennese, ma si riallacciava più direttamente al mondo settecentesco. Lui non concepiva la forma musicale come una grande architettura dalla solida logica razionale e concettuale che deve rinviare a ‘qualcosa di altro’. La musica di Chopin è pura e assoluta, astratta, non significa altro che se stessa e non ha bisogno di riferimenti extramusicali [≠ dagli altri romantici]. Lo stile di Chopin è galante e sensibile, è un’arte del porgere, che trova espressività nell’ornamento e che pone al centro la capacità espressiva e ‘parlante’ dell’interprete. Un altro influsso importante sulla musica di Chopin è quello del bel canto italiano, anch’esso di matrice settecentesca ma sviluppatosi soprattutto nell’Ottocento. Ci sono, infatti, analogie tra il melodizzare fiorito di Chopin con quello dell’amico Bellini. Chopin è un poeta lirico della musica, non un poeta epico né drammaturgo. Caratteristiche stilistiche romantiche in Chopin sono: tono lirico-contemplativo, prevalenza di modulazioni a gradi diversi dal V, con cromatismi, enarmonia e uso di strutture modali desunte dal folclore polacca, forma tendenzialmente sbilanciata, ritmo generalmente uniforme che genera accumulo di tensione, polarizzazione tra melodia e accompagnamento arricchita da un tessuto liberamente contrappuntistico. Chopin, inoltre, era un grande ammiratore di Bach, di cui aveva studiato intensamente il contrappunto nel Clavicembalo ben temperato. Per quanto riguarda la forma-sonata, Chopin non si ispirò a Beethoven. Il suo modello era la sonata haydniana, se non addirittura quella preclassica, scarlattiana, quindi senza la riproposizione del primo tema nella ripresa [come nel primo movimento della Sonata in si bemolle minore, op. 35. Di questa Sonata Schumann parlò in termini non proprio positivi, soprattutto per quanto riguarda la successione dei tempi, a detta sua ‘bizzarra’, visto che il terzo movimento è una marcia funebre]. Principali composizioni di Chopin: 4 ballate, studi op. 10 e op. 25 [più tre postumi], 4 improvvisi, 59 mazurche, 21 notturni, 26 preludi tra cui i 24 dell’op. 28, 4 rondò, 4 scherzi, 20 o 21 valzer, 3 sonate, 17 polacche, 4 composizioni basate su variazioni, altre composizioni per pianoforte solo; una composizione per pianoforte a quattro mani; una composizione per due pianoforti; poca musica da camera: tre composizioni per violoncello e pianoforte e un trio per violino, violoncello e pianoforte, composizioni per voce e pianoforte; pianoforte e orchestra: due concerti e altre tre composizioni. M. Carrozzo, C. Cimagalli – Storia della musica occidentale, vol. 3 15 e logico, così come lo è la forma. È un virtuosismo che vuole trascendere la fisicità del suono e farsi veicolo di un messaggio poetico. Liszt fonde insieme musica strumentale e poesia per raggiungere i massimi vertici artistici. Non si tratta però di una semplice intonazione di un testo letterario su musica, ma si tratta di fondere l’ispirazione letteraria con la musica strumentale pura, mettendo in musica non l’aspetto esteriore e verbale della poesia, ma la sua vera essenza, creando così un ‘doppio’ sonoro della poesia. Alcune composizioni di questo genere: Armonie poetiche a religiose, 1834, poi ampliata negli anni 1845-52, stesso titolo di una serie di poesie di Lamartine; Anni di pellegrinaggio, 1837-77, divisi in tre ‘annate’, nelle quali il virtuoso itinerante e il ‘viaggiatore’ romantico si trasfigurano spesso in un pellegrino ai luoghi santi della poesia e della pittura. La seconda annata è intitolata Italie ed è costituita da composizioni come Sposalizio (ispirato allo Sposalizio della Vergine di Raffaello), Il pensieroso (ispirato a Michelangelo), Canzonetta del Salvator Rosa (poeta e pittore del Seicento), Sonetti 47 e 123 del Petrarca, Fantasia quasi sonata. Dopo una lettura di Dante. Quest’ultima composizione, scritta tra il 1836 e il ’49, riassume molte caratteristiche de Liszt di questo periodo: ispirazione letteraria (dall’Inferno dantesco), uso di materiale musicale sperimentale quale il tritono (tema introduttivo) e il cromatismo (temi principale e secondario), virtuosismo, unione tra la libertà della fantasia e il rigore della sonata; l’intero ciclo sonatistico è compresso in un’unica composizione, formata da più movimenti non nettamente divisi e uniti dalla riproposizione dello stesso tema, continuamente trasformato ma sempre riconoscibile: è la forma ciclica. Liszt fece la vita del più grande pianista del secolo, impegnato in concerti in tutta Europa e perfino in Turchia. Nel febbraio del 1848 assunse il posto di maestro di cappella presso la corte di Weimar. Lì si dedicò alla composizione quasi a tempo pieno, iniziando la grande stagione del poema sinfonico. Inoltre, diresse le sue musiche e dei suoi contemporanei, formò un cenacolo di allievi (‘neotedeschi’: Bulow, Tausig e altri) e produsse lavori come critico e scrittore impegnato nella diffusione della nuova musica. Nel 1858, dopo dieci anni, dette le dimissioni da Weimar, a causa di alcuni dissapori con la corte. Nel 1861 si trasferì a Roma, ma visse ancora a Weimar e anche a Budapest, dove insegnava. A Roma si accentuò l’interesse di Liszt per la spiritualità religiosa e compose molta musica sacra: ad es. gli oratori per soli, coro e orchestra La leggenda di Santa Elisabetta (1862) e Christus (1867), il Cantico del sol di S. Francesco d’Assisi per baritono, coro maschile e orchestra (1862) e alcune messe, tra cui quella per l’incoronazione dell’imperatore Francesco Giuseppe re d’Ungheria. Nel 1865 prese perfino gli ordini minori. Negli ultimi anni della sua vita, Liszt cercò di superare i suoi confini, creando lavori di grande modernità. La scrittura del tardo Liszt è più asciutta e rigorosa (forse per l’influsso della polifonia palestriniana), con armonie estremamente ardite: tritoni, settime diminuite che creano incertezza tonale, scale per toni interi. Principali composizioni di Liszt: un’opera; musica corale, sia sacra che profana; dodici poemi sinfonici: tra cui Bergsymphonie, Tasso (da Goethe e Byron), Les préludes (Lamartine), Mazeppa (Hugo), Die Ideale (Schiller); composizioni per orchestrali; composizioni per pianoforte e orchestra; musica da camera; moltissima musica per pianoforte; composizioni per organo; molti Lieder. Il poema sinfonico (Symphonische Dichtung) è un genere che sintetizza la poesia e la musica sinfonica. È una composizione sinfonica formata da un unico movimento, corredato di un M. Carrozzo, C. Cimagalli – Storia della musica occidentale, vol. 3 16 programma scritto che ne illustra il contenuto poetico [≠ musica descrittiva] e che garantisce una coerenza di fondo e, allo stesso tempo, permette al compositore di trattare liberamente la forma musicale. La Sonata in si minore (1853) è un esempio di musica ‘assoluta’ ed è una sonata ciclica: in un unico movimento sono compressi tutti i movimenti di un’intera sonata tradizionale. Qui la tecnica della trasformazione tematica raggiunge uno dei più alti vertici. 36.1. L’OPERA ITALIANA DELL’OTTOCENTO. Storia di eroi, tiranni, convenzioni e drammi La situazione italiana dell’Ottocento è diversa da quella tedesca e francese. In Italia la grande tradizione puramente strumentale del Sei-Settecento si era affievolita, per un insieme di circostanze: mancanza di un ceto medio portatore di autonomi valori culturali e sudditanza politica di molte regioni italiane a potenze straniere; inoltre l’ideologia romantica della ‘metafisica della musica strumentale’ non aveva trovato terreno fertile in Italia. Nell’Ottocento italiano, la musica per eccellenza era l’opera. La funzione sociale del teatro era rimasta la medesima del Settecento, come luogo di ritrovo serale e veicolo di divulgazione culturale per un pubblico ancora gerarchizzato in classi [la struttura stessa del teatro è gerarchica]. La concezione drammaturgica delle opere del primo Ottocento è diversa rispetto al Settecento: ➢ Si passa dal regno della fantasia a quello della verità drammatica; ➢ Lo spettatore cerca di identificarsi coi personaggi, con un forte coinvolgimento emotivo; ➢ C’è più verosimiglianza nella rappresentazione e nei timbri vocali, che diventano più naturali; ➢ I personaggi sono più elementari e semplici nei loro caratteri essenziali; ➢ I personaggi estremizzano al massimo le loro passioni e le loro emozioni, da cui sono travolti, spesso il fine è tragico [≠ lieto fine settecentesco]; ➢ Nelle trame l’eroe è sempre un innamorato ardentissimo, il tiranno estremamente cattivo, la donna pura, tenera e sentimentale; ➢ Non c’è più il razionalismo settecentesco, ma passioni estreme [innaturalità]; ➢ L’ambientazione è spesso medievale. Dal punto di vista musicale e poetico-musicale: ➢ La musica prima era un fine, ora un mezzo per realizzare un dramma il più possibile coinvolgente, quindi diventa un elemento di fruizione emozionale; ➢ Il vero drammaturgo è il compositore, che spesso guida tutte le fasi della stesura dell’opera; ➢ Scompare il recitativo secco, a favore di quello accompagnato con l’orchestra: non c’è più la netta differenza tra recitativo e aria, l’azione non si arresta e tutto è più scorrevole. Questo fa sì che ci siano delle conseguenze: 1. La declamazione del recitativo accompagnato è più lenta, quindi si riduce il numero di versi da cantare; M. Carrozzo, C. Cimagalli – Storia della musica occidentale, vol. 3 17 2. Cambia la qualità metrica dei versi: visto che molte scene dialogate iniziano ad essere simili a duetti o ensemble vocali, i versi diventano più misurati, con distribuzione simmetrica di accenti, permettendo così il cantare simultaneo di più personaggi; 3. Cambia lo stile poetico: il testo dei libretti si abitua al fatto di essere più ‘cantato’ che ‘recitato’ e il linguaggio diventa più aulico. Si cristallizza una vera e propria lingua dei libretti che bandisce nomi troppo prosaici o comuni in favore di altri più poetici [es. non ‘volto’ ma ‘sembiante’, non ‘parole’ ma ‘accenti’ o ‘detti’, non ‘sempre’ ma ‘ognora’, ecc.]. Tutti questi aspetti sono propri di alcuni operisti della prima metà dell’Ottocento: Mercadante, Pacini, ma soprattutto Donizetti e Bellini. Questi ultimi due compositori presentano delle affinità. GAETANO DONIZETTI E VINCENZO BELLINI A CONFRONTO Gaetano Donizetti musicista più ‘europeo’ Vincenzo Bellini musicista tipicamente ‘italiano’ 1797-1848 [51 anni]. Nacque a Bergamo. 1801-1835 [34 anni]. Nacque a Catania. Ottima formazione, più ‘europea’: studiò con Simon Mayr, col quale approfondì l’opera francese e la musica strumentale del Classicismo viennese; studiò poi a Bologna col contrappuntista padre Mattei, maestro di Rossini. Formazione squisitamente italiana, tradizione operistica della ‘scuola napoletana’: a diciott’anni ottenne una borsa di studio e si spostò al Conservatorio di Napoli, studiando con Niccolò Zingarelli. Dal Nord al Sud. Successi al Sud: Roma e Napoli. Risiedette a Roma dal 1821 al 1828 e a Napoli dal 1828 al 1838. Ebbe poi notorietà in tutta Italia. Dal Sud al Nord. Primi successi a Napoli e poi nelle città del Nord, soprattutto a Milano, dove visse dal 1827 al 1833. Scrisse sessantaquattro opere, sia serie che buffe. Scrisse solo dieci opere, tutte serie. In media un’opera all’anno. Era molto pagato. A Parigi nel 1838, dopo avervi rappresentato il Marino Faliero nel 1835. Nel 1840, all’Opéra vennero rappresentati Les martyrs e La favorite e all’Opéra-Comique La fille du régiment. Anche a Vienna grande successo e notorietà. La sua carriera si concluse nel 1843 con l’opera buffa Don Pasquale e il grand opéra in francese Dom Sébastien. In seguito, non scrisse più, a causa dei danni celebrali dovuti ad una malattia venerea. A Parigi nel 1833, dopo un breve soggiorno a Londra per la rappresentazione di tre sue opere. A Parigi al Théâtre-Italien vennero rappresentate il Pirata, i Capuleti e I puritani. Grande successo e notorietà per Bellini, beniamino della buona società parigina. Fu poi colpito da morte prematura. Eredità rossiniana, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti tecnico-musicali e le strutture formali codificate da Rossini. Entrambi, però, svilupparono uno stile personale. Commistione tra il genere serio e buffo. Non solo opera seria, ma anche buffa. Anzi, mescolò i due generi, inserendo elementi comici nelle opere serie e viceversa. Stile personale [≠ da Rossini]: confini non troppo netti tra i pezzi chiusi, più continuità e respiri più ampi. Dal punto di vista della vocalità, Bellini abolì le colorature, preferendo un melodizzare più sillabico e ‘spianato’, con M. Carrozzo, C. Cimagalli – Storia della musica occidentale, vol. 3 20 Della Seta ha suddiviso: Il 1848, anno di crisi politico-sociale, portò dei cambiamenti che coinvolsero Verdi e tutto il mondo del mercato operistico. La crisi economica di quegli anni, inoltre, portò alla caduta del sistema impresariale e la nuova figura dominante divenne l’editore [es. Ricordi a Milano], che commissionava le opere ai compositori e noleggiava le partiture ai teatri. In questo modo si costituì un repertorio duraturo. Il ritmo di lavoro di Verdi iniziò a rallentare, sia perché ormai era un compositore affermato e anche perché si soffermava di più su ciascuna nuova opera. Di questi anni sono le opere: Luisa Miller, Stiffelio (nel ’57 trasformato in Aroldo), la trilogia formata da Rigoletto (Venezia, 1851), Il trovatore (Roma, 1853) e La traviata (Venezia, 1853). Nel 1855 un nuovo grand opéra, Les vêpres siciliennes per l’Opéra di Parigi. Seguirono, per l’Italia, Simon Boccanegra e Un ballo in maschera. Dagli anni ’60 al 1887 abbiamo solo tre opere: La forza del destino (San Pietroburgo, 1862), Don Carlos (Parigi, 1867) e Aida (Il Cairo, 1871), che sono considerabili come grands opéras, anche se solo Don Carlos lo è veramente, visto che è scritta in francese e nei canonici cinque atti. In questi diciassette anni, Verdi si dedicò anche ad attività di contadino nella sua tenuta piacentina; inoltre, rielaborò opere precedenti per farne nuove versioni: Macbeth, La forza del destino, Simon Boccanegra, Don Carlo (Milano, in italiano e in quattro atti). Dopo la morte di Rossini, cercò di organizzare una Messa da Requiem in suo onore, coinvolgendo altri dodici compositori italiani, ma l’esecuzione non ebbe mai luogo; per l’occasione scrisse il Libera me, che poi utilizzò nella propria Messa da Requiem dedicata ad Alessandro Manzoni. Dal 1878 al 1887, Verdi lavorò alla sua penultima opera, il dramma lirico Otello, con il librettista Arrigo Boito, con cui collaborò anche per la commedia Falstaff (1893), sua ultima opera. L’ultima pubblicazione furono i Quattro pezzi sacri (1898): un’Ave Maria per coro, le Laudi alla Vergine Maria per due soprani e due contralti, un Te Deum per doppio coro e orchestra e uno Stabat Mater per coro e orchestra. Dagli anni ’50, Verdi assunse posizioni più moderate e consone al suo nuovo status di proprietario terriero. Aveva orami un grande fama, tanto che nel 1861 Cavour lo volle come deputato del primo parlamento italiano e nel 1874 divenne senatore. Le sue opere presentano nuovi aspetti: Opere in cui prevale il modello del grand opéra • Nabucco • I lombardi alla prima criociata • Giovanna d'Arco • Il trovatore • ecc. Opere in cui prevale il modello del teatro parlato • I due Foscari • Luisa Miller • Rigoletto • La traviata • ecc. Opere in cui i due modelli si equilibrano • Ernani • Macbeth • Un ballo in maschera M. Carrozzo, C. Cimagalli – Storia della musica occidentale, vol. 3 21 ➢ Drammaturgia: • Disillusione post-quarantottesca: sguardo indagatore e pessimista che guarda più verso l’interno dei personaggi che al loro esterno; • Gli eroi si isolano e approdano ad un’inevitabile sconfitta, senza riscatto; • I tiranni e i personaggi più anziani sono tratteggiati con accorata partecipazione, svelando un animo amaro e disincantato ma molto sensibile; • I cori rappresentano ora una folla amorfa, una massa volubile ed indifferente; • Solo l’eroina mostra un’evoluzione in ascesa: il suo animo è sempre più ricco e profondo di quello dell’eroe, il suo rapporto con la realtà più lucido. È anche il personaggio che impiega tipologie formali più innovative. ➢ Aspetti stilistico-musicali: • Forme musicali meno dipendenti dalla tradizione e sempre più pertinenti alle varie situazioni drammatiche; • Verdi era soprattutto un uomo di teatro, più che un semplice compositore: il suo compito non era solo comporre bella ed efficace musica, ma doveva costruire un vero dramma, coinvolgente e intenso, dall’inizio alla fine. Ecco perché egli esigeva sempre libretti composti appositamente e ispirati ad autentici capolavori letterari, che proponevano vari stimoli, che poi lui sviluppava in maniera personale: da Hugo la rivalutazione del ‘brutto’, del triviale come elementi indispensabili alla verità drammatica; da Shakespeare e da Hugo la commistione di comico e tragico, da tutti la ricerca della ‘parola scenica’, ovvero di una frase lapidaria ma perspicua, d’effetto. • Tendenze più moderne: orchestrazione raffinata, fraseologia più sciolta e meno ‘quadrata’, armonia più duttile (anche con cromatismi ai limiti della tonalità). Egli non voleva abolire le forme chiuse, ma solo impiegarle con assoluta libertà, per introdurre il movimento nelle forme, per evitare staticità, e per introdurre forme nel movimento, perché non voleva rinunciare alla forma e quindi alla sua espressività [≠ Wagner]: o L’aria non è più composta in maniera sistematica da cantabile e cabaletta, ma tende a saldarsi alla scena iniziale, come momento lirico non stilisticamente opposto alla dizione recitativa. La cabaletta scompare, ma rimane comunque un momento di slancio emotivo maggiore alla fine della parte cantabile; o Le parti più libere dell’aria, tempo d’attacco e tempo di mezzo, si dilatano, accogliendo un insieme assai frastagliato di situazioni e rappresentando il culmine emotivo; o Quando Verdi mantiene la classica struttura rossiniana è perché vuole rappresentare la banalità di un personaggio o perché vuole giocare con le aspettative del pubblico, fingendo di assecondarle per poi eluderle. • Ci dev’essere un’unità totale di fondo. Verdi voleva infatti controllare tutto con accuratezza. Ricordi nel 1856 pubblicò le ‘disposizioni sceniche’ per le opere verdiane, ossia delle istruzioni per la regia. Inoltre, a Verdi interessava molto la presenza scenica dei cantanti, ancora di più della loro purezza vocale. • Con Otello e Falstaff si è molto vicini al dramma parlato: i dialoghi hanno un ruolo importantissimo, spesso rappresentano i momenti emotivamente più coinvolgenti, mentre le sezioni puramente liriche fanno quasi solo da momento di respiro. M. Carrozzo, C. Cimagalli – Storia della musica occidentale, vol. 3 22 Principali composizioni di Verdi: musica da camera per voce e pianoforte; un quartetto d’archi; musica sacra; composizioni di vario genere; ventotto opere: 1. Oberto, Conte di San Bonifacio (Teatro alla Scala di Milano, 1839) - Dramma in due atti di Temistocle Solera; 2. Un giorno di regno (Milano, 1840) - Melodramma giocoso in due atti di Felice Romani; 3. Nabucco (Milano, 1842) - Dramma lirico in quattro parti di Temistocle Solera; 4. I Lombardi alla prima crociata (Milano, 1843) - Dramma lirico in quattro atti di T. Solera; 5. Ernani (Venezia, 1844) - Dramma lirico in quattro parti di Francesco Maria Piave; 6. I due Foscari (Roma, 1844) - Tragedia lirica in tre atti di Francesco Maria Piave; 7. Giovanna d'Arco (Milano, 1845) - Dramma lirico in un prologo e tre atti di Temistocle Solera; 8. Alzira (Napoli, 1845) - Tragedia lirica in un prologo e due atti di Salvadore Cammarano; 9. Attila (Venezia, 1846) - Dramma lirico in un prologo e tre atti di Temistocle Solera; 10. Macbeth (Firenze, 1847) - Melodramma in quattro atti di Francesco Maria Piave, con interventi di Andrea Maffei; sec. versione (Théâtre Lyrique di Parigi, 1865); 11. I masnadieri (Londra, 1847) - Melodramma tragico in quattro parti di Andrea Maffei; 12. Jérusalem (Teatro de l'Opéra di Parigi, 1847) - Grand opéra in quattro atti di Alphonse Royer e Gustave Vaëz, rifacimento de I Lombardi alla prima crociata; 13. Il corsaro (Trieste, 1848) - Melodramma in tre atti di Francesco Maria Piave; 14. La battaglia di Legnano (Roma, 1849) - Tragedia lirica, quattro atti di Salvadore Cammarano; 15. Luisa Miller (Napoli, 1849) - Melodramma tragico in tre atti di Salvadore Cammarano; 16. Stiffelio (Trieste, 1850) - Melodramma in tre atti di Francesco Maria Piave; 17. Rigoletto (Venezia, 1851) - Melodramma in tre atti di Francesco Maria Piave; 18. Il trovatore (Roma, 1853) - Dramma in quattro parti di Salvadore Cammarano, con aggiunte di Leone Emanuele Bardare; 19. La traviata (Venezia, 1853) - Melodramma in tre atti di Francesco Maria Piave; 20. Les vêpres siciliennes (Teatro dell'Opéra di Parigi, 1855) - Grand opéra in cinque atti di Eugène Scribe e Charles Duveyrier; 21. Simon Boccanegra (Venezia, 1857) - Melodramma in un prologo e tre atti di Francesco Maria Piave, con interventi di Giuseppe Montanelli; seconda versione, su libretto rivisto e ampliato da Arrigo Boito (Teatro alla Scala di Milano, 1881); 22. Aroldo (Rimini, 1857) - Melodramma in quattro atti di F. M. Piave, rifacimento di Stiffelio; 23. Un ballo in maschera (Roma, 1859) - Melodramma in tre atti di Antonio Somma; 24. La forza del destino (Teatro Imperiale di San Pietroburgo, 1862) - Opera in quattro atti di Francesco Maria Piave; seconda versione, su libretto rivisto e ampliato da Antonio Ghislanzoni (Teatro alla Scala di Milano, 1869); 25. Don Carlos (Teatro de l'Opéra di Parigi, 1867) - Grand opéra in cinque atti di Joseph Méry e Camille du Locle; versione italiana in quattro atti (Teatro alla Scala di Milano, 1884); 26. Aida (Teatro chediviale dell'Opera del Cairo, 1871) - Opera in quattro atti di Antonio Ghislanzoni; 27. Otello (Milano, 1887) - Dramma lirico in quattro atti di Arrigo Boito; 28. Falstaff (Milano, 1893) - Commedia lirica in tre atti di Arrigo Boito. M. Carrozzo, C. Cimagalli – Storia della musica occidentale, vol. 3 25 Wagner presenta i tratti tipici dell’attivismo culturale romantico: non fu strumentista, ma fu direttore d’orchestra, diffusore della nuova musica (la sua soprattutto), direttore artistico, fondatore non di una lega ma del festival di Bayreuth, critico musicale e poeta. Parlando della produzione di Wagner, non si può parlare di ‘opera’, ma di dramma musicale, anche se egli non approvava il termine, perché troppo riduttivo e legato al ‘dramma per musica’. Egli non voleva creare un nuovo genere, ma realizzare l’unica e possibile ‘musica dell’avvenire’ [ne parla nei saggi L’opera d’arte dell’avvenire (1849), Opera e dramma, Una comunicazione ai miei amici e Musica dell’avvenire (1860)]. Wagner non concepiva la musica come ‘assoluta’, perché secondo lui ha bisogno di una ‘giustificazione’ esterna di carattere poetico, drammatico o coreografico, altrimenti è priva di senso. Secondo Wagner, Beethoven con l’Ode alla gioia della Nona Sinfonia aveva chiuso la stagione della musica strumentale pura, raggiungendo, anche se inconsapevolmente, il traguardo a cui da sempre la musica tendeva: l’unione con la parola. Addirittura, a Wagner sembrò che nelle sinfonie di Beethoven il tessuto melodico fluisse in una ‘melodia infinita’. Per Wagner l’‘opera d’arte dell’avvenire’ è il Wort-Ton-Drama, ossia l’unione di parola-suono- azione in un’‘opera d’arte totale’. Questa sua tendenza verso l’avvenire è controbilanciata da uno sguardo retrospettivo verso un’arte primigenia in esisteva unità tra parola, musica e gesto, che ha raggiunto il massimo grado di perfezione nella tragedia dell’antica Grecia. Il dramma deve realizzare il ‘puramente umano’, ossia la vera natura umana spoglia dalle convenzioni che la storia ha creato. Ecco perché i soggetti wagneriani attingono al mito: nella mitologia i caratteri umani sono mostrati nella loro essenza più pura e universale. Per di più, un personaggio ‘puramente umano’ si trova a suo agio nell’esprimersi cantando, cosa che un personaggio storico o contemporaneo non può fare. Il dramma è il fine di tutto, mentre musica e testo sono semplicemente dei mezzi per realizzare il dramma. È per questo che la musica non può avere una forma autonoma, ma deve essere al servizio del dramma. Wagner utilizzava la tecnica del Leitmotiv (‘motivo conduttore’), che genera vere e proprie ‘azioni della musica’: un motivo musicale affidato all’orchestra legato ad una situazione, ad un personaggio o ad un sentimento. I Leitmotive ritornano costantemente in tutto il dramma, come ricordi o presagi, trasformandosi e fondendosi tra loro, fino a creare una fitta rete che rappresenta il ‘tessuto connettivo’ dell’interno dramma. L’orchestra non è più solamente un accompagnamento alle voci, ma assume una funzione drammatica, raffigurando spesso l’inconscio dei personaggi e mostrandoci spesso i loro pensieri o le loro pulsioni più riposte. Il rapporto tra testo e musica è davvero stretto, infatti era Wagner stesso il librettista delle sue opere. Il Leitmotiv, per potersi adattare a qualsiasi contesto armonico, è tonalmente ambiguo; si basa, infatti, sul cromatismo, artificio che permette di sfumare qualsiasi trasparenza e prevedibilità tonale. L’esempio più emblematico è il famoso ‘accordo del Tristano’ del Preludio del Tristano e Isotta, difficilmente definibile tonalmente [un accordo simile era già stato utilizzato da Liszt in un suo Lied, ma la novità in Wagner è che l’accordo apre proprio il dramma]. Inoltre, sin dalla fine del Cinquecento, il cromatismo è utilizzato per rappresentare il dolore e la morte, intesa anche come M. Carrozzo, C. Cimagalli – Storia della musica occidentale, vol. 3 26 estasi dei sensi. Il Tristano e Isotta è proprio un poema di amore e morte: il compimento più alto dell’amore si può realizzare solo nella morte, che porta gli amanti all’annullamento supremo. L’adattabilità dei Leitmotive ai vari contesti comporta anche l’abbandono delle forme chiuse. La forma musicale è data dalla connessione dei motivi conduttori, che si incastrano tra loro in una ‘melodia infinita’. In pratica, si tratta della tecnica dell’elaborazione motivico-tematica del Classicismo viennese elevata all’ennesima potenza, a cui si aggiunge il procedimento lisztiano della trasformazione dei temi l’uno nell’altro. Lo stile vocale dei cantanti è un declamato melodico, molto simile ad un recitativo. Visto che il testo è al servizio del dramma, dev’essere ben comprensibile e quindi ben pronunciato; inoltre non ci sono quasi mai duetti, terzetti o concertati, per evitare l’incomprensibile canto simultaneo. Contraddizioni in Wagner: o I miti germanici da lui ripresi in realtà non erano molto presenti nell’immaginario del popolo o degli intellettuali tedeschi. Si tratta quindi di una mitologia fatta rivivere forzatamente; o Egli aspirava a creare un dramma ‘moderno’, rinunciando però a molte conquiste operistiche più recenti, ritornando quasi al settecentesco dramma di affetti contrapposti. I suoi personaggi, infatti, non ha un vero carattere personale che si evolve, ma la loro psicologia è piuttosto elementare ed univoca; o I suoi slanci rivoluzionari convivevano con atteggiamenti reazionari, oltre che con un forte antisemitismo e un pronunciato nazionalismo. Principali composizioni di Wagner: 1. Le nozze (1832, incompiuto); 2. Le fate (1834, Prima: 1888 Monaco di Baviera); 3. Il divieto d'amare o La novizia di Palermo (1834-1836, Prima: 1836 Magdeburgo); 4. Rienzi, l'ultimo dei tribuni (1837-1840, Prima: 1842 Dresda); 5. L'olandese volante (1840-1841, Prima: 1843 Dresda. Rielaborato nel 1852, Zurigo, e nel 1864, Monaco) (Prima italiana: 1877 Bologna); 6. Tannhäuser (1842-1845, Prima: 1845 Dresda). Rielaborato nel 1861 (Parigi, in lingua francese) e nel 1875 (Vienna) (Prima italiana: 1872 Bologna); 7. Lohengrin (1845-1848, Prima: 1850, Weimar) (Prima italiana: 1871 Bologna); 8. L'anello del Nibelungo, in quattro parti: Prologo: L'oro del Reno (1851-1854, Prima: 1869 Monaco), Primo giorno: La Valchiria (1851-1856, Prima: 1870 Monaco), Secondo giorno: Sigfrido (1851-1871, Prima: 1876 Bayreuth), Terzo giorno: Il crepuscolo degli dèi (1848-1874, Prima: 1876 Bayreuth) (Prima italiana della Tetralogia: 1883 Venezia); 9. Tristano e Isotta (1856-1859, Prima: 1865 Monaco) (Prima italiana: 1888 Bologna); 10. I maestri cantori di Norimberga (1845-1867, Prima: 1868 Monaco) (Prima it.: 1889 Milano); 11. Parsifal (1865-1882, Prima: 1882 Bayreuth) (Prima europea al di fuori di Bayreuth: 1914 Bologna). M. Carrozzo, C. Cimagalli – Storia della musica occidentale, vol. 3 27 GEORGES BIZET Georges Bizet (Parigi, 1838 – Bougival, 1875) La più importante opera di Bizet, nonché l’ultima, è Carmen, un’opéra-comique rappresentata nel 1875 all’Opéra-Comique. Il libretto è di Henri Meilhac e Ludovic Halévy, con interventi di Bizet stesso. La trama è tratta liberamente dall’omonima novella del 1845 di Prosper Mérimée. Trama sintetica: Don Josè è un brigadiere integerrimo, ligio al suo dovere e alla sua fidanzata Micaela. Carmen è una zingara dall’irresistibile fascino, a cui cede perfino Don Josè, che la libera da un arresto, finendo imprigionato lui stesso. Tornato in libertà, Don Josè diventa un bandito pur di seguire la sua amata Carmen, la quale, però, si innamora del torero Escamillo. Josè uccide perciò Carmen. Man mano che si avanti con l’opera, si assiste ad una progressiva degradazione morale di Don Josè. Carmen introduce diverse novità, soprattutto dal punto di vista drammaturgico: ➢ Drammaturgia: • Inserimento nel mondo operistico di personaggi completamente nuovi, come Carmen, una donna indipendente animata da una provocante carica erotica; • Bizet raffigura un amore scandaloso nella sua sensualità, nella sua completa mancanza di senso morale. Proprio per questo motivo, la prima esecuzione fu un fiasco: il pubblico borghese dell’epoca fu indignato, scandalizzato, non solo per il personaggio di Carmen, ma anche per il fatto che avvenisse un omicidio sulla scena; • Il pubblico fu disorientato anche per la mancanza di sentimentalismo: la vicenda è presentata con distacco, senza mai far leva sulla commozione del pubblico. ➢ Aspetti stilistico-musicali: • Ci sono dei motivi ricorrenti, come quelli associati al personaggio di Carmen, ma non sono dei veri e propri Leitvotive wagneriani; • Orchestra molto raffinata, leggera e nitida; • Senso ritmico nervoso, trascinante nella sua vitalità, ma anche indugiante in languidezze sensualissime; • Armonia chiara con contorni ben definiti, anche con l’aggiunta di ‘spagnolismi’. Carmen scontentò tutti i parigini: sia i ‘conservatori’ che i ‘progressisti’ wagneriani. Solo dal 1883 l’opera raggiunse un successo intramontabile, quando ormai Bizet era già morto. 38.1. IL SINFONISMO DEL SECONDO OTTOCENTO, DA BRAHMS A MAHLER. Storia di ‘progressisti’ e ‘conservatori’ In Germania, accanto ai ‘progressisti’, i neotedeschi, c’erano anche i ‘conservatori’, che nel 1860 firmarono un manifesto per dichiarare pubblicamente la propria indipendenza dai neotedeschi. Tra questi c’erano il violinista Joseph Joachim e Johannes Brahms, non ancora trentenne [in realtà M. Carrozzo, C. Cimagalli – Storia della musica occidentale, vol. 3 30 pianoforte, nel 1883 la Terza Sinfonia in fa maggiore e nel 1885 la Quarta in mi minore. L’ultima grande composizione con orchestra è il Concerto in la minore per violino e violoncello 1887. • Negli stessi anni, scrisse capolavori anche per la musica da camera: per pianoforte (Fantasie op. 116, Intermezzi op. 117, Klavierstücke op. 118 e 119) e composizioni con clarinetto come solista (Trio con violoncello e pianoforte op. 114, Quintetto con archi op. 115, due Sonate per clarinetto e pianoforte op. 120). • I Vier ernste Gesänge (Quattro canti seri, su testi tratti dalle sacre scritture) furono la sua ultima pubblicazione, composti in seguito alla morte di Clara Schumann. La sua ultima opera in assoluto furono gli Undici preludi corali per organo. GLI ALTRI ‘PROGRESSISTI’ Anton Bruckner (1824-96) fu assimilato ai neotedeschi, tanto da essere definito un ‘sinfonista wagneriano’ (espressione estremamente contraddittoria). In realtà, la musica di Bruckner è lontana da quella dei wagneriani, per una serie di motivi: • Ad eccezione di varia musica sacra, scrisse solo musica strumentale pura; • Scrisse sinfonie in quattro movimenti e non poemi sinfonici; • Non affrontò mai l’opera; • Il suo carattere era particolarmente mite e non partecipò mai a polemiche né si espresse mai in saggi o articoli. Forse fu definito neotedesco per il semplice fatto di voler contrappore a Brahms un altro sinfonista. Il suo stile musicale segue una strada personale, diversa sia da Brahms che da Wagner: • La coerenza interna delle sue monumentali sinfonie non è dettata tanto da una rete di relazioni motiviche, ma da affinità di carattere ritmico; • Ispirandosi al primo movimento della Nona Sinfonia di Beethoven, Bruckner ‘crea’ di volta in volta il suono orchestrale delle sue sinfonie, partendo da una situazione inziale pressoché indistinta che poi si sviluppa e si definisce man mano. Principali composizioni di Bruckner: undici sinfonie (alcune di esse sono state revisionate da Bruckner stesso); musica corale: sacra (messe, requiem, cantate, inni, antifone, mottetti) e profana (cantate e Lieder); musica da camera, musica per ottoni, composizioni per pianoforte, per organo. Un compositore che invece si schierò apertamente dalla parte dei ‘progressisti’ fu Hugo Wolf (1860- 1903). Fu anche critico musicale. Nel breve arco della sua produttività egli si dedicò prevalentemente al Lied, conferendo a tale genere un’inedita dimensione concertistica e drammatica, più che cameristica. I testi utilizzati appartenevano a grandissimi poeti, come Goethe, ed erano riuniti in raccolte unitarie. Il rapporto musica-testo in Wolf si può considerare di tipo ‘wagneriano’: stile vocale declamato, rispettoso della pronuncia delle parole; accompagnamento pianistico denso, sia dal punto di vista dell’elaborazione motivica sia da quello armonico. M. Carrozzo, C. Cimagalli – Storia della musica occidentale, vol. 3 31 TRAMONTO DELL’OTTOCENTO: GUSTAV MAHLER E RICHARD STRAUSS Alla fine dell’Ottocento, la belle époque sfavillava di operette e di valzer, mentre si stava vivendo una crisi profonda, destinata a deflagrare in buio periodo dal 1914 al 1945. Gustav Mahler (Kaliště, Repubblica Ceca, 1860 – Vienna, 1911) Questa crisi e queste contraddizioni furono messe in luce dalla musica di Gustav Mahler. Alcune caratteristiche ricorrenti nelle sue sinfonie: • Musica ‘bassa’: fanfare, marce militari, canti popolari, zigani, musichette da birreria, ecc.; • C’è molta eterogenia dei materiali: il ‘nobile’, il puro, è unito al ‘già sentito’, al pre-composto; il ‘bello’ convive col ‘brutto’ e col banale; • Non è necessario avere un programma esterno letterario e, anche se a volte può esserci, è solo l’impulso che può ispirare una composizione, perché la musica di fatto segue un proprio ‘programma interno’, fatto di «oscure senza azioni» che solo la musica può esprimere. Mahler riesce comunque in questo modo a creare musica pura e sublime. Egli voleva rendere in musica la totalità del mondo, fatta di contraddizioni e di ipocrisia. Per il pubblico la musica di Mahler e il suo atteggiamento provocatorio furono scandalosi. Nonostante ciò era apprezzato come grande direttore d’orchestra. Alcuni aspetti della sua produzione sono di carattere tardo-romantico: • Grandi proporzioni di organico e di durata; • Volontà di estrinsecare un contenuto interiore; Per altri aspetti Mahler si considera, come sosteneva Schönberg, il capofila e il maestro della musica del Novecento, anticipatore di nuove tendenze: • Atteggiamento dissacratorio; • Scrittura di tipo più polifonico che armonico; • Orchestrazione estremamente raffinata e tersa, quasi cameristica; • Non ricerca l’originalità dell’invenzione tipica dell’estetica romantica, in quanto si serve di materiali precostituiti, sia dal punto di vista formale che melodico, assemblandoli insieme, sovrapponendoli con evidenti fratture stilistiche: un comporre ‘musica sulla musica’. Principali composizioni di Mahler: • Dieci sinfonie, che spesso contengono testi cantati o temi ripresi da alcuni suoi Lieder: o Prima Sinfonia (1884-88) per sola orchestra, riprende temi dai Canti di un giramondo; o Seconda, Resurrezione (1888-94) per orch., due voci femminile e coro, attinge ai suoi Lieder su testi da Il corno meraviglioso del fanciullo e a un inno di Klopstock; o Terza (1893-96) per contralto, coro femminile, coro di voci bianche e orch., si rifà di nuovo a Wunderhorn e al testo di Nietzsche Also sprach Zarathustra; o Quarta (1892-1900), un soprano e orchestra, utilizza testi del Wunderhorn; o Quinta (1901-02), Sesta (1903-04) e Settima (1904-05) per sola orchestra; o Ottava, Sinfonia dei mille (1906) per soli, due cori, coro di voci bianche e orchestra (gigantismo dell’organico vocale). Il testo è Veni creator Spiritus attribuito a Rabano Mauro, IX secolo, e per la scena conclusiva testo del Faust di Goethe; M. Carrozzo, C. Cimagalli – Storia della musica occidentale, vol. 3 32 o Nona (1909-10) per sola orchestra; o Decima (1910), incompiuta, si ha solo l’Adagio. • Sempre per orchestra: o Todtenfeier [Rito funebre] (1888), poesia sinfonica per grande orchestra; o Das Lied von der Erde [Il canto della Terra] (1908-09), sinfonia per tenore, contralto e orchestra su poesie cinesi tradotte in tedesco. • Un quartetto per pianoforte e archi in la minore (1876-78). • Lieder per voce e pianoforte: o Drei Lieder (1880), per tenore e pianoforte, su testi di Gustav Mahler; o Fünf Lieder und Gesänge aus der Jugendzeit [Cinque brani e canti dalla gioventù] (1880-83); o Lieder eines fahrenden Gesellen [Canti di un giovane in viaggio] (1884); o Gesänge aus "Des Knaben Wunderhorn" [Lieder da "Des Knaben Wunderhorn"] (1888-91); • Composizioni per voce con accompagnamento orchestrale: o Das Klagende Lied [Il canto del lamento e dell'accusa] (18878-80), cantata in tre parti; o Gesänge aus "Des Knaben Wunderhorn" (1888-1901), versione per voce e orch.; o Humoresken (1892) o Lieder eines fahrenden Gesellen (1892-93), versione per voce e orchestra; o Rückert-Lieder [Cinque Lieder per voce e orchestra] (1901-02); o Kindertotenlieder [Canti per i bambini morti] (1901-04), su testi di Rückert. Richard Strauss (Monaco di Baviera, 1864 – Garmisch-Partenkirchen, Germania, 1949) Richard Strauss, nonostante si ritraesse sgomento dalle tendenze musicali che iniziavano a germogliare nel suo periodo, ha contribuito davvero allo sviluppo della Nuova Musica novecentesca. L’atmosfera espressiva di Strauss è fortemente diversa da quella di Mahler: in Strauss domina un acceso e intenso vitalismo, una concezione della composizione come robusto artigianato; il tutto temperato da una vena di satira graffiante, lontana dall’aura di misticismo wagneriano dell’epoca. Principali composizioni di R. Strauss: • Egli si dedicò soprattutto al poema sinfonico, anche se respingeva la concezione di una musica costruita esclusivamente su un programma, sostenendo che la forma musicale dovesse avere fondamento solo in se stessa. Tra i più famosi poemi sinfonici: o Don Juan [Don Giovanni] (1888-89); o Tod und Verklärung [Morte e trasfigurazione] (1888-89); o Till Eulenspiegels lustige Streiche [I tiri burloni di Till Eulenspiegel] (1894-95), il cui programma fu redatto dopo la partitura; o Also sprach Zarathustra [Così parlò Zarathustra] (1895-96); o Don Quixote [Don Chisciotte] (1896-97), «variazioni fantastiche su un tema di carattere cavalleresco»; o Ein Heldenleben [Una vita da eroe] (1897-98). • Opere liriche: o Le opere dei primi anni del ‘900 – Salomè (Dresda 1905, su testi di Oscar Wild tradotti in tedesco) e Elektra (Dresda 1909, su testi di Hugo Hofmansthal), entrambe in un solo atto – presentano caratteristiche che le rendono estremamente moderne: rete fitta di Leitmotive che fa da commento psicoanalitico alla vicenda; testi lasciati come erano, cioè drammi in M. Carrozzo, C. Cimagalli – Storia della musica occidentale, vol. 3 35 Shéhèrazade); musica per banda; cantate; musica da camera; composizioni per pianoforte. Egli fu un grande orchestratore e rimaneggiò anche musica composta da altri. Principali composizioni di Borodin: quattro opere (es. Il principe Igor); musica sinfonica: tre sinfonie e il poema sinfonico Nelle steppe dell’Asia centrale; un concerto per flauto e pianoforte; musica da camera; composizioni per pianoforte; canzoni e altre opere vocali. Modest Musorgskij (Karevo, 1839 – San Pietroburgo, 1881) Musorgskij fu l’unico tra i Cinque a servirsi di materiali musicali folkloristici in modo profondamente strutturale, scardinando le basi stesse del comporre ‘colto’. Per questo non fu capito nemmeno dai suoi compagni, che ritenevano la sua preparazione tecnica carente e inadeguata [egli fu invece apprezzato da Liszt]. Con Musorgskij si può parlare di realismo musicale [Dahlhaus]: • Egli attingeva al folklore della musica popolare non solo per un intento nazionalistico, ma anche per accostarsi all’umanità, alla vita vera, senza troppi filtri artificiosi e razionali; • Forte volontà comunicativa di «esporre musicalmente la prosa della vita quotidiana […] in prosa musicale»: «L’arte è un mezzo di comunicazione con gli uomini e non un fine»; • A differenza dei compositori romantici, che privilegiavano uno stretto contatto tra la propria interiorità e la propria opera, Musorgskij è più vicino alla corrente letteraria del Positivismo: la fiducia nelle prove positive, oggettive, fornite dalla scienza come mezzo per conoscere la realtà si traduceva artisticamente nel lasciar parlare la realtà stessa con analoga oggettività, riducendo al minimo l’intervento soggettivo dell’autore; • Utilizzò per le sue opere testi prevalentemente in prosa anziché libretti operistici veri e propri. Questa grande novità gli era stata suggerita dal Convitato di pietra di Dargomyžskij (1831-69), ossia quello che potremmo considerare il primo compositore russo realista; • Caratteristiche tecniche musicali che schiudono le porte alle novità del Novecento. Principali composizioni di Musorgskij: 11 opere (es. Boris Godunov su testo di Puškin, Kovàncina su testo di Musorgskij, La fiera di Sorocinski su testo di Gogol’); 8 opere orchestrali (es. il poema sinfonico Una notte sul Monte Calvo); quasi una quarantina di composizioni per pianoforte (es. Quadri di un’esposizione, ispirato ad una mostra di acquarelli di un suo amico, Victor Hartmann); 6 opere per coro; circa 65 canzoni. Pëtr Il'ič Čajkovskij (Kamsko-Votkinsk, 1840 – San Pietroburgo, 1893) Decisamente più filo-occidentale fu invece Čajkovskij: studiò al Conservatorio di Pietroburgo, insegnò in quello di Mosca e soggiornò a lungo in Europa e in America. Recenti studi musicologici stanno però rivalutando la componente specificamente russa e ‘realistica’ della sua produzione, anche se essa non acquistò mai il valore strutturale che poteva avere per i Cinque. Nelle sue sinfonie sintetizza i due poli del secondo Romanticismo: utilizza la struttura per antonomasia della musica assoluta, la sinfonia classica in più movimenti, applicando due principi fondamentali del poema sinfonico di stampo lisztiano, ossia la tecnica della trasformazione tematica e la pluralità di movimenti in un unico movimento. Čajkovskij introduce nelle sue sinfonie anche una certa dose di programmaticità: p. es., la Sesta ed ultima sinfonia, detta Patetica, era nata come M. Carrozzo, C. Cimagalli – Storia della musica occidentale, vol. 3 36 sinfonia a programma, con l’intento di raffigurare la vita stessa, con i suoi slanci, le passioni, l’amore, il dolore, la morte. Čajkovskij raggiunse i maggiori successi con la produzione teatrale e con i balletti. Principali composizioni di Čajkovskij [circa 80]: 3 balletti: Il lago dei cigni, La bella addormentata e Lo schiaccianoci; 11 opere liriche (es. Evgenij Onegin); composizioni orchestrali: 6 sinfonie (a cui si aggiunge una sinfonia solo abbozzata e poi abbandonata), 3 concerti per pianoforte e orchestra, concerto per violino e orch., altre composizioni per strumento solista e orchestra, musica a programma (es. Romeo e Giulietta), suite orchestrali e serenate, musiche di scena; 18 opere per pianoforte (es. Le stagioni); musica da camera; musica corale. Seguace di Čajkovskij nella dedizione alla musica di stampo occidentale fu Sergej Rachmaninov (1873-1943), che dopo la rivoluzione russa emigrò negli Stati Uniti. Fu un pianista eccezionale e un compositore di stampo tardo-romantico. Principali composizioni di Rachmaninov: musica per orchestra, comprese sinfonie; musica da camera (es. Lieder, Sonata per violoncello e pianoforte); 4 concerti per pianoforte e orchestra, 1 concerto in do minore solo abbozzato, Rapsodia su un tema di Paganini; moltissime composizioni per pianoforte, in cui riprende e sviluppa il virtuosismo di Chopin e Liszt; opere liriche (es. Francesca da Rimini); opere corali. ALTRI PAESI DELL’EUROPA DELL’EST Anche nelle altre azioni dell’est europeo la spinta nazionalistica si appropriò di alcune composizioni musicali, eleggendole a rappresentanti dello stile nazionale. Queste composizioni erano soprattutto opere liriche, visto che l’opera rimaneva il genere musicale più elevato; inoltre, in essa era più agevole inserire le melodie popolari cantate come tali, senza elaborazione motivica e mantenendo la lingua originale. Ogni nazione aveva la propria opera di riferimento, la propria ‘bandiera musicale’: • POLONIA: Halka (1848) del Stanislaw Moniuszko (1819-72), amico di Glinka e maestro di Cui. • UNGHERIA: Bánk Bán (1861) di Ferenc Erkel (1810-93). • BOEMIA: o La sposa venduta (1866), opera comica di Bedřich Smetana (1824-84); o Antonín Dvořák (1841-1904) non scrisse opere divenute esemplari come nel caso di Smetana. Pur inserendosi pienamente nella corrente sinfonica europea, egli inseriva nelle proprie composizioni musica folklorica: non solo echi boemi, ma anche quelli di altri paesi dell’est europeo e addirittura de pellirosse e dei neri americani (es. Nona Sinfonia, detta Dal nuovo mondo, 1893). • MORAVIA: Leoš Janáček (1854-1928) si addentrò dentro i confini della Nuova Musica del Novecento. Per certi aspetti fu simile a Musorgskij: - Nelle sue opere non si limitò ad inserire citazioni di canti popolari, ma si dedicò ad uno studio profondo della musica etnica morava, cercando di rivitalizzare attraverso di essa le basi di fondo del proprio linguaggio ‘colto’; - Utilizzava testi in prosa per le sue opere; - Adesione al realismo: l’autore ‘emotivo’ deve scomparire; M. Carrozzo, C. Cimagalli – Storia della musica occidentale, vol. 3 37 - Fu invece diverso da Musorgskij per quanto riguarda la tecnica dei Leitmotive: mentre il compositore russo ne fece uso, Janáček la rifiutò, preferendo dei motivi ‘parlati’ che unificassero tanto la scrittura per le voci quanto quella per strumenti. EUROPA DEL NORD I compositori dell’Europa del nord furono più direttamente inseriti nella tradizione tedesca: • DANIMARCA: o Niels Gade (1817-90), chiamato da Mendelssohn come insegnante del Conservatorio di Lipsia e amico di Schumann; o Carl Nielsen (1865-1931), di un’epoca successiva e già inserito nel contesto della musica del pieno Novecento. Si dedicò anche alla rielaborazione di canti popolari del suo paese. • SVEZIA: c’era Franz Berwald (1796-1868), estraneo però alla mentalità nazionalistica, avendo trascorso gran parte della sua vita in Germania. • NORVEGIA: o Edvard Grieg (1843-1907) seppe contemperare la sua formazione lipsiense con lo studio della musica folklorica norvegese; in ciò fu stimolato da Gade e dai testi del drammaturgo Ibsen, di cui musicò il Peer Gynt. Scrisse molte composizioni – prevalentemente per voce e pianoforte o per pianoforte solo – in cui utilizzò liberamente dei materiali musicali tipicamente norvegesi. Anche lui, come Musorgskij o Janáček, anticipò alcuni atteggiamenti musicali diffusi nel Novecento, inserendo con grande finezza il materiale popolare in un contesto armonico molto avanzato (bitonalità); o Christian Sinding (1856-1941), di formazione tedesca, più legato al romanticismo. • FINLANDIA: Jan Sibelius (1865-1957) scrisse prevalentemente musica orchestrale, dedicandosi inizialmente soprattutto a poemi sinfonici ispirate a saghe finlandesi (es. Finlandia), per poi raggiungere alti vertici creativi con le sue sette sinfonie (in particolare, con la Quarta si affacciò al mondo contemporaneo novecento, ma poi si ritirò dalla scena). INGHILTERRA E IRLANDA Non si può parlare di una vera corrente nazionalistica per quanto riguarda le isole britanniche, la cui tradizione era essenzialmente europea, vista la fiorente attività concertistica che richiamava interpreti da tutta Europa. I compositori inglesi, inoltre, risentivano dell’influsso di Händel, soprattutto nel campo della musica religiosa, e di Mendelssohn, nel campo della musica sinfonica. Si ricordano, tra i compositori britannici del secondo Ottocento: • INGHILTERRA: o William Sterndale Bennett (1816-75), che si può inserire nella corrente romantica. Seguace di Mendelssohn, recensito anche da Schumann nella sua rivista; o Charles Hubert Parry (1848-1918), compositore e musicologo tardo romantico. • IRLANDA: o Charles Villiers Stanford (1852-1924), in contatto con Brahms e altri musicisti europei dell’epoca. Impegnato sia alla rinascita della musica inglese che a divulgare la musica folklorica irlandese; M. Carrozzo, C. Cimagalli – Storia della musica occidentale, vol. 3 40 - Concezione del tempo circolare, in cui il flusso del tempo si arresta; - Il suono spesso è formato da agglomerati sonori e il valore timbrico è molto importante. Principali composizioni di Debussy: la vera e propria opera fu Pelléas et Mélisande (1902); composizioni per orchestra, tra cui Prélude à l'après-midi d'un faune e La Mer; 4 balletti, tra cui Jeux; composizioni per strumento solista e orchestra; musica da camera; composizioni per pianoforte, pianoforte a quattro mani e due pianoforti; composizioni per voce e pianoforte; cori. La modernità del linguaggio debussiano non venne sufficientemente percepita dai contemporanei, che consideravano più all’avanguardia un altro compositore francese, Maurice Ravel (1875-1937). Inizialmente Ravel non fu apprezzato: tentò per tre volte il Prix de Rome, senza successo, e le sue prime esecuzioni furono degli scandali, a causa del suo stile considerato provocatorio. Ravel da taluni fu anche considerato un imitatore di Debussy. In effetti, ci sono punti di contatto tra Ravel e Debussy, come l’utilizzo di stilemi musicali desunti dalla musica orientale (scale modali, ritmi ripetitivi, ecc.), dall’antico clavicembalismo francese (es. nella Pavane pour une infante défunte, 1899, o nel Tombeau de Couperin, 1917) oppure dal recentissimo jazz americano. In realtà, Ravel sviluppò uno stile personalissimo, che si differenzia e spesso si contrappone a quello di Debussy: nonostante Ravel si spinga in un trattamento della dissonanza ancora più ardito e libero rispetto a Debussy, egli non disgrega i presupposti del sistema tonale e della concezione del tempo musicale, ma si mantiene sempre all’interno di un binario costruito con estrema chiarezza e razionalità, rientrando pienamente nel quadro formale tradizionale. Per questo motivo, per un certo tempo un certo tipo di musicologia, che privilegiava autori che avessero contribuito al processo di emancipazione dalla tonalità, ha escluso Ravel. Solo recentemente si è avviata una valutazione più oggettiva della figura raveliana, rivendicandole un atteggiamento estetico ben definito e radicale: a differenza di Debussy, autore ‘serio’ e sensibilmente in contatto con ciò che componeva, Ravel si pone in un’estetica antiromantica, ironica e disincantata [Satie]. Questo distacco è reso anche grazie ad una spietata meccanizzazione del ritmo [Rossini, anche se stilisticamente e esteticamente molto lontano]. Principali composizioni di Ravel [85]: musiche di scena (es. L’ora spagnola, Il bambino e i sortilegi, Ma mère l’oye); musica per orchestra (es. Pavane pour une infante défunte) e orchestrazione di Quadri di un’esposizione e di opere dello stesso Ravel; musica concertante (es. Concerto in re per sola mano sinistra, Concerto in sol per pianoforte e orchestra); musica vocale orchestrale; musica da camera; musica per pianoforte; musica vocale strumentale; musica corale. L’ITALIA TRA OTTO E NOVECENTO Tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento alcuni compositori – il pianista romano Giovanni Sgambati (1841-1914), allievo di Liszt, il pianista campano Giuseppe Martucci (1859-1909) e l’organista lombardo Marco Enrico Bossi (1861-1925) – provarono a diffondere in Italia la grande tradizione strumentale d’oltralpe, ma senza grande successo, perché l’opera lirica rimaneva il principale genere musicale. M. Carrozzo, C. Cimagalli – Storia della musica occidentale, vol. 3 41 In questo periodo nacque e si sviluppò il verismo operistico italiano – la cosiddetta Giovine scuola – che però non ha nulla a che vedere col verismo letterario. Il verismo operistico fu molto più superficiale rispetto a quello letterario, perché il mercato operistico non consentiva grandi novità e quindi bisognava assecondare i convenzionali gusti di un pubblico conservatore. Esempio di opera verista è la Cavalleria rusticana (1890) del livornese Piero Mascagni (1863-1945), tratta dall’omonima novella, poi dramma, di Verga: - In un atto unico; - Direzione nuova per il teatro musicale italiano, indipendente tanto dal magistero verdiano (l’Otello era di appena tre anni prima) quanto da quello wagneriano; - Il testo di Verga fu riadattato secondo i più classici clichés operistici: o La prosa fu trasformata in versi poetici; o La trama e lo sfondo psicologico in cui i personaggi di Verga agiscono sono appiattiti, in un più convenzionale dramma che diventa di affetti contrapposti e di gelosia; o L’attenzione rispettosa di Verga verso il genuino mondo popolare siciliano fu tradotta in convenzionali pezzi chiusi ‘esotici’ (il coro di contadinelle e contadini «Gli aranci olezzano», l’aria di sortita di Alfio «Il cavallo scalpita», il brindisi «Viva il vino spumeggiante», ecc.; - La musica si adatta con grande efficacia al testo del libretto: o Porta alle estreme conseguenze l’immedesimazione romantica dello spettatore con la vicenda rappresentata; o Si diversifica tra i pezzi chiusi popolareggianti e un arioso molto aderente alla vivacità del dialogo che si apre a momenti di vocalità spianata, dall’irruenta passionalità; o l’illusione di realizzare in musica un vero squarcio di vita si traduce talvolta in un realistico ‘parlato’ (es. «Hanno ammazzato compare Turiddu»); o l’orchestra partecipa affettuosamente e intimamente al dramma dei personaggi. In quello che fu chiamato ‘verismo’ rimase comunque l’estrema intensificazione di quel carattere melodrammatico tipico del Romanticismo. Altre opere dello stesso filone furono: - I pagliacci (1892) del napoletano Ruggero Leoncavallo; - Andrea Chénier (1896) e Fedora (1898) del foggiano Umberto Giordano (1867-1948); - L’Arlesiana (1897) e Adriana Lecouvreur (1902) del calabrese Francesco Cilea (1866-1950). In questo periodo, però, l’unico compositore che portò effettive novità fu Giacomo Puccini (1858- 1924), il cui stile fu influenzato anche da aspetti musicali e drammaturgici europei. Nei confronti di Puccini, e soprattutto della sua drammaturgia, vengono avanzate alcune critiche: - Puccini è sempre ‘romanticamente’ partecipe delle infelici vicende dei suoi personaggi, anche dal punto di vista musicale; - Orchestrazione ‘ad effetto’, che spesso raddoppia la melodia delle voci; - Molte sue opere si assomigliano, perché in esse v’è un solo protagonista: l’eroina, sempre dolce, tenera, innamorata, di cuore puro, la cui fine coincide con la morte, per amore. M. Carrozzo, C. Cimagalli – Storia della musica occidentale, vol. 3 42 Ci sono però anche punti favorevoli e di valore nei confronti di Puccini: - Il suo verismo è più autentico, non è di pura facciata: o Le sue opere sono ambientata nell’epoca contemporanea (ma questo già altri lo fecero), con le sue brutalità e realtà; o L’autentico soggetto della Bohème è Parigi, che in fondo n’è il personaggio principale; - Nella Turandot c’è un ribaltamento di personaggio: Liù, il personaggio femminile dolce e sofferente, assume un ruolo secondario, mentre la vera protagonista è la gelida e crudele principessa cinese Turandot, che solo nel finale dell’opera si ‘umanizza’; - Puccini è l’unico erede del Falstaff verdiano: nelle sue opere non vi sono quasi più pezzi chiusi, ma un gioco mutevole condotto con una percezione quasi infallibile del ritmo teatrale, in cui gli andamenti più diversi si incastrano tra loro a seconda della situazione scenica, spalancandosi però improvvisamente a squarci di struggente cantabilità; - Musica molto raffinata, tanto dal punto di vista timbrico quanto da quello armonico e ritmico. Fin dall’epoca di Manon Lescaut e di Bohème, Puccini utilizzava una tonalità allargata, spesso ambigua, con un trattamento assai libero delle dissonanze; da Tosca in poi, arricchì il suo linguaggio con la scala per toni interi, accordi per quarte sovrapporte, uso contemporaneo di due tonalità, ecc. Principali composizioni di Puccini: 1) Le Villi, libretto di Ferdinando Fontana (1 atto, prima rappresentazione Milano, 1884); 2) Edgar, libretto di F. Fontana (4 atti, p. r. Milano, 1889); 3) Manon Lescaut, libretto di L. Illica, Marco Praga, Domenico Oliva (4 atti, p. r. Torino, 1893); 4) La Bohème, libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa (4 atti, p. r. Torino, 1896); 5) Tosca, libretto di L. Illica e G. Giacosa (3 atti, p. r. Roma, 1900); 6) Madama Butterfly, libretto di L. Illica e G. Giacosa (2 atti, p. r. Milano, 1904), 5 versioni; 7) La fanciulla del West, libretto di Guelfo Civinini e Carlo Zangarini (3 atti, p. r. New York, 1910); 8) La rondine, libretto di Giuseppe Adami (3 atti, p. r. Monte Carlo, 1917); 9) Il trittico: Il tabarro, libretto di Giuseppe Adami, Suor Angelica, Gianni Schicchi, libretto di Giovacchino Forzano (p. r. New York, 1918); 10) Turandot, libretto di Renato Simoni e Giuseppe Adami (3 atti, incompiuta, completata da Franco Alfano: p. r. al Teatro alla Scala di Milano nel 1926 e diretta da Arturo Toscanini). Puccini scrisse anche composizioni di vario genere e per diversi organici (voci, pianoforte, organo, archi, ecc.), più molte bozze di opere incomplete. 41.1. LA SCUOLA MUSICALE DI VIENNA. Storia di tre viennesi lungo le strade dell’atonalità Nel Novecento si arrivò ad un punto di non ritorno della storia della musica: l’abbandono del sistema tonale. Questo processo fu realizzato dalla Scuola di Vienna (Schönberg, Berg e Webern). Proposte di natura diversa furono quelle di compositori come Busoni e Skrjabin, che però non ebbero seguiti. M. Carrozzo, C. Cimagalli – Storia della musica occidentale, vol. 3 45 • Nessun suono della serie può essere ripetuto finché non sono stati utilizzati tutti gli altri: ogni suono dev’essere utilizzato lo stesso numero di volte e nessun suono deve prevalere sugli altri. La dodecafonia prevede una struttura paritaria [≠ struttura gerarchica della tonalità]; • Si possono applicare ai suoni della serie le tecniche d’imitazione tipiche del contrappunto (moto retrogrado, inverso, ecc.) o la trasposizione su altri gradi. Composizioni dodecafoniche di Schönberg più note: - La dodecafonia fu sperimentata inizialmente nel Walzer dei Fünf Klavierstücke op. 23 (1923); - Suite op. 25 per pianoforte (1923), che riprende e rispetta ritmo, metro e forma della suite bachiana. Qui la dodecafonia è applicata integralmente; - Variazioni op. 31 per orchestra (1928), culmine della maestria tecnica nel trattamento della dodecafonia: la serie è trattata secondo tutti gli artifici possibili, sempre al servizio di un’intensa emotività e con una gran varietà di risultati stilistici. Nel 1933, Schönberg, che era ebreo, emigrò negli Stati Uniti. Le composizioni del periodo americano non rinnegano la dodecafonia, ma presentano un generale atteggiamento più tradizionale, che riprende talvolta la tonalità, anche se senza un valore strutturale. Alcuni esempi di composizioni ‘regressive’ rispetto alla precedente produzione sono il Concerto per violino e orch. op. 36 (1936), il Quarto quartetto d’archi op. 37 (1936) e il Concerto per pianoforte e orchestra op. 42 (1942). Si segnalano poi due composizioni dodecafoniche impegnate nella denuncia morale: l’Ode to Napoleon (1942) per voce recitante, quartetto d’archi e pianoforte e A Survivor from Warsaw (Un sopravvissuto a Varsavia, 1947) per voce recitante, coro maschile e orchestra. Il lavoro di Schönberg fu coltivato anche da due suoi allievi, che insieme al maestro formano la cosiddetta Scuola di Vienna [‘seconda’ se si considera la ‘prima’ con Haydn, Mozart e Beethoven]: Schönberg, Berg e Webern. Se Schönberg rappresentò il centro di questa trilogia viennese, Berg si volse verso il passato, mentre Webern verso l’avvenire. Principali composizioni di Schönberg: 5 opere, tra cui Moses und Aron; musica vocale e per coro a cappella; composizioni per voce e orchestra (es. Un sopravvissuto a Varsavia), per voce e pianoforte, per voce e musica da camera (es. Pierrot Lunaire); musica per orchestra sinfonica, tra cui Pelleas und Melisande; Suite in sol per soli archi; musica per banda; musica per orchestra da camera; musica per strumento solista e orchestra. Le principali e più rappresentative composizioni di Alban Berg (1885-1935), il ‘romantico atonale’: - Sonata per pianoforte op. 1 (1908), costituita da un solo movimento, di forte carica emotiva, caratterizzata da intenso lavorio tematico. Seppur fondamentalmente in si minore, presenta un impiego della tonalità molto ‘allargato’ (con uso di accordi per quarte e della scala per toni interi), che risente della Kammersymphonie di Schönberg; - Cartoline postali op. 4 per voce e orchestra (1912), che segnano il suo approdo all’atonalità; - Vier Stücke (Cinque pezzi) per clarinetto e pianoforte op. 5, musica aforistica e rarefatta. M. Carrozzo, C. Cimagalli – Storia della musica occidentale, vol. 3 46 Il lavoro più importante è il Wozzeck: - Opera in tre atti, finita di comporre nel 1921 e rappresentata per la prima volta all’Opera di Stato di Berlino nel 1925, con grandissimo successo ed entusiasmo da parte del pubblico, tanto che fu replicata più volte in tutta la Germania e all’estero; - Berg fu ispirato dai ‘frammenti drammatici’ Woyzeck di George Büchner, autore romantico morto nel 1837, che conobbe nel 1914 grazie ad uno spettacolo di prosa. La vicenda nasconde un duro atto di accusa contro lo sfruttamento del proletariato, anticipando di molti anni le tematiche del Positivismo; - TRAMA: Wozzeck è un povero soldato, al servizio di uno sciocco Capitano e sottoposto a strani esperimenti da parte di un folle Dottore. Egli sarà portato ad alienarsi mentalmente, uccidendo poi la sua amata Marie, che gli aveva donato un figlio. Sconvolto, nel tentativo di nascondere le prove del suo delitto, Wozzeck morirà affogato; - Berg riesce a coniugare, in uno stupefacente equilibrio, il principio wagneriano di un dramma musicale senza cesure con la concezione italiana dell’opera a numeri chiusi. Per far ciò non rinuncia alla tradizione tedesca: le forme di cui si serve e che immette all’interno del flusso continuo della musica non sono le tipiche forme operistiche italiane, bensì le principali forme della musica strumentale, anche se spesso non sono chiaramente percepibili dall’ascoltatore, ma servono più che altro come traccia logica per il compositore. Es. sono presenti la suite di danze, la passacaglia, la fantasia e fuga, il rondò e la forma-sonata; il terzo atto è interamente costituito da sei Invenzioni: sopra un tema, sopra una nota, sopra un ritmo, sopra un accordo, sopra una tonalità e infine sopra un movimento regolare di crome; - Il tessuto è generalmente atonale, ma Berg utilizza con libertà anche la tonalità, la dodecafonia; - Lo stile è vario: rispetta talvolta la nobile tradizione espressiva, ma utilizza anche triviali cori da osteria. Anche gli stili di canto sono molteplici: cantabilità, recitazione, Sprechgesang, ecc. Tra gli ultimi lavori di Berg ci sono sicuramente i suoi più grandi capolavori, in cui il raffinato impiego delle forme classiche si combina con la tecnica dodecafonica, anche se spesso si deve parlare di una dodecafonia ‘addomesticata’ con sapori ancora tonali. Molte di queste opere sono ricche di simbologie musicali, a volte evidenti, altre volte più misteriose. Tra gli ultimi lavori di Berg: - Kammerkonzert (Concerto da camera, 1925) per pianoforte, violino e tredici fiati, in cui sono cifrati musicalmente i nomi di Schönberg, Berg e Webern; - Lyrische Suite (Suite lirica, 1926) per quartetto d’archi; - Lulu, opera incompiuta, in cui il personaggio femminile, Lulu, è una femme fatale; - Violinkonzert (Concerto per violino ‘alla memoria di un angelo’, 1935), ultima composizione. Diverso il cammino intrapreso da Anton von Webern (1883-1945), l’asceta: - Laureato in Musicologia all’Università di Vienna, sotto la guida di Guido Adler, con una tesi sul Choralis Constantinus del compositore fiammingo Heinrich Isaac. La tecnica del canone compare fin dall’op. 2 di Webern, il coro a cappella Sfuggita su barche leggere (1908) su testo di Stefan George. Da qui inizia anche la sua strada in direzione dell’atonalità: fin dai M. Carrozzo, C. Cimagalli – Storia della musica occidentale, vol. 3 47 successivi Fünf Lieder op. 3 e op. 4 per canto e pianoforte (1908-09), sempre su testi di George, Webern non segnò più alcuna tonalità in chiave; - Dall’op. 5 (Fünf Sätze, Cinque movimenti per quartetto d’archi, 1909) Webern adotta la scrittura del puntillismo: rinuncia ad ogni forma di retorica, preferendo una scrittura scarna, essenziale ed aforistica, formata da poche note, ma cariche di significato; anche le pause diventano un elemento musicale fondamentale. C’è attenzione ad ogni singolo suono – di cui è accuratamente prescritto tutto, anche dinamica e tipo di attacco – e ad ogni silenzio; - Webern concepiva comunque un disegno complessivo di grande ampiezza, profondamente razionale e logico, ma carico di una vasta gamma di emozioni; - Riprende la Klangfarbenmelodie di Schönberg (la ‘melodia di timbri’): affida infatti a diversi strumenti un’unica linea melodica, con i suoi relativi punti, per creare colori timbrici diversi; - I suoi tratti peculiari rimasero tali anche quando Webern accolse la dodecafonia, che gli permise di dare una maggiore coerenza alla sua musica. Egli amava citare l’immagine goethiana della ‘Pianta originaria’ in cui «le radici non sono altro che il gambo, il gambo non è altro che la foglia, la foglia non è altro che il fiore; variazioni dello stesso pensiero»; - Dalla fine degli anni ’20 inizia l’ultimo periodo di Webern, quello più ascetico, in cui si dedicò prevalentemente a composizioni di musica ‘pura’, senza il supporto di un testo, in cui è concentrata gran parte della storia della musica: la polifonia dei fiamminghi e di Bach, forme strumentali barocche e classiche, stile ‘spezzato’ del Classicismo viennese, narratività del poema sinfonico. Alcune tra le ultime composizioni sono: - Trio per archi op. 20 (1927); - Sinfonia per orchestra da camera op. 21 (1928); - Quartetto per clarinetto, sax tenore, violino e pianoforte op. 22 (1930); - Concerto per nove strumenti op. 24 (1934); - Variazioni per pianoforte op. 27 (1936); - Quartetto per archi op. 28 (1938); - Variazioni per orchestra op. 30 (1940). 42.1. STRAVINSKIJ E IL NEOCLASSICISMO. Storia di compositori che giocano con il passato La Prima Guerra Mondiale aveva cambiato profondamente l’Europa, in particolar modo la Germania, che sentiva l’esigenza di una ricostruzione morale in una società basata sulla giustizia. Nacque a Weimar nel 1919 il Bauhaus, su progetto dell’architetto di Walter Gropius, con l’intento di unire l’arte e all’artigianato per creare prodotti artistici di concreta utilità per la società. Anche alcuni compositori si dedicarono ad una Gebrauchsmusik (‘musica d’uso’): musica con funzione didattica, ma comunque ben fatta, artistica e artigianale insieme, destinata ai cori dei lavoratori o agli studenti per contrastare la musica ‘leggera’, mercificata. Nacque così il movimento della Neue Sachlichkeit (Nuova Oggettività), che rifiutava il soggettivismo romantico, il cui massimo esponente fu Paul Hindemith (1895-1963): M. Carrozzo, C. Cimagalli – Storia della musica occidentale, vol. 3 50 ② PERIODO CUBISTA Durante la guerra, Stravinskij andò a vivere nella neutrale Svizzera, dove rimase fino al 1920. Lì compose alcuni lavori di teatro musicale da camera: 1. Renard (rappresentato più tardi, nel 1922). In scena ci sono dieci attori, danzatori e acrobati, mentre i cantanti sono in orchestra. Inoltre, allo stesso personaggio non sempre corrisponde la voce dello stesso cantante; 2. L’histoire du soldat (La storia del soldato, 1918). Gli otto strumentisti sono sul palcoscenico, accanto al narratore e visibili al pubblico. C’è un cambio di prospettiva: il centro della rappresentazione è la narrazione e non le vicende sceniche, svolte dagli attori-mimi, che fanno solo da illustrazione a quanto narrato; 3. Les noces (Le nozze, rappresentate più tardi, nel 1923). Caratteristiche comuni di questo periodo e di queste opere sono: • Estrema asciuttezza dell’organico strumentale; • Scissione tra i diversi elementi dello spettacolo, che provoca uno ‘straniamento’ nella percezione dell’ascoltatore, costretto a rinunciare ad ogni pretesa di immedesimazione nella vicenda e a guardarla da più punti di vista contemporaneamente. ③ PERIODO NEOCLASSICO O NEOBAROCCO S. si appropria di alcuni tratti stilistici e formali della musica antica, soprattutto di quella barocca. Composizioni di questo periodo sono: 1. Pulcinella (1920), balletto per Diaghilev, con scene e costumi di Picasso, imperniato su presunte musiche di Pergolesi; 2. Mavra (1922), opera buffa, che mescola sapore di Settecento con il folklore russo; 3. Ottetto per fiati (1923), ricco di contrappunto, con richiami a Bach e anche alla forma-sonata; 4. Concerto per pf. e strumenti a fiato (1924), che ricalca il concerto barocco per tastiera; 5. Sonata per pianoforte (1924), di stampo classicista; 6. Edipo re (1927), opera-oratorio, dall’atmosfera austera, con cantanti in vesti antiche che intonano testi in latino e il recitante in ambiti moderni che parla francese; 7. Apollo protettore delle Muse (1928), balletto, che riprende i balletti dell’epoca di Luigi XIV; 8. Concerto ‘Dumbarton Oaks’ (1938), che riprende la struttura del concerto grosso; 9. La Sinfonia di salmi (1930) e la Messa per coro e strumenti a fiato (1948) segnano il ritorno di Stravinskij ad una profonda religiosità e il suo accostarsi al mondo musicale medievale. In questo periodo, Stravinskij espone esplicitamente la sua concezione estetica: • Rinnega l’originalità della creazione musica e la sua funzione di esprimere una genuina interiorità del soggetto; • La musica è autosufficiente, non deve e non può esprimere nulla di esterno a sé [Hanslick]; • Nel comporre, egli si ‘traveste’ da qualcun altro, indossando forme e linguaggi musicali di altre epoche e costruendovi sopra una musica al quadrato, musica sulla musica; M. Carrozzo, C. Cimagalli – Storia della musica occidentale, vol. 3 51 • La musica vive nel tempo ontologico, non in quello psicologico. Per aderire al tempo ontologico, Stravinskij distribuisce equamente gli accenti fra tutte le note, di modo che si neutralizzino l’uno con l’altro e diano un senso di staticità; • Il Neoclassicismo di Stravinskij è diverso da quello dei suoi contemporanei, perché per costoro il passato rappresentava un modello insuperabile da imitare, mentre per Stravinskij il passato è un modo per vivere il presente, fonte di materiale di cui servirsi senza soggezione; • Stravinskij sceglie di rivisitare soprattutto il Barocco, perché le sue strutture a tasselli (alternanza solo-tutti, dinamica ‘a terrazze’, armonia più squadrata) si prestano meglio ad operazioni di smontaggio e rimontaggio con criteri nuovi, puramente stravinskijani e ‘antitonali’ [Stravinskij si definiva ‘antitonale’: per lui la tonalità era uno dei tanti materiali con cui voleva liberamente giocare]; • Utilizzando formule impersonali, tuttavia, S. esprimeva se steso dietro ad una maschera. ④ PERIODO DODECAFONICO Stravinskij si accostò alla dodecafonia negli anni ’50, dopo la morte di Schönberg, attraverso le composizioni di Webern. Questo periodo è caratterizzato da: • Atteggiamento ascetico, verso l’astrazione, che coincide con un modo di comporre rigoroso, ordinato e razionale, in contrappostone alla concezione romantico-wagneriana; • Composizioni spesso legate a temi religiosi [Stravinskij si avvicinò alla religione cattolica]: o Cantico sacro in onore del nome di San Marco (1955) per soli, coro e orchestra, commissionato dalla Biennale di Venezia; o Threni: ovvero Lamentazioni del profeta Geremia (1958) per soli, coro e orchestra, in omaggio alle vittime di Hiroshima. CONCLUSIONE. Seppur lo stile di Stravinskij sia mutato nel corso degli anni, è evidente nella sua produzione un’unitarietà di fondo. Il compositore ha infatti sempre seguito lo stesso metodo: prendere qualcosa di esistente (meglio se oggettivizzato da una grande distanza temporale), smontarlo e rimontarlo a proprio modo. Questo discorso non vale solo per la sua musica, ma anche per il teatro. Dahlhaus ha definito la drammaturgia stravinskijana ‘teatro epico’: Stravinskij separa, smonta i singoli parametri e li rimonta conferendo loro un valore estetico autonomo, estraniando così lo spettatore dalla vicenda e negando la funzione comunicativa del dialogo [atteggiamento anticlassicista]. Sergej Prokof’ev (1891-1953), fu allievo di Rimskij-Korsakov e collaboratore di Diaghilev. Si può definire un neoclassico per diversi motivi: - Limpida chiarezza formale, struttura tonale mai messa davvero in discussione; - Prima sinfonia, detta Classica (1917) in stile haydniano; M. Carrozzo, C. Cimagalli – Storia della musica occidentale, vol. 3 52 - Stretto legame con la tradizione classica: scrisse 7 sinfonie, 5 concerti per pf. e orch., 9 sonate per pf., due quartetti d’archi, sonate per violino, flauto, violoncello, ecc. La sua musica è caratterizzata da una grande vitalità ritmica e da un uso intenso ed espressivo delle dissonanze. Fino al 1933, visse tra Europa e Stati Uniti, acclamato soprattutto come pianista. Dopodiché si stabilì in Unione Sovietica, dove compose i balletti Romeo e Giulietta (1938) e Cenerentola (1945), secondo lo stile della tradizione ballettistica russa di stampo romantico; Scrisse molte opere per bambini e ragazzi, come Pierino e il lupo (1936). Béla Bartók (1881-1945), ungherese, è considerato uno dei padri dell’etnomusicologia: - Si dedicò approfonditamente e scientificamente allo studio della musica contadina dell’est Europa, sia per conoscere e approfondire un patrimonio ricchissimo e antico che per rivitalizzare la musica colta, dandole nuovi stimoli provenienti da ambiti non colti; - Secondo Bartók, il compositore può accostarsi alla musica del suo popolo secondo un triplice grado di profondità: 1. Può limitarsi ad armonizzare le melodie antiche, rispettando la loro natura modale e non tonale, ma arricchendole eventualmente con dissonanze; 2. Può creare musica del tutto nuova nello stile di quella popolare [Stravinskij]; 3. Può creare senza porsi il problema di imitare alcunché, perché ha già assorbito caratteri e stili della musica popolare, quindi crea spontaneamente una musica colta e popolare allo stesso tempo. - Le sue composizioni sono caratterizzate da una ritmica non convenzionale, percussiva, ‘barbara’, di tipo additivo e non divisivo; Composizioni di questo tipo, negli anni precedenti e successivi alla Grande Guerra sono: Allegro barbaro per pf. e orch. (1911); Il castello di Barbablù (1911), opera; Suite op. 14 per pf. (1916); Sette danze popolari rumene per orch. (1917); Il mandarino meraviglioso (1919), balletto-pantomima, sintesi tra ritmica percussiva di matrice popolare ed atmosfere espressioniste, carica di erotismo. Dal 1926, Bartók si avvicinò al Neoclassicismo, in modo personale, ponendo particolare attenzione alle forme. Le forme musicali bartokiane diventarono sempre più solide e razionali (spesso legate anche al principio della sezione aurea e delle serie numerica di Fibonacci), a fianco di strutture formali simmetriche, che egli definì ‘a ponte’, e di un uso intensivo di canoni e fugati. Dal punto di vista armonico, lo studio della musica popolare gli fornì molti sistemi di riferimento alternativi alla tonalità: scale pentatoniche, esatonali, sistemi ottatonici. A questo va aggiunta una raffinata ricerca timbrica, come dimostrano le sue maggiori composizioni di questo periodo: All’aria aperta per pianoforte (1926), Musica per archi, celesta e percussione (1936), Sonata per due pianoforti e percussioni (1937), Quartetti per archi dal terzo al quinto (1927-1934). Dalla fine degli anni ’30, l’atteggiamento di Bartók fu più tradizionalista, sia per quanto riguarda il tematismo che le funzioni armoniche, ora di natura più tonale; anche la vitalità ritmica si placò. Composizioni di questo periodo sono: Contrasti per violino, clarinetto e pf. (1938), Secondo concerto M. Carrozzo, C. Cimagalli – Storia della musica occidentale, vol. 3 55 44.1. ELETTRONICA & ALTRO. Storia di nuovi suoni per una nuova musica Nel Novecento, alcuni compositori iniziarono ad allontanarsi dal sistema temperato e ad interessarsi al rumore, inteso come elemento musicale. La rivalutazione del rumore avvenne soprattutto con il Futurismo italiano, negli anni 1910-20. Nel 1911 Francesco Balilla Pratella scrisse il Manifesto tecnico della musica futurista e nel 1913 Luigi Russolo scrisse L’arte dei rumori. Manifesto futurista, in cui il rumore era esaltato come quintessenza della modernità, come energica espressione della macchina e della guerra. Russolo costruì gli intonarumori: formati da generatori di suoni acustici che permettevano di controllare la dinamica, il volume, la frequenza di diversi tipi di suono. Meno sperimentali e più ‘tradizionalisti’, furono i compositori della generazione dell’Ottanta, chiamati così perché tutti nati attorno al 1880, i quali volevano sprovincializzare l’Italia, sganciandola dalla sua esclusiva predilezione per il melodramma ed aprendola alle recenti esperienze europee: - Ottorino Respighi (1879-1936): scrisse poemi sinfonici divenuti molto noti, tra cui Le fontane di Roma, I pini di Roma e Feste romane; - Ildebrando Pizzetti (1880-1968): si dedicò quasi interamente all’opera, inserendovi arcaismi provenienti dal canto gregoriano, dalla polifonia modale cinquecentesca e dal recitar cantando fiorentino. Collaborò anche con D’Annunzio; - Gian Francesco Malipiero (1882-1973): si dedicò principalmente alla musica strumentale, con lo sguardo rivolto alla tradizione italica (sinfonie, concerti, quartetti, ricercari, ecc.); - Alfredo Casella (1883-1947): la sua prima produzione si inquadra in un atteggiamento ‘cubista’, antiromantico e spigoloso nel ritmo, nelle dissonanze, nella politonalità. In seguito, si avvicinò al Neoclassicismo e agli ideali fascisti, indirizzandosi verso uno stile di ‘italianità’ fatto di diatonismo e recupero delle forme antiche. Della generazione successiva, attenti sia alle atmosfere ‘italiche’ che alle novità europee, furono: - Giorgio Federico Ghedini (1892-1965): raffinatezza timbrica, a metà tra tonalità e atonalità; - Goffredo Petrassi (1904-2003): pessimistico senso religioso, con una vena ironica. Nella sua produzione si possono individuare principalmente tre atteggiamenti: 1. Una prima fase definita ‘barocco romano’, caratterizzata da cattolicità, grandiosità fonica e oscuro senso della morte; 2. Dodecafonia, anche se affrontata in modo un po’ superficiale; 3. Musica in cui le figure sembrano perdere quasi del tutto il loro carattere tematico; - Luigi Dallapiccola (1905-75): convinto assertore della dodecafonia, filtrata dalla liricità di Berg. Raffinatezza timbrico-vocale, impegnato a fornire un messaggio etico, anche politico. Il primo, vero musicista americano fu Charles Edward Ives (1874-1954): il suo linguaggio è fondamentalmente non tonale, con liberi contrappunti e con frequenti poliritmie; ma la sua caratteristica principale è la citazione musicale, da repertori colti o popolari, straniata e distorta. Altro compositore americano fu Henry Cowell (1897-1965), noto per aver ideato il cluster. Molto successo ebbero George Gershwin (1898-1937) e Aaron Copland (1900-90), che inserirono nella musica ‘colta’ stilemi jazzistici. M. Carrozzo, C. Cimagalli – Storia della musica occidentale, vol. 3 56 Figura emblematica per la successiva nascita della musica elettronica fu il compositore francese, trasferitosi negli Stati Uniti, Edgard Varèse, il quale era interessato a ricercare nuove sonorità con cui creare un tipo di musica diverso. Varèse inizialmente si avvalse degli strumenti a percussioni, estremamente ricchi di possibilità timbriche, e anche di strumenti elettronici come il Thereminvox o l’onde Martenot. L’elettronica gli serviva per realizzare la sua personale concezione di musica: masse sonore composite di ‘suono organizzato’, composto da suoni e rumori. Ogni composizione di Varèse crea da sé la propria forma, che non può trovare punti di contatto con quella di nessun’altra. Grande novità fu il nastro magnetico, con cui si potevano registrare suoni o rumore concreti, per poi essere lavorati su nastro. Nacque così la musica concreta e nel 1951 a Parigi fu fondato il Gruppo di Ricerca di Musica Concreta, la cui figura di riferimento fu Pierre Schaeffer (1910-95). Ben presto, nacque la musica elettronica, con cui ottenere suoni di tipo sintetico completamente estranei a quelli presenti in natura. I centri di ricerca principali furono lo Studio für Musik (Studio per la musica elettronica) a Colonia, fondato nel 1951 da Herbert Eimert, e frequentato da Stockhausen, il quale coinvolse anche Darmstadt, e lo Studio di Fonologia della Rai di Milano, fondato da Maderna e Berio nel 1955. Dagli anni ’60, si iniziò ad intervenire direttamente sul suono in tempo reale, col live electronics. Nonostante l’impiego della musica elettronica, molti compositori, soprattutto quelli italiani, non rinunciarono all’aspetto musicale più ‘umano’ ed espressivo. Si ricordano: Bruno Maderna (1920-73): direttore d’orchestra e compositore, con forti esigenze espressive e sensibilità poetica. Tra le opere più importanti: Musica su due dimensioni (1952) per flauto, piatti e nastro magnetico, la Serenata per un satellite (1969); Iperione (1964). Luigi Nono (1924-90): allievo di Maderna, è considerato tra i padri fondatori della scuola di Darmstadt. Nel 1959, prese una posizione netta contro l’estetica mistico-ironica di Cage: secondo Nono, l’attività compositiva è un compito di natura etico-politica. Le sue composizioni sono caratterizzate da forte espressività, pur mantenendo una rigorosità di fondo. Nono creò un nuovo stile vocale, caratterizzato dallo spezzettamento delle parole in singoli fonemi suddivisi tra le voci, per poi essere ricomposti tra loro. Negli anni ’60, fu affascinato dalla musica elettronica: dopo alcune composizioni per solo nastro magnetico, aggiunse poi anche strumenti tradizionali e le voci. Dal 1980, il suo linguaggio divenne più rarefatto e poetico e si accostò anche al live electronics. Luciano Berio (1925-2003): collaborò spesso con Maderna e, così come Maderna, pur accostandosi tanto alla musica elettronica quanto alla serialità integrale o all’aleatorietà, lo fece sempre in un’ottica ‘umanistica’, con intenti profondamente comunicativi. La sua produzione degli anni ’50- ’60 è caratterizzata da una particolare attenzione alla vocalità, come in Thema. Omaggio a Joyce per nastro magnetico, in collaborazione con Umberto Eco. La manipolazione elettroacustica gli permise di isolare i singoli fonemi e trattarli in modo musicale, quasi fossero timbri allo stato puro. La collaborazione con il mezzosoprano Cathy Berberian fu molto proficua. Berio si caratterizza per un uso estremamente spregiudicato di tutti i materiali musicali possibili, utilizzando sia materiali colti che desunti dalla musica leggera, cabarettistica o popolare. Iannis Xenakis (1922-2001): compositore greco, studiò ad Atene musica e architettura e nel 1947 si stabilì a Parigi, città nella quale collaborò con Le Corbusier. La sua mentalità di stampo matematico si riversò all’interno della sua musica, anche se egli rifiutò la concezione puntillistica della serialità M. Carrozzo, C. Cimagalli – Storia della musica occidentale, vol. 3 57 integrale: Xenakis si servì spesso di procedimenti stocastici, cioè basati sul calcolo delle probabilità, per realizzare ampie masse sonore. Utilizzò anche il modello scientifico della ‘teoria dei giochi’. Strade del tutto diverse presero due compositori dell’est Europa: l’ungherese György Ligeti (1923- 2006) e il polacco Krzysztof Penderecki (1933). Anche se diversi, entrambi utilizzano una scrittura musicale basata su grandi clusters, i quali formano fittissime fasce sonore quasi immobili, ma brulicanti di un’interna, microscopica vita, facendo uso talvolta anche di quarti di tono. Di Ligeti si citano a questo proposito Lux aeterna (La luce perpetua, 1966) per sedici voci e Continuum (1968) per clavicembalo. Di Penderecki Trenodia per le vittime di Hiroshima (1960) per archi; nel procedere degli anni, si può notare come egli sia sempre più legato alla tradizione che alle avanguardie. La gestualità cageana stimolò, su versanti diversi, compositori quali: - Mauricio Kagel (1931-2008), argentino ma residente in Germania dal 1956. Egli ha appreso da Cage a servirsi di tutti i tipi di materiale sonoro, ma la caratteristica più singolare di questo musicista è lo spregiudicato, ironico uso della gestualità, al fine di oggettivare l’assurdità e l’alienazione della condizione umana modera: ad es., in Match per due violoncelli e percussione (1964) i due violoncellisti svolgono una specie di competizione con il percussionista in funzione di arbitro; la partitura specifica, oltre alle note, anche i gesti da compiere. Lo scopo di questa scrittura, che si definisce scrittura d’azione [teatro strumentale], è quello di stimolare l’inventiva e le azioni dell’interprete. - Sylvano Bussotti (1931), fiorentino, allievo di Dallapiccola. Anche Bussotti utilizzò la scrittura d’azione, in particolare negli anni ’60, arrivando quasi ai confini del comportamento puro, pieno di carica provocatoria e ricco di teatralità [si parla di teatro gestuale]. Egli si distingue anche per un raffinatissimo gusto timbrico, un melodizzare di matrice quasi berghiana, una liricità in cui esprime il proprio autobiografismo musicale. Il teatro musicale non è stato molto praticato dai compositori contemporanei, un po’ perché le sovrintendenze teatrali sono sempre molto restie alle nuove sperimentazioni, ma anche perché i compositori stessi hanno avvertito il peso di tale repertorio, alle cui tradizioni di vocalità e di estetica è molto difficile sottrarsi. Proprio partendo dalla grande forza comunicativa del teatro, alcuni autori hanno voluto caricare lo spettacolo di un messaggio di natura morale o politica: è il caso di Nono, Berio, il tedesco Hans Werner Henze (1926-2012), Giacomo Manzoni (1932). In particolare, Giorgio Battistelli (1953) ha inaugurato una concezione di musica teatrale decisamente personale, creando una drammaturgia sonora, sia nella sua produzione puramente strumentale che teatrale, avvalendosi di elementi tra i più disparati, pur sempre gestiti da un rigoroso senso della forma. Si cita la sua Experimentum Mundi (1981), nella quale ci sono in scena diciassette artigiani, i quali, forgiando i loro manufatti, creano suoni che si fondono con quelli strumentali delle percussioni. Una componente gestuale era presente anche agli inizi dell’attività compositiva del veronese Franco Donatoni (1927-2000). In seguito, questo autore estremizzò le proprie posizioni, verso un atteggiamento ‘negativo’ avviato dallo strutturalismo. Nella musica tradizionale si cercava di nascondere l’artificio costruttivo che precedeva la compiutezza di una composizione, caratterizzata da un’esclusiva unicità. Da Stravinskij in poi, e soprattutto con le avanguardie di Darmstadt, i compositori cercavano intenzionalmente di rendere visibile nelle loro opere il materiale di partenza, perché non si volevano escludere le infinite possibilità che un materiale di partenza può offrire. Donatoni portò alle estreme conseguenze questo atteggiamento, utilizzando un sistema di scrittura
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