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Chimica Generale (Dispensa del corso), Dispense di Chimica

La dispensa contiene tutta la parte teorica necessaria a superare il corso di Chimica Generale tenuto dalla professoressa Vincenzina Barbera del Politecnico di Milano. La dispensa integra e rielabora gli appunti presi a lezione con le informazioni presenti nel libro di testo.

Tipologia: Dispense

2020/2021

In vendita dal 11/10/2022

MattBlue00
MattBlue00 🇮🇹

7 documenti

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Scarica Chimica Generale (Dispensa del corso) e più Dispense in PDF di Chimica solo su Docsity! CHIMICA TEORIA ATOMICA DELLA MATERIA La chimica è la scienza delle sostanze: struttura, proprietà, reazioni che trasformano le une nelle altre. In altre parole, è lo studio della materia e delle trasformazioni che essa subisce (a livello macroscopico). In realtà, a livello microscopico, sono gli atomi che interagiscono fra loro a determinare tali cambiamenti. La massa è una proprietà intrinseca dei corpi; la sua unità di misura è il chilogrammo- massa. L’universo è composto di materia ed energia radiante: la materia è qualsiasi tipo di massa-energia che si muove con velocità inferiori a quella della luce, mentre l’energia radiante è qualsiasi tipo di massa-energia che si muove con la velocità della luce. Massa ed energia radiante sono collegate dalla seguente relazione: La materia ha massa. Infatti, una porzione di materia è attratta verso il centro della Terra dalla forza di gravità (è il peso della porzione di materia). La materia, pertanto, è tutto ciò che possiede massa ed occupa spazio. Una proprietà fisica è una proprietà che una sostanza presenta in sé, senza che si trasformi in un’altra sostanza. Esempi ne sono: punto di fusione, punto di ebollizione, conducibilità. Una proprietà chimica è una proprietà della sostanza associata alla sua capacità di trasformarsi in un’altra sostanza. Esempi ne sono: corrosività, tossicità, reattività verso gli acidi. Le miscele sono mescolanze di sostanze, cioè di elementi e/o di composti, e sono il frutto di una trasformazione fisica. I composti, invece, sono il frutto di una trasformazione chimica, e hanno composizione costante, mentre le miscele possono variare la propria composizione. Poiché sono semplicemente mescolati, i componenti di una miscela conservano le proprie proprietà chimiche e fisiche. Le proprietà di un composto sono invece diverse da quelle dei componenti. Si noti che con tecniche fisiche si possono separare i componenti di una miscela, ma non i componenti di un composto. Elementi e composti sono individui chimici, cioè porzioni omogenee di materia con composizione chimica definita ed invariabile. Una miscela, dunque, è l’insieme di più individui chimici. Perciò, la materia è costituita da: • sostanze pure, cioè elementi e composti. • miscele: - omogenee, cioè le cui molecole o i cui ioni sono così intimamente mescolati che la composizione è uniforme dovunque (anche su scala molto piccola). - eterogenee, cioè miscele la cui composizione è diversa da punto a punto. Le miscele omogenee sono dette soluzioni. Una soluzione è un sistema omogeneo di due o più componenti solidi, liquidi o gassosi, in cui i componenti sono presenti allo stato atomico o molecolare e risultano pertanto inosservabili. Si definisce solvente la sostanza presente in quantità maggiore, e soluto (o soluti) la sostanza (o le sostanze) presente/i in E = mc2 1 quantità minore. La solubilità è la massima quantità di soluto che si scioglie in una determinata quantità di solvente a determinate temperatura e pressione. Se in una soluzione avviene una trasformazione fisica, i componenti che la formano mantengono la loro identità. La materia è costituita da atomi (se ne conoscono attualmente 118, alcuni presenti naturalmente sulla Terra e altri prodotti artificialmente). Un elemento è una porzione omogenea di materia costituita tutta da atomi dello stesso tipo. Non è possibile scindere un elemento con mezzi chimici o fisici a bassa energia in altre sostanze più semplici. Un elemento chimico viene univocamente associato ad un simbolo, che deriva, in genere, dal suo nome latino. La tavola periodica è divisa in: • gruppi (verticali), i cui elementi hanno proprietà chimiche simili. • periodi (orizzontali), i cui elementi hanno proprietà variabili progressivamente. Gli elementi dei gruppi denotati con la lettera A sono detti elementi del gruppo principale, o rappresentativi. Gli elementi dei gruppi denotati con la lettera B sono detti elementi di transizione d, mentre gli elementi inseriti tra il gruppo 3B e il 4B e posti sotto gli altri elementi sono detti di transizione interna (lantanidi e attinidi f). I metalli sono buoni conduttori di elettricità e calore, sono lucenti, tenaci, malleabili e duttili. I non metalli, invece, sono cattivi conduttori o addirittura isolanti termici ed elettrici, non sono lucenti, né malleabili né duttili e sono fragili. I metalloidi hanno l’aspetto dei metalli, ma chimicamente possono comportarsi come i metalli o come i non metalli, a seconda delle situazioni. I metalli hanno tendenza a perdere elettroni (si ossidano più o meno facilmente), mentre i non metalli hanno tendenza ad acquistare elettroni (si riducono più o meno facilmente). Un composto è una porzione omogenea di materia: • costituita da due o più elementi chimicamente combinati. • con composizione chimica costante, cioè gli elementi sono in proporzioni definite. • con proprietà specifiche. • elettricamente neutra. Un composto non è semplicemente una mescolanza di elementi: gli atomi sono legati da legami chimici, con formazione di un aggregato stabile (una nuova sostanza). Se un composto è costituito da due tipi di elementi, si dice binario. I composti di classificano in: • organici. Contengono l’elemento carbonio e, solitamente, anche l’idrogeno. Si chiamano così perché si riteneva che potessero essere prodotti solo da organismi viventi. • inorganici. Tutti gli altri (anche monossido di carbonio e carbonati!). • intermetallici. Sono composti inorganici nei quali vi sono atomi di due metalli legati in proporzioni specifiche. Una molecola è il più piccolo aggregato di atomi, capace di esistenza fisica indipendente. Una molecola può essere sia un elemento che un composto. Si noti che, allo stato gassoso, le molecole sono biatomiche. Si noti anche che nemmeno i gas nobili (cioè i gas del gruppo 8A) sono molecole monoatomiche, bensì aggregati di atomi. Uno ione è un atomo o una molecola di carica positiva (catione) o negativa (anione). Solitamente, gli elementi metallici danno origine a cationi, mentre gli elementi non 2 La massa molare è la massa di una mole, nonché il fattore di conversione dai grammi al numeri di moli di una sostanza, e viceversa. Vale la seguente relazione: dove è la massa molare della sostanza. Si noti che la massa molare e il peso molecolare sono uguali! Infine, si noti che vale anche la seguente relazione: dove è la massa di una singola particella. MECCANICA QUANTISTICA E TAVOLA PERIODICA La teoria atomica asserisce che: • ciascun elemento è costituito da particelle estremamente piccole dette atomi. • tutti gli atomi di un dato elemento sono identici. • gli atomi di elementi differenti hanno proprietà differenti. • le reazioni chimiche non riescono a mutare gli atomi di un elemento in quelli di un altro. Nel corso delle reazioni chimiche, gli atomi non si creano né si distruggono. • i composti traggono origine dalla combinazione di atomi di almeno due elementi. • in un dato composto, il numero relativo e la specie degli atomi sono costanti. I raggi catodici, ovvero le radiazioni prodotte da un catodo, si propagano in linea retta dal polo negativo a quello positivo. Un oggetto metallico frapposto sul cammino proietta chiaramente la sua ombra. Questi raggi sono in grado di mettere in rotazione, colpendola, una piccola ruota a pale sul loro cammino. I raggi catodici hanno carica negativa, e sono sensibili ai campi elettrici e magnetici. Infatti, un campo elettrico è in grado di deviare i raggi catodici, e ciò è a sostegno dell’ipotesi circa la loro natura corpuscolare. I raggi catodici si comportano come fasci di particelle cariche negativamente; tali particelle ricevono il nome di elettroni. Gli elettroni sono identici, indipendentemente da qualunque tipo di materiale provengano, e devono quindi essere considerati come costituenti universali dei diversi tipi di atomi che costituiscono la materia. I raggi anodici, invece, vanno in direzione opposta rispetto a quelli catodici. Secondo Thomson, l’atomo sarebbe una sfera omogenea di elettricità positiva, con elettroni distribuiti uniformemente, e priva di nucleo. Tuttavia, Rutherford osservò sperimentalmente che un nucleo doveva necessariamente esserci, poiché se vengono proiettati dei nuclei di elio su una lamina d’oro, alcune particelle vengono considerevol- mente deviate, e poche vengono addirittura respinte. Dunque, l’atomo secondo Rutherford doveva avere le seguenti caratteristiche: 1. Gli atomi possono essere considerati come sfere di diametro pari a consistenti in un nucleo e in uno o più elettroni. 2. I nuclei possiedono carica positiva ed hanno diametri 10.000 volte più piccoli rispetto a quelli degli atomi nella loro interezza. n(mol) = m (g) M(g/mol) M NA = M(g/mol) ma(g) ma 1Å = 10−10 m 5 3. Gli elettroni, di massa piccolissima ed in numero tale da neutralizzare la carica positiva nucleare, non sono mai in quiete, ma si muovono rapidamente attorno al nucleo, delimitando così lo spazio atomico. 4. La massa dell'atomo è determinata quasi esclusivamente dal nucleo, mentre il suo volume è dipendente dalla distanza alla quale gli elettroni ruotano attorno al nucleo. 5. Gran parte dell'atomo è spazio vuoto. Il volume della sfera atomica è occupato da un piccolissimo nucleo, che si trova al centro, e dagli elettroni che gli ruotano attorno. La maggior parte delle conoscenze sulla struttura dell'atomo deriva dalla comprensione di come gli atomi interagiscano con la luce. Gli atomi, infatti, emettono luce se stimolati dal calore o da una scarica elettrica (cioè, se vengono eccitati); assorbono luce, invece, se vengono attraversati da una radiazione luminosa. La radiazione elettromagnetica è costituita dall'insieme di un campo elettrico di un campo magnetico oscillanti, cioè che variano nel tempo, che procedono nel vuoto alla velocità di , che viene definita velocità della luce. Data una direzione di propagazione della radiazione, esistono un campo elettrico e un campo magnetico ortogonali fra loro e ortogonali alla direzione di propagazione. Le intensità dei due campi hanno andamento sinusoidale in fase fra loro. L'ampiezza A viene definita come la distanza verticale sulla mezzeria di un picco, o l’altezza dell’onda rispetto all’asse orizzontale centrale. La lunghezza d’onda viene definita come la distanza tra punti identici su onde successive. La frequenza viene definita come il numero di onde che passano per un particolare punto al secondo. L’intensità della radiazione è definita come il quadrato dell’ampiezza. Il colore della luce dipende dalla lunghezza d’onda: lo spettro visibile dall’occhio umano è quello delle lunghezze d’onda comprese tra 400 e 700 nm. Oltre i 700 nm, si hanno gli infrarossi; al di sotto dei 400 nm, si hanno gli ultravioletti. Sussiste un’importante relazione tra frequenza e lunghezza d’onda: La radiazione elettromagnetica trasferisce energia da una regione all'altra dello spazio. La radiazione con la lunghezza d'onda più bassa, cioè con la frequenza maggiore, varia maggiormente nello stesso intervallo di tempo. Si definisce interferenza l'interazione fra due onde. Un'interferenza è: • costruttiva, se le onde sono perfettamente in fase. • distruttiva, se le onde sono completamente sfasate. Si definisce rifrazione la deviazione che subisce un'onda quando attraversa una superficie di separazione tra due sostanze. Come risultato, viaggia anche a una velocità diversa. Si definisce diffrazione la deviazione che subisce un'onda quando passa attraverso una fenditura di ordine di grandezza uguale a quello della lunghezza d’onda. In particolare, i fronti d’onda inizialmente piani diventano sferici. Per il Principio di Huygens, inoltre, ogni punto della fenditura diventa una sorgente di onde sferiche. Se la radiazione proviene da un corpo liquido o solido a qualsiasi temperatura, lo spettro di emissione risulta essere continuo. Un prisma triangolare è un tipo di prisma ottico utilizzato per dividere la luce nelle sue componenti spettrali. Questa dispersione avviene perché l'angolo di rifrazione dipende dall'indice di rifrazione, che a sua volta dipende dalla lunghezza d’onda. È possibile suddividere una radiazione composta da onde 3 ⋅ 10−8 m/s λ ν c = λ ⋅ ν 6 elettromagnetiche di diversa lunghezza d'onda nelle sue componenti, dette radiazioni monocromatiche. La tecnica che realizza questa suddivisione è detta spettroscopia: si ottiene uno spettro costituito da una serie di righe, ciascuna corrispondente ad una singola lunghezza d’onda. Sei un gas o un vapore viene riscaldato o sottoposto ad un'elevata differenza di potenziale, questo emette una radiazione discontinua, e la spettroscopia rivela delle righe luminose separate da ampie bande oscure. Questo spettro viene denominato spettro ad emissione a righe degli atomi. Dunque, la radiazione emessa da atomi eccitati è rappresentabile con poche righe spettrali, a precise lunghezze d’onda. Bohr propose il modello planetario per l’atomo, basandosi su tre postulati (o ipotesi): 1. stato stazionario. Un elettrone può percorrere solo certe orbite circolari attorno al nucleo, come i pianeti girano attorno al Sole. Gli elettroni percorrono orbite stazionarie, senza emettere radiazioni elettromagnetiche. Dunque, la forza centrifuga deve uguagliare la forza di attrazione coulombiana: 2. condizione di quantizzazione per le orbite. Le sole orbite permesse sono quelle nelle quali il modulo del momento angolare dell'elettrone è uguale a un multiplo intero della costante di Planck ridotta , dove: Noto il numero quantico principale , la condizione quantica risulta essere: Il momento angolare quantizzato condiziona i valori che possono assumere il raggio delle orbite e l'energia totale (cinetica più potenziale) che l'elettrone possiede. Definito il raggio di Bohr, , i raggi permessi sono: Per fornire un modello intuitivo, si può considerare l'elettrone come se fosse in un pozzo di energia. In fondo al pozzo, l'elettrone si trova nella prima orbita e al livello più basso di energia. Se si vuole tirare fuori dal pozzo l'elettrone, occorre somministrare l'energia corrispondente al livello in cui si trova. L'energia cresce, cioè diviene meno negativa, passando da un livello ad un altro, con il crescere del numero quantico principale. All'aumentare di questo, la differenza di energia tra due livelli successivi diminuisce. 3. salto quantico. L'elettrone può assorbire o cedere energia solo quando si muove da un'orbita permessa a un'altra permessa. Quando viene somministrata energia al sistema atomo, l'elettrone viene eccitato e passa ai strati superiori. Siccome i livelli energetici sono quantizzati, possono essere acquistate o liberate solo certe ben mv2 r = k e2 r2 ℏ ℏ = h 2π n mvr = n h 2π a0 = 0,5291Å r = n2 Z a0 (n = 1) 7 Quando , l’elettrone non ha momento angolare orbitalico, e le funzioni d’onda hanno una simmetria sferica. Gli orbitali di questo tipo si indicano con la lettera s. Dato un orbitale s, la probabilità di trovarci un elettrone è del 90-95%. Nell’orbitale 2s, ad una certa distanza dal nucleo, la funzione d’onda si annulla (nodo). All’interno della superficie limite (cioè la superficie che contiene il 90% della densità elettronica totale), è presente una superficie nodale che separa la regione interna in cui la funzione d’onda è positiva dalla regione più esterna in cui la funzione d’onda è negativa. La superficie nodale, a probabilità nulla, separa due massimi, uno più vicino al nucleo ed un massimo principale più lontano. Quando , si hanno tre possibili orbitali di tipo p. Essi sono definiti dalla parte angolare della funzione d’onda, e non hanno simmetria sferica, bensì cilindrica: hanno un asse preferenziale e non cambiano segno per rotazione attorno ad esso. Sono costituiti da due lobi ad elevata densità elettronica (in cui la funzione d’onda assume segno opposto) e da un piano nodale nell’origine (nucleo). I tre orbitali di tipo p sono denominati : la lettera a pedice indica l’asse lungo il quale sono orientati gli orbitali. Si noti bene che l’insieme dei tre orbitali p corrisponde ad una distribuzione sferica! Esistono cinque orbitali di tipo d. Quattro di essi sono tetralobati, con i 4 lobi diretti ai vertici di un quadrato in cui la funzione d’onda assume segno alternativamente opposto. Vi sono due piani nodali, che tagliano esattamente a metà tutti e quattro i lobi. Il quinto orbitale d si estende lungo l’asse z ed è bilobato, con una regione anulare (toroidale) in cui la funzione d’onda assume segno opposto e in cui si ha ad alta densità elettronica (che circonda il nucleo). Si noti bene che, anche in questo caso, l’insieme dei cinque orbitali d corrisponde ad una distribuzione sferica. Esistono, infine, sette orbitali di tipo f e nove di tipo g. Con l'aumentare del numero di elettroni, aumenta anche il numero di protoni nel nucleo. Quindi, sia maggiore forza di attrazione da parte del nucleo sugli elettroni, gli elettroni sono più vicini al nucleo e gli orbitali sono contratti su loro stessi. Tuttavia, occorre considerare la repulsione tra gli elettroni e la penetrazione degli orbitali verso il nucleo. Infatti, gli elettroni si respingono a vicenda e tale repulsione va, energicamente, in direzione opposta all'attrazione del nucleo e quindi tende ad elevare l'energia degli orbitali. In un atomo plurielettronico, la repulsione tra gli elettroni provoca una differenziazione dell'energia tra gli orbitali che appartengono allo stesso livello energetico, cioè che hanno lo stesso numero quantico principale. Segue, ad esempio, che gli orbitali 2p abbiano energia maggiore degli orbitali 2s. Inoltre, gli orbitali hanno forma diversa e sono diversamente penetranti verso il nucleo. Dunque, risentono più o meno dell'attrazione del nucleo, in funzione del numero quantico angolare. In termini energetici, si ha: s < p < d < f. Per di più, un elettrone su uno strato risente meno dell’attrazione del nucleo, a causa della presenza di elettroni sugli strati . Per tali casi, si dice che l’elettrone è schermato. La carica nucleare Z diventa carica nucleare efficace , che è forza attrattiva non solo per gli elettroni dell’atomo stesso, ma anche per quelli degli altri atomi. Il valore di è dato dalla differenza fra il numero atomico Z ed il valore di una costante di schermatura data dalla somma delle azioni di schermo dovute a ciascun elettrone dell’atomo. Si noti che gli effetti di penetrazione e schermaglie possono essere molto rilevanti. Inoltre, la carica nucleare efficace rappresenta una misura del campo elettrico esterno, che influenza le proprietà chimiche dell’atomo stesso. Gli l = 0 ψ l = 1 ψ px, py, pz ψ n n − 1, n − 2, . . . Zeff Zeff 10 elettroni in un orbitale risentiranno di più dell’attrazione del nucleo se l’orbitale penetra di più verso il nucleo. La capacità di penetrazione varia nell’ordine: s > p > d > f. All'aumentare del numero dei protoni, infine, l'energia dell'orbitale diminuisce a causa dell'aumento della carica positiva del nucleo che attrae gli elettroni. Questa diminuzione, però, varia a seconda del tipo di orbitale, e in taluni casi si ha sovrapposizione (ad esempio, dal punto di vista energetico, vale 4s < 3d < 4p). Con le regole di Slater, si possono calcolare i coefficienti di schermatura utili al calcolo della carica nucleare efficace: 1. per ciascun elettrone in un orbitale s o p dello strato esterno non completo, il coefficiente è 0,35. 2. per ciascun elettrone dello strato immediatamente sottostante, il coefficiente è 0,85. 3. per ciascun elettrone degli strati più interni, il coefficiente è 1. 4. gli elettroni in un orbitale d o f nello stesso strato contribuiscono con il coefficiente 0,35, mentre gli elettroni in un orbitale d o f in tutti i livelli di energia inferiori contribuiscono 1. 5. se l’orbita esterna è completa (dunque, se si sta parlando di un gas nobile), per ciascun elettrone di questa il coefficiente vale 0,85, e 1 per ciascuno degli elettroni sottostanti. Il principio di minima energia stabilisce che, allo stato fondamentale di un atomo, ogni elettrone occupa l’orbitale disponibile a energia più bassa. Vale anche la Regola di Hund: negli orbitali degeneri, aventi cioè uguale e , gli elettroni si distribuiscono in modo da occupare il massimo numero di orbitali. Questo è vero perché due elettroni nello stesso orbitale, con spin antiparalleli, esercitano una repulsione maggiore che due elettroni con il medesimo spin in due orbitali diversi. Si definisce strato di valenza lo strato più esterno occupato. Si noti che per i primi quattro gusci elettronici esiste una denominazione alternativa - dal primo al quarto, K, L, M e N - che trae origine dalla fluorescenza emessa dagli elementi bombardati da raggi X ad alta energia. Chimicamente, gli elementi di transizione sono definiti come gli elementi che formano almeno uno ione con un sottoguscio d parzialmente riempito di elettroni. Gli orbitali 3d sono meno diffusi dei 4s, e si ha dunque una maggiore repulsione elettronica. Le configurazioni elettroniche sono più stabili delle . Si noti bene che, per gli elementi di transizione, la tendenza è avere gli orbitali pieni e semioccupati! Dunque, ad esempio, quando si hanno a disposizione 6 elettroni per lo strato di valenza numero 4 (cromo), si privilegia la configurazione invece che . Con lo zinco, , l’energia degli orbitali 3d è diventata così bassa per effetto dell’elevato numero di protoni nel nucleo che gli elettroni d non partecipano alle proprietà chimiche di questo elemento e di quelli successivi. Lo zinco, per questa ragione, non è considerato un metallo di transizione. Nel caso dei lantanoidi, gli elettroni f sono in un orbitale interno rispetto agli elettroni di valenza e rispetto agli elettroni esterni degli ioni trivalenti. Le proprietà dei lantanidi variano pochissimo fra di loro, e solo in funzione della dimensione dello ione trivalente, che diminuisce man mano che Z aumenta. La contrazione lantanoidea o lantanidica consiste nel decremento del raggio lungo la prima riga del blocco f. Questa contrazione è dovuta al fatto che gli elettroni f schermano poco. n l 3dn 4s2 3dn+2 4s0 [Ar] 4s1 3d5 [Ar] 4s2 3d4 [Ar] 4s2 3d10 6s2 5d1 11 Gli elementi appartenenti allo stesso gruppo hanno la stessa configurazione elettronica esterna, ed crescente dall’alto verso il basso. Gli elementi appartenenti allo stesso periodo, invece, hanno numero atomico crescente da sinistra verso destra, fino al riempimento di uno strato caratterizzato da un certo numero quantico principale (l’osservazione non vale per gli orbitali d e f). Il numero d’ordine di ciascun gruppo indica quanti elettroni sono presenti nel livello energetico superficiale, dando quindi una prima indicazione di massima sul numero di elettroni disponibili per i legami chimici. Nei gruppi, infatti, si incolonnano verticalmente gli elementi che presentano un uguale numero di elettroni disposti sullo stesso tipo di orbitali, e dunque la stessa configurazione elettronica esterna (quella riferita al guscio più esterno). Il comportamento chimico di un elemento dipende essenzialmente dalla sua configurazione elettronica superficiale. Elementi appartenenti ad uno stesso gruppo presentano forti analogie e somiglianze chimiche (stesso tipo di reazioni). Le caratteristiche chimiche variano dunque progressivamente e con continuità spostandosi lungo un periodo, mentre rimangono sostanzialmente simili all’interno di un gruppo. Si definisce raggio atomico la metà della distanza minima di separazione fra i nuclei di due atomi uguali vicini fra di loro. Tendenzialmente, diminuisce lungo un periodo e aumenta lungo un gruppo, con una notevole eccezione: a causa del fatto che gli elettroni d interni schermano l’attrazione del nucleo sugli elettroni esterni, verso la fine degli elementi di transizione si ha un lieve aumento della dimensione. Le dimensioni di una azione sono minori di quelle dell’atomo da cui deriva. La forza attrattiva del nucleo si manifesta su un numero minore di elettroni esterni, che si avvicinano di più al nucleo. La contrazione aumenta quanto maggiore è il numero degli elettroni rimossi. Le dimensioni di un anione, invece, aumentano rispetto all’atomo neutro, perché la carica nucleare rimane costante, ma aumenta la repulsione interelettronica. L’energia di ionizzazione è l’energia richiesta per allontanare un elettrone da un atomo isolato allo stato gassoso. L’energia di prima ionizzazione è sempre più piccola di quella di seconda ionizzazione, quest’ultima è sempre più piccola della terza e così via. Generalmente, l’energia di prima ionizzazione aumenta spostandosi lungo un periodo e diminuisce scendendo lungo un gruppo. Si noti che nelle serie di transizione, a causa dell’aumento parallelo della carica nucleare e dello schermo, le variazioni sono molto piccole. Si noti che tre orbitali p semipieni sono più stabili di due orbitali semipieni e uno pieno, a causa della simmetria sferica della prima configurazione. Di norma, l’energia di ionizzazione si esprime in elettronvolt (eV) per il singolo atomo, oppure in joule necessari per ogni mole di atomi (kJ/mol). L’affinità elettronica è l’energia che viene liberata (per convenzione di segno negativo) da un atomo neutro gassoso isolato, nel suo stato fondamentale, quando acquista un elettrone per dare vita ad uno ione negativo gassoso isolato. Viene anche definita come l’energia che occorre spendere (per convenzione di segno positivo) per allontanare un elettrone dallo ione gassoso negativo. Si noti che i metalli alcalino-terrosi e l’azoto hanno valori positivi, a causa della configurazione e degli orbitali semipieni. Si noti anche, infine, che l’acquisto di un secondo elettrone richiede un’energia elevata. n ns2 12 Il legame ionico è un legame di natura prettamente elettrostatica e si forma quando si combinano fra di loro due elementi aventi, rispettivamente, una bassa energia di ionizzazione e sublimazione (elemento metallico elettropositivo) e un’elevata affinità elettronica unitamente a una bassa energia di atomizzazione (elemento non metallico elettronegativo). Il legame ionico si forma dunque grazie all’interazione elettrostatica fra cariche opposte. Quando l'atomo di un elemento metallico di un gruppo principale forma un catione, cede elettroni di valenza s e p ed acquista la configurazione elettronica del gas nobile che lo precede. Quando l’atomo forma un anione, acquista elettroni fino al raggiungimento della configurazione elettronica del gas nobile che segue. Il legame ionico dà origine a un cristallo con elevata energia reticolare. Il sistema ione positivo - ione negativo non raggiunge il massimo della stabilità nella formazione di una singola coppia ionica, ma nella formazione del solido cristallino in cui ogni ione attrae il maggior numero possibile di ioni di segno opposto e diventa minima la repulsione fra ioni dello stesso segno. L’energia reticolare negativa è l’energia rilasciata quando una mole di ioni gassosi si condensa in un solido ionico (reticolo perfetto). L’energia reticolare positiva è invece l’energia che occorre fornire per allontanare all’infinito, allo stato gassoso, tutti gli ioni presenti in una mole di composto, così da formare una mole di ioni gassosi. L’energia potenziale in un legame ionico è l’energia potenziale totale per mole di unità di formula in una struttura cristallina arbitraria. Tale energia potenziale diminuisce al diminuire della distanza internucleare (graficamente, si ha un ramo di iperbole continuamente decrescente nel quarto quadrante). Quando i due ioni entrano in contatto, teoricamente, dovrebbero scaricarsi, ma ciò non avviene, perché quando i mantelli elettronici esterni dei due ioni sono sufficientemente vicini, essi interagiscono producendo un effetto repulsivo. Il risultato complessivo delle energie è dunque una curva di potenziale tipica dei sistemi leganti con un minimo intorno alla distanza media di legame. L’energia liberata nella formazione di un solido ionico è tanto più elevata quanto più alta è la carica degli ioni e quanto minore è la loro distanza (cioè quanto più piccoli sono gli ioni). L’energia reticolare ha una grande influenza su proprietà chimico-fisiche come punto di fusione e punto di ebollizione. Uno ione di un segno attrae quanti più ioni di segno opposto gli è possibile. Tale massimo numero è denominato numero di coordinazione. Le specie cariche tenute insieme dal legame ionico formano allo stato solido un reticolo ordinato di ioni di segno opposto. Si badi bene che nel caso del legame ionico, non esiste la singola molecola! Il legame ionico, inoltre, non è direzionale, e nel solido ogni ione è circondato da un preciso numero di ioni di segno opposto. Un legame covalente è un legame in cui una coppia di elettroni è condivisa tra due atomi. Si definisce composto covalente un composto che contiene solo legami covalenti. Questa tipologia di esame fu introdotta dai chimici per spiegare il legame fra atomi uguali nelle molecole biatomiche omonucleari. Ciascun elettrone di una coppia condivisa interagisce con entrambi i nuclei degli atomi legati, dando vita ad una forza che tiene uniti i due atomi legati. Passando da legami semplici (una coppia in condivisione) a legami multipli (due o tre coppie in condivisione), le energie di legame aumentano e le distanze di legame diminuiscono. Dunque, l’interazione fra gli atomi aumenta e la molecola si stabilizza. 15 Si dicono legami covalenti omopolari quei legami che coinvolgono atomi uguali, mentre si dicono legami covalenti eteropolari quei legami covalenti che coinvolgono atomi differenti. Si dice ordine di legame il numero di legami che legano due atomi. Si noti che uno stesso atomo può condividere i suoi elettroni di valenza con più atomi diversi. La carica formale è la differenza di carica elettrica fra il numero di elettroni di valenza in un atomo isolato e il numero di elettroni assegnati a quell’atomo nella struttura di Lewis. Se per una determinata formula chimica dovessero essere possibili più strutture di Lewis teoriche, quella da preferire è quella in cui la somma delle cariche formali sia uguale alla carica totale della molecola o dello ione. Si tenga presente che: • il numero totale di cariche nella struttura deve essere mantenuto al minimo. • le cariche formali più ridotte sono preferibili a quelle più alte. • sono sfavorite strutture con cariche uguali su atomi adiacenti. • la carica formale più negativa dovrebbe risiedere sull’atomo più elettronegativo. Dunque: Nel legame covalente dativo (o coordinativo), la coppia di elettroni condivisa è fornita da un solo atomo. L’atomo che fornisce un orbitale di valenza pieno viene denominato atomo datore, mentre l’atomo che fornisce un orbitale di valenza vuoto viene definito atomo accettore. Questo particolare tipo di legame covalente si forma facilmente nel caso di molecole contenenti doppietti solitari non condivisi. Si chiamano composti di coordinazione i composti caratterizzati dalla presenza di legami dativi. La distribuzione simmetrica degli elettroni di legame si realizza solo nelle molecole biatomiche omonucleari o quando il legame unisce atomi uguali, entrambi collegati agli stessi atomi o gruppi di atomi. La distribuzione asimmetrica degli elettroni di legame si ha invece nelle molecole eteronucleari, e comporta la presenza di cariche frazionarie. In particolare, si avrà: • una carica frazionaria negativa ( ) sull’atomo che esercita un’attrazione maggiore sul o sui doppietti elettronici di legame. • una carica frazionaria positiva ( ) sull’altro atomo che esercita un’attrazione uguale in modulo ma di segno opposto. Generalmente, . I legami covalenti con distribuzione asimmetrica sono detti covalenti polari (o eteropolari), e sono sempre poco più forti di quelli omeopolari, perché si ha interazione elettrostatica tra le cariche frazionarie opposte. La polarità di un legame viene valutata attraverso la differenza di elettronegatività degli atomi coinvolti. La distribuzione asimmetrica della nuvola elettronica porta ad avere due poli con carica opposta: si ha dunque un dipolo. La differenza fra l’energia del legame A-B e la media delle energie di legame A-A e B-B è detta energia di risonanza ionico-covalente. Un legame covalente fra due atomi di diversa elettronegatività può essere rappresentato come una mesomeria fra una coppia covalente pura (senza separazione di carica) ed una forma ionica pura. In chimica, si ha risonanza (o mesomeria) quando più formule, dette formule limite, concorrono a definire la vera struttura di una molecola. Le formule limite sono separate da una freccia a due punte. carica formale = n° e. valenza − (n° e. non condivisi + 1 2 ⋅ n° e. condivisi) δ− δ+ δ < 1 16 La risonanza è un concetto quantomeccanico introdotto da Pauling per descrivere lo stato di legame di una molecola, che non sarebbe descrivibile attraverso una normale formula di struttura. Per descrivere la molecola si utilizzano pertanto più formule di struttura (le formule limite), aventi la medesima connettività, ma diversa disposizione degli elettroni esterni. Le diverse strutture limite si differenziano dunque solo per la posizione dei legami multipli e dei doppietti solitari. La lunghezza di legame è la distanza di equilibrio fra due atomi legati; dipende dal tipo di atomi e dal numero di legami fra di loro. Il raggio covalente di un dato atomo è la distanza di legame media in un suo composto covalente. Tale raggio è più specifico del raggio atomico, perché tiene in considerazione l’ordine di legame e la specie chimica. Le lunghezze di legame per le molecole biatomiche eteronucleari si possono considerare uguali alla media delle distanze di legame delle rispettive molecole biatomiche omonucleari. La lunghezza di legame in una molecola A-B si può approssimare al valore della somma dei raggi covalenti degli atomi A e B. Esiste un’importante eccezione alla regola dell’ottetto: il fenomeno dell’espansione dell’ottetto. Se un atomo, che sia abbastanza grande, ha orbitali vuoti nello strato di valenza, esso può espandere il proprio ottetto. Ad esempio, i non metalli del periodo 3 hanno gli orbitali d vuoti: il fosforo (P) e lo zolfo (S) sono atomi abbastanza grandi da accogliere attorno a sé tanti altri atomi, e possono espandere il proprio ottetto fino alla capacità di 12 elettroni di valenza. La teoria VSEPR (Valence Shell Electron Pair Repulsion) considera le repulsioni tra le coppie elettroniche, di legame o non condivise, presenti nello strato esterno di una molecola, al fine di descriverne la geometria, che corrisponderà alla disposizione degli atomi che minimizza l’energia della molecola stessa. La repulsione tra due doppietti solitari è più forte rispetto a quella tra due coppie di elettroni di legame, e dunque i doppietti solitari richiedono più spazio rispetto agli elettroni di legame. Nella teoria VSEPR, la geometria molecolare è determinata dal numero di atomi legati all’atomo centrale e dal numero di coppie solitarie. Si badi bene che la teoria VSEPR tratta i legami doppi come una sola coppia di elettroni! Si definisce numero sterico il numero di coppie di elettroni che circondano l’atomo centrale: Si designano le molecole con il seguente schema generale: dove: • è l’atomo centrale. • è l’atomo(i) circostante(i). • è l’eventuale(i) coppia(e) elettronica(e) libera(e) su . • indica il numero di atomi legati ad . • indica il numero ci coppie elettroniche non condivise di . Ns Ns = n° coppie solitarie + n° di atomi legati all'atomo centrale AXmEn A X E A m A n A 17 ad entrambi i nuclei, ha energia minore rispetto a quando è legato ad un nucleo solo, poiché vive in uno spazio maggiore ed ha quindi meno energia cinetica. Tali orbitali sono definiti orbitali leganti, e sono gli orbitali molecolari a energia minore. Si espandono all’interno dello spazio internucleare. • distruttivamente, se le funzioni d’onda hanno segno opposto. Si genera fra i nuclei una regione con ampiezza diminuita e un nodo. L’elettrone è escluso dalla regione internucleare e dunque ha energia più elevata rispetto a quando occupa uno solo dei due orbitali atomici. Gli orbitali così caratterizzati si definiscono orbitali anti-leganti, e sono gli orbitali molecolari a energia maggiore. Si espandono all’esterno dello spazio internucleare. Una specie si definisce stabile se il numero degli elettroni di legame è superiore a quello degli elettroni di antilegame. L’ordine di legame si può calcolare come la metà della differenza tra il numero totale di elettroni che si trovano negli orbitali di legame e il numero totale di elettroni che si trovano negli orbitali di antilegame. Si noti che se l’ordine di legame previsto per una molecola è zero, tale molecola non può esistere. Gli orbitali 1s interni, praticamente, non si sovrappongono. Sono orbitali atomici puri, ovvero orbitali di non legame. Nelle molecole diatomiche eteronucleari, gli orbitali atomici dell’elemento più elettronega- tivo contribuiscono maggiormente all’orbitale molecolare di legame, mentre gli orbitali atomici dell’elemento meno elettronegativo contribuiscono maggiormente all’orbitale molecolare di antilegame. Una molecola si definisce diamagnetica se non presenta elettroni spaiati, paramagne- tica altrimenti. Se si immergesse un campione diamagnetico in un campo magnetico, esso sembrerebbe pesare di meno. Un campione paramagnetico, invece, sembrerebbe pesare di più nella stessa situazione. I metalli sono caratterizzati da basse energie di ionizzazione e da bassi valori di elettronegatività. A livello macroscopico, presentano proprietà caratteristiche: • alta densità. • struttura compatta (elevato numero di coordinazione per ogni atomo, da 8 a 12). • elevati punti di fusione e di ebollizione. • sono buoni conduttori di calore e di corrente elettrica. • sono duttili (fili) e malleabili (lamine). • opacità (non consentono la trasmissione della luce). • lucentezza (riflettono completamente la luce). • emettono elettroni se irradiati con una radiazione di opportuna (effetto fotoelettrico) o se vengono riscaldati (effetto termoionico). A livello microscopico, invece, una superficie metallica mostra una struttura “a grani”, con zone di forma irregolare ben separate tra di loro che contengono un grande numero di atomi. Le proprietà dei metalli dipendono dalla struttura cristallina e dalla dimensione dei grani, oltre che dal tipo di legame per cui gli atomi risultano disposti in modo caratteristico. La grande maggioranza dei metalli presenta strutture cristalline compatte, in cui ogni atomo interagisce con gli atomi circostanti. Non ci possono essere legami ionici perché si tratta di atomi tutti uguali, ma non ci possono essere nemmeno legami covalenti perché sono troppo pochi gli elettroni di valenza per tenere assieme tutti gli atomi. Viene dunque ipotizzato un nuovo tipo di legame, il legame metallico, caratterizzato da un reticolo di ioni positivi immersi in un “mare” di elettroni liberi di muoversi all’interno del reticolo, cioè non appartengono a nessuno ione in particolare (sono delocalizzati). Gli atomi hanno λ 20 perso gli elettroni di valenza e sono diventati gli ioni positivi che occupano le posizioni reticolari. Gli elettroni, carichi negativamente, attraggono gli ioni positivi e tengono assieme i nuclei, garantendo la stabilità della struttura grazie a un’attrazione di tipo elettrostatico. Questo semplice modello permette di spiegare le principali proprietà dei metalli: • conducibilità elettrica, grazie alla grande libertà di movimento degli elettroni nel reticolo. • lucentezza superficiale, grazie ai fenomeni di riflessione di cui sono responsabili gli elettroni sulla superficie del metallo. • malleabilità e duttibilità, grazie al fatto che gli strati del reticolo metallico possono dare fenomeni di scorrimento, con adattamento da parte degli elettroni alla nuova situazione, e conservazione della struttura cristallina e dei legami (non vengono cioè alterate le forze che tengono unita la struttura cristallina). Questo modello ha però un limite. Infatti, più elettroni di valenza ci sono, più dovrebbe essere forte il legame. Tuttavia, gli elementi vicini al centro sella serie di transizione risultano avere il punto di fusione più alto. Il modello “a mare di elettroni” viene dunque sostituito col modello “a bande”, in cui ogni banda è costituita da una serie di orbitali molecolari ad energia molto vicina. Un cristallo metallico è perciò caratterizzato da un’estesa sovrapposizione degli orbitali di valenza dei singoli atomi, in modo da formare orbitali molecolari delocalizzati, estesi su tutto il reticolo cristallino. Il modello a bande prevede bande continue di energia, in cui la differenza di energia fra un orbitale molecolare e l’altro è infinitesima. Le bande continue di energia rendono conto della delocalizzazione degli elettroni in tutto il cristallo. La distribuzione degli elettroni in una banda avviene dapprima nei livello energetici inferiori. In un livello della banda, possono stare due elettroni, mentre in una banda possono stare elettroni. Vi sono tante bande quanti sono gli orbitali atomici permessi negli atomi isolati. Si noti che se sono interessati gli orbitali di valenza, si parla di bande di valenza. Ogni orbitale può dare vita alla sua banda. Ogni banda ha un intervallo energetico che dipende dalla sovrapposizione degli orbitali e ospita un numero di elettroni che dipende dal tipo di orbitali. Nei metalli alcalini, cioè nei metalli con configurazione esterna ns1, si riempiono solo gli livelli energetici corrispondenti agli orbitali molecolari di legame, che contengono elettroni. Si ha dunque una mezza banda di energia inferiore piena, e una mezza banda di energia superiore vuota. Questa condizione, in realtà, si verifica solo se non ci sono perturbazioni esterne, perciò solo allo zero assoluto. Il livello energetico più alto occupato a 0K è il livello di Fermi, e la corrispondente energia è l’energia di Fermi. In situazioni ordinarie, una frazione di elettroni al di sotto dell’energia di Fermi, data la vicinanza dei livelli energetici, si può eccitare con facilità e può passare ad occupare livelli vuoti al di sopra dell’energia di Fermi. Se la configurazione elettronica esterna è ns2, cioè se si sta parlando di metalli alcalino- terrosi, si riempiono sia i livelli energetici corrispondenti agli orbitali molecolari di legame, che quelli corrispondenti agli orbitali molecolari di non legame, e si ha tutta la banda piena. Se le energie degli orbitali atomici (s e p) di partenza sono molto diverse, le bande di energia rimangono distinte. Se le energie degli orbitali atomici (s e p) sono vicine, le bande si sovrappongono e costituiscono un’unica banda. Inoltre, la combinazione lineare degli orbitali np fra di loro porta alla formazione di un’ulteriore banda di energia che si sovrappone parzialmente alla banda s. La banda ai livelli np viene chiamata banda di conduzione, mentre la banda ai livelli ns viene chiamata banda di valenza. 2NA NA 2NA 21 Nei materiali conduttori, la banda di valenza è solo parzialmente riempita (come nel caso del Litio) oppure è satura ma sovrapposta con bande vuote (caso del Berillio). I semiconduttori, invece, hanno la banda di conduzione completamente vuota e la banda di valenza completamente occupata, separate da un intervallo di energia. Le due bande hanno uguale numero di livelli. Più è grande l’intervallo di energia, meno il metallo sarà un conduttore. Si noti che la conducibilità aumenta all’aumentare della temperatura. Una molecola perfettamente simmetrica, sia nella sua geometria che nella distribuzione degli atomi, presenta un momento di dipolo nullo. I legami intermolecolari sono legami fra molecole diverse, e sono le forze che tengono unite molecole diverse nei solidi e nei liquidi. Questi tipi di forze sono molto più deboli delle forze intramolecolari (ovvero i legami che avvengono dentro una molecola). Quando una sostanza fonde o bolle, si spezzano le forze intermolecolari, e non i legami covalenti! Le forze intermolecolari sono interazioni deboli, essenzialmente di natura elettrostatica, che si realizzano tra le molecole o specie chimiche già costituite con legami di tipo covalente, oppure si realizzano tra parti diverse di una singola molecola generalmente piuttosto grande (come ad esempio i polimeri). Le aree interessate alle forze di attrazione devono essere, tendenzialmente, cariche di segno opposto; le molecole, inoltre, si possono attrarre vicendevolmente solo a distanza ravvicinata. Per quanto di scarsa energia, queste forze sono fondamentali nel determinare gli stati di aggregazione delle sostanze, e sono perciò responsabili di proprietà come la struttura cristallina, il punto di fusione, il punto di ebollizione, i calori di fusione e vaporizzazione, la tensione superficiale e la densità. Esistono diversi tipi di forze intermolecolari. Si hanno interazioni (dalla più forte alla più debole): • ioni-ioni. È il legame ionico nei composti ionici, ma è anche una forza intermolecolare nei composti ionici in soluzione (come NaCl in acqua). • ioni-dipolo. Si instaura tra uno ione e un dipolo. È l’interazione attrattiva che, ad esempio, stabilizza una soluzione acquosa di NaCl e ne evita la precipitazione. La forza di questa interazione dipende dalla carica, dalla grandezza del momento di dipolo, dalla dimensione dello ione e dalla dimensione della molecola polare. Un catione interagisce più fortemente di un anione, perché è più piccolo ed ha pertanto la carica più concentrata. Cationi piccoli, dunque, hanno interazioni più forti di cationi più grandi. • dipolo-dipolo, dipolo-dipolo indotto, di dispersione (forze di Van der Waals). Le forze dipolo-dipolo si instaurano tra molecole neutre polari, e sono deboli forze direzionali. Anche molecole non polari e atomi liberi presentano forze attrattive tra loro. Queste forze attrattive e repulsive momentanee sono dette forze di dispersione di London. Sono le interazioni più deboli, e si realizzano grazie all’influenza tra due molecole neutre adiacenti. I nuclei di una molecola (o di un atomo) attraggono gli elettroni della molecola (o dell’atomo) adiacente; di conseguenza, le nuvole elettroniche si distorcono per un istante e in quel momento si forma un dipolo detto dipolo istantaneo. Tale dipolo istantaneo può indurre un altro dipolo istantaneo in una molecola (o in un atomo) adiacente. La polarizzabilità è la facilità con cui una nuvola elettronica può essere deformata da una carica esterna. Più grossa è la molecola (cioè maggiore è il numero di elettroni), più sarà polarizzabile. Le forze di dispersione di London esistono tra tutte le molecole e dipendono dalla loro forma; aumentano al crescere del peso molecolare. Maggiore è l’area superficiale disponibile per il contatto, maggiori sono le forze di dispersione (polimeri - solidi/liquidi). Dunque, le forze di dispersione di London tra molecole sferiche sono inferiori a quelle tra molecole allungate. 22 dove è la costante universale dei gas ( ), la pressione in atm, il volume in litri, il numero di moli e la temperatura in kelvin. La legge è ben seguita a . I gas reali rispettano questa legge man mano che la loro pressione tende ad annullarsi. Si noti che un’altra espressione ricorrente della è . Nota questa legge, si può definire operativamente la densità di un gas perfetto come segue: cioè la densità è direttamente proporzionale alla pressione e alla massa molare, mentre è inversamente proporzionale alla temperatura assoluta. È espressa in g/L. La pressione parziale di un componente di una miscela è la pressione che quel componente eserciterebbe se occupasse da solo l’intero volume della miscela. La legge di Dalton asserisce che la pressione totale di una miscela di componenti gassosi è uguale alla somma delle pressioni parziali dei suoi componenti: . Dal rapporto tra le pressione parziale di un gas e la pressione totale di una miscela, si ricavano delle relazioni fondamentali circa il rapporto tra le moli di un gas e le moli totali di gas nella miscela. Detti due gas di una miscela A e B, si ha: e Il moto molecolare dei gas è la causa delle seguenti proprietà: • diffusione. È la dispersione di una sostanza attraverso un’altra. Le molecole di un gas diffondono nello spazio occupato dalle molecole di un altro gas attraverso spostamenti e urti. È un fenomeno lento. • effusione. È analoga alla diffusione, ma si verifica da un foro sottile, cioè è il passaggio di molecole di gas da una zona a pressione elevata al vuoto attraverso un piccolo orifizio o una barriera microporosa. La velocità di effusione di un gas è inversamente proporzionale alla radice quadrata della massa molare delle particelle che lo costituiscono (legge dell’effusione di Graham): Considerando due gas con masse molari e , si ha: PV = nRT R 0,08206 L ⋅ atm/K ⋅ mol P V n T P < 1 atm R 8,314 J/K ⋅ mol d = m V = PM RT P = ∑ Pi χA = nA nA + nB χB = nB nA + nB veffusione = 1 M M1 M2 v1 v2 = M2 M1 25 I tempi di effusione sono inversamente proporzionali alla radice quadrata delle velocità: Le velocità di effusione sono direttamente proporzionali alla radice quadrata delle temperature assolute: La velocità media delle molecole di un gas è proporzionale a . I gas reali liquefano per raffreddamento o per compressione (c’è dunque un’interazione attrattiva fra le molecole). I liquidi invece non si lasciano comprimere, perché ci sono intense forse repulsive. Durante la liquefazione di un gas reale, il volume comincia a diminuire, ma la pressione rimane costante fino a quando tutto il vapore si è trasformato nel liquido. Dopodiché, la pressione riprende ad aumentare. Si noti che d’ora in poi ci vorrà un grande aumento di pressione per provocare una piccola diminuzione di volume, poiché i liquidi sono praticamente incomprimibili. Esiste una temperatura, detta temperatura critica, al di sopra della quale un gas non può liquefare. Per un gas ideale a qualunque temperatura e pressione, il coefficiente di comprimibilità è uguale a 1 e dunque il gas è comprimibile sempre alla stessa maniera. Per i gas reali a pressioni maggiori di 1 atm, il coefficiente di comprimibilità è: Se prevalgono le attrazioni, mentre se prevalgono le repulsioni. L’equazione di stato approssimata per i gas reali è chiamata equazione di Van per Waals: Essa tiene conto di: • correzione sul volume. Bisogna sottrarre al volume del recipiente quello non disponibile a causa del movimento delle molecole. • correzione sulla pressione. Si somma alla pressione realmente proposta dal gas un termine che tiene conto delle interazioni fra le molecole (tiene conto della densità del gas ed è inversamente proporzionale al quadrato del volume). Si noti che e sono coefficienti determinabili sperimentalmente. t1 t2 = M1 M2 v2 v1 = T2 T1 T Z Z = PV nRT Z < 1 Z > 1 (P + an2 V 2 ) (V0 − nb) = nRT V = V0 − nb P = P0 + an2 V 2 a b 26 La teoria cinetica dei gas prevede che: • se c’è meno volume, si ha una pressione maggiore. • se ci sono forze attrattive, la velocità delle molecole, l’impatto con la parete e la pressione esercitata risultano ridotte. • la pressione di un gas deriva dal numero di collisioni per unità di tempo sulle pareti di un contenitore. SOLUZIONI E PROPRIETÀ COLLIGATIVE Lo stato liquido può essere considerato intermedio tra stato solido e gassoso. Le molecole si muovono in modo caotico, e sono tenute insieme da forze sufficienti ad evitarne la separazione, ma non a bloccarle in una struttura fissa. In un liquido, le molecole sono mobili, ma non possono completamente sfuggire all’attrazione delle altre molecole che le circondano. Un liquido ha la stessa energia cinetica di un gas ideale alla stessa : Il liquido ha anche un’energia potenziale non trascurabile. L’energia totale del liquido, tuttavia, sarà minore di quella del gas. I liquidi hanno tre importanti proprietà: • tensione superficiale. È la forza con cui un liquido si oppone ad un aumento nella sua area superficiale. Le molecole interne risentono delle forze in tutte le direzioni, mentre quelle superficiali soltanto verso l’interno. La superficie del liquido tenderà perciò a contrarsi in modo da essere minima, a parità di volume (la situazione ideale è perciò una sfera), e a formare una membrana che ha lo spessore del raggio d’azione entro cui si manifesta l’effetto delle forze intermolecolari. La tensione superficiale è proprio la tensione tangenziale a cui è sottoposta, e opera all’interfaccia tra il liquido stesso ed un materiale di altra natura (solido, liquido o gas). Le molecole che compongono questa membrana interfacciale (chiamata anche superficie di separazione) si comportano come un insieme di sferette collegate tramite molle. La tensione superficiale, misurata in o N/m, si definisce operativamente come segue: Dunque, i liquidi con un’alta tensione superficiale (come l’acqua) hanno un’alta tendenza a formare sfere. Si noti che la tensione superficiale dell’acqua diminuisce all’aumentare della temperatura. I tensioattivi sono molecole anfifiliche, costituite da una parte non polare e idrofoba legata ad un gruppo polare o ionico che presenta invece un’alta idrofilicità. In generale, la parte idrofoba è una catena idrocarburica o fluorocarburica lineare o ramificata, di lunghezza tipicamente compresa fra 6 e 20 atomi di carbonio. I tensioattivi tendono a concentrarsi sulla superficie. Le estremità polari sono orientate verso l’interno della soluzione, essendo più affini con le molecole d’acqua. Le catene polari si rivolgono invece verso l’esterno. Poiché fra di esse vi sono deboli forze di attrazione, si ha un abbassamento della tensione superficiale. Si noti che un molecole di tensioattivo in eccesso formano gocce organizzate, dette micelle, in grado di emulsionare l’olio. T EC = 3 2 RT J/m2 γ = dW dS 27 si trovano su tali linee corrispondono a condizioni in cui i due stati fisici si trovano in equilibrio dinamico (e dunque le due fasi coesistono). La curva solido-liquido mostra che il punto di fusione o solidificazione è la temperatura alla quale solido e liquido coincidono a una data pressione. Si noti che il punto di fusione varia poco con la pressione. La curva liquido-vapore mostra in che modo la pressione del vapore sovrastante il liquido dipende dalla temperatura; lungo tale curva, la velocità di evaporazione eguaglia quella di condensazione. La temperatura alla quale la pressione di vapore del liquido eguaglia quella esterna è il punto di ebollizione, che ha pendenza positiva (aumenta aumentando la pressione). Si definisce punto triplo il punto corrispondente alle condizioni in cui la fase solida, la fase liquida e la fase aeriforme coesistono in un equilibrio dinamico. Al punto triplo, la tensione di vapore del solido è uguale alla tensione di vapore del liquido. Si definisce punto critico il punto che rappresenta la temperatura critica della sostanza, oltre la quale non è possibile ottenere la fase liquida, qualunque sia la pressione alla quale la sostanza viene sottoposta. A tale temperatura, la densità del gas aumenta sino a raggiungere quella del liquido, e dunque non vi è più separazione tra i due. Il fluido che ne deriva possiede proprietà simili a quelle di un liquido. Un aeriforme sotto la sua temperatura critica si definisce vapore: comprimendolo senza variare la temperatura, si ha condensazione. Una aeriforme sopra la sua temperatura critica si definisce gas: infatti, per essere liquefatto, si deve agire sia sulla temperatura (che si deve portare al di sotto della temperatura critica) che sulla pressione. Una soluzione si dice: • satura, se contiene la massima quantità di soluto che si scioglie in un dato solvente a una data temperatura. • insatura, se contiene meno della massima quantità di soluto che si scioglie in un dato solvente a una data temperatura. • sovrassatura, se contiene più della massima quantità di soluto che si scioglie in un dato solvente a una data temperatura. Quando un soluto si scioglie in un solvente, le particelle di soluto si disperdono in tutto il solvente. Le particelle di soluto occupano posizioni normalmente occupate da molecole di solvente. Vi sono tre tipi di interazioni in gioco: interazioni solvente-solvente, interazioni soluto-soluto, interazioni soluto-solvente. Il simile scioglie il simile: due sostanze con forze intermolecolari e grandezze simili sono verosimilmente solubili le une nelle altre. Le sostanze polari miscibili con l’acqua sono dette idrofile; le sostanze apolari non miscibili con l’acqua sono dette idrofobe. La dissoluzione si può vedere come un processo in due stadi: 1. gli ioni si separano dal solido dando origine a un gas di ioni. 2. gli ioni allo stato gassoso penetrano nell’acqua e danno origine alla soluzione finale. La solvatazione è il processo in cui uno ione o una molecola si circonda di molecole di solvente disposte in modo specifico. Se il solvente è l’acqua, si parla di idratazione. Le sostanze che si sciolgono in acqua (ed in generale nei solventi polari) si dividono in: • elettroliti. Sono sostanze che disciolte in acqua si dissociano, in misura più o meno elevata, in ioni di carica opposta. Il termine “elettrolita” fa riferimento al fatto che solo le soluzioni che contengono ioni di carica opposta sono in grado di dare processi elettrolitici. Gli elettroliti si dicono forti quando si dissociano in modo completo. Sono elettroliti forti: - quasi tutti i sali. 30 - gli acidi forti (come HCl, HBr, HI, HNO3, …). - le basi forti (idrossidi dei metalli alcalini e alcalino-terrosi). Gli elettroliti si dicono deboli quando sono solo parzialmente dissociati. Sono elettroliti deboli: - gli acidi deboli (come HF, H2S, HCN, HNO2, …). - le basi deboli (gli idrossidi degli altri metalli). Si definisce grado di dissociazione il rapporto tra il numero di moli dissociate ed il numero di moli: • non-elettroliti. Sono sostanze che sciolte in acqua non si dissociano in ioni di carica opposta. Il termine “non-elettrolita” fa riferimento all’impossibilità per le soluzioni che contengono questo tipo di soluti di dare il processo dell’elettrolisi. La solubilità delle sostanze chimiche dipende dalla temperatura. Nella maggior parte dei casi, le sostanze si sciolgono più velocemente aumentando la temperatura. Ciò però non vuol dire che ad alta temperatura la concentrazione di soluto sia maggiore! La solubilizzazione di un gas in un liquido è un processo esotermico, e la solubilità del gas diminuisce con la temperatura. La legge di Henry afferma che la solubilità di un soluto gassoso (espressa come molarità) è direttamente proporzionale alla pressione parziale del gas sovrastante la soluzione: Le proprietà colligative delle soluzioni dipendono solo dal numero di particelle di soluto presenti e non dalla loro natura (dimensioni, massa molecolare). Per soluti che in soluzione non si dissociano in ioni (non-elettroliti), le proprietà colligative valgono per concentrazioni minori di 0,1 M, cioè per soluzioni che possono essere considerate ideali. Le proprietà colligative sono: • abbassamento della pressione di vapore. La legge di Raoult asserisce che la pressione di vapore di un solvente è proporzionale alla sua frazione molare nella soluzione. Detta la pressione di vapore del solvente puro, si ha: La legge è valida a qualsiasi temperatura. Se conta solo la frazione molare, vuol dire che le interazioni fra le molecole di solvente sono uguali a quelle fra le molecole di soluto. Le molecole di soluto si mescolando liberamente con le molecole di solvente, e la soluzione è definita soluzione ideale. In una soluzione costituita da un soluto non volatile B disciolto in un solvente A, la pressione di vapore della soluzione è sempre inferiore a quella del solvente puro. L’abbassamento della pressione di vapore di una soluzione rispetto al solvente puro è direttamente proporzionale alla frazione molare del soluto. Si ha: α α = ndissociate niniziali c = KHP P*i i Pi = χiP*i P*A − PA = ΔP = χBPA 31 La presenza di molecole di soluto che non evaporano (o evaporano in modo trascurabile) alla superficie della soluzione fa diminuire la superficie utile per l’evaporazione del solvente di una percentuale pari alla frazione molare del soluto. La tensione di vapore del solvente diminuisce dunque della stessa percentuale. • innalzamento ebullioscopico. Si assuma che il soluto B non sia volatile. L’innalzamen- to (in generale piccolo) del punto di ebollizione della soluzione rispetto al punto di ebollizione del solvente puro è proporzionale alla frazione molare del soluto e all’abbassamento della pressione di vapore. Detta la molalità del soluto, si ha: • abbassamento crioscopico. L’abbassamento del punto di congelamento della soluzione rispetto al punto di congelamento del solvente puro è direttamente proporzionale all’abbassamento della curva di pressione del vapore della fase liquida. Detta la molalità del soluto, si ha: Quando una soluzione congela, è solo il solvente che solidifica (cioè il componente a più elevato punto di congelamento). Infatti, le molecole di soluto vengono espulse dal reticolato solido che si va formando. La soluzione liquida che deve ancora congelare diventa via via più concentrata in soluto ed il suo punto di congelamento si abbassa ulteriormente. Dunque, le soluzioni non congelano ad una temperatura ben definita, ma si solidificano gradualmente all’interno di un certo intervallo di temperatura. • pressione osmotica. L’osmosi è il passaggio selettivo di molecole di solvente attraverso una membrana porosa da una soluzione diluita ad una più concentrata. Si considerino due soluzioni a diversa concentrazione (acqua pura da un lato, soluzione acquosa di un solo soluto dall’altro) separate da una membrana semipermeabile (cioè permeabile in modo selettivo). La pressione osmotica prodotta da una soluzione rispetto al solvente puro obbedisce all’equazione di stato dei gas perfetti, dunque si ha: La pressione osmotica di una soluzione, a temperatura costante, dipende dunque esclusivamente dalla sua concentrazione. Nel caso si prendano in considerazione due soluzioni a diversa concentrazione, la pressione osmotica è proporzionale alla differenza di concentrazione: Due soluzioni si dicono isotoniche se hanno la stessa pressione osmotica. Se una soluzione ha pressione osmotica maggiore rispetto a un’altra, si dice ipertonica. Se una soluzione ha pressione osmotica minore rispetto a un’altra, si dice ipotonica. mB ΔTb = Tb − T*b = KbmB > 0 mB ΔTf = T*f − Tf = Kf mB > 0 Π Π = n V RT = MRT Π = ΔMRT 32 concetto di temperatura dal punto di vista delle proprietà complessive del sistema, la legge di Boltzmann introduce il concetto di temperatura dal punto di vista degli atomi. La legge di Boltzmann dice che per calcolare le popolazioni dei diversi stati energetici è sufficiente conoscere le energie degli stati. La distribuzione degli atomi fra gli stati a diversa energia è detta distribuzione di Boltzmann. Con il crescere dell’energia di uno stato, la popolazione di questo stato diminuisce esponenzialmente. Si ha: Più è grande , meno vengono occupati gli stati a più alta energia. Esiste una relazione che lega alla costante di Boltzmann : Dunque, se la temperatura aumenta, diminuisce. Segue che se è basso e la temperatura è alta, ci sono molti stati con una popolazione numerosa. La temperatura è perciò il parametro che indica la distribuzione più probabile delle popolazioni di molecole fra gli stati permessi di un sistema all’equilibrio. Il lavoro è energia trasferita in modo “ordinato”, mentre il calore è energia trasferita in modo “disordinato”. Esiste una relazione importantissima fra queste due quantità. Il Primo Principio della Termodinamica asserisce che il calore e il lavoro non sono funzioni di stato, ma sperimentalmente si osserva che la loro somma è una variazione di una funzione di stato chiamata energia interna. Si ha: L’energia interna di un sistema è dunque la sua capacità di compiere lavoro e/o trasferire calore. Quando una reazione chimica avviene a volume costante, la variazione di energia interna è uguale al calore ceduto se la reazione è esotermica (dunque, ha segno negativo), mentre è uguale al calore assorbito se la reazione è endotermica (dunque, ha segno positivo). Tuttavia, le trasformazioni a volume costanti sono difficili da ottenere. La maggior parte delle reazioni chimiche, infatti, avviene a pressione costante (quella atmosferica) e tali reazioni vengono dette processi isobari. Si noti che in qualunque caso, occorre vincere la pressione atmosferica per ottenere una trasformazione. Si definisce una funzione termodinamica, detta entalpia , definita dall’equazione: Anche l’entalpia, come si evince dall’equazione, è un’energia. Come l’energia interna, la pressione e il volume, anche l’entalpia è una funzione di stato, cioè la sua variazione dipende solo dagli stati iniziale e finale. Segue che, in una trasformazione ciclica, si ha . popolazione dello stato con energia E popolazione dello stato con energia 0 = e−βE β β kB β = 1 kBT β β ΔU = W + Q H H = U + PV ΔcicloH = 0 35 In una trasformazione a pressione costante, si ha: ovverosia, la variazione di entalpia in una reazione chimica è uguale al calore ceduto se la reazione è esotermica o al calore assorbito se la reazione è endotermica. Qualsiasi reazione chimica provoca un trasferimento di energia sotto forma di calore. Se in un’equazione stechiometrica viene indicato lo stato di aggregazione di reagenti e prodotti, in un’equazione termochimica viene anche indicata la variazione di entalpia. Si noti che: • se , la reazione è endotermica. • se , la reazione è esotermica. La variazione di entalpia in una reazione chimica segue le seguenti regole: 1. se si inverte una reazione, cambia di segno. 2. se si moltiplicano i coefficienti di una reazione per un intero, si moltiplica per lo stesso intero. L’entalpia di reazione di una sostanza dipende dal suo stato di aggregazione e dalle condizioni di reazione. Si fa allora riferimento a reagenti e prodotti puri nel loro stato standard, cioè 1 bar e usualmente 25°C (anche se la temperatura può essere scelta per l’entalpia di reazione) per solidi, liquidi e gas puri; per le soluzioni, il solvente deve essere un liquido puro a 1 bar, e il soluto deve avere la molarità pari a 1. Si noti che se si considera un solido puro cristallino che non è nella sua forma termodinamicamente stabile, bisogna considerare anche l’entalpia coinvolta per passare dalla forma stabile a quella che si considera. L’entalpia standard di reazione è definita dal simbolo . La legge di Hess asserisce che il calore svolto o assorbito, a pressione costante, in una trasformazione chimica è indipendente dal cammino della trasformazione. Dunque, l’entalpia di reazione complessiva di una reazione a più stadi è la somma delle entalpie di reazione dei singoli stadi. L’entalpia standard di formazione delle sostanze è la variazione entalpica che si ha nella formazione di una mole di composto, dagli elementi costituenti quando questi sono nelle condizioni standard di 1 bar., cioè è il calore che si libera per formare una sostanza a partire dai suoi elementi nella loro forma più stabile. Quanto più il è negativo, tanto più il prodotto è stabile rispetto ai reagenti. L’entalpia standard di formazione di un elemento nella sua forma più stabile è detta nulla. Data un’equazione del tipo , l’entalpia standard di reazione è: L’entalpia di legame tra due molecole A e B è data dalla variazione di entalpia standard necessaria per la rottura di una mole di legami A-B con formazione di atomi gassosi. Dato che l’energia di legame è sempre positiva, la scissione di un legame richiede calore, dunque . Si noti che l’energia di un legame è circa costante nei vari composti in ΔH = Q ΔH > 0 ΔH < 0 ΔH ΔH ΔH ∘ ΔH ∘ f ΔH ∘ f a A + bB → cC + dD ΔH ∘ r = ∑ nΔH ∘ f  (prodotti) − ∑ nΔH ∘ f  (reagenti) = [cΔH ∘ f (C ) + dΔH ∘ f (D)] − [aΔH ∘ f (A) + bΔH ∘ f (B)] ΔH ∘ > 0 36 cui questo legame è contenuto, e un legame triplo è più forte del corrispondente doppio, che a sua volta è più forte del singolo. Per prevedere il verso di una trasformazione, è necessario introdurre una nuova grandezza, cioè l’entropia. Lo stato termodinamico, o macrostato, di un sistema è descritto da un numero relativamente piccolo di variabili, ovverosia . Un microstato è invece l’insieme di tutte le variabili associate al singolo atomo o alla singola molecola che costituisce il sistema. Dato un macrostato, ci sono molti possibili microstati. Il numero di microstati è rappresentato dalla variabile , mentre la variabile rappresenta la probabilità relativa che un macrostato sia osservato. Macrostati con grande sono più probabili di quelli con piccolo. Si ha la formula di Boltzmann: dove è l’entropia e è la costante di Boltzmann, che vale . Si noti che: • la probabilità che un macrostato di verifichi dipende dal numero di microstati. • il processo che porta da un basso a un alto è spontaneo. • il processo inverso che porta da un alto a un basso non viene osservato perché non spontaneo. Dunque, la situazione più probabile è quella che porta a un maggior numero di microstati. L’aumento dell’incertezza sulla precisa posizione occupata dalle particelle o molecole che compongono il sistema è cioè che si intende per “disordine” del sistema stesso e corrisponde all’aumento di entropia. Il Secondo Principio della Termodinamica asserisce che l’entropia di un sistema isolato aumenta sempre in un processo spontaneo e rimane invariata in un processo reversibile all’equilibrio, vale cioè . L’Universo è un sistema isolato: dunque, in una trasformazione spontanea, l’entropia dell’Universo aumenta, vale cioè . Si noti che: • se , la reazione è spontanea. • se , la reazione è non spontanea. • se , il processo, all’equilibrio, è reversibile. Dunque, se il sistema è costantemente in equilibrio con il suo ambiente, la variazione di entropia dell’ambiente è l’opposto di quella subita dal sistema. Si noti infine che l’entropia di una sostanza pura è positiva, e che ai fini della variazione dell’entropia né la via percorsa né la velocità della trasformazione sono rilevanti. L’efficienza di una macchina termica dipende dalla temperatura della sorgente calda e dalla temperatura del serbatoio freddo: Quest’equazione si applica a qualsiasi massima termica, e fornisce la massima efficienza teorica. Per avere il 100% di efficienza, bisognerebbe avere infinita o pari allo zero assoluto, ma sono condizioni non realizzabili in pratica. P, V, T, n W* W W W S = kB ln W* S kB 1,38 ⋅ 10−23 J/K W W W W ΔStot ≥ 0 ΔSU = ΔSS + ΔSA > 0 ΔSU > 0 ΔSU < 0 ΔSU = 0 η = 1 − Tfreddo Tcaldo Tcaldo Tfreddo 37 Vale, infine, quanto segue: EQUILIBRIO CHIMICO L’equilibrio fisico implica il trasferimento di molecole tra i differenti stati fisici di una sostanza, senza che vi siano rotture di legami chimici durante il processo. L’equilibrio chimico, invece, comporta la rottura e la formazione di legami chimici. La legge di azione di massa di Guldberg e Waage asserisce che, per una reazione reversibile all’equilibrio e a temperatura costante, il rapporto tra le concentrazioni dei prodotti e dei reagenti è pari a una costante , detta costante di equilibrio: Gli esponenti delle concentrazioni sono i rispettivi coefficienti stechiometrici, che non sono necessariamente eguali a quelli che compaiono nella velocità di reazione. Si noti che: • se ( ), l’equilibrio è spostato verso destra, dunque verso i prodotti, e viene raggiunto quando le concentrazioni dei prodotti di reazione sono molto maggiori delle concentrazioni dei reagenti. Se , la reazione è quasi completa. • se ( ), l’equilibrio è spostato verso sinistra, dunque verso i reagenti, e viene raggiunto quando le concentrazioni dei reagenti sono molto maggiori delle concentrazioni dei prodotti di reazione. Il valore di è caratteristico per ogni reazione, e dipende solo dalla temperatura. È dunque indipendente da pressione, concentrazione, catalizzatori, e altro. La costante per la reazione inversa è pari a: La costante è espressa in , dunque è adimensionale se . Nel caso dei gas, si usano le pressioni parziali anziché le concentrazioni. Si ha: Esistono molti altri modi per esprimere la costante . Data la generica costante , si ha: la reazione è spontanea ad alta temperatura la reazione non è mai spontanea la reazione è spontanea ad ogni temperatura la reazione è spontanea a bassa temperatura (reazioni esotermiche) ΔH ∘ < 0 (reazioni endotermiche) ΔH ∘ > 0 ΔS∘ > 0 ΔS∘ < 0 K KC = [C ]c[D]d [A]a[B]b K ≫ 1 > 10 K > 103 K ≪ 1 < 0,1 K K′ = 1 K K (mol/L)Δn a + b = c + d KP = [PC]c[PD]d [PA]a[PB]b = KC (RT )Δn K Kn 40 Si definisce attività di un componente la concentrazione attiva (o efficace) di quel componente. L’attività può essere interpretata come una misura dell’effettiva quantità di sostanza disponibile per la reazione. Data un’equazione stechiometrica del tipo e detta l’attività del componente , si ha: Per il calcolo dell’attività, si tenga presente quanto segue: • per i gas ideali, l’attività è pari alla pressione parziale fratto una pressione di riferimento unitaria (ciò rende l’attività adimensionale e permette ad esempio il calcolo del logaritmo). • per il soluto in soluzioni diluite, l’attività è pari alla concentrazione fratto una concentrazione di riferimento unitaria (ciò rende l’attività adimensionale e permette ad esempio il calcolo del logaritmo). • per i solidi o liquidi puri, l’attività vale 1. Da questa affermazione, verificata sperimentalmente e giustificata sulla base di considerazioni termodinamiche, si è giunti alla fondamentale conclusione che i liquidi puri e i solidi puri non devono figurare in . • per una soluzione, se la concentrazione del soluto tende a zero, la sua attività tende alla sua concentrazione. • per un gas reale, se la pressione tende a zero, l’attività (chiamata fugacità) tende alla pressione. Il quoziente di reazione è la quantità che si ottiene quando le attività delle specie non all’equilibrio sono utilizzate nell’espressione della costante di equilibrio. Si noti che: • se , la reazione procede verso i prodotti. • se , il sistema è all’equilibrio. • se , la reazione procede verso i reagenti. Se una reazione può procedere sia in un verso che in un altro, si dice reversibile. All’inizio, una reazione reversibile procede verso la formazione dei prodotti; non appena ciò avviene, inizia ad avere luogo la reazione inversa e si formano molecole di reagenti da molecole di prodotto. Quando le concentrazioni dei reagenti e dei prodotti non cambiano più, si ha equilibrio chimico. Per la maggior parte delle reazioni chimiche, non si ha la completa trasformazione dei reagenti in prodotti. Quando la reazione ha inizio, la velocità della reazione verso destra assume un valore iniziale che poi progressivamente diminuisce perché diminuiscono le concentrazioni delle specie reagenti; a mano a mano che si forma il prodotto, aumenta la velocità della reazione verso sinistra, inizialmente nulla. Dopo un certo tempo, si giunge ad una situazione di equilibrio dinamico, in cui le concentrazioni dei reagenti e quelle dei prodotti sono costanti e tali per cui le velocità delle due reazioni assumono lo stesso valore. Si noti che il fatto che l’equilibrio sia dinamico implica che, anche quando l’equilibrio è raggiunto, le reazioni diretta e inversa continuano ad avvenire, ma non modificano le concentrazioni delle specie presenti. La posizione dell’equilibrio, cioè le mutue concentrazioni dei componenti, dipende da vari fattori ma, a parità di questi, non cambia sia che si parta dai KC = Kn VΔn bB + cC ⇆ dD + eE ai i KA = ad D ⋅ ae E ab B ⋅ ac C K Q < K Q = K Q > K 41 reagenti sia che si parta dai prodotti. La velocità di raggiungimento di tale risultato finale può essere diversa, ma questo è unicamente un problema cinetico. Il principio dell’equilibrio mobile di Le Chatelier asserisce che, quando un sistema è in equilibrio, se si cerca di modificare qualcosa dall’esterno il sistema reagisce cercando di minimizzare l’effetto provocato. Vale quanto segue: È un fatto generale molto importante che nei processi in cui la posizione dell’equilibrio non sarebbe favorevole ai prodotti, l’eliminazione di uno dei prodotti fa procedere la reazione talvolta in modo praticamente completo. Le reazioni chimiche tendono a procedere verso l’equilibrio. Si noti che tutti i sistemi in equilibrio chimico rappresentano dei minimi dell’energia libera. Deve esistere, inoltre, una relazione che colleghi il di una reazione chimica alla sua costante di equilibrio . All’equilibrio, . In generale, vale: Dunque: La dipendenza della costante di equilibrio dalla temperatura è evidente nell’equazione di van’t Hoff: EQUILIBRIO SPOSTATO VERSO I REAGENTI EQUILIBRIO SPOSTATO VERSO I PRODOTTI VARIAZIONE DI CONCENTRAZIONE aggiunta di prodotti aggiunta di reagenti rimozione di reagenti rimozione di prodotti VARIAZIONE DI TEMPERATURA REAZIONE ESOTERMICA aumento di temperatura diminuzione di temperatura REAZIONE ENDOTERMICA diminuzione di temperatura aumento di temperatura VARIAZIONE DI PRESSIONE - REAGENTI + PRODOTTI aumento di pressione diminuzione di pressione + REAGENTI - PRODOTTI diminuzione di pressione aumento di pressione REAGENTI = PRODOTTI nessuna influenza nessuna influenza ΔG∘ K ΔG = 0 ΔG∘ = − RT ln K K = e−( ΔG∘ RT ) d ln K dT = ΔH ∘ RT 2 42 Per concentrazioni di e di sufficientemente basse ( ), le attività sono uguali alle concentrazioni rispetto alla concentrazione standard ( ). L’attività del solvente puro può essere considerata pari a 1. Dunque, la costante di equilibrio per l’autoionizzazione dell’acqua è: In acqua pura a 25°C, . Questa espressione può essere ritenuta valida anche in soluzioni sufficientemente diluite (cioè con bassa concentrazione di soluto) ed alla stessa temperatura. Ciò comporta che l’espressione del prodotto ionico, anche in presenza di una specie che altera l’equilibrio dissociativo dell’acqua, mantiene il valore previsto a quella temperatura, purché non venga alterata apprezzabilmente la concentra- zione dell’acqua. Se: • , la soluzione è acida. • , la soluzione è basica. • , la soluzione è neutra. Si noti che non si possono modificare indipendentemente le concentrazioni in soluzione di e . Le concentrazioni di e in soluzione sono spesso piccole e difficili da misurare. Viene dunque introdotta una misura più pratica. Il pH di una soluzione è definito come il logaritmo negativo (in base 10) dell’attività dello ione idrogeno: Il pH è una quantità adimensionale. Si noti che insegno negativo che precede il logaritmo decimale consente di rendere positivi i valori ottenuti per il pH nei casi normali, cioè quelli con valori della concentrazione protonica delle soluzioni minore di 1 molare. Il pH aumenta al diminuire di . Analogamente, si definisce il pOH come il logaritmo decimale negativo dell’attività dello ione idrossido in soluzione: Vale la seguente relazione fondamentale: Gli acidi forti sono acidi completamente ionizzati in soluzione acquosa. Sono pochi, e sono inorganici. Invece, gli acidi deboli sono acidi ionizzati solo parzialmente in soluzione acquosa, e sono la maggioranza degli acidi. La forza di un acido o di una base viene KA = aH3O+ ⋅ aOH− a2 H2O H3O+ OH− < 0,05 M c0 = 1 M KW = [H+][OH−] KW = 1,0 ⋅ 10−14 [H+] > [OH−] [H+] < [OH−] [H+] = [OH−] [H+] [OH−] [H+] [OH−] pH = − log10[aH+] = − log10[H+] [H+] pOH = − log10[aOH−] = − log10[OH−] pH + pOH = 14 45 espressa dalla costante di equilibrio della reazione di trasferimento protonico. Maggiore è la , più forte è l’acido. In generale: Le basi forti sono basi completamente dissociate in acqua. Sono basi forti gli idrossidi dei metalli alcalini e di alcuni metalli alcalino-terrosi. Invece, le basi deboli sono basi solo parzialmente dissociate in acqua. Maggiore è la , più forte è la base. In generale: Gli acidi poliprotici possono produrre più di uno ione idrogeno per molecola, e si ionizzano in modo graduale, perdendo un protone per volta. Dunque, si devono usare due o più espressioni delle costanti di equilibrio. La base coniugata del primo stadio di ionizzazione diventa l’acido del secondo stadio di ionizzazione. Si noti che la prima costante di ionizzazione è molto più grande della seconda (fatta eccezione per l’acido solforico) e della terza. Si consideri una coppia coniugata acido-base. Una base coniugata ha sempre un atomo di H in meno e una carica negativa in più (o una carica positiva in meno) rispetto alla formula del corrispondente acido. Infatti, essa è la specie che rimane dopo che l’acido ha donato un protone. Un acido coniugato, invece, ha sempre un atomo di H in più e una carica positiva in più (o una carica negativa in meno) rispetto alla formula della corrispondente base. Infatti, esso è la specie che risulta dall’aggiunta di un protone alla base. Tanto più gli acidi e le basi sono forti, tanto più sono deboli le basi e gli acidi coniugati. Le reazioni di trasferimento di protoni tendono ad avvenire nel senso in cui si formano le basi e gli acidi più deboli. Dunque, in qualsiasi solvente, si ha: La forza di un acido (o di una base) non dipende soltanto dalla sua natura ma anche dalla forza della base (o dell’acido) con cui reagisce. Un acido è tanto più forte quanto più forte è la base con cui reagisce. Una base è tanto più forte quanto più forte è l’acido con cui reagisce. Quando due reazioni vengono sommate per dare una terza reazione, la costante di equilibrio per la terza reazione è il prodotto delle costanti di equilibrio delle due reazioni sommate. Data una coppia coniugata di acido-base, vale dunque la relazione: Se è molto grande, il valore di è molto piccolo. In generale, valgono: , , (a 25°C) Ka Ka = [H+][A−] [HA] Kb Kb = [HA][OH−] [A−] acido più forte + base più forte ⇆ base più debole + acido più debole KaKb = KW Ka Kb pKa = − log10 Ka pKb = − log10 Kb pKa + pKb = 14 46 Esaminando due acidi nello stesso solvente, alla stessa temperatura e concentrazione, si può correlare la forza dell’acido con la struttura molecolare. La forza di un acido HX è misurata dalla sua tendenza a ionizzarsi in soluzione: • più è forte il legame H-X, più è difficile per HX ionizzarsi, dunque più debole è l’acido. L’energia di legame è il fattore predominante nel determinare la forza degli acidi binari. • più è polarizzato il legame H-X, più H-X tende a spezzarsi in ioni e , dunque più forte è l’acido. Gli ossiacidi contengono idrogeno, ossigeno e un altro elemento Z. Se Z è molto elettronegativo, Z-O diventa più covalente, mentre O-H diventa più polare, dunque la tendenza dell’idrogeno ad essere ceduto come ione aumenta. Si considerino i seguenti casi: • negli ossiacidi che hanno atomi centrali diversi ma dello stesso gruppo della tavola periodica, e che hanno lo stesso numero di atomi di ossigeno intorno all’atomo centrale, la forza dell’acido dipende dall’elettronegatività dell’atomo centrale. • negli ossiacidi che hanno lo stesso atomo centrale, ma un diverso numero di gruppi legati, la forza dell’acido aumenta con il numero di O elettronegativi legati all’atomo centrale. Negli acidi carbossilici, espressi nella forma R-COOH, la forza dell’acido dipende dal gruppo organico R. La capacità di delocalizzare la densità elettronica porta ad acidi più forti, dunque gli acidi con forme di risonanza sono più forti. Il prodotto di solubilità di un composto può essere approssimato come il prodotto delle concentrazioni molari degli ioni che lo costituiscono, ciascuno elevato al coefficiente stechiometrico con cui compare nell’equazione di equilibrio. Se si ha un composto poco solubile, che in acqua si dissocia in ioni secondo il seguente equilibrio la costante relativa a questo equilibrio è data da: La solubilità molare è il numero di moli di soluto in un litro di soluzione satura, mentre la solubilità è il numero di grammi di soluto in un litro di soluzione satura. Si noti, infine, che le basi insolubili tendono a sciogliersi in soluzioni acide, mentre gli acidi insolubili tendono a sciogliersi in soluzioni basiche. ELETTROCHIMICA L’elettrochimica studia i processi di trasformazione dell’energia chimica di legame in energia elettrica e viceversa. Tutte le reazioni elettrochimiche comportano il trasferimento di elettroni, dunque sono reazioni redox. Nelle reazioni redox: • una sostanza perde elettroni, dunque si ossida (il numero di ossidazione aumenta). • una sostanza acquista elettroni, dunque si riduce (il numero di ossidazione si riduce). Una reazione redox è spontanea quando gli elettroni passano da una sostanza dove sono ad un livello energetico più elevato (e quindi meno stabile) ad una sostanza dove si trovano in una situazione di maggiore stabilità (dove sono più fortemente legati). Vi è una differenza di potenziale tra la specie che si ossida e quella che si riduce. Tale energia H+ X− H+ Kps MmXn(s) ⇆ mMu+ + nXv− Kps = [Mu+]m ⋅ [Xv−]n 47 La è il potenziale di cella, e misura l’attitudine della reazione di cella a sospingere gli elettroni lungo un circuito. Il potenziale di cella è anche detto voltaggio, e si misura in volt. Il volt è definito in modo tale che un coulomb di carica elettrica sospinta lungo un circuito dalla differenza di potenziale di un volt liberi un joule di energia. La differenza di potenziale elettrico è anche definita come il lavoro necessario per spostare l’unità di carica elettrica da un punto all’altro: La carica elettrica totale complessivamente trasportata durante il lavoro della pila è pari a: dove è il numero di moli di elettroni che passa attraverso il circuito e , detta costante di Faraday, è la carica portata da una mole di elettroni ed è pari a . Dunque, il lavoro eseguito da una pila è: Il massimo lavoro non di espansione svolto dal sistema a temperatura e pressione costanti è uguale alla diminuzione dell’energia libera di Gibbs: Tale quantità è massima in condizioni reversibili. Il lavoro elettrico non è un lavoro di espansione. Segue: Tale relazione è importante, perché indica che, se un processo è spontaneo, deve essere positivo. In tali condizioni, sarà favorita la formazione dei prodotti. Nel caso duale, sarà favorita la formazione dei reagenti. Esiste un’importante relazione che lega alla costante di equilibrio : Se una batteria non funziona più, le cause possono essere due: • l’anodo si è consumato, e non c’è più rilascio di elettroni (causa più comune). • la reazione ha raggiunto l’equilibrio, e non c’è più un flusso netto di elettroni e di cariche in alcuna direzione. Il voltaggio prodotto da una batteria differisce spesso da quello standard, poiché gli ioni in soluzione non sono in condizioni standard, cioè le loro concentrazioni non sono 1 M. L’equazione di Nernst permette di calcolare il potenziale di una cella in condizioni di concentrazione diverse da quelle standard: ΔE∘ L = VQ q = nF n F 96485 C/mol L = ΔE∘nF wmax = − ΔG ΔG = − nFE∘ cella E∘ cella E∘ cella K E∘ cella = RT nF ln K 50 Si noti che, all’equilibrio, e , dunque si riottiene la relazione precedente. Una reazione redox spontanea ha come risultato la conversione di energia chimica in energia elettrica, in una cella galvanica. Una reazione redox spontanea è caratterizzata da energia libera di reazione negativa. Una reazione redox non spontanea, invece, è caratterizzata da energia libera di reazione positiva. Una reazione di questo tipo può essere fatta avvenire con l’ausilio della corrente elettrica. L’elettrolisi è il processo mediante il quale si promuove una reazione redox nel verso di svolgimento non spontaneo grazie all’ausilio della corrente elettrica. La cella elettrolitica è l’apparato sperimentale per effettuare l’elettrolisi. I medesimi principi sono alla base dei processi che avvengono in una cella galvanica e in una cella elettrolitica. Nella cella elettrolitica, vi è un solo elettrolita. Gli elettrodi sono collegati a un generatore di corrente continua. La batteria sottrae elettroni all’elettrodo positivo e pompa elettroni all’elettrodo negativo. La differenza tra la cella elettrolitica e la cella galvanica è fondamentale: nella cella elettrolitica, la reazione di ossidazione avviene all’elettrodo positivo, che prende il nome di anodo, mentre la reazione di riduzione avviene all’elettrodo negativo, che prende il nome di catodo. I composti che si dissociano in ioni possono subire l’elettrolisi e sono detti elettroliti. Gli elettroliti conducono la corrente elettrica. La conduzione elettrica che avviene grazie alle reazioni degli ioni presenti nel fluido della soluzione di una cella elettrolitica viene detta conduzione elettrolitica o di seconda specie. La minima differenza di potenziale che deve essere generata dalla sorgente esterna affinché si abbia l’elettrolisi è detta forza contro elettromotrice. Se in una soluzione contenente più ioni avviene elettrolisi, la precedenza di scarica dipende essenzialmente dalla maggiore o minore tendenza ad acquistare o cedere elettroni, tendenza che viene misurata attraverso i potenziali standard di riduzione. Si tenga presente che: • un riducente in presenza di più specie ossidanti riduce per prima la specie più ossidante. • un ossidante in presenza di più specie riducenti ossida prima la specie più riducente. In una cella elettrolitica: • il riducente è il catodo e si riduce prima la specie più ossidante, cioè quella con più alto. • l’ossidante è l’anodo e si ossida prima la specie più riducente, cioè quella con più basso. Si tenga ben presente che se le specie sono presenti in concentrazione non standard, è necessario confrontare i potenziali non standard calcolati con l’equazione di Nernst. La Prima Legge di Faraday asserisce che la massa di una sostanza che si libera agli elettrodi di una cella elettrolitica è direttamente proporzionale alla quantità di carica che la attraversa. La Seconda Legge di Faraday asserisce che in una cella elettrolitica, al passaggio di 96485 coulomb di carica elettrica, viene scaricata agli elettrodi una quantità di sostanza pari alla sua massa equivalente. E = E∘ − RT nF ln Q E = 0 Q = K E∘ E∘ 51 L’equivalente elettrochimico rappresenta la quantità in grammi di una sostanza liberata al passaggio di un coulomb, ed è pari a: dove la massa equivalente è pari a: La massa che si libera ad un elettrodo è pari, detto il numero di faraday che hanno attraversato la soluzione, a: Se un faraday libera un equivalente, è evidente che faraday liberano equivalenti, dunque in una reazione redox la massa che si libera agli elettrodi sta al peso equivalente come la quantità di corrente che attraversa la soluzione sta a 96485. equivalente elettrochimico = meq 96485 meq meq = M nelettroni nF mliberata = meqnF n n 52
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