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Cesare Pavese "La casa in collina", Dispense di Italiano

analisi del testo, opere, contesto storico

Tipologia: Dispense

2018/2019
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Caricato il 07/04/2019

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Scarica Cesare Pavese "La casa in collina" e più Dispense in PDF di Italiano solo su Docsity! ANALISI TESTUALE (passo "I tedeschi alle Fontane", cap. 16 La casa in collina, Cesare Pavese) Il brano è tratto dal capitolo XVI del romanzo La casa in collina di Cesare Pavese. Il testo viene pubblicato nel 1949 in un volume unico intitolato Prima che il gallo canti, comprendente un primo romanzo breve, Il carcere, del 1938-39 e La casa in collina, terminata nel 1947-48. La casa in collina si snoda tra la massa di testimonianze, cronache, trasfigurazioni elegiache che l’epopea della Resistenza ha prodotto, senza limitarsi all’esposizione in primo piano della grandezza del moto resistenziale, ma mettendo in luce anche i turbamenti, le angosce, il fallimento di un uomo di fronte ad un impegno che non sa né può affrontare, se non stando a guardare. Il passo vede il protagonista, Corrado, che durante una mattutina passeggiata nei boschi circostanti il suo alloggio, assiste ad un rastrellamento da parte di soldati tedeschi, presso l'osteria delle Fontane, luogo di raduno dei suoi amici impegnati nella lotta partigiana antifascista. Il capitolo si apre con una breve ricognizione descrittiva, in cui l’io narrante, Corrado, professore di scienze presso una scuola di Torino, attraverso lo stretto legame con gli elementi della natura a lui familiari («ritrovando i muschi e i vecchi tronchi»), si appresta a introdurre il lettore alla sequenza centrale del passo. L’andamento si fa notevolmente più concitato nel momento in cui vengono riferite le fasi salienti dell’azione tedesca. Corrado guarda da lontano la retata messa in atto dai soldati, colto da un’improvvisa paralisi che gli impedisce di agire, che atrofizza la sua volontà di esporsi. La paura, che è causa dell’immobilità del protagonista, diviene dapprima sintomatica («provai come un senso di nausea, di gelo»), e poi si piega di fronte all’invitante ed umana illusione che quel dramma non stia davvero avendo luogo («tentai di dirmi ch’eran gli uomini di Fonso»). Spettatore impotente di una situazione alla quale non sa opporre una resistenza fattiva, Corrado rimane ad attendere passivamente l’incontrastabile esito degli eventi («Potevo far altro che attendere?»), e nel momento in cui azzarda l’idea di tentare la più trascurabile delle azioni, viene nuovamente paralizzato dall’avvilente senso di voltastomaco («Pensai di accostarmi, di sentire le voci. Mi riprese quel senso di nausea» ). Il pensiero del protagonista corre a Cate, donna da lui amata dieci anni prima, la quale, insieme agli altri, è solita radunarsi presso l’antica osteria, ora bersagliata dai tedeschi. La repentina volontà di correre a Torino per avvisare la donna si traduce istantaneamente in vacua speranza, non si muove e rimane ancorato dalla paura («Per la paura mi ritrassi dietro un tronco»). E quando scorge da lontano la nota figura di Dino, figlio di Cate - e forse anche del protagonista stesso – la paura tramuta in una corsa spasmodica tra gli alberi, che assume una valenza quasi liberatoria («correvo come un pazzo; la paura, l’orgasmo, la smania, diventarono corsa affannosa»). La situazione presentata è estremamente significativa dell'indole e dell'atteggiamento generale di Corrado nei confronti della guerra e della lotta partigiana: egli riveste il ruolo di spettatore, chiuso volontariamente all'interno di una campana di vetro dalla quale osserva il mondo senza prenderne parte direttamente. La frequente occorrenza del verbo vedere è volta ad enfatizzare la condizione di massima introversione del personaggio e fa particolare riferimento, nel capitolo preso in analisi, alla mancata partecipazione civile e sociale. Segue una sequenza del testo prevalentemente dialogica, in cui Dino, senza mostrare alcuna traccia della paura sentita invece dal protagonista, riferisce a quest’ultimo le fasi dell'irruzione tedesca. Corrado apprende inoltre dal ragazzo la cattura, da parte dei tedeschi, di Cate, Fonso e degli anziani proprietari del locale, nonni di Cate. A Dino, nel frattempo, era stato ordinato di nascondersi, nonostante egli desiderasse fermamente restare con familiari e amici, uscendo allo scoperto e facendosi arrestare dai militi. La casa-osteria in cui erano soliti radunarsi Cate e i suoi amici non funge più da luogo di riparo contro la storia. Sulla porta della casa in collina, alloggio di Corrado, Elvira è pronta a raccontare la sua versione dell’arrivo dei tedeschi, i quali, come riferito dalla donna, avrebbero cercato anche lo stesso protagonista. Ancora una volta Corrado è sopraffatto dalle sensazioni che lo avevano assalito mentre, da dietro le quinte, assisteva al drammatico scenario della cattura dei suoi compagni: l’inquietudine e lo sconvolgimento interno producono una reazione più fulminea del precedente senso di nausea, e si palesano con l’incapacità del protagonista di replicare alle notizie appena apprese («Fu più che una nausea, mi si disciolsero le gambe. Dissi qualcosa, non uscì la voce»). A questo punto i segnali corporei che dominano Corrado nelle prime fasi del capitolo mutano in apprensioni interiori, che conducono il protagonista ad una seduta di analisi introspettiva, i cui esiti saranno determinanti della condizione psichica del personaggio stesso. «Oggi ancora mi chiedo perché quei tedeschi non mi aspettarono alla villa mandando qualcuno a cercarmi a Torino. Devo a questo se sono ancora libero, se sono quassù. Perché la salvezza sia toccata a me e non a Gallo e non a Tono, non a Cate, non so. Forse perché devo soffrire dell’altro? Perché sono il più inutile e non merito nulla, nemmeno un castigo?» Dopo aver accettato la proposta di Elvira di rifugiarsi nel più sicuro convento di Chieri, ai piedi del versante opposto della collina torinese, l’ansia del protagonista rallenta, posta di fronte a quesiti volti a sondare e captare le reali ragioni per cui è permessa la salvezza a lui e non ai suoi compagni. Il protagonista inoltre azzarda un’ipotesi che funga da valida ragione del suo stato di incolume: egli non vive per i suoi meriti, vive anzi nella condizione di essere inutile, a cui non è dovuta neppure una pena. «L’esperienza del pericolo rende vigliacchi ogni giorno di più. Rende sciocchi, e sono al punto che esser vivo per caso, quando tanti migliori di me sono morti, non mi soddisfa e non mi basta. A volte, dopo avere ascoltato l’inutile radio, guardando dal vetro le vigne deserte penso che vivere per caso non è vivere» La condizione di superstite non costituisce nel personaggio di Corrado fonte di gioia, tregua, o serenità, anzi diviene il tormentoso rimorso di chi non si sente degno di un favorevole destino. Il protagonista sente di essere vivo per caso, in quanto la sua salvezza - diretto risultato della sua astensione alla lotta - risulta immeritata, rispetto a coloro che hanno pagato con la vita il prezzo di determinazione di ideali, e coraggio di azioni. Corrado riconosce tuttavia che vivere per caso non è vivere: la continuazione di un’esistenza profusa dalla vigliaccheria, pone il personaggio in una condizione di vita apparente, di spenta e passiva sopravvivenza. Corrado arriva a provare ribrezzo per la sua natura di pavido, e arriva all’essere disgustato dal suo stesso tentativo di non pensare ai suoi amici catturati, in modo da conferire a se stesso un attestato d’innocenza. Egli è colto dall’egoistica propensione a porre in primo piano la sua presunta irreprensibilità, quasi volendone dimenticare i retroscena. «a tutti gli altri non osavo pensare, quasi per darmi un attestato d’innocenza. A un certo punto mi scrollai, mi feci schifo» Il protagonista si trova così in balia di emozioni contrastanti («galleggiavo dentro un mare di bontà, di terrore e di pace») che elevano la riflessione di Corrado sul piano di una più corposa meditazione, come del resto avviene all’interno del libro, visto nella sua organicità. La solitudine e il rancore del personaggio, come anche il proposito narrativo con cui si presenta il libro-diario, vengono messi in secondo piano rispetto al dichiarato orientamento meditativo. Al di là del motivo politico e della guerra, il personaggio di Pavese incarna la difficoltà di scegliere, di agire, di schierarsi, di prendere partito ed esserne fedele, pur essendo inconsapevole delle conseguenze. In
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