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CATULLO: CONTESTO STORICO E ANALISI CARMINA, Appunti di Latino

CONTIENE: CONTESTO STORICO, ANALISI FRAMMENTO LIBER E CARME 5-109-70-85-8-11-50-36-16-64

Tipologia: Appunti

2020/2021

In vendita dal 16/01/2022

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bark_rubino 🇮🇹

4.7

(3)

5 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica CATULLO: CONTESTO STORICO E ANALISI CARMINA e più Appunti in PDF di Latino solo su Docsity! CATULLO CONTESTO STORICO La generazione di Catullo è una generazione che vede il mos maiorum cominciare a cedere ma che inizia a credere che quelli non siano più valori che appartengono a loro. A Roma inizia a diffondersi l’epicureismo e la cultura ellenistica con la poesia alessandrina, una poesia coltissima, raffinatissima, fortemente polisemica, metapoetica, che tratta di materiale mitico più di nicchia ma soprattutto disimpegnata politicamente. Il primo a introdurre questo tipo di poesia a Roma è Quinto Lutazio Catulo che tradusse questo tipo di letteratura adattando la lingua latina ai contenuti tradotti favorendone quindi la diffusione e la preparazione delle modalità espressive. Grazie proprio a questa sua preparazione i giovani cominciano a rendere proprio questo tipo di poesia, a differenza di Catulo che si limitava a tradurla, facendo nascere qualcosa di nuovo ovvero poesia alessandrina scritta da romani. La maggior parte di questi giovani provenivano dalla Gallia Cisalpina ed erano figli di buona famiglia ricchi e colti. Costoro, giunti a Roma non intraprendevano il cursus honorum o comunque non vi si impegnavano, si occupavano invece di scrivere e leggere. Questa era una scelta consapevole che ritenevano degna, infatti a differenza di Sallustio non se ne vergognavano e non sentivano il bisogno di giustificarsi ma anzi erano fieri di non essere in politica e affermare un nuovo tipo di valori. Questa nuova generazione di scrittori fu chiamata da Cicerone “poetae novi” o “neoteroi” o “cantores Euphoriones (facendo riferimento a un poeta ellenistico non eccellente)”, tutte accezioni negative in quanto li considerava poeti che facevano la rivoluzione senza nulla da dire. | poetae novi parleranno di: letteratura; amore, inteso però come un amore nuovo e libero, non per una compagna alla quale sono legati dal vincolo del matrimonio; amicizia; ma soprattutto non chiederanno mai scusa per non fare politica. IL LIBER DI CATULLO Il Liber di Catullo è una raccolta di 116 componimenti di cui 3 spuri, vari nel metro, lunghezza e argomenti. La forma in cui ci perviene non è quella originale, infatti, non fu lui a riordinare i componimenti, il Liber doveva essere più breve, probabilmente aveva pensato a più raccolte ma altri dopo di lui ordinarono i suoi componimenti e li misero tutti in questa raccolta che è il Liber. Non è noto l'ordine contenutistico, infatti, i componimenti sono ordinati per metro di cui il primo è il distico elegiaco. CAT. 1 Cut dono lépidum novum libellum arida mòdò pumice expolltum? Cornell, tibi: namquè tu sòlebas méas esse àliquid pùtarè nùgas iam tum, cum aùsùs ès Unùs Itàloram omne aévùm tribùs explicarè cartis doctîs, lUppitér, et laboriosis. Quare habe tibi quidguid hoc libellt qualécimgue; quòd, «6» patrona virgò, plùs uno mànéat pèrennè saeclo. A chi dono questo aggraziato libretto nuovo appena rifinito con l’arida pomice? A te, Cornelio: infatti tu solevi ritenere che le mie sciocchezze valessero qualcosa, già allora quando, solo fra gli Italici, osavi narrare la storia universale in tre libri colti, per Giove, e laboriosi. Per questo abbi questo libretto, qualunque cosa valga: e che esso, o vergine patrona, duri perenne, per più di una generazione. ANALISI Il primo componimento del Liber si apre con una domanda che rivela nella risposta una dedica, che fino ad allora non si era mai vista, al suo amico Cornelio Nepote (storico). L’invocazione alla musa vi è ancora attraverso una perifrasi (o patrona virgo) e infine vi è un'insolita descrizione fisica dell’opera. | toni sono leggeri e colloquiali, tuttavia il lessico è nutrito. Nei primi versi vi è dunque una dedica, nel mezzo descrive l’amico e nella conclusione invoca la musa alzando il livello. Questo componimento va analizzato su tre piani: il piano del lessico, dell’ordo verbalis e del registro. Per quanto riguarda il lessico i primi due versi descrivono il libro (lepidum, novum, expolitum, labor lime). È rara tanta enfasi sull'aspetto fisico dell’opera, infatti, in realtà Catullo con questi termini polisemici vuole alludere al contenuto dell’opera. Con “novum” intende non solo “appena prodotto” ma anche “rivoluzionario”, il che è un pregio per Catullo ma un problema per la tradizione. “Lepidum” proviene da lepos ovvero le 3 grazie o le tre cariti greche che incarnano un gusto e una bellezza fine, sottile, raffinata, delicata, diversa da quella dell’epica, quindi un nuovo ideale di bellezza adatto ad una poesia piccola e preziosa. Il lepos quindi è l'ideale poetico ellenistico e catulliano. “Expolitum” vuol dire rifinito fisicamente con la pietra pomice ma anche una poesia rifinita, curata, riletta e corretta affinché esca al meglio. “Labor lime” infine letteralmente “lavoro con la lima” indica un tipo di rifinitura particolareggiata che caratterizza la poesia di questi autori. | primi due versi, quindi, sono polisemici e metapoetici in quanto attraverso questa poesia parlano di come sarà la poesia che verrà. Sul piano dell’ordo verborum, invece, sono le figure retoriche che alterano l'ordine delle parole in quanto grazie ai casi in latino l'ordine delle parole non cambia il significato e di conseguenza si possono usare molte figure di posizione (ad es. iperbato meas...nugas). Infine, dal punto di vista del registro, alla fine del proemio abbandona i toni colloquiali e assume un tono serio che conferma la corretta analisi del testo. Questa capacità di cambiare registro ci fa capire la sua bravura e il fatto che il suo libro durerà in eterno. Il cambiamento voluto di registro è uno strumento per dare informazioni al lettore, per esempio, il registro più alto nella conclusione di questo componimento conferma l’alta considerazione che Catullo ha della sua poesia. esse aliquid= espressione colloquiale per “valere qualcosa”, è posta in un ordo verable particolare — nox e lux due parole monosillabiche che terminano con lo stesso suono, poste in posizione di rilievo ad inizio e fine verso con nox in enjambement. Tutto ciò per enfatizzarne il contrasto — laluce è brevis, infatti, anche sintatticamente viene espressa con poche parole corte a fine verso mentre alla notte perpetua è dedicato un lungo verso per descriverla — struttura a chiasmo con lo stesso suono a fine parola Il precedente letterario di questa concezione è Alceo, appartenente alla sfera eolica e alla lirica greca arcaica del VI secolo, che nel frammento 346 dice: “Beviamo: perché aspettare le lucerne della sera? È breve il giorno. (...)” (Alc. fr. 346 V.) In questo caso però Alceo sottolinea la brevità della luce non in ambito amoroso ma in ambito simposiale. Anche Asclepiade, epigrammista ellenistico greco del IV-III secolo, fa eco ad Alceo parlando con sé stesso invitandosi a bere però per amore. La caducità della vita in questo caso è quindi in relazione all'amore per cui on vale la pena soffrire vista la brevità della propria esistenza. In questi versi vi è dunque anche la concezione greca del vino come farmaco donato dagli dei per curare i mali. Da Asclepiade Catullo riprende interamente il concetto della morte come il “dormire una lunghissima notte”. VV. 7-13 mi= arcaismo per mihi per ragioni metriche basia= Catullo è il primo ad utilizzare questo termine in letteratura per indicare il bacio che prima invece era chiamato osculum. Il termine basium doveva essere diffuso nel registro colloquiale della Gallia Cisalpina da dove proveniva Catullo. centum...centum...centum= epifora, ovvero ripetizione a fine verso della stessa parola. In questo caso è usata per marcare la successione dei baci. fecerimus...conturbabimus= due verbi che si utilizzavano per parlare di conti ne sciamus= prima finale ne quis malus invidere possit= seconda finale. Fornisce due conclusioni: — una colta ripresa dalla tradizione greca per una cultura alta che interpretava il verbo invidere come l'invidia degli dei che vedendo l'umano eccedere nella felicità lo avrebbero punito — una leggera, ironica e romanizzata per una cultura bassa che interpretava il verbo invidere come la possibilità di farsi lanciare il malocchio, in questo caso dai custodi del mos, se si mostra la propria felicità CARME 109 lucundum, mea vita, mihi proponis amorem hunc nostrum inter nos perpetuumque fore. Di magni, facite ut vere promittere possit, atque id sincere dicat et ex animo, ut liceat nobis tota perducere vita aeternum hoc sanctae foedus amicitiae. Mi proponi, vita mia, un amore giocoso / e che questo nostro sentimento tra di noi sia eterno. / Dei grandi, fate che possa promettere veridicamente, / e che sinceramente dica ciò, e dall’animo, / affinché sia possibile per noi portare avanti per tutta vita / questo eterno patto di sacro affetto. ANALISI In questo frammento traspare come mentre Lesbia vuole un amore giocoso e spensierato, Catullo vuole un amore eterno e sacro basato sulla fides, uno dei valori fondamentali del mos maiorum. Lesbia e Catullo, quindi, non hanno la stessa concezione del loro amore: Catullo è innamorato di lei ma non potrà mai ottenere il riconoscimento istituzionale del loro amore che desidera. I DISTICO= si rivolge a Lesbia ed è dolce e concentrato sull'amore lucundum...amorem= termini in iperbato messi in posizione di rilievo mea vita= apostrofe a Clodia, in Catullo vi sarà sempre una dimensione dialogica anche solo con sé stesso Il DISTICO= dall'amore giocoso proposto da Lesbia si passa all’incertezza, infatti Catullo si rivolge agli dei chiedendo loro di far sì ch'egli sia sincero. Vere...sincere...ex animo= concentra l’enfasi sulla sincerità mettendola così in dubbio Ill DISTICO amicitiae= inteso in generale come un legame amoroso sanctae= rimando alla sfera sacrale foedus= patto ufficiale, istituzionale da fides (fiducia), uno dei valori fondamentali del mos maiorum aeternum= in posizione di rilievo e in contrapposizione a iucundum (giocoso) sempre posto a inizio verso. Si potrebbe pensare che anche il perpetuum di Lesbia voglia significare la stessa cosa ma è risaputo che Lesbia utilizzi delle iperboli ovvero tenda ad esagerare (come ad esempio nel carme 70). CARME 70 Nulli se dicit mulier mea nubere malle quam mihi, non si se luppiter ipse petat. Dicit: sed mulier cupido quod dicit amanti, in vento et rapida scribere oportet aqua. La mia compagna dice che non preferisce sposare nessuno al di fuori di me, neanche se Giove stesso la volesse. Dice: ma ciò che una donna dice all'amante bramoso nel vento e nell'acqua fuggente va scritto. ANALISI Catullo è consapevole che Lesbia tende ad esagerare (come visto anche nel frammento 109) facendo promesse che, come dice nel frammento, vanno scritte nell'acqua e nel vento. Dicit= parola centrale del componimento messa in rilievo anche all’inizio del Il distico luppiter= fa capire che Lesbia sta esagerando e Catullo se ne dimostra consapevole nel Il distico CARME 72 Dicebas qguondam solum te nosse Catullum, Lesbia, nec prae me velle tenere lovem. Dilexi tum te non tantum ut vulgus amicam, sed pater ut gnatos diligit et generos. Nunc te cognovi: quare etsi impensius Uror, multo mi tamen es vilior et levior. « Qui potis est ? », inguis: quod amantem iniuria talis cogit amare magis, sed bene velle minus. Dicevi un tempo che conoscevi solo Catullo, / Lesbia, e di non voler avere al posto mio Giove. / Ti amai allora non tanto come il volgo un'amante, / ma come un padre i figli ama, e i parenti. / Ora ti conosco: per cui anche se più dolorosamente brucio, / molto mi sei tuttavia più vile e inconsistente. / “Com'è possibile?”, chiedi: poiché un’ingiuria tale costringe / l’amante ad amare di più, ma a voler bene di meno. ANALISI Caratterizzato dal parallelismo formale “dicebas quondam...dilexi tum” che evidenzia un contrasto di significato. Dicebas quondam...dilexi tum= parallelismo formale che evidenzia la differenza e sottolinea il contrasto dei significati. Inoltre mostra come Catullo utilizzasse una dialettica temporale nei suoi componimenti Dicebas quondam= ci colloca nel passato e sottolinea che la dimensione propria di Lesbia è quella del parlare Catullum...Lesbia= posti in due posizioni di rilievo opposte, sono vicini ma separati, inoltre rispetto ai carmen precedenti Catullo si riferisce a Lesbia senza alcun appellativo affettuoso (es. mea, mea vita) quod vides perisse perditum ducas= il linguaggio è colloquiale e tipico della commedia ma Catullo lo impreziosisce utilizzando le figure retoriche; infatti, vi è l’allitterazione della p e della d, facendoci così capire che la sua colloquialità è una scelta voluta quondam...tum...nunc= come spesso abbiamo visto in Catullo vi è una sequenza temporale, in questo caso identica a quella del Carme 72. | versi 3-8 saranno collocati nel passato mentre i versi 9-11 nel presente. Fulsere quondam candidi tibi soles... Fulsere vere candidi tibi soles= i versi 3 e 8 sono quasi identici il che fa sembrare il componimento un vero e proprio flusso di pensieri di qualcuno che parla con sé stesso. La corrispondenza tra i versi dimostra anche la reciprocità tra i due. quondam= ci colloca nel passato candidi soles= intende giorni, non soli, rievocando l’immagine del Carme 5, Catullo per rievocare giorni felici (candidi) utilizza un'espressione utilizzata in una poesia in cui era felice il che dimostra come avesse ben presente lo schema interno delle sue opere e ci riporta al passato non solo dal punto di vista contenutistico ma anche letterario. ventitabas= intensivo di venio nobis...amabitur= plurale maiestatis, frequente in poesia iocosa= rimanda ai loro momenti di intimità spensierata tu volebas nec puella nolebat= variatio linguistica che vuole trasmettere una perfetta corrispondenza con ventitabas...ducebat e che voleva significare che nel passato agivano uno in risposta dell'altro Fulsere vere candidi tibi soles= verso identico al terzo con la variatio di vere e quondam che dà l’idea di un percorso psicologico: Catullo sembra sopraffatto dal revocare i ricordi felici ma poi si ricompone ricordandosi che non era veramente felice. Catullo chiude così elegantemente il ricordo trasmettendo con la variatio anche una verità emotiva ovvero che non era più felice Nunc iam illa non volt= con nunc in forte rilievo, la rottura del ricordo è fatta con una frase asciutta, fattiva e diretta come il “nunc te cognovi” del carme 72. (Ricordiamo inoltre che nunc era usato spesso da Catullo come in generale la sequenza temporale). Da questa affermazione all'indicativo scaturiscono numerose esortazioni, una tesa a rafforzare l’altra, di cui Catullo ha bisogno per reagire a questo fatto. Ciò dimostra la facilità di azione di Lesbia e la difficoltà di azione di Catullo. CARME 8 PT. 2 (coliambi) Vale, puella. lam Catullus obdurat, nec te requiret nec rogabit invitam. At tu dolebis, cum rogaberis nulla. Scelesta, vae te! Quae tibi manet vita? Quis nunc te adibit? Cui videberis bella? Quem nunc amabis? Cuius esse diceris? Quem basiabis? Cui labella mordebis? At tu, Catulle, destinatus obdura. Addio, fanciulla. Ormai Catullo resiste, / né cercherà né vorrà te che non vuoi. / Ma tu soffrirai, quando non verrai cercata. / Disgraziata, guai a te! Che vita ti rimarrà? Chi adesso verrà da te? A chi sembrerai bella? Chi adesso amerai? Di chi dirai di essere? Chi bacerai? A chi morderai le labbra? Ma tu, Catullo, ostinato, resisti. ANALISI Catullo passa dal dolore alla fermezza, durezza e aggressività. Questo monologo interiore di Catullo ci permette di sentire ciò che prova attraverso un flusso di coscienza con cui esprime ciò che sente in maniera paratattica, come nel carme 85 non analizza i suoi sentimenti. In questo suo flusso di pensieri si passa dall’apostrofe colloquiale a Lesbia, alla determinazione (lam Catullus obdurat) che diventa irato desiderio di punire (Scelesta, vae te! Quae tibi manet vita? Quis nunc te adibit? Cui videberis bella? = Disgraziata, guai a te! Che vita ti rimarrà? Chi adesso verrà da te? A chi sembrerai bella?) ma che poi si trasforma in tormento inflitto a sé stesso (Quem nunc amabis? Cuius esse diceris? Quem basiabis? Cui labella mordebis?) per infine chiudersi, secondo uno schema ad anello con un richiamo al suo resistere ostinatamente. Il componimento è in coliambi il cui scopo era deridere qualcuno, in questo caso, si capisce già dall’apostrofe, Catullo sta deridendo sé stesso, esprime il suo dolore deridendosi. Vi è perciò uno scarto tra contenuto e ritmo. Vale, puella= si rivolge a Lesbia con un’apostrofe colloquiale obdurat= riprende il verso precedente scelesta= etimologicamente è un termine alto in quanto legato alla sfera sacrale me in realtà è utilizzato nelle commedie ed è quindi colloquiale vae te= un'altra espressione colloquiale Quae tibi manet vita?...Cui labella mordebis?= le domande incalzanti mostrano la disposizione ora irata di Catullo. obdura= le domande si rivelano diventare sempre più un tormento inflitto a sé stesso perciò Catullo torna in sé e si ricorda di sopportare. bella= termine probabilmente celtico CARME 11 (uno dei due componimenti scritti in strofa saffica da Catullo) Furi et Aureli comites Catulli, sive in extremos penetrabit Indos, litus ut longe resonante Eoa tunditur unda, sive in Hyrcanos Arabesve molles, seu Sagas sagittiferosve Parthos, sive quae septemgeminus colorat aequora Nilus, sive trans altas gradietur Alpes, Caesaris visens monimenta magni, Gallicum Rhenum horribile aequor ulti mosque Britannos, omnia haec, quaecumque feret voluntas caelitum, temptare simul parati, pauca nuntiate meae puellae non bona dicta: cum suis vivat valeatque moechis, quos simul complexa tenet trecentos, nullum amans vere, sed identidem omnium ilia rumpens nec meum respectet, ut ante, amorem, qui illius culpa cecidit velut prati Ultimi flos, praetereunte postquam tactus aratro est. Furio e Aurelio, fedeli compagni di viaggio di Catullo, sia che egli penetri un giorno nell’India remota dove il lido è percosso dall’onda dell'est che risuona di un’eco lontana oppure fra le genti d’Ircania o fra i popoli molli d’Arabia, o fra i Sagio fra i Parti che recano frecce, oppure nelle acque che il delta del Nilo colora con le sette sue foci, o valichi le alte montagne delle Alpi, seguendo le memori tracce del grande Cesare, e il Reno di Gallia, e al limite estremo del mondo i feroci Britanni; voi che siete disposti a provare con me tutto questo, e ogni altra ventura ci imponga la volontà dei Celesti, alla donna che amo riferite per me queste poche CATULLO SENZA LESBIA CARME 50 PT. 1 (endecasillabi faleci) Hesterno, Licini, die otiosi multum lusimus in meis tabellis, ut convenerat esse delicatos: scribens versiculos uterque nostrum ludebat numero modo hoc modo illoc, reddens mutua per iocum atque vinum. Atque illinc abii tuo lepore incensUs, Licini, facetiisque, ut nec me miserum cibus iuvaret nec somnus tegeret quiete ocellos, sed toto indomitus furore lecto versarer, cupiens videre lucem, ut tecum loquerer, simulque ut essem. Nella giornata di ieri, o Licinio, spensierati a lungo abbiamo giocato sulle mie tavolette, dopo aver convenuto di trattare argomenti d'amore: scrivendo versi ciascuno di noi si divertiva ora in questo metro ora in quello, a botta e risposta, tra scherzi e vino. E da lì sono andato via rapito dalla tua finezza e dalle tue facezie, Licinio, tanto che - povero me - né il cibo mi giovava né il sonno mi copriva con la quiete gli occhietti, ma inquieto per l’onnipresente passione mi rigiravo nel letto, bramando di vedere la luce, per parlare con te, e per stare insieme. ANALISI Lici= apostrofe a Gaio Licinio Calvo, poeta contemporaneo di Catullo e appartenente ai poeti novi della Gallia Cisalpina, di cui ci è rimasto un solo frammento. otiosi= da otium, a Roma l’otium era in generale il tempo non dedicato alla vita pubblica. Cicerone conia un'espressione importante, ovvero, “otium cum dignitate” cioè avere tranquillità che non sia però privata dalla possibilità di avere un ruolo pubblico. Per Catullo era tempo spensierato che occupava degnamente in maniera privata lusimus= assume significato traslato di scrivere per gioco, con leggerezza, Catullo utilizza un lessico leggero tipicamente catulliano e come nel proemio del liber, è raffinato e finge di dare poca importanza a ciò che fa ut convenerat esse delicatos= proposizione temporale che costituisce un modo noto per dire di fare poesia d'amore versiculos= diminutivo che richiama alla raffinatezza di prima me miserum= vi è un cambio di tono da allegro a cupo, non sopportava di essersi separato dal suo amico tant'è che né il sonno né il cibo lo acquietavano CARME 50 PT. 2 At defessa labore membra postquam semimortua lectulo iacebant, hoc, iucunde, tibi poema feci, ex quo perspiceres meum dolorem. Nunc audax cave sis, precesque nostras, oramus, cave despuas, ocelle, ne poenas \\emesis reposcat a te. Est vehemens dea: laedere hanc caveto. Ma, dopo che le membra prostrate dalla fatica rimanevano inanimi sul lettuccio, per te, delizioso, ho scritto questa poesia dalla quale comprendessi il mio dolore. Ora non fare il superbo e non disprezzare, ti prego, le mie preghiere, tesoro, perché Nemesi non te ne chieda conto. È una dea permalosa; bada a non provocarla. ANALISI iucunde= accezione positiva utilizzata anche nel carme 109 per Lesbia tibi poema feci= per alleviare il suo tormento gli scrive una poesia ocelle= diminutivo di oculus, letteralmente occhietti ma tradotto come tesoro Nemesis= dea della vendetta che punisce i torti di superbia come ad esempio gli amanti insensibili L’interpretazione di questo componimento è aperta. Stupiscono i cambiamenti repentini di tono come i sentimenti di Catullo. Per descrivere la nottata infatti utilizza un lessico che sembra rimandare alla sfera passionale (incensus e il vocativo Lici). Tuttavia, lo scegliere di scrivere insieme poemi d'amore, l'appello a Nemesi senza però pregarla veramente, il tono alto abbassato dai diminutivi potrebbero indicare la scherzosità del contenuto del componimento. Tuttavia, anche se scherzasse Catullo dimostra di non vergognarsi ad utilizzare questi toni il che ci suggerisce che lui e Licinio fossero a loro agio ad utilizzare questo lessico nella loro amicizia. In conclusione: la sezione centrale utilizza un lessico amoroso (incensus, furor) che può essere interpretato come un esempio di quelle poesie d'amore scritte per gioco quella sera con Licinio, interpretazione suggeritaci dalla sfera semantica dello scherzo utilizzata nella prima parte del poema e la conclusione troppo altisonante per essere vera con l'appello a Nemesi. Questo componimento fornisce anche un'immagine pubblica di quello che erano i poeti novi, ovvero poeti uniti da una sintonia e un'intesa intellettuale. Vediamo perciò come si svolgeva una serata tra poeti novi e il processo d’ispirazione di Catullo che dopo una serata passata a scherzare al risveglio fa culminare le sue emozioni nel componimento di una poesia. CARME 36 Annales Volusi, cacata charta, votum solvite pro mea puella: nam sanctae Veneri Cupidinique vovit, si sibi restitutus essem desissemque truces vibrare iambos, electissima pessimi poetae scripta tardipedi deo daturam infelicibus ustilanda lignis. et hoc pessima se puella vidit iocose lepide vovere divis. Nunc, o caeruleo creata ponto, quae sanctum Idalium Uriosque apertos, quaeque Ancona Cnidumque harundinosam colis, quaeque Amathunta, quaeque Golgos, quaeque Durrachium Hadriae tabernam, acceptum face redditumque votum, si non inlepidum neque invenustum est. at vos interea venite in ignem, pleni ruris et inficetiarum Annales Volusi, cacata charta. Annali di Volusio, carta piena di merda, sciogliete il voto per la donna mia: all’inviolabile Venere e a Cupido aveva fatto voto, se le fossi stato restituito e avessi smesso di saettare violenti giambi, d’offrire il fiore degli scritti d’un poeta molto cattivo al dio dal tardo piede, che li bruciacchiasse su legni d’alberi sterili. E la mia ragazza molto cattiva pensò ben di offrire in voto proprio ciò, in modo giocoso e divertente. Ora, o nata dal mar turchino, tu che il santo Idalio e la baia d'Urii e Ancona e i canneti di Cnido abiti e Amatunte e Golgi e Durazzo bettola dell’Adriatico: segna a mio credito il saldo del voto, se non è del tutto privo di grazia e delicatezza. E intanto, ehi, voi!, qua sul fuoco, pieni di rustichezza e grossolanità, annali di Volusio, carta piena di merda. ANALISI Lesbia aveva fatto voto a Venere e Cupido di bruciare i migliori componimenti di “un poeta molto cattivo”, sottintendendo Catullo, scritti per lei se loro avessero fatto in modo che lui smettesse di scrivere male sul suo conto e fosse tornato da lei. Un'immagine su cui si sofferma il componimento sono le Nereidi che stupite dall’incredibile invenzione vengono a galla. Peleo, uno degli argonauti, vede la nereide Teti, i due si innamorano e il loro matrimonio viene approvato da Zeus. L'argomento principale del poema sono dunque le nozze tra Peleo e Teti. L’epilio si trasforma così in un epitalamio ovvero un canto in onore di un matrimonio solitamente recitato davanti al letto nuziale. L’epilio nascendo in epoca ellenistica perde la sua tradizione orale e le sue formule come il proemio, l’invocazione alla musa e il “canterò”. Il poeta infatti era ormai consapevole che l'ispirazione non gli arrivava dalla musa, perciò, elimina il proemio con l’invocazione. L'epitalamio comincia con la descrizione di uno dei doni nuziali: una coperta porpora con raffigurati degli eroi per coprire il talamo. Proprio da questa incomincia l’ekfrasis ovvero una digressione che parte dalla descrizione di una rappresentazione o di un oggetto. Catullo, infatti, comincia a narrare i miti degli eroi raffigurati dalla coperta partendo da quello di Arianna e Teseo. Si passa così dal mito degli Argonauti contenente il mito di Peleo e Teti, contenente a sua volta il mito di Arianna e Teseo. Inoltre, il mito di Arianna e Teseo è analogo al mito di Medea e Giasone che i lettori avevano già sullo sfondo pensando al mito degli argonauti; entrambi i miti, infatti, hanno gli stessi meccanismi e tipologie folkrostiche per cui il protagonista maschile è aiutato per amore dalla protagonista femminile che poi verrà tradita. Il mito di Arianna costituisce un epilio dentro l’epilio in quanto Catullo non parte a raccontarlo in ordine cronologico ma da quando Arianna viene abbandonata da Teseo sull’isola di Nasso. Catullo si concentra soprattutto sull'aspetto descrittivo piuttosto che sulla narrazione, legittimo in quanto il racconto parte da una descrizione (della coperta). Catullo, in seguito, inserisce un'analessi in cui racconta l’innamoramento di Teseo e Arianna dal punto di vista della ragazza empatizzando quindi con lei e ponendo enfasi sull’insorgere della passione in un'Arianna indifesa. Catullo si riconosce in Arianna perché anche lui era in un certo senso indifeso e succube dei suoi sentimenti. Abbandonata l’analessi torna a Nasso dove fa pronunciare ad Arianna un monologo. Questo monologo, collocato fuori dal mito, è un monologo di Catullo nei confronti di Lesbia. Ciò lo deduciamo dal fatto che Catullo faccia parlare Arianna con il suo lessico utilizzando per esempio il suo tipico “nunc” o “perfidus” per indicare qualcuno che non rispetta i patti. Ciò dimostrava l’attenzione da parte di Catullo alla psicologia tipica della letteratura ellenistica ma con un'intensità rara. Catullo dà quindi ad Arianna i suoi sentimenti e il lessico del suo amore per Lesbia. Il mito si conclude con la punizione di Teseo (Lesbia per Catullo) e il lieto fine per Arianna che sposa Dioniso, rappresentato anche sulla coperta. In seguito, la narrazione torna alla reggia dove Catullo dà la parola alle Parche che profetizzano l’arrivo di Achille e la felicità della coppia il tutto seguito da un misterioso commento di Catullo prima della conclusione del poema. Il carme è molto complesso in quanto: ricco di riferimenti alla produzione letteraria precedente; presenta una struttura che combina ad incastro numerosi piani narrativi diversi; comprende una grandissima profondità emotiva che torna poi al distacco e che quindi determina una mescolanza di registri perfettamente dominati, dal raffinato distacco della narrazione al coinvolgimento emotivo centrale. ADDIO A CATULLO Multas per gentes et multa per aequora vectus advenio has miseras, frater, ad inferias, ut te postremo donarem munere mortis et mutam nequiquam alloquerer cinerem, quandoquidem fortuna mihi tete abstulit ipsum. Heu miser indigne frater adempte mihi! Nunc tamen interea haec, prisco quae more parentum tradita sunt tristi munere ad inferias, accipe fraterno multum manantia fletu, atque in perpetuum, frater, ave atque vale. Per molte genti e molti mari trascinato giungo (per darti) queste misere offerte, fratello, per farti dono dell'estremo omaggio funebre e apostrofare vanamente la cenere muta, poiché la fortuna mi ha sottratto te in persona. Ahimé, povero fratello indegnamente strappato a me! Ora comunque intanto queste cose, che secondo l'antico costume dei padri sono state portate come triste dono alle esequie, accoglile, grondanti a lungo del pianto fraterno, e per sempre, fratello, addio. ANALISI In questo componimento Catullo si rivolge al fratello morto in terra straniera e quindi sepolto senza familiari e senza un adeguato rito funebre così quando Catullo viene mandato in spedizione diplomatica in Bitinia ha l'occasione di andare sulla tomba del fratello dove scrive questo componimento. La forma fino a quandoquidem rimane sorvegliata e ricca di figure retoriche, con quandoquidem avviene una transizione logica colloquiale e la forma cambia. Le congiunzioni temporali + l’intensivo + l’'esclamazione abbassano il livello mostrando come Catullo si faccia prendere dall'emozione tanto da perdere il controllo della forma. Nei primi due distici quindi la forma è molto controllata (iperbati e anastrofi); nel terzo distico vi è una perdita di controllo di fronte a emozioni travolgenti. Nell’incipit, dunque, si paragona ad Odisseo ma nello svolgimento sminuisce sé stesso non per far ridere come nei carmina 8 e 11 ma per sottolineare il dolore. Il contrasto tra l’incipit odissiaco e la vanità delle piccole azioni compite sottolinea l'amarezza della coscienza della loro vanità. Catullo ha fatto questo grande viaggio ma ha comunque fallito a onorare qualcuno che amava in quanto non vi era nel momento in cui era necessario vi fosse. “Nunc”, frequente in Catullo, indica un'inversione di marcia, una frattura con la direzione finora assunta, Catullo riassume il controllo dell'emotività che lo ha sopraffatto. Il “nunc” seguito da altri connettivi serve a Catullo per prendere tempo dimostrando che in questa situazione nunc non è sufficiente e con registro colloquiale aggiunge altri elementi di transizione. Dopo questa ripresa colloquiale Catullo torna ad una forma solenne con una sintassi complicata e un pentametro conclusivo essenziale ed equilibrato culminante nell'ultimo commiato ordinato. Questo carme è l’ultimo dono di Catullo per il fratello, nonostante sappia che ormai sia tutto inutile sente di doverlo fare per assolversi dai suoi doveri di parente in lutto. Multas per gentes...multas per aequora= anastrofi Multas per gentes et multa per aequora vectus= è un incipit eroico soprattutto con il passivo vectus che sembra in tutto e per tutto voler richiamare l'Odissea e quindi paragonare Catullo ad Odisseo has miseras... inferias= iperbato + anastrofe inferias= offerte al defunto nell’ambito del rito funebre postremo= può voler dire sia ultimo che tardivo mutam... alloquerer...cinerem= figura retorica quandoquidem= transizione logica arcaica colloquiale: la forma cambia tete...ipsum= intensivo heu= esclamazione colloquiale frater= un passaggio fondamentale del rito funebre era salutare tre volte il defunto. Catullo in questo componimento nomina il fratello tre volte nella stessa posizione metrica come a scandire il ritmo rituale. Facendo ciò rende eterno nella poesia il rito che lui non ha potuto fare a tempo debito ma anche l’immagine di sé stesso che saluta.
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