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cellula vegetale, tessuti primari e secondari, organi vegetali, Sbobinature di Botanica Generale

organizzazione della cellula: parete, vacuolo, plastidi tessuti primari e secondari organi (radice, fusto, foglia, fiore) seme e riproduzione

Tipologia: Sbobinature

2021/2022

In vendita dal 20/05/2023

giulia-de-luca-37
giulia-de-luca-37 🇮🇹

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Scarica cellula vegetale, tessuti primari e secondari, organi vegetali e più Sbobinature in PDF di Botanica Generale solo su Docsity! BOTANICA Le piante vengono studiate dalla botanica, una branca della biologia vegetale (comprende anche la fisiologia vegetale, ecologia vegetale, genetica agraria) che ne studia forma e struttura. Sono molto diverse tra di loro e la diversità deriva dal fatto che l’ambiente esterno ha esercitato una pressione selettiva. Per scoprire quando si sono evoluti i primi organismi vegetali occorre risalire all’origine dell’universo circa 13 miliardi di anni fa a causa del Big Bang. All’inizio era un insieme di polvere e gas che subivano la pressione del Sole, in queste condizioni affinché si creassero i pianeti bisogna risalire a 4,6 miliardi di anni fa. Secondo la teoria di Oparin (1922) il substrato dove i primi organismi si sono evoluti era un ambiente acquatico che possedeva proprietà fondamentali: mancanza di ossigeno libero, abbondanza di idrogeno, percentuali di azoto e carbonio. Per effetto delle radiazioni solari da cui provenivano scariche elettriche e onde radioattive, si sarebbero venute a formare le prime molecole organiche (coacervati) che hanno rappresentato il brodo primordiale; successivamente si è passato a degli aggregati più complessi che hanno portato alla formazione delle prime cellule. Di conseguenza l’evoluzione della vita sul nostro pianeta è il risultato dell’evoluzione chimica. La teoria di Oparin è stata dimostrata dall’esperimento di Miller e Urey negli anni 50, i quali crearono un dispositivo in cui riuscì a ricostituire le condizioni del brodo primordiale, sottoposto a riscaldamento e scariche elettriche e facendo condensare i vapori prodotti ha dimostrato che si venivano a creare molecole organiche semplici tra cui amminoacidi. Le prime testimonianze di organismi risalgono a 3,9 miliardi di anni fa quando sono stati ritrovati dei fossili di procarioti (organismi molto semplici eterotrofi). Successivamente 2,6 mld di anni fa comparvero batteri procarioti ma autotrofi in grado di avviare il processo fotosintetico in particolare erano cianobatteri, che hanno sedimentato in rocce fossili chiamate stromatoliti. Il processo fotosintetico ha portato alla produzione di sostanza organica e all’accumulo di ossigeno libero nell’aria come prodotto di scarto, che ha permesso la formazione della ozonosfera - evento importante perché gli organismi si spostano dall’acqua alla terra ferma. Le cellule si modificano e si passa da semplice procariota ad eucariota, sono comparse per prime le alghe brune, poi rosse e verdi formate da singole cellule. Prima degli organismi pluricellulari sono comparse le forme coloniali, la differenza tra una colonia e un organismo pluricellulare è che nell’organismo pluricellulare le singole cellule quando si dividono restano unite. 600 milioni di anni fa sono comparsi gli organismi pluricellulari nel cambriano e 400 milioni di anni fa iniziarono a colonizzare le terre. Le angiosperme comparvero nel Giurassico circa 140-200 milioni di anni fa. Tutti gli organismi sono formati da una o più cellule simili, specializzate nello svolgimento di diverse funzioni vitali questo ha portato all’enunciazione della teoria cellulare proposta da Schleiden e Schwann: la cellula è l’unità base di tutti gli esseri viventi. (1838-39) Nel 1665 Hooke con uno dei primi microscopi osservò un pezzetto di sughero (tessuto morto) notando che era costituito da piccole cellette che chiamò cellule. Nel 1859 Virchow affermò con un aforisma “omnia cellula e cellula” cioè ogni cellula si origina da una cellula grazie alla divisione cellulare in particolare la mitosi che in un individuo produce le cellule somatiche. Ogni cellula deve possedere una membrana che la separa dall’ambiente, deve poter svolgere attività metaboliche, delle reazioni chimiche che vengono favorite dagli enzimi, deve avere la capacità di poter duplicarsi e trasmettere l’informazione genetica e deve avere la possibilità di evolversi altrimenti sarebbero destinate ad estinguersi. Inizialmente i viventi erano dei procarioti, la cellula procariotica è molto semplice, nella definizione più ampia si definisce una cellula senza nucleo, in realtà essa possiede il materiale genetico avvolto nel nucleoide. Possiede una membrana plasmatica formata da fosfolipidi, esternamente hanno una parete cellulare con una composizione chimica diversa dalla parete della cellula vegetale perché sono presenti dei peptidoglicani e non cellulosa, si può trovare anche un altro involucro che costituisce la capsula. All’interno del citoplasma sono presenti tantissimi ribosomi necessari per sintetizzare proteine, la molecola di DNA nudo, non cromatina in quanto non si trovano istoni. È in grado di produrre energia senza i mitocondri, infatti la sintesi di ATP avviene grazie agli enzimi della catena respiratoria associati a delle estroflessioni della membrana plasmatica che si chiamano mesosomi, in modo da rendere la cellula autonoma. I batteri sono organismi unicellulari e possono formare colonie, la riproduzione è molto semplice e avviene per scissione binaria. I cianobatteri furono i primi organismi autotrofi organizzati a formare colonie filamentose, sono presenti strutture membranose che si trovano all’interno di tutto il citoplasma e si chiamano tilacoidi, sono sempre associati con pigmenti come clorofilla a, ficobiline (arancio-rosso) e ficocianine (azzurro) fondamentali per far avvenire il processo fotosintetico. L’evoluzione degli organismi eucariotici ha avuto origine quando una cellula procariotica ha fagocitato un procariote più piccolo ma non l’ha digerito, in un primo processo ha inglobato un batterio che si è evoluto verso i mitocondri e poi un cianobatterio in grado di fare la fotosintesi che ha dato origine ai cloroplasti. Il citoscheletro determina fisicamente la posizione funzionale dei vari organuli all’interno della cellula ed è la stessa sia nella cellula animale che in quella vegetale anche se hanno una morfologia diversa. Hanno entrambe un nucleo differenziato che contiene il DNA racchiuso da due membrane, un citoplasma compartimentalizzato e a differenza delle cellule procariote da queste si sono evoluti gli organismi pluricellulari in cui si stabiliscono connessioni citoplasmatiche tramite le cellule in modo da poter scambiarsi segnali che dettano la specializzazione grazie agli ormoni. Se prendiamo in considerazione le modalità con cui gli esseri viventi recuperano l’energia necessaria, possiamo suddividerli in: -autotrofi capaci di organicare il carbonio sfruttando una fonte di energia esterna tramite la fotosintesi utilizzando l’energia luminosa, l’anidride carbonica reagisce con molecole in grado di donare elettroni e protoni come l’acqua oppure ad esempio l’acido solfidrico e a seconda della molecola viene detta ossigenica se rilascia ossigeno o anossigenica. Oppure tramite chemiosintesi utilizzando l’energia derivante dall’ossidazione di sostanze inorganiche, ad esempio dall’ammoniaca in nitriti e altri batteri in grado di trasformarli in nitrati utilizzati dalle piante perché la molecola di azoto è fondamentale per la sintesi delle proteine; -eterotrofi al contrario non sono in grado di organicare il carbonio e devono nutrirsi di sostanze organiche, per questo le piante sono produttori e gli animali consumatori. In base al tipo di cellula, gli organismi viventi vengono divisi in Procarioti che comprendono gli Archea e i Batteri e in Eucarioti che comprendono i Protisti, Piante, Animali e Funghi. Possono verificarsi dei casi in cui la normale progressione del ciclo cellulare viene alterata, come nei cicli di endoreduplicazione del DNA: la presenza di elevate quantità di materiale genetico è un vantaggio nelle cellule vegetali. Salta la fase G2 e ritorna nella fase G1, subisce un corso alternativo di sviluppo costituito da cicli ripetuti di replicazione del DNA senza divisione cellulare. La cellula risultante avrà un maggiore contenuto di DNA e dimensioni nucleari. Nelle piante è presente una condizione di poliploidia ovvero possiedono un numero di cromosomi superiore al corredo diploide (due cromosomi uno paterno e uno materno) in base a quante volte sono stati ripetuti i cicli di endoreduplicazione. Possono esserci cellule in condizione anche diploide. La condizione poliploide si può originare da errori della mitosi/meiosi oppure da gameti che possiedono più di un assetto cromosomico, se si fondono gameti della stessa specie gli individui vengono detti autopoliploidi, se si fondono gameti di specie diverse gli individui vengono detti allopoliploidi e la loro variabilità genetica aumenta. Oltre alla poliploidia un altro evento che interessa un aumento del materiale genetico è la politenia: singoli cromosomi si riproducono molte volte senza divisioni citoplasmatiche e si formano cromosomi giganti. L’amplificazione genica riguarda la duplicazione di specifiche sequenze genetiche pertanto alla fine si ha del materiale genetico in più ma è gene specifico, è il risultato di un processo di specializzazione, ad esempio, se una cellula muscolare ha bisogno di una determinata proteina il gene viene amplificato più volte in modo da produrre più proteina. La transizione attraverso i punti di controllo è regolata da due classi di proteine: cicline e chinasi- ciclina dipendente. Sono posizionate in punti diversi per regolare i vari GAP. Le chinasi sono delle proteine che devono interagire sempre con le cicline e con un substrato che le porta all’attivazione, ne sono state identificate 9 che regolano l’interfase e una nel corso della mitosi, presentano un dominio catalitico e un dominio ATP di legame infatti il loro ruolo è quello di catalizzare il trasferimento di un gruppo fosfato dall’ATP a residui di serina e/o treonina presenti su proteine che svolgono la funzione di substrato (proteine strutturali o fattori di trascrizione). Le cicline sono proteine regolatrici transienti, formano un complesso con le CDK, la formazione di questo avvia l'attivazione delle CDK che viene completata dalla successiva fosforilazione. Le cicline sono così chiamate in quanto la loro concentrazione varia ciclicamente. Per attivare o disattivare le proteine di controllo vengono utilizzati come strumenti: • Fosforilazione ad opera di protein-chinasi; • De-fosforilazione ad opera di proteine fosfatasi. Che cosa induce questi due meccanismi? Devono esserci delle molecole segnali chiamate mitogeni (ormoni vegetali) e nel caso delle piante sono rappresentate dalle auxine, citochinine e dal saccarosio. Lo zucchero per la cellula vegetale funziona come un ormone, nel periodo in cui le piante producono tanti zuccheri esse crescono di più poiché riescono a mandare più cellule in mitosi. Nel momento in cui tutti questi fattori sono presenti, le cellule meristematiche sono in grado di dividersi, passando attraverso le fasi del ciclo cellulare; se questi fattori non sono presenti le cellule vanno in quiescenza oppure in fasi di specializzazione uscendo dal ciclo cellulare. PARETE CELLULARE La parete è un organulo esterno alla membrana plasmatica presente nelle cellule vegetali, alcune cellule sono in grado di digerire la parete assumendo una forma tondeggiante simile alla cellula animale, questa si indica con il nome di protoplasto (generalmente non esistono in natura ma sono molto utili negli approcci biotecnologici). È una struttura già presente al momento della divisione cellulare, possiede rigidità per sostenere la cellula ma è anche sufficientemente plastica da consentirne la crescita. È costituita da polisaccaridi, proteine e fenilpropani (rendono la parete impermeabile e rigida). La parete svolge varie funzioni, come il riconoscimento self e non-self, da forma alla cellula, fornisce protezione, è responsabile del bilancio della pressione osmotica o pressione di turgore. Generalmente è costituita da più strati: 1. Lamella mediana 2. Parete primaria 3. Parete secondaria In alcuni casi la parete cellulare può avere un ulteriore componente, la parete terziaria, che non è una vera e propria parete e non la posseggono tutte le cellule, ma ce l’hanno solo quelle cellule che a maturità si presentano come cellule morte. Per capire come si origina questa parete bisogna risalire alla formazione della cellula, in particolare alle diverse fasi della divisione cellulare . Alla fine della telofase una volta che si è verificata la divisione dei cromosomi, nelle cellule vegetali il fuso mitotico non scompare ma inizia a complessarsi di microtubuli aggiuntivi più corti diventando più tozzo, questa struttura prende il nome di corpo a botte. Da questo momento in poi inizia la formazione della lamella mediana, una intensa attività metabolica si ha grazie all’apparato del Golgi in particolare le vescicole iniziano a produrre sostanze, si staccano dalla faccia trans del Golgi e vengono direzionate nella porzione mediana della cellula fondendosi e posizionandosi dal centro alla periferia fino a formare uno strato continuo; il contenuto rilasciato dalle vescicole viene intrappolato in questo strato che prende il nome di piastra cellulare. Quando avviene la citodieresi, le due cellule figlie si sono costituite e ciascuna delle due possiede lo strato delle vescicole (natura membranosa) che vanno a formare la membrana plasmatica e il loro contenuto rilasciato al centro della cellula, questa struttura prenderà il nome di lamella mediana o primo setto di separazione. Nella formazione della lamella contribuiscono diversi elementi, primo fra tutti il fragmoplasto che è una struttura citoscheletrica specializzata, costituito da microtubuli, associati tra loro e disposti perpendicolarmente al setto di separazione, che svolgono l’importante ruolo di orientare la fusione delle vescicole provenienti dall’apparato del Golgi che in questo momento prende il nome di dittiosoma (sistema lamellare contiene proteine e polisaccaridi non cellulosici che vengono inviati al setto di separazione). Le tipologie di zuccheri della parete e come si organizzano fanno sì che essi non siano idrolizzabili e che non siano digeribili, per questo prendono il nome di zuccheri strutturali, in particolare sono polimeri del galattosio che interviene nella formazione della lamella mediana sotto forma di acido galatturonico, i polimeri dell’acido galatturonico costituiscono l’acido pectico; quando questo si complessa con un gruppo metilico diventa pectina, in alcuni casi i residui carbossilici si complessano con gli ioni calcio formando il pectato di calcio. La lamella mediana è costituita essenzialmente da pectina, acido pectico e pectato di calcio. Generalmente predomina la pectina, ma quando si combina con il calcio diventa più resistente , ha una funzione gelificante e appiccicosa perché la lamella deve “incollare” le cellule al momento della divisione cellulare, è anche il motivo per cui la funzione che una cellula vegetale svolgerà dipende dalla posizione in cui si trova nel momento della mitosi. All’interno della lamella si trovano proteine strutturali ed enzimatiche, ma è assente la cellulosa. A questo stadio abbiamo la membrana plasmatica e la lamella mediana, tra le due componenti inizierà subito la formazione della parete primaria che completa la sua architettura in un secondo momento. Essa ha uno spessore compreso tra 0.1-1𝜇𝑚, è costituita da una matrice e da materiale fibrillare. La matrice o sostanza fondamentale contiene acqua (60%), emicellulose (21%), pectine e proteine strutturali, mentre la componente fibrillare è costituita dalla cellulosa. Le emicellulose sono degli zuccheri a 5 o 6 atomi di carbonio, per essere non idrolizzabili si organizzano a formare dei polimeri lineari o ramificati. Quelle più abbondanti sono: xilani (Xil -Ara -G -Gal); glucomannani (G -Man); β-glucani (G-β1,3 e G-β1,4); arabinani e galattani; xiloglucani (Xil -G). (g sta per glucosio). Si trovano anche nella parete primaria le pectine e le proteine strutturali; queste servono per il funzionamento della parete cellulare, se non ci fossero non ci sarebbe alcuna parete. Sono delle proteine ricche in prolina e idrossi-prolina, alcune sono complessate con zuccheri e si parla quindi di glicoproteine ricche in idrossi-prolina e proteine ricche in glicina. La presenza di queste proteine è variabile e dipende dal tipo di tessuto al quale appartengono le cellule , ad esempio una molto importante ricca in idrossi-prolina è l’estensina (favoriscono la crescita per distensione della parete) Le tre tipologie di proteine non si trovano in tutti i tessuti, quelle di idrossi-prolina si trovano nelle sclereidi, floema e cellule del cambio, quelle di prolina si trovano nelle cellule dello xilema, delle fibre che a maturità sono morte ma hanno una parete consistente che aiuta a sostenere la pianta, e infine le proteine in glicina si trovano nei tessuti dello xilema. Tra le altre proteine troviamo le arabinogalattoproteine (AGP), con funzione di chaperoni molecolari, e proteine enzimatiche come ATPasi, proteasi, perossidasi, cellulasi, pectinasi, glucanasi, fosfatati acida e ascorbato ossidasi. La componente fibrillare è rappresentata dalla cellulosa, uno zucchero strutturale formato da unità di glucosio ripetute a formare un polisaccaride, normalmente questo si presenta sotto forma α e β la differenza dipende dalla posizione che occupa il gruppo ossidrile legato al carbonio 1, nel caso della cellulosa sono utilizzate molecole di β-glucosio che si uniscono tra di loro in una reazione di condensazione (eliminazione di una molecola di acqua) portando alla formazione di un legame β-1,4 che si stabilisce tra il gruppo ossidrile presente in posizione 1 e il gruppo ossidrile presente in posizione 4. Si arriva alla formazione di un dimero che prende il nome di cellobioso (più unità formano la cellulosa). La membrana plasmatica è responsabile dell’assemblamento della cellulosa e in particolare a livello della membrana è presente un complesso proteico chiamato cellulosa-sintasi (CESA) in grado di aggiungere unità di glucosio alla molecola nascente di cellulosa, circa 2-6000 unità per la parete primaria. Questo complesso viene anche chiamato “a rosetta” perché le 6 subunità di cellulosa- sintasi si uniscono a formare una rosetta, da ogni CESA viene sintetizzato un poliglucano che si associa agli altri a formare una microfibrilla di cellulosa. Ogni microfibrilla può avere fino a 36 singole fibrille chiamate fibrille elementari, le quali vanno a complessarsi in macrofibrille. intramembrana, rispetto alla faccia rivolta verso l’interno. Spesso si tratta di glicoproteine cioè proteine complessate con residui oligosaccaridici rivolti verso il succo vacuolare. Le proteine intrinseche del tonoplasto sono principalmente di trasporto come enzimi, pompe protoniche, ATPasi e in particolare le acquaporine facenti parte delle TIPs essenziali per l’ingresso di acqua all’interno del vacuolo. Le pompe protoniche sono molto abbondanti perché pur contenendo molta acqua, il pH del vacuolo è molto acido, generalmente oscilla tra 4 e 5 ma può arrivare anche a 2, ed è sempre più basso rispetto a quello del citoplasma. La capacità di mantenere il succo vacuolare ad un pH acido è dovuto alla presenza di queste pompe protoniche, costituite da tante sub unità che attraverso l’idrolisi dell’ATP e del pirofosfato inorganico forniscono protoni al succo vacuolare acidificandolo. AT P + H2O+H+interno= ADP+fosfato+ H+esterno (trasporto contro gradiente con una porzione che sporge nel citoplasma e l’altra all’interno del vacuolo). Una volta che gli ioni entrano nel vacuolo, questi tenderanno ad uscire creando così un continuo traffico tra vacuolo e citoplasma. Meccanismi di trasporto come uniporto, simporto e antiporto. L’origine dei vacuoli è stata dibattuta, sono state formulate diverse ipotesi; per il fatto che siano componenti delimitate da membrana qualcuno ha avanzato l’idea che derivassero da una invaginazione della membrana plasmatica ma ciò non è possibile perché le due composizioni chimiche sono diverse tra di loro, secondo altri derivano da idratazione locale di colloidi citoplasmatici (molecole che per la loro organizzazione tendono a bloccare molecole di acqua) o ancora da un rigonfiamento delle cisterne dell’apparato del Golgi. In realtà l’ipotesi più recente è quella GERL proposta da Marty nel 1978 che coinvolge diversi organuli, in particolare le cisterne del RER, l’apparato del Golgi e i lisosomi. Secondo questa ipotesi dalle cisterne e dal Golgi si formerebbero una serie di strutture membranose, si fondono tra di loro e assumono un aspetto più tubulare, da queste vescicole se ne staccherebbero alcune che rappresentano i provacuoli. Questi si richiuderebbero su di loro inglobando anche porzioni di citoplasma, formando strutture tondeggianti che nell’insieme andrebbero a costituire il vacuolo litico. A questo stadio entrerebbero in gioco vari enzimi lisosomiali con lo scopo di degradare la porzione di citoplasma inglobato, così da avere un vacuolo costituito da un solo strato lipidico, il tonoplasto. I vacuoli aumentano durante l’accrescimento per distensione della cellula, durante una fase di abbondante assorbimento dell’acqua. La crescita in volume della cellula non è accompagnata da una crescita corrispondente del citoplasma, nella cellula giovane i vacuoli sono di piccole dimensioni con un progressivo aumento sia di numero che di dimensioni. Funzioni: 1. I vacuoli evitano che si creino dei vuoti, durante l’accrescimento per distensione. Il rapporto volume della superficie cellulare resta elevato e adeguato alle esigenze della cellula; 2. Favoriscono il raggiungimento di dimensioni cellulari elevate; 3. Fungono da osmometri per l’assorbimento dell’acqua nella cellula, in virtù del succo vacuolare e della semipermeabilità del tonoplasto; 4. Conferiscono la necessaria turgidità cellulare (presenza di forti pressioni idrostatiche nella cellula vegetale rispetto a quella animale). Da cosa è costituito il succo vacuolare? Carboidrati, amminoacidi e Sali inorganici che hanno significato sia di riserva che di rifiuto in quanto il vacuolo funziona un po’ come organulo escretore. Ad esempio troviamo: • NaCl: piante che vivono in acque ricche di cloruri • Ca2+: piante che vivono in terreni calcarei • K+: non influenzato dall’ambiente della pianta • Solfati, nitrati, fosfati: quasi mai a concentrazioni elevate, influenzati dai concimi artificiali Possono esserci singoli amminoacidi con debole significato di sostanze di riserva, oppure dei veri e propri vacuoli che accantonano al loro interno proteine con significato di riserva (PSV). I vacuoli litici contengono enzimi responsabili della degradazione di altre molecole, esiste un vero e proprio smistamento adeguato di queste proteine a seconda della funzione che devono svolgere, in particolare dipende dalla presenza di una porzione della proteina che rappresenta il peptide segnale. Nelle cellule animali le proteine che vengono indirizzate verso i lisosomi portano un residuo zuccherino, il mannosio 6-fosfato; invece, nelle cellule vegetali esistono dei peptidi di riconoscimento presenti in prossimità della porzione amminoterminale (litico), della porzione carbossiterminale (PSV) o all’interno della proteina. A seconda della posizione, la proteina verrà indirizzata verso un vacuolo litico o di riserva. Le proteine prodotte al livello del RER possono essere veicolate all’apparato del Golgi oppure escrete come vescicole, queste vengono riconosciute in maniera specifica perché rivestite esternamente da clatrina che riconosce un organulo bersaglio, vengono quindi indirizzate verso dei provacuoli e poi confluiscono in un vacuolo litico come bersaglio. In altri casi le proteine che passano dal Golgi e modificate, si staccano come vescicole dense e vengono direzionate verso un vacuolo di riserva. È vero che la proteina ha siti di riconoscimento, ma contribuisce molto anche lo smistamento per decidere su quale vacuolo andare. In una cellula eucariotica vegetale, quindi, esistono vacuoli litici e vacuoli di riserva, in casi eccezionali possono confluire in un vacuolo di fusione, non si sa con precisione perché questo possa accadere. Nel succo vacuolare ci possono essere anche zuccheri presenti sotto forma di monosaccaridi, disaccaridi o polisaccaridi, ci sono alcune piante ricche di polisaccaridi come l’inulina prodotta ad esempio dalla pianta del carciofo, in generale la tipologia degli zuccheri nelle piante è dipendente dal genotipo. Sicuramente le piante producono l’amido, che però non si trova nei vacuoli ma negli amiloplasti. Sostanze molto diffuse sono i flavonoidi, li si associa a molecole antiossidanti, possono avere dai 15 atomi di carbonio in su, sono dei pigmenti che hanno una localizzazione differente dagli altri pigmenti (esempio clorofilla) questo perché hanno funzioni diverse, in questo caso svolgono una funzione vessillare: le piante in genere hanno i fiori molto colorati e vistosi, contengono i gameti responsabili della riproduzione sessuata, il fiore deve far sì che i gameti vengano diffusi nell’ambiente tramite organismi impollinatori, quindi la funzione dei flavonoidi è quella di attirare questi organismi. Altri pigmenti come carotenoidi e clorofilla che servono per il processo fotosintetico non si trovano nei vacuoli ma all’interno dei cloroplasti. Quindi, i flavonoidi rappresentano una classe molto ampia, comprendono pigmenti differenti che si chiamano antociani, flavoni e flavonoli. Gli antociani sono responsabili del colore rosso, rosa, viola e blu, i flavoni bianco avorio e i flavonoli colorazioni gialle (visti dalle api come radiazioni ultraviolette). Molto interessanti sono proprio gli antociani perché i colori sono molto diversi in base al pH del succo vacuolare, sono responsabili del fenomeno del viraggio, si trovano nei mirtilli, nell’uva ecc… I diversi colori dipendono dai gruppi costituenti presenti in posizione 3, 4 o 5. Nel succo vacuolare troviamo sostanze tossiche per la pianta ma molto sfruttate nelle industrie farmaceutiche, gli alcaloidi (caffeina, nicotina, morfina, colchicina) prodotti dai tessuti laticiferi, costituiscono nella pianta una sostanza acquosa che si chiama latice, sono presenti come sali di acidi organici. Molto diffusi nelle Dicotiledoni (quasi assenti nelle Gimnosperme), sono presenti in tutti gli organi e tessuti della pianta. La funzione è un po’ incerta, si pensa possano svolgere funzione protettiva da parassiti ed erbivori, bloccano le ferite per evitare la fuoriuscita di linfa, sono una riserva di azoto o una forma di rifiuto della molecola di azoto. Un ruolo molto importante da un punto di vista sperimentale è svolto dalla colchicina utile nei processi di endo reduplicazione del DNA, la somministrazione di colchicina in cellule in coltura fa sì che il fuso mitotico non riesca ad organizzarsi e la cellula attraversa la mitosi senza separare i cromosomi. Possiamo trovare anche i glucosidi cianogenetici, molecole ad ampio spettro che sono prodotte da alcune tipologie di tessuti, ad esempio nelle mandorle amare, semi delle ciliegie per la presenza dell’amigdalina, la quale ha una porzione legata ad uno zucchero o più molecole di zucchero che fanno sì che la loro attività biologica venga in qualche modo neutralizzata, contengono al loro interno il cianuro che può essere liberato sotto forma di acido cianidrico. Normalmente nei vacuoli queste sostanze sono stabili, ma quando vengono a contatto con una beta glucosidasi, lo zucchero viene scisso, si forma una molecola intermedia detta cianoidrina che legata specificamente all’idrossinitrile liasi spontaneamente rilascia acido cianidrico. Queste sostanze in genere vengono utilizzate per difesa contro erbivori poiché l’acido è tossico. Se entriamo nello specifico, i glucosidi sono presenti in cellule appartenenti a tessuti diversi, ad esempio, la pianta del sorgo (cereale utilizzato per produrre farine), quando è giovane, contiene un glucoside cianogenetico nelle cellule delle foglie o giovani fusti, altamente tossico detto durrina, che nello stomaco si idrolizza in glucosio, aldeide p-ossibenzoica e acido cianidrico. Confinano in posti differenti il substrato rispetto all’enzima e quando viene ingoiata avviene la reazione. Le foglie e le infiorescenze contengono flavonoidi, tannini e glucosidi cianogenetici che per idrolisi enzimatica, rilasciano cumarine. O-cumaril-glucoside è prodotto dalle giovani foglie e rami del meliloto, agisce come la durrina, la porzione zuccherina viene staccata grazie alla beta- glucosidasi e quello che si forma è la cumarina, un composto tossico utilizzato nell’industria farmaceutica perché aiuta a fluidificare il sangue in persone che hanno problemi cardiaci. Tuttavia, quando le concentrazioni sono particolarmente elevate può causare emorragie, negli erbivori possono portare anche alla morte. In genere i glucosidi si ritrovano in Ficus carica, Ruta graveolens, in varie specie di Citrus e in alcune Apiaceae come prezzemolo, sedano; quindi, servono a conservare in maniera non tossica un composto tossico. La porzione zuccherina è detta glicone, quella non zuccherina è detta aglicone. Troviamo ancora una famiglia molto simile, i glucosinolati costituiti anch’essi da una porzione glicone e una aglicone, ma in questo caso lo zucchero è il glucosio. Nella loro molecola al posto del cianuro hanno il solfato, anche in questo caso il distacco dello zucchero porta alla modifica spontanea tramite le tioglucosidasi, in una serie di composti, tra cui gli isotiocianati, solfati e nitrile. Sono molto comuni nelle specie vegetali, alcuni si ritrovano nella senape come la sinalbina e siringina, anche il rotenone presente nelle radici delle leguminose e sfruttato come pesticida. Molto frequenti nei vacuoli anche: 1. Acido malico ed acido citrico: nei frutti immaturi di arance limoni mele 2. Acido fumarico: fusti di Heliantus anuus 3. Acido aconitico: Canna da zucchero 4. Ossalato di calcio: molto frequente, è insolubile e si accumula in forma solida L’acido ossalacetico viene neutralizzato sotto forma di sali di ossalato sotto varie forme e a seconda della forma vengono nominati in maniera differente: rafidi, druse, prismi, stiloidi. Generalmente si depositano nei vacuoli delle cellule di rivestimento, ad esempio nella pellicola della cipolla. Altre sostanze sono tannini, colorazione bruna/marrone alla porzione esterna delle piante, per mascherare le radiazioni ultraviolette del sole, derivano dalla polimerizzazione di fenoli, spesso in forma glucosidica complessa, presenti in una forma ossidata (flobafeni) particolarmente resistente a virus e batteri, e terpeni molecole aromatiche, derivati dall’isoprene ripetuta n volte, sono responsabili dell’aroma ad esempio di zenzero , pepe e alloro. I monoterpeni sono abbondanti in limoneni e mentoli, allontanano gli insetti; vengono prodotti da vacuoli di strutture specifiche come i peli ghiandolari deputati alla secrezione di sostanze che immagazzinano all’interno del vacuolo. una forma momentanea cioè l’ezioplasto. Dall’immagine si nota che vi può esistere una interconversione tra diversi tipi di plastidi. Ci sono una serie di fattori che sono responsabili del tipo di funzione che devono assumere. -Quali sono le caratteristiche del proplastidio? Visti al microscopio elettronico sono di piccole dimensioni da non superare 1 micron, presentano una matrice delimitata da una doppia unità di membrana, all’interno della matrice vi è una sostanza densa amorfa granulare all’interno della quale si trovano poche vescicole, vari ribosomi molecole di DNA. Generalmente sono incolori o verde pallido perché al loro interno è presente la protoclorifillide che è il precurose della clorofilla. Sono state ritrovate all’interno anche diverse riserve di ferro sotto forma di fitoferritina. -Quando un proplastidio diventa un cloroplasto? Il passaggio ha bisogno di una serie di fattori, i più importanti sono la luce e fattori endogeni della cellula che li contiene (ormone citochinina). o Luce: alcune piantine sono state fatte crescere alla luce e alcune al buio, dalle sezioni istologiche si è visto che qualora le foglie di queste piantine erano state esposte alla luce, questi organuli presentavano una serie di strutture a lamelle organizzate che invece erano assenti o disordinate nelle piantine tenute al buio, il mantenimento della struttura del cloroplasto dipende dalla presenza della luce. o Citochinine: piantine cresciute al buio e osservate in presenza di citochinina formavano strutture laminari, diversamente in assenza presentavano una struttura simile a quelle senza luce. Da questi due diversi esperimenti si è dimostrata l’importanza sia della luce che delle citochinine sono necessarie per la trasformazione del proplastidio in cloroplasto. Nel momento in cui questi fattori sono assenti, si formano gli ezioplasti. Se semi di Angiosperme vengono lasciati germinare al buio, si svilupperanno piantine eziolate prive di clorofilla, incapaci di svolgere la fotosintesi (protoclorofilla). Il loro sviluppo continuerà grazie ad un processo di distensione cellulare. I loro proplastidi sono caratterizzati da pochissime membrane disorganizzate che costituiscono un corpo pro-lamellare non funzionale, hanno pochi ribosomi e DNA sparsi per lo stroma. In presenza di luce riescono a recuperare e diventano verdi, la notte ritornano ezioplasti e di giorno cloroplasti, per cui è una struttura reversibile per i plastidi in via di sviluppo. Altre volte la specializzazione di un proplastidio in una forma di plastidio maturo è determinata geneticamente, ad esempio i proplastidi dei petali dei fiori sono destinati a diventare cromoplasti che non diventeranno mai cloroplasti. Origine evolutiva dei plastidi: un cianobatterio che perde la parete cellulare viene fagocitato da una cellula eterotrofa e non digerito cede all’eterotrofo parte dei prodotti della fotosintesi. Si stabilisce tra i due organismi una relazione di simbiosi obbligata che ha permesso la colonizzazione della terra 450 milioni di anni fa con l’evoluzione delle alghe primordiali. I cloroplasti sono responsabili della fotosintesi e li troviamo in tutte le parti verdi della pianta, nello specifico nelle cellule delle foglie. La loro forma è differente, ad esempio in alcune alghe è unico e circonda l’organismo come in Chlamydomonas, in Spyrogira hanno una forma a nastro, vi è un unico cloroplasto che attraversa l’interno organismo; nelle piante superiori i cloroplasti hanno la forma di una rete complessa in cui è possibile identificare un’asse maggiore e una minore, particolarmente variegata tanto da essere utilizzata in campo sistematico. Sono peculiari perché sono in grado di formare delle estroflessioni chiamate stromuli a forma di tubulo, importanti per favorire la comunicazione e scambio di molecole tra cloroplasti diversi; non hanno una posizione fissa ma sono molto dinamici, si posizionano in base alla disponibilità della luce grazie alle correnti citoplasmatiche cellulari, sono visibili al microscopio ottico. Troviamo una molecola di DNA batterico, non associato ad istoni, questo afferma che sono degli organuli semiautonomi perché hanno ancora bisogno delle sequenze genetiche contenute nel DNA nucleare, all’interno del nucleoide sono presenti geni che codificano r-RNA e t-RNA; possono aumentare di numero con un meccanismo di duplicazione assestante poiché si dividono per scissione binaria. Possiedono una doppia membrana lipoproteica separata da uno spazio intermembrana che presenta pochi fosfolipidi e abbondanti glicolipidi soprattutto galattolipidi, monogalattosildiacilglicerolo (MGD) e digalattosidiacilglicerolo (DGD). La membrana esterna del cloroplasto è permeabile a molecole di ridotte dimensioni grazie alla presenza di speciali proteine, le porine che formano dei canali. La membrana interna è molto selettiva, permeabile solo a molecole neutre: gli scambi di metaboliti e ioni avvengono attraverso specifiche proteine trasportatrici. Tra le proteine associate alle membrane, un complesso proteico importante è rappresentato dalle TOC che regolano l’influsso attraverso la membrana esterna e le TIC che regolano l’influsso attraverso la membrana interna, sono dette proteine di importo e agiscono grazie al fatto che sono in grado di riconoscere specifiche sequenze localizzate (peptide di transito) a livello di una proteina che deve essere importata. La porzione interna del cloroplasto si chiama stroma al cui interno troviamo strutture simili a sacchetti appiattiti, delle membrane che prendono il nome di tilacoidi, questo sistema rappresenta la fase stazionaria del cloroplasto. I tilacoidi sono in parte disposti uno sull’altro oppure singoli, ma tutto il sistema di membrane è collegato tra di loro; le membrane singole vengono dette intergrana mentre quelle che derivano da un avvolgimento a spirale prendono il nome di tilacoidi dei grana, sono tenuti insieme da ponti elettrostatici dovuti a interazioni tra cationi bivalenti come calcio e magnesio intermembrana e gruppi anionici di membrana. Composizione chimica dello stroma: 1) 50% proteine, sia solubili come enzimi della fissazione della CO2 e sintesi clorofilla, sia insolubili strutturali che aiutano l’organizzazione del cloroplasto; 2) 30% lipidi strutturali come fosfolipidi e glicolipidi, ma troviamo anche steroli e chinoni coinvolti attivamente nella fotosintesi; 3) Clorofille si intendono sia la a (75%) che la b (25%), nelle alghe troviamo anche c, d 4) Carotenoidi 75% xantofille e 25% caroteni, pigmenti arancioni e gialli 5) Acidi nucleici 6) Ioni minerali come potassio, magnesio, calcio, sodio e manganese L’amido è quasi sempre presente pur non essendo un costituente strutturali e può anche rappresentare buona parte del peso secco. -A cosa servono i cloroplasti? La funzione principale è quella di svolgere la fotosintesi clorofilliana, lo zucchero prodotto per eccellenza è l’amido, accumulato durante il giorno provvisoriamente, durante la notte viene collocato al di fuori del cloroplasto negli amiloplasti. La fotosintesi permette di catturare l’energia solare e di trasformarla in energia chimica, ovvero ATP e NADPH chiamato potere riducente, per poterla catturare è necessario un tessuto che prende il nome di mesofillo fogliare perché contengono pigmenti fotosintetici e cloroplasti; è quindi una reazione redox che determina la riduzione della CO2 e la produzione di zuccheri e l’eliminazione di una molecola di ossigeno perché utilizzano l’acqua. Avviene attraverso due fasi: - Fase luminosa: necessita della luce solare, viene convertita in ATP e NADPH, avviene nei tilacoidi. La luce è un’onda elettromagnetica caratterizzata da una lunghezza d’onda e da una frequenza ovvero il numero di picchi d’onda che intercorrono in un determinato tempo, da queste due grandezze inversamente proporzionali dipende la velocità della luce che è data dal prodotto tra lambda e frequenza. Di tutta la luce solare quella che riusciamo a vedere è compresa tra 400 e 700 nm e va dal violetto al rosso, detta luce visibile. Lo spettro di assorbimento mostra che i batteri generalmente hanno clorofilla a, b e ficoeritrobiline, mentre quelli non foto sintetizzanti hanno i carotenoidi. Sono necessari pigmenti diversi perché hanno picchi di assorbimento differenziati in modo da assorbire quanta più luce possibile cooperando per assorbire quell’energia luminosa tale da far avvenire il processo fotosintetico. La clorofilla è costituita da 4 anelli che insieme sono coniugati grazie ad un atomo di magnesio al centro, sull’anello tetrapirrolico è presente una catena idrocarburica chiamata fitolo, la differenza tra le due clorofille è che il gruppo funzionale della clorofilla a è il metile, mentre nella clorofilla b è un’aldeide. I carotenoidi hanno una struttura più lineare, inseriti nelle membrane dei tilacoidi, troviamo la luteina, la alfa e beta carotene indispensabile per la genesi del sistema lamellare e la violaxantina e neoxantina (xantofille). I pigmenti fotosintetici sono organizzati in maniera specifica nelle membrane tilacoidali, sia nei tilacoidi intergrana che dei grana, l’insieme di tutti i pigmenti si associa a formare due complessi che prendono il nome di fotosistemi o sistemi fotochimici 1 e 2. Nelle membrane tilacoidali ci sono le ATPsintasi importanti per la sintesi di ATP che generalmente sono associati prevalentemente a quelli dei grana. In virtù della presenza dei doppi legami, le molecole dei pigmenti hanno la capacità di assorbire energia passando da uno stato basale ad uno stato eccitato, ogni qualvolta una molecola assorbe energia ha diversi modi per poter liberare questa energia in più: 1. Sotto forma di energia a lunghezza d’onda maggiore, ovvero fluorescenza; 2. Sotto forma di calore; 3. Possono trasferirla ad altre molecole. Quella che è più favorita è la 3, le piante lo fanno perché le molecole dei pigmenti sono organizzate in modo da formare un fotosistema, i vari pigmenti sono disposti in una sequenza in base ai valori di energia in ordine decrescente. Tutte le molecole alla fine passeranno l’energia al centro di reazione (molecola di clorofilla a), mentre loro prendono il nome di complesso ad antenna perché raccolgono la luce, sono in grado quindi di donare un elettrone, il quale una volta espulso viaggia tra molecole (chinone A, B, citocromi, pastocianina). La serie di eventi associati al fotosistema 2 (chiamato 680) riguardano la sintesi dell’ATP, l’acqua in seguito al processo fotosintetico va incontro ad una scissione detta fotolisi (produce O2 e H+). L’acqua libera anche degli elettroni, creando una diversa concentrazione di protoni tra lo stroma del cloroplasto e le membrane tilacoidali, tendono ad andare di più verso lo stroma tramite l’ATPsintasi associando al gradiente elettrochimico la sintesi della molecola di ATP. Quindi, durante la fase luminosa della fotosintesi si ha che quando l’elettrone viaggia in questa zona si ha la sintesi dell’ATP. A carico del fotosistema 1 (chiamato 700), le molecole catturano la luce fino ad arrivare al centro di reazione e quando è carico al punto giusto emette un altro elettrone che viaggia attraverso una serie di molecole fino ad arrivare al NADPH. RADICE La radice o apparato radicale, possiede una frazione che viene utilizzata per l’assorbimento, il resto si occupa di sostegno. Se prendiamo in considerazione un seme, al suo interno presenta un embrione e tessuto nutritivo, il quale possiede tutti gli organi in miniatura. L’apparato radicale deriva dal polo radicale dell’embrione, quando il seme germina si forma una prima radice detta principale e successivamente sul corpo della radice iniziano a formarsi una serie di altre radici laterali o secondari. Tutto quello che si sviluppa dal momento in cui il seme germina rientra nello sviluppo post-embrionale. Può avere aspetti diversi, in particolare si parla di un apparato radicale: ▪ A fittone: la radice embrionale persiste per tutta la vita della pianta e su quella principale si sviluppano le secondarie sovrastate dalla principale, esempio carota, ▪ Fascicolato: raramente è possibile identificare una radice che sovrasta le altre perché hanno tutte dimensioni simili, infatti formano un fascio. La radice embrionale in questo caso muore quasi subito e l’intero apparato si sviluppa dalla base del fusto, in questo caso si parla di radici avventizie, si sviluppano in alcune piante come la fragola, menta. Com’è fatta una radice? L’organizzazione strutturale è sempre la stessa, la zona basale presenta cellule meristematiche che si dividono, in base alla dinamica che le cellule acquisiscono sul corpo della radice è possibile identificare diverse zone. La zona meristematica, detta anche zona A è quella di partenza, al di sopra abbiamo la zona di distensione o zona B perché per le cellule è fondamentale la crescita per distensione (eccessiva crescita della parete cellulare) e infine le cellule sono specializzate a formare la zona pilifera o zona C che presenta strutture filiformi ovvero peli radicali. La radice serve per assorbire Sali minerali e sostenere la pianta; tuttavia, solo la zona C è deputata all’assorbimento grazie ai peli che si insinuano nelle particelle del terreno. Al di sopra della zona pilifera, sul corpo della radice iniziano a comparire le radici laterali distribuite a circolo. La zona meristematica è la più importante poiché la sua assenza comporterebbe la mancata formazione della radice. È presente una sorta di cappuccio esterno che protegge la zona meristematica e favorisce l’addentramento della radice nel terreno, questa regione prende il nome di caliptra o cuffia radicale. La caliptra è un tessuto che si può separare facilmente sotto lo stereomicroscopio, costituito da cellule che si rigenerano continuamente, vengono prodotte da un tessuto caliptrogeno. Le cellule più periferiche costituiscono le fiancate laterali, mentre le cellule più centrali formano la columella che possiede una serie di granuli posizionati sempre verso il lato basale. Possiedono le statocisti e i granuli prendono il nome di statoliti, nell’insieme le cellule della columella hanno un ruolo importante nell’orientamento che assume la radice; questa tende a crescere verso il basso e si dice che ha un orientamento gravi-tropico positivo o geotropico. I tropismi in generale rappresentano la direzione che la pianta acquisisce rispetto ad uno stimolo esterno come la luce e la gravità. Come sappiamo la radice deve addentrarsi nel terreno, questo è possibile grazie alle fiancate laterali della caliptra che producono delle sostanze mucillaginose che lubrificano il terreno, per questo la caliptra è in grado di rigenerarsi continuamente dal caliptrogeno, è presente in tutte le radici delle piante terrestri e può mancare nelle piante acquatiche perché non è necessaria. Durante lo sviluppo embrionale, il polo radicale può originarsi o da una singola cellula o da più cellule: nelle piante più semplici la radice embrionale si organizza da una singola cellula mentre nelle piante più evolute contribuiscono più cellule. Sono stati condotti esperimenti ed è stato visto che se viene presa una piantina con la sua radice posizionata orizzontalmente, dopo un po’ di tempo questa inizia ad incurvare e a ritrovare l’orientamento gravi tropico. Questo fenomeno è insito all’organizzazione strutturale dell’organo, sono state prese delle radici e in una di queste è stata eliminata la caliptra; se questa fosse stata posta verticalmente senza caliptra avrebbe continuato a crescere nella stessa direzione, se viene rimossa in parte la radice iniziava ad incurvare lateralmente, se a questa veniva tolta la caliptra e posta in orizzontale, non era più in grado di percepire la gravità e di incurvare. È stato quindi dedotto che è verosimile che il sensore della gravità sia localizzato a livello della caliptra. Da alcune sezioni al microscopio elettronico è stato visto che, di tutte le cellule della caliptra, le cellule della columella presentano sempre nella parte basale un groviglio di membrane del reticolo endoplasmatico su cui sembrano essere adagiati dei grossi amiloplasti (statoliti); a seconda dell’inclinazione della radice la posizione degli amiloplasti cambia nel tempo. Per cui si è pensato che i sensori siano proprio gli statoliti, forse perché quando la radice si piega sono così ingombranti che si spostano. o Se la radice è posta orizzontalmente, riesce a curvare perché delle due porzioni della radice, dorsale e ventrale, crescono in maniera differente. Il lato dorsale presenta delle cellu le con dimensioni maggiori rispetto al lato ventrale, per questo riesce a curvare; non attraverso un processo di divisione ma grazie alla zona di distensione, le cellule del lato dorsale devono distendersi maggiormente rispetto a quelle localizzate sul lato ventrale. Questo è possibile perché entra in gioco un ormone responsabile dell’accrescimento per estensione delle cellule, l’acido indolacetico (un’auxina), che viaggia fino al meristema, va nella caliptra arrivando nella columella e viene distribuita fino alla zona di distensione, gli statoliti sono in grado di dirigere la posizione in cui l’auxina deve defluire e infatti, viene distribuita principalmente nel lato ventrale, per cui la minore quantità di auxina distribuita nel lato dorsale e fa crescere le cellule di più perché gli ormoni agiscono a concentrazioni più basse; o Se la radice è posta verticalmente, la quantità di auxina che entra nelle cellule della columella viene poi distribuita in maniera equa ai due lati della radice, per cui si distendono della stessa entità e la radice cresce verticalmente. Cosa favorisce il diverso flusso di auxina? Gli amiloplasti quando poggiano sulle cisterne del RE, è come se regolassero l’apertura di canali ionici specifici, probabilmente del calcio, attraverso cui fuoriesce l’auxina prevalentemente in posizione ventrale. La curvatura gravitropica positiva dipende dall’auxina, dagli statoliti, dai canali del calcio. È stato visto che quando delle radici vengono fatte crescere in una centrifuga, questa va ad annullare la forza di gravità; infatti, gli statoliti sono orientati in maniera omogenea in tutta la cellula e non hanno una disposizione ben definita. Quali sono le caratteristiche della zona meristematica (RAM)? Le cellule vengono colorate attraverso la fuxina che colora in maniera specifica il materiale genetico per l’osservazione . Le cellule si dividono continuamente ma non contemporaneamente; da un punto di vista strutturale hanno l’aspetto tipico della cellula meristematica, cioè se la loro unica prerogativa è quella di diversi, tutti gli organuli sono poco differenziati: troviamo proplastidi, pochi vacuoli e di piccole dimensioni, parete cellulare molto sottile, nucleo grande e numerosi ribosomi liberi. Pur essendo meristematiche, a seconda della loro posizione avranno un destino differente, troveremo un protoderma nella parte più alta della radice che formerà l’epidermide, un meristema fondamentale che darà origine a tessuti parenchimatici e il procambio che darà origine ai tessuti conduttori. Tra le 3 tipologie quelle che avviano per prima sono quelle del procambio. Possiamo distinguere un cilindro corticale ed uno centrale (quando si affetta una carota in senso longitudinale si osservano una serie di cerchi concentrici, la porzione più interna rappresenta il cilindro centrale dove si trova la linfa, mentre nella parte periferica o corticale vengono accumulate le sostanze di riserva). In particolare, la durata del ciclo cellulare delle diverse cellule è diversa: grafico, quelle colorate in rosa si dividono molto raramente e costituiscono una popolazione anomala, il centro quiescente è stato messo in evidenza in laboratorio attraverso la tecnica dell’auto radiografia. Impiegano circa 150 ore nella fase G1, 9 ore nella fase S, 11 ore per completare la G2 e 3 ore per la mitosi, se confrontate con le altre cellule ad esempio della caliptra, la fase S dura 8 ore, la fase G2 5 ore e la mitosi si completa in 2 ore (da notare che manca G1 perché si dividono rapidamente ogni giorno accorciando la fase G1 che è più responsiva); nelle cellule del cilindro centrale la fase S dura 11 ore la mitosi dura 3 ore, la fase G1 dura due ore e la fase G2 dura 7 ore. Tra queste popolazioni cellulari, le cellule del centro quiescente hanno un ciclo più elaborato per questo sono “dormienti”, ma hanno un ruolo molto importante per l’organizzazione strutturale della radice. Tramite esperimenti di ablazione, si è visto che la normale architettura della radice viene alterata. AUTORADIOGRAFIA: è una procedura di laboratorio che permette di capire il metabolismo nucleare di una popolazione di cellule, in questo caso è usata per capire la durata del ciclo cellulare delle cellule meristematiche della radice. Per capire se una cellula è bloccata nel ciclo o transita, a parte controllare se ci sono mitosi, si possono utilizzare marcatori radioattivi per capire se transita nella fase S ed è quindi attiva oppure no. Per monitorare quindi la duplicazione del DNA, si utilizza un marcatore radioattivo specifico per la timina per discriminare l’RNA dal DNA, se invece volessi marcare specificamente l’RNA utilizzerei un marcatore per l’uracile. In laboratorio viene spesso utilizzato il bulbo di cipolla perché è in grado di formare tante radici dalla porzione basale del fusto, il girello. Viene posizionata in soluzione acquosa marcata di timina chiamata timidina triziata; infatti, l’idrogeno è radioattivo, chiamato trizio. Questa soluzione acquosa viene messa a contatto con le radici per un certo periodo di tempo; se mediamente in una cellula meristematica il ciclo non supera le 20 ore allora la durata è più breve, le cellule attive allora riescono a transitare attraverso la fase S. La radioattività non è un qualcosa di visibile, per cui bisogna poi procedere in maniera sperimentale mettendola in evidenza, il processo è a tappe e si devono ottenere delle sezioni istologiche in modo da poterne permettere l’osservazione al microscopio. 1. Prelievo 2. Fissazione serve ad immobilizzare il contenuto di cellule e tessuti bloccandone le attività metaboliche, può essere fisica oppure chimica tramite formaldeide, formalina o etanolo 3. Inclusione per rendere il campione duro ed omogeneo, generalmente si usa paraffina o resina 4. Disidratazione 5. Chiarificazione in solventi organici 6. Taglio tramite microtomo per ottenere fettine ultrasottili 7. Sparaffinatura e reidratazione per poter colorare i campioni è necessario rimuovere la paraffina e reidratare i tessuti fissati, tramite xilolo e alcoli fino all’acqua distillata 8. L’emulsione fotografica serve per mettere in evidenza il trizio, è costituita da diversi componenti chimici, tra cui gelatina pura, che svolge la funzione di "collante" tra i vari pareti tangenziali. Una radice di questo tipo si ha in piante annuali come il mais che ha un tenore idrico necessario ridotto. Allontanandosi dalla zona assorbente, sia nelle monocotiledoni sia nelle dicotiledoni, si osserva la deposizione di parete secondaria anche sulla parete esterna per cui le cellule endotermiche appaiono in sezione trasversale a forma di O. La stele si origina dal procambio e i tessuti che si trovano sono quelli vascolari: xilema e floema. All’interno della stele, il primo strato a ridosso dell’endoderma è formato da cellule poco specializzate bloccate nella fase G2, che costituiscono il periciclo, sono anche chiamate meristema d’attesa perché questo strato è responsabile della formazione delle radici laterali. Si trovano una serie di tessuti, alcuni costituiscono lo xilema che tendono a confluire al centro della stele nella maggior parte delle radici delle dicotiledoni assumendo un aspetto a croce, altri invece costituiscono il floema. Nella radice i tessuti conduttori sono organizzati in maniera diversa rispetto al fusto, si trovano tutti insieme. Questo tipo di organizzazione è detto ad arche: arche floematiche ed arche xilematiche. Ogni arca xilematica è intervallata da una floematica per tutto il cilindro centrale, questo fa sì che nelle radici le arche siano semplici e alternate. Nelle dicotiledoni, il numero delle arche è limitato: quattro floematiche che si susseguono con quattro xilematiche; nelle monocotiledoni il numero delle arche è maggiori, si arriva anche a 10. Cosa si intende per arca xilematica o floematica? Si intendono tessuti conduttori specifici, i singoli elementi che trasportano la linfa devono essere organizzati in strutture tubulari. Per formare questo tipo di struttura, le cellule del procambio devono disporsi l’una sull’altra durante il processo di divisione in maniera da combaciare con le loro pareti trasversali, nel processo di specializzazione raggiungono le dimensioni definitive e possono diventare dei vasi. 1) Arca xilematica: vasi aperti o vasi chiusi. Sono deputati al trasporto della linfa grezza, ascendente. Durante il processo di specializzazione vanno incontro a morte programmata che determina la scomparsa degli organuli tramite DNAasi e proteasi, ma la parete si accresce, in particolare quella secondaria è molto spessa e quella primaria va incontro a lignificazione. Gli ispessimenti della lignina possono formare anelli o perforazioni, per cui la parete è sempre lignificata. Se vengono riassorbite le pareti trasversali, allora si generano le trachee; se vengono riassorbite in parte si formano le tracheidi con lume cellulare più piccolo rispetto alle trachee. Sono presenti entrambe in ogni arca. Le trachee costituiscono il meta-xilema o legno primaverile e le tracheidi il proto-xilema. Si trovano diversi tipi di vasi vasi anulati tipici degli organi giovani con ispessimenti e forma anulare, vasi spiralati in cui la lignificazione avviene a lungo una spirale, vasi anulo-spiralati presenti negli organi in cui è ancora possibile l'allungamento caratterizzati da anelli intercalati a spire, vasi reticolati presentano zone lignificati al reticolo con maglie allungate, vasi punteggiati con parete completamente ispessita tranne che in alcuni punti detti punteggiature, nel caso in cui le punteggiature sono allungate e collocate l'una sull'altra si parlerà di vasi scalariformi; 2) Arca floematica: tubi cribrosi strettamente associati con cellule compagne. Sono deputati al trasporto della linfa elaborata, discendente, anche loro si originano da cellule disposte le une sulle altre. Queste cellule vanno incontro a divisione asimmetrica che porta alla formazione di due cellule figlie di cui quella più grande diventerà una cellula del tubo, mentre quella più piccola diventerà una cellula compagna. Si specializzano insieme, sono sempre cellule vive ma la cellula del tubo cribroso è priva di nucleo, sono strettamente associate tramite plasmodesmi alle cellule compagne. Una volta specializzate, le cellule compagne conservano il nucleo, hanno mitocondri, cloroplasti e un grande vacuolo, al contrario le cellule dei tubi non hanno nucleo, vacuolo e pochi plastidi modificati, cisterne del RE e nel citoplasma si trovano una serie di proteine P che sembra abbiano un ruolo molto importante nel riparare le lesioni dei tubi e impedire la fuoriuscita di linfa. Sono in grado di sintetizzare proteine perché, grazie ai plasmodesmi, arrivano gli mRNA da parte delle cellule compagne. Le singole cellule dei tubi presentano le pareti trasversali con perforazioni che nell’insieme costituiscono la placca cribrosa: durante il periodo invernale si ricopre di callosio, una molecola che le oblitera poiché durante l’inverno non avviene la fotosintesi. Sia la floematica che la xilematica presentano delle cellule parenchimatiche per riempire gli spazi. In tutte le gimnosperme e molte angiosperme dicotiledoni la struttura primaria della radice è limitata ad un breve tratto, a questa segue una zona di struttura secondaria per tutto il resto della radice. Nella zona di struttura secondaria la radice è costituita da tessuti secondari che si originano dai meristemi secondari, questa zona costituisce il restante corpo della radice e la sua struttura si modifica in diametro e diviene più complessa con l’aumentare dell’età della pianta. Questo tipo di accrescimento è il risultato dell’attività di due tessuti meristematici: cambio cribro-legnoso o cribrovascolare e il cambio subero-fellodermico o fellogeno. La radice che cresce in diametro deve formare nuovo tessuto conduttore, parenchimatico e di rivestimento, grazie al fatto che all’interno del cilindro centrale si verrà a costituire il cambio cribrovascolare, le cui cellule daranno origine ai nuovi tessuti conduttori di tipo xilematico e floematico, mentre all’interno del cilindro corticale si formerà il cambio subero-fellodermico. Le cellule parenchimatiche localizzate all’interno dell’arca floematica, quelle del periciclo localizzate all’esterno dell’arca floematica riprendono la loro attività meristematica in maniera discontinua e formano una struttura sinusoidale che racchiude nella porzione interna le arche xilematiche e nella porzione esterna le arche floematiche. Una radice di carota ha una struttura cilindrica, una forma omogenea non sinusoidale, questo perché prima di formare cellule figlie in maniera omogena lungo tutta la circonferenza il cambio sinusoidale inizia a produrre nuove cellule figlie in corrispondenza del floema primario. Il cambio viene spinto così verso l’esterno e assume un aspetto più circolare. Le cellule del cambio hanno un aspetto rettangolare, derivano da cellule adulte che hanno ripreso a dividersi e vanno incontro ad una serie di cicli mitotici: la prima cellula che si forma si divide in due cellule figlie e una delle due si posiziona o verso l’esterno o verso l’interno . A seconda della posizione che occuperanno avranno un destino differente, la cellula che si posiziona nella parte interna diventa cellula madre dello xilema, quella che si posiziona verso l’esterno diventa cellula madre del floema. Cellula madre perché andrà incontro ad altri cicli mitotici e quella più distante dalla cellula iniziale si specializzerà in xilema o floema: questo processo prende il nome di attività dipleurica perché pur avendo la stessa informazione genica avranno ruoli diversi in base alla loro posizione. Si originano così due anelli concentrici, uno interno di xilema secondario e uno esterno di floema secondario. Ogni cerchio rappresenta la produzione di un anno della pianta, lo xilema primario è sempre lo strato più interno, mentre il floema primario è quello più esterno. Gli elementi precedenti diventeranno così elementi di supporto per la pianta perché hanno pareti lignificate per cui non sono granché utili nella funzione di trasporto. I prodotti del cambio cribrovascolare fanno aumentare il diametro del cilindro centrale; tuttavia, deve aumentare anche il diametro del cilindro corticale. Il cambio subero-fellodermico si forma a ridosso del cilindro corticale, al di sotto del rizoderma nella struttura primaria si trova il parenchima amilifero, infatti sono proprio queste cellule a riprendere la loro attività mitotica assumendo un aspetto rettangolare e a formare una serie di cellule figlie: quelle localizzate nella porzione più interna si specializzeranno anch’esse in parenchima amilifero, le cellule rivolte verso lo strato esterno al cambio subero-fellodermico daranno origine ad un’epidermide secondaria che suberificherà. La radice di struttura secondaria svolgerà solo una funzione di sostegno per la pianta. Il parenchima secondario, chiamato felloderma, formerà un’epidermide secondaria che si chiama fellema o sughero. L’insieme di sughero, fellogeno e felloderma costituisce il periderma. L’apparato radicale è una struttura complessa, bisogna considerare anche le radici laterali, queste si formano a partire da una certa distanza dalla zona meristematica ed emergono più in alto. Si presentano dopo un certo numero di centimetri dal sistema apicale, circa 15. Cosa è coinvolto nell’organizzazione delle radici laterali? Nel cilindro centrale vi è uno strato con delle caratteristiche anomali, perché le sue cellule sono poco differenziate e costituiscono una scorta di cellule bloccate nella fase G2, costituiscono il periciclo che entra in gioco proprio quando occorre formare le radici laterali. In particolare, le cellule del periciclo ad una certa distanza dal meristema apicale iniziano ad andare incontro ad una serie di modificazioni. Si parla di primordio quando è fisicamente localizzato all’interno della radice principale, il quale fuoriesce dal corpo centrale ed inizierà a comportarsi come una normale radice con una struttura identica a quella princ ipale. La formazione del primordio avviene a tappe, varie divisioni cellulari sequenziate: 1. Il periciclo all’inizio è uno strato unico, ad alcune cellule arriva un segnale dall’auxina, detto anche ormone della radicazione e cominciano a distendersi, 2. Vanno incontro ad un primo ciclo di divisione cellulare e il periciclo diventa bistratificato, lo strato più interno continua a mantenere la prerogativa di comportarsi come cellula del periciclo mentre lo strato più esterno sarà il primo strato del primordio che andrà incontro ad un ciclo di divisioni, 3. In alcune zone il periciclo appare tri stratificato e così via 4. Uno strato più interno che si configura come strato del procambio, poi uno strato del periciclo ed esternamente uno strato che fungerà sia da precursore del caliptrogeno sia da precursore del protoderma. In questi pochi strati cellulari si ricostituiscono tutti i precursori dei tessuti adulti di una radice: dallo strato più esterno si formeranno la caliptra e il rizoderma, lo strato intermedio sarà il precursore del cilindro corticale, il periciclo del nuovo primordio che si continua con il periciclo della prima radice e infine i precursori del procambio. Una volta arrivati a questa organizzazione, in una sezione trasversale si osserva che il primordio si realizza a ridosso della stele; man mano che le divisioni cellulari procedono il primordio aumenta di dimensioni e si trova immerso nel cilindro corticale e si fa strada facendo digerire tutte le cellule che si trovano interno perché lo strato più esterno che da origine al caliptrogeno inizierà a produrre enzimi litici che digeriscono le cellule Considerando una felce o un muschio, il cono vegetativo è costituito da una sola grande cellula di forma tetraedrica detta cellula apicale, a causa di divisioni ineguali si avrà una cellula più grande apicale e una più piccola e appiattita detta derivata che andrà incontro ad una serie di mitosi. Questo perché, se dovesse succedere qualcosa al cono, la cellula apicale fungerebbe da riserva meristematica e può ricostituirlo, si trovano anche i primordi delle foglie come abbozzi laterali; nelle piante più evolute invece il cono vegetativo è costituito da numerose cellule tutte in grado di dividersi attivamente, si organizzano in maniera differente in base alla posizione. Lo strato più esterno è costituito da cellule che si dividono secondo pianti anticlinali ovvero perpendicolari alla superficie esterna, determinando un incremento in superficie con possibile aumento del numero degli strati: questa sezione prende il nome di tunica. Le cellule al di sotto della tunica si dividono secondo piani periclinali, ovvero paralleli alla superficie in modo che le cellule si dispongano secondo le tre dimensioni dello spazio occupando l’intero volume; questo formerà il corpus. Ricorda: il cono vegetativo si organizza in una pianta nel corso dell’embriogenesi. Il cono vegetativo rappresenta la porzione meristematica che consente alla parte aerea della pianta di svilupparsi, normalmente viene riconosciuto con il termine di gemma che grazie alla continua attività proliferativa portano alla formazione dei primordi delle foglie e dei rami. Una volta costituito deve poter durare nel tempo e mantenere inalterate le sue dimensioni; prendendo in considerazione le angiosperme abbiamo un’organizzazione tunica-corpus, ma le cellule possono anche dividersi con una frequenza che cambia nel tempo. In particolare, le cellule localizzate nella parte più centrale costituiscono una zona meristematica detta central zone, e due zone periferiche, per cui la struttura a cono si origina dalla parte più centrale le cui cellule ad un certo punto smetteranno di dividersi e questa prerogativa la avranno le cellule delle zone periferiche dividendosi più velocemente e di queste, la maggior parte si sposteranno lateralmente per formare un altro primordio fogliare costituendo la zona organogenetica. Quindi, tutto il cono vegetativo è suddiviso in zone. Le cellule che restano nella zona centrale si configurano come cellule staminali, una riserva di cellule meristematiche. Il meristema apicale delle angiosperme presenta due tipi di organizzazioni che si sovrappongono, a zone e tunica- corpus che contemporaneamente tengono conto della frequenza di divisione e piani. Dall’osservazione al microscopio ottico è possibile visualizzare le linee di confine. Dallo strato L1 si formerà l’epidermide, dallo strato L2 si formeranno i tessuti più interni e quelli conduttori. Le conifere hanno un cono vegetativo strutturalmente simile a quello delle angiosperme, ma con delle differenze. Vi è un piccolo gruppo di cellule iniziali che hanno una posizione apicale, si dividono un certo numero di volte formando una serie di cellule figlie che si organizzano a formare degli strati indicati come meristema a cellule allineate, quelle della parte basale formeranno il tronco mentre lateralmente si formeranno le foglie. Le cellule meristematiche del cono vegetativo oscillano sempre tra un numero minimo ed uno massimo, un certo numero di cellule deve formare le foglie perché se così non fosse la pianta avrebbe un cono vegetativo troppo ampio che non è fisiologico ma un’alterazione; se tutte le cellule venissero usate per formare le foglie, non ci sarebbe più un cono vegetativo. Questo vuol dire che le dimensioni minime devono essere rispettate altrimenti la pianta subirebbe delle alterazioni. Ci sono geni specifici che devono essere espressi nelle zone meristematiche come WUS, STM, CLV i quali “dicono” alle cellule come dividersi, per cui il corretto funzionamento porta il cono vegetativo a cambiare nel tempo senza consumarsi mai. La porzione aerea della pianta è la risposta che il fusto ha nei riguardi degli stimoli esterni, cresce secondo una direzione opposta alla forza di gravità con un orientamento di tipo gravitropico negativo e fototropico positivo perché cresce nella direzione della luce. Anche in questo caso entra in gioco l’auxina: il fenomeno del fototropismo è stato studiato nel 1880 da Darwin e dal figlio, utilizzando come modello sperimentale delle piantine di graminacee, perché il seme quando germina forma una struttura lunga ben diversa dalle classiche gemme, infatti questa è ricoperta da una membrana detta coleoptile. Darwin, sapendo che al di sotto si trovasse la gemma, ha reciso l’intera struttura e mettendola sotto la luce di lato, ha aspettato ed ha visto che il coleoptile iniziava a curvare verso la sorgente luminosa. Volendo capire il meccanismo, ha decapitato il coleoptile sottoponendolo alla sorgente luminosa, questo cresceva ma non si curvava, gli hanno messo poi una sorta di cappuccio e anche in questo caso non curvava. Per cui lo stimolo luminoso non veniva percepito da tutto il coleoptile ma solo dalla parte terminale. L'esperimento di Darwin venne ripreso in seguito da Boysen e Jensen (1913). Nel suo esperimento Boysen Jensen asportò la punta del coleoptile, collocò un blocchetto di gelatina permeabile all'acqua sul germoglio tagliato e poi rimise la punta del coleottile sopra la gelatina. Quando espose nuovamente alla luce le piantine, il germoglio si curvò nella direzione della luce a dimostrazione che il segnale di crescita aveva attraversato la gelatina. Poiché le sostanze chimiche in soluzione possono attraversare la gelatina, Boysen-Jensen concluse che lo stimolo alla crescita doveva essere una sostanza chimica. Da questi esperimenti, è stato dedotto che è presente l’auxina in grado di percepire lo stimolo luminoso che va ad agire nella parte sottostante, per far avvenire la curvatura (in analogia con quanto succede nella radice) la parte in ombra deve crescere maggiormente rispetto alla parte sottoposta alla luce. Quando la luce colpisce in maniera unidirezionale, a livello della penombra deve esserci una maggiore distensione delle cellule. All’incirca il 65% dell’auxina migra nel lato in ombra, ed il 35% verso il lato illuminato. In conseguenza della maggiore concentrazione di auxina, le cellule della parte in ombra si distendono di più di quelle situate nella parte illuminata, mentre dove la quantità di auxina resta bassa crescono in misura regolare. Quindi, la luce induce la distribuzione dell’ormone auxina prodotto proprio nell’estremità terminale e deve essere trasportato verso il basso per determinare la curvatura. Avviene esattamente il contrario di quanto succede nella radice, ovvero la maggiore concentrazione di auxina determina la distensione delle cellule. Generalmente il funzionamento degli ormoni avviene a basse concentrazioni, tuttavia il luogo di produzione dell’auxina è l’apice vegetativo e le foglie, il che vuol dire che nel fusto normalmente c’è una concentrazione di auxina molto alta, è come se le cellule fossero abituate, se si aumenta il valore allora la cellula risponde. Nella radice basta una minima variazione e le cellule rispondono perché più sensibili. Come la radice, anche il fusto presenta una zona meristematica, una zona di distensione sottostante di pochi micron in cui le cellule smettono di dividersi e si avviano verso il processo di specializzazione e una zona in cui sono presenti i tessuti adulti, per cui parliamo di zona di struttura primaria responsabile dell’accrescimento in lunghezza e zona di struttura secondaria responsabile dell’accrescimento in diametro. Esternamente si trova l’epidermide, poi la corteccia e internamente il midollo. Tra la corteccia e il midollo sono presenti i tessuti conduttori del floema e dello xilema. Nelle angiosperme monocotiledoni, il cono vegetativo presenta diverse serie di primordi fogliari, mentre nelle dicotiledoni ci sono pochi primordi che sovrastano il cono le cui cellule si dividono e il loro destino dipenderà da dove esse si posizioneranno. Al di sotto della zona meristematica, vi è la zona di distensione in cui le cellule in parte iniz iano a specializzarsi; tra le cellule che si avviano prima delle altre bisogna ricordare le cellule del protoderma perché l’epidermide deve ricoprire i tessuti sottostanti. Le cellule del procambio daranno origine ai tessuti conduttori e già in questa zona cominciano a specializzarsi, si organizzano a formare dei gruppi che costituiscono i cordoni procambriali; devono essere immediatamente efficienti nel trasporto delle sostanze nutritive, in particolare si specializzano prima le cellule del protofloema per il trasporto della linfa elaborata. La zona di struttura primaria è caratterizzata solo da tessuti adulti. ➢ Dicotiledoni: si identifica l’epidermide, una zona intermedia che è la corteccia o cilindro corticale, la zona più interna che è il cilindro centrale. La maggior parte del fusto è occupato prevalentemente dai tessuti conduttori, in generale si trova un parenchima amilifero che analogamente alla radice, contribuisce ad accumulare l’amido prodotto dalla fotosintesi. La caratteristica dell’epidermide è che le cellule (vive) sono compatte e non lasciano spazi tra di loro, nel fusto la funzione è quella di evitare una disidratazione, di conseguenza tutte le cellule sono rivestite esternamente da uno strato di cuticola (cutina è una proteina in grado di impermeabilizzare la parete). La capacità dei giovani fusticini di essere elastici dipende dal collenchima, un tessuto meccanico costituito da cellule vive al di sotto dell’epidermide. Al di sotto del collenchima troviamo 2-3 strati di cellule ricche di plastidi, in particolare i cloroplasti nei giovani fusticini che sono elementi formati in primavera avranno un lume cellulare maggiore (metaxilema) rispetto a quelli che si formano in autunno/inverno. Dipende tutto dal diametro dei tessuti conduttori. L'accrescimento secondario provocato dal cambio cribro-legnoso determina un ingrossamento del corpo secondario della pianta, anche nel caso del fusto è necessario che si formi il cambio subero- fellodermico al di sotto dell’epidermide, si parla di attività dipleurica sia verso l’esterno sia verso l’interno. Il fellogeno è un meristema laterale costituito da un monostrato di cellule con forma cubica che si dividono secondo piani periclinali dando origine verso l’esterno a cellule del sughero e verso l’interno a cellule parenchimatiche che formano il felloderma, parenchima di tipo amilifero. Le cellule dell’epidermide secondaria, dato che devono proteggere il fusto esternamente, inizieranno a produrre la suberina formando uno spesso strato di sughero. È un tessuto isolante con funzione protettiva, le cellule sono rese impermeabili da lamelle alternate di suberina e cere depositate sulla superficie interna della parete cellulare; a maturità le cellule del sughero muoiono per morte cellulare programmata formando questo tessuto specializzato per la prevenzione della perdita di acqua e dell'attacco da parte di agenti patogeni. A livello dell’epidermide primaria del fusto sono presenti gli stomi in grado di favorire gli scambi gassosi necessari affinché la pianta sia in grado di acquisire anidride carbonica per svolgere la fotosintesi clorofilliana. L’impermeabilità del sughero comporterebbe il blocco degli scambi gassosi, se non fossero presenti le lenticelle: gruppi di cellule dell’epidermide secondaria che nel corso del differenziamento, si arrotondano lasciando spazi intercellulari nei quali possono circolare i gas. La lenticella si forma in aree in cui nell’epidermide era presente almeno uno stoma. In autunno nella regione più interna delle lenticelle si formano cellule suberificate che chiudono la comunicazione con l'esterno, mentre in primavera il nuovo fellogeno origina delle nuove cellule che spingendo verso l'esterno riaprono la lenticella. Il legno delle Angiosperme è formato da elementi diversi (vasi conduttori, fibre di sostegno e cellule parenchimatiche), per cui è definito eteroxilo in modo tale da distinguerlo dal legno delle Gimnosperme, definito omoxilo, in quanto in esse è presente un solo tipo di vasi (fibrotracheide) che unisce la funzione di trasporto e di sostegno. Anche in un pino, piante arboree, si possono distinguere delle cerchie annuali: i tessuti conduttori a lume cellulare maggiore e tessuti conduttori a lume cellulare minore. Nell’ambito di ogni zona gli elementi di conduzione hanno un diametro più o meno simile, questa tipologia di legno si chiama omoxilo. Nel legno omoxilo gli elementi di conduzione prendono il nome di fibrotracheidi, una struttura che somiglia ad un rametto il quale, rispetto ad un vaso o tracheide, possiede un lume cellulare inferiore ed una serie di punteggiature, un aspetto che somiglia molto a quello delle fibre, hanno efficienza pari alle tracheidi, ma fungono anche da tessuto meccanico come le fibre. FOGLIA È uno dei tre organi costituenti la pianta ed insieme al fusto, con il quale ha un’origine embriologica comune forma il germoglio. Ogni foglia è caratterizzata da avere un’asse portante che rappresenta la nervatura centrale e una porzione espansa di colore verde a causa dei cloroplasti necessari per la fotosintesi clorofilliana, funzione della foglia. In alcuni casi la foglia può avere una porzione assile che si chiama picciolo, importante perché permette l’attacco della lamina al fusto. La morfologia delle foglie è variegata, tutte hanno una lamina che può essere più o meno espansa a seconda dell’ambiente nel quale vive la pianta. Ogni lamina fogliare è caratterizzata da un margine, liscio o seghettato o ondulato, che è correlato ancora una volta all’habitat. In un ambiente freddo e nevoso, se la lamina è espansa gli agenti esterni possono distruggerla. Hanno sempre delle strutture sporgenti, che nell’insieme costituiscono la nervatura fogliare, organizzate in maniera differente: o Nervatura centrale che percorre la foglia da un’estremità all’altra o Nervature parallele che partono da quella centrale, parallelinervia o Nervatura centrale da cui si dipartono nervature più piccole come una rete, retinervia La lamina fogliare può essere costituita da piccole foglie composte, o può essere solo una. Foglie composte nel caso A sono di tipo palmato, nel caso B sono di tipo pennato con un’asse portante che prende il nome di rachide con una porzione terminale ovvero il picciolo. Alcune foglie possono presentare alla base del picciolo un’espansione simile ad una spatola, molto importanti in alcune piante perché costituiscono le guaine; in alcuni casi la base della foglia presenta le stipole, espansioni squamiformi caratteristiche di molte dicotiledoni. La guaina fogliare può circondare anche il fusto e a volte staccare una foglia può essere difficoltoso. Non sempre la foglia è deputata alla fotosintesi, ad esempio il bulbo della cipolla, viene utilizzata come organo di accumulo e non è foto sintetizzante a differenza del fusto. Nel caso in cui le foglie sono bianche vengono deputate alla riserva di sostanze, si parla di foglie di riserva, al contrario quando la foglia è verde si parla di nomofilli con funzione clorofilliana. Le spine in realtà sono foglie modificate la cui parete cellulare è lignificata, in questo caso vengono utilizzate come organo di difesa. Come sono disposte le foglie sul ramo? La disposizione varia da pianta a pianta, in genere ogni foglia è localizzata sul fusto a livello del nodo. Può capitare che ad un nodo ci sia una sola foglia e si parla di fillotassi alternata; ad un nodo vi si inseriscono due foglie fillotassi opposta; se si ineriscono più foglie la fillotassi è verticillata. Generalmente l’angolo tra una foglia e l’altra è di 120°, se è di 180° la disposizione è opposta. Per definire la posizione della foglia sul ramo si deve venire a creare un accumulo di auxina, per cui è geneticamente determinato e dipende dal cono vegetativo. Questa distribuzione della foglia lungo il cono e lungo il fusto prende il nome di fillotassi. Se andiamo ad effettuare sezioni istologiche della foglia, troviamo tre tipi diversi di anatomie alle quali si possono rapportare tutte le tipologie di foglia in natura: 1. Dorso ventrale → possiedono una superficie più lucida rispetto all’altra, una dorsale detta adassiale e una ventrale detta abassiale. All’esterno si trova l’epidermide organizzata in adassiale e abassiale, costituita da cellule a stretto contatto tra di loro; lo strato esterno all’epidermide è la cuticola. Le cellule epidermiche hanno all’interno del vacuolo molte sostanze quali tannini, che aiutano a riflettere le radiazioni luminose dannose e il nucleo ha una posizione ventrale in modo da proteggere il DNA; hanno un metabolismo ossigenico e necessitano di O2 e CO2, gli scambi gassosi vengono assicurati dalla presenza degli stomi. Il numero di stomi presenti sulle due epidermidi non è lo stesso, se ne trovano di più sulla parte adassiale. Tra le due epidermidi si trova il parenchima clorofilliano che prende il nome di mesofillo fogliare, le cui cellule hanno una forma differente tanto da distinguere un mesofillo a palizzata da un mesofillo lacunoso con più strati. La funzione di fotosintesi è svolta preferenzialmente dal mesofillo a palizzata perché più vicino alla superficie adassiale. Tutta la foglia è percorsa da nervature che rappresentano i fasci conduttori, la nervatura centrale può essere costituita da uno o più fasci conduttori con dimensioni differenti rispetto alle nervature secondarie. I fasci conduttori sono circondati da uno strato di cellule che costituisce la guaina del fascio che li isola dal parenchima circostante. La porzione xilematica sarà rivolta verso la superficie dorsale, la porzione floematica verso la superficie ventrale. Una stessa organizzazione strutturale può modificarsi in relazione alle condizioni ambientali, ad esempio dove la disponibilità di acqua è scarsa, nelle sclerofille precisamente negli oleandri l’epidermide è pluristratificata, il mesofillo a palizzata è più compatto questo fa sì che la foglia abbia una maggiore efficienza per l’apparato fotosintetico sebbene queste crescano più lentamente. L’epidermide ventrale forma delle insenature ricche di tricomi che hanno la funzione di mantenere l’ambiente umido perché sono presenti gli stomi che favoriscono la fuoriuscita di vapore acqueo. Le nervature sono difficili da percepire, ma formano una sorte di rete. Un’altra variante si ha nelle piante acquatiche, presentano due epidermidi non particolarmente cutinizzate, hanno un mesofillo a palizzata e uno in cui sono presenti varie lacune in cui sono imbrigliati dei gas→ si sviluppa un grosso parenchima aerifero. I cloroplasti fanno sì che l’attività fotosintetica sia ad esclusione del mesofillo a palizzata. Il tessuto conduttore è localizzato al centro del mesofillo lacunoso; i fasci conduttori sono di tipo collaterale chiuso perché nella foglia non esiste un accrescimento secondario perché non aumenta il diametro. Ha solo un accrescimento primario; 2. Isolaterale → non è possibile identificare due superfici diverse perché il sole le colpisce a 360° nell’arco della giornata. Le due epidermidi presentano la cuticola, gli stomi sono presenti su entrambe in numero eguale. Il mesofillo fogliare presenta cellule tondeggianti e il numero dei cloroplasti è omogeneo in tutto lo spessore. È come se ci fosse un unico mesofillo lacunoso anche perché al centro sono presenti alcune lacune; all’interno sono presenti le nervature fogliari parallele che partono dalla base del picciolo e si confluiscono all’estremità apicale le cui dimensioni sono simili tra di loro. Le nervature sono formate da fasci collaterali chiusi con una porzione FIORE E RIPRODUZIONE Il fiore è un organo che non è sempre presente, solo ad un certo stadio di sviluppo comprare nelle angiosperme; questo subentra nel momento in cui la pianta deve andare incontro a riproduzione. La riproduzione è il meccanismo attraverso cui un organismo vivente dà origine ad uno o più discendenti, anch’essi in grado di generare altri individui. • Riproduzione agamica o vegetativa → si ottengono individui geneticamente identici, Si basa sulla presenza di porzioni meristematiche e sulla “totipotenza” delle cellule vegetali, Garantisce la colonizzazione rapida di un nuovo sito con caratteristiche simili a quello originario, cambiamenti nell’habitat possono eliminare tutti i membri della progenie; • Riproduzione sessuale → si ottengono individui geneticamente diversi, si basa sulla produzione di cellule aploidi geneticamente diverse (gameti) e sulla fusione di due gameti in uno zigote, garantisce la colonizzazione rapida di un nuovo sito con caratteristiche diverse da quelle originarie, cambiamenti nell’habitat possono eliminare alcuni membri della progenie ma altri possono risultare adatti alle nuove condizioni. Nella riproduzione vegetativa, la progenie generata è geneticamente identica alla pianta madre e viene indicata con il termine clone. Frammentazione: molte piante presentano strutture specializzate per la riproduzione vegetativa come il rizoma ovvero fusto che cresce orizzontalmente sottoterra a volte può essere carnoso ed è ricco di tessuto parenchimatico di riserva in cui si accumula l'amido ; il tubero, porzione di fusto sotterraneo ingrossata per l'accumulo di grandi quantità di amido in cui sono presenti delle gemme dette occhi il cui sviluppo può dare vita a nuove piante. Se si tratta di gemme è possibile distinguere il bulbo costituito da una gemma portata da un corto fusto e protetta da foglie carnose ricche di riserva → da un bulbo iniziale si possono sviluppare piccoli bulbilli che dopo la degenerazione del bulbo parentale possono diventare nuove piante. Metodo per talea: una porzione di fusticino che contiene delle gemme è in grado di rigenerare le radici tramite ormoni rigeneranti, come l’auxina. Generalmente ha buon successo se il ramoscello di partenza è giovane e verde perché più capace di rigenerare. Alcune piante grasse producono da sole delle foglie vivipare, per ottenere nuovi individui da piccole porzioni di tessuto meristematico posto ai margini delle foglie, ad un certo punto dello sviluppo le piccole piante cadono sul terreno ed emettono nuove radici che le rendono autonome. Propaggine: un ramo della pianta viene sotterrato, da questo si sviluppano delle radici accessorie. Micropropagazione: tecnica di riproduzione vegetativa che ha come finalità quella di produrre individui certificati ed esenti da malattie e virus, utile per gli agricoltori. Sfrutta la capacità di rigenerazione che hanno i meristemi apicali del fusto, sia terminali sia ascellari. Organi, tessuti o singole cellule (espianti) di una pianta che sono indotte a crescere e moltiplicarsi su un substrato nutritivo a composizione chimica definita, in opportune condizioni ambientali e asettiche, si sterilizzano con ipoclorito di sodio ed etanolo. Quando si parla di riproduzione gamica, entra in gioco il fiore. Compare sul fusto all’ascella dei nodi e dove si trovano le gemme ascellari, è il risultato di una modificazione di una gemma. Costituito da una serie di elementi fiorali: 1- Sepali, foglie modificate che formano il calice 2- Petali, formano la corolla 3- Stami, formano l’androceo con antera e filamento → linea riproduttiva maschile 4- Pistilli, formano il gineceo con stigma, stilo, ovulo ed ovario → linea riproduttiva femminile 5- Ricettacolo, sono inseriti dall’esterno verso l’interno tutti gli elementi fiorali 6- Peduncolo fiorale. Nel momento in cui il meristema apicale del fusto è diretto verso la formazione del fiore, comincia a modificarsi geneticamente e ha bisogno di molte più cellule per produrre tutti gli elementi. I fattori che inducono la fioritura sono molteplici: fotoperiodo, clima, elevata produzione di amido e saccarosio rappresentano molecole segnale e le citochinine. Transita da una condizione indeterminata ad una determinata. Il fiore è una conseguenza di condizioni di stress, un segnale dice alla pianta che nel momento in cui le condizioni ambientali diventano ostili è il momento di generare una discendenza con la produzione di semi. →in questa immagine si notano tutti i primordi degli elementi fiorali, gli ultimi che si formano sono i primordi dei carpelli; fino a quando questi non si formano il cono vegetativo mantiene la sua forma. La maggior parte delle Angiosperme produce fiori bisessuali (perfetti) con parti funzionali maschili e femminili; alcune piante mostrano, però, sistemi riproduttivi organizzati in maniera differente (fiori imperfetti): - Monoiche → se portano sia fiori maschili, sia fiori femminili sulla stessa pianta, come mais - Dioiche →se ogni pianta porta solo fiori maschili o solo fiori femminili, come canapa e kiwi. Se portano solo fiori femminili sono detti pistilliferi, se portano solo fiori maschili sono detti staminali. In base alla frequenza della fioritura le piante vengono suddivise in: - Monocarpiche→ fioriscono una volta e poi muoiono; - Policarpiche → fioriscono almeno un’altra volta prima di morire. Questo aspetto è strettamente legato al ciclo ontogenetico della pianta, ciclo annuale o pluriennale. In base alla simmetria si suddividono in: - Attinomorfi→ simmetria radiale - Zigomorfi → simmetria bilaterale Cosa regola in maniera minuziosa la posizione degli elementi fiorali sul fiore stesso? Generalmente si usano dei diagrammi fiorali per il numero e la disposizione degli elementi. → Arabidopsis thaliana, 4 sepali, 4 petali, 6 stami e un carpello che deriva dalla fusione di 4 foglie carpellari. I diversi elementi del fiore sono tutti posizionati su unico piano che li interseca tutti, ma sono distribuiti sfasati l’uno rispetto all’altro. Son organizzati in verticilli, i diversi elementi dipendono ovviamente dall’espressione di geni di controllo dello sviluppo del fiore , detti omeotici. Si è formulato il modello ABCDE, dai primordi: • I geni di classe A porteranno allo sviluppo dei sepali; • Se nelle cellule si esprimono contemporaneamente geni di classe A e geni di classe B si avrà la formazione dei petali; • I geni di classe B e C contemporaneamente portano alla formazion degli stami; • I geni di classe C portano alla formazione dei carpelli; • I geni di classe D portano alla formazione degli ovuli; • I geni di classe E portano alla formazione degli elementi interni al carpello. Le porzioni fertili della pianta sono gli stami e i carpelli, da questi vengono prodotti i gameti. Ogni stame è costituito da due porzioni, una assile detto filamento e una allargata detta antera. I gameti maschili si formano all’interno dell’antera; man mano che il primordio si sviluppa si nota che l’antera è sempre formata da due porzioni simmetriche chiamate lobi e sono collegati tra di loro tramite tessuto connettivo; presenta una serie di strati cellulari, quello più esterno si chiama esotecio mentre all’interno si trova l’endotecio. Quando l’antera è matura, i granuli di polline devono fuoriuscire, per cui questa si apre in una zona specifica dovuta al fatto che le cellule dei due strati si lignificano e si rompono. I granuli di polline si vengono a formare da cellule madri delle microspore delimitate dal tappeto, che vanno incontro a divisioni meiotiche e da ognuna di esse diploidi si formano quattro spore aploidi. Nel momento in cui hanno completato la meiosi, i due sacchetti laterali si fondono tra di loro e i granuli di polline sono pronti per uscire. Se osserviamo l’antera al microscopio a fluorescenza, tramite un colorante specifico blu, è possibile osservare le spore che hanno completato la meiosi. Man mano che la meiosi si completa, i singoli granuli di polline della tetrade restano incollati tra di loro perché si deposita il callosio, un polimero del β-glucosio, che ha la funzione di isolarle dall’ambiente esterno; solo quando la meiosi è completa, il callosio viene digerito e le microspore sono libere di uscire dall’antera. Anche loro presentano un rivestimento esterno detto esina ed uno interno detto intina e nel loro insieme costituiscono lo sporoderma. La morfologia dei granuli di polline è specie-specifica e dipende dalla modalità con la quale il polline viene disperso all’esterno. Com’è fatto un carpello? È costituito da una parte basale allargata che si chiama ovario , una parte assile detta stilo e una parte superiore espansa detta stigma. Rappresenta la struttura riproduttiva femminile, l’ovario porta ad una serie di strutture ovvero gli ovuli che possono essere posizionati in modo diverso e in numero variabile. Nel caso A si parla di placentazione parietale perché gli ovuli sono attaccati alla parete dell’ovario; nel caso B si parla di placentazione assile perché l’ovario presenta una struttura assile tramite la quale prendono contatto gli ovuli; nel caso C si parla di placentazione libera, simile a quella assile solo che gli ovuli non prendono contatto con la parete. Le cellule uovo si formano all’interno degli ovuli. Se prendiamo in considerazione una sezione dell’ovario, si può vedere com’è fatto un ovulo: ogni ovulo nelle angiosperme è costituito da due tegumenti (esterno e interno) che determinano la formazione di un’apertura detta micropilo. L’ovulo è attaccato alla parete dell’ovario attraverso il funicolo, all’interno è presente un tessuto diploide detto nocella al cui interno si differenzia una cellula madre delle macrospore.
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