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Chirurgia Toracica, chirurgia generale toracica, Appunti di Chirurgia Generale

Appunti di chirurgia toracica dettagliati

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 27/03/2020

martina_nieddu
martina_nieddu 🇮🇹

4.2

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Scarica Chirurgia Toracica, chirurgia generale toracica e più Appunti in PDF di Chirurgia Generale solo su Docsity! Chirurgia Generale 03/03/2016 L’occlusione intestinale. Un’occlusione intestinale è una sindrome clinica, che quindi si ripercuote anche su altri organi, in cui c’è un’interruzione persistente del transito del contenuto intestinale [arresto completo e persistente] da differenziarsi da altri quadri subclinici in cui l’occlusione si risolve spontaneamente. L’occlusione intestinale prende anche il nome di ileo. Richiamo anatomico. Il piccolo intestino, che comprende ileo e digiuno, è lungo 290 cm circa, il duodeno è lungo 20 cm. Il tenue è irrorato dalla arteria mesenterica superiore. Le funzioni principali dell’intestino tenue sono assorbimento, secrezione di muco, scambio di elettroliti tra lume e sangue, motilità, funzione endocrina e immunitaria. L’innervazione è fornita dal para e dall’ortosimpatico. Il primo fornisce anche fibre nocicettive. Il colon è lungo circa 1,5 metri. E’ irrorato da rami dell’arteria colica media e della colica sinistra. Le funzioni sono assorbimento di acqua, elettroliti, motilità e formazione di feci. Perché si ha un’occlusione? 1. Si ha un ostacolo con formazione di ileo meccanico ossia si ha un qualcosa che ostruisce e blocca il transito intestinale; 2. si ha blocco della peristalsi con formazione di ileo dinamico o adinamico?. Meccanismi occlusivi: • ostruzione: può essere causata da un tumore, da un corpo estraneo (come i benzoari, accumuli di materiale che si possono formare, ad esempio, a causa di un’eccessiva ingestione di semi, verdure, …), da calcoli biliari, da cause extraparietali (quali morbo di Crohn, tumori retroperitoneali, renali, ascesso intraperitoneale). Ci sono poi le occlusioni congenite causate da atresie (mancato sviluppo di una continuità di una parte dell’apparato digerente). Il paziente sviluppa l’occlusione nel corso di mesi o anni, può avere una sintomatologia che si manifesta per gradi (può avere dolori addominali, episodi di dilatazione dell’addome, un alvo tendenzialmente stitico, ha difficoltà sempre più frequenti nell’evacuazione fino a un giorno non arriva ad una occlusione intestinale). • stenosi: una compressione dell’intestino. Può essere causata da un tumore localizzato sulla parete intestinale oppure da una compressione ab estrinseco, cioè dal di fuori. Per esempio una paziente può avere un grosso tumore ovarico (che non c’entra niente con Morbo di Crohn: malattia infiammatoria cronica con un tipico aspetto di lesioni a salto, cioè colpisce una parte dell’intestino, mentre l’altra è libera. E’ anche definito come enterite segmentaria. l’apparato digerente), che comprime le anse tanto da causare un’occlusione intestinale; • angolatura tra le anse intestinali: in genere le angolature sono delle situazioni che si verificano quando un paziente è stato già operato. Inevitabilmente quando si va ad operare pazienti che sono già stati operati, buona parte del tempo si utilizza per lisare le aderenze. Le aderenze sono bande fibrose che possono fare una specie di cingolo che fa sì che le anse si torcano e si crei un impedito transito dando luogo all’occlusione intestinale. Un paziente che ha le anse può campare con le sue aderenze e non avere mai nessun problema altrimenti ogni paziente che viene operato all’addome avrebbe l’occlusione intestinale: per fortuna non è così perché uno si può adattare ad una situazione del genere. Quando si apre un addome c’è un processo di cicatriziale in cui le anse tendono ad attaccarsi tra di loro e alla parete addominale. Ovviamente ciò non significa che si occludono sempre. E' molto importante quando ci si trova davanti ad un paziente un paziente con occlusione intestinale chiedersi SEMPRE se è già stato operato, perché potrebbe non vedersi. Altra causa di angolatura è la presenza di carcinomatosi peritoneale cioè diffusione di una malattia neoplastica al livello del peritoneo con tanti noduli neoplastici tra le anse intestinali con conseguente occlusione da angolatura. Quali tumori possono dare una carcinomatosi peritoneale? Tutti quelli che in qualche modo hanno rapporti col peritoneo (tumore ovarico, tumore dell’intestino ,tumore dello stomaco). Quando si apre l’addome e si trova un quadro di disseminazione diffusa non si può fare niente perché il tumore è diffuso in tutto il peritoneo e bisogna operare per risolvere l’occlusione; • strangolamento: grave compressione vascolare del tratto occluso che si ha in caso di invaginazione, volvolo e strozzamento da cingolo.  L’invaginazione intestinale o intussuscezione si verifica se un’ansa intestinale si va ad infilare dentro il tratto successivo dell’intestino (budino di invaginazione). Ovviamente non può più passare il contenuto intestinale e questi pazienti vanno incontro ad una occlusione intestinale con quello che è un meccanismo particolare. E' abbastanza frequente nei bambini. In genere si verifica nell’ultima ansa ileale e si hanno le cosiddette invaginazioni ileo-ceco-coliche. Nelle immagini si osserva che l'ansa a monte è sottile, mentre in quella a valle c’è un “salsicciotto” perché c’è l’altro pezzo di ansa che si è inserito all’interno;  il volvolo è la torsione di un’ansa intestinale intorno al proprio asse mesenterico. Un segmento dell’intestino che si volvola è il sigma, in quanto parte piuttosto mobile, il ceco e il colon ascendente invece sono abbastanza accollati alla parete posteriore dell’addome, mentre il trasverso è attaccato anche allo stomaco. Il discendente è abbastanza mobile e il sigma è estremamente mobile. Se vi è un grosso tumore del sigma ci può essere una condizione di alterata peristalsi per cui l’ansa gira intorno a se stessa;  un’ernia inguinale strozzata. Un’ernia in genere è una fuoriuscita di un viscere attraverso un orifizio patologico. Nel canale inguinale non deve passare un’ansa intestinale ma se ciò accade si può andare incontro ad uno strozzamento erniario. Anche in questo caso Se c'è un tumore nel sigma, la valvola ileocecale può essere continente o incontinente. Se la valvola ileocecale non è continente si ha un’occlusione che coinvolge esclusivamente il colon e non l’intestino tenue; se invece la valvola ileocecale permette il passaggio del liquido a ritroso allora avrò una condizione meno grave perché avrò una condizione di occlusione distribuita su un tratto dell’intestino più lungo. Come si presenta il paziente? • Dolore addominale acuto, di tipo colico ( intermittente, colico, in corrispondenza di crisi di peristaltismo). Il paziente con un’ischemia intestinale (ad esempio con volvolo) ha un dolore continuo, lancinante, che non risponde neanche agli antidolorifici e lo porta a sudare abbondantemente; • alvo chiuso o aperto: se chiuso bisogna specificare se è chiuso ai gas o alle feci o a entrambi. Nella cartella clinica si specifica che si tratta di un paziente ”canalizzato ai gas” o “canalizzato alle feci”. Se un paziente a seguito di un’operazione chirurgica è canalizzato alle feci si può già rialimentare perché ha una condizione di benessere; • nausea e vomito. Visita del paziente. Per visitare il paziente, lo si fa adagiare sul lettino. L'esame obiettivo procede quindi con l'ispezione del paziente, cioè bisogna guardare il paziente. Bisogna guardarlo in faccia, controllare se è sofferente, se è disidratato. Come faccio a vedere se è disidratato o no? Bisogna vedere l’aspetto delle sue mucose (lingua) e della pelle. Dopo di che gli si guarda se l’addome è disteso. Se voi doveste andare a palpare questo addome il paziente ha dolore. Il paziente con occlusione intestinale non ha, almeno nelle prime fasi, una peritonite perché non c’è una perforazione, quindi si dice che l'addome è trattabile, cioè significa che si ha un paziente che si fa palpare l’addome, non è che non abbia dolore, però si fa trattare . Alla percussione si sentono dei rumori di tipo metallico perché all'interno dell’addome ci sono liquido e aria. Poggiando il fonendoscopio su un paziente con addome occluso, dipende dalla fase dell’occlusione, si sente un iperperistaltismo intervallato da fasi di riduzione . Se il paziente è con occlusione intestinale spesso vomita davanti al medico, si può osservare il vomito. Se ha vomitato a casa si chiedono le caratteristiche ha il vomito. Quando la peristalsi cessa definitivamente, il paziente si sente meglio ma il quadro in realtà si è aggravato. Il vomito ha determinate caratteristiche : può avere un contenuto gastrico o biliare , se si ha un’occlusione intestinale alta; se il paziente vomita un contenuto biliare, probabilmente è un’occlusione del piccolo intestino. Se si ha invece un vomito fecale è sintomo di una occlusione più bassa, cioè al livello del colon. Il vomito è tanto più precoce quanto più è alta la sede dell’occlusione. Si dà al paziente una flebo idratante o gli si mette un sondino naso gastrico per ottenere due effetti : 1. decomprimere un pochino e fare uscire liquidi e gas (quindi un provvedimento terapeutico); 2. si va a vedere quanto si accumula nelle 24 ore o comunque nelle prime ore da quando si mette il sondino. Se il paziente è obeso, non si vede niente perché ha l’addome completamente disteso, se il paziente è molto magro si vedono le anse con la loro peritalsi. Quando si ha uno strangolamento o uno strozzamento erniario , il vomito è precoce e abbondante ; l’inizio spesso è improvviso . Quando il paziente esordisce con dolori di tipo improvviso, spesso c’è un problema vascolare. E' importante saper fare l'esplorazione rettale con il dito (6-7 cm), utile anche per verificare la presenza o meno di fecalomi (feci dure che occludono). L’ esplorazione rettale in un paziente occluso bisogna farla sempre per almeno due motivi importanti: 1. perché bisogna vedere se il problema sta lì a quel livello; 2. vedere se ci sono o no feci in ampolla e qual è il contenuto dell’ampolla rettale. Per esempio se si fa l’esplorazione rettale ed a un certo punto vedo che ci sono delle feci , vuol dire che sino a poco tempo prima o qualche giorno prima quel paziente evacuazione l’ha avuta. Se il paziente ha l’addome molto disteso che non ha feci in ampolla, probabilmente è un paziente che ha evacuato e che poi non è transitato nulla. Quindi si controllano anche le caratteristiche ha quello che c’è nel retto ; se io vedo un paziente con una forma di strangolamento, di intussuscezione per es. io ho delle feci in cui c’è del sangue perché la sofferenza parietale fa si che la sofferenza della mucosa porti del sanguinamento della mucosa stessa. Lo stato generale del paziente può essere conservato per molte ore o giorni nel paziente con occlusione semplice, mentre c’è una situazione che può evolvere in un rapido shock per peritonite , per perforazione se ho una condizione di occlusione intestinale di tipo vascolare. Per quanto riguarda differenze tra il piccolo e il grande intestino il paziente con occlusione del colon va avanti da qualche giorno con alvo alterno, con una situazione di dolori addominali di piccole crisi occlusive che si risolvono, invece il paziente con occlusione del tenue ha un quadro di esordio più brusco e si aggrava più facilmente e infatti c’è più spesso uno squilibrio del quadro idro- elettrolitico. Il sospetto clinico deve essere suffragato da esami di laboratorio e strumentali. E’ utile fare una radiografia diretta dell’addome (in bianco). Si vedrà un po’ di gas del colon però quello che si vede in un paziente con occlusione intestinale è questo: l’accumulo di aria e di liquidi nell’intestino: si chiamano livelli idroaerei. Per vedersi questo quadro qua il paziente deve essere in piedi (il gas va in alto, i liquidi in basso) Invece durante un’occlusione del grosso intestino, il vomito è tardivo, talvolta può essere anche assente; lo stato generale è conservato per parecchio tempo , i dolori in genere sono più modesti , c’è un notevole meteorismo a cornice oppure asimmetrico alla radiografia. E’ un quadro meno grave. Se la valvola ileocecale è competente c’ è una distensione dell’ansa chiusa del colon con rischio di perforazione; se la valvola ileocecale è incompetente ,il quadro è esteso all’ ileo con una contaminazione batterica dell’ileo . Chirurgia Generale 17/03/2016 Si distinguono due tipi di occlusione intestinale, così definiti: · ileo semplice o meccanico: caratterizzato un dolore discontinuo. Possono passare più giorni prima che si riesca a fare la diagnosi. Il paziente è dolorante e vomita, anche per qualche giorno (il nostro organismo ha meccanismi di compenso che possono venire a mancare e questo può determinare una condizione di shock). · ileo con compartecipazione vascolare: caratterizzato da un dolore continuo, ischemico e lancinante che non risponde agli antidolorifici. Nell’ileo con compartecipazione vascolare si ha una più rapida evoluzione verso la perforazione. Cause di occlusione. Le cause di occlusione si differenziano a seconda del tratto di intestine che si considera. ügrande intestino: in genere si tratta di cause neoplastiche (come ad esempio il tumore del colon, che è molto frequente), volvolo e diverticoli invece sono più rari. E’ importante tenere presente che maggiore è l'età del paziente, maggiore è la probabilità di sviluppare tumore del colon; üpiccolo intestino: sembra che la causa maggiore sia rappresentata dalle aderenze. I tumori sono invece molto meno frequenti. Sintomatologia. La sintomatologia si presenta più precocemente nel caso di occlusione del tenue rispetto a quella del crasso. Ciò è dovuto al fatto che nel piccolo intestino si ha un aumento di secrezioni con conseguente distensione addominale e il vomito si presenta prima. Le occlusioni del tenue hanno un decorso più rapido, dolori intensi e quadro clinico più grave. Il quadro clinico nel corso di occlusioni del grosso intestino presenta invece vomito tardivo, talvolta assente, o comunque avviene in fase molto più avanzate e stato generale conservato per parecchio tempo. I dolori addominali sono modesti, è presente un notevole meteorismo a cornice o asimmetrico. Le alterazioni elettrolitiche sono meno importanti. Se la valvola ileocecale è competente si può avere un ileo ad ansa chiusa con conseguente rischio perforazione. Se la valvola è incompetente allora il liquido può refluire verso l'ileo e il quadro clinico è meno grave. Diagnosi. L'occlusione è un problema che può essere risolto; spesso ciò avviene per via chirurgica. Prima di procedere per via chirurgica è necessaria una diagnosi di tipo strumentale. Contrariamente a quanto avviene per l'appendicite acuta, per la quale è la diagnosi viene fatta attualmente tramite esame obiettivo e anamnesi (quindi fatta la diagnosi si va in sala), nel caso In generale non è molto utile operare un paziente disidratato che ha degli equilibri elettrolitici senza prima correggere la situazione; si rischia infatti di peggiorare la situazione andando ad acutizzare gli squlibri. In generale se si tratta di un paziente con ileo meccanico e viene con l'occlusione prima lo si corregge e poi lo si porta in sala per essere operato. Si decide quando operarlo. Se c'è sospetto di compartecipazione vascolare invece non si aspetta per paura si avere una perforazione (es. Paziente con il volvolo). Nel caso di un vecchietto con tumore del colon che si occlude mentre aspetta l'operazione, per prima cosa si valuta il posizionamento dell'occlusione con una diretta dell'addome, poi si valuta la presenza o meno di squilibri elettrolitici. Per prima cosa si reidrata il paziente e si correggono gli squilibri. Il paziente operato perde infatti anche sangue e lo squilibrio peggiora se non viene rimesso in sesto. Lo shock. DEFINIZIONE: condizione di insufficienza circolatoria caratterizzata da perfusione tissutale inadeguata, relativamente al fabbisogno metabolico, con tendenza al peggioramento progressivo. L'insufficienza circolatoria ha obbligatoriamente come conseguenza una insufficienza dell'ossigenazione, oltre a uno squilibrio metabolico dovuto al mancato apporto di metaboliti e all'accumulo di cataboliti. Se non si interviene dal punto di vista terapeutico si può arrivare ad un peggioramento fino alla necrosi (tant'è che quando si dice che il paziente è shockato significa che il paziente sta per morire). In generale i pazienti sono in condizioni gravi. Equilibrio e shock. Il nostro equilibrio emodinamico é assicurato da tre fattori: • Massa circolante, che è il sangue; • Cuore,che è la pompa che spinge e fa girare il sangue; • Tono vasale e capacità di mantenere il liquido nel sistema. Il nostro organismo è visto come uno sgabello di cui questi tre fattori costituiscono i piedi. Se uno dei tre piedi dello sgabello si rompe il nostro equilibrio emodinamico viene meno e si hanno degli squilibri. Se uno degli elementi va in deficit si ha una condizione di shock. Lo shock è un fenomeno molto importante e studiato, tant'è che esiste anche una rivista chiamata “Shock” che raccoglie casistiche e informazioni su di esso. Alcuni meccanismi dello shock non sono ancora del tutto chiariti. Classificazione (schematizzazione del professore): • cardiogeno: è dovuto ad una funzionalità miocardica inadeguata. (il sangue c'è ma non circola bene). Ciò si può verificare per due motivi:  problema anginoso o infarto del miocardio;  problema dovuto ad aritmia (nei giovani è la condizione più frequente); • distributivo: è dovuto a un problema o alterazione della quantità di liquido che sta nell'apparato vascolare rispetto alla matrice intracellulare. Infatti nel nostro organismo ci sono tre compartimenti che stanno in equilibrio tra loro: il compartimento intracellulare, l'ambiente extracellulare e il compartimento intravasale. Si ha shock distributivo nel caso di una alterazione del tono vasale. Lo shock distributivo prende il nome dal fatto che la gittata non arriva sempre allo stesso modo agli organi. Esempi di shock distributivo sono:  shock anafilattico: è una manifestazione grave di una reazione allergica, può anche portare a morte il paziente. E' un tipo di shock molto frequente che presenta come sintomi la formazione di pomfi (eruzioni cutanee dovute a fuoriuscita di liquido che si riversa nel sottocute), gonfiore generale e a livello oculare. Si ha alterazione della permeabilità dei vasi per contatto con farmaci [antibiotici della famiglia delle penicilline, aspirina, ecc. . Mai dare farmaci particolari], punture di insetti, alimenti [crostacei, fragole, ecc.]. Il paziente muore di insufficienza respiratoria perché il plasma va a finire nel terzo spazio (edema della glottide). Non sempre le reazioni allergiche sono così aggressive da portare ad uno shock anafilattico;  shock dovuto ad uno squilibrio per aver fatto il bagno subito dopo mangiato: l'apparato digerente presenta una notevole irrorazione nella fase post-prandiale, così come il muscolo è maggiormente irrorato in fase di attività fisica. Quando al mare si fa il bagno subito dopo mangiato si può avere morte per shock distributivo acuto, dovuto al fatto che il sangue viene deviato dall'apparato digerente verso la cute per far fronte alla variazione di temperatura. Si ha così un abbassamento pressorio, la persona ha un malore e annega. Si dovrebbe perciò evitare di tuffarsi nell'acqua gelida dopo aver mangiato in modo abbondante;  settico;  neurogeno • ipovolemico: comprende due tipi di shock, quello emorragico e quello non emorragico. E' dovuto ad una perdita di massa ematica circolante.  Non emorragico: capita ad esempio in caso di un paziente con occlusione (molto liquido viene sequestrato dalle anse, il paziente non beve e vomita), nell'infezione da colera (esistono ancora casi), nel paziente anziano che vive da solo e tende a bere poco,nei bambini che hanno la gastroenterite. Altro esempio di grande rilievo sono le fistole e le ustioni (fanno perdere al nostro organismo molta acqua a causa della perdita della continuità cutanea, che in condizioni fisiologiche permette un controllo degli scambi di liquidi);  emorragico: è lo shock che il chirurgo vede più frequentemente. Può verificarsi per diversi motivi, traumatici e non. Esempio di shock emorragico non traumatico è l'aneurisma (rottura di un vaso). Altro esempio è il sanguinamento di un tumore [ i tumori solidi sanguinano, un esempio sono i tumori gastrici]. Altro esempio di una patologia non tumorale sono le ulcere gastriche o duodenali. In sala lo shock emorragico è una delle una delle possibili complicanze; non dipende necessariamente da un errore del chirurgo. E' importante vedere la perdita di sangue, che si può verificare in diverse sedi: ▪ a livello intestinale, e in questo caso si parla o di emoftoe (escreato punteggiato di sangue). Si parla di melena quando il sangue presente nelle feci è un sangue digerito (le feci sono nere melaniche, anche definite feci picee), mentre si parla di rettorraggie quando il sangue presente nelle feci è un sangue non digerito (il sangue sarà d colore rosso vivo); ▪ a livello buccale. Se ciò avviene con il vomito si parla di ematemesi (emesi = vomito), mentre se a causa di una emorragia a livello dell'apparato respiratorio viene espulsa un grande quantità di sangue dalla bocca si parla di emotisi; ▪ a livello dell'apparato urinario, e in questo caso si parla di ematuria. L'ematuria può essere distinta in macroscopica (dovuta a problemi dell'emuntorio ecc.) o microscopica; ▪ a livello dell'apparato genitale femminile. Si definisce metrorragia la perdita di sangue dovuta ad emorragie uterine. Quando un paziente ha un' emorragia l'organismo mette in atto dei sistemi di compenso. Se il paziente ha una emorragia si ha vasocostrizione per riduzione del volume nel distretto circolatorio, un maggiore riassorbimento di liquido con produzione di una minore quantità di urina. Il cuore aumenta la gittata cardiaca per effetto inotropo positivo e si ha un aumento della frequenza cardiaca. Come meccanismo di compenso l'organismo cerca di centralizzare il circolo ematico. Ciò avviene perché tutti gli organi devono essere vascolarizzati, ma cuore e cervello, contrariamente ad altri organi, non sopportano l'ischemia. Il poco sangue che circola deve necessariamente andare al cervello e al cuore. Dopo 5 minuti di ischemia, infatti, si giunge ad una condizione di danno irreversibile. Muscolo e fegato possono resistere all'ischemia. Innanzitutto si ha aumento attività simpatica per stimolo da parte dei glomi aortico e carotideo e riduzione della attività parasimpatica. Inoltre vi è attivazione i recettori per adrenalina e noradrenalina nel cuore. L'adrenalina viene messa in circolo in condizione di stress. Inoltre al fine di mantenere una pressione arteriosa adeguata vi è un aumento della ritenzione idrica, per aumento del riassorbimento di acqua ed elettroliti a livello tubulare. Cosa succede se il paziente non ha una pressione arteriosa adeguata? Viene considerato come valore standard di pressione arteriosa 120-70 mmHg. Ovviamente CASO 1 Si registra un valore di 10 Hb rispetto ad un valore di partenza di 11: non ci sono problemi. Il punto di differenza può essere dovuto ad una perdita di sangue non troppo importante oppure ad aumentata diluizione del sangue. CASO 2 Si registra un valore di 10 Hb rispetto ad un emocromo pre-operatorio di 16 Hb: c’è un problema. Il paziente ha perso tanto sangue. Altra caratteristica del nostro organismo è che sopporta variazioni di emoglobina mantenendole entro un certo range a patto che non avvengano in maniera acuta. Esempio su due pazienti : 1. valore di 10Hb, mentre la mattina il valore basale era di 14Hb. È un paziente sintomatico che ha i sintomi di shock ipovolemico, proprio per una variazione acuta di valori di Hb nell’arco della stessa giornata, causata da perdita si sangue in maniera acuta; 2. valori di 10 Hb (in post operatorio), 10,8 Hb (1 mese prima dell’intervento), 11,4 Hb (2 mesi prima di intervento), 14 Hb (6 mesi prima di intervento). Si tratta di un paziente che ha avuto un’anemizzazione cronica. Non ha nessuna sintomatologia perché l'organismo si adatta in maniera proporzionale alla rapidità del cambiamento dei valori di Hb. Come si fa ad accorgersi se c'è un'emorragia in corso? Si deve sempre sospettare. Il sanguinamento dopo un intervento chirurgico è comune, ma non sempre visibile. Come si fa ad accorgersi di un sanguinamento non visibile? Alla fine dell’intervento inserisco un tubo di drenaggio che è a spia di ciò che può succedere all’interno dell’organismo. Non sempre però si riesce a valutare. Capita di vedere che è stato perso tanto sangue dal tubo di drenaggio. Si fanno le analisi e si vede che ha un valore di Hb di 10, rispetto ad un valore basale di 12Hb. Ci si aspettavano valori più lontani tra di loro, per cui si guardano i valori con attenzione e rispetto. Probabilmente quel paziente, a seguito della centralizzazione del circolo, risulta emoconcentrato. Quindi si capisce che anche i valori di Hb non sono completamente “affidabili”, perché spesso appaiono non così preoccupanti. E' necessario valutare per lo più quanto sangue ha perso. Ematocrito: importante valore da considerare. In realtà quello che si va a valutare è il valore di emoglobina. Perché non valuto il numero di globuli rossi? Si è visto che sia l’ematocrito che il numero di globuli rossi non sono parametri efficaci dal punto di vista clinico come lo è invece il valore assoluto di emoglobina. In base a cosa si sceglie la trasfusione come terapia di un paziente con emorragia? Esiste un valore soglia al di sopra o al di sotto del quale si opta per la trasfusione. I problemi correlati alle trasfusioni sono vari: • il sangue è poco (trasfusioni del sangue non curano il paziente); • rischio di infezioni (il sangue è super controllato però c’è una piccola percentuale di casi in cui certe malattie virali sfuggono ad esami di laboratorio ); • rischio di incompatibilità (errore compiuto nella lunga catena tra il prelievo dal paziente e poi la trasfusione). Si trasfonde, solitamente, un paziente che ha meno di 8 di Hb. Ma non è una regola assoluta:da cosa dipende la scelta? Ad esempio per un paziente giovane si prova ad aspettare, mentre per un soggetto anziano con cardiopatia non si aspetta. Le linee guide devono essere sempre modulate al caso clinico specifico. Quanto tempo ci vuole tra decidere di trasfondere il paziente e avere in mano la sacca di sangue? Almeno 1 ora. È necessario, anche, che il sangue raggiunga la temperatura ambiente ( viene tenuto in frigo). Mentre si aspetta che il sangue arrivi, che si fa ? Si dà al paziente della soluzione fisiologica o si danno dei plasma expander (esempio Emagel). Questi non sono semplici fisiologiche, ma sono soluzioni iperoncotiche che aumentano il gradiente osmotico a livello vascolare (facilitano il reflusso di acqua dai tessuti). Un paziente che ha una grave emorragia andrà incontro anche ad una perdita importante di piastrine e di alcuni fattori della coagulazione. Quindi bisogna stare attenti perché spesso il paziente va incontro ad un deficit coagulativo ( molto più evidenti in pazienti che già prima avevano un deficit ed in pazienti cirrotici) che prende il nome di coagulopatia da consumo (paziente non riesce più a coagulare). Come posso agire dal punto di vista farmacologico? Posso dare al paziente del plasma in quanto contiene tutti i fattori della coagulazione. La tachicardia è uno dei segnali più precoci dello shock settico. Clinica dello shock ipovolemico: • shock lieve: tachicardia, PAM buona, diuresi conservata; • shock moderato: irrequietezza, agitazione, abbassamento PA, cute marezzata, iniziale contrazione diuresi; • shock grave: sopore, coma, aritmie, insufficienza respiratoria, oligo-anuria. Se abbiamo una perdita di oltre 40% della massa ematica circolante, abbiamo una condizione di shock grave. Shock settico. Si manifesta con sepsi (infezione generalizzata) accompagnata da ipotensione nonostante un’adeguata somministrazione di liquidi, assieme alla presenza di anomalie della perfusione d’organo. Solitamente il paziente inizia con un’infezione localizzata. Ad un certo punto il sistema immunitario non è più in grado di contenere quell’infezione che diventerà generalizzata ed il paziente in quel caso si definisce settico. Quel paziente andrà incontro ad una batteriemia importante e andrà incontro ad un’insufficienza multiorgano definita MOFS (molti pazienti muoiono a causa di un’insufficienza multiorgano da shock settico). Inizialmente il paziente che sta andando incontro a shock settico è iperdinamico (alta gittata per tachicardia, vasodilatazione ma non sempre con ipotensione). In fase avanzata invece risulta essere in stato ipodinamico (bassa gittata cardiaca e vasocostrizione). Appendicite acuta. E' così definita l'infiammazione dell'appendice. Si tratta di una patologia molto frequente, soprattutto nei paesi occidentali. Colpisce tutte le età ed è molto frequente nei bambini. L’appendice ha un lume molto sottile rispetto alla sua lunghezza, la quale risulta molto variabile. Il lume può andare incontro ad ostruzione sia all’origine che all’interno dello stesso. L’appendice allora continua a produrre muco (più della norma) il quale non viene veicolato verso il cieco a causa dell’ostruzione, per esempio, dovuta a materiale fecale piuttosto duro. Si verifica successivamente una condizione edematosa, l’edema si espande e provoca espansione della cavità appendicolare fino a che essa non va in ischemia. Da qui si può avere l’evoluzione in peritonite. Possono essere presenti residui vegetali, parassiti, neoplasie (del cieco, dell’appendice) che provocano l’ostruzione. Possibile costrizione ab estrinseco per follicoli linfatici. Vi è una grande carica batterica (tra i più importanti: bacteroides fragilis ed escherichia coli) nel lume appendicolare che, se si ha un ristagno del materiale fecale, può accrescere in maniera importante (overgrowth batterico). Eziopatogenesi. Ostruzione → distensione → ischemia → perforazione. Avvenuta l’ostruzione del lume appendicolare la mucosa continua a secernere muco. L’accumulo di secreto causa distensione della parete che interferisce con il flusso ematico e linfatico. La flora batterica intestinale va incontro a virulentazione (overgrowth), lisa il secreto, ne aumenta l’osmolarità e richiama liquidi nel lume. Evoluzione appendicite acuta. In caso di una continua distensione della parete, questa si può indebolire fino a giungere ad una perforazione (appendicite perforata). Si avrà un riversamento del contenuto luminale altamente batterico nella cavità peritoneale che è sterile. Si parla in questo caso di appendicite acuta complicata. La perforazione avviene soprattutto a livello dell’estremità distale perché meno vascolarizzata e quindi soffre prima. La perforazione impiega giorni a manifestarsi. Cosa succede a seguito della perforazione? Si ha una peritonite circoscritta dall’omento. Il grembiule omentale si pone in vicinanza del luogo della perforazione in modo da tamponarla, circoscrivendo il fenomeno infiammatorio e dando esito ad un ascesso (infiammazione localizzata) Potrebbe esistere una remissione spontanea dell’appendicite, non sempre si opta per una rimozione dell’appendice. Nel sospetto è meglio operarla che trascurarla, soprattutto in una donna in gravidanza. Intervento di appendicectomia. Se l’ appendicite non è complicata si effettua un taglio in fossa iliaca destra (a livello del punto di Mc Burney). A volte non è sufficiente perché dal taglio non si ha una visuale sufficiente. Se si è fatto un taglio in linea mediana, però, è più facile ampliarlo rispetto ad un taglio a livello di Mc Burney. L’incisione mediana è utilizzata in caso di incertezza. Ormai la maggior parte degli interventi di appendicectomia si fanno in laparoscopia, elemento che limita tale problema. Bisogna innanzitutto rimuovere le connessioni vascolari (devascolarizzare l’organo), quindi si lega il mesenteriolo, si taglia l’appendice e si fa una borsa di tabacco (cul di sacco nell’appendice e poi l’affondi). Chirurgia Generale 12/04/2016 Patologie delle vie biliari. Si tratta di un tipo di patologie molto complesso, che interessa non soltanto il discorso di tipo chirurgico ma anche delle patologie di tipo medico. La via biliare è costituita da due porzioni: • via biliare principale: costituita da dotto epatico comune (dotto epatico destro + dotto epatico sinistro), che prosegue nel coledoco (che ha una porzione intrapancreatica), il quale poi va a finire nella papilla del Water; • via biliare accessoria: rappresentata semplicemente dalla colecisti e dal dotto cistico. Questa è la condizione fisiologica. IMPORTANTE: in inglese la parola “coledoco” non esiste, si parla di “common bile duct”. Quand’è che il dotto epatico comune diventa coledoco? In corrispondenza dell’ingresso all’interno della via biliare principale del dotto cistico. Le patologie delle vie biliari chiaramente possono determinare molteplici problematiche a carico degli organi vicini, ci possono essere dunque delle ripercussioni a livello epatico, a livello pancreatico e a livello gastrico. La bile. E' prodotta nel fegato dagli epatociti. La colecisti (o cistifellea, in genere sipreferisce il termine di colecisti) ha una funzione esclusivamente di immagazzinamento della bile, che verrà in seguito riversata nel duodeno con un sistema sfinteriale (papilla del Water) soltanto quando è necessario che questo avvenga. La bile ha essenzialmente due funzioni: 1. è un veicolo importante per la detossificazione epatica (ad esempio molti farmaci vengono detossificati a livello epatico e abbandonano il fegato attraverso la bile, giungono al duodeno e così vengono eliminate); 2. compito fondamentale della bile è espletato dai sali biliari, che hanno un ruolo importante nell’assorbimento della maggior parte dei lipidi (per la digestione dei lipidi è importante che ci sia un corretto funzionamento della bile e degli acidi biliari). La bile è composta essenzialmente da: • acqua; • acidi biliari; • fosfolipidi (in particolare lecitina); • colesterolo; • bilirubina. Tutte queste componenti all’interno della bile devono essere presenti in determinate percentuali, ma può accadere che si esca fuori da queste percentuali Triangolo di Admiral e Small. Mostra come i tre elementi fondamentali della bile, cioè la percentuale di colesterolo, di fosfolipidi (in particolare la lecitina) e di sali biliari devono stare all’interno di una determinata “zona”, di una determinata area. La curva che in basso è la zona dove il punto A rappresenta la condizione ideale, in cui tutte le sostanze sono in una percentuale che fa si che siano tra di loro in soluzione micellare. Se si va al di sopra, per esempio per valori di colesterolo particolarmente alti (se un paziente ha una ipercolesterolemia a livello ematico avrà anche una maggiore percentuale di colesterolo nella bile), accade che a un certo punto, al di fuori di quell’area al di sotto della curva, le sostanze non sono più in una condizione di soluzione micellare e precipitano, diventano solide e questo fa si che ci siano dei calcoli della colecisti. Quindi dei calcoli precipitano all’interno della via biliare accessoria. La maggior parte dei calcoli sono calcoli misti di colesterolo e di concrezioni di sali biliari. Ci possono essere diversi tipi di calcoli biliari: calcoli di colesterolo, di pigmenti, di acidi biliari e quelli misti. In ogni caso il meccanismo fisiopatogenetico è sempre lo stesso, cioè una di queste sostanze ad un certo punto non si trova più nelle condizioni di soluzione micellare, dunque precipita, e questo fa si che si formino dei calcoli. Molto importante è il cosiddetto circolo entero-epatico degli acidi biliari: questi vengono secreti dagli epatociti, vanno nella colecisti, da qui si riversano nel duodeno, quindi nell’intestino, dove vengono in gran parte riassorbiti e ritornano al fegato, attraverso il sangue portale; una discreta quota viene invece eliminata con le feci. Come si sa che la bile viene eliminata con le feci? Perché il colore caratteristico delle feci è dato proprio dagli elementi di degrado della bilirubina. Quando un paziente è in una condizione per cui ha un mancato afflusso della bile al colon, uno dei sintomi è quello di avere delle feci acoliche, cioè delle feci molto chiare: non hanno il loro colore caratteristico perché la bile non arriva a livello intestinale. Si può avere una colecisti completamente piena di calcoli o uno o due calcoli di grosse dimensioni. È chiaro che non si tratta di una condizione che si crea dall’oggi al domani, saranno necessari degli anni. Si dice che la bile del paziente diventa litogenica: significa che si è al di fuori di quelle proporzioni delle diverse percentuali dei componenti della bile, e che quindi lentamente si formano delle concrezioni (inizialmente sotto forma di quella che viene definita sabbia biliare (si hanno dei veri e proprio calcoli, è una condizione iniziale in cui stanno iniziando a formarsi dei microcalcoli biliari, che evolveranno nel nel tempo nei calcoli veri e propri). Sludge: fango” in inglese. A volte gli ecografisti parlano di fango biliare. Può essere il primo passo verso la formazione dei calcoli. I calcoli più frequenti sono quelli misti di colesterolo e di pigmenti biliari (calcoli di tipo colesterilico), che possono essere dovuti a molteplici cause: obesità, in generale una dieta ricca di grassi, o comunque tutte quelle condizioni in cui abbiamo un aumento del colesterolo ematico (pazienti obesi, che fanno poca attività fisica, oppure pazienti affetti da ipercolesterolemia familiare). I calcoli di birubinato di calcio invece saranno più frequenti in pazienti affetti da malattie che portano ad una progressiva e alterata distruzione dei globuli rossi a livello epatico, ad esempio pazienti con la talassemia soffrono spesso di questo tipo di calcoli, ma anche pazienti cirrotici. Sintomi della calcolosi. La calcolosi della colecisti può essere sintomatica o asintomatica. Si deve cercare di capire quali possono essere le problematiche legate alla presenza di calcoli nella colecisti. La colecisti si contrae, possiede un meccanismo sfinteriale situato a livello del colletto, dell’infundibolo, e poi la bile viene riversata a livello duodenale attraverso una struttura comune anche al dotto di Wirsung, la papilla di Water. Cosa può capitare quando il paziente presenta una calcolosi della colecisti? Una delle conseguenze potrebbe essere il dolore, localizzato in ipocondrio destro o in epigastrio. Perché ci sia una sintomatologia di tipo doloroso è necessario che si crei una certa condizione: il calcolo cioè si deve incuneare a livello dell’infundibolo. Se io c'è un piccolo calcolo, anche di pochi millimetri, che si posiziona in questo punto all’ingesso del dotto cistico, non fa transitare la bile e ci sarà un aumento della peristalsi (la colecisti possiede una sua peristalsi, ha dei suoi movimenti per far progredire a bile), come nell’occlusione intestinale, e quindi il paziente lamenterà dolore. Una delle prime conseguenze della calcolosi della colecisti potrebbe quindi essere una colica biliare. Tuttavia molti pazienti con calcolosi della colecisti sono spesso totalmente asintomatici (nel caso in cui sia presente, ad esempio, un grosso calcolo, anche di 2-3 cm, posizionato sul fondo dell’organo, che non interferisce più di tanto con la contrazione della colecisti, si può avere una calcolosi del tutto asintomatica, o comunque paucisintomatica). Un paziente con calcolosi della colecisti potrebbe avere una situazione di alterato svuotamento della bile nel duodeno, cui consegue una sintomatologia con dispepsia, ossia generica difficoltà di digestione (condizione di digestione lenta, faticosa, senso di ripienezza post prandiale anche dopo aver mangiato una quantità di cibo non eccessiva). La presenza di uno o più calcoli causerà una certa alterazione del movimento della bile all’interno della colecisti, si avranno dunque problemi di discinesie della parete colestistica e dei dotti biliari, e questo porta sia al dolore sia alla dispepsia. Può accadere anche che un calcolo di piccole dimensioni, se si trova incuneato nell’infundibolo, • non si ha progressivo aumento di distensione della via biliare extraepatica con conseguente perforazione, come nella calcolosi della colecisti. Infatti la bile che ristagna va a ridistribuirsi a livello di tutto l’albero epatico: si ha quindi una condizione di epatomegalia, di fegato da stasi, ma chiaramente non si ha “rottura” come in un organo cavo; • a livello delle vie biliari intraepatiche si ha una mancata progressione della bile, con stasi e dilatazione delle vie biliari. Se la bile poi ristagna a livello del fegato si avrà una colangite: infezione e infiammazione delle vie biliari determinata da una bile infetta stagnante; • il mancato afflusso della bile al duodeno provoca una mancata digestione dei lipidi. Il paziente che se si alimenta tende a vomitare, ad avere una sensazione di digestione lenta e un deficit nella capacità di digerire in generale. Se la sua alimentazione non è efficace ci sarà un problema di malassorbimento; • fegato in stasi: se gli epatociti producono bile che non può essere eliminata e tutti gli spazi intraepatici si dilatano per la presenza di bile, a un certo punto si avrà anche un deficit della funzione epatocellulare, cui consegue una condizione di insufficienza epatica. Si hanno ad esempio problemi nella sintesi di molte proteine e dei fattori della coagulazione: infatti la bile, con il circolo entero-epatico degli acidi biliari, partecipa anche al mantenimento dei fattori della coagulazione, in particolare quelli vitamina K-dipendenti; si ha alterazione in questo meccanismo di recupero degli acidi biliari, che non vengono quindi riassorbiti a livello del sange portale, si avranno anche delle alterazioni dei valori della coagulazione del sangue; • i calcoli dalla via biliare principale possono migrare, ad esempio, in corrispondenza del Wirsung. I fluidi fisiologicamente devono progredire secondo la direzione che la natura ha previsto, ma se vi è una stasi del succo pancreatico a livello del Wirsung, e quindi del pancreas, si può andare incontro a infiammazione del pancreas, cioè a pancreatite acuta: è una condizione gravissima che può portare anche alla morte in una buona percentuale di casi, nonostante tutti i presidi terapeutici che esistono. La calcolosi asintomatica in genere viene scoperta accidentalmente, come reperto occasionale collaterale di un esame fatto per altri motivi. Molte patologie si scoprono in questo modo. Molte persone hanno la calcolosi della colecisti e nel caso in cui sia totalmente asintomatica le diverse scuole di pensiero propongono di operarla o di non operarla (perché anche l’intervento comporta dei rischi). Dolore da colica biliare. La colica biliare si comporta un po’ come il dolore dell’occlusione intestinale: non c'è un dolore fisso, lancinante e continuo, bensì un dolore con insorgenza più o meno improvvisa, che presenta dei picchi e delle fasi di quiescenza, ossia un dolore di tipo colico. Quando ci sono i movimenti perstaltici della colecisti che cerca di far progredire la bile c’è dolore, nelle fasi di riposo si ha un sollievo. Un paziente con colica biliare è un paziente con dolore particolarmente violento, con un dolore localizzato in ipocondrio destro. La colica biliare entra in diagnosi differenziale, ad esempio, con una colica renale, anche se quest’ultima ha esordio lombare, ma anche con un’appendicite acuta, perché stiamo sempre parlando di quadranti addominali di destra (fossa iliaca di destra per l’appendicite). Inoltre il quadro clinico e la sintomatologia dei pazienti non sono sempre ben delineati, spesso i sintomi del paziente sono sfumati. Tra l’altro il paziente viene visitato in un momento determinato della sua storia clinica, non lo si ha davanti dall’inizio per capire realmente come si sia evoluto il quadro clinico, e ciò che il paziente riferisce è sempre qualcosa che viene filtrata dalla sua sensazione (spesso è filtrata da ciò che i parenti raccontano). In ogni caso in situazione di dolore addominale è importante fare molto bene l’anamnesi. Una delle prime domande da fare al paziente con una determinata sintomatologia è sempre se il problema in questione si è presentato già altre volte; bisogna fare particolarmente attenzione al tipo di sintomi e se questi si propongono sempre nello stesso modo, perché il paziente conosce la sua sintomatologia (a meno che non abbia un sintomo per la prima volta, e anche questo è un dato importante). È quello che si fa ad esempio nei pazienti che soffrono di cefalea (cefalalgici), gli si chiede se il mal di testa è quello che viene di solito e quasi sempre rispondono di si. Il campanello di allarme, che fa sospettare che ci possa essere un problema diverso da una banale emicrania, si accende quando il paziente riferisce che la sua cefalea è diversa. In generale in clinica si ragiona così, per capire se un determinato problema c’è già stato, se il paziente lo riferisce sempre nello stesso modo, e per capire poi se c’è una condizione predisponente. In caso di un paziente con calcolosi della colecisti, magari asintomatica, che riferisce di un dolore in ipocondrio destro e mi mostra un’ecografia di tre anni fa che evidenziava i calcoli, è chiaro che quei calcoli sono ancora li, al massimo posono essere aumentati, per cui questo corrobora l'ipotesi diagnostica di calcolosi della colecisti o di colica biliare. La calcolosi della colecisti è una malattia molto frequente, più nelle donne che negli uomini: questo perché le donne più spesso presentano delle condizioni associate a ipercolesterolemia. Il sesso femminile presenta una maggiore produzione di estrogeni (anche gli uomini li producono in piccole quantità) e questo fa si che si abbia un aumento di secrezione di colesterolo nella bile, con aumento della stasi biliare. Possono rientrare in questo meccanismo anche l’utilizzo di contraccettivi orali e le gravidanze multiple, con aumento del rischio di sviluppare una calcolosi della colecisti. Difficilmente i bambini presentano calcoli, ma i giovani adulti li possono avere, specialmente quelli che presentano patologie di tipo ematologico: in questo caso si tratterà prevalentemente di calcoli di bilirubinato di calcio o comunque di derivati della bilirubina. La forma asintomatica di questa patologia quasi mai è associata a eventi con evoluzione fatale; in genere i pazienti con colecistite acuta, idrope della colecisti, fistola coleciso-duodenale o colecisto- colica sono pazienti che nel corso della vita hanno avuto altri disturbi a causa della calcolosi della colecisti. Ci sono quindi tre possibili momenti clinici: • forma asintomatica; • forma sintomatica; • forma con complicazioni. Il 60-80% delle persone con i calcoli non sa di averli o comunque se li ha sono completamente asintomatici. Alcuni hanno dei sintomi, che possono essere delle coliche biliari vere e proprie oppure possono avere dispepsia, dolori in ipocondrio destro e anche dolore riferito alla spalla omolaterale. Quasi mai una complicanza come la colecistite acuta si verifica in un paziente che non ha mai avuto sintomi. Dal punto di vista della clinica, dall’esame obiettivo che cosa ci si aspetta da un paziente con, ad esempio, una colica biliare da calcolosi della colecisti? All’ispezione si procede innanzitutto a guardarlo in faccia, controllando il colore delle sclere: infatti la calcolosi della colecisti non da’ mai ittero, se il paziente ha ittero vuol dire che un calcolo è migrato nella via biliare principale, quindi si deve sospettare già una complicanza (es. calcolosi del coledoco, pancreatite acuta, colangite). Dopodiché si procede con l’esame obiettivo: se la calcolosi della colecisti è sintomatica con colica biliare la palpazione al di sotto dell’arcata costale destra provocherà dolore; se si fa inspirare il paziente, questi bloccherà il respiro per il dolore (segno di Murphy). Segno di Murphy positivo significa dolore alla palpazione dell’ipocondrio destro, dolore che è esarcerbato dall’inspirazione profonda. È un sintomo caratteristico della colecistite acuta o della colica biliare. I segni vitali (pressione, polso, frequenza cardiaca, frequenza respiratoria ecc) in una calcolosi della colecisti, asintomatica o con una semplice colica biliare, sono assolutamente normali. Quando si hanno sintomi quali febbre, tachicardia, ipotensione, posso pensare a delle complicanze, per esempio ad una colangite. Sintomi caratteristici di una colangite sono essenzilmente tre: • dolore addominale; • ittero; • febbre. Non si tratta di sintomi caratteristici solo della colangite, posso presentarsi anche in caso di epatite acuta, per esempio di origine virale (epatite A, tempi di incubazione molto rapidi). Grasso, sesso femminile, età fertile, dieta iperlipidica, obesità, rapido aumento del peso corporeo, ecc. sono tutti fattori di rischio. La colecistite non complicata ha una bassa mortalità, però una volta che si ha perforazione si può avere un aumento della mortalità fino al 50% dei casi. Diagnosi di patologia delle vie biliari. Dal punto di vista diagnostico quello che si deve fare con un paziente con una sospetta patologia delle vie biliari sono due esami fondamentali: • valori di bilirubina nel siero, a livello del sangue periferico. In condizione di ittero c'è un aumento della bilirubina; • ecografia dell'addome: fa vedere la colecisti (se è presente, se è distesa, se presenta calcoli, se c’è del liquido intorno, quanti e quanto sono i grandi i calcoli e se sono situati a livello dell’infundibolo oppure no, e in presenza di un calcolo nel coledoco si può vedere la dilatazione delle vie biliari intra ed extra-epatiche [il coledoco normalmente ha un diametro di 5-6 mm]); • TAC: si tratta di un esame costoso, che va richiesto sempre con estrema parsimonia. Complicanze. • Colecistite cronica: le pareti sono fibrose e il loro spessore è aumentato; • colecistite acuta: aspetto “a doppio binario” della parete, estremamente edematosa e spessa. Nella maggior parte dei casi una colecistite acuta riconosce un eziologia di tipo litiasico, però esistono anche le cosiddette colecistiti acute alitiasiche, che si verificano nel corso di malattie non correlate con la calcolosi della colecisti (si possono verificare nei pazienti con le sepsi, con gravi ustioni, defedati o immunocompromessi). I concetti importanti sono due: 1. non si deve escludere la colecistite acuta in un paziente che non ha una storia o una dimostrazione ecografica di calcolosi della colecisti; 2. le colecistiti acute alitiasiche hanno una particolare predisposizione alla perforazione, nel giro di poche ore; sono patologie molto gravi perché sono di difficile diagnosi. La perforazione si associa ad un alto rischio di peritonite: una colecistite acuta, dovuta a svariati motivi (paziente immuno depresso, settico, ecc..), in cui c'è una colecisti che si infiamma nel giro di poche ore, non lascia molto tempo a disposizione perché l’omento interrompendola a monte e a valle con delle clip (per evitare i rischi di emorragia), per poi tagliarla. NON SI DEVONO legare l’arteria epatica, la vena porta o la via biliare principale, altrimenti si causa un danno iatrogeno alla via biliare. Esiste, purtroppo, la possibilità (quando ad esempio il dotto cistico è molto corto e viene tagliato per errore il coledoco); è una complicanza che può accadere durante l’intervento, soprattutto in laparoscopia. Chirurgia Generale 21/04/2016 Ittero. I valori di bilirubina nel nostro sangue periferico sono sotto 1 mg/dl, se li superiamo andiamo incontro ad ittero. Un paziente itterico si riconosce subito perché è caratterizzato da una patologica pigmentazione giallastra della cute e anche delle mucose visibili, causata da alterazioni della bilirubinemia che supera i 2 mg/dl. Non tutti i tipi di ittero hanno un interesse chirurgico. Le cause di ittero possono essere varie e interessano tutti i medici, dall'internista al chirurgo. L'ittero chirurgico è un ittero ostruttivo dovuto a un mancato deflusso della bile nelle vie biliari, non necessita per forza di un trattamento chirurgico, ma generalmente della rimozione della ostruzione. Si definisce subittero è la condizione si ha la colorazione giallastra non della cute ma delle sclere (chiamato infatti anche subittero sclerale) e delle mucose visibili (che è anche il primo segno di un paziente che sta per diventare itterico). Quando la bilirubina è al di sopra dei 2,5-3 mg/dl si hanno delle condizioni di ittero generalizzato. Il fegato. Il fegato ha varie funzioni tra le quali:  sintesi delle proteine plasmatiche ;  omeostasi del glucosio ;  metabolismo dei grassi ;  funzione endocrina ;  metabolismo degli ormoni ;  funzione emopoietica (in vita fetale) ;  funzione immunologica ;  sintesi di alcuni fattori della coagulazione;  riserva di sangue ( riceve una grande quantità di sangue, 75% del suo flusso deriva dalla vena porta e 25% dall'arteria epatica );  metabolismo della bilirubina ( formazione ed escrezione ). Nel fegato l'epatocita produce la bile. In quest'organo inoltre c'è la comunicazione intraparenchimale tra due flussi: quello portale e quello sistemico. Il paziente diventa itterico, perché la bile prodotta che non riesce ad uscire e fa aumentare i valori di bilirubina. Il fegato presenta un'unità funzionale chiamata: lobulo epatico. Quest'ultimo è formato da tanti epatociti attorno ad una vena centro-lobulare (tributaria della vena cava inferiore e quindi del circolo venoso sistemico); attorno a questa troviamo delle triadi portali (in numero variabile a seconda della sezione, formate dalle diramazioni della vena porta, dall'arteria epatica e della via biliare). E' chiara la connessione tra circolo sistemico e circolo portale, che ci dev'essere. Se così non fosse come potrebbe il fegato metabolizzare tutto ciò che viene assorbito a livello intestinale e poi riversarlo nel circolo sistemico? L’anatomia sistemica divide il fegato in lobo destro e sinistro, divisi dal legamento falciforme. Però dal punto di vista chirurgico è più interessante una divisione a seconda delle diramazioni dei vasi che entrano dall’ilo epatico e quindi si possono vedere 8 segmenti epatici. Al posto del lobo epatico sinistro abbiamo il segmento 2 e 3. Mentre la divisione chirurgica ci parla di un emifegato sinistro, che non è quello alla sinistra del legamento falciforme, ma quello composto dai segmenti 1,2,3 e 4. L’emifegato destro è quello composto dal segmento 5,6,7 e 8. Non è importante stare a capire da cosa sono divisi i due emifegati. Tutti questi segmenti epatici hanno un peduncolo vascolo-biliare principale, e tutte hanno un drenaggio attraverso la vena sovra epatica, l’unico segmento che si comporta in maniera un pochino diversa è il segmento 1 (lobo caudato), perché ha un drenaggio venoso nella vena cava che non avviene attraverso le vene sovra epatiche (come gli altri segmenti) ma avviene con dei vasi propri direttamente nella vena cava inferiore Vista questa divisione, uno può decidere di fare una segmentectomia, ad esempio, solo del segmento 7; oppure si può decidere di fare una bi-segmentectomia 6 e 7; oppure una epatectomia destra, quindi asportazione dei segmenti 5, 6, 7 e 8 (l’ emifegato destro). La bilirubina. La bilirubina origina dai prodotti di catabolismo dell'eme; quindi dall'emoglobina che si scinde e libera l'eme che il sistema reticoloendoteliale fa precipitare in biliverdina, questa diventa poi bilirubina (non coniugata) che circolerà nel nostro sangue legata alla albumina. A livello epatico la bilirubina, trasportata legata alla albumina, viene sottoposta da enzimi specifici ad un processo di glucuronazione (dalla gluconiltransferasi), che forma la bilirubina coniugata (chiamata così perché coniugata con l' acido glucuronico). Questa viene escreta con la bile nell'intestino, in gran parte verrà eliminata dai prodotti di degradazione dei batteri come stercobilinogeno e stercobilina (quindi va nelle feci) e in parte viene riassorbita (e in parte riportata al fegato). Con un problema di glucuronazione della bilirubina, avremo un aumento della bilirubina così detta indiretta o non coniugata (il che vuol dire che l' epatocita non è stato in grado di coniugarla). Se invece l'epatocita riesce a fare questa glucuronazione ma non riesce a fare l' escrezione della bilirubina nella bile, allora aumenta la bilirubina diretta o coniugata. Il metabolismo epatico della bilirubina è finalizzato alla sua captazione dal plasma, alla glucuronazione, alla liberazione nella bile ed infine nell'intestino. Tipologie di ittero. Abbiamo vari tipi di ittero, dovuto a problemi a diversi livelli: • pre-epatico; • epatocellulare; • post-epatico o ostruttivo, detto volgarmente chirurgico (anche perchè non è detto che si risolva chirurgicamente). Uno dei problemi potrebbe essere un valore di bilirubina elevato, dovuto ad un catabolismo eccessivo degli eritrociti, tanto da non consentire il trasporto di tutta questa bilirubina con l'albumina. In questo caso il problema non è epatico, ma esterno, dovuto al catabolismo dei globuli rossi, che si verifica in caso di emolisi ( massiva distruzione di globuli rossi in circolo ). L' emolisi può verificarsi in caso di anemia emolitica data da favismo, in caso di farmaci, di tumori, di trasfusioni o malattie autoimmuni. Questo ittero è chiamato ittero pre-epatico, il che significa che il problema non si trova nel fegato. Invece nel caso di un problema di glucuronazione allora la sede difettosa è il fegato (prevalenza di bilirubina indiretta). La cirrosi epatica è una malattia degenerativa del fegato che progressivamente sostituisce tessuto epatico con tessuto fibroso, e in questo caso possiamo avere insufficienza epatocellulare. Un altro esempio di insufficienza epatocellulare è l'epatite acuta ( può essere di tipo virale o tossica da funghi o farmaci). Ci può essere un alterato metabolismo epatico da varie malattie, tra le quali da ricordare è la malattia (o sindrome) di Gilbert, che è una malattia congenita, dove il paziente appare sano e si fa una vita normalissima, anche se c'è un lieve aumento della bilirubina indiretta, per problemi di glucuronazione della bilirubina; naturalmente questo difetto è lieve, sennò questa malattia genetica non sarebbe compatibile con la vita. Quindi con un paziente con 2,5 mg/dl di bilirubina in perfetta salute, noi sospetteremo che sia affetto da malattia di Gilbert. . Se non c'è un'emolisi, e se gli epatociti riescono a glucuronare e a fare l'escrezione della bilirubina a livello della via biliare, allora si avrà un problema di stop da qualche parte nella via biliare. Esistono ittero neonatale, virale, da farmaci, da sepsi , da cirrosi, da neoplasie ed insufficienza epatica. Oppure possiamo avere un ittero dovuto ad un aumentato trasporto e secrezione della bilirubina. Gli itteri sono a bilirubina mista perchè possono esserci problemi sia a livello della glucuronazione (prevalenza di bilirubina indiretta) sia dell'escrezione (aumento di bilirubina diretta, tipico degli itteri chirurgici). Vedendo un paziente con colorazione giallastra, possiamo dire che ha ittero, però non possiamo dire di quale ittero si tratta. Non è che un paziente più è giallo e più ha bilirubina alta, anche perché la colorazione cambia a seconda della carnagione di ciascuno. Per capirlo dobbiamo fare due cose: • esame di laboratorio per vedere la bilirubina (ci si aspetta di trovarla alta, basta già avere 2,5-3 mg/dl e si ha iperbilirubinemia). Dall'esame di laboratorio si deve anche vedere la frazione di bilirubina che ci dice quale tipo di problema ha il paziente. Ad esempio, se il paziente ha 25 mg/dl di bilirubina, di cui 20 mg/dl sono di bilirubinemia diretta, si penserà ad un problema di tipo ostruttivo. Mentre se avrà prevalente frazione indiretta, il problema sarà epatocellulare. Se un paziente ha un calcolo della via biliare principale, la bile non va nel duodeno e ristagna a livello epatico, quindi la bilirubina aumenta perché non può essere eliminata dall'intestino; e se ha 10 mg/dl di bilirubina, non ci si aspetta che la bilirubina diretta sia 9,5 mg/dl, ma magari di 8 mg/dl (questo perchè in caso di stasi biliare, c'è una dilatazione delle essere a diversi livelli (coledoco prossimale o distale, o addirittura gravissimo, a livello della biforcazione dei dotti epatici, chiamato tumore di Klatskin). Un’altra causa di ittero ostruttivo è la calcolosi biliare. Ci può essere, come altra causa di ittero, anche un tumore della colecisti, a patto che prenda e ostruisca anche la via biliare principale. Il fegato può anche sopportare quella che è chiamata lobectomia destra, che è l’asportazione chirurgica di tutto il fegato destro (nell’anatomia sistematica). Quindi si opera in caso di tumore primitivo del fegato (HCC ovvero epatocarcinoma),e la cosa a cui dobbiamo stare attenti è il mantenimento della funzionalità ( alcuni organi come un surrene, la tiroide o un polmone possono essere totalmente ablati ). Il problema del fegato è che quasi tutti i tumori epatici, avvengono in caso di fegato già danneggiato (ad esempio: paziente cirrotico), quindi quando si va ad asportare parte del fegato, al paziente rimarrà una parte di fegato che comunque è danneggiata, e quindi può andare in contro a insufficienza epatica e muore. Se invece c'é un grosso tumore in un paziente che ha una buona funzionalità epatica, può sopportare anche resezioni di una buona parte del fegato. Quindi prima di operare un paziente al fegato si faranno una serie di analisi; ad esempio ci sono dei software che dicono quanto fegato funzionale rimarrà dopo una certa ablazione; però gli esami più importanti rimangono quelli emato-chimici. Se si deve operare un paziente che ha 10 mg/dl di bilirubina, le transaminasi alle stelle, con un epatocarcinoma, con ipoalbuminemia e grave compromissione dei fattori della coagulazione, molto probabilmente non supera l’intervento. Quello che è importante non è solo l’ intervento chirurgico in se, ma anche porre bene le indicazioni (soprattutto in chirurgia epato-bile-pancreatica . Porre indicazioni significa prendersi una certa responsabilità perché quel trattamento (con cure, farmaci, esami strumentali o interventi chirurgici) è la cosa giusta da fare. E questa è una cosa molto difficile, che si fa prima di entrare in sala operatoria, perché se si opera qualcuno che non andava operato rischi di trovarti in situazioni poco felici. Il tumore alla testa del pancreas (abbastanza frequente, e tra quelli con peggiore prognosi) può determinare un ittero ostruttivo, o perché comprime la via biliare oppure perché s’infiltra e cresce all’interno della via biliare. Purtroppo la sopravvivenza ai tumori del pancreas rispetto ad una ventina di anni fa non è che sia cambiata molto . Anche le pancreatiti croniche possono determinare una condizione di ittero, perché in caso di fibrosi del pancreas, se il processo fibrotico (tipo tessuto cicatriziale, in esuberanza) va ad interessare la testa dell’organo, si avrà una condizione di compressione delle vie biliari. Le conseguenze dell’ ittero ostruttivo sono: ✔ pigmentazione giallastra di sclere e cute e mucosa ; ✔ ipercromia delle urine (perché se aumenta la bilirubina nel sangue, aumenta a livello delle urine) che si presenteranno scure/verdastre ; ✔ feci alcoliche (abbastanza chiare) questo perché la bilirubina non va nell’ intestino a causa di un ittero ostruttivo ✔ ipocolia o acolia fecale ; ✔ steatorrea ( feci grasse, dovute ad una mancanza di assorbimento dei grassi ) che si analizzano e si vedrà la presenza di lipidi eccessiva; ✔ prurito, dovuto forse a deposizione nel sottocute dei sali biliari, che spesso porta il paziente ad avere lesioni da grattamento ( nelle braccia ) ; ✔ danno epatico ; ✔ ascite, dovuta soprattutto ad ipoalbuminemia, ed è un segno di grave insufficienza epatica (vuol dire che ci si trova in una condizione di cirrosi epatica) ; Le conseguenze della colestasi sono: • diminuita funzione epatocitaria; • disfunzione del citocromo p450 ( CYP ), che determina incapacità di metabolizzazione di farmaci e sostanze tossiche in generale; • riduzione dei livelli di albumina e dei fattori di coagulazione; • diminuzione dell’attività delle cellule del Kupffer, porta a deficit immunologico; Sintomi: • ittero ; • prurito; • depressione SNC; • nefrotossicità; • ipercolesterolemia. L’assenza di bile nell’intestino (per ittero ostruttivo) determina: • feci chiare; • malassorbimento dei grassi; • malassorbimento di vitamine A, D e K (quindi un deficit di vitamina K porta a problemi nella coagulazione a causa di un deficit dei fattori della coagulazione vitamina K- dipendenti) quindi alterazioni della coagulazione; • rilascio di endotossine a livello del sangue portale. Il danno epatico si può ripercuotere a livello renale (sindrome epato-renale), poiché vi è un aumento delle endotossine, che devono essere poi metabolizzate dal rene; e inoltre perché c'è un deficit della clearance epatica (il fegato ha una funzione straordinaria di detossificazione, che se viene meno non può essere compensata dai reni). In un paziente con ittero ostruttivo (con 30 mg/dl di bilirubina) dovuto ad un grosso tumore alla testa del pancreas, poiché i nostri fluidi non sono fatti per stare fermi, ci può essere una sovra infezione batterica (e quindi colangite) dovuta alla stasi biliare. Nell’ittero ostruttivo in un paziente con sospetto tumore ci sono altri esami che si possono fare oltre all’ecografia : • TAC; • colangio-risonanza magnetica; • ecoendoscopia, usata sempre di più ormai. E' un’ esame invasivo, come l’ endoscopia, con in punta una sonda ecografica che va in un organo cavo (ad esempio l’intestino) e grazie a questa si può controllare gli organi vicini (come il pancreas) grazie ad un trasduttore ecografico (si possono anche togliere i calcoli per via endoscopica). Chirurgia Generale 28/04/2016 Ipertensione portale L'ipertensione portale è una patologia che ha numerosi riscontri. Non si tratta di una patologia propriamente di tipo chirurgico, ma molte delle sue complicanze richiedono un intervento invasivo, anche se non necessariamente chirurgico. Molti pazienti soffrono di ipertensione portale (è da sottolineare il fatto che molti pazienti che fanno interventi chirurgici hanno problematiche legate ad epatopatia cronica e ipertensione portale). Richiami anatomici. Il fegato riceve gran parte dell'apporto venoso dalla vena porta (75%), il 25 % dall'arteria epatica. Al fegato arriva il 25% della gittata cardiaca, che è una proporzione alta. La vena porta giace posteriormente alla testa del pancreas, ed è data dalla confluenza della vena mesenterica superiore e la vena splenica, vena splenica che, a sua volta, riceve la mesenterica inferiore (in un intervento di splenopancreasectomia caudale per un sospetto carcinoma uncinoso, un sospetto tumore cistico del pancreas, si può osservare bene l'anatomia del sistema portale). Qual è la caratteristica tipica della vena porta? Tutto il nostro sistema venoso, soprattutto le vene degli arti inferiori, ma anche quelle superficiali dell'arto superiore, è valvolato (sono presenti di una serie di valvole per cui ogni volta che c'è la sistole cardiaca il sangue non refluisce, ma rimane lì, per poi riprendere il suo percorso centripeto verso il cuore, una volta che si ha la diastole). Il sistema portale NON ha valvole. Questo significa che se si crea una pressione tale per cui il flusso possa avere un gradiente che, anziché di essere di tipo centripeto (cioè verso il fegato) è di tipo centrifugo (cioè dal fegato verso la periferia) si può invertire il flusso. La vena porta ha una lunghezza variabile di 5-7 cm, passa dietro la testa del pancreas e si divide poi in ramo destro e sinistro e arrivando al fegato. Arrivata al fegato, si divide in ramo destro e ramo sinistro. Il ramo destro va nell'emifegato destro, che corrisponde non al lobo destro, ma ai segmenti collocati a destra della vena cava (segmenti 5, 6, 7, 8). Il ramo sinistro si distribuisce ai segmenti 1, 2, 3, 4. Il segmento 4, poiché è molto voluminoso si divide in 4a e 4b. Ci sono poi le vene sovraepatiche (epatiche) che sono 3: la media, la destra, la sinistra La comunicazione tra il sistema venoso sistemico e quello portale si crea a livello intraepatico (delle triadi portali del lobulo epatico, in cui avvengono gli scambi tra sistema venoso sistemico e portale). Se si manda un paziente a fare una risonanza, o una tac del fegato, ci si esprime in segmenti. La vena cava inferiore è il vaso del nostro organismo con calibro maggiore. Perché ci possa essere scambio di sostanze e nutrienti a livello epatico, tra il sangue venoso sistemico e il sangue portale è necessario avere un fegato sano. Se interviene un fenomeno, come una fibrosi epatica tipica della cirrosi epatica, e vi è una distorsione anatomica di queste strutture, in quei punti non si può avere un passaggio tra sistema portale e circolo sistemico. Definizione di ipertensione portale. All'interno della vena porta vige un certo regime pressorio. Per definizione ogniqualvolta si arriva, a livello della vena porta, oltre una pressione di 5 mmHg, si certo punto, questo sangue venoso che non può defluire nelle vene mesenteriche andrà a scaricarsi nelle vene del plesso emorroidario inferiore, il quale è tributario del sistema delle vene iliache e quindi del sistema cavale. La conseguenza clinica sono le emorroidi: ectasie venose (patologia molto frequente). Uno dei motivi per cui si possono avere le emorroidi è la cirrosi, in quatno se se si ha un aumento pressorio a livello dei plessi venosi, ad un certo vi sarà anche un'ectasia e questa avrà una rilevanza clinica; ✔ fondo dello stomaco e esofago inferiore: si ha una comunicazione tra la vena coronaria stomacica (ramo della vena porta) e i rami di pertinenza direttamente della vena cava inferiore, ossia i rami dell'esofago inferiore e della parte superiore dello stomaco. Qua si forma un importante plesso venoso di scarico di sangue portale in quello sistemico, e si ha la formazione di varici esofagee e della parte superiore del fondo gastrico; ✔ vene intorno all'ombelico: vi sarà la formazione di un reticolo venoso anche a livello ombelicale, si tratta del caput medusae; ✔ ltri sistemi di scarico importanti, che vengono semplicemente potenziati in condizione di ipertensione portale, sono quei vasi che mettono in comunicazione i vasi superficiali dell'addome con rami della vena porta. Vi sarà, dunque, un'ectasia delle vene della parete addominale; ✔ plessi venosi del retroperitoneo. Cosa può succedere, a un certo punto, di tutte queste ectasie venose? Possono sanguinare. Se questo sanguinamento è episodico o comunque autolimitante può essere un sanguinamento di scarsa entità clinica. Vi sono, però, anche sanguinamenti gravi. Ovviamente intervenire in caso di sanguinamento delle emorroidi non è difficilissimo: si fa a qualche maniera una compressione. Se invece sanguinano delle varici esofagee, si possono autolimitare, ma questo è difficile. In generale è difficile l'autolimitazione quando i sanguinamenti riguardano questi circoli venosi porto-sistemici perché il paziente tende ad avere altre patologie associate. Quelle che più spesso sanguinano tra tutte sono le emorroidi (ma il trattamento è semplice) e le varici esofagee. Il sanguinamento delle varici esofagee ha tuttora una mortalità del 20 -30%, molto alta quindi, perchè non si riesce a bloccare quest'emorragia. Chiaramente le vene esofagee inferiori, e del fondo dello stomaco saranno tributarie del sistema della vena cava attraverso la vena azygos e la vena emiazygos. Dovendo aprire un addome di un paziente cirrotico cosa si trova? Spesso i pazienti cirrotici non subiscono operazioni, però può capitare di doverli operare (si parla dei pazienti con ipertensione portale, perché magari hanno un'emergenza chirurgica non differibile). Si opera il paziente e si vedono immediatamente, quando si apre l'addome a livello omentale, a livello delle arcate gastriche, delle vene (che in genere son sottili, ma che in questo tipo di paziente son grosse come un dito), pronte a sanguinare. Questa, quindi, è una situazione che, dal punto di vista operatorio, si riesce a riconoscere facilmente. L'ipertensione portale è responsabile quindi, principalmente, di 3 maggiori complicanze che sono : • varici esofagee; • ascite; • ipersplenismo. Perché le varici esofagee si possono rompere? Perché c'è un trauma. Il passaggio del cibo è di per sé un trauma, infatti può accadere che durante il passaggio del cibo, le varici si lacerino e, a un certo punto, vi sia un'importante emorragia. Da un punto di vista clinico quest'emorragia si potrebbe manifestare con l'ematemesi, che potrebbe esserci o non esserci. Quando un paziente ha ematemesi, che idee ci si fa della patologia in atto? Fondamentalmente due: • è un cirrotico e sta sanguinando a livello esofageo; • è un paziente con un'ulcera sanguinante. Se il sanguinamento non è così massivo, il sangue si vede sotto forma di melena. Il paziente che tipicamente ha sanguinamento a livello delle varici esofagee, può avere 2 cose: • sicuramente ha melena; • probabilmente ha ematemesi. Questi quadri si accompagnano anche anche a shock emorragico. Si parla di un paziente che ha un'imponente ematemesi, 4-5-6 scariche improvvise di melena importante, quindi con feci nere. I pazienti hanno tutto il quadro dello shock ipovolemico: • ipotesi; • polso piccolo e frequente; • dispnea; • ecc.. L'ascite. Rappresenta la presenza di liquido nella cavità peritoneale. In condizioni normali, quando si apre l’addome, teoricamente, non ci dovrebbe essere perdita notevole di liquido. Come si effettua la diagnosi di ascite? Il paziente può presentare, nella gran parte dei casi, l’addome disteso. Questa condizione si può presentare anche in altri casi, tra cui: • presenza di gas (distensione limitata); • masse di varia natura; • gravidanza. E' inoltre necessario che la quota di liquido presente in caso di ascite sia notevole, in quanto essendo un fluido, si sposterà verso il basso. Oltre all’analisi semeiologica si effettuerà una analisi con imaging. L’esame più frequentemente eseguito, perché più pratico e meno pericoloso, è l’ecografia. Perché l’ascite è un problema? I problemi primariamente connessi all’ascite sono: • difficoltà respiratorie; • dolore; • peso; • infezioni (ad esempio nella cirrosi il pz può avere una peritonite batterica spontanea solitamente con leucopenia.); • può essere causa di ernia ombelicale dovuto alla minore resistenza della parete. Solitamente la peritonite si associa a: • rottura della parete dell’organo (perforazione); • processo infiammatorio a carico di un organo (colecistite, diverticolite,…); • peritonite batterica per sovra infezione del liquido ascitico L’ipertensione portale causa anche splenomegalia in quanto l’aumento pressorio della vena splenica determina ristagno di sangue nella milza con conseguente aumento di volume. Questo è un problema in quanto aumenta notevolmente il rischio di rottura. Alla splenomegalia si associa l’ipersplenismo, ovvero una iperfunzione della milza con aumento della attività cateretica. A questo si andrà ad associare: • piastrinopenia (range normale 150-400 mila); • leucopenia (soprattutto nei cirrotici) Quindi varici esofagee associate alla piastrinopenia rendono difficile la coagulazione. Naturalmente i tempi della coagulazione saranno alterati e il tempo maggiormente aumentato è quello della protrombina. Infatti il fegato è l’organo deputato alla sintesi di alcuni fattori della coagulazione e dell’immagazzinamento della VIT K. In caso di un’ascite imponente il liquido, anziché distribuirsi solo sui lati, dando il classico aspetto a barca, si accumula anche nella parete anteriore. Perché si sviluppa l’ascite? • Ipertensione portale, che causa anche trasudazione linfatica, incrementando ulteriormente la patologia. Questa può essere determinata attraverso metodiche dirette (valutazione con un catetere della pressione endovenosa portale) o per via indiretta (attraverso l’uso di tecniche di imaging capaci di determinare splenomegalia, ingrossamento dei vasi portali, emocromo ed esofagoscopia [permette di ispezionare la parete interna dell’esofago andando a ricercare i cosiddetti “segni rossi”, ovvero varici sul punto di rottura]; • ipoalbuminemia. L’albumina (range fisiologico 3,5mg/dl) ha un potente potere oncotico sui liquidi. L’alterazione della funzionalità epatica determina una ridotta produzione di albumina, causando lo spostamento dei liquidi nel terzo spazio; • ritenzione di sali e di acqua; • ipoaldosteronismo; • ridotto catabolismo degli estrogeni e degli antidiuretici. Non a caso i pazienti maschi con cirrosi si presentano talvolta con ginecomastia, ovvero con uno sviluppo anomalo della ghiandola mammaria. Naturalmente se il fegato lavora male, verrà meno anche l’azione catabolica svolta da questo. Allora il rene andrà in sovraccarico causando una crisi epato-renale. Inoltre il paziente andrà incontro ad un progressivo dimagrimento dovuto ai problemi di assorbimento associati. Se di natura alcolica la cirrosi viene definita esotossica. e la frequenza cardiaca. In un paziente dispnoico la saturazione dell’ossigeno si aggira sui 88 o 90 mmHg, con grave insufficienza respiratoria; se invece la saturazione si aggira sui 94 o 95 mmHg la condizione di insufficienza respiratoria non è cosi grave. Non tutti i pazienti che hanno difficoltà a respirare sono in una condizione di insufficienza respiratoria [come per esempio i pazienti ansiosi, che non sono in una condizione di dispnea ma di polipnea (frequenza del respiro aumentata) oppure di iperinsufflazione (il paziente tende a fare dei respiri molto profondi perché è in condizione di ansia)]. Tosse: • produttiva: con produzione di catarro; • non produttiva: insistente (viene quando c’è un infezione delle alte vie respiratorie), non è accompagnata da secrezioni. Emoftoe: emissione di un espettorato rosso chiaro, frammisto a catarro durante un colpo di tosse, dovuto alla presenza di un esigua quantità di sangue. Può esser presente quando si ha un’infezione o una neoplasia. Emottisi: emissione di abbondante quantità di sangue dall’albero respiratorio, come un paziente che ha un tumore al polmone, una tubercolosi o una malformazione vascolare. Cianosi. Situazione che si verifica quando si ha una gran quantità di emoglobina che non è adeguatamente ossigenata nel sangue periferico. Questo fa si che le estremità siano ipovascolarizzate, portando alla colorazione bluastra del letto ungueale, che è un segno clinico molto importante; quindi non fare mettere lo smalto alle signore prima di entrare in sala operatoria! Dolore. Solo la pleura parietale ha fibre nocicettive, quindi è l’unica che può trasmettere la sensazione dolorifica; è un dolore trafittivo e insistente, riferito alla spalla o alla scapola o entrambe. Esami diagnostici. La valutazione del torace si fa sempre con la radiografia del torace; ricordatevi di metterla nel verso giusto, quindi con l’aia cardiaca spostata verso sinistra. L’aria negli esami radiografici è radiotrasparente, ma i polmoni non risultano radiotrasparenti; c’è un disegno bronco-alveolare e una trama distribuita in modo uniforme in tutti e due gli emitoraci. In questo caso (soggetto normale) si riesce a vedere la trachea, zona trasparente sovrapposta alla colonna vertebrale, e la divisione della stessa nei due bronchi principali. Si osserva anche una sporgenza in alto a sinistra, il cappuccio aortico, mentre a livello diaframmatico i seni costo-frenici. Si possono anche osservare la bolla gastrica e l’opacità epatica. Qualche volta si può distinguere il torace di una donna da quello di un uomo, perché si può vedere la forma delle ghiandole mammarie. Una radiografia al torace si deve sempre guardare sia in proiezione frontale che in proiezione laterale. Pneumotorace: Accumulo di aria nel cavo pleurico. Patologia che necessita quasi sempre di un provvedimento terapeutico fatto dal chirurgo. In condizioni fisiologiche nel cavo pleurico non c’è aria (cavo virtuale); ci sono una pleura viscerale e una pleura parietale e fra questi due elementi c’è una minima quantità di liquido, in modo tale da favorire i movimenti di espansione polmonare. Il polmone per sua natura tende a collassare, la gabbia toracica invece tende ad espandersi; queste due strutture rimangono accollate fra loro per due motivi: • la presenza del liquido fra le due pleure che mantiene questo cavo virtuale; e • la pressione negativa del cavo pleurico rispetto alla pressione atmosferica. Se la pressione all’interno del cavo pleurico da negativa diventa positiva, non c’è più quella trazione del polmone verso la parete toracica, per cui si forma una camera d’aria all’interno della cavità toracica e il polmone tende a collassare su se stesso. Cause: ◦ entrata di aria nel cavo pleurico dall’esterno per un trauma (es: ferita d’arma bianca); ◦ entrata di aria nel cavo pleurico proveniente dal polmone stesso (in una condizione patologica tale per cui si ha una comunicazione fra gli alveoli polmonari e lo spazio pleurico, l’aria passerà dagli alveoli al cavo pleurico per gradiente pressorio). In condizioni fisiologiche in un esame radiografico si possono osservare l’aia cardiaca, il timo, i grossi vasi e i polmoni che sono perfettamente adesi alla cavità toracica, con lo spazio pleurico che è virtuale. Le cellule della pleura sono cellule mesoteliali (tumori primitivi della pleura si chiamano mesoteliomi). In condizioni di pneumotorace una parte del polmone è collassata su se stessa; questo polmone diventa più piccolo e si retrae verso le sue strutture fisse dell’ilo polmonare. Non è detto che ci sia un pneumotorace tale che il polmone collassi completamente, infatti in queste condizioni possiamo notare un piccolo scollamento e la quantità di aria nel cavo pleurico è ridotta. Ci sono diversi gradi di pneumotorace in base alla quantità di aria contenuta nel cavo pleurico. Trauma del torace: Come una ferita di arma bianca, in cui il torace rimane aperto e comunica con lo spazio esterno, il polmone va a collassare completamente. Oppure in caso di frattura di una costa, non c'è una soluzione di continuità con l’aria ambiente. L’aria del pneumotorace arriva dal polmone stesso, se infatti la frattura della costa provoca una lacerazione della pleura e del polmone si riversa nel cavo pleurico aria e anche sangue (se si lacera il polmone). Da qui nasce la classificazione di pneumotorace aperto e pneumotorace chiuso (da cause traumatiche). • Pneumotorace aperto: comunicazione con l’aria ambiente, quindi l’aria può entrare o uscire dal cavo pleurico a seconda degli atti respiratori del paziente. • Pneumotorace chiuso: non c’è continuità con l’esterno, interruzioni della pleura parietale da cause interne come una frattura costale. Interventi chirurgici. Quando si fa una sternotomia mediana, per eseguire una timectomia, si usa una sega oscillante che apre in due lo sterno. Se durante questo intervento si va ad interrompere la pleura mediastinica si può avere uno pneumotorace. Se si opera direttamente il polmone lo si deve indurre a un pneumotorace, come nel caso di una lobectomia polmonare. • Pneumotorace iatrogeno: indotto dal medico. Quando si fa un accesso venoso centrale tramite la puntura alla vena succlavia, se con l’ago si punge la pleura parietale, la viscerale e un alveolo si formerà un pneumotorace. I pazienti firmeranno un consenso informato in cui è indicato che una delle possibili complicanze di quella procedura invasiva che stiamo effettuando potrebbe indurre uno pneumotorace. Patologie. Qualsiasi patologia polmonare (processo flogistico, neoplastico, congenito) che sia in posizione periferica (in prossimità della pleura parietale) può causare un pneumotorace. • Pneumotorace spontaneo: dato da patologie congenite che causano le bolle di enfisema polmonare (parti in cui il tessuto polmonare ha delle dilatazioni congenite) poste in vicinanza della pleura viscerale. Se una di queste bolle si rompe , a seguito di uno sforzo, di un colpo di tosse, ha improvvisamente uno pneumotorace spontaneo. • Pneumotorace da preesistenti condizioni congenite (fibrosi polmonare, asma, vasculiti, tumori primitivi e secondari del polmone). Il polmone è abbastanza chiaro in un soggetto giovane, mentre in un soggetto adulto, soprattutto se fumatore ha un colore tipicamente rosa/grigio. In questo caso sono presenti delle bolle per una patologia congenita; se queste bolle si rompono, l’aria finisce nel cavo pleurico e il paziente andrà incontro a pneumotorace. L’intervento che si fa per risolvere queste anomalie congenite del polmone tipo le bolle di enfisema subpleurico ( in genere si trovano sull’apice del polmone) è la resezione polmonare atipica, cioè si va a rimuovere chirurgicamente quella parte del polmone che ha queste bolle di enfisema. Pneumotorace traumatico Può essere di tre tipi: • chiuso: dato per esempio dalle bolle di enfisema o da un trauma della strada con frattura costale e lesione polmonare senza continuità con l’esterno; • aperto: dato da ferite di arma bianca o per interventi chirurgici; • iperteso: si ha un lento deterioramento e peggioramento di un normale pneumotorace per effetto di un meccanismo a valvola che si può venire a creare in corrispondenza della rottura del parenchima polmonare o della parete toracica che ha causato lo pneumotorace e che consente il passaggio di aria solo verso il cavo pleurico e non viceversa. Chirurgia Generale 19/05/2016 Chirurgia oncologica. Buona parte del lavoro svolto all'interno della sala operatoria riguarda la chirurgia oncologica. Si tratta di un tipo di chirurgia molto particolare per tanti motivi. Un aspetto particolarmente saliente è il fatto che poter essere fatta in maniera adeguata necessita, oltre ad abilità e organizzazione del reparto chirurgico, di tutta una serie di una serie di azioni multidisciplinari che la possano sostenere. I tumori, i loro aspetti clinici e la terapia. Le caratteristiche dei tumori riguardanti i vari organi sono diverse tra loro. Ad esempio un tumore al colon è diverso da un tumore al polmone. Bisogno però tener conto del fatto che alcuni aspetti, alcuni modi di comportarsi di fronte ad una neoplasia, di agire nei confronti di un paziente neoplastico hanno delle cose in comune per i diversi tipi di neoplasie. Da un punto di vista clinico si distinguono due tipologie di tumori: • solidi; • dell’apparato emolinfopoietico (leucemie e di linfomi, che hanno, per ovvie ragioni, una storia naturale e necessità di azioni di tipo terapeutico completamente diverse rispetto ai tumori solidi). I tumori di origine linfatica e ematica non necessitano dell'intervento del chirurgo. Il trapianto di cellule staminali non una tecnica messa in pratica da un chirurgo, ma dall'ematologo. Chirurgia dei tumori. La chirurgia dei tumori solidi è una metodica di tipo ablativo, in cui lo scopo che si persegue con la chirurgia è quello di rimuovere il tumore. Nella maggior parte dei casi, nonostante la chirurgia stia perdendo molti campi applicativi anche in oncologia per scoperta sia di nuove metodiche alternative sia della non necessità di operare alcuni tipi di tumori, l’asportazione si rivela essere l'azione migliore dal punto di vista terapeutico. Ciò che è cambiato sono la quantità di tessuto che viene asportata e la tempistica dell'asportazione (prima o dopo altre terapie). Nonostante tutto questa sembra essere la tecnica migliore per la prognosi del paziente. Prognosi: previsione della durata di vita del paziente affetto da una determinata malattia. Se la prognosi del tumore è infausta significa che il paziente ha una malattia che lo porterà a morte. Nel caso di un tumore è possibile a volte migliorare la prognosi con un intervento di tipo chirurgico o di tipo terapeutico migliorando qualità di vita e guarigione del paziente. Bisogna tener presente che, in alcuni casi, quando si parla di tumori quello che si può fare è un intervento di tipo curativo. Infatti ci sono alcuni tipi di tumori che operati e opportunamente trattati possono guarire completamente (ad esempio il tumore del colon e della prostata). Capita invece, a volte, di dover agire su un paziente in maniera chirurgica e terapeutica non per curare il tumore (esistono tumori che sono incurabili), ma per prolungare la sopravvivenza del paziente e fare in modo che abbia una qualità di vita accettabile. Caratteristiche dei tumori. In generale tutti i tumori solidi hanno delle caratteristiche. Da un punto di vista più generale i tumori sono classificati per organo di provenienza. Per prima cosa possono essere distinti in: • benigni; • maligni. Per definizione possono dare lesioni a distanza: le metastasi. Le metastasi sono date da delle cellule tumorali che vanno a infiltrare altri organi. I tumori maligni si possono diffondere attraverso 4 modalità: • dal punto di vista locale per continuità e per contiguità. Supponendo di avere un tumore particolarmente aggressivo (ad esempio quello dell’esofago), si intende diffusione per continuità quella che si verifica (soprattutto negli organi cavi) lungo la parete dell’organo, mentre per contiguità la diffusione negli organi adiacenti (nel caso del tumore dell'esofago possono essere infiltrati la trachea, la pleura mediastinica, il polmone, l’aorta e il pericardio); • dal punto di vista sistemico per via ematica e linfatica. Le metastasi per via linfatica arriveranno ai linfonodi loco regionali (un tumore del polmone darà metastasi ai linfonodi dell’ilo polmonare, uno della mammella a quelli ascellari). Se la diffusione avviene per via ematica o ematogena delle cellule, attraverso il circolo venoso, vanno a localizzarsi in altri organi (più frequentemente fegato e polmoni). I tumori solidi non vanno visti come una malattia d’organo, infatti spesso il paziente ha una malattia neoplastica diffusa. Un paziente che ha una neoplasia del polmone localizzata solo li avrà una prognosi diversa da un paziente con tumore del polmone che ha dato metastasi epatiche. I tumori sono una malattia estremamente eterogenea, noi come dottori dobbiamo inquadrare il paziente nel suo insieme, non possiamo pensare di fare un trattamento al paziente se prima non abbiamo valutato il grado di avanzamento della sua patologia. Come si fa a valutarne il grado? Prima di tutto si deve vedere se il tumore è localizzato o ha dato metastasi lavorando in modo multidisciplinare, ovvero non è più il chirurgo da solo che decide di operare ma si fanno dei meeting per decidere con gli altri specialisti chi deve trattare per primo il paziente. Prima si operava il paziente e poi lo si mandava dall’oncologo o dal radioterapista per fare i trattamenti adiuvanti (ovvero trattamento dopo l intervento); adesso invece a seconda del tipo di tumore i pazienti fanno dei trattamenti anche prima dell’intervento. Tumore alla mammella. Dal punto di vista epidemiologico i tumori non hanno tutti la stessa incidenza (numero di nuovi casi in un anno):ci sono tumori a bassa incidenza e tumori ad alta incidenza. Ci sono due tipi di tumore alla mammella: • tumori maligni; • tumori benigni. Sono tanti e colpiscono tante ragazze che si presentano in studio con fibroadenomi o altre lesioni benigne che sono operate perché magari sono particolarmente grosse. I tumori maligni della mammella sono ad alta incidenza come quelli al colon e al polmone. Quante donne si ammalano ogni anno in italia di tumore della mammella? 45.000 donne. In Sardegna ci sono un milione e mezzo di persone ammalate e ogni anno si ammalano 1300/1500 donne. L’incidenza, non si sa perché, è in aumento ma la mortalità è in riduzione. L’aumento dell’incidenza è dato dal numero di tumori che si rilevano precocemente con lo screening? Il discorso è complesso, però la risposta è che non è a causa dello screening, sono proprio i casi ad essere di più. L’Europa, il Nord America, l’Australia e l’Asia sono aree al alta incidenza per il tumore della mammella. Il tumore della mammella è un tumore molto raro al di sotto dei 18 anni, raro al di sotto dei 30, per poi aumentare progressivamente come incidenza con l aumentare dell’età. La mortalità di questo tumore sta diminuendo perché ci sono più diagnosi precoci e sono molto migliorati i trattamenti oncologici. Per alcuni tumori come quello del polmone la mortalità è in aumento perché è in aumento l’incidenza mentre per altre come i tumori della mammella e del colon retto è in diminuzione. Quando si ha a che fare con un tumore si deve sempre pensare alle cause che lo possono aver determinato. Nella maggior parte dei casi l’eziologia è sconosciuta e i tumori sono definiti sporadici, perché avvengono senza che ci sia una causa chiara. Esempio di correlazione causa-effetto per i tumori: • fumo correlato al tumore del polmone (è un fattore di rischio per questo tipo di tumore ovviamente non è sufficiente perché si abbia); • colon retto correlato con carne rossa; • esposizione al sole in soggetti con pelle particolarmente sensibile correlato con melanoma, papilloma virus correlato con cancro della cervice uterina (non dell’endometrio, quello ha altre cause); • helicobacter pylori correlato con tumore allo stomaco (ci sono controversie su questo); • obesità e tumore del colon, • sale e tumori del cavo orale; • infezioni da virus C ed epatocarcinoma. Questi fattori spesso non bastano a spiegare l’ insorgenza di un tumore, il fumo di sigaretta è per esempio un fattore di rischio ben riconosciuto per il tumore al polmone, si è visto che da quando ci sono le sigarette il tumore del polmone è esponenzialmente aumentato. Ma la maggior parte dei fumatori si ammala di tumore del polmone? No, è evidente quindi che esistono altri fattori. Per il tumore della mammella esistono vari fattori di rischio, è uno tra i tumori più studiati e sul quale si fanno molti congressi. Fra i fattori di rischio c’è sicuramente la dieta: l’aumento di peso, l’aumento dei grassi contenuti nella dieta, l’aumentato consumo di alcol e la diminuzione dell’attività fisica sono tutti fattori di tipo ambientale che risultano come fattori di rischio per questo tipo di tumore. Ci sono anche dei fattori di tipo ormonale, la ghiandola mammaria è bersaglio degli ormoni prodotti dall'ovaio (estrogeno e progesterone) e della prolattina prodotta dell’ipofisi nella fase dell’allattamento. E' chiaro che tutti quei fattori che determinano delle alterazioni nella quantità di ormoni circolanti possono determinare un aumento del rischio, come il menarca precoce o la menopausa tardiva. Questo perché più è lunga la vita della donna durante la quale sta esposta agli estrogeni, avendo la ghiandola mammaria recettori per questi ultimi, più aumenta il rischio. La nulliparità (non aver avuto figli) sarebbe un fattore di rischio, avere avuto diverse gravidanze un fattore protettivo. Sembrerebbe che un rischio aumentato di sviluppare questo tumore si abbia in quelle donne che hanno assunto fin da giovane età, senza interromperli per moltissimi anni i contraccettivi orali (tempo prolungato fattore di rischio perché la pillola di per se non aumenta il rischio di tumore della mammella). Sicuramente sono molto importanti come fattore di rischio, per i tumori in generale, le radiazioni ionizzanti. Si è visto, a proposito di mammella, che le donne che hanno subito una irradiazione del mediastino perché hanno avuto un linfoma in giovane età hanno una possibilità aumentata di sviluppare tumore della mammella. Esempio: il CEA è un marcatore per il tumore del polmone, tumori dell’apparato gastroenterico e per altri tipi di tumore, ma non è specifico per nessuno di questi. Questo aumenta nei fumatori. L’importanza dei marcatori tumorali è nei casi di recidive. Ogni tumore può ricadere da un punto di vista locale e da un punto di vista sistemico. Nel caso di una paziente con tumore della mammella si fa periodicamente il dosaggio dei marcatori tumorali. Se questi aumentano, potrebbe significare che c’è una ripresa di malattia: metastasi a distanza o una recidiva locale. I marcatori tumorali hanno importanza in fase di follow up nel predire e nel vedere in anticipo una ripresa di malattia. I tumori solidi tendono a ritornare. Diagnosi di tumore alla mammella. Da un punto di vista diagnostico, gli esami da eseguire in caso di tumore della mammella sono: - mammografia; - ecografia; - risonanza magnetica (in casi particolari). Prima di pensare ad un qualsiasi trattamento (di tipo chirurgico, chemioterapico, radioterapico e così via) in un paziente con sospetto tumore, si deve avere una diagnosi di certezza. Esempio: anche se una paziente avesse un nodulo mammario con le stesse caratteristiche di un nodulo neoplastico (duro, fisso e con retrazione della cute), questa condizione non sarebbe sufficiente per intervenire chirurgicamente o con qualsiasi altro tipo di trattamento. È necessaria una diagnosi istologica. In alcuni tumori la diagnosi istologica non è necessaria, perché l’esame strumentale o due esami strumentali insieme possono essere diagnostici. Questo è il caso dell’epatocarcinoma: ha un aspetto TAC caratteristico, che, inserito nell’ambito di un paziente HCV positivo ed affetto da cirrosi, riconduce direttamente alla patologia di interesse senza svolgere una biopsia. Anche per i tumori della testa del pancreas non si effettua la biopsia, perché possono esserci una serie di complicanze e la biopsia può dare un falso negativo. Dall’esame strumentale l’aspetto è talmente caratteristico da poter intervenire direttamente, pur non avendo una diagnosi di certezza. I tumori, per cui non è necessaria la biopsia preoperatoria, sono quelli in cui si ha un quadro radiologico talmente suggestivo, da determinare una condizione di sicura neoplasia. Perciò si esegue l’intervento e la diagnosi istologica la si ha a seguito dell’operazione. Questi sono casi molto selezionati. Al contrario, un paziente con tumore del polmone o della mammella deve avere sempre diagnosi istologica. Per fare le biopsie si utilizzano delle metodiche di tipo mini invasivo. Oggi tutta la diagnostica preoperatoria di tipo cito-istologico viene fatta con queste metodiche. Possono essere eseguiti esami citologici ed istologici. Nel primo caso è necessario togliere solo alcune cellule per individuare delle caratteristiche dei nuclei cellulari; nel secondo caso, invece, si utilizzando uno strumento che permette di ricavare una “carota” di tessuto, su cui è possibile eseguire un’analisi di tipo istologico. Senza una certezza istologica di tumore, non si opera, tranne nei casi di tumore della testa del pancreas e degli epatocarcinomi. Possono esserci casi in cui le metastasi non danno sintomi? È raro che un tumore della mammella abbia dato delle metastasi cerebrali senza prima aver dato delle metastasi al fegato, al polmone e alle ossa. Senza alcun sintomo, come ipertensione endocranica o disturbi comportamentali, difficilmente viene fatta una TC cranio. È possibile che si abbia la formazione di metastasi senza alcun sintomo, ma estremamente raro. Con il tempo si è evoluto il concetto della chirurgia, perché si è evoluto tutto il trattamento dei tumori. Prima si pensava che si dovessero curare i tumori con il massimo trattamento tollerabile: quanto più demolitiva era la chirurgia, tanto più le probabilità di guarigione del paziente erano maggiori. Oggi è esattamente il contrario, passando dal concetto di massimo trattamento tollerabile a quello di minimo trattamento efficace (minimo indispensabile). Esempio: nel caso di tumore della mammella, si toglie una parte del parenchima mammario, dove c’è il tumore, e possibilmente non si tolgono neanche i linfonodi ascellari, ma solo il linfonodo sentinella. Attualmente si cerca di fare il minimo indispensabile da un punto di vista chirurgico, perché si sono affinate molto le terapie che affiancano la chirurgia. Infatti, a seguito di una quadrantectomia, si effettua una radioterapia completando il trattamento loco regionale, oppure si effettua una chemioterapia o una ormonoterapia o si somministrano anticorpi monoclonali. Perciò possono esserci delle terapie che possono essere adiuvanti ed efficaci quanto più della chirurgia. Un aspetto importante da un punto di vista oncologico e della radicalità oncologica è quello di assicurarsi di non tagliare un tumore a metà e di non lasciarne una parte. Bisogna avere i margini liberi. Da un punto di vista oncologico si deve essere radicali, ossia avere un margine di tessuto libero. Quando si opera un tumore del retto, che è a 7cm dal margine anale, bisogna andare al di sotto del tumore con la resezione. Si fanno degli esami istologici in estemporanea per andare a vedere che i margini siano liberi. Nelle quadrantectomie si toglie un “triangolo”, i cui lati devono essere liberi: non deve esserci tumore nei margini di sezione. Se si avesse tumore nei margini di sezione, sarebbe necessario intervenire nuovamente per ottenere una radicalità. Per le quadrantectomie si rimuove unicamente la porzione colpita , assicurandosi di avere un buon margine di resezione libero da tumore. L’unica mutazione conosciuta che predispone al tumore della mammella è quella che interessa BRCA1 e BRCA2. La mutazione del BRCA aumenta anche il rischio del tumore dell’ovaio. Solo il 5% dei tumori ha una mutazione di questo tipo. Il test genetico si richiede nel momento in cui ci sono dei precisi requisiti, ossia familiarità, un certo numero di casi. Esistono i criteri di Geril, per i quali si può richiedere il test genetico. Nel caso la paziente non dovesse rispettare tali criteri, non dovrebbe richiedere il test, ma non sempre accade. Una paziente che presenta la mutazione BRCA deve essere sottoposta a dei controlli ravvicinati oppure, in maniera più drastica, può subire una mastectomia profilattica bilaterale. Quest’ultima può essere una soluzione problematica per quanto riguarda la ricostruzione del seno, non avendo sempre degli esiti positivi. La mutazione genetica si trasmette alla prole, anche ai figli maschi, che hanno aumentato rischio di avere tumore della prostata e del colon. Il test si consiglia alle donne che hanno un elevato rischio familiare documentato. Anche se il risultato del test dovesse essere positivo, non è detto che la donna svilupperà tumore. Chirurgia Generale 24/05/2016 Chirurgia Vascolare. La chirurgia vascolare è una branca super-specialistica della chirurgia generale (discipline nate insieme ma tutti i tipi di chirurgia si specializzano per diventare delle discipline a se stanti). Questa branca è cambiata moltissimo negli ultimi anni: ha ridotto tantissimo i suoi campi applicativi. Molte patologie vascolari, che interessano il chirurgo vascolare, mettono a rischio la vita nell’immediato o la vitalità di un arto. È importante dunque conoscere tali patologie e sapere come affrontarle. Aneurisma: dilatazione permanente della parete di un vaso. Aneurisma arterioso: dilatazione di un’arteria che presenta un incremento di almeno il 50% del suo diametro normale. Nel caso, ad esempio, di un vaso con un diametro di 2 cm, come l’aorta addominale, perché si abbia un aneurisma, questa deve avere un diametro di almeno 3 cm. Ectasia: dilatazione permanente di un vaso di meno del 50% del suo diametro normale. Esistono anche degli aneurismi venosi ma sono delle patologie molto rare, quindi dal punto di vista chirurgico sono più interessanti gli aneurismi del versante arterioso 8per esempio gli aneurismi aortici, cerebrali, renali). Tutti i vasi arteriosi possono andare in contro ad una degenerazione aneurismatica. Diverse situazioni possono portare ad un aneurisma, come ad esempio un trauma diretto o indiretto sul vaso che porta ad un indebolimento della sua parete così che il flusso del sangue nel e la pressione che vige in esso lo porterà a dilatarsi. Oltre all’eziologia traumatica esiste come causa l’aterosclerosi, patologia degenerativa a carico delle arterie, molto comune. È cronica, ci mette molto tempo a realizzarsi e porta a deterioramento del vaso per indebolimento della parete stessa. Richiami anatomici: All’interno è presente il lume. La parete può essere suddivisa in: • tonaca intima, ricca di cellule endoteliali; • tonaca media, strato più spesso di un vaso con fibre muscolari ed elastiche; • tonaca avventizia: strato più esterno, L'aneurisma. L’aneurisma vero è una dilatazione che coinvolge tutte e tre le tonache. Ci possono essere traumi che provocano la rottura di solo una o due tonache, in questo caso si parla di pseudo-aneurisma: tumefazione pulsante che non riguarda tutti e tre gli strati costitutivi della parete arteriosa. Si chiama anche aneurisma falso e in genere è di natura traumatica. Nei vasi arteriosi vige un regime pressorio elevato rispetto a quello del sistema venoso. Il flusso del sangue è di tipo laminare ma se c’è una dilatazione di un vaso il flusso diventa turbolento e scorre in diverse direzioni. Parte del sangue si porta verso la periferia e un’altra parte va a formare dei vortici all’interno della sacca aneurismatica che tendono a far sì che il sangue ristagni. Il sangue che ristagna, sta fermo e coagula. dell’aneurisma. Nella maggior parte dei casi l’aneurisma è asintomatico perché ci mette molto tempo a crescere. Nell’aneurisma dell’aorta addominale può esserci come sintomo il dolore. Il fatto che siano asintomatici è un problema. Generalmente si scoprono come “reperti collaterali” in corso di esami fatti per altri motivi, generalmente ecografie. L’aneurisma diventa sintomatico quando dà una delle sue complicanze per esempio ischemia dei territori a valle. Può esserci una franca rottura dell’aneurisma ma, in genere, esiste un fenomeno anticipatorio che è la formazione di una piccola soluzione di continuo, una fissurazione. Il sangue inizia a fuoriuscire causando uno shock emorragico ma la franca rottura si può avere nel giro di qualche ora. Complicazioni: Le principali complicazioni degli aneurismi sono: • rottura, più temibile nella fase acuta; • chiusura o trombosi; • può staccarsi un frammento (coagulo) di materiale presente nel lume che va in un territorio a valle dando per esempio una ischemia acuta degli atri (ischemia periferica). Gli aneurismi sono in genere asintomatici e l’insorgere di una sintomatologia è segno di avvenuta o imminente complicanza. La fissurazione, rottura parziale della parete di un vaso, causa dolore addominale perché il sangue che fuoriesce dal vaso è uno stimolo doloroso importante e ci sarà uno shock emorragico. Ci sarà un calo sensibile e acuto dell’emoglobina. Tutto nell’aneurisma avviene in modo lento ma quando avviene la fissurazione tutto accade in modo acuto. Ci può essere, ma è poco frequente, l’ischemia di un arto. Generalmente i pazienti si presentano con dolore addominale di tipo epigastrico oppure dorsale, in regione lombare. Può essere irradiato alla regione dorsale o generarsi nella regione dorsale. Questo crea problemi di diagnosi differenziale perché tutte le patologie a carico degli organi retroperitoneali danno dolori a livello lombare. Un dolore lombare può avere mille motivi, nella maggior parte dei casi è un dolore osteoarticolare, vertebrale, ernia del disco, ma può essere da colica renale, patologie di organi addominali con dolore irradiato al dorso (pancreatite acuta). Tutti gli organi retroperitoneali possono dare un dolore che ha origine nella regione lombare, oppure nella regione addominale ma si irradia poi posteriormente. Tra le diverse cause di dolore lombare c'è l'aneurisma dell'aorta addominale in fase di fissurazione. Diagnosi. Se si cerca di fare diagnosi su un paziente che ha un dolore lombare, sapendo che ha un aneurisma, o sospettando che ce l'abbia, ovviamente non lo si può portare subito in sala operatoria. Si deve innanzitutto capire se l'aneurisma ha dato complicanze e se il dolore è causato dall'aneurisma. L'esame che si fa per capire se c'è un aneurisma e se questo ha dato complicanze, innanzitutto è la visita (se il soggetto è magro palpando l'addome si sente una tumefazione); successivamente si vede se il paziente ha i polsi periferici (i polsi arteriosi sono il polso radiale, carotideo, femorali, poplitei, tibiale anteriore e posteriore). Se c'è stata embolizzazione potrebbe mancare uno dei polsi oppure uno dei polsi potrebbe essere assente perché il paziente è aterosclerotico del tutto, quindi potrebbe avere una femorale chiusa e in tal caso non si sentirà il polso femorale, e siccome il processo è avvenuto in modo cronico il paziente non avrà sintomi di ischemia acuta. L'esame obiettivo in ogni caso non ci dice granché. • Un altro esame che si fare per sapere se il soggetto ha un aneurisma è un'ecografia dell'addome, o un'eco-doppler. Vi sono diversi fattori però che ostacolano la visione dell'aorta con l'ecografia, per vederla bene il soggetto deve essere magro e non ci deve essere aria all'interno delle anse intestinali e nello stomaco, altrimenti il segnale si perde ed è difficile visualizzare. Se l'ecografia dimostra la presenza dell'aneurisma potrebbe anche dirci se c'è fissurazione. Se c'è un grosso ematoma intorno all'aorta si vede, ma l'ecografia non è un esame di prima scelta per una prima valutazione; • Un'angiografia o una TAC possono farci vedere meglio sia l'aneurisma che l'eventuale fissurazione. Per fare l'angiografia è necessario iniettare, attraverso un catetere inserito dalla femorale, un mezzo di contrasto per opacizzare il vaso, è dunque una procedura invasiva. Con l'angio-TAC invece il mezzo di contrasto è iniettato in vena, e questo è meglio per il paziente. All'angiografia l'aneurisma appare come un vaso completamente dilatato, si nota il lume vero, nero, anecogeno (non c'è segnale), e una parte ipoecogena che identifica la posizione trombotica. Prendendo in esame l'angiografia di un'aneurisma integro, non fissurizzato, si vede il mezzo di contrasto nel lume del vaso, con intorno disposti vari trombi. L'angiografia dà meno informazioni rispetto alla TAC perché il mezzo di contrasto andrà ad opacizzare il lume vero, dove c'è il flusso, ma non andrà ad evidenziare la parte trombizzata perché lì il mezzo di contrasto non ci va, e se ci va è perché c'è stata una fissurazione, dunque è preferibile fare un'angio-TAC. Essa fa vedere bene l'aneurisma dell'aorta addominale e attraverso un software è possibile vederla da diverse angolazioni. Il rischio di rottura è direttamente proporzionale al raggio. L'aneurisma dell'aorta addominale può fissurarsi e rompersi, con rischio del 50% dei casi di morire. Dove si rompe l'aneurisma? La parete vasale è una superficie che guarda in direzioni diverse. L'aorta essendo in posizione retroperitonale è circondata da tessuto adiposo, e il retroperitoneo è uno spazio chiuso, dunque una rottura della parete posteriore dell'aorta formerà un ematoma e i tessuti che stanno intorno faranno, sino ad un certo punto, da barriera a questa fuoriuscita di sangue. Questo lascia il tempo di intervenire. Se si rompe la parete anteriore e l'aneurisma si rompe nel cavo peritoneale siamo davanti ad un caso solitamente mortale, perché il sangue va nel peritoneo dove non ci sono barriere. L'addome risulta disteso. L'aorta aumentando le sue dimensioni può prendere rapporto con altre strutture: la vena cava inferiore, i reni, il pancreas e il duodeno. Potrebbe addossarsi alla cava o al duodeno tanto da eroderne la parete. Se un aneurisma si rompe nella vena cava (fistola aorto-cavale) ci sarà un improvviso aumento pressorio al suo interno e il paziente andrà incontro a scompenso cardiaco. Se si rompe nel duodeno (fistola aorto-enterica) l'emorragia si manifesta nelle feci e il paziente può avere melena, ematemesi o una rettorragia importante. L'aorta in condizioni normali non sta a contatto diretto né con la cava né con il duodeno, il contatto tra le strutture si verifica nel corso degli anni con la dilatazione dell'aorta. La rottura dell'aneurisma è identificabile perché il mezzo di contrasto di ritrova anche al di fuori del lume del vaso. La prima cosa da fare con un'aneurisma dell'aorta addominale rotto è andare sopra all'aneurisma e mettere un clamp vascolare che chiude il vaso e blocca il flusso di sangue. Sotto i 5cm gli aneurismi possono essere tenuti sotto controllo, monitorando le dimensioni. Trattamento • Sostituzione del tratto aneurismatico con una protesi, un condotto artificiale che abbia lo stesso calibro dell'aorta nativa. Il procedimento prevede la chiusura dell'aorta sopra e sotto mettendo dei clamp nelle arterie iliache e al di sopra dell'aneurisma. Successivamente si apre l'aneurisma e si rimuove il materiale trombotico che ha consistenza gelatinosa, poi si mette la protesi vascolare dello stesso diametro dell'aorta, cucendo sia sopra che sotto, si prende la coccia aneurismatica (buccia dell'aneurisma) e la si mette a coprire la protesi, questo per isolare la protesi dal duodeno ed evitare che in futuro si formino delle fistole aorto-enteriche secondarie (patologie molto rare). Prima di mettere gli ultimi punti e di togliere il clamp si dà flusso dall'alto e si fa uscire un bel fiotto di sangue che si porta via le eventuali bolle aeree presenti all'interno della protesi, se ne dovesse permanere una di piccole dimensioni non succede niente in quanto viene riassorbita. L'intervento è andato a buon fine quando una volta rimossi i clamp si nota che si è ripristinato il flusso. Bisogna essere rapidi durante l'intervento in quanto mettendo i clamp tutti i territori a valle avranno una sofferenza di tipo ischemico. Se gli aneurismi si verificano nell'aorta sotto-renale l'ischemia relativa si verifica solo agli arti inferiori, in quanto gli organi pelvici sono irrorati anche da rami collaterali. Se invece si verifica a livello sopra-renale il problema sussiste in quanto i reni non sopportano l'ischemia per più di 10-15 minuti. La sostituzione potrebbe riguardare anche le arterie iliache e viene detta sostituzione aorto- bisiliaca. • Tecnica endovascolare: prevede l'utilizzo di una protesi sottile, introdotta dalla femorale, che poi si espande e si ancora dall'interno sotto visione radiologica. Non c'è quindi bisogno né di aprire l'addome né di tagliare l'aorta. In questo modo l'aneurisma rimane ma viene escluso. È possibile farlo solo se l'aneurisma è sotto-renale. Complicanze. Si verificano nella sostituzione aortica e riguardano essenzialmente il sesso maschile, poiché quando si vanno a clampare le iliache si potrebbero danneggiare i plessi nervosi che provvedono all'innervazione dell'apparato genitale maschile. Il paziente dunque potrebbe riportare problemi nell'erezione o avere eiaculazione retrograda. Siccome questo evento è maturato nel corso di tanti anni, in tutti questi anni si sono formati dei circoli collaterali, motivo per cui ci sono dei pazienti anziani con arterie femorali superficiali completamente occluse da anni e nonostante ciò riescono a camminare; non hanno un buon flusso ma non hanno neanche un’ischemia acuta dell’arto. Se invece io ho un giovane in cui improvvisamente mi si chiude l’arteria femorale superficiale, quel paziente rischia in poche ore di perdere l’arto, perché il fenomeno embolico non lascia il tempo per la formazione di circoli collaterali. Può succedere che si ha la formazione e il potenziamento di circoli collaterali che riescono a vicariare l’occlusione di un vaso per un certo lasso di tempo, è un compenso che non dura in eterno anche perché anche questi circoli potrebbero andare incontro a fenomeni di tipo aterosclerotico. Quindi quando c'è un’ischemia acuta di un arto, se si ha trombosi è comunque una situazione a perdita grave di un arto in ogni caso, ma sicuramente dà più tempo per reagire rispetto a un’embolia improvvisa che porta alla perdita dell’arto nel giro di poche ore. Tra le cause ci sono anche i traumi, intesi come traumi chirurgici in generale, tra cui i traumi iatrogeni, che si hanno durante le diagnostiche di radiologia interventistica in cui bisogna ad esempio pungere l’arteria femorale. Quindi embolia e traumi avvengono su arterie sane, mentre la trombosi avviene generalmente su arterie patologiche con circoli arteriosi collaterali preformati. I circoli arteriosi non sono un qualcosa che si forma dall’oggi al domani, ma esistono già in natura, semplicemente vengono potenziati. In condizioni normali magari hanno un flusso basso perché non c’è necessità che ci sia un flusso alto perché c’è il vaso principale che porta il sangue, quando questo vaso principale si va a occludere si potenziano i circoli collaterali, ma ci vuole del tempo perché questo avvenga. Un 20% di casi in cui si hanno delle ischemie acute su base embolica è sine causa. Embolie arteriose quindi possibili a carico di tutte le arterie quindi ictus, embolie viscerali con infarto renale, intestinale Embolie acute agli arti inferiori e superiori interessano un arto e sono le embolie più frequenti e sono più gravi quando avvengono su arterie sane. Trombosi acute si verificano soprattutto a carico di arterie patologiche, possono verificarsi in casi rari anche su arterie sane, ma avviene spesso quando c’è qualche patologia coagulativo congenita e quant’altro. Quindi in genere i pazienti hanno segni precedenti di vasculopatie e hanno spesso segni di patologia in altra sede. Diagnosi. Su un aneurisma dell’aorta addominale, non complicato, non si fa una diagnosi clinica, perché è asintomatico, per cui si fa una diagnosi strumentale e spesso occasionale. Ci son situazioni in cui invece la diagnosi è clinica, il caso tipico è quello dell’ischemia acuta di un arto. È importante fare subito una diagnosi che permette di indirizzare velocemente il paziente verso un trattamento di tipo specialistico, chirurgico essenzialmente. Non è da dare per scontato perché ci son tanti soggetti che hanno perso un arto per negligenza da parte di qualcuno che l’ha visitato e non è stato in grado di prevedere che quello che aveva davanti era un’ischemia acuta di un arto. Quadro clinico. Il paziente affetto si presenterà con dolore continuo, lancinante, che insorge immediatamente (non quando inizia la necrosi, per fortuna insorge prima) e tende a peggiorare spontaneamente. Come avviene nel paziente con infarto, in cui a seguito dell’occlusione della coronaria c'è immediatamente un dolore lancinante, anche in questo caso insorgerà immediatamente. Se poi qualcuno ha visto questo paziente e ha prescritto un FANS, un’aspirina, ci si renderà conto che è un dolore che non risponde a nessun tipo di farmaco, neanche la morfina, che in genere è molto efficace su chi non è abituato a fare uso di farmaci oppiacei. Il paziente ha una situazione di grave sofferenza generale, ha una faces particolare, insofferenza accompagnata anche da reazione vagale, da sudorazione, da ipotensione. Altri sintomi sono il pallore, e l’arto freddo. Il pallore perché se ho un’ischemia ho un ridotto apporto di sangue che si manifesta soprattutto a livello degli altri inferiori proprio con un pallore perché il sangue viene richiamato dai tegumenti per proteggere i tessuti nobili dell’arto inferiore (ci sono ossa, muscoli, vasi e nervi i quali non resistono all’ischemia). Un altro sintomo è l’ipotermia, che può essere valutata facendo un confronto. Ad esempio ci sono tanti anziani che hanno sempre i piedi freddi, che stanno bene però, per cui non è che un piede freddo è sicuramente sintomo di un’ischemia, se un piede è freddo, ipotermico al termotatto, ipotermico rispetto al controlaterale, che insorge improvvisamente insieme a una situazione di dolore e di pallore, fa pensare che ci possa essere un’ischemia acuta. Parestesie, ossia la sensazione di alterata sensibilità, è un sintomo abbastanza grave perché è sintomo anche di sofferenza nervosa, perché è chiaro che la parestesia c’è perché si ha un problema di conduzione nervosa. Impotenza funzionale del muscolo, che non riceve più sangue o lo riceve nella quantità minima (non sufficiente nemmeno per il fabbisogno basale) e paralisi del muscolo come conseguenza estrema. Il paziente si mostra estremamente sofferente, con comparsa di dolore improvviso all’arto inferiore, (a livello del polpaccio ad esempio: il punto in cui il paziente riferisce dolore è sempre a valle dell’ostruzione) non riesce più a muovere bene l’arto né a mantenersi in piedi. Quando la motilità scompare o è compromessa è già un sintomo di grave ischemia. Una manifestazione che non è un sintomo ma un segno clinico è l’assenza dei polsi periferici, che nell’arto inferiore sono il femorale, il popliteo, il tibiale anteriore e il tibiale posteriore. In presenza di tutti gli altri sintomi, se si va a cercare i polsi arteriosi, si può sentire ad esempio il femorale, segno che l’embolo è a valle dell’arteria femorale, ma non si sentono gli altri. Le ischemie degli arti superiori non sono frequentissime, però esistono. Spesso quando il paziente ha un dolore improvviso ad un arto, specialmente se è il sinistro, si pensa a un infarto. È importante analizzare tutti i segni e sintomi prima di fare una diagnosi. L’assenza dei polsi periferici, non è sempre segno di un’ischemia acuta di un arto, perché ci sono tanti pazienti che hanno arteropatie croniche agli arti inferiori, i quali ad esempio mostrano un arteria femorale superficiale completamente occlusa, e dei circoli collaterali che “riabitano” la poplitea; in questo caso i polsi non si sentono perché non c’è un circolo diretto ma i circoli collaterali, che fino a un certo punto garantiscono una vascolarizzazione sufficiente, finché il paziente è a riposo e non fa un grosso uso dei muscoli. Distinzione fra segni e sintomi: - i segni sono quelli che rileva il medico o un altro operatore come un infermiere (obiettivi), ad esempio l’ipotermia o l’assenza dei polsi periferici; - i sintomi sono quelli riferiti dal paziente, ad esempio il dolore. Il dolore è improvviso e riferito a tutto l’arto, specie nelle embolie; invece nelle trombosi c’è un dolore rapidamente progressivo e spesso più periferico. La perdita della sensibilità tattile è relativamente precoce, mentre sono conservate più a lungo la sensibilità termica e quella dolorifica. Nell’esame obiettivo del paziente si va a toccare l’arto e si vede se il paziente presenta ancora la sensibilità tattile, si vede poi se si lamenta in risposta a uno stimolo dolorifico (parla di un pizzicotto). La diminuzione della motilità è sempre un segno d’allarme. Nonostante ci sia una divisione tra ischemie acute e ischemie croniche, ci sono anche tante situazione intermedie, come ad esempio le ischemie critiche. In questi casi si invita il paziente a fare dei movimenti come muovere le dita del piede, se riesce a compiere il movimento nonostante l’arto sia ipotermico e presenti altri sintomi, indica una minore gravità dell’ischemia. Al contrario se il paziente ha perso improvvisamente la motilità (es: camminava fino al giorno prima) siamo in una fase avanzata dell’ischemia. E' importante non confondere i sintomi di una trombosi venosa profonda con quelli di un'ischemia acuta arteriosa: innanzitutto i distretti di competenza sono diversi (arterie e vene), nella trombosi venosa profonda l’arto si manifesta edematoso, tumefatto, con l’ipertermia e una condizione di iperemia. Un arto inferiore di un paziente con ischemia cronica è molto più pallido del controlaterale. Se l’ischemia acuta è già in uno stadio importante oltre al pallore, che indica un ridotto afflusso di sangue, l’arto si mostra viola-bluastro (vicino alla necrosi che si presenta di colore nero). Si inizia a demarcare la zona ischemica, e questa demarcazione, così come quella necrotica, avviene con un gradiente che va dalla periferia verso il centro. Un’ischemia acuta di un arto può essere determinata da un embolo, che si può fermare a diversi livelli, potremmo avere un embolo che occlude completamente la femorale superficiale, o addirittura l’iliaca; oppure possiamo avere un embolo che va a occludere la poplitea o un’altra arteria periferica. È chiaro che il quadro clinico sarà diverso a seconda dei casi. Si può localizzare il punto in cui si ferma l’embolo perché a livello dell’arto inferiore si crea un gradino termico, cioè ad un certo punto si sente che la temperatura dell’arto cambia da una zona all’altra. Questo deve essere segnalato nell’esame obiettivo. Se un piede è in necrosi: non ci si può aspettare un recupero. L’ischemia acuta perdura da molti giorni, in questi casi non si può fare più nulla. Il nostro dovere del medico è evitare che si arrivi a situazioni del genere in cui l’unica cosa da fare è amputare l’arto. L’amputazione di un arto è sempre qualcosa di estremamente demolitivo che va riservata a situazioni estreme (es: se necessaria per salvare la vita al paziente). Se è possibile si sceglie per qualsiasi altra soluzione, ad esempio cercare di rivascolarizzare l’arto. L’amputazione rappresenta un fallimento della terapia o il risultato di una diagnosi molto tardiva. È difficile per il paziente accettare un’amputazione. Il livello a cui si deve fare l’amputazione dipende dai diversi casi, in questo caso, se solo il piede è in necrosi si può amputare al di sotto del ginocchio. Si deve sempre pensare che in futuro il paziente potrà usare una protesi di tipo ortopedico, è importante quindi cercare di salvare un’articolazione come quella del ginocchio. L’angiografia è un esame che ormai non si fa quasi più. Davanti a un'embolia a livello di aorta addominale-arterie iliache si può supporre la presenza di un’embolia per due motivi, uno perché abbiamo una bella rappresentazione vascolare, cioè il flusso è bello, senza stenosi né placche ateromasiche o altri stop; se all’improvviso si blocca è perché evidentemente ci deve essere un fatto embolico. Il secondo motivo che fa pensare all’embolia è l’assenza di circoli collaterali. Ci sono ovviamente delle arterie di calibro minore ma non c’è un grosso sviluppo di circoli collaterali e si può notare dal
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