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Cesare Pavese (la vita, opere, ideali e correnti letterarie), La casa in collina (riassunto, trama e analisi), Appunti di Italiano

Appunti sulla vita di Cesare Pavese, trama e analisi dell'opera: La casa in collina.........................

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 24/06/2021

adam-el-khedar
adam-el-khedar 🇮🇹

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Scarica Cesare Pavese (la vita, opere, ideali e correnti letterarie), La casa in collina (riassunto, trama e analisi) e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! LA CASA IN COLLINA Riassunto Protagonista e narratore delle vicende è Corrado, un docente torinese che per sfuggire ai bombardamenti che imperversano nella città si è trasferito in collina presso una donna, Elvira, e la madre di lei. Le colline torinesi sono abitate da schietta gente del luogo e da persone di città che, come lui, hanno bisogno di un rifugio. Così, malgrado Corrado prediliga la solitudine e l’isolamento, si unisce ai frequentatori di un’osteria, le Fontane,che scopre essere gestita da un suo amore del passato, Cate, che ha un figlio, Corrado (chiamato da tutti Dino), che, per motivi anagrafici, potrebbe essere addirittura suo figlio. Corrado infatti anni addietro aveva interrotto la relazione con Cate per scansare le responsabilità di un rapporto maturo ed anche adesso, di fronte alla tragedia della guerra, vive con apparente indifferenza le vicende storiche che accadono intorno a lui. Corrado si unisce al gruppo dell’osteria e, pur non scoprendo mai la verità circa la paternità di Dino, inizia a trascorrere molto tempo con lui (in maniera simile a quanto accadrà tra Anguilla e Cinto ne La luna e i falò). Nel frattempo il protagonista si interroga anche sul suo amore per Cate, che forse non si è del tutto estinto, e sul suo impegno storico e civile in un drammatico frangente storico, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. Tuttavia Corrado non esterna mai le proprie idee e non si risolve mai all’azione, osservando da spettatore la barbarie della guerra, che devasta il mondo delle Langhe, strettamente legato ai ricordi infantili di Corrado. La situazione è sconvolta da una retata dei nazisti, che all’osteria arrestano Cate e gli altri amici di Corrado, che, di ritorno da Torino, riesce fortunosamente a salvarsi assieme a Dino. Rifugiatosi prima da Elvira, innamorata di lui, e poi in un collegio a Chieri (nei pressi di Torino), Corrado affida Dino alle cure delle due donne. Il ragazzo in seguito raggiungerà il protagonista al collegio ma presto sceglie di arruolarsi nelle fila partigiane. Corrado, insicuro e incapace di affrontare l’impegno di una scelta, decide di tornare al paese natale e alla sua “casa in collina”. Durante il viaggio di ritorno, incappa in un’imboscata partigiana e la vista dei cadaveri dei fascisti gli suggerisce amare e disilluse riflessioni sul senso della guerra, dell’esistenza umana e della sua crisi esistenziale che, nella conclusione del romanzo, non è destinata a risolversi. Commento Nella Casa in collina Pavese tratta una volta ancora quel dissidio tra la solitudine contemplativa dell’intellettuale e la presa di posizione storica ed ideologica che gli eventi storici richiederebbero. Pavese avverte profondamente questo dissidio per motivi autobiografici e lo traspone, attraverso la scelta della narrazione in prima persona, nella figura di Corrado. Il protagonista, debole e irresoluto, è preso all’interno di una serie di antitesi tra cui non sa decidersi. La prima di queste è quella tra la città e la collina: se Torino è devastata dai bombardamenti, inizialmente la campagna delle Langhe si presenta come un luogo sicuro e protetto, in cui Corrado può rivivere i ricordi dell’infanzia o l’amore passato con Cate. Tuttavia, ben presto la Storia nullifica questa opposizione: dopo l’8 settembre, con lo scoppio della guerra civile tra nazifascisti e partigiani, anche il mondo della campagna è attraversato dalla violenza e tutti sono chiamati a scelte drastiche e radicali. In questo senso, è significativa l’assenza di Corrado nel momento cruciale della retata e il suo successivo disimpegno, con la scelta di rimanere nascosto da Elvira prima e nel collegio poi. La seconda antitesi è appunto quella tra chi si impegna (mostrando un legame attivo tra sé e il mondo esterno) e chi, come Corrado, è vittima del dubbio e dell’incertezza. Bisogna notare che questa crisi riguarda sia la vita privata che quella pubblica di Corrado. Se egli infatti non sa decidersi ad aderire alla lotta partigiana contro i repubblichini, sul piano personale è succube di tormenti analoghi. Corrado infatti non sa se Dino è davvero figlio suo, ma prova ad identificarsi in lui e a svolgere un ruolo paterno nei suoi confronti. Assai significativa in questo caso la decisione finale di Dino di abbandonare la sicurezza del collegio per entrare tra i partigiani, abbandonando Corrado nella sua incapacità di agire. In secondo luogo, quando rivede Cate il protagonista si domanda se il loro amore sia davvero finito, ma non fa nulla per riallacciare davvero il loro legame; dopo la retata, Corrado non saprà più nulla del destino della donna. In terzo luogo, Corrado preferisce quasi sempre la solitudine al rapporto con gli altri e con il mondo: prova ne è prima il suo rifugio nel microcosmo familiare della casa di Elvira e della madre e poi la scelta di autoescludersi da tutto ritornando alla “casa in collina”. Ultima e più profonda antitesi è quella tra l’uomo e la Storia, di cui la guerra è una metafora assai evidente ed esplicita. Qui la crisi interiore di Corrado diventa una più ampia riflessione dell’autore sul significato dell’esistenza umana, in relazione con il valore della nostra vita e il senso della morte, specie quella di natura violenta. Corrado non riesce e non sa risolvere questo enigma, come testimoniano le ultime righe del romanzo: Ci sono dei giorni in questa nuda campagna che camminando ho un soprassalto: un tronco secco, un nodo d'erba, una schiena di roccia, mi paiono corpi distesi... Io non credo che possa finire. Ora che ho visto cos'è la guerra, cos'è la guerra civile, so che tutti, se un giorno finisse, dovrebbero chiedersi: - E dei caduti che facciamo? Perché sono morti? - Io non saprei cosa rispondere. Non adesso, almeno. Né mi pare che gli altri lo sappiano. Forse lo sanno unicamente i morti, e soltanto per loro la guerra è finita davvero. La conclusione del romanzo Le riflessioni di Corrado e il senso che esse danno a tutta La casa in collina diventano particolarmente significative nell’ultimo capitolo, quando Corrado è ormai solo e ha perduto gran parte dei propri punti di riferimento nelle altre figure della narrazione. I pensieri del protagonista vanno con insistenza al significato della violenza e della guerra: È qui che la guerra mi ha preso, e mi prende ogni giorno. [...] non è che non veda come la guerra non è un gioco, quella guerra che è giunta fin qui, che prende alla gola anche il nostro passato. [...] Ho visto i morti sconosciuti, i morti repubblichini. Sono questi che mi hanno svegliato. Se un ignoto, un nemico, diventa morendo una cosa simile, se ci si arresta e si ha paura di marchiato da una tragica visione della vita, concentrata sulle problematiche esistenziali e sul mito contrapposto alla realtà contemporanea. La vita di Cesare Pavese Cesare Pavese nasce a Santo Stefano Belbo (piccolo paese nelle Langhe, in provincia di Cuneo) il 9 settembre del 1908. Il padre, cancelliere del tribunale di Torino, aveva un podere a Santo Stefano Belbo ma, per via del lavoro del padre, ben presto la famiglia deve trasferirsi a Torino. Questo trasferimento segnerà il giovane Cesare, il quale rimpiangerà per sempre con gran malinconia i paesaggi e i luoghi del suo paese natio, simbolo di serenità, spensieratezza e di luogo dove trascorrere le vacanze. Una volta giunto nella città piemontese, il papà muore dopo poco tempo. Cesare, ancora molto giovane, soffrirà moltissimo questa perdita, la quale influenzerà molto la sua indole. Già di per sé scontroso e introverso, Pavese manifesta in età adolescenziale attitudini molto diverse da quelle dei coetanei. Ama i libri e la letteratura, il contatto con la natura - che preferisce a quello con gli altri - e il suo comportamento timido e introverso gli fa preferire le lunghe passeggiate nei boschi e l’osservare uccelli e farfalle alla compagnia degli altri ragazzi, che vede un po’ come fumo negli occhi. La morte del padre di Pavese non ha segnato solamente lui, ma anche la mamma. La donna, non in grado di assorbire il duro colpo dato dalla morte del marito, si chiude in se stessa e tende ad allontanarsi dal figlio, manifestando nei suoi riguardi riserbo e freddezza. Per questa ragione la donna tira su Cesare più come un padre con una mentalità vecchio stampo che come una madre affettuosa. Un altro tratto inquietante e insito nella natura di Pavese è la propensione al suicidio, che lui stesso definisce “vizio assurdo”, e di cui si possono trovare le tracce anche già in quasi tutte le lettere del suo periodo al liceo, soprattutto in quelle indirizzate all’amico Mario Sturani. Per tutta la vita Pavese è stato così, tormentato dalla drammatica oscillazione tra il desiderio di stare da solo e il bisogno delle altre persone. Questa sua attitudine ha avuto diverse interpretazioni nel tempo: per alcuno sarebbe il logico risultato dell’introversione vissuta in adolescenza, per altri il risultato dei suoi traumi infantili. Altre persone ancora pensano che questo suo modo di essere celasse l’impotenza sessuale, certo indimostrabile, ma che sembra trapelare da alcune pagine del suo diario, il celebre "Il Mestiere di vivere". Pavese studia a Torino e, come molti altri intellettuali di quel periodo, ha la fortuna di avere come professore al liceo Augusto Monti, celebre antifascista al quale deve molto. Sono questi i primi anni in cui Cesare prende parte anche ad iniziative politiche, pur se con riluttanza e resistenza, mettendo tutto sé stesso, invece, in questioni di natura puramente letteraria. Dopo gli studi liceali, Pavese si iscrive alla facoltà di Lettere e fa fruttare i suoi studi di letteratura inglese lavorando come traduttore dopo la laurea. I suoi soggetti preferiti sono le opere degli scrittori americani (Sinclair Lewis, Herman Melville, Sherwood Anderson). Nel 1931 arriva per Cesare un altro grave lutto, la perdita della madre, in un periodo già di per sé difficile. Pavese ha scelto di non iscriversi al partito fascista e il suo lavoro è molto precario: oltre alle traduzioni insegna, solo saltuariamente però, in istituti scolastici sia pubblici che privati. Così come altri autori, anche Pavese ha problemi con il fascismo e viene additato come intellettuale antifascista per aver cercato di proteggere una donna iscritta al partito comunista. Lo scrittore viene, per questo, condannato al confino. Pavese passa così un anno a Brancaleone Calabro, dove inizia a scrivere il suo diario “Il mestiere di vivere", che sarà edito postumo nel 1952. Nel 1934 ottiene un successo lavorativo, diventando direttore della rivista Cultura. Una volta tornato a Torino, pubblica nel 1936 la sua prima raccolta di versi, “Lavorare stanca”, che viene praticamente ignorata dalla critica. Nel mentre il suo lavoro di traduzione degli scrittori inglesi e americani prosegue e collabora in maniera attiva con Einaudi. La sua produzione letteraria più ricca risale al periodo compreso tra 1936 e 1949. Nel periodo della guerra Pavese si rifugia a casa della sorella, a Monferrato, e il ricordo di questo periodo è trattato ne "La casa in collina". A questo periodo risale il primo tentativo di suicidio quando, dopo essere tornato in Piemonte, scopre che la donna di cui era perdutamente innamorato si è sposata. Finita la guerra, Cesare si iscrive al Pci e pubblica "I dialoghi col compagno" nel 1945 sull’Unità. “La luna e i falò” è del 1950 e anche “La bella estate”, vincitore del Premio Strega nello stesso anno. La propensione al suicidio che Pavese ha manifestato fino dall’adolescenza ha la meglio il 27 agosto 1950 quando, a soli 42 anni, lo scrittore sceglie di togliersi la vita in una camera d’albergo a Torino. Sulla prima pagina di una copia de “I dialoghi con Leucò” lascia scritto a penna "Perdono a tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi", in previsione del clamore che il suo gesto avrebbe suscitato. Le opere di Cesare Pavese Tra racconti, romanzi, poesie, traduzioni, lettere e diari, Cesare Pavese è stato uno scrittore particolarmente prolifico. Qui di seguito segnaliamo le opere più importanti.  La bella estate  Dialoghi con Leucò  Tre donne sole  Lotte di giovani e altri racconti 1925-1939  La collana viola. Lettere 1945-1950  Letteratura americana e altri saggi  Il mestiere di vivere (1935-1950)  Dal carcere  Il compagno  La casa in collina  Verrà la morte e avrà i tuoi occhi  Poesie del disamore  Prima che il gallo canti  La spiaggia  Paesi tuoi  Feria d’agosto  Vita attraverso le lettere  Lavorare stanca  La luna e i falò  Il diavolo sulle colline Cesare Pavese: poetica e pensiero La personalità dell’autore è specchio della sua poetica e del pensiero che egli trasmette nelle sue opere. Introverso, tendente alla depressione e al suicidio (poi tragicamente attuato), Pavese è affetto da quella che egli stesso definisce “paura di vivere” che si traduce nella spiccata tendenza a dubitare di tutte quelle che sono le decisioni importanti da prendere nella vita. In molti sostengono anche che la via del suicidio venne percorsa da Pavese pure per via di diverse frustrazioni sentimentali che provò negli ultimi anni della sua esistenza. La poetica di Pavese, dunque, è caratterizzata da un contrasto tra fanciullezza e adolescenza, viste come età di spensieratezza inconsapevole, e l’età adulta, caratterizzata invece da una serie di doveri imposti dalla società, primo fra tutti il lavoro. Spesso parlerà del lavoro, Pavese, considerandolo fonte di fatica e oppressione alle quali l’uomo può sfuggire solo e soltanto attraverso l’immaginazione e il ricordo dei momenti belli e spensierati che hanno caratterizzato la sua infanzia. Altro contrasto caro al poeta, tanto quanto quello di fanciullezza e età adulta, è quello tra campagna e città. In molte opere dell’autore, infatti, la città è simbolo di alienazione e oppressione e, al contrario, la campagna rappresenta il ritorno alla libertà dell’uomo, il luogo del rapporto sereno con il mondo e con la natura. Altro tema particolarmente caro all’autore è il contrasto tra la figura letteraria del “ragazzo”, inteso come adolescente che alle soglie della giovinezza vive pieno di curiosità verso il mondo e non vuole altro che emanciparsi dal nido familiare e il “vecchio”, colui che ormai è stanco e disincantato, consapevole delle vanità della vita di ognuno e ormai privo di speranze per il futuro. La scrittura[modifica | modifica wikitesto] Nel romanzo La casa in collina viene a definirsi lo stile più maturo dello scrittore che riesce a dare una nuova e personale soluzione alla sua prosa. Egli, attraverso un lungo lavoro di analisi del linguaggio, è in grado di bilanciare il rapporto lingua-dialetto superando in questo modo la prima fase del realismo con una lingua classica e parlata insieme. La scrittura di Pavese, nella Casa in collina, diventa ritmata e dona al lettore la sensazione che il racconto abbia una intonazione.[3] Le scelte tematiche[modifica | modifica wikitesto]
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