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Che cosa sono i concetti, Sintesi del corso di Filosofia del Linguaggio

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Tipologia: Sintesi del corso

2014/2015

Caricato il 10/06/2015

rossella-borzi1
rossella-borzi1 🇮🇹

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Scarica Che cosa sono i concetti e più Sintesi del corso in PDF di Filosofia del Linguaggio solo su Docsity! CHE COSA SONO I CONCETTI Per comprendere e modificare la realtà, la nostra mente è in grado di rappresentarne i concetti salienti e ricorrenti e di elaborare queste rappresentazioni: i CONCETTI. Il concetto è stato definito da molti filosofi come: le rappresentazioni generali delle categorie, la cui funzione è marcare l’identico e connettere, rendendo possibile la categorizzazione e le altre competenze cognitive superiori. O ancora i concetti possono essere definiti come: strumenti cognitivi che permettono di dare un ordine all’esperienza e di organizzare i singoli elementi della realtà in categorie. Applicare un concetto per categorizzare significa riconoscere che l’esperienza presente è simile a qualcos’altro, già incontrato prima: che appartiene a un tipo, una categoria. Usare un concetto per pensare o immaginare permette di utilizzare le informazioni che possediamo, anche in assenza dello stimolo che le ha generate. Per questo i concetti sono fondamentali per l’uso e la produzione del linguaggio, per il ragionamento, la soluzione dei problemi, l’immaginazione e l’azione. Le categorie sono i tipi di cose che, per una ragione o per un’altra, ci interessa distinguere e rappresentare tramite i concetti: specie, eventi e tipi di oggetti (i cani, il Natale, i coltelli) o proprietà (divertente, cinese, blu). Diciamo che un concetto si riferisce o rappresenta una categoria – ad esempio il concetto di cane si riferisce a tutti i cani passati, presenti e futuri, e il giudizio “è un cane” è vero per ognuno di essi. Come deve essere fatto un concetto per rappresentare una categoria su tutte le altre? Questa è la cosiddetta “questione semantica”. La risposta classica è: un concetto rappresenta una categoria perché codifica tutte e sole le proprietà che i membri di quella categoria possiedono. Ogni categoria ha una natura – un insieme di proprietà condivise – che il concetto rispecchia/esprime. La categorizzazione è un processo complesso che avviene nella nostra mente: categorizzare significa rendere disponibili informazioni percettive per il ragionamento, l’azione o la comunicazione, indagare la natura dei concetti dal punto di vista cognitivo comporta porsi il problema delle relazioni tra concetti e percezione, capacità di parlare e comprendere. I concetti esistono? Se non avessimo i concetti tutto ciò di cui facciamo esperienza non ci sarebbe. Senza concetti la vita mentale sarebbe caotica. Se percepissimo ciascuna unità come unica, saremmo sopraffatti dalla effettiva diversità di ciò di cui facciamo esperienza, e non riusciremmo a ricordarne altro che una minima parte. E se ci fosse bisogno di un nome diverso per ogni entità individuale la nostra lingua sarebbe terribilmente complicata e la comunicazione praticamente impossibile. I concetti quindi ci servono per “marcare l’identico” in situazioni diverse. Marcare l’identico richiede che venga tralasciata, in qualche misura, l’informazione sulle differenze ma permette di connettere le informazioni ricevute. La funzione dei concetti di sostanza è quella di permetterci di re identificare le sostanze in diverse modalità e condizioni, e di consentirci nel tempo di accumulare conoscenza pratica e teorica e di utilizzare ciò che abbiamo appreso. Intendiamo qui “conoscenza” come informazione proveniente da un oggetto e immagazzinata in una mente,a disposizione dei processi cognitivi. Dal punto di vista metafisico i concetti sono tipi di rappresentazioni mentali. Secondo questa caratterizzazione ciascun concetto è individuato in base alla sua funzione particolare: quella di interagire nei modi che si è detto con una categoria specifica. Il concetto di cane sarà la rappresentazione che viene impiegata per astrarre e per proiettare informazione sui cani. Si noti che una caratterizzazione funzionale non dice nulla sulle caratteristiche che un concetto in quanto rappresentazione di una categoria deve avere, perché di fatto non deve averne nessuna in particolare, purchè serva al suo scopo. In scienze cognitive la caratterizzazione funzionale dei concetti è spesso associata alla tesi della realizzabilità multipla: diverse strutture di informazione e diverse configurazioni neurali possono, in linea di principio, assolvere la stessa funzione. Dal punto di vista metafisico, i generi funzionali vanno distinti dai generi naturali. Un genere naturale è di solito contraddistinto da un insieme di proprietà, talvolta non osservabili (come la struttura atomica o il codice genetico) che sono causalmente responsabili delle proprietà osservabili (l’aspetto). Inoltre sono caratterizzati da un potenziale induttivo dal fatto che se un esemplare possiede una certa proprietà, si può concludere con una buona probabilità che anche gli altri esemplari ce l’abbiano. Il genere funzionale si occupa delle proprietà variabili come quelle dei veicoli o dei cibi. Ci sono pochissime proprietà comuni tra una mela e un agnello arrosto, a parte il fatto di essere cibi. Le teorie dei concetti oggi in discussione hanno in comune un’assunzione di uniformità: l’idea che i concetti, indipendentemente dal tipo di categoria che rappresentano e dalla familiarità che il soggetto ha di essa, hanno caratteristiche comuni quanto a struttura e formato. Adottare una caratterizzazione funzionale significherebbe negare l’assunzione di uniformità. La caratterizzazione funzionale assume che i concetti sono tipi di rappresentazioni mentali, sono cieè dipendenti dall’attività cognitiva di organismi viventi. Sono ciò che spiega certi comportamenti intelligenti delle persone: categorizzare, ragionare, risolvere problemi, comunicare. All’interno dell’approccio cognitivo è possibile distinguere tra chi ritiene che i concetti siano tipi oppure occorrenze di rappresentazioni. La distinzione tra tipo e occorrenza è che: l’occorrenza di una rappresentazione è (anche nel caso delle parole) un oggetto fisico spaziotemporalmente collocato, mentre un tipo di solito non lo è. L’alternativa all’approccio cognitivo è l’approccio platonico un concetto è un entità astratta, oggettiva che rimane invariata al variare delle oscillazioni della nostra conoscenza; essi sono indipendenti dal nostro impiegarli per categorizzare, ragionare, comunicare etc. La differenza tra l’approccio cognitivo e quello platonico ha a che fare con la prospettiva: mentre il concetto cognitivo è una rappresentazione prospettica, il concetto platonico è la rappresentazione della categoria in senso oggettivo, cioè senza prospettiva. TEORIA CLASSICA DEI CONCETTI/DEFINIZIONALE: Nel descrivere storicamente questa teoria, si assume generalmente che sia stata sviluppata da Aristotele e che sia rimasta pressoché invariata fino alle ricerche filosofiche di Wittgenstein e agli studi di etnografia e psicologia degli anni sessanta e settanta. È l’espressione con cui si indica una famiglia di teorie, talvolta esplicite ma per lo più implicite, formulate in un arco di tempo di più di due millenni e accomunate da questa tesi: un concetto rappresenta una categoria perché rappresenta le condizioni necessarie e sufficienti affinchè qualcosa appartenga a quella categoria. I concetti sono definizioni, per questo la teoria classica è detta anche definizionale. Per Aristotele la definizione è “discorso che significa l’essenza”, esprime ciò che è comune a tutti e soli i membri di una certa categoria, cioè le condizioni necessarie e sufficienti che qualsiasi cosa deve soddisfare per appartenervi. Un controesempio può essere di due tipi: qualcosa che non appartiene alla categoria, pur avendo tutte le proprietà espresse dalla definizione proposta, oppure qualcosa che non ne possiede alcune ma per buone ragioni diremmo che appartiene alla categoria. Il Papa è scapolo (per scapolo si intende essere umano, maschio, adulto, non sposato)? Se si ritiene di no, allora il Papa è un controesempio. Topolino è scapolo? Se si ritiene di si, è un controesempio del secondo tipo. Per indicare ciò che, in un concetto, sta per le condizioni di appartenenza alla categoria che rappresenta si usa l’espressione “tratti definitori”. A seconda della teoria, il ruolo del tratto definitorio è stato svolto da entità di tipo molto diverso: secondo Locke un concetto (un’idea) dovrebbe essere scomponibile in idee semplici che sono copie di sensazioni e di introspezioni. L’idea di cigno è una collezione di idee fra cui quelle di “colore bianco, collo lungo, capace di nuotare in acqua, becco rosso, zampe nere etc.” che vengono tutte a risolversi in idee semplici. La sfida di questo approccio è quella di mostrare che a partire da uno stock finito di tratti definitori, si può definire qualsiasi tipo di categoria, persino quelle più astratte. i tratti percettivi (innati) sono un centinaio. Per definire l’idea di tavolo possiamo usare i seguenti concetti: oggetto, rigido, piano, orizzontale, con 4 piedi etc., ma sono insufficienti, perché un tavolo ha una specifica funzione oltre che uno specifico aspetto. I vantaggi della teoria definizionale: innanzitutto la teoria classica offre un modello di spiegazione uniforme per tutti i concetti, che apparentemente si allinea con le nostre pratiche del senso comune: tendiamo a spiegare il complesso mediante il più semplice, anche se ciò che è semplice in assoluto è difficile da individuare. In secondo luogo la teoria mette in luce il legame preteorico che sussiste fra concetti e lingue, o fra concetti e significati, perché costituisce una possibile soluzione al problema del significato delle parole. Ci sono almeno due buone ragioni per rifiutare questa caratterizzazione della teoria classica: la prima è che si serve di una metafora, quella del contenimento, che di per sé è suggestiva ma non esplicativa (perché lascia indeterminato cosa siano le parti e il tutto) e non corretta (perché generalizza a tutte le teorie definizionali assunzioni proprie del modello di Fodor). accetta la soluzione semplice, è quello di attribuire un errore generalizzato: parlano di “concetti” quando invece ciò che studiano sono le rappresentazioni di questi concetti. Peacocke afferma che per possedere un concetto basta avere una conoscenza implicita delle sue condizioni di possesso. Posso afferrare completamente e usare correttamente un concetto anche senza saperlo definire e senza arrivare a riconoscere i suoi usi canonici come immediatamente obbligatori. Il filosofo per Peacocke, fissa dunque a priori le norme per il possesso dei concetti, mentre lo psicologo descrive a posteriori il nostro modo di conformarci in tutto o in parte o di non conformarci a queste norme. TEORIA DELLA DIPENDENZA ASIMMETRICA: Fodor propone il principio di dipendenza asimmetrica, quel criterio attraverso cui operare una distinzione tra simboli disgiuntivi da simboli retti da una relazione di identità. L'asimmetria tra simboli disgiuntivi e simboli non disgiuntivi è di per sé una conditio sine qua non essenziale e costitutiva per la formazione del significato in quanto sia proprio l'incontro tra i due tipi di contenuto a permettere, all'interno di un sistema cognitivo dato, la generazione di nuove configurazioni funzionali e dunque, nuovi significati. I concetti complessi sono i concetti che otteniamo mediante la combinazione di altri concetti già in nostro possesso. Il fatto che noi componiamo concetti complessi è indubitabile; ad esempio se penso a un albero dorato volante ho creato un concetto complesso che non esisteva prima. Così facendo siamo in grado di estendere illimitatamente il nostro repertorio concettuale senza tenere in memoria un numero illimitato di concetti. Analogamente con le parole di una lingua si generano infiniti enunciati a partire da un repertorio lessicale finito: le lingue dunque sono produttive perché sono composizionali, ovvero, il significato degli enunciati dipende solo dal significato delle parole che li compongono, e dal modo di composizione. A partire da tali promesse, Fodor ha formulato un’argomentazione contro le teorie dei prototipo. I concetti devono essere composizionali; ma la proprietà di essere un prototipo non è composizionale; dunque i concetti non sono prototipi. Fodor fa l’esempio del pesce rosso, esso non è né un prototipo di pesce né di rosso. Tipicamente i pesci rossi non sono esattamente rossi, sono arancioni e sono più piccoli del pesce tipico, inoltre non vivono nell’ambiente tipico dei pesci, bensì (tipicamente) in una boccia di vetro. Componendo quindi, un prototipo di pesce con uno di rosso, non ottengo un prototipo di pesce rosso. L’argomento contiene, come assunzione implicita, la tesi che la composizione di due concetti A e B sia data dall’intersezione dell’estensione del concetto A e dell’estensione del concetto B – chiamiamola “tesi dell’intersezione”. Molti concetti complessi hanno delle proprietà ulteriori rispetto a quelle dei loro componenti, dette “proprietà emergenti”. La zuppa inglese è dolce, proprietà che non appartiene a nessuno dei suoi componenti. TEORIA DEGLI ESEMPLARI: Sia la teoria classica che la teoria dei prototipi assumono che il processo di categorizzazione avvenga attraverso il confronto dell’elemento da classificare con una rappresentazione astratta della categoria. Medin and Schaffer, al contrario, propongono un modello in cui il confronto avviene fra l’elemento nuovo e gli elementi già presenti in memoria. Pi`u specificamente assumono che uno stimolo da categorizzare abbia la proprietà di far recuperare dalla memoria gli stimoli simili ad esso e le relative informazioni. Uno dei vantaggi principali del modello proposto da Medin and Schaffer e ampliato da Nosofsky è la possibilità di classificare insiemi di elementi che non sono linearmente separabili. La separabilità lineare è invece uno degli assunti computazionali della teoria del prototipo. Secondo la classificazione di Kruschke, la teoria degli esemplari assume che venga rappresentato il contenuto (non i confini), non vi è una rappresentazione globale ma solo rappresentazioni atomiche, e la funzione di appartenenza è graduata. Secondo Ashby and Maddox in questo approccio una categoria è rappresentata semplicemente come l’insieme di rappresentazioni di tutti gli esemplari che appartengono alla categoria. La differenza fondamentale che contraddistingue la teoria degli esemplari dalle teorie dei concetti, è che nel modello per esemplari un concetto non è una rappresentazione generale, astratta o riassuntiva della categoria, ma è appunto una classe di rappresentazioni. TEORIE DELLA TEORIA: il concetto di una categoria C è una teoria su C, dove una teoria è un insieme di informazioni, alcune più fondamentali e centrali, altre derivate e più passibili di revisione. Murphy e Medin hanno dato una loro interpretazione: ogni concetto è una teoria sul mondo, dato che le informazioni contenute in ciascun concetto devono tendenzialmente essere coerenti con tutto il resto che sappiamo. Dunque, un concetto è un’area (variabile) di un sistema interrelato di conoscenze sul mondo. L’idea di base sembra comunque essere la seguente: le teorie non descrivono semplicemente le cose e le loro proprietà, le spiegano, cioè le mettono in relazione reciproca e con le proprietà di altre cose, prevalentemente con leggi causali; così anche le nostre rappresentazioni delle categorie. Questo modello è stato bersagliato da obiezioni filosofiche, soprattutto per due ragioni: fa uso di nozioni sulle quali i filosofi hanno molto da dire, come quella di teoria, ed è più metaforico degli altri nella caratterizzazione dei concetti, lasciando spazio a diverse interpretazioni. Una tipica obiezione è stata la seguente: i concetti non possono essere teorie, perché se le teorie sono insiemi di credenze, le credenze non possono che essere composte da concetti, dunque la caratterizzazione è circolare. Tuttavia se abbiamo ammesso che i tratti che compongono la struttura di un concetto non siano sempre concetti, possiamo ammettere lo stesso per le teorie della teoria: i concetti-teoria non sono composti da altri concetti. ATOMISMO INFORMAZIONALE: propone un punto di vista radicalmente alternativo perché nega che un concetto abbia struttura. Più precisamente secondo questo modello, valgono le seguenti tesi: un concetto è una rappresentazione semplice, cioè priva di parti che siano rappresentazioni; il concetto di una categoria C è la rappresentazione correlata casualmente in modo affidabile con C. Nella versione di Fodor l’atomismo informazionale si aggiunge a questa tesi che riguarda la metafisica dei concetti e l’architettura della mente: le facoltà cognitive superiori operano mediante processi computazionali che coesistono in operazioni su simboli di un linguaggio del pensiero; i concetti sono i simboli del linguaggio del pensiero. L’atomismo informazionale del linguaggio del pensiero vuole spiegare i positivo: in particolare, una visione globale dell’architettura della mente, quella detta cognitivismo classico. Fodor intende salvare l’intuizione che il concetto di acqua e di H2O siano diversi: per questo introduce la nozione di forma: la forma determina l’insieme delle relazioni combinatorie che una rappresentazione intrattiene con altre rappresentazioni. I concetti di Fodor possono avere una forma perché dal punto di vista metafisico sono oggetti. Le parole “acqua” e “H2O”, intese come segni grafici dell’italiano, sono diverse perché sono due oggetti distinti per forma, anche se fanno riferimento alla stessa sostanza. Quindi sono due simboli mentali con lo stesso contenuto ma diversa forma. TEORIA RAPPRESENTAZIONALE DELLA MENTE/COGNITIVISMO CLASSICO: l’idea è questa: la mente è (letteralmente) un computer, o meglio un sistema di computer connessi. Per computer dobbiamo intendere un dispositivo che passa da uno stato di informazione in input ad un altro in output operando su simboli (rappresentazioni) mediante regole. Secondo questo modello funziona così la percezione, che può essere descritta come l’elaborazione delle variazioni registrate dagli organi sensoriali (input), che genera in output informazione sulle cause di tali variazioni, cioè sulla realtà esterna. E funziona così anche la facoltà linguistica. La caratteristica principale del cognitivismo classico è la possibilità che offre di descrivere il funzionamento della mente da (almeno) tre punti di vista: il livello superiore o funzionale, in termini di rappresentazioni, input e output; il livello intermedio o algoritmico, quello dei modelli matematici che possono descrivere le operazioni al primo livello; infine il livello fisico, o dei processi fisici sufficienti a implementare i processi. Due tesi associate al cognitivismo classico sono la modularità della mente e l’innatismo. La modularità della mente è la tesi secondo la quale almeno alcune facoltà mentali corrispondono a sistemi input-output con proprie rappresentazioni e processi, relativamente dipendenti da quelle degli altri, che operano velocemente. La tesi dell’innatismo è che questi moduli sono innati, crescono e si sviluppano come organi, non vengono appresi tramite l’esperienza, così come le loro rappresentazioni. L’alternativa al cognitivismo è il connessionismo: se la mente ha un’architettura connessionista l’informazione non è codificata in forma di rappresentazioni esplicite, ma è distribuita all’interno del sistema, che è una rete neurale. Passiamo adesso alla tesi fodoriana che riguarda i concetti, cioè la lingua del pensiero: le facoltà cognitive superiori operano mediante processi computazionali che consistono in operazioni su simboli di una lingua del pensiero; i concetti sono i simboli della lingua del pensiero. Questa tesi è una ipotesi empirica su come funzionano le nostre capacità cognitive superiori. Il funzionamento della lingua del pensiero fornisce una prima ragione per concludere che i concetti sono atomici, cioè privi di struttura. L’obiezione della fallacia dell’effetto per la struttura: ammettiamo che sia vero che il modo in cui categorizziamo sia influenzato dalla posizione del nostro corpo, da cosa vogliamo o possiamo fare con l’oggetto in questione, e via dicendo. Questo comunque non implica necessariamente che i concetti siano contestuali o situati. Il fatto che il contesto intervenga per modificare la performance di categorizzazione non implica che strutturalmente i concetti siano simulazione di percezione. Se distinguiamo la struttura dall’effetto, la competence dalla performance, possiamo continuare a considerare i concetti come simboli invarianti e isolati da percezione e azione che, tuttavia, sono soggetti a effetti di contesto quando vengono applicati a compiti specifici.
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