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CASI DIRITTO DEL LAVORO 2° modulo - Marco Peruzzi - 2023/ 2024, Appunti di Diritto del Lavoro

Casi di diritto del lavoro svolti in modo chiaro e completo.

Tipologia: Appunti

2023/2024

In vendita dal 27/03/2024

CaterinaDeVecchi
CaterinaDeVecchi 🇮🇹

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Scarica CASI DIRITTO DEL LAVORO 2° modulo - Marco Peruzzi - 2023/ 2024 e più Appunti in PDF di Diritto del Lavoro solo su Docsity! DIRITTO DEL LAVORO 2° modulo CASI - Marco Peruzzi CASO 1 Tizia stipula con la società “Stand up” srl un contratto di “collaborazione coordinata e continuativa” con l'incarico di procurare nuovi clienti di telefonia. Il contratto decorre dal 19.9.2019 e prevede come termine di scadenza il 30.11.2020. Una volta terminato il rapporto, Tizia conviene in giudizio la società, chiedendo al giudice, in via principale, di accertare la natura subordinata del rapporto e, in via subordinata, la sussistenza di una collaborazione etero-organizzata, con condanna della convenuta a pagare le conseguenti differenze retributive. A sostegno della propria domanda, Tizia afferma di aver lavorato sei giorni alla settimana presso lo stand Tim allestito nel centro commerciale di Voghera (e più sporadicamente in quelli di Tortona e Alessandria), con orario dalle 9.00 alle 17.00, dal lunedì al venerdì, e dalle 9.00 alle 20.00 il sabato e la domenica, sulla base di turni e di direttive assegnati da Mevio, responsabile della società. Aggiungeva di essere stata obbligata a saltare la pausa qualora non avesse concluso alcun contratto e a rispettare i turni e i luoghi di lavoro indicati dalla società tramite WhatsApp. La società si costituisce in giudizio chiedendo il rigetto delle domande. Afferma, in particolare, la genuinità della collaborazione coordinata e continuativa e contesta sia la natura subordinata del rapporto, sia l’applicabilità della disciplina del rapporto di lavoro subordinato in forza dell’art. 2, comma 1, d.lgs. 81/2015. Afferma che ogni comunicazione andava inserita nell'ambito di un mero confronto tra committente e collaboratore e che, in ogni caso, al contratto in questione andava applicata la disciplina specifica prevista dall'accordo collettivo derogatorio sottoscritto dalle organizzazioni sindacali il 30.7.2015 ai sensi dell’art. 2, comma 2, d.lgs. 81/2015. In sede di giudizio, nel corso dell'istruttoria testimoniale, emerge quanto segue. Il teste Caio, collega di Tizia, riferisce che entrambi lavoravano all'interno del centro commerciale di Voghera e avevano il compito di fermare i passanti e proporre le offerte in corso della Tim. “Il lavoro si svolgeva su sei giorni alla settimana con turni per lo più di 8 ore; i turni venivano indicati dall'azienda settimanalmente tramite messaggi WhatsApp al pari dei trasferimenti da un centro commerciale all'altro”. La teste Sempronia, anche lei collega di Tizia, aggiunge che ogni tanto il responsabile di “Stand up” passava dagli stand per controllare il lavoro degli addetti e qualora riscontrasse che non era stato fatto firmare un numero sufficiente dì contratti veniva scritto sul gruppo WhatsApp che “non andava bene". Di contro, la società convenuta non fornisce alcuna prova volta a dimostrare che i collaboratori determinassero autonomamente i propri turni e la propria distribuzione nei diversi stand. Tra gli allegati prodotti in giudizio da Tizia, vi sono: - alcuni screenshot di conversazioni tenute via WhatsApp tra Tizia e Mevio, in cui quest’ultimo, responsabile della società, dà indicazioni sui turni e centri commerciali assegnati a Tizia. - il CCNL Commercio e l'accordo collettivo derogatorio sottoscritto dalle organizzazioni sindacali il 30.7.2015, invocato dalla convenuta nella propria memoria di costituzione. Dalla lettura del CCNL Commercio si evince che appartengono al VI livello i “lavoratori che compiono lavori che richiedono il possesso di semplici conoscenze pratiche," tra cui esemplificativamente rientrano l'operaio comune o il dimostratore ovvero l'addetto alla propaganda e dimostrazione con mansioni prevalentemente manuali”. Per quanto riguarda, invece, l'accordo collettivo derogatorio sottoscritto dalle organizzazioni sindacali il 30.7.2015, nella parte riferita all'ambito di applicazione, all’interno dell’accordo si legge che questo “si applica ai lavoratori con contratto di collaborazione che svolgano attività di vendita diretta di beni e di servizi realizzate attraverso cali center outbound”. Viene poi precisato che “la figura professionale alla quale si potrà applicare il presente Accordo è unicamente quella dell'operatore telefonico outbound”. 1 RISOLUZIONE QUESTIONE GIURIDICA La questione giuridica sottesa al caso di specie attiene alla qualificazione giuridica del rapporto di lavoro intercorrente tra Tizia e la società Stand up srl; nonostante il nomen iuris utilizzato dalle parti in sede di sottoscrizione del contratto sia quello di co.co.co (= rapporto di lavoro autonomo). Nello specifico, la questione attiene prima all’accertamento in via principale della natura subordinata del rapporto, quindi in via subordinata alla possibilità di qualificare la fattispecie come collaborazione etero organizzata con conseguente applicazione delle relative tutele economico/ normative (stabilite dall’art. 2 d.lgs. 81/2015). REFERENTI NORMATIVI e FONTI GIURISPRUDENZIALI Vi sono due testi normativi che si pongono come rilevanti ai fini della risoluzione del caso di specie: ↓ 1) art. 2094 c.c.: sostiene che è prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore. Tale articolo individua quindi la fattispecie normativa del lavoratore subordinato indicandone gli elementi costitutivi. Infatti vi sono quattro elementi fondamentali che devono sussistere nel rapporto di lavoro affinché questo sia qualificabile nell’area della subordinazione: ● retribuzione; ● collaborazione; ● dipendenza; ● etero-direzione. Ai fini dell’interpretazione di tale disposizione vi sono diverse sentenze, rilevano in particolar modo: ➔ Tribunale di Cassino sentenza n. 225/ 2021 (pag. 27)→ in cui si afferma che il lavoratore che agisce in giudizio per far accertare la natura subordinata del rapporto di lavoro, deve provare l’elemento centrale del rapporto di lavoro subordinato: l’eterodirezione ossia il vincolo di soggezione al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro; ➔ Corte d’appello di Milano sentenza n. 923/ 2019 (pag.28)→ sostiene che parametro di qualificazione della subordinazione è l’eterodirezione; ➔ Tribunale di Bari sentenza n. 484/ 2019 (pag. 29)→ sostiene che affinchè possano considerarsi manifestazioni della subordinazione, le direttive impartite dal datore di lavoro devono essere: ● reiterate; ● specifiche; in modo da limitare l’autonomia ● intrinsecamente inerenti alla prestazione lavorativa del prestatore di lavoro In materia di lavoro subordinato è intervenuta la Corte Costituzionale con la sentenza n. 115/ 1994 (pag. 24) stabilendo il principio dell’indisponibilità del tipo contrattuale: le parti di un contratto non possono impedire che un rapporto di lavoro di natura subordinata sia qualificato come tale, sottraendolo così al relativo istituto protettivo. Quindi, quando il contenuto concreto del rapporto e le sue effettive modalità di svolgimento sono quelli propri del rapporto di lavoro subordinato, solo quest’ultima può essere la qualificazione da dare al rapporto e gli effetti della disciplina ad esso applicabile. 2 Sulla base di quanto detto, si può quindi concludere nel senso di una qualificabilità del rapporto di lavoro di Tizia come un rapporto di lavoro subordinato ai sensi dell’art. 2094 c.c., utilizzando il metodo sussuntivo ed, a supporto, il metodo tipologico. Una volta accolta la domanda principale di Tizia si avrà una conversione del rapporto ed un accertamento della natura subordinata dello stesso. La lavoratrice avrà diritto a tutte le relative tutele applicabili in forza della legge e della contrattazione collettiva apponibili ad un lavoratore a cui siano assegnate le mansioni in concreto svolte da Tizia. Quindi Tizia avrebbe anche diritto a chiedere le differenze retributive. Per far ciò, bisogna individuare qual è il trattamento economico a cui lei ha diritto tenendo in considerazione la fonte parametro: i contratti collettivi. Il giudice, quando deve stabilire la retribuzione che spetta ad un lavoratore subordinato, applica l’art. 2070 c.c. (“ l’appartenenza alla categoria professionale, ai fini dell'applicazione del contratto collettivo, si determina secondo l'attività effettivamente esercitata dall'imprenditore”) tenendo sempre in considerazione anche l’art. 36 Cost. (retribuzione proporzionata e sufficiente). Il giudice individua quindi il contratto collettivo applicabile nel contratto collettivo del settore a cui appartiene l’imprenditore, sulla base dell’attività produttiva da lui effettivamente svolta. Nel caso di specie, l’attività svolta dal datore di lavoro consente di individuare come contratto collettivo parametro il contratto collettivo del settore commercio. All’interno del settore commercio vi è una griglia di classificazione del personale, che individua i diversi livelli di inquadramento e per ognuno di essi vi è un diverso livello di paga base (un diverso livello economico). Quindi, per calcolare le differenze retributive a cui avrà diritto Tizia, bisogna capire, sulla base delle mansioni concretamente svolte dal lavoratore, a quale qualifica professionale possa essere ascritto a fronte delle mansioni da lui in concreto svolte. Il livello di inquadramento a cui può essere classificata Tizia, a fronte delle mansioni svolte, è il VI: quello a cui appartengono i lavoratori che compiono lavori che richiedono il possesso di semplici conoscenze pratiche (tra cui rientrano l’operaio comune o il dimostratore ovvero l’addetto alla propaganda e dimostrazione con mansioni prevalentemente manuali). 5 Poniamo l’ipotesi in cui la domanda principale di Tizia non venga accolta dal giudice ritenendo che non vi siano sufficienti indici diretti o indiretti a prova dell’eterodirezione e quindi della natura subordinata del rapporto ex art. 2094 c.c.. Rileverà, pertanto, la domanda presentata in via subordinata da Tizia ossia l’accertamento della sussistenza di una collaborazione etero-organizzata. In tal caso rileverà il secondo referente normativo: l’art. 2 d.lgs. 81/2015. Il legislatore in tale tale articolo ha affermato che i caratteri della collaborazione etero-organizzata sono: 1) la personalità; 2) la continuità; 3) l’etero-organizzazione. Qualora sussistano tutti questi elementi, al rapporto di lavoro si dovrà applicare la disciplina del lavoro subordinato. ↓ In particolar modo la Cassazione civile sezione lavoro sentenza n. 1663/ 2020 (pag. 24), sostiene che questi 3 indici fattuali sono elementi significativi e sufficienti a giustificare l’applicazione della disciplina dettata per il rapporto di lavoro subordinato. Anche in tale seconda ipotesi le prove sono date dalle dichiarazioni rese dai testimoni. Infatti, dalle testimonianze, emerge con chiarezza il fatto che vi è un’etero-direzione dei tempi e dei luoghi → viene ripetuto più volte dai colleghi di Tizia che i turni ed i centri commerciali fossero assegnati/ fissati esclusivamente dal committente Mevio. Quindi, a fronte dei dati fattuali e dalle dichiarazioni dei testi che emergono nel caso di specie, si può affermare che vi è una corrispondenza tra la fattispecie concreta (che ci pone il caso) e la fattispecie astratta normativa della collaborazione etero organizzata descritta dall’art. 2 co. 1 d. lgs. 81/2015. Tuttavia ↓ la società Stand up srl, convenuta in giudizio, chiede il rigetto della domanda di Tizia affermando la genuinità della collaborazione coordinata e continuativa e contesta sia la natura subordinata del rapporto, sia l’applicabilità della disciplina del rapporto di lavoro subordinato in forza dell’art. 2 co. 1 d.lgs. 81/2015. Sostiene infatti che al contratto in questione andava applicata la disciplina specifica prevista dall’accordo collettivo derogatorio sottoscritto dalle organizzazioni sindacali il 30.7.2015 ai sensi dell’art. 2 co. 2 d.lgs. 81/2015. In particolar modo, secondo il datore di lavoro, nel caso di specie è da ritenersi integrata la lettera a) co. 2 art. 2 d.lgs. 81/ 2015 in cui si prevede un’ipotesi derogatoria al co. 1 del suddetto d.lgs. nel caso in cui le associazioni sindacali maggiormente rappresentative abbiano siglato un accordo collettivo per disciplinare determinati settori, come quello di Tizia. Dalla lettura di questo accordo si deduce che esso si applica esclusivamente ai collaboratori che svolgono la propria attività da remoto e, più in particolare, da un call center outbound. Nel caso di specie però Tizia lavorava a contatto diretto con i clienti all’interno di centri commerciali individuati dal committente: doveva fermarli e proporre loro i servizi di telefonia dell’azienda. Di conseguenza, la predetta ipotesi derogatoria, non rileva nel caso di specie, non rientrando nell’ambito di applicazione dell’accordo collettivo derogatorio sottoscritto dalle organizzazioni sindacali il 30.7.2015. Tizia avrà quindi diritto all’applicazione del trattamento normativo ed economico previsto per il lavoratore subordinato (che svolga il tipo di mansioni svolte in concreto da Tizia) ex art. 2 co. 1 d.lgs. 81/2015. 6 CONCLUSIONE Quindi per concludere Tizia avrà diritto all’applicazione delle tutele del lavoratore subordinato o in quanto lavoratrice subordinata o in quanto collaboratrice etero-organizzata di cui all’art. 2 co. 1 d.lgs. 81/2015. In entrambi i casi quindi Tizia avrà diritto all’applicazione del trattamento normativo ed economico previsto per il lavoratore subordinato (che svolga il tipo di mansioni svolte in concreto da Tizia). Nello specifico l’attività svolta dal datore di lavoro consente di individuare come contratto collettivo parametro quello del commercio; e l’accertamento delle mansioni in concreto svolte da Tizia, consentono di inquadrarla al VI livello di detto contratto collettivo, con riconoscimento del relativo livello economico. Tizia avrà pertanto diritto ad ottenere le differenze retributive tra quanto ricevuto e quanto stabilito dal contratto collettivo del commercio per i lavoratori inquadrati al 6° livello. 7 b) QUESTIONE GIURIDICA Le questioni giuridiche sottese al caso di specie sono 2: 1) la prima attiene alla validità di un contratto di lavoro in assenza di forma scritta; 2) la seconda attiene all’individuazione delle conseguenze sanzionatorie derivanti dall’omissione di alcune comunicazioni da parte del datore di lavoro in sede di assunzione del lavoratore e instaurazione del rapporto. REFERENTI NORMATIVI Per quanto attiene la prima questione giuridica rileva l’art. 1325 c.c. che fornisce i 4 requisiti essenziali del contratto: ● accordo tra le parti; ● causa; ● oggetto; ● forma. Per il contratto di lavoro subordinato vige lo stesso principio che vige per la generalità dei contratti ovvero quello della libertà della forma ai fini della validità del contratto. Di conseguenza l’assenza della forma scritta non produce la nullità del contratto. Vi sono due testi normativi che si pongono come rilevanti ai fini della risoluzione della seconda questione giuridica: 1) d.lgs. 181/ 2000 art. 4 co. 2; 2) art. 9 bis co. 2 della l. 608/96 (d.l. 510/ 96). Ex d.lgs. 181/ 2000 art. 4 co. 2 il datore di lavoro privato ha l’obbligo di consegnare ai lavoratori, all’atto di instaurazione del rapporto e prima dell'inizio della attività di lavoro, una copia della comunicazione di instaurazione del rapporto. Tale comunicazione, secondo l’art. 9 bis co. 2 della l. 608/96, deve essere trasmessa al servizio competente nel cui ambito territoriale è ubicata la sede di lavoro entro il giorno antecedente a quello di instaurazione dei relativi rapporti. È stato poi specificato all’interno del d.lgs. 150/15 che tale comunicazione deve avvenire per via telematica al ministero del lavoro e delle politiche sociali, che le metterà a disposizione dell'INPS, delle regioni, dell’INAIL e dell’Ispettorato nazionale del lavoro per le attività di rispettiva competenza. Se tali obblighi di comunicazione non vengono rispettati vi saranno delle sanzioni amministrative a carico del datore di lavoro. Queste sono regolate da due diverse disposizioni: ↓ 1) d.lgs. 276/03 art. 19 “sanzioni amministrative” → definisce la sanzione amministrativa che grava sul datore di lavoro quando questi non rispetti l’art. 9 bis comma 2 del d.l. 510/96: può andare da 100 a 500€ per ogni lavoratore interessato. 2) d.l. 12/02 convertito in l. n. 73/02, in particolare l’art.3 “modifiche alle disposizioni in materia di lavoro irregolare” rileva altre possibili sanzioni amministrative suddivise in 3 categorie: 1. nel caso in cui l'impiego non superi i 30 giorni, la sanzione ammonta da 1.500 a 9.000 euro 2. nel caso in cui l'impiego vada dal 31° giorno al 60°, la sanzione ammonta da 3.000 a 18.000 euro 3. nel caso in cui l'impiego vada oltre i 60 giorni, la sanzione ammonta da 6.000 a 36.000 euro (tali sanzioni sono state aggravate del 20% della legge di bilancio del 2019) CASO DI SPECIE Nel caso di specie il contratto in forma verbale era valido essendo vigente la libertà di forma. Tuttavia, durante un controllo dell’ispettorato del lavoro Caio dice agli ispettori di aver assunto Tizio proprio quel giorno e di averne 10 appena dato comunicazione al Ministero del lavoro. Il datore di lavoro non ha quindi rispettato gli obblighi di comunicazione previsti dal d.l. 510/ 96 convertito in legge 608/96 e di conseguenza gli verranno applicate delle sanzioni amministrative previste dal d.lgs. 276/03 art. 19 e dal d.l. 12/02 convertito in l. n. 73/02, in particolare l’art.3. CONCLUSIONE In conclusione, il contratto verbale stipulato da Tizio è da ritenersi valido in forza del principio della libertà della forma. Tuttavia verrà sanzionato Caio, il datore di lavoro di Tizio, per la mancata comunicazione dell'instaurazione del rapporto al servizio competente nel cui ambito territoriale è ubicata la sede di lavoro. A tal proposito Tizio potrà ricorrere contro Caio per richiedere che gli vengano corrisposti i contributi maturati. 11 CASO 2.2 Tizio è assunto come medico dall’ospedale “Sanità al top”. Una volta accertato che Tizio in realtà non si è mai laureato in medicina, l’ospedale lo licenzia. Tizio ha diritto ad essere retribuito per le prestazioni effettuate? RISOLUZIONE QUESTIONE GIURIDICA La questione giuridica sottesa al caso di specie attiene all’accertamento del diritto alla retribuzione di Tizio, un lavoratore subordinato licenziato dopo aver prestato la sua attività lavorativa a causa della mancanza dei specifici requisiti richiesti per l’esercizio della professione in questione. Si chiede quindi la verifica dei diritti riconosciuti ad un lavoratore subordinato in caso di invalidità del contratto di lavoro subordinato per l’illiceità dell’oggetto. REFERENTI NORMATIVI e FONTI GIURISPRUDENZIALI Vi sono diversi testi normativi che si pongono come rilevanti ai fini della risoluzione del caso di specie: ↓ 1) art. 1346 c.c. = afferma i requisiti che deve avere l’oggetto del contratto → l’oggetto deve essere: ● possibile; ● lecito; ● determinato; ● determinabile. 2) art. 1418 c.c. = sostiene che il contratto è nullo quando: ● è contrario a norme imperative; ● manca uno dei requisiti indicati dall’art. 1325 c.c. (= accordo tra le parti; causa; oggetto; forma); ● vi è una causa illecita; ● vi è l’illiceità dei motivi indicati dall’art. 1345 c.c.; ● vi è la mancanza nell’oggetto di uno dei requisiti stabiliti nell’art. 1346 c.c.. Nel caso di specie il contratto è da ritenersi nullo ex art. 1418 c.c. in quanto l’oggetto è illecito. Bisogna quindi individuare le conseguenze giuridiche derivanti dall’invalidità del contratto e quali sono i diritti che possono o non possono essere riconosciuti al lavoratore. A tal proposito rileva una disposizione normativa: ↓ 3) art. 2126 c.c. “prestazione di fatto con violazione di legge”, in forza del quale: “la nullità o l’annullamento del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui quel rapporto ha avuto esecuzione, salvo che la nullità derivi dall’illiceità dell’oggetto o della causa. Se il lavoro è stato prestato con violazione di norme poste a tutela del prestatore di lavoro, questi ha in ogni caso diritto alla retribuzione.” L’illiceità dell’oggetto può essere: - intrinseca = legata ad una determinata azione che l’ordinamento vieta; - estrinseca = legata al mancato possesso di determinati requisiti. Nel caso di specie manca il requisito del titolo di studio necessario per svolgere la professione. Fondamentale è l’interpretazione dell’art. 2126 c.c. data dal Tribunale Milano sezione lavoro n. 1737/2019 (pag. 19) che dice “Qualora, per lo svolgimento di un’attività lavorativa, sia richiesta dalla legge un’abilitazione o un titolo di studio abilitante, in ragione dell'incidenza dell'attività sulla salute pubblica, o 12 dal call center (ADDETTO AL CUSTOMER CARE) Lavoratrice/tore che, con specifica preparazione sulle tecniche di telecomunicazioni presenti nell’ambito organizzativo di appartenenza, svolge attività di configurazione in rete di nuovi impianti/servizi, effettua il monitoraggio dei livelli di funzionalità della rete attraverso sistemi di supervisione e controllo, esegue prove e misure finalizzate alla diagnosi/localizzazione dei disservizi, assicurando le azioni atte alla risoluzione delle anomalie di funzionamento riscontrate. Tali attività richiedono, per il loro espletamento, un’efficacia realizzativa basata sulla capacità di applicazione di metodologie operative anche di tipo evoluto ed innovativo, nonché la conoscenza delle interrelazioni funzionali esistenti nell’ambito del processo operativo di appartenenza (TECNICO DI SUPERVISIONE E CONTROLLO). Lavoratrice/tore che, con specifica preparazione tecnico-professionale in materia amministrativo- contabile, nonché conoscenza delle normative e procedure aziendali che regolano l’attività di competenza, cura con modalità esecutive le problematiche di gestione amministrativa (contabilità generale/industriale, fatturazione fornitori, ecc.) verificando l’attendibilità e conformità dei dati contabili anche attraverso contatti con enti interni e/o esterni all’azienda; assicura, inoltre, la realizzazione di tutte le operatività connesse tramite l’utilizzo anche di idonei supporti informatici (ADDETTO ALLA GESTIONE AMMINISTRATIVA). 4° LIVELLO Appartengono a questo livello le lavoratrici/i lavoratori che, in possesso di qualificate conoscenze di tipo specialistico, esplicano attività tecnico-operative di adeguata complessità, ovvero svolgono attività amministrative, commerciali, tecniche. Tali attività richiedono capacità di valutazione ed elaborazione, nell’ambito di metodologie consolidate, di più elementi dell’attività di competenza e sono svolte con autonomia e responsabilità adeguate al risultato operativo atteso e conseguite anche attraverso idonei percorsi formativi. Inoltre, le lavoratrici/ i lavoratori che, oltre a possedere i requisiti di cui sopra e in relazione alla specificità del ruolo ricoperto, svolgono, anche solo in via complementare, attività di coordinamento operativo e/o di supporto professionale di altri lavoratori, ovvero compiti di natura specialistica. Lavoratrice/tore che, con piena professionalità acquisita anche attraverso specifici percorsi formativi, operando attraverso canali telefonici e/o telematici/social/digital mediante l’utilizzo di centrali specializzate (call center) e con il supporto di sistemi informativi e programmi software dedicati, svolge con capacità di relazione interpersonale, attività di informazione, , vendita di servizi, attività di interfaccia verso la clientela sui servizi e sulle funzioni delle reti, assistenza commerciale alla clientela attiva e potenziale; attività di interfaccia verso la rete commerciale; svolge, inoltre, compiti conseguenti, funzionali e connessi a quelli del front office atti al completamento del ciclo organizzativo del particolare e specifico servizio reso (OPERATORE DI /CUSTOMER CARE) Lavoratrice/tore che, in relazione alla piena professionalità acquisita anche attraverso specifici percorsi formativi e consolidata esperienza, svolge compiti che richiedono la completa padronanza delle procedure e norme tecniche che regolano il funzionamento, l’esercizio e la manutenzione degli impianti di competenza, intervenendo con autonomia operativa nella risoluzione delle anomalie di funzionamento riscontrate (SPECIALISTA DI ATTIVITA’ TECNICHE). 15 RISOLUZIONE QUESTIONE GIURIDICA La questione giuridica sottesa al caso di specie attiene alla verifica della sussistenza di una fattispecie di demansionamento illegittimo con conseguente diritto della lavoratrice ad ottenere una tutela ripristinatoria/ restitutoria, con riaffidamento delle mansioni precedenti o di altre riconducibili al medesimo livello di inquadramento. Inoltre Tizia chiede una tutela risarcitoria del danno patrimoniale e/o non patrimoniale nei limiti delle lesioni subite e provate in giudizio dalla lavoratrice. REFERENTI NORMATIVI e FONTI GIURISPRUDENZIALI Il principale riferimento normativo per la risoluzione del caso di specie è: ↓ 1) art. 2103 c.c. = disciplina lo ius variandi del datore di lavoro, ossia il potere datoriale di modificare unilateralmente il regolamento contrattuale, modificando l’oggetto del contratto (= le mansioni esigibili) e/o il luogo di svolgimento della prestazione lavorativa. Ai sensi del co. 1 art. 2103 c.c. il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per il quale è stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte. ↓ Tale comma è rilevante ai fini della risoluzione del caso di specie, in particolar modo nella parte in cui evidenzia il fatto che le mansioni esigibili, senza limite, da parte del datore di lavoro sono quelle comunicate in sede di assunzione ovvero qualsiasi altra mansione riconducibile al medesimo livello di inquadramento ed alla medesima categoria legale. Laddove la mansione non sia riconducibile al medesimo livello di inquadramento o non sia una mansione superiore, il datore di lavoro incontra, nell’esercizio del suo ius variandi, specifici limiti: ↓ ● limiti di carattere sostanziale: ○ co. 2 art. 2103 c.c.→ in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali tali da incidere sulla posizione del lavoratore, lo stesso può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore purchè rientranti nella medesima categoria legale; ○ co. 4 art. 2103 c.c.→ ulteriori ipotesi di assegnazione di mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale, possono essere previste dai contratti collettivi. ● limiti di carattere formale: ○ co. 5 art. 2103 c.c.→ il mutamento di mansioni deve essere comunicato per iscritto, a pena di nullità. Il lavoratore avrà inoltre diritto alla conservazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo in godimento; ○ il livello di inquadramento a cui sono riconducibili le nuove mansioni assegnate devono essere al massimo di un livello di inquadramento inferiore rispetto al precedente. 16 Ai fini dell’analisi del caso di specie rilevano diverse sentenze: ↓ La giurisprudenza di merito afferma che la forma di invalidità dell’atto in violazione dei limiti previsti dall’art. 2103 c.c. è la nullità→ ciò significa che l’atto non produce effetto e, di conseguenza, il lavoratore ha diritto alla tutela ripristinatoria e alla tutela risarcitoria. Corte d’appello di Roma sentenza n. 663/ 2022 (pag. 44)→ dice che anche nella nuova formulazione dell'art. 2103 c.c., ai fini del demansionamento è sufficiente che il lavoratore venga adibito a mansioni inferiori rispetto a quelle corrispondenti al livello di inquadramento; la riorganizzazione aziendale può escludere l'illecito demansionamento solo se il conseguente mutamento peggiorativo di mansioni è comunicato al dipendente, a pena di nullità, in forma scritta. La Corte d’Appello di Ancona sentenza n. 284/2021 (pag. 44)→ sostiene che l’art. 2103 c.c., anche nella formulazione anteriore alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 81/ 2015, non sancisce un principio di immodificabilità assoluta delle mansioni, ma circoscrive entro precisi confini l’esercizio dello ius variandi da parte del datore di lavoro, il quale, attraverso l’assegnazione a nuove mansioni, non può comunque pregiudicare il patrimonio professionale già acquisito dal lavoratore, né inibirgli le possibilità di crescita professionale nello specifico settore. Secondo Tribunale di Trieste sentenza n. 120/ 2019 (pag. 48)→ in tema di demansionamento, la riforma dell'art. 2103 c.c. affida sostanzialmente alla contrattazione collettiva l’individuazione dei limiti: - di esigibilità della prestazione del lavoratore; - del potere del datore di lavoro di mutare l'oggetto della prestazione. L’affidamento viene fatto alla contrattazione collettiva perché utilizza come parametri i livelli di inquadramento stabiliti dalla contrattazione collettiva. Infine, la Corte d’Appello di Roma sentenza n. 1437/2020 (pag. 32) afferma che, nel giudizio avente ad oggetto la determinazione dell’inquadramento di un lavoratore subordinato, non si può prescindere da 3 fasi logico-giuridiche: 1) accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte; 2) individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal contratto collettivo di categoria; 3) raffronto tra il risultato della prima indagine ed i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda. Quindi il processo di qualificazione richiederà di verificare in quale fattispecie astratta può essere sussunta la fattispecie concreta → ciò permette di capire quale sia il corretto inquadramento del lavoratore e quindi capire se lo ius variandi del datore di lavoro è stato esercitato in termini legittimi o illegittimi Queste fasi sono state individuate anche da altre sentenze, sia di merito che di legittimità. Ai fini della risoluzione del caso di specie bisogna per prima cosa capire su chi grava l’onere di provare il demansionamento illegittimo→ a tal proposito rilevano 2 sentenze di merito: ↓ 1) Tribunale di Ivrea n. 286/ 2023 (pag. 43)→ sostiene che, se il lavoratore afferma di essere stato demansionato, sarà suo onere dimostrare il danno patito a causa dell'inadempimento datoriale 2) Corte d’appello di Milano n. 1590/ 2022 (pag. 44)→ dice che qualora il lavoratore lamenti una dequalificazione o un demansionamento riconducibili ad un inesatto adempimento dell’obbligo gravante sul datore di lavoro ai sensi dell’art. 2103 c.c., è su quest’ultimo che incombe l’onere di provare l’esatto adempimento del suo obbligo. Tali sentenze sono in contrasto tra di esse; non vi è unanimità di vedute all’interno della giurisprudenza. 17 autonomia, decisionalità e responsabilità in capo ad essa. Inoltre Tizia non svolge più una mansione a diretto contatto con il cliente, ma svolge una prestazione semplice per la quale non sono necessarie particolari competenze e non è prevista collaborazione. Dalla lettura del CCNL per i dipendenti dalle imprese della tecnologia dell’informazione e della comunicazione si evince che appartengono al IV livello di inquadramento le lavoratrici/ lavoratori che: sono in possesso di qualificate conoscenze di tipo specialistico; svolgono attività tecnico-operative di adeguata complessità che richiedono capacità di valutazione ed elaborazione; svolgono tali attività con autonomia e responsabilità e compiono, anche solo in via complementare, attività di coordinamento operativo e/o di supporto professionale di altri lavoratori, ovvero compiti di natura specialistica. Raffrontando quindi la fattispecie concreta con la fattispecie astratta risulta che le mansioni svolte non sono inquadrabili al IV livello di inquadramento del CCNL applicato in azienda → di conseguenza si può affermare che, nel caso di specie, si è verificato un demansionamento. ↓ Nel caso di specie manca la forma scritta richiesta dal co. 5 art. 2103 c.c. ai fini della validità dell’atto → pertanto non sarà rilevante il livello di inquadramento a cui sarà riconducibile Tizia in quanto, in ogni caso, il demansionamento è da ritenersi nullo e quindi illegittimo. Tizia chiede inoltre una tutela risarcitoria del danno patrimoniale e/o non patrimoniale nei limiti delle lesioni subite e provate in giudizio dalla lavoratrice. In particolar modo Tizia deduce la perdita di contatti con persone che, nelle mansioni svolte prima dell’asserito demansionamento, erano un patrimonio fondamentale per l’evoluzione della sua carriera (ciò può essere ricondotto al danno per perdita di chance) e la perdita di aggiornamento culturale e tecnico (riconducibile al danno patrimoniale alla professionalità). La lavoratrice chiede il risarcimento del danno biologico. Ai fini dell’accertamento di quest’ultimo, come dice la giurisprudenza, è necessario che la lesione sia medicalmente accertabile, ma è anche necessario che venga accertata la sussistenza di un nesso di causalità tra il danno subito e l'inadempimento datoriale. Nel caso di specie rileva il fatto che Tizia allega in giudizio dei certificati medici che attestano la presenza di disturbi depressivi e/o stati d’ansia senza tuttavia riferirne la riconducibilità ai fatti di causa. Inoltre rileva il fatto che rispetto alla categoria del danno esistenziale Tizia non fornisce alcun tipo di allegazione. CONCLUSIONE In conclusione, nel caso di specie, il datore di lavoro di Tizia ha esercitato il proprio ius variandi assegnando alla lavoratrice l’attività di tipizzazione a far data dall’01/08/2017. In particolar modo è avvenuto un demansionamento dato che le nuove mansioni assegnate alla lavoratrice sono ascrivibili ad un livello inferiore rispetto a quello precedentemente assegnato. Il datore di lavoro avrebbe dovuto adottare la forma scritta per tale demansionamento ex co. 5 art. 2103 c.c. , ma nel caso di specie è avvenuto sulla base di una mera indicazione verbale. Per questo motivo il demansionamento è da ritenersi nullo e quindi illegittimo. Tizia avrà pertanto diritto oltre ad una tutela risarcitoria, altresì ad una tutela ripristinatoria. Accertata la sussistenza dell’inadempimento datoriale la risoluzione del caso si sposta sull’accertamento del diritto della lavoratrice a ricevere il risarcimento del danno patrimoniale e/o non patrimoniale nei limiti delle lesioni subite e provate in giudizio dalla lavoratrice. 20 Nel caso di specie, a fronte delle prove prodotte in giudizio dalla lavoratrice essa avrà diritto esclusivamente al risarcimento del danno patrimoniale per la lesione alla professionalità (che deve essere valutata in ragione della quantità e qualità del lavoro pregresso) e perdita di chances (intesa come frustrazione di probabili prospettive di progressione professionale di carriera); danno che potrà essere provato anche con presunzioni. Non avrà invece diritto al risarcimento del danno biologico, per mancanza di prova del nesso di causalità tra il danno subito e il demansionamento, e del danno esistenziale visto che Tizia non fornisce alcun tipo di allegazione. 21 CASO 4 A fronte del forte aumento dei prezzi dell’energia, la società X cerca delle soluzioni organizzative per risparmiare sui costi di elettricità e riscaldamento. Si rivolge al proprio consulente, chiedendo se si sia possibile concentrare l’orario normale dei propri lavoratori, pari a 40 ore settimanali, su quattro giorni alla settimana, anziché cinque (opzione 1), oppure se sia possibile, a parità del costo del lavoro, concentrare l’attività produttiva in alcune settimane, alternando periodi con orario di 12 ore al giorno per sei giorni alla settimana, e periodi in cui lo stabilimento rimane chiuso (opzione 2). Chiede, al riguardo, se sia necessario acquisire il consenso dei lavoratori o sottoscrivere un contratto collettivo aziendale. RISOLUZIONE QUESTIONE GIURIDICA Vi sono 2 questioni giuridiche sottese al caso di specie: ↓ 1) la prima questione: attiene alla possibilità per il datore di lavoro di modificare unilateralmente la collocazione temporale della prestazione senza dover acquisire il consenso del lavoratore (opzione 1); 2) la seconda questione: attiene alla possibilità per il datore di introdurre l’organizzazione multiperiodale dell’orario di lavoro normale (opzione 2). In particolar modo, tale modello organizzativo alterna tra: ● periodi di flessibilità positiva→ in cui le ore effettuate nella settimana superano il limite dell’orario normale; ● e periodi di flessibilità negativa→ in cui, al contrario, le ore effettuate nella settimana sono inferiori al limite dell’orario normale. Laddove, in media, le ore effettuate nella finestra temporale in cui è organizzato il modello multiperiodale non superino il limite previsto per l’orario del lavoro settimanale (48h), tutte le ore effettuate verranno retribuite come ore di lavoro normale (non straordinario), con conseguente mantenimento del medesimo costo del lavoro senza dover applicare le maggiorazioni di lavoro straordinario. Scopo: assecondare l’andamento delle esigenze del mercato e le esigenze organizzative dell’impresa. Quindi ↓ L’orario multiperiodale consente di superare all’interno della singola settimana il limite dell’orario normale di lavoro, senza che questo determini la configurazione del lavoro straordinario. Vi sarà il conseguente diritto del lavoratore alle corrispondenti maggiorazioni retributive a condizione che tale periodo di flessibilità positiva sia compensato successivamente da un periodo di flessione negativa. REFERENTI NORMATIVI e FONTI GIURISPRUDENZIALI Vi sono diversi referenti normativi rilevanti in materia di orario di lavoro ed utili per la risoluzione del caso di specie: ↓ 1) art. 36 co. 2 Cost.→ si preoccupa di stabilire che la durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge; 2) art. 36 co. 3 Cost.→ individua diritti irrinunciabili del lavoratore come il diritto al riposo settimanale ed a ferie retribuite; 3) Direttiva europea in materia di orario di lavoro del 1993, sostituita dalla direttiva 2003/88→ recepita nell’ordinamento interno attraverso il d.lgs. 66/ 2003; 22 CASO 5 Tizio è un operaio carpentiere, assunto come lavoratore subordinato con contratto a tempo indeterminato dalla società Cantieri spa il 7 gennaio 2011. In data 9 giugno 2022, alle 3.30, Tizio viene sorpreso dal proprio superiore gerarchico, durante il turno di lavoro notturno, addormentato presso una zona dello stabilimento, a distanza di circa un'ora dalla pausa prestabilita. Una volta risvegliato, Tizio riprende l'attività lavorativa. La società Cantieri contesta per iscritto il fatto a Tizio il 10 giugno 2022 e gli commina successivamente, con atto scritto, la sanzione espulsiva del licenziamento per giustificato motivo soggettivo il 20 giugno 2022. Tizio impugna il licenziamento chiedendo di essere reintegrato nel posto di lavoro. Tra gli allegati al ricorso, Tizio produce il CCNL applicato in azienda, che prevede per l’ipotesi di "abbandono del posto di lavoro senza giustificato motivo" l’applicazione della sanzione della multa pari a 4 ore di retribuzione; prevede la multa altresì per i casi di esecuzione del lavoro senza la necessaria diligenza e la sospensione per chi esegua il lavoro con negligenza grave. La società occupa, presso lo stabilimento in questione, 25 dipendenti. RISOLUZIONE QUESTIONE GIURIDICA Vi sono 2 questioni giuridiche sottesa al caso di specie: ↓ 1) l’accertamento della sussistenza dei presupposti di legittimità del licenziamento disciplinare per giustificato motivo soggettivo da parte della società Cantieri spa nei confronti di Tizio; 2) l’individuazione, in caso di assenza di tali presupposti e quindi in presenza di licenziamento illegittimo, del regime di tutela applicabile al lavoratore. REFERENTI NORMATIVI Per quanto attiene la prima questione giuridica, ossia l’accertamento della sussistenza dei presupposti di legittimità del licenziamento disciplinare per giustificato motivo soggettivo, rilevano diverse disposizioni → più nello specifico: ➔ per quanto attiene la legittimità del licenziamento disciplinare in quanto sanzione disciplinare, rilevano: ↓ 1) art. 2106 c.c.→ disciplina il principio di proporzionalità della sanzione disciplinare che graverà sul lavoratore rispetto alla gravità dell’infrazione da lui commessa; 2) art. 7 co. 1 e 2 l. 300/70 (= statuto dei lavoratori) → disciplina il principio di pubblicità e del contraddittorio. ➔ per quanto riguarda i presupposti di forma e di giustificazione richiesti ai fini della legittimità dell’atto di recesso datoriale, i referenti normativi sono: ↓ 3) legge 604/1966→ in particolar modo: ● art. 1 e art. 3→ per quanto attiene il presupposto sostanziale ossia la necessaria giustificazione che può essere: ○ una giusta causa (= ex art. 2119 c.c. per giusta causa si intende una causa talmente grave che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto → costituisce un licenziamento disciplinare); ○ giustificato motivo soggettivo (= notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro → costituisce un licenziamento disciplinare); 25 ○ giustificato motivo oggettivo (= licenziamento dovuto a ragioni inerenti l'attività produttiva; l’organizzazione del lavoro ed il regolare funzionamento di essa → costituisce licenziamento per ragioni economiche); ● art. 5→ sostiene che l’onere della prova della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento spetta al datore di lavoro; ● art. 2→ per quanto attiene i requisiti formali: il datore di lavoro deve comunicare per iscritto il licenziamento al prestatore di lavoro + deve contenere la specificazione dei motivi che lo hanno determinato → pena la sua inefficacia. 4) art. 2118 c.c.→ rileva ai fini dell’individuazione dell’obbligo di preavviso che deve essere ottemperato laddove non vi sia una giusta causa e quindi ove vi sia un giustificato motivo. Più nello specifico, ai sensi dell’art. 2106 c.c. e dell’art. 7 l. 300/70, la legittimità della sanzione disciplinare dipende dal rispetto, da parte del datore di lavoro, di 3 principi fondamentali: ↓ ❖ PRINCIPIO DI PROPORZIONALITÀ (art. 2106 c.c.) = prevede che ogni sanzione disciplinare corrispondente ad un inadempimento da parte del datore di lavoro, dev’essere proporzionale alla gravità del fatto commesso; ❖ PRINCIPIO DI PUBBLICITÀ (art. 7 co. 1 statuto dei lavoratori) = le norme disciplinari relative alle sanzioni devono essere portate a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a tutti → quindi non basta che l’elencazione sia all’interno del contratto collettivo. Vi è però un’eccezione prevista dalla giurisprudenza→ sostiene che non è necessaria l’affissione del codice disciplinare nei casi in cui il licenziamento sia irrogato per sanzionare condotte del lavoratore che costituiscono violazione di norme penali o che contrastano con il minimo etico; ❖ PRINCIPIO DEL CONTRADDITTORIO (art. 7 co. 2 statuto dei lavoratori) = il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato per iscritto l’addebito e senza averlo sentito a sua difesa. Per garantire il diritto di difesa del lavoratore la contestazione deve essere: 1. tempestiva→ deve accadere in quel momento; 2. immutabile→ la sanzione deve essere collegata a quel fatto; 3. specifica→ il fatto deve essere dettagliato. Ex art. 7 co. 5 statuto dei lavoratori i provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale non possono essere applicati prima che siano trascorsi 5 giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa → in questo lasso di tempo il lavoratore può presentare le proprie difese. Rilevante ai fini della risoluzione del caso di specie è la sentenza del tribunale di Roma sezione lavoro n. 6445/ 2019 (pag. 91)→ evidenzia che il licenziamento ha natura disciplinare ogni qualvolta che sia motivato in riferimento ad un comportamento imputabile anche a titolo di colpa al lavoratore. È un licenziamento che copre l’area del licenziamento per giusta causa (e per giustificato motivo soggettivo). La qualifica in termini disciplinari comporta l’ineludibile applicabilità, ai fini della legittimità del licenziamento in quanto sanzione disciplinare, delle garanzie previste in favore del lavoratore ex art. 7 l. 300/70. Per quanto attiena la seconda questione giuridica, ossia in caso di illegittimità del licenziamento disciplinare, rileva una disposizione in particolare: ↓ 26 1) art. 18 co. 4 l. 300/70 post riforma Fornero (= statuto dei lavoratori) → tale disposizione rileva sulla base di 2 indici: ● il numero di dipendenti → ex art. 18 co. 8 l. 300/70 tale legge si applicherà al datore di lavoro (imprenditore o non imprenditore), che in ciascuna sede/ stabilimento/ filiale/ ufficio/ reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di 15 lavoratori, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa più di 60 dipendenti→ al contrario si applicherebbe la l. 604/66. Nel caso di specie la società Cantieri spa conta un numero di dipendenti pari a 25, numero superiore ai 15 dipendenti → ergo, si applicherà l’art. 18 co. 4 l. 300/70; ● data di stipulazione del contratto di lavoro→ tale legge si applica infatti ai rapporti di lavoro instaurati antecedentemente al 7 marzo 2015 → al contrario si applicherebbe il d.lgs. 23/ 2015. Nel caso di specie l’anno di stipulazione del contratto di lavoro è il 2011 → di conseguenza si applicherà l’art. 18 co. 4 l. 300/70. Quindi, ai fini dell’individuazione delle tutele applicabili al caso di specie, rileva l’art. 18 co. 4 l. 300/70→ sostiene che il giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili: - annulla il licenziamento; - condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro (= reintegrazione attenuata); - pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzioni globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione fino ad un massimo di 12 mensilità. È inoltre concessa al lavoratore la facoltà di richiedere un’indennità sostitutiva della reintegrazione pari a 15 mensilità. Nel caso di specie rileva il secondo vizio richiamato dall’art. 18 co. 4 l. 300/70: la riconducibilità del fatto a condotte che la contrattazione collettiva punisce con una mera sanzione conservativa. Tale secondo vizio previsto dall’art. 18 co. 4 l. 300/70 è stato oggetto di un’evoluzione interpretativa da parte della giurisprudenza: ↓ ➢ Corte di Cassazione sentenza n. 13533/ 2019 (pag. 92)→ interpretava l’art. 18 co. 4 l. 300/70 in senso restrittivo → in particolar modo il secondo vizio era integrato soltanto laddove l’addebito contestato fosse specificamente tipizzato nel contratto collettivo, o nel codice disciplinare, come infrazione punibile con una sanzione conservativa; ≠ ➢ Corte di Cassazione sez. lav. sentenza n. 13065/ 2022 (pag. 85)→ ha di recente cambiato orientamento ampliando l’ambito di applicabilità della tutela reintegratoria attenuata → sostiene che la riconducibilità a sanzioni conservative può essere dedotta anche sulla base di clausole generali ed elastiche contrattuali previste all’interno del contratto collettivo o del codice disciplinare → quindi clausole che non individuano specificatamente quella condotta, ma che avendo un contenuto generale, possono anche contenere quella condotta. Altre sentenze in merito: ➢ Cassazione n. 13533/ 2019 (pag. 92)→ in tema di licenziamento disciplinare, l’accesso alla tutela reale presuppone una valutazione di proporzionalità tra sanzione conservativa e fatto in addebito tipizzata dalla contrattazione collettiva. ≠ 27 CASO 6 Tizia è assunta dalla società Supermarket s.p.a. con mansioni di cassiera in data 1° luglio 2009. Il 12 gennaio 2017 la società comunica per iscritto a Tizia quanto segue: «Ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 7 della legge n. 300/70 e del vigente C.C.N.L. con la presente siamo a contestarLe quanto segue. In data 9 gennaio 2017, mentre lavorava presso la cassa del supermercato, Ella ha consentito che tre clienti oltrepassassero la barriera della cassa lasciando i prodotti nei carrelli; ha omesso di invitare i predetti a depositare la merce sul nastro trasportatore, come prescritto dal regolamento aziendale, e di eseguire un controllo diretto, limitandosi, invece, a registrare sul misuratore fiscale le quantità di ciascuna tipologia di prodotto indicate dagli stessi clienti, in misura notevolmente inferiore a quelle effettive, come percepibile da chiunque e, a maggior ragione, da una cassiera con esperienza. Difatti, l'addetto alla vigilanza, in accordo con i responsabili del negozio, aveva chiesto l'intervento dei carabinieri; questi hanno provveduto a identificare i clienti mentre caricavano la merce su un furgone parcheggiato nei pressi del centro commerciale; all'esito della verifica è emerso che i tre clienti avevano pagato merce per Euro 998,08 e prelevato altra merce non pagata per Euro 1.672,02. Tale Suo comportamento negligente, oltre a costituire violazione dei generali obblighi di correttezza e buona fede che devono contraddistinguere il rapporto di lavoro, costituisce altresì palese violazione della disposizione di cui all’art. 2104 c.c. Ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 7 della legge n. 300/70 Ella ha cinque giorni di tempo dal ricevimento della presente per presentare le Sue giustificazioni». In data 20 gennaio 2017 la società comunica per iscritto a Tizia il licenziamento per giusta causa per la condotta contestata. Tizia impugna il licenziamento chiedendo al giudice di annullare l’atto in quanto ingiustificato, con condanna della società alla reintegrazione. Nella filiale della società dove è avvenuto il licenziamento sono presenti 20 dipendenti. Nel corso del giudizio viene accertato che la cassiera, al momento dei fatti, aveva contattato la guardia giurata in servizio segnalando la presenza di persone sospette alla cassa; che la società da tempo teneva sotto controllo alcuni "accaparratori", cioè persone che in caso di offerte facevano grandi approvvigionamenti di merce; che nel caso di specie i clienti alla cassa erano in tre e hanno preteso di indicare e pagare un quantitativo di merce palesemente inferiore a quella presente nei carrelli; che la guardia giurata non aveva ritenuto di intervenire a supporto della cassiera prima dell'arrivo dei carabinieri, ma aveva semplicemente invitato la caporeparto a recarsi in cassa per tranquillizzare la dipendente; che la caporeparto si era recata presso la cassa, invitando la lavoratrice a continuare regolarmente il proprio lavoro senza timore; che i carabinieri al loro arrivo non erano entrati immediatamente nel supermercato ma, utilizzando un'uscita posteriore dove si trovava la guardia giurata, avevano controllato le telecamere di sorveglianza che riprendevano i tre uomini alla cassa e li avevano poi raggiunti nel parcheggio, ove hanno proceduto al controllo della merce e degli scontrini. RISOLUZIONE QUESTIONE GIURIDICA Le questioni giuridiche sottese al caso di specie attengono: ↓ 1) all’accertamento della sussistenza dei presupposti di legittimità del licenziamento disciplinare per giusta causa per la condotta contestata dalla società supermarket spa nei confronti di Tizia; 2) all’individuazione, in caso di assenza di tali presupposti e quindi in presenza di licenziamento illegittimo, del regime di tutela applicabile alla lavoratrice→ in particolar modo Tizia impugna il licenziamento chiedendo al giudice di annullare l’atto in quanto ingiustificato, con condanna della società alla reintegrazione. Prodromica all’analisi di detti profili è la questione attinente all’applicabilità dell’istituto dell’eccezione di inadempimento nel contesto del rapporto di lavoro subordinato → cioè, a tal ultimo riguardo, si pone la necessità di capire se di fronte all’illegittimità di un provvedimento datoriale o comunque di fronte all’inadempimento di un obbligo datoriale, il rifiuto di un lavoratore di svolgere la propria prestazione possa ritenersi legittimo e quindi non rilevante dal punto di vista disciplinare. 30 REFERENTI NORMATIVI Il referente normativo che consente di ragionare di eccezione di inadempimento è l’art. 1460 c.c.→ secondo cui, nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione se l’altro non adempie –a meno che→ il rifiuto non sia contrario alla buona fede. A riguardo rilevano diversi pareri della giurisprudenza: ↓ ➢ Sentenza del tribunale di Roma n. 10938/ 2022 (pag. 62)→ la giurisprudenza ha affermato che nel contesto del lavoro subordinato, l’art. 1460 c.c. è invocabile da parte del lavoratore soltanto nel caso di totale inadempimento del datore di lavoro o in ipotesi di gravità della sua condotta tale da incidere irrimediabile sulle esigenze vitali del dipendente. ➢ Cassazione civile sentenza n. 770/ 2023 (pag. 61)→ sostiene che l’inadempimento datoriale non legittima in via automatica il rifiuto del lavoratore di eseguire la prestazione lavorativa → la parte adempiente può rifiutarsi di eseguire la prestazione a proprio carico solo ove tale rifiuto, avuto riguardo alle circostanze concrete, non risulti contrario a buona fede. Il giudice deve quindi procedere ad una valutazione comparativa degli opposti adempimenti avuto riguardo anche allo loro proporzionalità rispetto alla funzione economico-sociale del contratto e alla loro rispettiva incidenza sull’equilibrio sinallagmatico, sulle posizioni delle parti e sugli interessi delle stesse, con la conseguenza che ove l’inadempimento di una parte non sia grave oppure abbia scarsa importanza, il rifiuto di quest'ultima di adempiere la propria obbligazione non potrà considerarsi in buona fede. Inoltre, con specifico riferimento alla violazione da parte del datore di lavoro dell’obbligo di sicurezza ex art. 2087 c.c., è da considerare legittimo il rifiuto del lavoratore di eseguire la propria prestazione, conservando, al contempo, il diritto alla retribuzione in quanto non possono derivargli conseguenze sfavorevoli ragione della condotta inadempiente del datore, posto che è in gioco il diritto alla salute di rilievo costituzionale. ➢ Corte d’appello di Catanzaro sez. lav. sentenza n. 1098/ 2019 (pag. 62)→ il rifiuto, per non concretizzare violazione del dovere di obbedienza che grava sul prestatore ai sensi dell’art. 2104 c.c. co. 2, dovrebbe essere rivolto a contrastare una palese ed oggettiva illegittimità. Per quanto attiene la prima questione giuridica, ossia l’accertamento della sussistenza dei presupposti di legittimità del licenziamento disciplinare per giustificato motivo soggettivo, rilevano diverse disposizioni → più nello specifico: ➔ per quanto attiene la legittimità del licenziamento disciplinare in quanto sanzione disciplinare, rilevano: ↓ 1) art. 2106 c.c.→ disciplina il principio di proporzionalità della sanzione disciplinare che graverà sul lavoratore rispetto alla gravità dell’infrazione; 2) art. 7 co. 1 e 2 l. 300/70 (= statuto dei lavoratori) → disciplina il principio di pubblicità e del contraddittorio. ➔ per quanto riguarda i presupposti di forma e di giustificazione richiesti ai fini della legittimità dell’atto di recesso datoriale, i referenti normativi sono: ↓ 3) legge 604/1966→ in particolar modo: ● art. 1 e art. 3→ per quanto attiene il presupposto sostanziale ossia la necessaria giustificazione che può essere: 31 ○ una giusta causa (= ex art. 2119 c.c. per giusta causa si intende una causa talmente grave che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto → costituisce un licenziamento disciplinare); ○ giustificato motivo soggettivo (= notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro → costituisce un licenziamento disciplinare); ○ giustificato motivo oggettivo (= licenziamento dovuto a ragioni inerenti l'attività produttiva; l’organizzazione del lavoro ed il regolare funzionamento di essa → costituisce licenziamento per ragioni economiche); ● art. 5→ sostiene che l’onere della prova della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento spetta al datore di lavoro; ● art. 2→ per quanto attiene i requisiti formali: il datore di lavoro deve comunicare per iscritto il licenziamento al prestatore di lavoro + deve contenere la specificazione dei motivi che lo hanno determinato → pena la sua inefficacia. 4) art. 2119 c.c.→ per giusta causa si intende una causa talmente grave che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto → non è necessario il preavviso. Più nello specifico, ai sensi dell’art. 2106 c.c. e dell’art. 7 l. 300/70, la legittimità della sanzione disciplinare dipende dal rispetto, da parte del datore di lavoro, di 3 principi fondamentali: ↓ ❖ PRINCIPIO DI PROPORZIONALITÀ (art. 2106 c.c.) = prevede che ogni sanzione disciplinare corrispondente ad un inadempimento da parte del datore di lavoro, dev’essere proporzionale alla gravità del fatto commesso; ❖ PRINCIPIO DI PUBBLICITÀ (art. 7 co. 1 statuto dei lavoratori) = le norme disciplinari relative alle sanzioni devono essere portate a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a tutti → quindi non basta che l’elencazione sia all’interno del contratto collettivo. Vi è però un’eccezione prevista dalla giurisprudenza→ sostiene che non è necessaria l’affissione del codice disciplinare nei casi in cui il licenziamento sia irrogato per sanzionare condotte del lavoratore che costituiscono violazione di norme penali o che contrastano con il minimo etico; ❖ PRINCIPIO DEL CONTRADDITTORIO (art. 7 co. 2 statuto dei lavoratori) = il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato per iscritto l’addebito e senza averlo sentito a sua difesa. Per garantire il diritto di difesa del lavoratore la contestazione deve essere: 1. tempestiva→ deve accadere in quel momento; 2. immutabile→ la sanzione deve essere collegata a quel fatto; 3. specifica→ il fatto deve essere dettagliato. Ex art. 7 co. 5 statuto dei lavoratori i provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale non possono essere applicati prima che siano trascorsi 5 giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa → in questo lasso di tempo il lavoratore può presentare le proprie difese. Rilevante ai fini della risoluzione del caso di specie è la sentenza del tribunale di Roma sezione lavoro n. 6445/ 2019 (pag. 91)→ evidenzia che il licenziamento ha natura disciplinare ogni qualvolta che sia motivato in riferimento ad un comportamento imputabile anche a titolo di colpa al lavoratore. È un licenziamento che copre l’area del licenziamento per giusta causa (e per giustificato motivo soggettivo). La qualifica in termini disciplinari comporta l’ineludibile applicabilità, ai fini della legittimità del licenziamento in quanto sanzione disciplinare, delle garanzie previste in favore del lavoratore ex art. 7 l. 300/70. 32 CONCLUSIONE In conclusione, nel caso di specie il licenziamento è da ritenersi illegittimo per insussistenza del fatto contestato. In particolar modo il rifiuto della lavoratrice di eseguire la prestazione secondo le direttive datoriali può ritenersi legittimo perché costituisce un’azione di autotutela della lavoratrice che possiamo qualificare in termini di eccezione di inadempimento ai sensi dell’art. 1460 c.c.. Infatti, nel caso di specie, la condotta di Tizia può ritenersi giustificata dal grave inadempimento datoriale dall’obbligo di tutela della sicurezza della lavoratrice→ si tratta di un inadempimento palese ed oggettivo nonché in grado di incidere in maniera irreparabile sulle esigenze vitali della lavoratrice. Può in tal senso ritenersi applicabile ai sensi dell’art. 18 co. 4 l. 300/70 una tutela reintegratoria attenuata. Il giudice, di conseguenza, annulla il licenziamento. Tizia avrà quindi diritto, ai sensi dell’art. 18 co. 4 l. 300/70 post riforma Fornero alla reintegrazione da parte del datore di lavoro del posto di lavoro ed al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata alle retribuzioni perse dal giorno di licenziamento al giorno di reintegrazione fino ad un massimo di 12 mensilità. Sarà inoltre concessa al lavoratore la facoltà di richiedere un’indennità sostitutiva della reintegrazione pari a 15 mensilità. 35 CASO 7 Tizia è assunta dalla società Communication s.r.l. in data 1° dicembre 2010 con mansioni di Account Key Client, inquadrata come quadro di livello 1 sulla base del CCNL applicato. La sua mansione comprende sia l'attività di acquisizione di nuova clientela e di ampliamento del portafoglio clienti sia l’attività di gestione del cliente durante lo sviluppo del progetto pubblicitario. Nel 2018 e nel 2020 usufruisce del congedo di maternità. Nella primavera del 2022, a seguito di un riassetto organizzativo finalizzato a una migliore efficienza gestionale e a un incremento della redditività, la società decide di sopprimere una delle tre posizioni di Account Key Client. Tizia, l’unica donna a ricoprire la posizione di Account Key Client, è licenziata per giustificato motivo oggettivo il 5 maggio 2022 con atto scritto. Impugna il licenziamento chiedendo al giudice, in via principale, di accertare la discriminatorietà del licenziamento per ragioni di sesso ovvero, in via subordinata, di annullare l’atto in quanto ingiustificato, con condanna della società alla reintegrazione. Nella filiale della società dove è avvenuto il licenziamento sono presenti 20 dipendenti. In giudizio la società prova l’effettivo mutamento dell'assetto organizzativo, la soppressione della posizione di Account Key Client, con redistribuzione delle relative mansioni alle risorse già in forza, nonché la riduzione dei costi conseguente al ridimensionamento dell'organico. Dalla documentazione prodotta dalla società in giudizio si evince altresì l’assenza di posti vacanti, cui potesse essere assegnata Tizia, al momento del licenziamento e, dopo il licenziamento e per un congruo periodo, l’assenza di assunzioni sia per posizioni di Account Key Client sia per posizioni compatibili con la sua professionalità. La lavoratrice, d’altra parte, deduce in giudizio che i colleghi Caio e Sempronio, adibiti come lei alle mansioni di Account Key Client, sono stati assunti rispettivamente nel 2012 e nel 2014 e non hanno figli. RISOLUZIONE QUESTIONE GIURIDICA Vi sono 2 questioni giuridiche sottese al caso di specie → attengono: 1) in via principale all’accertamento della discriminatorietà del licenziamento per ragioni di sesso; 2) ovvero, in subordine, all’accertamento dei presupposti di legittimità, in particolare di giustificazione del licenziamento economico, con conseguente individuazione del regime di tutela applicabile alla lavoratrice. REFERENTI NORMATIVI Per quanto attiene alla prima questione giuridica, ossia all’accertamento della discriminatorietà del licenziamento per ragioni di sesso, vi sono diversi referenti normativi utili ai fini della risoluzione del caso di specie: ↓ 1) d.lgs. 151/ 2001 ossia il Testo unico in materia di maternità e paternità→ in base al quale laddove il licenziamento sia adottato durante il periodo di tempo che va dalla gravidanza fino ad un anno di vita del bambino, si configura una presunzione legale di discriminatorietà del licenziamento a prova contraria vincolata; 2) d.lgs. 198/ 2006 ossia il Testo unico in materia di pari opportunità tra uomini e donne→ in base al quale, una discriminazione per ragioni connesse alla maternità, costituisce una discriminazione in ragione del sesso ed è previsto un regime di prova che per il riccorrente è alleggerito in quanto si dispone un meccanismo di parziale inversione dell’onere della prova→ è sufficiente che il ricorrente offra una prova semi piena del fatto, quindi della discriminatorietà del licenziamento, affinchè si sposti sui convenuti il rischio di soccombenza rispetto alla domanda di accertamento della discriminazione. 36 Per quanto attiene alla seconda questione giuridica, ossia all’accertamento dei presupposti di legittimità, in particolare di giustificazione del licenziamento economico, rileva: 1) legge 604/1966→ prevede i presupposti di legittimità formali e sostanziali del licenziamento per giustificato motivo oggettivo → in particolar modo: ● art. 1 e art. 3→ per quanto attiene il presupposto sostanziale ossia la necessaria giustificazione che può essere: ○ una giusta causa (= ex art. 2119 c.c. per giusta causa si intende una causa talmente grave che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto → costituisce un licenziamento disciplinare); ○ giustificato motivo soggettivo (= notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro → costituisce un licenziamento disciplinare); ○ giustificato motivo oggettivo (= licenziamento dovuto a ragioni inerenti l'attività produttiva; l’organizzazione del lavoro ed il regolare funzionamento di essa → costituisce licenziamento per ragioni economiche); ● art. 5→ sostiene che l’onere della prova della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento spetta al datore di lavoro; ● art. 2→ per quanto attiene i requisiti formali: il datore di lavoro deve comunicare per iscritto il licenziamento al prestatore di lavoro + deve contenere la specificazione dei motivi che lo hanno determinato → pena la sua inefficacia. ● art. 7→ il licenziamento deve essere preceduto da un obbligatorio tentativo di conciliazione presso l’ispettorato del lavoro laddove il datore di lavoro abbia la dimensione occupazione richiesta dall’art. 18 co. 8 l. 300/70 (= sede/ stabilimento/ filiale/ ufficio/ reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di 15 lavoratori, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa più di 60 dipendenti). Con riferimento al giustificato motivo oggettivo la giurisprudenza di merito afferma che, l’andamento economico negativo dell’azienda non costituisce un presupposto fattuale necessario ai fini dell’integrazione della fattispecie, potendo porsi a fondamento dell’atto anche una scelta organizzativa diretta ad una migliore efficienza gestionale, ovvero ad un incremento della redditività. ↓ Quindi è sufficiente, ma anche necessario, che le ragioni inerenti all'attività produttiva addotte dal datore di lavoro sussistano effettivamente → è necessario che il fatto economico sia effettivo e che questo abbia determinato un effettivo mutamento dell’organizzazione del lavoro attraverso la soppressione di una specifica posizione lavorativa. Consolidata giurisprudenza afferma che il licenziamento per giustificato motivo oggettivo deve essere una extrema ratio ed in tal senso dev’essere preceduto da una verifica di ricollocabilità del lavoratore all’interno della compagine aziendale. Tale obbligo, tuttavia, presuppone la presenza di posti vacanti in azienda, compatibili con il bagaglio professionale del lavoratore. Tale vincolo della compatibilità del nuovo posto di lavoro in cui dev’essere ricollocato il lavoratore, non è pensato in un'ottica di tutela del lavoratore, bensì del datore di lavoro → non deve recare alcun costo a carico del datore di lavoro (es: il datore di lavoro infatti non è costretto: a creare un’apposita posizione per il lavoratore; a preferire il lavoratore da demansionare rispetto ad un soggetto già nell’organico aziendale con mansioni inferiori e non deve sussistere a carico del datore di lavoro l’onere di sostenere i costi della formazione professionale del lavoratore al fine di consentirgli l’impiego nelle mansioni disponibili per le quali questi non abbia bagaglio professionale ed attitudini sufficienti). 37
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