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Casati- Prima lezione di filosofia, Appunti di Filosofia

Riassunto completo del volume di Casati "Prima lezione di filosofia"

Tipologia: Appunti

2019/2020
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Caricato il 19/10/2020

tommaso-lagana-1
tommaso-lagana-1 🇮🇹

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Anteprima parziale del testo

Scarica Casati- Prima lezione di filosofia e più Appunti in PDF di Filosofia solo su Docsity! Casati - Prima lezione di filosofia 1. Il filosofo è un negoziatore concettuale Per Casati un filosofo è un negoziatore concettuale. Cos’è un negoziato concettuale? Tipicamente in un negoziato concettuale si cerca di imbastire una spiegazione o una narrazione che ci permettano di ricomporre una tensione concettuale. È qualcosa che capita spesso nella vita, le idee e le abitudini antiche sono difficili da abbandonare, ma situazioni nuove ci obbligano a confrontarci con esse, ad eventualmente trasformarle. Come si fa a cambiare idea? Si apre una trattativa concettuale. Non si tratta di un interesse meramente teorico, le idee consentono di agire, come posso farlo se uso concetti vecchi? Qua lavora la filosofia, che è da sempre negoziazione concettuale. I filosofi negoziano tra di loro anche a distanza ravvicinata su una vastità enorme di temi. Ci sono molti modi di negoziare, ma due sono particolarmente interessanti. Si può mercanteggiare, ovvero sondare a poco a poco l’obbiettivo altrui, svelando lentamente il proprio, fino a raggiungere un punto di equilibrio, il gioco funziona tutto sulla conoscenza degli interessi altrui e sul nascondimento dei nostri. Un modo più articolato di negoziare cerca di inventare delle opzioni che possono portare a reciproci vantaggi e insiste sull’uso di criteri obbiettivi. Inventare opzioni e richiedere comuni criteri di uno giudizio sono proprietà proprie del filosofo, come strumenti che permettono il dialogo tra posizioni. Da questo consegue che:  La filosofia più che materia è arte, arte del negoziare, richiede sia rigore che immaginazione,  Non c’è un canone della filosofia come può esserci della fisica o del metodo storico  Allora spiegare la filosofia significa spiegare le tecniche del negoziato sulla base di esempi. Ci sono temi ricorrenti, ma mostrano competenze più simili a quelle dell’artista o del matematico creativo.  La filosofia è molto più diffusa nella società di quanto non ci si aspetti  Molta storia della filosofia non è altro che la traccia lasciata da negoziati concettuali ambiziosi, svoltisi in coincidenza di cambiamenti a volte brutali  Molti negoziati non sono stati registrati come filosofici, ma le loro tracce sono presenti nella società che ne è stata plasmata.  Una previsione: troveremo molte tracce esplicite di negoziati concettuali quando le trasformazioni sociali, economiche e scientifiche saranno particolarmente radicali.  Alcune cose che definiamo filosofia lo sono solo di nome  La filosofia ha un futuro roseo davanti a se 2. La filosofia all’opera Tre casi di negoziato concettuale, uno del secolo scorso sul concetto di opera d’arte, uno sempre del XX secolo sul concetto di famiglia e uno antico contro il geocentrismo (1593). Sono tutte discussioni filosofiche sebbene non avvengano in sedi istituzionalmente filosofiche. Leggi i tre esempi, inutili da schematizzare. 3. Segni particolari Riflettiamo ora sui tre esempi. Il primo punto è che non si tratta di esempi della filosofia che si trova nei testi filosofici, di cosa si tratta? Ma è veramente filosofia? Come possiamo dire di essere in presenza di filosofia? Le domande filosofiche su una certa disciplina o attività sono domande cui la disciplina non saprebbe rispondere con i propri mezzi e sono domande alle quali si risponde con gli stessi mezzi con cui si risponde a domande filosofiche riguardanti altre discipline. Prendendo il secondo esempio: non ci sono delle procedure per determinare cosa sia una famiglia, anche se, una volta che lo si è determinato, si possono definire delle procedure per decidere se una certa persona fa o no parte di una data famiglia. Quindi il primo segno particolare della filosofia è che sono filosofiche le domande cui non trovi risposta nelle discipline che le formula. Secondo segno particolare è che gli strumenti che usiamo per rispondere alle domande filosofiche in una disciplina sono gli stessi che utilizziamo per rispondere a domande filosofiche in un’altra disciplina. Terzo segno particolare: le domande filosofiche sono comunque inestricabilmente intrecciate alla disciplina che le genera. Da ciò deriva che: A. Sono domande di un certo tipo, ma non hanno un contenuto filosofico peculiare B. Non ci sono domande filosofiche autonome, si arriva sempre per sollecitazioni esterne. Non sappiamo quali saranno le domande filosofiche del futuro, ma quando le incontreremo sapremo che sono domande filosofiche. Abbiamo delle risorse per fare i filosofi anche se non siamo filosofi di professione. I tre esempi ci dimostrano anche che la filosofia è diffusa e la sfida per il negoziatore concettuale è proprio questa diffusione. I negoziati hanno avuto buon esito? È legittimo quindi chiedersi se i nostri tre negoziati siano andati a buon fine. Possiamo dire che il primo si conclude positivamente, non solo per la sentenza ma anche per il dibattitto culturale che ne consegue, mentre il secondo manifesta ancora contraddizioni, come l’associazione di naturale a qualcosa di sociale come il matrimonio, mentre il terzo ha veramente scarso successo. Questa è l’occasione per capire che ci sono negoziati più difficili di altri. Il negoziato deve quindi riprendere sempre di nuovo. Per questo la filosofia ha spesso un’immagine inconcludente, non è cumulativa e spesso i risultati non sono neanche misurabili. Il negoziato è una pratica il cui esito non è sempre scontato. L’alternativa al negoziato aperto è il dibattito, ma anche esso può essere senza fine, soprattutto perché, come sostiene Chomsky, il negoziato cerca una soluzione, il dibattito no. 4. Lo spazio negoziale I negoziati mostrati fino ad ora sono filosofici ma non avvengono in luoghi istituzionalmente filosofici, vediamo invece ora un caso propriamente filosofico. Qual è la vera nave? Teseo costruisce una nave, chiamiamola ‘Argo’. La nave viaggia e Teseo la ripara continuamente, mettendo da parte, per ragioni sue, i pezzi che sostituisce via via. Alla fine ha sostituito tutti i pezzi; la nave con cui approda alla fine del viaggio è composta da parti completamente diverse da quelle che la costituivano al varo. A quel punto Teseo prende i pezzi vecchi e li rimette insieme esattamente come erano all’inizio. Teseo si ritrova con due navi, una al porto, e una nel cortile di casa sua. La nave al porto ha accompagnato Teseo nel suo viaggio ma non contiene più un solo pezzo di quelli che la componevano al varo. La nave in cortile è fatta dei pezzi che erano presenti al varo ma è stata ricomposta via via. Quale nave è (identica al) la nave che era stata varata? In altre parole, se vi proponessero il sondaggio seguente, come votereste, per A o per B? Pensateci un attimo (dove A è la nave che adesso è in porto e B quella che è nel cortile di casa). Si può sostenere che la ‘vera’ Argo sia quella che è appena approdata e un minuto dopo pensare che è invece quella che si trova nel cortile di casa; è un effetto che ad alcuni rammenterà quello del coniglio papero. Se entrambe sono la vera Argo, allora per transitività dell’identità dovrebbero essere identiche, ma l’intuizione ci porta a pensare che la nave al porto non sia la nave a casa. Le strategia di risposta sono interessanti a livello filosofico: Una delle prime mosse utili in uno scambio intellettuale è in realtà un meta-negoziato, un accordo sul modo in cui si cerca di trovare un accordo. La sincerità è una caratteristica distintiva del negoziato filosofico. Il principio di carità regola il negoziato. Non è solo questione di parole; ma a volte le parole contano molto Se fosse solo una questione di parole, i negoziati terminerebbero assai velocemente e sarebbero indolori. Le dispute verbali possono mascherare differenze di sostanza; non rendersene conto può portare rapidamente la discussione fuori tema. Si deve allora prestare attenzione alle parole quando diventano troppo importanti. Nate per fini pragmatici, per fissare le idee, stabilizzare la comunicazione, le parole finiscono col dare l’impressione che dietro ad esse vi siano sempre delle cose; o che non si possa evitare un certo modo di fare. Wittgenstein ha messo in guardia dal rischio di farsi fuorviare da un sostantivo e dare per scontato che nomini un oggetto, una cosa; il linguaggio tenderebbe a reificare. E tuttavia, anche se vanno prese con le pinze, le parole sono la forma pubblica dei nostri pensieri, tuttavia i filosofi pensano di poter scendere più in profondità ed aggredire direttamente i concetti. L’analisi concettuale L’analisi concettuale si propone di mettere in evidenza gli elementi portanti della nostra rappresentazione ordinaria del mondo. Il linguaggio fa da filo conduttore; l’analisi tenta di mettere in evidenza il modo in cui un termine viene usato in seno a una comunità linguistica, e per far ciò insegue i legami tra i differenti concetti usati in maniera implicita o esplicita da chi parla quando usa il termine. Se fare analisi concettuale significa mettere in relazione l’uso di un termine, da una parte, e dall’altra le credenze e intuizioni delle persone che lo utilizzano, comprendere l’analisi concettuale significa comprendere i suoi limiti, distinguendola dalla caratterizzazione teorica che permette di circoscrivere l’estensione di un termine, ovvero l’insieme degli oggetti cui si può applicare il termine isolando, se possibile, le proprietà essenziali dei membri di questo insieme. L’analisi concettuale è indispensabile nei casi in cui non ci sono alternative, proprio perché appunto resta solo sul piano concettuale. Le definizioni operative Operazionalizzare una nozione o una variabile significa considerarla definita in base alle operazioni che si compiono per misurarla. Messa in termini molto diretti, operazionalizzare il tempo significa dire che il tempo è ciò che un orologio può misurare. Usata dalla scienza, l’operazionalizzazione non è però filosoficamente neutra. La decisione su quale definizione operativa preferire richiede comunque un lavoro di scavo concettuale, dato che molte sono le opzioni possibili. A tracciare distinzioni Un tipico rimprovero che il filosofo si sente rivolgere nel corso di una discussione è di aver tralasciato una distinzione. Il che significa aver utilizzato un termine o un concetto in modo ambiguo o al posto di un altro. Tralasciare delle distinzioni, per quanto piccole, può condurre a grandi errori; o quantomeno a notevoli divergenze filosofiche. Esempi e contresempi Entriamo nel vivo della materia quando realizziamo che il metodo filosofico si nutre di esempi e controesempi. I filosofi di professione passano una buona parte del loro tempo a cercare controesempi alle tesi dei loro avversari, delle quali pensano che si ammantino di una generalità immeritata. 7. Come si costruisce un esperimento mentale? Gli esperimenti mentali servono a dare forma alle nostre intuizioni con il racconto di una situazione immaginaria. La pratica degli esperimenti mentali non è limitata alla filosofia e ha una rispettabilissima storia in fisica. Il suggerimento fondamentale è di ricorrere a delle duplicazioni o simmetrie quasi perfette rispetto alle situazioni ordinarie, dove l’elemento di differenza esercita una certa pressione concettuale sul concetto che si sta studiando, e permette di saggiarne la tenuta. Ad allargare gli orizzonti concettuali Il giudizio sul risultato di un esperimento mentale non ha però la meccanicità dell’applicazione di un algoritmo. La valutazione si impernia sul modo in cui le nostre intuizioni riguardo alla situazione narrata, intuizioni che l’esperimento ha manipolato, sono considerate accettabili o meno sulla base di criteri non facili da mettere nero su bianco. Gli esperimenti mentali ci possono dunque sorprendere, stabilizzando le nostre intuizioni; ma hanno anche un’altra funzione: allargano lo spazio concettuale, ovvero ci mostrano che potremmo avere più risorse concettuali di quante pensassimo. Perché un esperimento mentale ci serve nel negoziato concettuale? È parte integrante dell’analisi concettuale, come abbiamo visto nel capitolo precedente; ci permette di saggiare la consistenza della nostra posizione, e creando una narrazione ci fa uscire dai limiti visibili della nostra posizione, che potrebbe rischiare il destino di tutte le posizioni di principio, di solito non molto amiche del negoziato. Dal punto di vista di una teoria matura del negoziato, il vantaggio è evidente. Se hai più opzioni a tua disposizione è più facile che trovi un accordo negoziale. Gli esperimenti mentali hanno una lunga storia Non si deve pensare che l’uso degli esperimenti mentali sia appannaggio della sola filosofia contemporanea. Ad esempio Nietzsche e l’eterno ritorno, Cartesio e la cera per comprendere la differenza tra qualità essenziali e non essenziali. A ragionare in modo parametrico Una lezione importante di questa panoramica è che quando eseguiamo un esperimento mentale pensiamo in modo parametrico. Possiamo variare un parametro alla volta per vedere l’effetto che fa. 8. A comporre le tensioni tra visioni del mondo La riflessione filosofica nasce da una tensione concettuale, abbiamo detto. E abbiamo osservato come le tensioni concettuali siano spesso esogene. Dei mondi sino ad allora soltanto possibili sono diventati attuali! Da ogni lato ci incalzano nuove domande. Ci sono però anche domande e tensioni del tutto endogene. Per il puro piacere della conoscenza, o per il desiderio di chiarirci le idee, possiamo essere indotti a riflettere sui nostri concetti, e non di rado li troviamo inadeguati; per esempio perché nascondono una contraddizione. Come abbiamo visto, si presentano qui delle ragioni che ci spingono a cercare di correggere la nostra concezione degli oggetti. La nostra metafisica, o la nostra filosofia morale, o la nostra epistemologia, diventano correttive. Naturalmente non ci basta rilevare il problema di una contraddizione tra le nostre ipotesi per farci capire a quale delle ipotesi contraddittorie dobbiamo rinunciare. A questa difficoltà se ne aggiunge un’altra. Persone diverse possono avere intuizioni diverse sulla stessa materia. Vedi esempio Strawson vs filosofia sperimentale. Nessuno sembra aspettarsi nuovi dati empirici per corroborare una concezione platonista dei numeri primi, o per considerare che una certa definizione della sicurezza stradale è incoerente; ma nessuno pensa di poter ignorare i dati empirici nel discutere problemi di filosofia della biologia o della psicologia; sono i dati empirici che spesso danno l’avvio alla discussione. Le azioni illuminano i concetti quando le parole non vi riescono I negoziati concettuali si svolgono tra persone che parlano e costruiscono narrazioni. Queste persone hanno intuizioni, e di solito le esprimono a parole, e cercano di modificare le intuizioni altrui usando le parole. E se le parole non bastassero? Due casi sono possibili: potrebbero veramente esserci dei contenuti ineffabili, non esprimibili a parole; oppure usare un negoziato verbale non cambierebbe le carte in tavola. In alcuni casi un’azione potrebbe sbloccare il pensiero e riuscire là dove la parola fallisce. Vorrei poter parlare di una categoria di azioni filosofiche, ma naturalmente il fatto che un’azione sia filosofica o meno è del tutto contestuale. Nella discussione di questo libro le azioni filosofiche non sono rinunce al negoziato concettuale, ma modi di intervenire nel negoziato. Ripeto, non tutto è esprimibile a parole; l’assenza di parole non è assenza di concetti. Se le parole non riescono a descrivere un concetto, può forse riuscirvi un’azione. Si sa peraltro che essere convincenti non basta; la persuasione è inoperosa se non viene accompagnata da misure che incitano o fanno da deterrente. Ancora sul fallimento negoziale Se un negoziato sta andando male, devi compiere il passo, accettare il fallimento negoziale, decidere di cambiare idea, ovvero passare a un piano pratico; significa anche che ti è utile avere a disposizione un repertorio di alternative, il piano B. Dobbiamo imparare ad accettare che vi possano essere dei punti di vista e dei valori diversi dai nostri. La diversità può essere irriducibile. Accettare questo fatto, non cercare a tutti costi un’ulteriore mediazione, non cercare di imporre comunque il proprio punto di vista, è un segno di maturità. 9. Dov’è la filosofia Se la filosofia è negoziato concettuale allora è diffusa: la si ritrova un po’ dappertutto e in particolare dove non ci si aspetterebbe di trovarla. Si discuterà ora della sua presenza nella scienza. Qua si intende sostenere che la filosofia non può occuparsi della scienza solo a cose fatte, come filosofia della scienza, intendo invece sostenere che la filosofia come negoziato concettuale fa parte integrante della pratica scientifica, anche se non le si dà volentieri questo nome. Si prendano due esempi, uno dalle scienze esatte e uno dalle scienze sociali. Che cos’è veramente un pianeta? Distinzione tra pianeti e asteroidi: se fisso una misura e ho qualcosa che un millimetro più grande o più piccolo cosa faccio? Difficile trovare un accordo univoco, nel caso di Plutone si è votato, ma non è la soluzione che ci aspettiamo dalla comunità scientifica. La questione infatti non è scientifica ma filosofica, e votare è uno dei modi di risolvere un negoziato concettuale. Che cos’è veramente la sicurezza pubblica? Come posso misurare un fenomeno come la criminalità o la diseguaglianza? Viene richiesta un’operazionalizzazione delle variabili in questione. Il lavoro di operazionalizzazione è un tipo di negoziato concettuale condotto a monte della ricerca vera e propria. Ma ha senso chiamarlo filosofia? Ha senso in quanto non è esso stesso parte del metodo statistico e richiede delle analisi concettuali. La componente normativa esula dalle misure empiriche, e come ho sostenuto, le rende possibili. Come non puoi decidere che cos’è un pianeta andando a esplorare lo spazio, ma puoi metterti a cercare pianeti quando hai deciso che tipo di cosa è un pianeta, così non puoi decidere che cos’è la criminalità semplicemente contando una parte di popolazione o il numero di manifestazioni di un certo fenomeno, ma puoi capire che cosa contare quando hai deciso che cosa conta come un criminale o come atto criminale. ricorso all’analogia ha in realtà due aspetti. Da un lato è generativo, ovvero permette di produrre nuovi argomenti e nuove soluzioni a partire da argomenti e soluzioni note. D’altro lato è cautelativo, nel senso che di fronte a un argomento dato può mettere in guardia da difficoltà analoghe incontrate nella discussione di un argomento differente. Si tratta però soltanto di analogia. Non sto difendendo la tesi, molto forte, stando alla quale i problemi filosofici sono generali e indipendenti dal soggetto specifico che si sta trattando. Può darsi che non possiamo più di tanto estrapolare strategie di soluzione dal caso dei colori a quello dei numeri. Non sto nemmeno difendendo un’altra tesi assai forte, ovvero che i problemi filosofici siano sostanzialmente gli stessi al passare del tempo. Stiamo parlando solo di come si insegna a fare filosofia. Si può benissimo accettare che l’analogia sia una forma assai debole di procedimento scientifico; ma se anche è un’euristica scientifica povera, resta comunque un potente strumento di valutazione concettuale. In particolare serve in negativo a mostrare che certe teorie non sono adeguate. Il menu dei parametri Esercitarsi con gli esperimenti mentali ci convince dell’importanza di pensare in modo parametrico. Mi sembra che questo valga soprattutto per la trasmissione dell’arte filosofica, per la pedagogia della filosofia. Che vi sia un aspetto didascalico negli esperimenti mentali si inquadra in modo naturale nella concezione negoziale della filosofia e della sua trasmissione. L’uso della logica Si fa molto caso della necessità di insegnare la logica come propedeutica filosofica, e anche come propedeutica a discipline non filosofiche. La logica è uno strumento e una modifica sua tende a modificare tutte le altre negoziazioni a cascata. Le connessioni tra i concetti sono spesso connessioni inferenziali; la filosofia fabbrica frasi condizionali. Per questo è stato considerato importante, nell’apprendistato filosofico, saper tenere sotto controllo la struttura logica degli argomenti che si utilizzano. Imparare a smascherare fallacie è da sempre un elemento centrale dell’educazione del filosofo. Ma si tratta quasi sempre di fallacie incarnate in qualche settore della conoscenza. Le fallacie filosofiche sono in generale di tipo semantico, non riguardano la forma astratta dell’argomentazione ma il suo contenuto. Le controversie filosofiche sono spesso legate a critiche delle premesse altrui, o a critiche della pretesa di far seguire da tali premesse una determinata conclusione. Un altro tipo di malanno logico spesso diagnosticato dai filosofi negli argomenti che vogliono criticare è la china pericolosa. Avviati che ci si è sulla brutta china, si rischia di non fermarsi più; per ragioni logiche. Per esempio, se si accettano i mondi possibili come entità a se stanti, si rischia di dover accettare troppe cose, di fare un’indigestione ontologica. Ci sono sistemi istruttivi in cui lo studio dell’argomentazione ha grande ruolo e viene basato sulla logica, ad esempio la Norvegia, dove vale come sbarramento generale, ma in questo caso più diagnostico che propedeutico. L’eleganza, l’amore degli spazi vuoti e altri vincoli speciali Tra le cose che si vorrebbe insegnare ai propri allievi filosofi c’è anche un certo stile. Se si continua ad accettare che la filosofia sia un’arte più che una scienza, la richiesta appare del tutto naturale. Come ci sono stili artistici, o stili di comportamento in molte attività umane, dal gioco del calcio alla scelta delle parole in una conversazione, ci saranno stili filosofici. Che si declinano in differenze di scrittura e di argomentazione, di retorica e di capacità immaginifiche, e anche di scelta dei temi. Per alcuni filosofi è importante prendere lo spunto da quanto dicono i loro colleghi, passati o contemporanei; altri vogliono condurre il lettore in un mondo a parte. Varie volte si è tentato di incanalare i filosofi in alvei angusti basati su tratti stilistici, come quando si è tracciato uno spartiacque affilato tra analitici e continentali ma le zone grigie sono troppe e popolate di figure troppo importanti. Se avere uno stile non è un tratto distintivo, è forse invece una richiesta ragionevole; dire questo significa accogliere qualche desiderio normativo. Va soprattutto ricordato che il lavoro filosofico, anche se galleggia sopra un immenso e inesplorato patrimonio di tradizione orale, è oggi più che mai una produzione di testi scritti e un operare sul testo scritto. Dimenticare o peggio trascurare questo dato, nell’insegnamento della filosofia, mi sembra una colpa ben maggiore di quella di chi cerca di inculcare una propria visione filosofica. A pensare al rallentatore. Esistono filosofi volutamente oscuri? In tutti i casi, ed è un’esigenza perfettamente compatibile con la conduzione di un negoziato, è importante che si possano sempre riesaminare i passaggi che si sono svolti, allo scritto come all’orale. Cercheremo dunque di insegnare a rendere esplicito l’implicito. Casati pensa lo scritto sia la forma più adeguata per avere il tempo di esprimere completamente il pensiero filosofico e ritiene anche non esistano filosofi veramente oscuri. Si possono tollerare alcuni livelli di implicito, non tutto va reso completamente esplicito. Lo straniamento Se la filosofia è vicina alla letteratura, la letteratura non mancherà nella formazione del filosofo. Casati suggerisce la lettura di una serie di opere che affinano l’arte del fare filosofia. La filosofia è esercizio di immaginazione e l’immaginazione si nutre di narrazioni e trame. Non è importante che esse siano affidate alla parola scritta, basta ci siano trame sufficientemente articolate ed evocative. Mi interessa un altro aspetto, l’effetto di straniamento che si accompagna alla frequentazione dei casi limite. Lo straniamento è una condizione comune del filosofo; qualora non lo fosse, andrebbe coltivato scientemente. C’è uno straniamento propriamente filosofico: siamo spaesati di fronte a proposte radicali di revisione dei nostri schemi concettuali. Ancora lo straniamento Vedi altri esempi di serie che evocano straniamento La vita è più strana della letteratura? Esercitarsi allo straniamento, a guardare le cose come se fossero altro, dovrebbe far parte del percorso formativo del filosofo. Se le fonti letterarie e cinematografiche che si possono consultare sono innumeri non bisogna per questo trascurare la realtà, una sorgente di spaesamento a volte maggiore dell’immaginazione. Esempio: Oliver Sacks: L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello, 1985. Se la filosofia è un’arte ed è diffusa, insegnare la filosofia significa in definitiva insegnare a vederla nelle pieghe della vita. Gli strumenti di questo insegnamento non possono che essere molti, vari, opportunistici. Si può certo educare la sensibilità alla ricerca di analogie generative e cautelative, e si può attingere all’immenso patrimonio di trame che permettono di esercitarsi a negoziare da un punto di vista straniato. L’obbedienza a un canone è invece soggetta alla parzialità delle scelte canoniche, serve semplicemente a tenerci al riparo dalla varietà. 12. A cosa serve la storia della filosofia? Come c’è una differenza tra lo studio della matematica e lo studio della storia della matematica, così c’è una differenza tra lo studio della filosofia e lo studio della storia della filosofia. E tuttavia la maggior parte dei manuali di filosofia sono in realtà dei manuali di storia della filosofia. È una razionalità strumentale, resa necessaria dall’esigenza di ovviare all’assenza di un canone filosofico. La storia della filosofia surroga quest’assenza con il rispetto del canone fattuale: la successione nel tempo. Qualunque manuale di storia della filosofia resta tuttavia intriso di normatività e ciò che viene presentato di solito non sono fatti storici, ma ricostruzioni. Le ricostruzioni razionali del pensiero di altri filosofi sono già incursioni al di fuori del campo della storia. Le ricostruzioni razionali obbligano a cercare le tesi principali per poterle confrontare. Ma davvero non c’è un ordine interno della storia della filosofia? In fondo Hegel può soltanto venire dopo Kant. questo non è per un legame interno tra Hegel e Kant, ma perché i problemi di Hegel non sono più, o non solo, quelli di Kant. Ma di cosa è storia la storia della filosofia? Da un lato serve spesso al filosofo la consapevolezza dei passi effettuati per giungere a una certa posizione. Per capire certi aspetti di una posizione filosofica ha molto senso cercare di accedere ai passi che in un determinato contesto hanno fatto sì che una determinata persona l’abbia enunciata. Il lavoro storico in questo caso serve pragmaticamente, ma non è un obbligo, e serve proprio per aggirare l’ostacolo storico, per potere mettere da parte il contesto. Ma la storia della filosofia è anche un serbatoio di immaginazione filosofica, ci fa contemplare altri paesaggi concettuali. Capire il presente è anche capire che il passato era profondamente altro. Quello che proprio non va è accettare simultaneamente due principi: che si debbano ricondurre le posizioni filosofiche ai loro contesti storici e culturali; e che esistano problemi filosofici eterni. In questo testo il dilemma ha una soluzione netta; non ci sono problemi filosofici universali. 13. La filosofia dei filosofi Consideriamo alcune proposte alternative sul ruolo della filosofia, diverse da quella del negoziato concettuale. Le questioni filosofiche sono grandi questioni Secondo una prima concezione, la filosofia si distinguerebbe da altre attività umane in quanto tratta delle grandi questioni dell’esistenza, della vita, dell’universo. Sappiamo che si tratta di domande care ai filosofi. Ma in che senso queste domande hanno anche o prevalentemente o esclusivamente un lato filosofico? Non certo perché sono domande difficili, o addirittura di cui si ha il presagio che siano senza risposta. Vi sono domande difficili e per ora senza risposta in matematica, in fisica e in psicologia, ma questo non ne fa domande filosofiche. Se rovesciassimo la domanda e ci chiedessimo quali domande non sono filosofica, la prima risposta sarebbe quelle fattuali. Tuttavia una domanda tipicamente filosofica, come se mente e corpo siano la stessa cosa è fattuale. Un filosofo può aiutare a circoscrivere queste domande, ma la risposta sarà fattuale, se sarà, il filosofo non ha il privilegio di potervi rispondere. Le questioni filosofiche sono questioni immortali Una seconda concezione della filosofia è meno impegnata ma conserva uno statuto del tutto particolare. Ci sarebbero in filosofia grandi questioni sovratemporali, sulla natura della conoscenza, dell’esistenza, sul rapporto tra la mente e il corpo, sul modo in cui il linguaggio ci permette di parlare del mondo. Non sono le grandi questioni come quella sul senso della vita, ma sono questioni specifiche, tipicamente filosofiche, che attraversano le epoche. La mia critica è semplice: dal fatto che in ogni contesto storico si possano individuare delle questioni tipicamente filosofiche, non segue che le questioni siano sempre le stesse. La filosofia è una terapia Se non si crede all’esistenza di problemi specificamente filosofici, ci sono comunque altre possibilità. Wittgenstein ha difeso una concezione terapeutica della filosofia. I problemi filosofici devono svanire completamente. La vera scoperta è quella che mi permette di smettere di filosofare quando voglio. I grattacapi filosofici nascono quando qualcosa (per Wittgenstein il linguaggio) non funziona bene e la terapia consiste nel vedere come è stato usato male il linguaggio. Ripensata in
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