Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Chirurgia vascolare -, Dispense di Malattie Cardiovascolari

Il documento tratta delle arteriopatie ostruttive degli arti inferiori, con particolare attenzione all'aneurisma dell'aorta addominale. Vengono descritte le cause, i sintomi e le terapie chirurgiche per le diverse forme di arteriopatie ostruttive. Viene inoltre presentata la classificazione secondo Fontaine e i fattori di rischio associati alle forme aterosclerotiche.

Tipologia: Dispense

2022/2023

In vendita dal 07/03/2023

f.bardi
f.bardi 🇮🇹

4.3

(3)

21 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Chirurgia vascolare - e più Dispense in PDF di Malattie Cardiovascolari solo su Docsity! Chirurgia vascolare ABDOMINAL AORTIC ANEURYSM 20© «ig, RISK FACTORS MOST COMMON CAUSE 1S ATHEROSCLEROSIS SURGICAL REPAIR |S INDICATED FOR ARA > 5.5 CM IN DIAMETER OR ‘ANY SIZE ARA WITH RAPID GROWTH Sommario Arteriopatie ostruttive 3 ................................................................................................... Anomalie vascolari 17 ...................................................................................................... Sindromi dello stretto toracico superiore (TOS) 21 ......................................................... Insufficienza cerebro-vascolare 24 ................................................................................... Aneurismi aorta addominale 32 ........................................................................................ Insufficienza venosa cronica (varici arti inferiori) 41 ...................................................... Trombosi venosa profonda 46 .......................................................................................... Arterite di Takayasu (sindrome dell’arco aortico) 53 ....................................................... Sindrome di Raynaud 54 .................................................................................................. Ipertensione reno-vascolare 56 ........................................................................................ Traumi dell’aorta 59 ......................................................................................................... Dissecazione aortica 60 .................................................................................................... Chirurgia vascolare ibrida 61.......................................................................................... di 1 62 • metabolici: sia la carenza di O2 che i cataboliti acidi prodotti dal tessuto a valle favoriscono la vasodilatazione; i cataboliti acidi comprendono CO2, ac. lattico, ac. piruvico, CPK, LDH. Quando questo meccanismo funziona, si ha un meccanismo di compenso delle arteriopatie obliteranti (almeno inizialmente). Arteriopatie obliteranti croniche degli arti inferiori L’arteriopatie ostruttive degli arti inferiori sono un insieme di condizioni morbose caratterizzate da lesioni ostruttive localizzate nei distretti arteriosi a valle delle a. renali (aorta addominale sotto-renale, a. iliache, a. femorali, a. poplitea, vasi tibiali), che comportano, indipendentemente dalla loro natura, una riduzione della perfusione degli arti inferiori. Eziologia L’eziologia alla base della malattia è perlopiù quella arterosclerotica anche se esistono forme 1 infiammatorie e forme infettive. - forme arterosclerotiche - forme infiammatorie: m. di Buerger, m. di Horton (a cellule giganti), m. di Takayasu (vasculiti) - forme infettive: batteriche (Salmonella, Cocchi, Rickettsie), virali Forme non aterosclerotiche particolari Il morbo di Buerger (l’unico che accenneremo - pronuncia “Burger”) è una angiopatia (vasculite) obliterante infiammatoria non suppurativa che interessa le a. di medio e piccolo calibro degli arti inferiori e superiori. Ha numerose differenze rispetto alle forme aterosclerotiche: • è limitato alle a. di piccolo e medio calibro sia di arti inf che sup (diversamente dall’aterosclerosi che colpisce perlopiù a. di grosso calibro), per questo ha una sede perlopiù distale (aterosclerosi prossimale) • è una angioite, cioè riguarda non solo le arterie ma anche le vene (aterosclerosi solo arterie) • determina un fortissimo ispessimento concentrico della parete fino a determinare la trombosi del vaso (diverso dall’aterosclerosi in cui si ha un accumulo di cell schiumose intimale) • dal punto di vista angiografico, il m. di Buerger sviluppa una brusca interruzione (a livello di a. di piccolo-medio calibro) senza lo sviluppo di un circolo collaterale e questo ne peggiora notevolmente la prognosi (l’aterosclerosi prevede circoli collaterali) • pazienti giovani ed esclusivamente maschi (aterosclerosi età avanzata e > M) • patogenesi infiammatoria (aterosclerosi degenerativa). L’entrapment dell’a. poplitea è una compressione estrinseca intermittente dell’a. poplitea per alterazioni congenite dei rapporti che questa contrae con le strutture muscolari vicine (quindi può essere data da alterazioni del suo decorso o dei muscoli). Colpisce perlopiù pz giovani e atletici. Il fatto che la compressione sia data da formazioni muscolo-tendinee determina la compressione intermittente e i danni che queste inducono all’arteria possono favorire ispessimento fibrotico e trombosi. Per questo motivo, i sintomi si differenziano in due fasi 1) compressione → claudicatio intermittens atipica a carico di piede o polpaccio, atipica perché si manifesta solo durante cammino e non durante la corsa (dipende dai rapporti muscolari che si estrinsecano a gamba tesa) 2) occlusione → claudicatio intermittens tipica, cioè analoga a quella delle arteropatie ostruttive croniche E’ subito opportuno definire la differenza tra arteriosclerosi e aterosclerosi: con il termine arteriosclerosi (letteralmente “indurimento dei vasi”) 1 sin indica un gruppo di patologie che colpiscono le arterie, determinando ispessimento e irrigidimento delle pareti; tra esse consideriamo la arteriolosclerosi (colpisce le arteriole), la sclerosi calcificata della media Monckeberg (processo degenerativo fisiologico con anzianità) e la aterosclerosi (colpisce medie e grandi arterie, soprattutto a livello delle zone a flusso turbolento (come le biforcazioni) ed è caratterizzata dalla formazione delle placche ateromasiche- ateromi; causa ispessimento della tonaca intima e indebolimento della media). di 4 62 La diagnosi si basa sulla sintomatologia che compare da ipertensione del ginocchio, del piede o per flessione dorsale del piede; si conferma con doppler, arteriografia, TC. La terapia è chirurgica e prevede la resezione strutturale comprimente o by-pass. Forme aterosclerotiche Parliamo adesso in generale riferendoci alle forme aterosclerotiche. Sono localizzate soprattutto a livello di a. di grosso e medio calibro e in particolare biforcazione aortica, iliaca esterna, femorale superficiale. Fattori di rischio - sesso (maschile) - età (età avanzata) - fumo di sigaretta - ipertensione - dislipidemia (non controllata) - obesità - ipercoagulabilità. Classificazione delle arteriopatie ostruttive secondo Fontaine La classificazione più importante e che seguiremo è la classificazione secondo Fontaine. Stadio I: asintomatico La lesione arteriosclerotica è presente ma la perfusione è ben assicurata, anche attraverso i circoli collaterali, per cui il soggetto non ha sintomi. L’unica conseguenza che si può avere è una mancata o irregolare crescita degli annessi cutanei (es. unghia dell’alluce) o freddo alle estremità. Stadio Quadro clinico I Asintomatico II Claudicatio intermittens III Dolore a riposo IV Lesione trofica (ulcera, gangrena) Classificazione di Rutherford Categoria Manifestazione clinica 0 Asintomatico 1 Claudicatio intermittens lieve 2 Claudicatio intermittens moderata 3 Claudicatio intermittens severa 4 Dolore a riposo 5 Lesione trofica con lieve perdita di tessuto 6 Lesione trofica con ampia perdita di tessuto di 5 62 Stadio II: claudicatio intermittens Lo stadio II corrisponde alla claudicatio intermittens, dal latino zoppia intermittente o difficoltosa deambulazione intermittente. Perché intermittente? Perché compare durante lo sforzo muscolare determinando la così detta ischemia relativa: ciò che accade è che durante l’esercizio fisico, l’ostruzione non permette che venga soddisfatta l’aumentata richiesta metabolica del tessuto/organo, determinando quindi un’ischemia transitoria. Questo determina l’accumulo di cataboliti acidi, la stimolazione di nocicettori muscolari e quindi dolore (crampo muscolare). Il crampo costringe il soggetto ad interrompere la deambulazione e in questo modo il metabolismo muscolare torna ad essere aerobio. 
 Attraverso la valutazione dell’autonomia di marcia è possibile monitorare l’andamento della malattia. 
 Il dolore degli arti inferiori, però, entra in diagnosi differenziale con altre patologie: • claudicatio ematologica (da anemia grave o iperviscosità) • claudicatio venosa (sindrome post-flebitica) • claudicatio osteo-articolare • claudicatio neurogena Lo stadio II si divide in - IIa: spazio di marcia libero ≥ 200 mt - IIb: spazio di marcia libero < 200 mt Epidemiologia La prevalenza dello stadio II secondo alcuni studi viene stimata tra il 3-10%, con un aumento al 15-20% nei soggetti con > 70 anni. Diagnosi 1. anamnesi: valuto fattori di rischio 2. esame obiettivo: ispezione (colorito, trofismo delle masse muscolari), palpazione (polsi periferici), auscultazione. La palpazione dei polsi periferici è fondamentale e si possono palpare i seguenti polsi periferici: - polso femorale: si palpa 2 cm medialmente al punto medio tra spina iliaca antero sup e tubercolo del pube - polso popliteo: si palpa lungo la bisettrice della losanga poplitea nel cavo popliteo - polso pedidio: si palpa lateralmente al tendine del lungo estensore dell’alluce - tibiale posteriore: si palpa nella doccia retromalleolare mediale Anche l’auscultazione ha una notevole importanza: l’auscultazione dei soffi si può eseguire a livello epigastrico, paraombelicale, in fossa iliaca e inguinale. I soffi rilevano la presenza di lesioni stenosanti lungo l’alberto arterioso. 3. diagnosi strumentale: • Doppler: ha il vantaggio di fornire informazioni funzionali immediate ma lo svantaggio di non poter valutare il grado di stenosi. • Ecodoppler: unisce la visione diretta in ecografia del vaso con la possibilità di vederne il flusso all’interno; è una tecnica non invasiva e a basso costo; dà informazioni su calibro del vaso, morfologia della placca, accelerazione emodinamica (alta sensibilità e specificità) e per questo è l’esame di scelta per lo screening • angio-RM: l’angio RM utilizza il gadolinio come mdc; consente valutazioni in 3D ma ha un elevato costo • angio-TC: ha il vantaggio di non essere invasiva, elevata risoluzione, consente valutazione morfologica della placca e ricostruzioni 3D • angiografia: considerata il gold standard perché ha una elevata risoluzione e consente di arrivare con il catetere alla sede della lesione; tuttavia può andare incontro a complicanze come TIA o stroke nel 0,3-3% (perché lede la placca e crea embolismo). di 6 62 • età > 65 anni x2 • dislipidemia x2. In generale, l’incremento dell’autonomia di marcia suggerisce che si stanno instaurando circoli collaterali, viceversa la riduzione dell’autonomia di marcia suggerisce che il quadro si sta aggravando. L’aggravamento della claudicatio e la progressione verso l’ischemia critica sono dovuti a principalmente alla progressione distrettuale delle lesioni anatomiche e al fallimento dei meccanismi protettivi (microcircolatori, endoteliali, neuroperiferici, ecc.). Questa progressione si manifesta con eventi cardiovascolari maggiori che hanno conseguenze peggiori se si sviluppano a livello di coronarie o carotidi. I meccanismi che favoriscono la riduzione della perfusione capillare comprendono il collasso delle arteriole pre-capillari, vasospasmo arteriolare, alterazione della vasomobilità, microtrombosi, collasso dei capillari, occlusione dei capillari, aggregazione elementi cellulari del sangue, attivazione di SI locale. Patologie associate Le patologie associate (che dettano la morte di questi pazienti) consistono nelle patologie determinate dalle altre localizzazioni della malattia aterosclerotica e comprendono a) cardiopatia ischemica: se i soggetti sono affetti da cardiopatia ischemica, necessitano rivascolarizzazione del miocardio prima di quella degli arti inferiori b) ipertensione arteriosa: un’elevata pressione arteriosa può, nelle fasi iniziali dell’ischemia critica, favorire la perfusione dell’arto ischemico (n.b: non instaurare una terapia anti-ipertensiva in un sogg con fasi iniziali dell’ischemia critica), tuttavia favorisce anche la comparsa di complicanze cardiovascolari c) infezioni: le infezioni sono favorite dalle lesioni di continuo a livello cutaneo e un’infezione batterica a livello di una lesione trofica può andare incontro a rapida disseminazione d) diabete mellito: spesso questi pazienti sono dislipidemici e diabetici. E’ importante distinguere pz con lesioni neuropatiche (diabete) dai pz con lesioni neuroischemiche. 
 Nel caso delle ulcere neuropatiche si fa trattamento locale senza amputazione; nel caso delle ulcere neuroischemiche è necessaria rivascolarizzazione; rischio di amputazione sotto o sopra genicolare. 
 La diagnosi differenziale tra ulcere neuropatiche e ulcere neuroischemiche è suggerita da: E’ fondamentale identificare e correggere le malattie associate e i fattori di progressione: - abolizione del fumo - controllo ipertensione - controllo del diabete - controllo dell’ipercolesterolemia Ulcere neuropatiche Ulcere neuroischemiche - dolore assente - polsi presenti - localizzazione alla pianta del piede - presenza di calli - perdità di sensibilità vibratoria e riflessi - piede asciutto, caldo - aspetto roseo - dolore presente - polsi assenti - localizzazione all’alluce - calli assenti - sensibilità compromessa in maniera variabile - piede freddo - aspetto pallido, cianotico di 9 62 - riduzione del peso - trattamento IC congestizia. Il trattamento di queste patologie non influenza sostanzialmente il decorso della malattia ma è un determinante ai fini delle possibilità chirurgiche. Diagnosi a) anamnesi: dolore a riposo, localizzato nella parte distale del piede che spesso compare di notte ed impedisce al pz di dormire (analgesici) b) esame obiettivo: palpazione polsi e ulcera periferica; questi pazienti tendono ad assumere una posizione antalgica con un piede dell’arto colpito sollevato e piegato (cioè con una flessione della gamba sulla coscia e della coscia sul bacino) o con l’arto a penzoloni fuori dal letto: queste posizioni vengono assunte nel tentativo di ridurre il ritorno venoso (attraverso l’obliterazione data dal piegamento), facendo sì che la stasi indotta favorisca l’estrapolazione dell’ossigeno a livello tissutale. c) laboratorio: 
 • di base: chimica clinica, emocromo, assetto lipidico 
 • selettivi: VES, assetto coagulativo. d) esami strumentali: - indice di Winsor (indice caviglia braccio: si calcola dividendo la P sistolica all’arto inferiore per quella al superiore; normale 1-1,4) - pressioni segmentarie - pletismografia (misura aria nei polmoni) - tensiometria cutanea di pO2 e pCO2 - ecocolorDoppler - angioRM - TC spirale - arteriografia. La diagnosi differenziale delle ulcere a carico degli arti inferiori si basa sui seguenti parametri: Storia naturale (follow-up ad 1 anno) Dopo un anno, se il pz non subisce operazioni di rivascolarizzazione - soggetto al III stadio: 73% deceduto o amputato - soggetto IV stadio: 95% deceduto o amputato Quindi, il destino a breve termine di questi soggetti è molto severo e necessita di un intervento sempre: • inizialmente, nel 20% si riesce con terapia medica, nel 60% si riesce con la rivascolarizzazione (almeno per un breve periodo), nel 20% necessita amputazione. di 10 62 • ad 1 anno, circa il 20% sono deceduti, il 25% sono vivi con amputazione e il 55% sono vivi senza amputazione • dopo 2 anni, il 30% è deceduto, il 15% va incontro ad una amputazione controlaterale, il 15% amputazione sopra il ginocchio e il 50% mobilità completa. Terapia In questi pazienti, la terapia ha l’obiettivo di: - tentare di eliminare la sintomatologia dolorosa - guarire le lesioni trofiche (per evitare infezioni) - tentare di salvare l’arto, incrementare la sopravvivenza e migliorare la QoL. Nel 19% dei casi l’unico trattamento possibile è l’amputazione dell’arto (questa percentuale aumenta nei pz non rivascolarizzabili). L’amputazione dell’arto è un’operazione molto difficile: il rischio di morte durante l’operazione chirurgica oscilla tra il 50% nei pz non rivascolarizzabili (che sono soggetti con una mortalità severa) e il 18% nei pz rivascolarizzabili. Inoltre, anche dopo un’amputazione riuscita, il 33% dei pz va incontro a morte. Tutto questo è dovuto alla presenza di numerosi soggetti che non controllano i fattori di rischio. Nei pazienti amputati è importante la protesizzazione per rendere “autosufficienti” i pazienti a seguito dell’intervento chirurgico. di 11 62 - frammenti di trombo da aneurisma aortico - trombo che si è generato nel circolo venoso profondo (embolia paradossa) che, attraverso un forame pervio può giungere nel circolo arterioso - iniezione volontaria o inavvertita di sostanze estranee (es. eroina). Le localizzazioni più frequenti dell’embolia sono: • arti inferiori: tra femorale, iliaca, poplitea e tibiale circa il 67% • biforcazione aortica 10% • arti superiori: tra succlavia, ascellare e omerale circa il 25%. Il quadro clinico dei pazienti con embolia si presenta come quello di un’ischemia grave in quanto si verifica spesso in un albero arterioso precedentemente integro e quindi con circolo collaterale poco sviluppato. La diagnosi di embolia è perlopiù clinica (anamnesi ed esame obiettivo), ma possono essere utili l’ECG (per evidenziare aritmie) e, là dove non si riesca ad identificare la sede di embolia, un’angioTC per localizzare l’embolo. All’esame obiettivo, la diagnosi di sede si fa valutando la scomparsa dei polsi. All’angioTC si vede l’occlusione come una brusca interruzione del mdc; se l’embolo rimane fluttuante nel lume senza occludere, invece, si avrà aspetto a bolla di sapone. La terapia può essere • medica: con anticoagulanti e fibrinolitici (spesso somministrati localmente con cateterismi) • chirurgica: embolectomia con catetere di Fogarty (a palloncino). Attraverso un’arteria femorale esposta si inserisce il catetere che viene spinto fino in periferia, poi si gonfia il palloncino e si ritrae, provocando la fuoriuscita dell’embolo. 2) Trombosi arteriosa La trombosi arteriosa è un’occlusione arteriosa causata dall’apposizione acuta di un trombo ma, in questo caso, su una lesione arteriosa pre-esistente che aggettava nel lume vasale. Per quanto riguarda l’eziologia, la trombosi si può sviluppare in presenza di arteriopatie degenerative (aterosclerosi) arteriopatie non degenerative (m. autoimmuni) displasie arteriose traumi arteriosi trombofilie (neoplasie, m. mieloproliferative- PV, TE, MP in fase prefibrotica) cause cardiache (aritmie o scompenso cardiaco). La patogenesi della trombosi dipende da 3 fattori (triade di Virchow): 1) alterazioni della parete vasale (danno con attivazione e disfunzione endoteliale) 2) modificazioni del flusso ematico (turbolenza, stasi) 3) stato trombofilico (da malattie, da disidratazione, …). Le localizzazioni più frequenti coincidono con quelle delle localizzazioni arterosclerotiche (grandi arterie): a. iliache, femorale superficiale, tibiale ant o post, biforcazioni arterie (femorale, poplitea), … Il quadro clinico è quello di un’ischemia acuta (dolore, pallore, assenza polsi, parestesie, paralisi), ma spesso questi pazienti riferiscono una storia di claudicatio ed i circoli collaterali preesistenti (che hanno avuto il tempo di svilupparsi) possono compensare, almeno parzialmente, il deficit di irrorazione. Per questo motivo, il dolore è assente in 1/4 dei pazienti. di 14 62 La diagnosi, in questo caso, si esegue con - anamnesi: solitamente fuoriesce una arteriopatia ostruttiva - e.o: assenza o iposfigmia dei polsi anche dell’arto controlaterale - esami strumentali: Doppler, angioTC, angiografia. Quindi, diagnosi differenziale tra embolia e trombosi: La terapia • medica: trombolisi per via sistemica o locoregionale • chirurgica (>>): 
 - trombectomia con catetere di Fogarty (per rimuovere il trombo) 
 - rivascolarizzazione diretta con by-pass axillo-femorale o femoro-femorale sovrapubico (quando non è possibile utilizzare il catetere di Fogarty). 
 Generalmente a seguito della terapia chirurgica segue la terapia con eparinizzazione sistemica (per prevenire l’espansione radiale del trombo), la terapia con bicarbonati (per prevenire acidosi metabolica) e la terapia con soluzione ipertonica di mannitolo (per prevenire tubulo-necrosi da mioglobinuria). 3) Traumi arteriosi I traumi arteriosi sono alterazioni della parete vasale conseguenti ad un evento traumatico che coinvolge un’arteria o direttamente o secondariamente alla lesione dei tessuti circostanti. I traumi arteriosi si verificano a seguito di (eziologia): - incidenti stradali - infortuni sul lavoro o domestici - traumi da arma da fuoco o domestici - infortuni sportivi - lesioni iatrogene (cateterismo, interventi chirurgici, angiografia). Da un punto di vista patogenetico si distinguono: a) trauma diretto (azione sul vaso): possono essere penetranti (da armi, da fratture esposte) o non penetranti (es. in corso a traumi da schiacciamento o contusivi) b) traumi indiretti (azione sui tessuti circostanti): in questo caso l’evento traumatico colpisce i tessuti circostanti e l’arteria viene interessata indirettamente: lussazioni (spalla, ginocchio), fratture scomposte, incidenti stradali. Da un punto di vista morfologico distinguiamo a. lesioni vasali con soluzione di continuo: si verificano quando il vaso va incontro a lacerazioni, sezioni parziali o sezioni totali. In questo caso, il danno vasale 
 di 15 62 • lacerazioni/sezioni parziali → le pareti del vaso non possono retrarsi e l’emorragia sarà più intensa 
 • sezioni totali → le pareti vanno incontro a retrazione e l’emorragia sarà meno intensa. 
 Comunque, una volta che l’emorragia è cessata, la lesione del vaso favorirà trombosi e quindi occlusione del vaso. b. lesioni vasali senza soluzione di continuo: sono dovute perlopiù a fenomeni di compressione, contusione, stiramento o schiacciamento. In questo caso l’emorragia è generalmente assente. 
 In questo caso, il vaso va incontro ad un progressivo restringimento del lume fino all’occlusione completa: l’ostruzione viene favorita anche dal sollevamento intimale (o dissezione intimale) che porta alla formazione di un ematoma intramurale (falso lume). Le localizzazioni più frequenti sono perlopiù • arterie degli arti, soprattutto inferiori • arco aortico. Il quadro clinico è caratterizzato da - quadro ischemico: sia in presenza che in assenza della soluzione di continuo; di solito grave per assenza di circoli collaterali pre-esistenti ed aggravato dal vasospasmo che si attiva - quadro emorragico: presente solo in presenza nelle soluzioni di continuo (+ importante nelle lacerazioni/ sezioni parziali) Le complicanze comprendono • ematoma pulsante: inizialmente tampona l’emorragia, successivamente può portare alla formazione di un falso aneurisma • fistola arterovenosa: quando il trauma interessa una arteria e una vena vicine, si può avere formazione di una fistola • rottura: la rottura si ha quando le pareti del vaso cedono per la tensione laterale esercitata dal sangue • aneurisma vero: può derivare da un trauma contusivo o compressivo che determinano uno sfiancamento delle pareti e formazione di un aneurisma • trombosi: il trombo si forma ogni volta ci sia una lesione intimale (esposizione del subendotelio). La diagnosi si basa su - anamnesi: per capire gli eventi concomitanti al trauma - e.o.: bisogna valutare • perdita ematica (se ancora presente) e distinguere tra sangue rosso vivo e rosso scuro • stato dei tessuti circostanti (aree ischemiche) • lesioni associate: ossee, nervose, venose • polsi periferici • eventuale stato di shock - esami strumentali: Doppler, angiografia La terapia è multi-disciplinare: 1. controllo emorragia 2. risolvere lo stato di shock 3. somministrare antibiotici 4. ortopedico: ri-allineamento e fissaggio dei monconi ossei 5. chirurgo vascolare: ricostruzione vasale 6. neurochirurgo: ricostruzione nervosa. di 16 62 - esame clinico - I livello: ecoDoppler - II livello: RM con mdc sotto sedazione (per i casi più particolari come s. di Kasabach-Merritt), perché ci permette di valutare le strutture vascolari e anche i loro rapporti con organi e apparati. Malformazioni venose Le malformazioni venose comprendono principalmente malformazioni venose a livello addominale, degli arti inferiori e del cranio. Il trattamento delle malformazioni venose prevede 1) chirurgia ablativa (o exeresi chirurgica, exeresi= asportazione) • Indicazioni: malformazioni venose a) localizzate, b) superficiali, c) con vene embrionarie • Limitazioni: a) resezione incompleta, b) emorragie, c) recidive • esempi di exeresi chirurgica (casi clinici del prof): mv ipertrofica del viso, mv apice nasale, mv inguinale con aneurisma venoso femorale, mv intramuscolare regione scapolo-omerale, mv sottocutanea dito mano, mv sottocutanea avambraccio • La vena marginale è una vena embrionale (nasce dall’esterno della regione malleolare esterna e si dirige verso l’alto fino ad ottenere diversi sbocchi) fisiologicamente non presente in età adulta: tuttavia, in alcuni soggetti il riassorbimento non avviene correttamente e permane come vaso anomalo. 
 Sono vene avalvolate che originano dall’esterno della regione malleolare esterna e si dirigono verso l’alto fino ad ottenere diversi sbocchi (possono andare a sboccare a diversi livelli): v. femorale superficiale o profonda, femorale comune/iliaca esterna, glutea inferiore/ipogastrica, iliaca comune o sbocchi multipli. Gli sbocchi si possono vedere con la flebografia. Una sindrome con questo quadro è la sindrome di Klippel Trenaunay. 
 Questi soggetti devono essere trattati con intervento chirurgico (prima si esegue l’intervento e migliore sarà il risultato operatorio) che prevede un mappaggio completo pre-chirurgico e l’asportazione totale della vena marginale. 2) scleroembolizzazione: • Indicazioni: malformazioni venose a) estese, b) profonde, c) infiltranti (casi più complessi) • Eventuali conseguenze: a) necrosi cutanee, b) lesioni neurologiche, c) tromboembolie • La tecnica prevede la puntura diretta percutanea, successiva flebografia (contrastografia) con iniezione liquido sclerosante sotto controllo radioscopico, importante per vedere tutte le vie di scarico del circolo venoso ed evitare che il liquido sclerosante vada in circoli venosi profondi. • Gli agenti sclerosanti utilizzati sono l’etanolo (alcol al 96% e per questo si parla anche di alcolizzazione - molto potente), il Sotradecol (usato nella scleroembolizzazione delle varici), il Polidocanol (più leggero) e si può ottenere il FOAM (sodiotetradecilsolfato, una schiuma che si crea con due siringhe e il farmaco) • poiché gli agenti sclerosanti chiudono la malformazione, le eventuali conseguenze sono: a) necrosi cutanee, b) lesioni neurologiche, c) tromboembolie • esempi (casi clinici): mv toracica con interessamento pleurico, mv massiccio facciale, mv cervico- facciale, mv intramuscolare quadricipite femorale, mv sottofasciale estremità superiore (nella mano si usa > il Polidocanol). 3) chirurgia valvolare: • Indicazioni: a) displasie valvolari, b) agenesie valvolari (queste alterazioni sono > frequenti nella vena femorale) • Limitazioni: • Le tecniche disponibili sono 1) trapianto, 2) trasposizione, (due tecniche passate) 3) valvuloplastica (oggi) • Anche in questo caso si esegue la flebografia discendente venosa pre-operatoria, poi si fa l’operazione con il venocath (?). di 19 62 Malformazioni artero-venose Le malformazioni artero-venose vengono stadiate secondo la Stadiazione clinica di Shobinger (ISSVA 1996, Roma): I. stadio I: asintomatico II. stadio II: dolore, disturbi funzionali III. stadio III: ulcerazioni, emorragie IV. stadio IV: scompenso cardiaco ad alta gittata (c’è una grossa fistola che fa collegare circolo arterioso e venoso, es. shunt tra a. e v. iliache). Il trattamento delle MAV è molto difficile a causa di • difficoltà di aggressione chirurgica • marcata evolutività • notevole tendenza alla recidiva • complicanze ischemiche • complicanze emorragiche. Nella diagnosi di MAV è molto importante eseguire un’attenta analisi del quadro clinico e indagine con esami strumentali per decidere la miglior strategia terapeutica che può prevedere, a grandi linee, trattamenti a) chirurgici b) scleroembolizzanti c) combinati. Solitamente a seconda del tipo di MAV - MAV stabile → monitoraggio fino alla pubertà - MAV evolutiva → terapia chirurgica, percutanea o radiologica endovascolare. Le opzioni terapeutiche totali prevedono 1. asportazione chirurgica • Indicazioni: MAV 1) superficiali, 2) di piccole dimensioni, 3) circoscritte 4) complicate da aneurismi • esempi (casi clinici): mav nella regione mammaria, mav della mano 2. embolizzazione arteriosa • Indicazioni: MAV 1) a localizzazione profonda, 2) notevole estensione, 3) infiltranti • Complicazioni: elevato numero di arterie afferenti, calibro esiguo e/o tortuosità, distretti arteriosi terminali, comunicazioni con altri distretti arteriosi • Gli agenti maggiormente usati per la scleroembolizzazione sono: spirali metalliche, alcol polivinilico, cianoacrilato. • esempi: mav labbro superiore, mav pulsante labbro inferiore, mav facciale (a. facciale), mav pelvico (a. ipogastrica sx) 3. sclerosi venosa retrograda • Indicazioni: MAV 1) distali inaccessibili al cateterismo, 2) complicate da lesioni ischemiche 3) comunicanti con altri distretti • Vantaggi: ridotta invasività, minor rischio ischemico/emorragico, trattamenti combinati o sequenziali • spesso la scleroembolizzazione può essere un trattamento preliminare alla chirurgia (terapia combinata) • esempio: mav frontale, mav del labbro, mav mano 4. chirurgia endovascolare (con l’applicazione di stent) Scleroembolizzazione La scleroembolizzazione è un trattamento riservato alle malformazioni venose estese, profonde o infiltranti gli organi (situazioni più complesse). 
 di 20 62 Sindromi dello stretto toracico superiore (TOS) Le TOS (thoracic outlet syndromes o sindromi dello stretto toracico superiore o sindrome da egresso toracico) appartengono alle sindromi neuro-vascolari dell’arto superiore, cioè tutte le sindromi cliniche determinate dalla compressione del plesso brachiale, dell’a. succlavia o della v. succlavia a livello del punto di passaggio dal cavo sopraclavicolare e dal torace all’arto superiore. Il plesso brachiale comprende i tronchi nervosi C3-T1. Anatomia L’a. succlavia, la v. succlavia e il plesso brachiale devono percorrere 3 stretti passaggi per passare dal torace all’arto superiore: 1. triangolo degli scaleni o spazio intercosto- scalenico, dove passano a. succlavia e plesso brachiale, formato 
 • anteriormente dal m. scaleno anteriore 
 • posteriormente dal m. scaleno medio 
 • inferiormente dalla I costa 2. stretto costo-clavicolare, dove passa la v. succlavia, formato 
 • superiormente dalla clavicola e dal m. succlavio 
 • inferiormente dalla I costa 
 • lateralmente dal legamento costo-clavicolare 3. puleggia toraco-pettorale, dove passano a. e v. succlavia e plesso brachiale, formato 
 • posteriormente dalla parete toracica 
 • anteriormente dal piccolo pettorale Eziopatogenesi Le strutture anatomiche descritte possono modificarsi riducendo lo spazio attraverso cui passa il fascio vascolo-nervoso. Solitamente è determinata da una compressione meccanica che può essere dettata da - ossa (I° costa cervicale, C7, clavicola, callo osseo post-frattura) - muscoli (m. scaleni, m. pettorale, m. succlavio) - aponeurosi (bande fibrose e legamenti). La compressione determina: - arteria → ispessimento medio-intimale → ostruzione, stenosi, embolizzazione - vena → lesioni dell’intima → trombosi - plesso brachiale → ostruzione vasa-vasorum → sofferenza neuronale. Tra i quadri più tipici di TOS ricordiamo: • sindrome dello scaleno anteriore → il m. scaleno anteriore va incontro ad una anomala inserzione costale → riduzione del triangolo degli scaleni → compressione a. succlavia e plesso brachiale • sindrome della costa cervicale → eccessiva lunghezza del processo trasverso della I costa cervicale (C7) → restringimento del triangolo degli scaleni → compressione a. succlavia e plesso brachiale • sindrome costo-clavicolare → ipertrofia del m. succlavio o anomali della I° costa → riduzione dello stretto costo-clavicolare → compressione della v. succlavia • sindrome da iperabduzione o della puleggia coraco-pettorale → ipertrofia del m. piccolo pettorale in soggetti che tengono per lunghi periodi il braccio sopra la testa (“verniciatori”) → riduzione della puleggia toraco-pettorale → compressione di a. e v. succlavia e del plesso brachiale. di 21 62 Insufficienza cerebro-vascolare L’insufficienza cerebro-vascolare è una condizione patologica caratterizzata dalla comparsa improvvisa di sintomi e segni neurologici secondari ad una riduzione o abolizione dell’apporto ematico al parenchima cerebrale. A seconda della durata dei sintomi, si distinguono: • momento asintomatico • TIA (attacco ischemico transitorio) • RIND • stroke in evolution • stroke Epidemiologia Parlando di ictus, ciascun anno ci sono migliaia di morti. In Italia lo stroke (ictus) è la seconda causa di morte e la prima causa di disabilità; incidenza di circa 200.000 nuovi caso ogni anno e si stimano circa 1.000.000 di soggetti affetti da ictus sopravvissuti e disabili (circa il 50% sono soggetti ad un secondo ictus entro 1 anno). Si tratta quindi di un problema molto grave da un punto di vista sociale, sanitario ed economico. Colpisce perlopiù soggetti di età avanzata, dalla 6° decade in poi, e leggera prevalenza nel sesso maschile. Fattori di rischio Si distinguono fattori di rischio a) non modificabili - età - sesso - razza - familiarità b) modificabili - fumo - ipertensione arteriosa - dislipidemia (elevati livelli di colesterolo) - cardiopatie emboligene - stenosi carotidea. Anatomia Il flusso cerebrale totale è di 750-1000 ml/min (350 ml da ognuna delle carotidi, 100-200 ml da ognuna delle vertebrali). Il cervello pesa il 2% del peso corporeo, riceve il 15% della GC e ha un consumo di ossigeno pari al 20% del totale. La circolazione cerebrale dipende da due sistemi arteriosi: 1) sistema carotideo: 
 • carotide comune sx → origina dall’arco aortico 
 • carotide comune dx → origina dal tronco anonimo (brachiocefalico) che si divide in carotide e succlavia dx. 
 Dalla carotide comune a livello della cartilagine tiroide si originano: 
 • carotide esterna (esocranica) che si divide in 6 rami collaterali (irrorano mm, cute e annessi) e 2 rami terminali; 
 • carotide interna (endocranica) che passa nel canale dell’o. temporale e si divide in 7 rami collaterali e 2 rami terminali. 2) sistema vertebrale (o vertebro-basilare): 
 • a. vertebrale sx → origina dalla succlavia sx → origina dall’arco aortico 
 • a. vertebrale dx → origina dalla succlavia dx → origina dal tronco anonimo. 
 di 24 62 Le arterie vertebrali percorrono i forami intertrasversali delle vertebre (compreso l’epistrofeo), percorrono l’atlante, il foro occipitale, circondano il midollo allungato e arrivate nel solco del bulbo pontino si fondono nel tronco basilare, da cui originano i rami collaterali (rami pontini, a. uditiva interna, a. cerebellare inf e ant, a. cerebellare sup) e rami terminali (a. cerebrali post). Le condizioni patologiche dell’insufficienza cerebro-vascolare riflettono l’integrità (o meno) del circolo di Willis. Il circolo di Willis è un circolo collaterale cerebrale composto da 7 rami: 1. a. comunicante anteriore, il “ramo dispari”: se colpito da ostruzione / agenesia si determinano gravi conseguenze 2. a. cerebrale anteriore sx (da a. carotide int) 3. a. cerebrale anteriore dx (da a. carotide int) 4. a. comunicante posteriore sx (da a. carotide int) 5. a. comunicante posteriore dx (da a. carotide int) 6. a. cerebrale posteriore sx 7. a. cerebrale posteriore dx. Oltre al poligono di Willis, ci sono anche altri sistemi collaterali (minori) composti da anastomosi tra la carotide esterna e quella interna: sono sistemi non utilizzati in condizioni fisiologiche che entrano in atto solo in condizioni di necessità. Sedi delle lesioni: - intracraniche 33% (competenza della neurochirurgia) - biforcazione carotidea 38% - arterie vertebrali 20% - arco aortico 9%. Fisiologia Il tessuto cerebrale non può sopportare lunghi periodi di ischemia. Il flusso ematico cerebrale è di circa 50 cc di sangue al minuto per 100 gr di tessuto e viene mantenuto tale con meccanismi di autoregolazione (vasodilatazione/vasocostrizione) durante cambiamenti pressori che comprendono recettori per pO2, pCO2, H+, K+ (aumento di pCO2 è un potente vasodilatatore cerebrale), arco riflesso locale (stiramento della muscolatura liscia vascolare determina costrizione), sistema nervoso. Eziopatogenesi La fisiopatologia dell’insufficienza cerebro-vascolare prevede due teorie: A) Patogenesi trombo-embolica Si verifica quando un frammento di un coagulo di sangue (trombo) o di materiale lipidico (ateroma o placca), dovuto ad aterosclerosi, si stacca dal cuore o dalla parete di un’arteria (solitamente carotide), attraversa il flusso sanguigno (divenendo un embolo) e va a ostruire un’arteria cerebrale. Nella patogenesi trombo-embolica, gli emboli possono originare a livello di - cuore (fibrillazione atriale, patologia valvolare) - vasi extra-cranici (arco aortico, carotidi, vertebrali) - stenosi carotidea 1/3 dei casi di ictus ischemico - vasi intra-cranici di 25 62 quindi questi emboli si mobilizzano, migrano e colpiscono una delle arterie che irrorano l’encefalo determinando ischemia. 
 Esempio Il caso più frequente è la stenosi della biforcazione carotidea: in corrispondenza delle placche ateromasiche, la perdita di continuità della tonaca intima (ulcerazione) è frequente. A seguito dell’ulcerazione si attiva l’aggregazione piastrinica e la successiva formazione di un trombo. A questo punto l’occlusione può essere data 
 • dal distacco di frammenti del trombo o di emboli di colesterolo dalla placca che determinano ostruzione di vasi distali 
 • aumento delle dimensioni del trombo e occlusione del vaso 
 • riparazione fibrotica con materiale calcifico che favorisce l’occlusione del vaso. 
 Il meccanismo trombo-embolico può essere attivato anche ogni volta venga perso l’equilibrio dinamico che fisiologicamente lo controlla, per esempio in presenza di micro traumi, di stasi, turbolenza, depressione della fibrinolisi, alterazioni dell’ematocrito etc. 
 B) Patogenesi emodinamica Consiste nella riduzione del flusso cerebrale totale che può essere dettata da diversi fattori (genesi multifattoriale): • presenza di lesioni steno-ostruttive significative e multiple dei vasi cerebrali (intra ed extra cranici) (spesso a livello della biforcazione carotidea): affinché una stenosi diventi emodinamicamente significativa (cioè alteri il flusso a valle) è necessario che occluda > 70% del lume; tuttavia, in condizioni fisiologiche, i sistemi di autoregolazione possono vicariare a queste riduzioni • tortuosità (kinking) o inginocchiamento (coiling) dei vasi, che determinano ridotta irrorazione: il kinking (tortuosità, come fosse un loop) e il coiling (completo inginocchiamento, andamento a spirale) della carotide interna si sviluppano solitamente in soggetti anziani predisposti geneticamente. Sono un’alterazione anatomica che determina ipoperfusione. Talvolta possono essere secondarie a ipertensione, aterosclerosi o iperplasia fibromuscolare della parete vasale. Il kinking può determinare più facilmente stenosi (soprattutto per via dell’irrigidimento delle pareti arteriose in vecchiaia e per il localizzarsi di lesioni aterosclerotiche); il coiling raramente causa stenosi • riduzione importante della PA (ipotensione importante, alterazione del ritmo da scompenso, …) Affinché questi meccanismi vadano a determinare un quadro ischemico, però, ci deve essere anche l’assenza dei meccanismi di autoregolazione cerebrale: il circolo di Willis può essere compromesso per lesioni congenite o acquisite e, in tal caso, il flusso ematico diventa direttamente dipendente dalle variazioni della PA. In generale, si possono dividere le cause di insufficienza cerebro-vascolare in 3 grandi gruppi: 1. cause legate a lesioni ostruttive di rami dell’arco aortico: - aterosclerosi (> biforcazione carotidea) - displasia fibro-muscolare - m. di Takayasu - arteriti (vasculiti) - traumi della carotide, coiling, kinking 2. cause emodinamiche: - ipotensione - crisi ipertensive - scompenso cardiaco 3. altre cause: - patologie che alterano la triade di Virchow a favore della trombosi: emopatie, sindromi da iperviscosità, coagulopatie di 26 62 L’Angio-RM ha come vantaggio di non essere invasiva, di non essere influenzata da strutture ossee/calcio, consente ricostruzioni tridimensionali e valutazione del parenchima cerebrale; gli svantaggi sono che ha un costo elevato, necessita completa immobilità e non consente valutazione morfologica della placca. L’Angio-TC ha il vantaggio di non essere invasiva, di non essere influenzata da strutture ossee/calcio, consente ricostruzioni tridimensionali e adatta anche a pz claustrofobici; svantaggi costo elevato, radiazioni ionizzanti, scarsa accuratezza in presenza di clip metalliche. 4) Angiografia E’ indicata per la diagnosi di stenosi carotidea solo in casi selezionati, cioè quando risultano discordanti i test non invasivi. Valuta i quattro vasi cerebrali dall’origine per tutto il loro decorso. E’ considerata la metodica più accurata, ma è altamente invasiva, usa mdc, necessita ospedalizzazione ed è ricca di complicanze. Viene solitamente eseguita prima del trattamento (è raro ma a volte accade). Per valutare, invece, la sede di lesione (ipoperfusione) a livello cerebrale, vengono utilizzate la TC e la RM convenzionali. Spesso la TC in un pz con TIA appare normale; solitamente le alterazioni ischemiche insorgono nell’arco di 24 h ma è importante eseguire la TC precocemente per individuare eventuali emorragie. Si può usare l’EEG per valutare rallentamenti focali dell’attività cerebrale. Trattamento L’indicazione al trattamento deve considerare 5 aspetti differenti: 1) sintomatologia neurologica 2) grado di stenosi carotidea (o in altra sede) 3) comorbilità del pz 4) morfologia della placca ateromasica 5) caratteristiche anatomiche vascolari locali e periferiche (quindi non solo locali, ma anche di altri distretti). L’obiettivo del trattamento sarà di - ridurre o bloccare l’incidenza di episodi ischemici - prevenire l’infarto cerebrale (profilassi). La terapia prevede due grandi opzioni: A) terapia medica (BMT, best medical treatment) con a. modifica dello stile di vita: cessazione del fumo, esercizio fisico giornaliero, riduzione del BMI, dieta mediterranea b. terapia antiipertensiva c. terapia ipocolesterolemizzante con statine (LDL < 100 mg/dl) d. terapia ipoglicemizzante (HbA1C < 7%) e. terapia antiaggregante: la terapia antiaggregante 
 - mono (1 farmaco) è indicata a lungo termine in pz con aterosclerosi carotidea anche post intervento di endoarterectomia 
 - doppia (2 farmaci) non è indicata dopo intervento di endoarterectomia carotidea, mentre è indicata dopo lo stent carotideo. B) terapia chirurgica: - CEA (Carotid Artery Endarterectomy) - endoarterectomia: prevede apertura a livello latero-cervicale (cervicotomia) anteriormente allo sternocleidomastoideo; si individuano e si isolano i vasi carotidei, si effettua clampaggio della carotide comune e si fa un’incisione longitudinale della biforcazione prolungata per circa 2 cm sulla carotide interna verso l’alto; si rimuove la placca e successiva ricostruzione con patch (tessuto sintetico). Nei casi di kinking o coiling, la carotide interna viene impiantata sulla carotide comune. di 29 62 - CAS (Carotid Artery Stenting) - trattamento endovascolare con stent: prevede l’incannulazione dell’arteria con un accesso solitamente trans-femorale ma, in presenza di problemi alla navigazione (es. calcificazioni a livello dell’arco aortico) si può eseguire una piccola incisione alla base del collo. Dopo l’incannulazione, si protegge con un filtro la carotide distale per evitare il rilascio di frustoli o frammenti anche millimetrici. La chirurgia di prima scelta prevede la CEA. N.B: il vantaggio del CEA è stato correlato anche ad altri fattori come il timing dell’intervento chirurgico dal sintomo indice → il massimo benefico si ha entro 2 settimane (entro 15 giorni) dall’evento ischemico iniziale; probabilmente, il massimo beneficio si ottiene se la rivascolarizzazione carotidea viene eseguita entro 2-3 giorni dall’evento ischemico. La CAS è indicata per i pazienti con - alto rischio chirurgico - paralisi del n. laringeo controlaterale (perché durante la CEA rischio di ledere questo nervo) - precedente chirurgia o radioterapia laterocervicale - pz tracheostomizzati - restenosi carotidea post-CEA e/o post-CAS - biforcazione alta (difficile arrivarci in CEA). La scelta terapeutica si basa principalmente sulla presenza di sintomi neurologici: in base a questi si distinguono pazienti sintomatici e asintomatici, che verranno trattati differentemente. Non devono essere considerati sintomi neurologici sincope, lipotimia, vertigini, sintomi controlaterali, lesioni ischemiche alla TC asintomatiche. Pazienti sintomatici Nei pz sintomatici è sempre indicata la terapia medica (BMT best medical treatment) e può essere indicata anche la chirurgia. L’intervento di prima scelta à la CEA. Nella stenosi carotidea sintomatica è stato dimostrato che - se la lesione è di basso grado (<30%) → non c’è indicazione all’intervento, anzi questo sembra aumentare il rischio di ictus a 5 anni - se la lesione è intermedia (30-50%) → non c’è indicazione ma è fondamentale la BMT (l’intervento non ha nessun effetto) - se la lesione è di alto grado (> 50%) → c’è indicazione all’intervento Nei soggetti sintomatici secondo le linee guida SICVE non ci sono raccomandazioni specifiche al trattamento endovascolare (CAS): la CAS sembra però un’indicazione nelle restenosi carotidee (post-CEA o post-CAS) perché la chirurgia potrebbe determinare dei danni a carico dei nervi encefalici. Pazienti asintomatici Per i pazienti asintomatici, sul piano internazionale, ci sono voci contrastanti: c’è chi sostiene che sia importante riconoscere solo le lesioni a rischio e trattarle, chi invece sostenga che vadano trattati tutti. Alcuni trial degli anni 80’ hanno comunicato che trattare con CEA una stenosi carotidea, anche se asintomatica, ha una sua validità nella prevenzione dell’ictus, purché il rischio dell’intervento sia <3%. di 30 62 Per quanto riguarda la CAS nei soggetti asintomatici, non c’è evidenza che sia migliore rispetto alla CEA. A parità di rischio, l’endoarterectomia è più indicata e la terapia endovascolare dovrebbe essere limitata ai centri che hanno una notevole esperienza. Sindrome da furto della succlavia La sindrome da furto dell’a. succlavia è una condizione in cui vi è un’occlusione dell’a. succlavia che determina un’ipotensione del sistema vertebrale: il risultato è che il sangue a livello del poligono di Willis viene dirottato per l’irrorazione dell’arto superiore (e viene quindi tolto all’irrorazione cerebrale). Infatti, l’occlusione della succlavia genera ipotensione a valle: ciò genera un gradiente pressorio tra il sangue del circolo di Willis e le succlavie, con inversione del flusso all’interno delle aa. vertebrali. Per questo motivo si parla di “furto”. Segni: affaticamento dell’arto, riduzione/assenza del polso radiale, gradiente pressorio tra i due arti (>40 mmHg). Sintomi: si possono avere ronzii, vertigini, atassia, diplopia, caduta a terra e perdita di coscienza. Questi si accentuano durante l’esercizio fisico dell’arto superiore. Diagnosi strumentale: angiografia Terapia: • medica: antiaggreganti e vasoattivi • chirurgica: solo in comparsa di sintomatologia ischemica (a livello del territorio posteriore). L’intervento prevede l’utilizzo di by-pass e può essere intratoracico (con sternotomia mediana e bypass aorto-succlavio o aorto-anonimo; generalmente per lesioni multiple) o extratoracico (senza sternotomia e con bypass carotido-succlavio; generalmente per lesioni isolate). Oltre alla sindrome da furto della succlavia, possono esserci altre cause di insufficienza dell’arteria vertebrale: • occlusione o stenosi dell’a. vertebrale (generalmente la sintomatologia di ICV compare se la lesione è bilaterale, mentre se la lesione è monolaterale si ha ipertrofia dell’a. controlat) • ostruzione delle aa. vertebrali per compressione estrinseca da parte di osteofiti (speroni ossei) generati da processi di artrosi cervicale o da parte di muscoli inseriti sulle apofisi trasverse delle vertebre cervicali. di 31 62 indebolita, si dilata → la diminuzione dell’elastina non permette di garantire una sufficiente forza di retrazione parietale circonferenziale e longitudinale (durante sistole e diastole) • ipotesi genetica: es. mutazione crom 16 e deficit collagene di tipo III nella tonaca media • ipotesi meccanica: post-traumatica • ipotesi aterosclerotica • ipotesi infiammatoria • altre. Le alterazioni istologiche che si vengono a creare sono: - assottigliamento della tonaca media - perdita di elastina - infiltrato infiammatorio. L’aumento della pressione endoluminale, dall’altro lato, può essere favorita dai fattori di rischio sopra elencati ma anche dalla dilatazione stessa: ricordiamo due importanti leggi fisiche 1. teorema di Bernoulli: E = Ec + Ep = K 
 Secondo il teorema di Bernoulli, la somma di energia cinetica ed energia potenziale in un punto sono costanti. A livello dei punti di dilatazione l’energia cinetica si riduce e quindi aumenterà l’energia potenziale, che corrisponde alla forza che il fluido esercita sul vaso che lo contiene. 2. legge di LaPlace: T = P x r , quindi all’aumentare del raggio aumenta la pressione esercitata sulla parete. Quindi, più un vaso è dilatato più tenderà a dilatarsi con rapidità e ad avere sempre maggiori forze di tensione parietale che ne aumentano il rischio di rottura. Tutto questo determina un progressivo accrescimento dell’aneurisma e conseguente rottura. Una volta che si è formato, quindi, l’aneurisma va inevitabilmente incontro alla rottura, peraltro in un lasso di tempo estremamente variabile. Il rischio è correlato al diametro ma anche alla velocità di crescita. Si è visto che un aneurisma con diametro di circa 3-5 cm va incontro ad un accrescimento medio di 0,2-0,3 mm/anno; inoltre, il rischio di rottura a 5 anni è direttamente proporzionale al diametro dell’aneurisma: un aneurisma > 7 cm ha una probabilità di rottura a 5 anni del 75%. Aorta addominale e toracica Come mai l’aorta addominale è più colpita rispetto all’aorta toracica? Perché hanno diversa 1) derivazione embrionale 
 toracica → cresta neurale 
 addominale → mesoderma 2) tonaca media 
 toracica → 55-60 unità lamellari che si accrescono per sintesi 
 addominale → 28-32 unità lamellari che si accrescono per aumento di spessore 3) elasticità e distensibilità 
 toracica → maggiore 
 addominale → minore 4) vascolarizzazione 
 toracica → internamente è avascolarizzata, esternamente vascolarizzata 
 addominale → avascolarizzata (ottiene apporto di O2 e sostanze nutritive per diffusione transintimale dal lume). di 34 62 Quadro clinico Nel 75% asintomatico (killer silenzioso) e la diagnosi viene effettuata per: 1. visita medica per altri motivi; 2. ecografia addominale; 3. Rx diretta addome. Il 25% sintomatico può manifestare • dolore epigastrico (a. toracica): l’aorta toracica ha sintomi più lievi, ci possono essere tosse, dispnea, altri sintomi respiratori • dolore lombare (a. addominale): tipo lombosciatica (da compressione radicolare) o tipo colica renale (da compressione dell’uretere), quindi ci possono essere sintomi da compressione delle vie urinarie • sintomi da compressione del tubo gastroenterico • ischemia acuta periferica (tromboembolia per distacco di trombi dalla sacca aneurismatica), quindi claudicatio intermittens. Complicanze Le complicanze a cui può andare incontro l’aneurisma (non trattato) comprendono: A. embolia periferica → ischemia acuta degli arti inferiori per embolizzazione di materiale trombotico dalla sacca aneurismatica o per trombosi della sacca aneurismatica; si può sviluppare la così detta Blue Toe Syndrome, quando gli emboli a partenza aneurismatica vanno ad occludere le piccole arterie delle dita dell’arto inferiore B. trombosi, questo non avviene in acuto ma piuttosto in cronico e simula la sintomatologia della s. di Leriche (una arteriopatia ostruttiva cronica periferica, in cui è presente una ostruzione a livello della biforcazione aortica nelle due arterie iliache) C. fissurazione progressiva e rottura 
 a) libera → shock emorragico da emoretroperitoneo o da emoperitoneo massivo e IRA da ipovolemia che può essere libera o tamponata (da peritoneo, visceri, omento, colonna vertebrale,…) → shock e dolore addomino-lombare 
 b) con perforazione → può colpire 
 • la vena cava inferiore determinando una fistola AV ad alta portata → edema arti inferiori (se c’è tempo), scompenso cardiaco per fistola AV 
 • il segmento intestinale (75% duodeno) → shock e sanguinamento intestinale (ematemesi, melena, addominalgia). N.B: in questo caso, quando parliamo di rottura intendiamo la rottura dell’a. addominale; il prof non ne ha parlato, però nel caso in cui la rottura colpisse l’a. toracica si potrebbero sviluppare emorragie a livello di - pericardio → tamponamento cardiaco e morte - mediastino → dispnea e collasso cardiocircolatorio - cavo pleurico → emotorace - esofago → disfagia intensa, ematemesi - cava sup. o a. polmonare → fistola AV acuta e scompenso cardiaco. Quindi, possiamo dire che la rottura di un aneurisma dell’aorta addominale può avvenire in 4 modalità: 1. rottura retroperitoneale (85% dei casi - la più frequente) 2. rottura intraperitoneale (7,1%) anteriormente all’aorta, più grave 3. rottura cava-v.iliaca (5.8%) 4. rottura enterica (1,8%). Diagnosi Anamnesi: vedi sintomi sopra Esame obiettivo: • Ispezione: tumefazione, massa pulsante di 35 62 • Palpazione: 
 - dimensioni (variabili), 
 - superficie liscia, 
 - consistenza duro-elastica, 
 - limiti netti (manovra di DeBakey), 
 - pulsatilità sincrona con il polso, 
 - massa non dolorabile, 
 - spostabile solo latero-lateralmente, • Auscultazione: soffio sistolico Diagnosi strumentale 1. Rx diretta addome: è solitamente l’esame che per primo detta un sospetto. Permette di valutare le calcificazioni della parete addominale ma è diagnostica solo nel 65% dei casi poiché le calcificazioni possono essere presenti anche in aorta normale (bassa specificità). 2. EcoColorDoppler: (gold standard) fornisce informazioni su diametro AP e LL, estensione in lunghezza, apposizione trombotica, calcificazioni, fissurazioni o rotture, eventuali flap di dissezione (flap intimale = scollamento dalla lamina elastica della tonaca media arteriosa). 
 La società italiana di chirurgia vascolare consiglia di eseguire un EcoColorDoppler a tutti i M > 65 anni e D fumatrici > 65 aa. Per gli aaa ≥ 3 cm sono raccomandati schemi di sorveglianza ogni 6 mesi. 3. angio-TC e angio-RM: una volta ottenuta la diagnosi con ecografia, è importante anche l’angio-TC perché ci permette di ottenere tutte le informazioni che ci interessano • valutazione morfologica (estensione AP e LL) • valutazione della parete (infiammatoria, calcificazioni, fissurazione, rottura franca) • apposizione trombotica • flap intimali • valutazione colletto • coinvolgimenti altri vasi viscerali • patologie associate addominali (tumori, anomalie anatomiche es. rene a ferro di cavallo). 
 L’angio-RM viene eseguita nei pz allergici al mdc o con grave IRC. 4. arteriografia: consiste nell’immissione di mdc all’interno di un’arteria. Ad oggi viene limitata ai pazienti che necessitano di un trattamento endovascolare come un’angioplastica (per fare diagnosi basta l’angio-TC). Terapia a) terapia medica Prevede prima di tutto il controllo dei fattori di rischio: cessazione del fumo, controllo glicemico nei diabetici, controllo dei valori pressori, bassi livelli di LDL e trigliceridi. Come farmaci vengono utilizzati - antiipertensivi - antiaggreganti - statine. b) terapia chirurgica: open o endovascolare Quando è indicata la chirurgia? • aaa fusiforme ≥ 5,5 cm e/o iliaco > 3 cm → intervento in elezione • aaa fusiforme 4-4,9 cm → intervento in elezione se c’è un aumento del calibro rapido • aaa sacciforme → intervento in elezione anche per calibri inferiori La chirurgia prevede l’applicazione di una endoprotesi: un tubo di materiale sintetico (goretex) sostenuto da un’impalcatura metallica in lega (titanio); può essere biforcato. La chirurgia open prevede una tecnica standardizzata con risultati a distanza ben noti. di 36 62 Per quanto riguarda la stabilità emodinamica, ricordiamo che non esiste un valore di PA di riferimento uguale per tutti perché i meccanismi di compenso dello shock possono essere influenzati da età e/o dalle patologie associate, modificando il valore di perfusione ottimale dei vari organi. Bisogna quindi basarsi su parametri vitali e non usare la PA come unico parametro di riferimento. I parametri vitali comprendono: 1. livello di coscienza (agitazione, sonnolenza, …): uno studio recente ha mostrato che la mortalità è in relazione al livello di coscienza: se il pz è presente → mortalità ~35%; se il pz è assente → mortalità ~100%. 2. attività respiratoria 3. attività cardiaca 4. funzionalità renale 5. temperatura corporea e stato delle estremità. La sindrome compartimentale addominale è una condizione patologia causata da un acuto aumento della IAP (intra-abdominal pressure), molto importante perché influenza negativamente l’emodinamica, la funzionalità renale, respiratoria e splancnica. E’ caratterizzata da distensione o tensione addominale nell’immediato post operatorio e può sfociare in una consistente disfunzione d’organo: i segni che me la fanno sospettare sono - oliguria - elevato picco di pressione inspiratoria - disturbi della funzione cardiaca - acidosi ingravescente inspiegata. Per questo motivo, per prevenire la sindrome compartimentale addominale si esegue una chiusura ritardata della laparotomia (dopo qualche giorno) monitorizzando la pressione intra-addominale con particolare catetere intravescicale: solitamente, nel post-operatorio la IAP è nel range 3-15 mmHg e quando ho valori • IAP > 10 mmHg → si riduce la GC • IAP > 15 mmHg → viene compromessa la perfusione splancnica e renale • IAP > 20-25 mmHg → incremento pressione alveolare di picco inspiratorio • IAP > 20-30 mmHg → ACS, cioè sindrome compartimentale addominale, una situazione di emergenza. Evoluzione della chirurgia dell’aorta addominale Il dottore italo-argentino Parodi ha determinato una svolta nel trattamento degli aaa con l’introduzione della chirurgia endovascolare. E’ un intervento che si esegue con due piccoli accessi a livello femorale: - inizialmente si inseriscono gli intra-aortic balloon catheter che vengono portati al di sopra del segno di rottura e poi vengono gonfiati; in questo modo vanno a tamponare il sanguinamento in attesa dell’operazione vera e propria - quindi si interviene con una protesi a forma di imbuto che copre l’aorta addominale (non viene suturata) e un asse i l iaco ( l ’a l t ro viene chirurgicamente fornito con un by-pass femoro- femorale) Ovviamente affinché tutto questo possa essere possibile ci deve essere personale specializzato, il chirurgo vascolare deve essere presente in ps, l’ospedale deve avere un magazzino endoprotesico ben fornito e ci deve di 39 62 essere una sala operatoria dedicata. Grazie a questo intervento innovativo, la mortalità dal 40% (2000) si è ridotta al 12-25%. Conclusioni: • la rottura di aaa è ancora gravata da percentuali di mortalità molto elevate • i risultati si possono migliorare con diagnosi precoci e con assistenza rianimatoria/terapeutica adeguata • la metodica endovascolare è la migliore ad oggi disponibile. di 40 62 Insufficienza venosa cronica (varici arti inferiori) Anatomia del sistema venoso superficiale L’anatomia del sistema venoso superficiale comprende • vena grande safena, che origina dal malleolo interno per poi sboccare a livello della v. femorale comune (a livello inguinale) • vena piccola safena, che origina dal malleolo esterno per poi sboccare sulla v. poplitea • vena grande anastomotica (numero 3), talvolta presente, è una vena anastomotica tra le due. Il sistema venoso è dotato delle valvole venose che permette a. che il sangue fluisca dal basso verso l’alto (quando le cuspidi valvolari sono aperte) b. che il sangue non retrofluisca (quando sono chiuse) c. appena le pareti delle vene si dilatano, le cuspidi non si chiudono perfettamente e quindi permettono il backflow ematico → varici. Nell’immagine a sinistra si vede la relazione tra circolo venoso superficiale e circolo venoso profondo: le vene superficiali (7) sono in relazione con quelle profonde (13) tramite le vene perforanti (9). Le vene perforanti • a livello della vena piccola safena sono: le perforanti del soleus, del gastrocnemio, della caviglia laterale • a livello della vena grande safena sono: la perforante di Dodd’s (a livello della coscia) e le tre perforanti di Cockett’s a livello della caviglia. Fisiologia ritorno venoso La fisiologia del ritorno venoso è dovuta essenzialmente a: - PA sistemica (“vis a tergo”, forza che spinge da dietro ) - spremitura della suola venosa plantare - azione della “pompa articolare” (soprattutto dell’articolazione tibio-tarsica) - azione della “pompa muscolare” - atti del respiro (“vis a fronte”, poiché in inspirazione la P toracica diminuisce ed aumenta quella addominale, generando un gradiente pressorio di “aspirazione”) - tono venoso e continenza apparato valvolare. di 41 62 • test flebogici: Schwartz, Valsalva, Trendelemburg, Perthers 1) test di Schwartz: pz in ortostatismo, la percussione di un segmento venoso prossimale o distale si ripercuote sul segmento venoso sovrastante o sottostante, indicando una incontinenza valvolare (il sangue può muoversi) 2) test di Valsalva: viene solitamente effettuato con una sonda Doppler facendo eseguire al paziente una manovra di Valsalva o di un colpo di tosse che provoca un impulso percettibile alla palpazione in corrispondenza della giunzione safeno-femorale 3) test di Trendelemburg: è il più importante perché rileva l’incontinenza della giunzione safeno-femorale o delle perforanti. Il paziente con una varice, si mette in posizione supina, si fa sollevare l’arto e si fa svuotare la vena grande safena: quindi si posiziona un laccio al terzo superiore della coscia e poi si fa rialzare il paziente in ortostatismo. Se la VGS si riempie, questo indica l’incontinenza delle perforanti. Se invece si riempie solo dopo aver tolto il laccio ciò indica che solo la grande safena è incontinente. 4) test di Perthes: paziente in posizione ortostatica, si posiziona un laccio subito al terzo superiore della gamba, poi si chiede al paziente di camminare: lo svuotamento delle varici indica la pervietà del sistema venoso profondo e delle vene perforanti (il sangue passa dalle superficiali al venoso); se invece non si svuota il sistema venoso superficiale vuol dire che è presente una trombosi venosa profonda. Diagnosi strumentale: Ad oggi questi test non sono più così usati e sono di maggiore supporto diagnostico, invece, le indagini strumentali. • Doppler e EcoColorDoppler: permette di quantificare il flusso e il reflusso attraverso l’utilizzo di ultrasuoni che vengono riflessi dai globuli rossi e poi questo segnale viene tramutato in colori. • Flebografia ascendente: per visualizzare ostruzioni e circoli collaterali • Flebografia discendente: per localizzare il reflusso venoso e valutarne l’estensione. La tecnica consiste nel mettere il pz in posizione semi-eretta (o anti-Trendelemburg) e nel posizionare un catetere in vena femorale comune. Si inietta poi un mdc più pesante del sangue. Il reflusso distale del mdc viene valutato durante la respirazione normale ed in seguito alla manovra di Valsalva. 
 La tecnica consente di visualizzare in dettaglio le valvole (incontinenza primitiva o secondaria), di valutare la presenza e l’estensione del reflusso venoso e di chiarire l’anatomia venosa in casi dubbi. Complicanze Le complicanze delle vene varicose comprendono - emorragie (soprattutto dopo piccoli traumi) - calcificazione della parete venosa - ulcera venosa 
 Patogenesi ulcera venosa: Nasce inizialmente da un’incontinenza dell’apparato valvolare, per cui si sviluppa un’ipertensione venosa → passaggio di proteine ed eritrociti nel sottocute → fibrosi ed iperpigmentazione (lipodermatosclerosi) → ipossia tissutale → necrosi tissutale. di 44 62 - varicoflebite, cioè una infiammazione acuta intorno ad una varice per trombosi del circolo venoso superficiale - TVP - embolia polmonare. Trattamento 1) modificazione dello stile di vita: bisogna avere uno stile di vita attivo, movimento, rialzo alle gambe se seduti, … 2) terapia fisica: massaggi, compressione meccanica intermittente 3) terapia elasto-compressiva (es. calze elastiche compressive) 4) terapia farmacologica (per attenuare i sintomi) 5) terapia chirurgica: 
 Indicazioni: va considerata in relazione all’importanza della sintomatologia, per la prevenzione e trattamento delle complicanze, per considerazioni estetiche. 
 Controindicazioni: età e condizioni generali, obesità, varicoflebiti in fase acuta, ulcere infette, gravidanza, insufficienza arteriosa concomitante. a. scleroterapia: si inietta del materiale sclerosante a livello delle vene reticolari e si determina una piccola sclerotizzazione delle vene reticolari (che mano a mano verrano riassorbite) b. flebectomia secondo Müller: si segnano le piccole vene varicose con un pennarello (per poterle poi distinguere anche con pz supino), poi con un bisturi molto molto piccolo si praticano piccole incisioni, e con uno strumento che somiglia ad un uncinetto si aggancia la vena, che poi viene tirata via c. stripping della safena: lo stripping venoso consiste nell’asportazione delle vene varicose e può essere fatto completo (o lungo), cioè prendendo la safena dal malleolo all’inguine, oppure corto, cioè solo a livello della coscia. d. legatura di perforanti (“open” o endoscopia). 
 di 45 62 Trombosi venosa profonda Definizione La trombosi venosa profonda è l’occlusione di un segmento venoso da parte di un trombo (che spesso si localizza all’apice delle tasche valvolari): - se la componente infiammatoria è scarsa si parla di flebotrombosi - se la componente infiammatoria è prevalente si parla di tromboflebite. In generale ricordiamo che la trombosi venosa si divide in a. superficiale (vedi varici) b. profonda, a sua volta divisa in prossimale e distale (vedi dopo). Epidemiologia Molti casi sono asintomatici rimangono sconosciuti. Si sviluppa - dall’8 al 40% dei pazienti sottoposti a chirurgia maggiore - fino al 50-60% dei pazienti sottoposti a chirurgia dell’anca - fino all’87% dei pazienti ultraottantenni sottoposti a chirurgia maggiore. Classificazione topografica Da un punto di vista topografico, in generale la trombosi venosa può colpire gli arti inferiori (>>), arti superiori, addome, distretto giugulare, pelvi. La trombosi venosa degli arti inferiori si distingue in a) distale → quando interessa il distretto tibio-surale (del polpaccio). 
 Sintomi: crampi, senso di peso o tensione muscolare, dolori sordi, parestesie. 
 Segni obbiettivi: edema della caviglia/gamba, segno di Homans, segno di Bauer b) prossimale → quando interessa il distretto popliteo-femoro-iliaco (della coscia) 
 Sintomi: pallore all’estremità dell’arto, cianosi 
 Segni obbiettivi: edema, dolore alla pressione sul triangolo di Scarpa, al poplite o faccia interna della coscia; ipertermia locale per diversione del sangue verso il circolo superficiale. P.S: più la TVP è prossimale e maggiore è il rischio tromboembolico (quindi più è grave)! Perché? Perché viene ostruito un vaso di calibro maggiore e l’embolo è di dimensioni maggiori, quindi più facilmente ostruirà la circolazione polmonare. A livello degli arti inferiori, le sedi maggiormente colpite sono: • v. iliaca, v. poplitea e femorale, v. femorale profonda 85-90% • vv. gemellari (soleo) 10-15% In generale, l’arto sinistro è colpito maggiormente rispetto al destro perché la v. iliaca sx è più piccola, raggiunge la cava con un angolo più acuto ed è incrociata dall’a. iliaca comune di destra da cui può essere compressa (vedi dopo Sindrome di Cockett o di May-Thurner). Sindrome di Cockett o di May-Thurner E’ una rara condizione in cui la “trombosi venosa profonda” è una sorta di falso positivo: si tratta di una sindrome in cui l’arteria iliaca comune dx incrocia la vena iliaca comune sx e può provocare un ostacolo al deflusso ematico, quindi una trombosi, seppur segmentaria o parcellare. Eziopatogenesi L’eziopatogenesi della TVP è multifattoriale: i fattori di rischio sono numerosi - presenza di corpi estranei (come CVC o pacemaker) - malattie neoplastiche di 46 62 IV. Fase IV (dopo un tempo variabile): trombo ricanalizzato 
 Si formano all’interno del trombo dei vasi neoformati che comunicano con il lume (ricanalizzazione del trombo), il tessuto connettivo va incontro a retrazione cicatriziale → distruzione delle valvole venose e reflusso. 
 All’ecocolordoppler la vena presenta un calibro diminuito, le pareti sono fibrotiche ed ispessite; all’interno del vaso si riscontrano rari echi iperecogeni dovuti a qualche residuo di tessuto connettivale, ma domina l’anecogenicità. L’EcoColorDoppler, nonostante alcuni limiti (soprattutto determinati dall’operatore e dalla tecnologia della macchina usata), rappresenta un’ottima metodica per la localizzazione e la quantificazione di una TVP completa o parziale e per il follow-up del paziente nell’arco del tempo. Terapia Gli obiettivi della terapia nella TVP sono - contrastare la crescita del trombo - prevenire l’embolia polmonare - ripristinare la pervietà dell’asse venoso o arterioso polmonare interessato. a. terapia anticoagulante: impedisce la crescita del trombo. 
 Con eparina nell’immediato (3-4 gg) e poi con anticoagulanti orali (per almeno 3 mesi), mantenendo l’INR tra 2-3. 
 Complicanze: emorragie, piastrinopenia iatrogena 
 Controindicazioni: emorragie in atto, interventi recenti, ecc b. terapia trombolitica: attiva la lisi del trombo. 
 Con streptochinasi, urochinasi r-tPA (sempre associati all’eparina) 
 Complicanze: emorragie, piastrinopenia iatrogena 
 Controindicazioni: emorragie in atto, interventi recenti, ecc c. interruzione cavale: interruzione parziale della v. cava inf. mediante filtri provvisori o permanenti.
 Indicazioni assolute: casi in cui è controindicata la terapia anticoagulante, insuccesso terapia anticoagulante, complicanze della terapia anticoagulante 
 Indicazioni relative: trombo flottante (cioè che sta per staccarsi); rischio di morte in caso di nuova, anche modesta, EP; elevato rischio emorragico. 
 Complicanze: da errato posizionamento; incapacità filtrante, dislocazione, rottura, penetrazione. 
 I filtri sono stati inventati per la prima volta nel 1973 dal professor Greenfield (forma ad ombrellino lungo ~ 5 cm). 
 Posizionamento del filtro: 
 1. preparazione del paziente: anestesia locale, locoregionale, generale 
 2. sede di accesso: femorale, giugulare, omerale, retroperitoneale, intraperitoneale 
 3. cavografia preliminare 
 4. scelta del filtro: permanente, temporaneo, permanente rimovibile 
 5. collocamento del filtro: il filtro viene incamiciato (inserito) all’interno di un catetere, poi tramite l’acceso si raggiunge la vena target (spesso v. cava inf. al di sotto dell’emergenza delle v. renali) e si posiziona il filtro 
 6. follow-up: si controlla il posizionamento con un Rx dell’addome. d. rimozione chirurgica del trombo o dell’embolo: a) trombectomia venosa b) embolectomia polmonare c) trombolisi meccanica d) suzione del trombo. di 49 62 Complicanze Le complicanze della TVP sono 1) Embolia polmonare 2) Sindrome post-flebitica. TVP ed embolia polmonare Se uno o più emboli (frammenti di trombo) raggiungono il distretto vascolare polmonare si verifica un’embolia polmonare. L’embolia polmonare rappresenta la terza causa di morte dopo IMA e neoplasia nei pazienti sotto i 70 anni mentre è la prima causa di morte negli ultra 70enni. La mortalità a poche ore dall’esordio è del 30% dei casi. Le sedi emboligene che possono causare un’embolia polmonare sono - TVP pelvica o degli arti inferiori (minore negli arti superiori) - trombosi in atrio dx (p.e. per FA) - focolai settici (endocarditi, pacemaker, CVC infetti) - altro (grasso, liquido amniotico, aria, midollo osseo). Fisiopatologia Dal punto di vista emodinamico, la EP acuta diventa clinicamente manifesta quando il letto vascolare arterioso risulta occluso almeno del 30-50%. L’occlusione del letto arterioso polmonare può causare - cuore polmonare acuto: l’occlusione porta ad un rapido e importante aumento delle resistenze polmonari, a tal punto da determinare l’incapacità del ventricolo dx di adeguarsi all’aumento del postcarico → insufficienza acuta del ventricolo dx con possibile morte improvvisa. Inoltre l’aumento del postcarico porta a aumento della tensione parietale del Vdx → spostamento a sinistra del setto interventricolare → disfunzione diastolica Vsx (interdipendenza ventricolare) → riduzione GC e ipotensione. Se si sopravvive in acuto, meccanismi di compenso (Frank-Starling) ristabiliscono la perfusione - infarto polmonare: gli emboli più piccoli possono raggiungere il letto capillare polmonare, provocando infarto polmonare (è un infarto arterioso, rosso; quello cerebrale è bianco). Ciò causa dolore pleuritico, emottisi, pleurite, versamento pleurico. Alla Rx inizialmente non vedo nulla: solo dopo 1 sett. potrei vedere un segno radiografico classico di Hampton, per via dell’addensamento parenchimale) - microembolia polmonare diffusa: porterà nel tempo ad insufficienza respiratoria. Quadro clinico La sintomatologia dell’embolia polmonare è riconducibile a • ipossiemia • riduzione del volume polmonare • formazione di spazio morto alveolare • broncocostrizione e pneumocostrizione. Sintomi (vedi cardiologia): dispnea (il più frequente), dolore toracico (di tipo pleuritico, più raramente simil- anginoso), tosse (talvolta emoftoe o emottisi se associato infarto polmonare), stato d’ansia, sudorazione, senso di morte imminente, sincope. Segni: tachipnea (>20/min, il più specifico), tachicardia (>100 bpm), segni di TVP, soffio sistolico polmonare con rinforzo del II tono polmonare, cianosi, febbricola. Tanto più è grave la sintomatologia e tanto più è grave e compromesso il circolo polmonare: si definisce embolia massiva se è compromesso > 50% del circolo polmonare. Diagnosi Per valutare la probabilità di EP in un pz con sintomi/segni ad essa riconducibili, si usano alcuni score: il più utilizzato è lo score di Wells, che valuta sintomi, segni e ftt predisponenti per TVP e EP. di 50 62 • EGA: esame di screening obbligatorio. Permette di evidenziare il grado di insufficienza respiratoria e, soprattutto, l’eventuale compenso metabolico o farmacologico, consente un monitoraggio costante della patologia e della terapia instaurata. • Rx del torace: è un esame di screening obbligatorio. Nella maggior parte dei casi è normale. Un segno caratteristico è il segno di Westermark, dato da ipoemia focale (riduzione/scomparsa della trama vascolare). Un segno patognomonico di infarto polmonare, seppur raro, è la presenza di addensamento polmonare di tipo cuneiforme con apice ilare e base pleurica (segno di Hampton). Ci possono essere versamenti pleurici, atelettasie, sollevamento di un emidiaframma. • Scintigrafia polmonare e fleboscintigrafia: sia perfusionale che ventilatoria. Permette di evidenziare in un unico esame la sede e l’estensione della TVP e dell’EP. • TC e angio TC polmonare spirale / RM e angioRM polmonare: permettono di evidenziare la sede e l’estensione dell’EP e di visualizzare l’albero arterioso polmonare. • angiografia polmonare: visualizzando l’intero albero arterioso polmonare permette di evidenziare la sede dell’ostruzione arteriosa polmonare. • ECG: potrebbe mostrarmi tachicardia sinusale e onda P polmonare; utile per fare ddf con altre cause di dolore toracico. Terapia Obiettivi: - ridurre la mortalità e le conseguenze (infarto polmonare e ipertensione polmonare) - prevenire le recidive. Vedi terapia TVP. Il razionale è che - se il pz è a basso rischio: solo anticoagulanti (perché la fibrinolisi endogena sarà sufficiente a degradare gli emboli, che non sono massivi: allora mi basterà evitare l’apposizione di ulteriore materiale trombotico con gli anticoagulanti) - se il pz è ad alto rischio: anticoagulanti + fibrinolitici (la fibrinolisi endogena in questo caso non sarà sufficiente, impiegherebbe troppo tempo a degradare l’embolo). TVP e sindrome post-flebitica La sindrome post-flebitica (SPF) è un insieme di segni e sintomi che si verificano a distanza di tempo da una TVP degli arti inferiori: rappresenta proprio l’insieme delle manifestazioni cliniche tardive conseguenti ad un processo trombotico. Classificazione secondo Cockett: • tipo I: interessa le vene profonde del polpaccio e la vena poplitea o femorale; prevale la componente legata al reflusso per la distruzione delle valvole • tipo II: coinvolge il tratto femoro-iliaco o una grossa vena al di sopra del legamento inguinale; prevale la componente ostruttiva e il deflusso venoso è assicurato da un ricco circolo collaterale che si rende evidente (ovarico, uterino, prostatico) • tipo III: mista, con una sintomatologia più grave. Patogenesi La ricanalizzazione di un vaso (totale o parziale) a seguito di un trombo può portare, soprattutto in assenza di un adeguato trattamento nella fase acuta, ad un danno definitivo della parete e del sistema valvolare. Questo determinerà un quadro di insufficienza venosa cronica, le cui conseguenze saranno visibili solo a distanza di anni. L’incontinenza delle valvole profonde determina fluissi patologici verso le vene superficiali, che quindi subiscono un regime pressorio sproporzionato alla loro struttura. La vena grande safena rappresenta il sistema collaterale di 1° ordine di Bauer; quando essa diviene insufficiente, entra in gioco il sistema di 2° ordine (vena piccola safena e vena femoro-poplitea di Giacomini). Sintomatologia di 51 62 Sindrome di Raynaud La sindrome di Raynaud consiste in attacchi episodici di marcata vasocostrizione che portano a chiusura di arteriole a livello delle estremità in risposta a freddo o emozioni (il vasospasmo è probabilmente determinato da un’iperreattività del simpatico o fenomeni immunologici). Questo provoca sensazione dolorosa e variazioni del colorito cutaneo reversibili a carico della dita della mano, dei piedi o più raramente di naso o orecchie. Può essere primitiva o secondaria: a) primitiva (idiopatica): molto più frequente (80%), si presenta in assenza di altre malattie b) secondarie: si associano a diverse patologie, soprattutto malattie del connettivo - vasculiti da complessi autoimmuni (LES, crioglobulinemia, sclerodermia) - arteropatie ostruttive senza disordini immunologici - farmaci come beta-bloccanti o pillola anticoncezionale - IRC, neoplasie, disordini neurologici. Epidemiologia Colpisce più frequentemente donne giovani (20-30 anni). Quadro clinico • variazioni del colore: possono essere 1. trifasiche: pallore (inizialmente), cianosi (blu/viola dopo pochi minuti), eritema (da iperemia reattiva) 2. bifasiche: cianosi, eritema 3. monofasiche: solo pallore o solo cianosi • sensazione di freddo • dolore urente • parestesie • ulcerazioni o aree di ipercheratosi (che indicano lesioni trofiche guarite). Diagnosi La diagnosi è clinica, i test mirano a discriminare le forme primitive da quelle secondarie. I reperti clinici che suggeriscono una sindrome di Raynaud primitiva sono i seguenti: - età di insorgenza < 40 anni (in due terzi dei casi) - attacchi simmetrici di lieve entità che interessano entrambe le mani - assenza di necrosi tissutale o gangrena - assenza di dati anamnestici o obiettivi che suggeriscano un'altra causa. I reperti clinici che suggeriscono una sindrome di Raynaud secondaria sono i seguenti: - età d'esordio > 30 anni - gravi attacchi dolorosi che possono essere asimmetrici e unilaterali - lesioni ischemiche - anamnesi e dati obiettivi che suggeriscano una condizione patologica associata. Alcuni esami ematochimici vengono praticati per mettere in luce eventuali malattie concomitanti (p.e. emocromo, piastrine, VES, crioglobuline, Ab antinucleo, fattore reumatoide, Ab anticentromero, Ab anti- SCL-70). Potrei fare biopsie cutanee se sospetto collagenopatia. Terapia Il trattamento della forma primitiva prevede di evitare il freddo, abolizione del fumo, ed eventualmente assunzione di Ca-antagonisti (vasodilatatori), Reserpina (che blocca l’impulso del simpatico) o eventualmente simpaticectomia toracica. Il trattamento della forma secondaria, invece, prevede il trattamento della patologia di base. di 54 62 Acrocianosi L’acrocianosi è un fenomeno simile alla sindrome di Raynaud, da cui però si differenzia perché non prevede fase di pallore ed eritema ed è persistente: si tratta di una cianosi simmetrica che non provoca dolore (né lesioni atrofiche cutanee), che colpisce dita di mani, piedi o volto, ed è causata da vasospasmo dei piccoli vasi in risposta al freddo. E’ più frequente in individui femmine e giovani, tende a scomparire con l’avanzare dell’età. Livedo reticularis La livedo reticularis è una manifestazione cutanea caratterizzata da uno scolorimento screziato, in cui chiazze cianotiche di colorazione blu-rossastra assumono una conformazione simile ad una rete attorno a zone di cute normali. Le macchie sono dovute a dilatazioni della rete capillare. Tale sintomo si osserva soprattutto negli arti inferiori, ma può estendersi anche a braccia e tronco. Di solito, la livedo reticolare è più pronunciata nella stagione fredda, a causa dell'esposizione alle basse temperature. In tal caso, questa manifestazione è temporanea e si risolve con la rimozione dell'elemento scatenante. di 55 62 Ipertensione reno-vascolare L’ipertensione reno-vascolare rappresenta meno del 2% dei casi totali di ipertensione ed è dovuta a lesioni ostruttive delle arterie renali o dei loro rami. L’eziologia è: - aterosclerosi (80% dei casi): più diffusa tra i pazienti > 50 anni e colpisce soprattutto l’ostio e il terzo prossimale dell’a. renale. E’ favorita dal flusso turbolento presente all’interno delle a. renali dovuto al fatto che le a. renali sono poste perpendicolarmente rispetto all’aorta addominale. - displasia fibromuscolare della tonaca media: più diffusa tra i pazienti giovani (< 30 anni) e femmine e colpisce soprattutto i due terzi distali delle a. renali. Si tratta di un gruppo eterogeneo di lesioni che interessano uno o più dei tre strati dell'arteria renale 
 Consistono in un ispessimento delle pareti visibili all’angiografia con un aspetto “a corona di rosario”. La classificazione di Mc Cormak la distingue istologicamente in 
 1. fibroplasia intimale (5%) 
 2. fibroplasia della media (85%) 
 3. iperplasia fibromuscolare (1%) 
 4. fibroplasia subavventiziale (9%). Patogenesi La patogenesi dell’ipertensione reno-vascolare prevede l’attivazione del SRAA (per via dell’ipoperfusione renale): la renina viene prodotta dall’apparato iuxtaglomerulare, converte l’angiotensinogeno in angiotensina I che viene trasformata dall’ACE in angiotensina II, un potente vasocostrittore che stimola anche la secrezione di aldosterone da parte del surrene. Nella patogenesi dell’ipertensione reno-vascolare ci si basa sul modello di Goldblatt (eseguito su animali ma applicabile all’uomo): 1. modello ad un rene: viene tolto un rene e viene costretta l’arteria controlaterale; aumenta notevolmente l’attività reninica, quindi la secrezione di aldosterone e la conseguente ritenzione di sodio e acqua, con conseguente aumento della PA. Il rilascio di renina ha un iniziale picco e poi si stabilizza in un quadro di ipertensione volume-dipendente; l’ipertensione blocca poi la secrezione di renina dal rene ischemico. 2. modello a due reni: viene costretta un’arteria renale lasciando intatto il rene controlaterale; in questo caso si ha un massiccio rilascio di renina da parte di un rene e una drastica riduzione della produzione di renina dal rene controlaterale (per feedback negativo); si tratta di un’ipertensione renina-dipendente, in questo caso è la vasocostrizione a determinare l’ipertensione perché non si sviluppa ipervolemia, in quanto il rene sano aumenta l’escrezione di acqua e sodio. Quadro clinico L’ipertensione reno-vascolare non ha un quadro clinico caratteristico. Elementi che possono avvalorare il sospetto sono - soffio sistolico nei quadranti addominali superiori (sulla proiezione del peduncolo vasale renale, 3 cm sopra e lateralmente all’ombelico) - se assente non esclude stenosi - aumento precoce e stabile dei valori diastolici, spesso associato a cefalea e vertigini. Diagnosi In sospetto di ipertensione nefrovascolare, si possono eseguire come test di screening: - ecografia con EcoColorDoppler: permette di valutare il flusso ematico renale e per questo rappresenta un metodo non invasivo ma con buona sensibilità per identificare una stenosi significativa (>60)%), soprattutto a livello delle a. renali più che dei rami periferici. - urografia (Rx con mdc): può evidenziare differenze tra i due lati riguardo: di 56 62 Traumi dell’aorta I traumi dell’aorta possono colpire l’aorta: a) toracica: - lesioni dirette da lacerazioni o perforazioni della parete aortica (es. a seguito di colpi da armi da fuoco, da taglio, emorragie, ematomi, fistole...) - lesioni indirette che possono interessare l’istmo (>> 58%), l’aorta ascendente (24%), l’aorta discendente (13%) e l’arco aortico (5%): sono solitamente causate da decelerazioni (talvolta associate a contusione toracica negli incidenti, quindi a frattura sternale o delle costole) che possono essere 
 • orizzontali (date da spostamento di organi mediastinici e lacerazioni dell’aorta discendente, principalmente per lesioni intimali “a strappo” che provocano dissezione aortica) 
 • verticali (date dal movimento della massa cardiaca verso l’alto o verso il basso che muove istmo, arco aortico e aorta ascendente). Sintomi: Shock emorragico, emotorace, dispnea, disfagia, tamponamento cardiaco (nel caso del coinvolgimento dell’aorta intrapericardica) con in sintomi e segni annessi. Diagnosi: angiografia (anche l’R torace mi potrebbe mostrare slargamento mediastinico). Al primo sospetto vi è indicazione alla chirurgia d’urgenza con esecuzione di una sternotomia mediana, ne caso in cui sia coinvolto tratto iniziale dell’arco aortico, e di una toracotomia sinistra, nel caso in cui è interessato il tratto terminale dell’arco aortico. b) addominale: - lesioni dirette, da lacerazioni o perforazioni della parete addominale (es. a seguito di armi, tagli, emorragie, ematomi, …) - lesioni indirette (es. per fratture della colonna vertebrale toraco-lombare, che possono causare lacerazione intimale con dissezione aortica). Sintomi: shock emorragico, irritazione peritoneale da lesioni intestinali, fistola aorto-cavale (con conseguente edema del bacino e dell’arto inferiore), ipertensione venosa, soffio sistolico continuo. Diagnosi: angiografia. Al primo sospetto vi è indicazione alla chirurgia d’urgenza con esecuzione di una laparotomia mediana xifopubica, se è coinvolta l’aorta addominale a livello dei vasi renali e viscerali, oppure di una toracotomia sinistra al X e XI spazio intercostale, se la lesione è al di sopra dell’a. renale. di 59 62 Dissecazione aortica Vedi cardiochirurgia. di 60 62 Chirurgia vascolare ibrida Per chirurgia vascolare ibrida si intende una strategia combinata di chirurgia tradizionale e chirurgia endovascolare. Questo approccio ha consentito di superare i limiti delle attuali tecniche endovascolari associando un intervento chirurgico tradizionale. Questo approccio ha consentito di trattare anche pazienti anziani molto compromessi, altrimenti esposti ad un rischio anestesiologico e chirurgico molto elevato con la sola chirurgia tradizionale. La chirurgia ibrida viene utilizzata in patologie del • distretto carotideo • arco aortico • aorta toraco-addominale (aneurismi toracoaddominali che coinvolgono emergenza di vasi viscerali) • distretto periferico. Distretto carotideo La patologia del distretto carotideo consiste in aterosclerosi della biforcazione carotidea e dell’origine della carotide interna. a) intervento convenzionale: rivascolarizzazione carotidea principalmente endoarteriosa con accesso transfemorale, prevede l’utilizzo di - TEA carotidea (trombo-endoarteriectomia carotidea): prevede la rimozione chirurgica della placca e applicazione finale di patch di materiale sintetico o tratto di vena safena - stenting carotideo: è una procedura che consente di eliminare il restringimento in una delle carotidi mediante l'inserimento, al suo interno, di un dispositivo metallico (stent). b) chirurgia ibrida: Indicazioni: a. calcificazioni e anomalie dell’arco aortico (il passaggio del catetere sarebbe rischioso) b. tortuosità della carotide comune (rende difficile cateterismo) c. arteriopatia aorto-iliaca grave (renderebbe difficile il cateterismo delle femorali) d. patologia carotidea tandem, cioè stenosi carotide interna + stenosi carotide comune (all’emergenza dell’arco aortico). In questo caso si preferisce approccio ibrido approcciando direttamente la carotide per evitare l’arco aortico: si prepara la carotide comune alla base del collo (accesso anterogrado) e si associa un intervento endovascolare per la carotide interna. Questo intervento ha ridotto la possibile embolizzazione cerebrale e. lesioni dei vasi epiaortici: si prepara la carotide comune alla base e poi si fa incannulazione per via retrograda andando verso l’arco aortico, posizionando lo stent. Tutto questo ha ridotto notevolmente l’invasività di lesioni che richiedevano una sternotomia per essere trattate. Vantaggi: • ampliamento delle indicazioni • maggiore sicurezza della procedura perché l’accesso transcervicale risulta più sicuro. Arco aortico a) chirurgia convenzionale: prevede l’utilizzo della CEC (che ha alta mortalità e rischio neurologico permanente); consiste nella sostituzione dell’aorta con protesi tradizionali . Si esegue in presenza di 
 - dissecazioni di tipo A 
 - patologie aneurismatiche. b) chirurgia ibrida: debranching + endoprotesi. 
 • debranching iniziale: rivascolarizzazione dei vasi epiaortici attraverso metodiche anatomiche (triplo bypass dall’aorta ascendente dopo sternotomia) o extranatomiche (senza sternotomia, si esegue un bypass carotido-carotideo) 
 • posizionamento di endoprotesi 
 Si esegue senza clampaggio completo (CEC), quindi a cuore battente, e quindi con ridotte complicanze. di 61 62
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved