Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Cesare Pavese - letteratura italiana, Dispense di Italiano

Biografia La luna e i falò: trama, significato dell’opera, il titolo e la realtà simbolica analisi CAPITOLO I, CAPITOLO III – CALIFORNIA, CAPITOLO IX – “La luna, bisogna crederci per forza” Il Mito

Tipologia: Dispense

2021/2022

In vendita dal 12/03/2023

chiaracav03
chiaracav03 🇮🇹

4.7

(6)

55 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Cesare Pavese - letteratura italiana e più Dispense in PDF di Italiano solo su Docsity! CESARE PAVESE Cesare Pavese nacque il 9 settembre 1908 a Santo Stefano Belbo, nelle Langhe cuneesi, dove la famiglia torinese trascorreva le vacanze. Il padre morì quando lui aveva solo 6 anni, quindi fu educato dalla madre, una donna severa che accentuò la timidezza del figlio. Questa difficile situazione familiare contribuì alla fragilità psicologica dello scrittore. Frequentò un prestigioso istituto gesuita a Torino, ma si trovò in difficoltà a causa dei suoi modi provinciali. A causa di questa difficoltà di inserimento nella vita cittadina, rivolse il suo interesse verso l’ambiente contadino in cui era nato. Dopo il ginnasio, frequentò il liceo D’Azeglio, dove ebbe come professore di italiano e latino il narratore e saggista Augusto Monti, che aveva un atteggiamento di avversione nei confronti del fascismo. Nel 1926 si iscrisse alla Facoltà di Lettere, laureandosi nel 1930 con una tesi intitolata Interpretazione di Walt Whitman poeta. Pavese aveva un interesse molto forte per la letteratura degli Stati Uniti, infatti tradusse Il nostro signor Wrenn di Sinclair Lewis, Moby Dick di Herman Melville, Riso nero di Sherwood Anderson, John Dos Pasos, Gertrude Stein, William Faulkner. Tradusse anche scrittori inglesi come Defoe, Dickens e Joyce. Nel 1934 diventò direttore responsabile della rivista “La Cultura”, pubblicata da Einaudi, anche se l’anno successivo dovette abbandonare l’incarico. Pavese subì varie perquisizioni poiché frequentava intellettuali vicini al movimento antifascista “Giustizia e Libertà”. Nel maggio 1935 venne trovato in possesso di alcune lettere compromettenti e fu condannato a tre anni di confino a Brancaleone, in Calabria. Dopo questa esperienza scrisse il racconto lungo Il carcere. Iniziò a tenere un diario, fatto di note e appunti frammentari, pubblicato postumo nel 1952 e intitolato Il mestiere di vivere. È uno dei principali esempi di genere autobiografico del Novecento: da un lato propone una riflessione sul significato e sulla tecnica della poesia e della narrazione, dall’altro si presenta come diario esistenziale. Nel 1936 Pavese tornò a Torino e scoprì che la donna che amava si era sposata; oltre alla delusione sentimentale si aggiunge anche l’insuccesso della raccolta di poesie Lavorare stanca. Ritornò alla traduzione e all’attività editoriale, ma continuò a scrivere, prevalentemente in prosa, che riteneva uno strumento più adatto per descrivere la sua visione del reale. Scrisse una serie di racconti pubblicati postumi nel volume Notte di festa, successivamente compose i suoi primi romanzi come Il carcere, Paesi tuoi (attirò l’attenzione della critica), La bella estate, La spiaggia. Nel 1943, il giorno dell’armistizio, Pavese era Roma. Al suo ritorno a Torino non trovò più i suoi amici, che parteciparono alla guerra partigiana. Lo scrittore non ebbe il coraggio di parteciparvi e si rifugiò nel Monferrato. In questo isolamento ritenuto da lui umiliante, ebbe un periodo di profonda crisi, durante il quale si dedicò ad una riflessione sul significato del mito, della religione e dei valori della cultura classica. L’esperienza di questi anni ispirerà la composizione del romanzo La casa in collina. Nel dopoguerra Pavese riprende la sua attività editoriale all’Einaudi. Fu proprio lui a realizzare la famosa “Collana viola”, una collezione di studi religiosi, etnografici, antropologici e psicologici legata ai suoi interessi per il mito. Per porre rimedio al suo atteggiamento passivo negli anni della Resistenza, aderì al Partito Comunista e collaborò con il quotidiano “l’Unità”, sul quale pubblicò articoli in cui affrontava il problema del ruolo degli intellettuali e del rapporto letteratura-società. Nel 1947 uscì Il compagno, un romanzo a sfondo politico. Fu accusato dalla sinistra di voler ritornare a soluzioni culturali di tipo irrazionalistico, a causa di un suo articolo sul mito, apparso sulla rivista “Cultura e realtà”. Il disagio dello scrittore aumentava sempre di più, infatti nel suo diario annota di avere pensieri suicidi. La situazione peggiora a causa del fallimento della relazione amorosa con l’attrice americana Constance Dowling, a cui è ispirata la breve raccolta di versi Verrà la morte e avrà i tuoi occhi. Non lo confortò neanche il successo editoriale con opere famose come i racconti Feria d’agosto, i Dialoghi con Leucò (ispirati ai miti classici), Prima che il gallo canti, La bella estate. Nel giugno 1950 ottenne il premio Strega e il 27 agosto dello stesso anno si uccise. La luna e i falò La trama Il protagonista-narratore è Anguilla, un trovatello cresciuto in un paese delle Langhe, che torna nei luoghi d’origine dopo aver fatto fortuna in America. Gli ritornano alla mente gli anni dell’infanzia e della giovinezza, dopo che era stato adottato da una povera famiglia che abitava nel “casotto” sulla collina di Gaminella. Le persone che conosceva sono scomparse e i luoghi sono cambiati. È rimasto solo Nuto (falegname e cantante): • Il compagno di un tempo, con cui ricorda vicende passate, come il fatto di essersi conosciuti a delle feste dei paesi vicini, dove Nuto suonava il clarino. • È più vecchio e posato, gli aveva insegnato “molte cose”, gli aveva dato il suo sostegno e fatto aprire gli occhi. • Rappresenta la maturità di chi non è corso dietro ai sogni ed è rimasto fedele alle proprie radici. • Adesso ha anche il compito di colmare il vuoto degli anni in cui il protagonista è rimasto lontano. Anguilla viene informato di tutte le sventure che hanno colpito le figlie del sor Matteo, un ricco possedente presso il quale lavorava Anguilla prima di trasferirsi in America. La più giovane, Santa è stata uccisa e bruciata dai partigiani. Neanche il dopoguerra ha portato pace, perché vengono rinvenuti dei cadaveri e Nuto prova un forte sentimento di pietà. Nel frattempo, Anguilla ha conosciuto Cinto, un povero ragazzo sciancato, che vive nel “casotto” di Gaminella ed è costretto a subire i maltrattamenti del padre. Questo, in preda da un’improvvisa crisi di follia, dà fuoco all’abitazione e solo Cinto riesce a salvarsi, rimanendo nascosto e pronto a difendersi con un coltello che gli ha regalato Anguilla. Il protagonista decide di abbandonare il Paese e di affidare a Nuto l’avvenire di Cinto. Il proposito di sistemarsi nella terra d’origine è fallito. Il significato dell’opera Il romanzo La luna e i falò, scritto nel 1949 e pubblicato l’anno successivo, racchiude in sé tutta l’opera pavesiana, in quanto ne riassume le tematiche fondamentali. La vicenda del romanzo assomiglia molto a quella della sua poesia d’esordio I mari del Sud, dove il motivo conduttore era rappresentato dal ritorno alle Langhe dopo un lungo vagare intorno al mondo. Inoltre, ne La luna e i falò comprare il mito dell’America, che aveva suggestionato Pavese sin dalla giovinezza. Per concludere, la riconquista delle proprie radici che si realizza nella poesia, risulterà impossibile per il protagonista del romanzo. Il titolo e la realtà simbolica Già dal titolo si precisa la presenza di una “realtà simbolica”, fondata sul mito. La presenza della “luna” e le sue fasi accompagnano le vicende del destino umano, infatti, scandiscono i ritmi della vita contadina e le stagioni. I “falò” sono i fuochi accesi dai contadini, di notte, durante le feste paesane. Sono entrambi elementi appartenenti a una realtà arcaica, legati ai miti della terra e ai miti di propiziazione. Questi rappresentano, per il bambino che li osserva, un momento magico e iniziatico di scoperta della vita. Al significato di questi falò, si contrappongono altri falò, che per il protagonista rappresentano la perdita delle illusioni e la decisione di abbandonare per sempre il paese. Uno di questi è rappresentato, metaforicamente, dall’incendio al “casotto”, l’altro si riferisce alla morte di Santa sul rogo. I falò dell’infanzia sono elementi legati alla vita collettiva caratterizzata dall’atmosfera gioiosa della festa, a cui si sostituiscono i falò della maturità, che portano distruzione, morte, solitudine ed estraneità. I capitoli sono brevi, tutto gira intorno al protagonista e a quelle che sono state le sue ferite e i suoi conflitti. CAPITOLO I 1. L’incipit è folgorante. La narrazione comincia in medias res senza introduzioni, proponendo una riflessione del protagonista-narratore e presentandolo in poche righe. Il protagonista è il narratore, di cui non si conosce il nome. È Anguilla, un uomo consapevole di non appartenere alle Langhe, sua terra natale. Ricorda la sua infanzia presso la casa di contadini Nora, la fidanzata, gli fa paura come gli avventori che frequentano il locale in cui lavora. In un lungo monologo interiore, fatto la sera, sotto le stelle, gli tornano alla mente immagini di femminicidi, della violenza commessa dagli americani sulle donne: “Adesso sapevo perché ogni tanto sulle strade si trova- va una ragazza strangolata in un’automobile, o dentro una stanza o in fondo a un vicolo.” Lo sradicamento, vissuto fin dalla sua venuta al mondo per il fatto di essere un trovatello, lo portano ad avere questo rapporto controverso con Nora e con il mondo femminile in generale. Infatti dice che per lasciarsi toccare doveva essere sbronza. Già si preannuncia il momento in cui la lascerà: “Un bel mattino non mi avrebbe più visto, ecco tutto. Ma dove andare?” Alla consapevolezza della fine della relazione con Nora si accompagna quella di non avere un posto, un luogo, una terra ferma sotto i piedi, può solo tornare indietro: “Ero arrivato in capo al mondo, sull’ultima costa, e ne avevo abbastanza. Allora cominciai a pensare che potevo ripassare le montagne”. È presente anche l’idea del suicidio “buttarmi dal molo”. 4. Schema dell’incontro: in ogni capitolo de La luna i falò c’è l’incontro con un personaggio, un piemontese, anch’egli emigrato in America, a cui parla del suo amico di infanzia Nuto. Nuto è ispirato ad un personaggio reale, un falegname amico di Pavese. Nasce un dialogo che tende a riprodurre fedelmente il parlato, privo di qualsiasi letterarietà. Sul magistero di Hemingway, cerca di scrivere i dialoghi così come avvengono nella realtà. L’incontro con questo piemontese gli ricorda che ha girato il mondo ma non riesce comunque a trovare radici. Questo schema riproduce quello dei canti della Commedia in cui Dante incontra diversi personaggi e parla con loro. 5. Stile-linguaggio: Pavese usa forme tendenzialmente vicini al parlato: riproduce cadenze dialettali, spezzature del periodo, anacoluti (tema sospeso, soggetto senza concludere la frase), paratassi. L’andamento della sua prosa è scarno ed essenziale. Cerca la musicalità, il ritmo (prima Pavese era un poeta). Semplifica per allontanarsi dal linguaggio troppo aulico e letterario della tradizione italiana. Sviluppa questo stile traducendo autori come Faulkner, Dos Passos, Joyce, Daniel Defoe e anche Dickens (David Copperfield). CAPITOLO IX – “La luna, bisogna crederci per forza” Il capitolo è costituito da un duplice confronto: del protagonista con Cinto, prima, e con l’amico Nuto poi. Il capitolo è formato da due dialoghi che hanno un significato fondamentale per l’intera opera. Consentono di comprendere in cosa consista la “realtà simbolica” che Pavese cerca di raggiungere in molte opere precedenti e che culmina in questa. 1. I discorsi di Anguilla si collegano ad alcuni momenti fondamentali dell’opera, come il dialogo con Cinto. Cinto è un bambino zoppo di 10 anni che abita nella cascina dove aveva vissuto Anguilla. Vive in una famiglia povera dove viene trattato male. Pavese aveva letto nella letteratura antropologica che i personaggi claudicanti (zoppicanti) sono in contatto con l’aldilà o con gli dei, secondo diversi miti. L’idea del contatto con l’aldilà è presente, infatti il padre di Cinto uccide tutta la famiglia bruciando la cascina e lui è l’unico a sopravvivere. Cinto è sia un figlio adottivo che un doppio per Anguilla: “doveva uscire dalle grinfie del padre, sarebbe meglio fosse nato bastardo”, dice Anguilla. Lui vorrebbe che Cinto fosse bastardo, come lui, ed è come se volesse essere un lui il padre. Nel dialogo, Cinto afferma che i falò (=fuochi che secondo la tradizione pagana rendono la terra fertile) sono solo superstizioni tipiche della realtà contadina, mentre Anguilla afferma che non sono superstizioni, ma la componente di un mito che ha radici negli antichissimi riti propiziatori. 2. Con Nuto parla della luna, che ha una sorta di potere mitico: “- Questa è nuova, - dissi. - Allora credi anche nella luna? - La luna, - disse Nuto, - bisogna crederci per forza. Prova a tagliare a luna piena un pino, te lo mangiano i vermi. Una tina la devi lavare quando la luna è giovane. Perfino gli innesti, se non si fanno ai primi giorni della luna, non attaccano.” Nonostante Nuto sia comunista, quindi ateo, crede nel potere della luna. Per Nuto, la presenza della luna è necessaria alla vita contadina, perché è sulle sue fasi che si regolano i tempi e i modi del lavoro dei campi, nel continuo susseguirsi delle stagioni. Nel calendario contadino, il tempo non è quello lineare della vita cittadina, ma quello ciclico dell’eterno ritorno. 3. Per Pavese, solo la “realtà simbolica” è in grado di cogliere il tempo cosmico della luna, e quindi del mito. I falò si accendono durante le feste e nei ritmi che detta la luna, quindi la realtà non si esaurisce in se stessa vale solo in quanto assume un valore simbolico, giustificato dalla presenza del mito. Grazie al discorso di Nuto, il protagonista si rende conto di ciò che aveva perduto lasciando i luoghi dell’infanzia. 4. Nel finale, si delinea la contrapposizione tra campagna e città, a partire dalla delusione avvertita dall’impatto con una realtà diversa: “C'era il porto, questo si, c'erano le facce delle ragazze, c'erano i negozi e le banche, ma un canneto, un odor di fascina, un pezzo di vigna, dov’erano?”. È la consapevolezza il dolore della perdita: “Anche la storia della luna e dei falò la sapevo. Soltanto, m'ero accorto, che non sapevo più di saperla”. 5. Il linguaggio scarno ed essenziale, paratassi, ricostruzione del linguaggio parlato con espressioni dialettali. Mito Pavese considera il mito un elemento essenziale e integrante della sua produzione letteraria. L’interesse nei confronti del mito nasce dalla lettura di autori classici e moderni, come Nietzsche, d’Annunzio, Mann, che viene approfondito dallo studio di testi specialistici etnografici e antropologici. Nel saggio teorico Il mito: • L’autore parte dalla definizione di “santuario” (“il luogo mitico dove è accaduta un giorno una manifestazione, una rivelazione del divino”). • Successivamente, spiega cos’è per lui il mito: “la trasfigurazione di un’esperienza a contatto con il mistero o con il sacro che, verificandosi per la prima volta, resta unica ed eccezionale, come se fosse “fuori dal tempo”, acquistando un valore assoluto ed eterno. Quindi, un luogo unico legato a un fatto, un gesto, un evento. • Da questo deriva che, per Pavese l’infanzia appare come un periodo della vita straordinario e privilegiato, in cui ogni esperienza avviene per la prima volta. Nel Mestiere di vivere l’autore afferma che il mondo infantile è decisivo per lo sviluppo dell’individuo, perché in esso si sperimenta un legame più stretto con il “naturale”, il “primitivo” e il “selvaggio”, da cui si genera il mito. • È anche sinonimo di simbolo, infatti l’unicità del luogo lo rende simbolico. • Il mito è legato all’attività letteraria, è l’immagine centrale di ogni scrittore a cui torna sempre, come fanno Dostoevskij e Stendhal. Per Pavese, la collina è un luogo mitico su cui deve vivere, a cui deve sempre ritornare, luogo dell’infanzia, luogo di un alto valore simbolico, luogo unico, che torna sempre all’interno della sua opera (collina delle Langhe, collina in California, quando si allontana e va vicino al mare viene persino arrestato). Per Pavese, il mito può essere sia collettivo e antropologico, si forma nelle epoche più remote dell’umanità, che individuale e personale, ha origine durante l’infanzia di ciascun uomo. Tra i due non c’è differenza perché sono entrambi prodotti dalla coscienza umana e si basano sul contatto con il mistero o con il sacro. Il mito è la materia informe, l’arte e la letteratura sono le operazioni razionali che lo rappresentano attraverso la parola. Il compito della poesia è chiarire il mito in modo ordinato e completo. A differenza di Levi, che fa delle dichiarazioni dirette ed esplicite citando Dante, in Pavese non emerge subito la vicinanza a Dante. Il rapporto di Pavese con Dante: • Pavese legge Dante approfonditamente al liceo, grazie suo professore di italiano, Augusto Monti. Teneva delle lezioni pomeridiane, alle quali Pavese assisteva, anche con 39 di febbre. Pavese dice che Monti si trasfigurava leggendo la Commedia. • L’interesse per Dante continua dura te tutta l’adolescenza. Ha già aspirazioni letterarie e legge molto. Scrive “i libri sono il riassunto di secoli conservati appunto viventi”. Dante è parte di questi secoli passati. • Nel Mestiere di vivere, negli appunti degli ultimi giorni di confino (1936), dice che Dante e Shakespeare sono “potenti, favolosi costruttori”. • Il 9 marzo del 1948 ribadisce: “I quattro più grossi mondi sono Platone, Dante, Shakespeare e Dostoevskij”. • Però, afferma che Dante non può servire come modello della prosa, ma può servire per dar vita a un realismo simbolico. Questo giustifica la carenza di citazioni testuali. La lingua poetica di Dante “non ha potuto, né potrà mai servire di modello a composizioni in prosa”. Dante lo porta verso una “poesia di situazione” e un realismo simbolico, nel senso che uno scrittore deve credere realmente in ciò in cui scrive. • Ciò lo mette in atto già nella prima raccolta di poesia Lavorare stanca. Pavese spiegava che il suo modo di raccontare immagini doveva evocare «una realtà non naturalistica ma simbolica», non un’autobiografia ma un giudizio, come succede nella Divina Commedia”. • La trama de I Mari del Sud evoca Dante senza mai citarlo esplicitamente. Il primo verso, “Camminavo una sera sul fianco di un colle”, richiama “nel mezzo del cammin di nostra vita”. Il verbo camminare ritorna anche successivamente, quando il cugino che lo accompagna, “cammina per l’erta”, come Dante “al cominciar de l’erta” del colle illuminato dal sole. Riferimenti a Dante ne La luna e i falò: • Pavese inizia a creare i simboli, prima nella poesia, come aveva fatto Dante, e poi lo fa anche ne La luna e i falò. • Quando inizia a scrivere La luna e i falò, scrive una lettera ad un suo amico, nella quale scrive: La luna e i falò, un libro nato, dantescamente, da “una mirabile visione grazie alla quale dovrei costruire una mia modesta Divina Commedia”. Così scriveva solo due mesi prima di cominciare la stesura de La luna e i falò. • Come Dante mette in scena il viaggio fino nell’inferno, anche Anguilla scende in un aldilà che è il paesaggio della sua infanzia, visto come un luogo mitico. • Inoltre, ci sono somiglianze nella struttura: - In quest’opera ci sono 32 capitoli, che sono molti, mentre le cantiche dantesche sono 33. - I capitoli sono brevi rispetto ai romanzi italiani, come anche i capitoli di Dante sono brevi rispetto all’Eneide. Pavese scrive nel 1943 che “la poiesis italiana ama le grandi strutture fatte di piccoli capitoletti”, i “brevi canti” della Commedia ne sono un esempio. - Ritorno ai luoghi mitici. - Nuto è per Anguilla quello che Virgilio era per Dante, e ciò l’aveva notato già Calvino. - Tutto il romanzo si basa su una serie di brevi incontri con personaggi che appaiono, parlano della loro condizione e scompaiono, proprio come nella Commedia. • Anguilla è come un Ulisse dantesco, perché: - Come Ulisse, ha navigato attraverso l’oceano. - Come Ulisse, vuole tornare a casa dopo vent’anni di assenza e quando lo fa sente di non appartenere più a quel luogo. - Come Ulisse è in continuo viaggio, un continuo vagare alla ricerca di un impossibile senso di appartenenza.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved