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Appunti di chirurgia vascolare, Appunti di Medicina

Appunti di chirurgia vascolare su cenni di anatomia, arteriopatia obliterante arti inferiori, ischemia acuta arti inferiori, accessi per emodialisi, ischemia mesenterica acuta e cronica, embolia addominale, toracica e toraco-addominale, sindromi aortiche acute (dissezione aortica, rottura aneurisma addominale, ematoma intramurale aortico e ulcera penetrante aortica), ictus, insufficienza cerebro-vascolare, stenosi carotidea, stenosi vertebrale, furto della succlavia.

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 25/07/2022

Met1097
Met1097 🇮🇹

5

(7)

35 documenti

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Scarica Appunti di chirurgia vascolare e più Appunti in PDF di Medicina solo su Docsity! Chirurgia vascolare Anatomia • Aorta ascendente: di competenza cardiochirurgica perché il trattamento richiede un arresto di circolo in circolazione extra-corporea; l’evoluzione ad una chirurgia mini-invasiva endovascolare ha esteso il campo d’azione ad alcune patologie di aorta ascendente ed arco aortico. • Arco aortico: dal tronco anonimo fino alla succlavia sinistra; il tronco anonimo si biforca in carotide comune dx e arteria succlavia dx. Di solito la carotide comune sx origina come tronco separato, ma vi sono varianti anatomiche frequenti, come l’arco bovino, in cui nasce dal tronco anonimo. L’ultimo vaso originante dall’arco aortico è la arteria succlavia sx. La arteria carotide comune si divide in carotide interna e carotide esterna. • Aorta discendente: dalla succlavia sinistra fino al diaframma. Non nascono rami viscerali particolari, ma quelli rami intercostali che forniscono sangue al midollo spinale e sono importanti per possibili complicanze nel trattamento di patologie dell’aorta discendente: se queste arterie si chiudono, vi è rischio di paraplegia (non si muovono gli arti inferiori). • Aorta addominale: dal diaframma fino alla biforcazione. È un tratto dove originano i rami viscerali principali come il tripode celiaco (originante arteria splenica, gastrica sinistra ed epatica comune), arteria mesenterica superiore, arterie renali ed arteria mesenterica inferiore. • Arteria iliaca comune dx e sx: dalla biforcazione dell’aorta addominale, si biforcano in arteria iliaca interna (ipogastrica) e iliaca esterna, che a livello di legamento inguinale origina l’arteria femorale comune. Questa è lunga circa 8-10 cm e si divide in 2 rami principali, l’arteria femorale profonda e femorale superficiale, che attraversa tutti i muscoli della coscia fino al canale degli adduttori, dove diventa arteria poplitea, in cui vi sono 3 segmenti (tratto sovra-, intra- e sotto-articolare). Dall’arteria poplitea si originano arteria tibiale anteriore e tronco tibio-peroneale, da cui nascono arteria tibiale posteriore e peroneale (interossea). A livello di piede la tibiale anteriore si continua nell’arteria pedidea e l’arteria tibiale posteriore in arterie plantari mediali e laterali; pedidea e plantari si riuniscono a formare l’arcata dorsale e plantare del piede. Aterosclerosi Le lesioni aterosclerotiche rappresentano una serie di risposte a stimoli cellulari e molecolari derivanti dal circolo ematico e considerate malattia infiammatoria. Vi è danno cronico all’endotelio dato stimoli legati ad iper-lipidemia, ipertensione, fumo e risposta immune, che causano aumentata permeabilità endoteliale mediata fattori di crescita, angiotensina II ed endotelina. 1. Le modificazioni più precoci che avvengono nell’endotelio sono up-regulation di molecole d’adesione e migrazione leucocitaria nella parete arteriosa mediata da LDL ossidate e citochine. 2. Le prime lesioni sono le strie lipidiche, comuni >30 anni, derivanti dall’accumulo nella tunica intima di macrofagi carichi di lipidi, soprattutto colesterolo (cellule schiumose), linfociti T attivati e cellule muscolari lisce. 3. Si formano lesioni avanzate, dove le placche aumentano di dimensione, con accumulo di macrofagi e formazione di un core necrotico, una parte centrale di detriti cellulari. All’esterno della lesione si forma un cappuccio fibroso, formato da cellule muscolare lisce, a protezione della placca. 4. Queste placche possono progredire e dare complicanze, come rottura di placca a livello di endotelio con trombosi ed infarcimento emorragico (emorragia intra-placca), che porta ad evoluzione rapida di queste placche, con trasformazione da piccole a grandi placche all’eco-doppler in 5-6 mesi. Fattori di rischio • Alcol. • Diabete mellito. • Fumo di sigaretta. • Ipertensione arteriosa. • Stile di vita inadeguato. • Genetica, non è semplice definire quanto influenzi lo sviluppo di queste lesioni. Alterazioni emodinamiche Quando compaiono le prime lesioni, vi è restringimento del calibro, ma l’apporto ematico periferico è di 100%. Con l’avanzare delle lesioni, l’apporto ematico a valle dell’ostruzione si riduce ad un 50%, la cui importanza per la vitalità del tessuto dipende dal fabbisogno del tessuto irrorato di O2. Se il flusso si riduce al 20%, diventa insufficiente anche in condizioni basali, causando necrosi tissutale. Inizialmente il tessuto tenta di compensare il deficit di O2 con modificazioni emodinamiche e adattamenti macro-vascolari delle grandi arterie, con neoangiogenesi e formazione di circoli collaterali. Con il progredire della aterosclerosi, gli adattamenti macro- e micro-vascolari sono insufficienti a far fronte al debito di O2, con aumento dei radicali liberi di O2, danno mitocondriale e cellulare. All’aumentare dell’ischemia, il compenso è insufficiente per preservare la vitalità tissutale: vi è dolore a riposo, ulcere e lesioni trofiche, fino a gangrena ed amputazione. Con il tempo, l’aterosclerosi danneggia il circolo collaterale, a causa di trombosi su placca e genesi di nuove placche. La stenosi causa il crollo dell’onda di pressione e flusso. • Effetto di una stenosi su pressione e flusso: durante l’attività, vi è crollo della pressione che raggiunge lo 0 e risale lentamente fino alla normalità dopo l’esercizio. Il flusso è basale prima dello sforzo fisico, aumenta dopo l’esercizio e poi lentamente torna a valori basali. • Effetto di 2 stenosi sulla pressione e sul flusso: la pressione è inferiore rispetto ad una sola stenosi, si mantiene molto bassa dopo l’esercizio fisico per diversi minuti per ritornare lentamente verso valori basali. Il flusso richiede più tempo sia ad aumentare, sia a diminuire verso valori basali. Quindi, una doppia stenosi ha effetti più gravi. Diagnosi 1. Anamnesi: tramite anamnesi accurata si fa diagnosi di arteriopatia in >90% dei casi. Spesso vi sono disturbi camminando: sotto sforzo i tessuti richiedono più sangue e se ci sono stenosi non compensate i tessuti a valle vanno in ipossia, con dolore. È un dolore tipico agli arti inferiori, normalmente a livello di polpaccio (massa muscolare più grande), crampiforme, che costringe il paziente a fermarsi e dopo qualche secondo o minuto, a riprendere la camminata. La caratteristica tipica è che riesce a percorrere sempre la stessa distanza, con una certa autonomia di marcia, legata al grado di arteriopatia. Se l’arteriopatia progredisce vi è riduzione dell’autonomia di marcia. Se in anamnesi è riferita difficoltà a camminare per un dolore alle gambe, tramite anamnesi si può capire se si tratta di claudicatio intermittens. Questo vale anche per patologia cerebro-vascolare, in cui i disturbi sono tipici. 2. Esame obiettivo: la palpazione dei polsi va fatta parallelamente al decorso del vaso, con 3 dita in modo da apprezzare meglio le caratteristiche del polso. • Polso femorale comune: si palpa lungo una linea che congiunge la spina iliaca antero-superiore al tubercolo pubico. È importante localizzare la SIAS, in quanto la piega cutanea inguinale può ingannare, palpando in una zona più distale, dove l’arteria femorale comune si divide in arteria femorale superficiale e profonda. Se l’arteria femorale superficiale fosse chiusa, alla palpazione si può pensare che non vi sia polso femorale, ma in realtà va apprezzato più prossimalmente. o Stent scoperti: il flusso può passare tramite la rete e portare sangue ai vasi collaterali. o Stent coperti: proteggono da eventuali rotture da dilatazione; alcuni possono avere eparina nella copertura, garantendone la pervietà. Vi sono anche endoprotesi, usate per il trattamento di aneurismi aortici. • Approccio ibrido: si usano tecnica tradizionale ed endovascolare, come nell’ostruzione dell’arteria femorale, associata normalmente ad ostruzione dell’arteria poplitea o tibiale. Si effettua una rimozione della placca femorale tramite incisione inguinale di 10-15 cm, si ricostruisce l’arteria e si parte dal quel punto per riaprire distalmente le altre arterie ostruite. Quindi, con una piccola incisione, si trattano patologie che per via endovascolare o chirurgica non sarebbero trattabili. Arteriopatie obliteranti degli arti inferiori Malattia cronica ostruttiva che colpisce gli arti inferiori, la cui incidenza aumenta con l’età. In base clinica vi sono 2 gruppi di pazienti: • Claudicatio intermittens: considerabile benigna (progressione a CLTI solo in 20% dei casi), si associa a fattori di rischio come diabete, fumo e IR. È un dolore muscolare crampiforme a livello del muscolo del polpaccio (anche gamba e gluteo), presente solo durante il movimento: le richieste di O2 aumentano e se vi sono stenosi non vi è aumento del flusso ematico, con ipossia muscolare. Il dolore è tipico con un intervallo libero di marcia fissa, di solito 100-200 m, a cui segue una pausa forzata per il dolore. Più grave è la patologia, inferiore è l’intervallo libero di marcia; nelle forme più gravi il paziente compie pochi metri. In pazienti >50 anni affetti, fino al 50% è asintomatico, il 30-40% manifesta disturbi aspecifici, il 10- 35% claudicatio, mentre nell’1-3% dei casi vi è ischemia critica. In forme più lievi fino a claudicatio l’evoluzione è benigna a 5 anni: 70-80% dei casi resta stabile seguendo il trattamento, 10-20% peggiora e 5-10% evolve ad ischemia critica. La CLTI ha evoluzione sfavorevole: il 45% è vivo con 2 arti, il 30% è sottoposto ad amputazione e la mortalità è circa 25%, spesso legata a coronaropatia. • Ischemia critica o chronic limb-threatening ischemia (CLTI): 10% dei pazienti. Vi è dolore a riposo, soprattutto notturno, quando la soglia del dolore si abbassa, tanto che spesso i pazienti si svegliano. I pazienti metto i piedi per terra, in questo modo aumenta il flusso venoso per gravità, con aumento dell’edema. In fasi più avanzate vi sono ulcere e gangrena; nei diabetici, che hanno sensibilità ridotta, si passa alla fase di ulcera e gangrena direttamente. Si fa DD con ulcere venose, ischemia acuta ed altre condizioni come arteriti, malattia di Buerger, vasculiti o neoplasie, dove l’età di insorgenza è più precoce rispetto alle lesioni aterosclerotiche. Fattori di rischio La localizzazione delle lesioni varia in base a diversi fattori di rischio: • Fumo: lesioni in zone più prossimali. • Età avanzata: lesioni in zone più distali. • Ipertensione: tutti i distretti simmetricamente. • Diabete mellito: piccole arterie distali del piede. • Ipercolesterolemia: lesioni in zone più prossimali. • Sesso maschile: lesioni della porzione prossimale o distale, meno della parte intermedia. Sull’obesità ci sono pareri discordanti, mentre le HDL sono un fattore protettivo. Localizzazione Ogni sede presenta trattamenti particolari: • Arteria femorale comune: sito frequente di ostruzione. • Aorto-iliaci: ostruzione si può localizzare nell’aorta addominale o nelle arterie iliache. • Arteria femorale superficiale: molto più comune rispetto a quella profonda. • Arteria tibiale anteriore. • Arteria peroneale. • Arteria poplitea. Diagnosi • Anamnesi: si indagano insorgenza del dolore, durata, distanza percorsa, necessità di fermarsi e ripresa della camminata. È facile distinguere la claudicatio da altri disturbi, come artrite della colona lombare (vi sono parestesie) o insufficienza venosa. • Esame obiettivo: palpazione polsi. • ABI index (rapporto pressione caviglia/braccio): la pressione alla caviglia si misura in sede di arteria tibiale posteriore o pedidia, tramite cuffie dedicate e si rilevano i flussi digitalmente o con doppler. È importante il valore assoluto della pressione oltre all’indice pressorio. I valori possono essere: o 0,91-1,29 (normale): pressione leggermente superiore alla caviglia rispetto al braccio. o 0,41-0,90 (arteriopatia lieve o moderata). o <0,41 (arteriopatia severa). • Ecocolordoppler: studia le caratteristiche dell’onda di flusso. Un’onda normale è trifasica, in caso di stenosi vi sono alterazioni del flusso (finestra telesistolica diventa bianca, con riduzione dell’aumento del picco delle onde). • Angio-TC. • Angio-RM (non si usa quasi mai). • Angiografia: fondamentale ma invasiva, di solito si associa al trattamento. Lo studio avviene in sala operatoria seguita dalla rivascolarizzazione. Classificazione di Leriche-Fontaine Si basa sulla sintomatologia, è divisa in 4 stadi: 1. Stadio I: evidenza di malattia senza sintomi. 2. Stadio IIa: claudicatio >200 m di distanza. 3. Stadio IIb: claudicatio <200 m di distanza. 4. Stadio III: dolore a riposo costante, senza lesioni. 5. Stadio IV: necrosi o gangrena. Classificazione di Rutherford Ai criteri clinici di Leriche-Fontaine si aggiungono criteri emodinamici,: la claudicatio si analizza con test da sforzo su tapis roulant e si misura la pressione prima e dopo l’esercizio standard; dopo l’esercizio la pressione normalmente cala. 1. Claudicatio lieve: pressione dopo l’esercizio >50 mmHg o <20 mmHg rispetto a riposo. 2. Claudicatio moderata. 3. Claudicatio severa: il paziente non riesce a compiere l’esercizio per il dolore; pressione <50 mmHg. 4. Dolore a riposo: pressione <40 mmHg o onda di flusso doppler appena pulsatile e pressione a livello dell’alluce <30 mmHg (spesso vi sono arterie calcifiche che impediscono la misura della pressione perché non si comprimono, a livello dell’alluce questo problema è meno frequente). 5. Perdita di tessuto minore: ulcere superficiali che si evolvono in gangrena distalmente a metatarso. 6. Perdita di tessuto maggiore: estensione della gangrena sopra il metatarso. La divisione in categoria 5 e 6 riguarda il mantenimento della deambulazione post-amputazione: l’amputazione trans-metatarsale offre maggior possibilità di riprendere a camminare. Classificazione WIfi (wound, ischemia, foot infection) È più sofisticata delle precedenti, si usa soprattutto ai diabetici, dove si valuta anche l’estensione della lesione e l’associazione con infezioni locali o sistemiche. • Wound (lesione): o Assenza di ulcere. o Piccola ulcera superficiale. o Ulcera più profonda che coinvolge osso e articolazioni. o Ulcera che coinvolge metatarso e piedi. • Ischemia: si considera l’ABI; se è difficile misurare la pressione (es. arterie calcifiche) si misura l’ossigenazione tissutale. • Foot infection: si valuta l’estensione dell’infezione. La classe 1 si associa ad infezioni locali, la classe 3 si associa ad infezioni sistemiche. È una classificazione prospettica perché permette di capire quando e dove intervenire e la probabilità di successo. Valuta il rischio di amputazione a un anno senza trattamento. In caso di ischemia grave di classe 3 il rischio di amputazione è elevato; se vi sono ulcere senza ischemia il rischio è basso. Vi sono stime di beneficio della rivascolarizzazione: in caso di ischemia avanzata il beneficio è elevato. Trattamento La terapia medica è fondamentale soprattutto in fase precoce: i benefici di un’adeguata terapia medica ed esercizio fisico sono superiori alla rivascolarizzazione, che ha effetto immediato, ma senza eliminazione dei fattori di rischio vi sono ricadute. Il trattamento prevede: • Cessazione immediata del fumo. • Farmaci: aspirina, statine, controllo di ipertensione e diabete. • Esercizio fisico/fisioterapia ambulatoria: miglioramento nell’intervallo libero di marcia. Bisogna camminare nonostante la claudicatio per 45-60 min/die, fermarsi quando c’è il dolore e riprendere. Le indicazioni alla chirurgia sono: • Assolute: o Sulla base della sintomatologia: § Claudicatio severa: dopo >6 mesi di esercizio fisico e riduzione dei fattori di rischio, il paziente non riesce e svolgere le attività quotidiane. § Dolore a riposo: i pazienti devono prendere antidolorifici. § Gangrena: rischio per la vitalità dell’arto. o Sulla base della storia naturale della malattia: I bypass si confezionano preferenzialmente da una vena safena, omolaterale o controlaterale; si può lasciare nella stessa sede (bypass in situ) o, chiudendo le collaterali, prelevarlo in toto e reimpiantarla invertendola di direzione (in modo che le valvole non siano contro flusso). Altrimenti, si possono usare protesi sintetiche (es. PTFE), ricoperte da eparina per mantenerne pervietà (minore rispetto a vena safena). Ci sono varie tecniche per mantenere pervi i bypass, ad esempio la creazione di una fistola AV distale, che aumenta il flusso distale e diminuisce il rischio di ristenosi. Follow-up pervietà I pazienti vanno seguiti nel tempo: il bypass aorto-bifemorale, attuato post-fallimento endovascolare iliaco, è invasivo ma da migliori risultati a distanza. I palloni endovascolari e gli stent sono ricoperti da farmaci antiblastici come il Paclitaxel (chemioterapico), per evitare ristenosi migliorando i risultati a lungo termine. È fondamentale la terapia medica post-chirurgica, anti-piastrinica (aspirina, Clopidrogrel) o anticoagulante. Trombosi ascendente dell’aorta (sindrome di Leriche) Vi è progressiva ed ascendente trombosi dell’aorta addominale: il processo inizia quando a livello iliaco il flusso non è normale, con ostruzione, ristagno ematico ed apposizione trombotica crescente ascendente. Questa trombosi può arrivare fino alle arterie renali condizionando un’IR (se sono entrambe chiuse, si deve eseguire la dialisi). L’approccio è tradizionale: si elimina il trombo più in alto e si esegue un bypass aorto-bifemorale. Vi è la triade: dolore sino alla coscia, assenza dei polsi arteriosi degli arti inferiori ed impotenza. Ischemia acuta Condizione patologica caratterizzata dall’improvviso arresto dell’apporto di sangue arterioso, o da una netta riduzione di esso, tale da non consentire la vita dei tessuti del territorio colpito. Eziologia • Embolia: se vi è l’occlusione di un’arteria, il sangue tende a trombizzarsi a monte e valle. o Cardiogena (80-90%): gli emboli si possono trovare a vari livelli ma più spesso (>60% dei casi) raggiungono le arterie degli arti inferiori e, meno spesso, le arterie viscerali. § Fibrillazione atriale. § Cardiopatia ischemica, IMA ed aneurisma ventricolare. § Cardiopatia reumatica (meno frequenti rispetto al passato). § Mixoma atriale (raro). § Endocardite batterica. § Protesi valvolare. o Extra-cardiogena: § Patologia aneurismatica (raro). § Placca aterosclerotica ulcerata (relativamente frequente). o Altra: § Cause sconosciute. § Embolia paradossa. § Causa iatrogena (cateterismo). § Tumori primitivi o metastatici (polmone): danno diatesi trombofilica. • Trombosi: associata ad aterosclerosi (trombo su placca) o discoaugulopatia. o Su arteria sana: § Disturbi coagulazione: • Iper-omocisteinemia. • Mutazione del fattore V di Leiden. • Polimorfismo del gene codificante la protrombina. • Poliglobulia (policitemia vera, piastrinosi, leucemia, disidratazione). • Ab anti-fosfolipidi: predisposizione genetica, con diatesi trombofilica. § Iniezione intrarteriosa di farmaci o stupefacenti. § Compressione ab-extrinseco da strutture tendinee o ossee (es. outlet toracico). o Su arteria con preesistenti lesioni aterosclerotiche: § Stenosi sub-occlusiva: a causa di alterazioni del flusso legate a stenosi, l’occlusione all’improvviso viene esacerbata dalla formazione del trombo. § Placca complicata: soprattutto a livello carotideo, dove vi sono fenomeni emorragici in seno alla placca, a partire dai vasa vasorum. § Aneurisma (molto raro). o Di pregresso graft. • Trauma. • Dissezione aorto-iliaca: chiusura dell’origine di un’arteria a causa dello slaminamento parietale. Alterazioni metaboliche dell’ischemia acuta Vi sono aumento dei lattati e circolazione dei prodotti del metabolismo anaerobio; queste alterazioni a livello muscolare portano alla sintomatologia dell’ischemia acuta. Sintomatologia (6 P di Pratt) • Pain: i pazienti arrivano all’osservazione soprattutto per il dolore, localizzato sempre nelle parti più distali, dove arriva meno sangue (es. se per un’embolia vi è ostruzione della femorale comune, il dolore sarà a livello di piede o alluce). Il dolore è legato all’ischemia non tanto muscolare, quanto del tessuto nervoso periferico, più sensibile all’ischemia e quindi è un dolore inizialmente nervoso. • Pallor: non arriva sangue. • Paresis: deficit di motilità. • Pulse deficit: deficit polsi periferici. • Paresthesia: legata all’ischemia del SNP. Vi sono formicolii e insensibilità, che precedono la paresi. • Perishing with cold (indice di gangrena): in fase avanzata, l’arto è marmoreo, bianco, non si muove, insensibile e freddo. Le alterazioni cutanee e ipotermiche sono legate alla sede di ostruzione: • Aorta sotto-renale: arto inferiore coinvolto interamente. • Arteria iliaca comune: arto coinvolto a partire dalla coscia. • Arteria iliaca esterna: gamba. • Arteria femorale: terzo inferiore di gamba. • Arteria poplitea: piede. Diagnosi • Anamnesi: si indaga ad esempio su eventuali FA (causa principale di emboli periferici) o arteriopatia cronica pregressa (sospetto di trombosi su placca precedente). • Esame obiettivo: palpazione dei polsi dell’arto interessato e del controlaterale. Se nel controlaterale ci sono polsi normali, è più probabile un’ embolia piuttosto che una trombosi su placca. • Indagini strumentali: o Eco-doppler. o Angio-TC. o Arteriografia: non si usa molto per la diagnosi, più in ambito terapeutico. Classificazione La più diffusa è la classificazione di Rutherford, che si basa su criteri clinici e emodinamici doppler. • Classe I: o Assenza di deficit di parestesie e paresi. o Presenza segnale flusso doppler arterioso e venoso. o Arto con buona vascolarizzazione, magari tramite circoli collaterali. • Classe IIa: rischio per l’arto limitato; se si interviene subito, può essere salvato. o Assenza di disturbi di motilità. o Parestesie e disturbi della sensibilità minimi, soprattutto distali. o Assenza segnale flusso doppler arterioso, ma presenza di quello venoso, poiché tramite i circoli collaterali arriva una quota di sangue e quindi c’è un ritorno di flusso. • Classe IIb: è la più critica, si deve intervenire in urgenza, poiché si può salvare l’arto. o Disturbi di sensibilità e dolore importante. o Al Doppler, non si sente il flusso arterioso, ma quello venoso. o Iniziale deficit di motilità che può essere diagnosticato chiedendo di muovere le dita dei piedi, dal momento che sono le parti più distali ad essere coinvolte. • Classe III: è irreversibile, vi è danno permanente a livello muscolare e di nervi periferici. o Anestesia profonda e paralisi completa. o Al Doppler non si sente né il flusso arterioso, né quello venoso. Terapia Nel caso in cui si visiti a domicilio o in ambulatorio un paziente con ischemia acuta, va indirizzato verso un ospedale con un centro di chirurgia vascolare. Gli ospedali hub sono dotati di questo servizio, ma non quelli più piccoli. La scelta dell’iter terapeutico di fronte ad un’ischemia acuta degli arti inferiori è legata a: • Localizzazione lesione. • Durata e gravità del quadro ischemico. • Natura dell’ischemia (embolica o trombotica). • Condizioni generali del paziente, per capire se sia in grado di affrontare un intervento. Si può valutare la somministrazione di eparina endovena, che si può fare solo in ospedale o ambulatorio. • Terapia chirurgica: La fisiopatologia della malattia venosa cronica deriva da ogni difetto di questi 2 meccanismi, che conduce ad ipertensione venosa, ossia l’elemento eziopatogenetico che spiega la clinica della patologia venosa cronica. La varice è l’espressione clinica più comune, ma non l’unica. Se il soggetto è fermo in piedi c’è una colonna ematica che causa una pressione venosa idrostatica (100 mmHg); se il soggetto cammina si attiva la pompa muscolare e la pressione crolla; quando si ferma, la pressione venosa tende a risalire. In caso di patologia, camminando non vi è decremento pressorio. Fattori di rischio • Maggiori: o Obesità. o Familiarità. o Età (>40 anni). o Sesso femminile. o Ridotta mobilità e sedentarietà. • Minori: o Fumo di sigaretta. o Patologie cardiovascolari. o Patologie croniche arti inferiori. o Alterazioni posturali e di deambulazione. o Allettamento prolungato e immobilizzazione da gesso. Può essere una patologia misconosciuta e associata a numerose comorbidità. Storia naturale L’ipertensione venosa nel tempo causa varie modificazioni del microambiente cutaneo, che possono condurre ad ulcere. Il reflusso venoso, dato dall’assenza di caduta pressoria durante la deambulazione, causa: 1. Ipertensione venosa deambulatoria. 2. Ipertensione capillare. 3. Stravaso di fluidi. 4. Alterazioni cutanee. 5. Ulcera. Classificazione CEAP Considera clinica (C), eziologia (E), anatomia (A) e fisiopatologia (P); secondo il fenotipo clinico vi sono: • Classe 0: assenza di segni clinici visibili o palpabili. • Classe 1: teleangectasie e vene reticolari. • Classe 2: vene varicose. • Classe 3: edema. • Classe 4: turbe trofiche di origine venosa. o Classe 4A: pigmentazione e/o eczema. o Classe 4B: lipodermatosclerosi e/o atrofia bianca. • Classe 5: oltre alla classe 4, vi sono ulcere cicatriziali. • Classe 6: oltre alla classe 4, vi sono ulcere in fase attiva. Diagnosi • Anamnesi. • Esame obiettivo, da eseguire in piedi. • Eco-color doppler, da eseguire in piedi. • Diagnostica di II livello (TC, RM, flebografia, IVUS). La diagnosi di malattia venosa cronica è clinica; l’ecocolordoppler è un esame di II livello che documenta alterazioni anatomiche o funzionali che possono necessitare di chirurgia; consente di: • Definire l’esistenza di anomalie morfologiche e studiare i diametri venosi. • Accertare la presenza di un reflusso e studiare i flussi venosi. • Valutare la pervietà del circolo venoso profondo. • Segnalare la presenza di perforanti incontinenti e mappaggio pre-chirurgico. • Evidenziare le recidive post-chirurgiche. Tramite manovre funzionali, come spremitura del polpaccio o manovra di Valsalva, nel punto dove c’è reflusso si evidenzia un lungo flusso in direzione opposta. Trombosi venosa profonda Il gold standard per la diagnosi di TVP è l’ecografia con CUS (compressione ultrasonografica). In caso di sospetto elevato (grazie allo score di Wells), in urgenza si esegue solo la compressione ultrasonografica, non è necessario un ecocolordoppler. La CUS si esegue solo a livello inguinale (vena femorale) e popliteo (vena poplitea): la sensibilità diagnostica in vene sotto-poplitee (vena tibiale) è bassa; inoltre, le TVP distali hanno bassa incidenza di complicanze emboliche polmonari. Normalmente, una vena pervia è collassabile sotto la spinta della sonda, mentre le arterie restano pulsanti. Se la vena contiene materiale che ne impedisce la compressione, non vi sarà collabimento, segno patognomonico di TVP. Se vi è sospetto clinico forte ma la prima CUS è negativa, si può ripetere l’esame dopo una settimana. L’ecocolordoppler si esegue nell’inquadramento diagnostico del paziente con MVC per capire se in passato vi è stata TVP: anche se ricanalizzate con terapia anticoagulante, le TVP spesso esitano in fenomeni cicatriziali, responsabili di malattia venosa cronica (non vi è restitutio ad integrum di una vena). Il trattamento della TVP prevede 2 elementi: • Anticoagulazione parenterale (sottocutanea) e/o orale per almeno 3 mesi. Gli anticoagulanti di nuova generazione non hanno indici di laboratorio chiari per il monitoraggio e l’unico NAO che ha un antidoto è il dabigatran. La terapia a lungo termine va decisa da uno specialista, valutando il rapporto rischi/benefici. I pazienti più complessi sono quelli ipo-mobili, politraumatizzati, dializzati, con cancro attivo, perché sono ad alto rischio tromboembolico ed emorragico. Le trombosi venose si dividono in provoked e unprovoked, in cui non c’è un chiaro fattore scatenante (es. cancro, chirurgia recente, obesità). Le linee guida dicono che se c’è un fattore di rischio noto correggibile, una volta risolto si può sospendere la terapia anticoagulante (dopo 3 mesi). • Compressione: le malattie venose necessitano di elasto-compressione, a meno di controindicazioni. Il trattamento delle trombosi venose superficiali, invece, si basa sull’uso di fondaparinux. Trattamento MVC È complesso, seppur poco invasivo negli approcci chirurgici. • Riconoscimento eziopatogenesi. • Se TVS/TVP, terapia anticoagulante. • Bendaggio/elasto-compressione. • Chirurgia venosa (superficiale/profonda) e sclero-terapia. • Farmaci flebotonici (es. sulodexide): non risolvono la malattia ma danno sollievo sintomatologico. • Correzione delle cause generali di stasi (es. ridotta mobilità, obesità). • Wound care, se vi sono ulcere. I pazienti con MVC, indipendentemente dall’indicazione chirurgica, beneficiano di 3 consigli: • Esercizio, vita moderatamente attiva. • Elasto-compressione. • Farmacoterapia con VADs (Venous Active Drugs) Elasto-compressione È la sola terapia invasiva nell’approccio conservativo non chirurgico. Deve generare una pressione di almeno 20-40 mmHg, tramite bendaggi posizionati manualmente o calze, che devono essere della misura giusta e cambiate ogni 6 mesi. Lo scopo è vicariare l’effetto di una pompa muscolare, controbilanciando gli effetti fisiopatologici negativi dell’ipertensione venosa. Gli effetti sono: • Aumento della fibrinolisi. • Accelerazione trasporto linfatico. • Riduzione delle pressioni deambulatorie. • Incremento dell’elasticità della parete venosa. • Riduzione del calibro delle vene superficiali e profonde. L’elasto-compressione elastica consiste nella calza, ossia un device compliante solo se vi è lavoro muscolare (se la muscolatura non si contrae il device non esercita pressione), quindi in un paziente immobilizzato è inutile. L’elasto-compressione anelastica non compliante è più pericolosa perché esercita sempre una pressione uguale e, se troppo stretta, può causare ischemia, soprattutto in un arteriopatico; tuttavia, alle giuste pressioni, può essere efficace nel paziente allettato per favorire il flusso venoso. Le controindicazioni sono: • Allergia al materiale. • Grave neuropatia diabetica. • Bypass arteriosi tunnellizzati superficiali nel sito di compressione. • Grave ischemia degli arti inferiori da patologia aterosclerotica con ABI <0,6 mmHg. • Scompenso cardiaco congestizio NYHA 4 (aumento precarico e rischio di edema polmonare acuto). Chirurgia della malattia venosa superficiale In pazienti con malattia venosa superficiale e con clinica pari, almeno, alla classe CEAP 2, si può proporre la chirurgia invasiva. • EVTA (Endo Venous Termal Ablation): 1a linea di trattamento; si entra nella vena grande safena con una sonda che eroga energia laser o radio-frequenze, che, per azione termica, sclerotizzano la vena fino alla giunzione, obliterandola dall’interno ed eliminando reflussi venosi. • HLS (stripping safenico) o CAC: interventi più invasivi. L’HLS è la chirurgia classica: si esegue la legatura della vena grande safena vicino alla cross safeno-femorale e poi si rimuove la vena stessa (stripping). È eseguibile con accessi solo di 1 cm, anche a livello della vena piccola safena nel cavo popliteo. Si può associare a flebectomia per eliminare eventuali rami varicosi. Il CAC è la chiusura della cross safenica con colla di cianacrilato. • Sclero-terapia: trattamento delle varici, consistente nell’iniezione di farmaci sclerosanti inducenti una fibrosi con riassorbimento della vena. È una chirurgia ambulatoria o in day surgery. Per preparare una fistola servono 4-6 settimane, necessarie per la maturazione della fistola. Le protesi sono pronte dopo 2-4 settimane, tuttavia non si raccomanda di pungerle subito per motivi di incorporaggio (si induce flogosi cronica, con formazione di un manicotto fibroso che non permette, quando si toglie l’ago, la formazione di uno pseudo-aneurisma). Accesso vascolare ideale L’accesso vascolare ideale non esiste, essendo anti-fisiologico. Si ricercano certe caratteristiche: • Garantire un flusso di almeno 300 ml/min (preferibilmente 500 ml/min). • Permettere di incannulare con almeno 2 aghi. • Resistenza alle infezioni e trombosi. In passato, si eseguiva sempre la fistola AV; ora è l’accesso di 1ª scelta ma il tipo di accesso si sceglie secondo le esigenze. Si cerca di ridurre l’uso di CVC, soprattutto in caso di emodialisi cronica, in quanto, oltre alle complicanze (es. infezioni e trombosi), è il principale fattore di rischio per stenosi venosa centrale (coinvolge il distretto ascellare-succlavio-anonimo-cavale), principale causa di fallimento per accesso vascolare per emodialisi: il catetere crea decubito con fenomeni fibrotici che esitano in occlusioni. A volte alterano la funzionalità dell’accesso, in altri casi possono causare sindromi da ipertensione venosa: braccia gonfie ed emisomi ipertesi che sono un’urgenza in quanto il paziente non dializza. Può richiedere un CVC dove ha già avuto la fistola (potrebbe non essere usabile perché la vena è chiusa); in casi estremi può essere necessario sacrificare l’accesso. Nel migliore dei casi si porta il paziente in sala e si riaprono le giugulari. Ogni accesso ha vantaggi e svantaggi: • Accesso vascolare nativo in vena: o Minor tasso di complicanze (es. trombotiche). o Miglior tasso di pervietà. o Minor rischio infettivo. • Accessi protesici: o Più facili da incannulare (sono sottocutanei). o Ampia varietà di lunghezze e configurazioni. o Periodo di maturazione più breve (2-4 settimane). o Più sensibile alla correzione in caso di fallimento dell’accesso. • CVC: o Più facile da inserire e rimuovere (accesso salvavita per paziente senza accesso permanente). o Complicanze acute: fallimento posizionamento linea centrale, puntura arteriosa e PNX. o Complicanze croniche: infezioni, stenosi venosa centrale. Un accesso nativo che non funziona bene necessita una valutazione specialistica perché qualcosa non va nel circuito (dall’anastomosi all’atrio destro). Una fistola che funziona male, è destinata a fallire, diventando un’emergenza medico-chirurgica: “medica” in quanto il paziente non dializzerà più e dovrà farlo in urgenza, “chirurgica” perché una vena trombizzata non trattata entro 24 h necessita di un nuovo accesso. Le protesi per loro natura sono più benigne, nel senso che si possono recuperare anche entro 1 settimana. Anatomia per l’accesso La scelta del sito dell’accesso viene fatta nell’ottica di poter avere nel futuro: • Garantire l’accesso con minor rischio. • Garantire maggior superficie di pungibilità. • Maggiori opzioni secondarie in caso di fallimento. La politica è creare accessi in direzione disto-prossimale: si valutano accessi a livello dell’avambraccio distale, come la fistola radio-cefalica, soprattutto, e ulno-basilica; successivamente si passa agli accessi a livello di braccio e, infine, ci sono i bypass artero-venosi profondi. Dovendo creare un accesso superficiale, si usa una vena superficiale, più spesso la vena cefalica, che decorre sul lato radiale dell’avambraccio, continua lungo il braccio e tramite l’arco cefalico drena nella vena succlavia. La vena basilica decorre sul lato ulnare, drena in vena brachiale e si preferisce meno perché, anche se fa parte del compartimento superficiale, è più profonda (scorre sotto il bicipite, a >6 mm di profondità). Per creare una fistola in distretto basilico servirebbe un intervento di superficializzazione, creando una neo-tasca sopra al bicipite. Inoltre, un accesso sul lato interno è più scomodo per il paziente. La vena cubitale mediana collega vena cefalica a basilica. Questi sono i principali siti venosi sfruttati per la creazione della fistola: vena cefalica, vena basilica, vena cubitale mediana e vena ascellare. Le arterie usabili sono arteria radiale, arteria brachiale e, più raramente, arteria ulnare. L’ecocolordoppler è l’esame di scelta per studiare pre-operatoriamente i vasi da usare per la fistola. Tipi di fistole AV • Il primo accesso che si cerca di dare è la fistola radio-cefalica. • Se non è fattibile si passa a fistole protesiche con loop, che possono essere punte. • In alternativa, vi sono accessi brachio-cefalici. • Ci sono accessi complessi, come con protesi con loop a livello brachio-cefalico e bypass diretti tra arteria e vena ascellare, in cui l’accesso diventa la protesi. In questo modo si cerca di avere più superficie possibile su cui incannulare ed avere flusso sufficiente. Rischi e benefici Andando prossimalmente, verso arterie e vene di grosso calibro, si riducono i rischi per cui la fistola non maturi perché si creano fistole ad alto flusso. Tuttavia, si escludono altre opzioni terapeutiche secondare e aumenta il rischio di sindrome da furto: l’entità dello shunt di flusso di una brachiale sarà maggiore rispetto a una radiale. Varianti anastomotiche di una fistola • Anastomosi latero-laterale (side to side). • Anastomosi termino-laterale (end to side), di vena su arteria. • Configurazioni più rare, in cui si collega l’arteria alla vena, se non collegate direttamente in modo contiguo. Il test semeiologico da eseguire per capire se si può fare la legatura dell’arteria radiale è il test di Allen (si usa anche prima di un emogas arterioso): valuta l’afflusso di sangue a mano e dita, valutando la pervietà di arteria radiale ed ulnare. Valuta la capacità dell'arteria ulnare di garantire un adeguato flusso ematico alla mano in caso di occlusione della radiale. Si chiede di posizionare il braccio verticalmente e stringere con il pugno, per circa 30 s, per eliminare quanto più sangue possibile dalla mano. L'esaminatore comprime arteria radiale e ulnare, occludendole il paziente riapre la mano, che appare pallida. L'esaminatore rilascia la compressione dell’arteria ulnare, ottenendo una ricolorazione della mano in 5-7 sec; un tempo maggiore è segno che l'apporto ematico da parte della arteria ulnare è insufficiente, quindi non può essere tranquillamente punta od incannulata. Fistola radio-cefalica La fistola radio-cefalica nativa è la fistola più distale che si possa creare, quindi è la 1ª scelta per creare accessi per emodialisi, con eccezioni che considerino caratteristiche di vasi e pazienti. In presenza di un’arteria radiale e una vena cefalica di ottima qualità, è eseguibile; in caso di arterie molto calcifiche non anastomizzabili, spesso in pazienti più anziani, la probabilità di successo è bassa rispetto ad una protesi brachio-cefalica con loop al braccio che permette di dializzare in 3 settimane. Questo tipo di fistola ha maggior superficie di cannulazione e si associa a minor rischio ischemico. Si esegue a livello del polso dell’arto non dominante e i vasi devono avere diametro di almeno 2 mm. Essendo basata su vasi di piccolo calibro, ha maggior rischio di non maturazione. In alternativa, più distalmente, si può creare una fistola brachio-cefalica e brachio-basilica, anche se si tratta di interventi più complessi in quanto necessita di superficializzazione (restano grosse cicatrici). Una fistola basata sull’arteria brachiale darà flusso maggiore, quindi maggior possibilità di successo, ma causa più over- load cardiaco e sindromi da furto. Graft AV protesici Si tratta di una 2ª scelta, se non vi sono opzioni per una fistola AV nativa; è una scelta primaria in caso di: • Assenza di vene per l’accesso nativo. • Fallimenti consecutivi di un accesso nativo. • Necessità di emodialisi urgente (una vena non è subito usabile). Gli accessi protesici si possono configurare in vario modo: ad esempio, il loop protesico aumenta la superficie di pungibilità (vi sono anche protesi dritte). Tuttavia, gli svantaggi delle protesi sono: • Maggior tasso di trombosi. • Tasso di infezione quasi identico alle protesi native, ma più difficili da trattare. • Stenosi e fallimento dell’accesso (complicanza frequente di accessi nativi e protesici). Vi sono protesi nuove come le GORE ACUSEAL che, secondo i produttori, si possono pungere subito dopo l’impianto (si aspettano sempre 24-48 h), grazie alla loro struttura diversa che permette un’emostasi efficace. Vi sono casi estremi di pazienti con indicazione al catetere permanente; si tratta di pazienti fragili, complicati, con bassa compliance specialmente igienica. Complicanze fistola AV Le fistole necessitano di sorveglianza, in quanto sono predisposte a complicanze, la maggior parte delle quali permettono di mantenere l’accesso, se trattate precocemente. Se un accesso funziona, si avverte un fremito; inoltre, auscultando la fistola si può sentire un soffio, perché si collegano un sistema ad alta resistenza con uno a bassa resistenza. Allontanandosi dall’origine della fistola, fremito e soffio diminuiscono. Le complicanze più frequenti sono: • Stenosi: si possono localizzare ovunque lungo l’accesso, più spesso a livello iuxta-anastomotico, dove vi è il maggior shear stress, con la massima turbolenza ematica, quindi è più frequente l’iperplasia intimale. Vi possono essere stenosi anche a livello di protesi, soprattutto nei siti di puntura ripetuta. Vi sono stenosi venose centrali, incluse le stenosi dell’arco cefalico. In caso di stenosi, la vena pulsa come un’arteria; se vi sono stenosi che danno problemi di flussi, dialisi inefficace o scomparsa dei fremiti, è necessario un trattamento perché vi saranno problemi imminenti. Il trattamento di scelta per le stenosi iuxta-anastomotiche è l’angioplastica con palloni medicati; se inefficace, si posizionano stent coperti. L’impianto di stent nelle vene di solito non si esegue perché • Punto di Griffith: punto debole del circolo di Riolano, a livello dell’angolo colico sinistro, tra arteria colica sinistra ed arcata del colon trasverso. • Segmento di Reinerè: formato da un segmento dell’arteria mesenterica superiore, tra il punto a monte della colica media ed un punto a valle dell’ileo-colica. • Punto di Sudeck: a livello retto-sigmoideo, a livello di anastomosi tra arteria mesenterica inferiore ed iliaca interna. Ischemia mesenterica acuta L’eziopatogenesi è simile a quella negli arti inferiori. • Embolia: soprattutto cardiogena (80-90%), ossia FA, cardiopatia ischemica o reumatica, mixoma atriale (raro), endocardite batterica, protesi valvolare, IMA e aneurisma ventricolare. • Trombosi: su arteria mesenterica superiore aterosclerotica (es. stenosi sub-occlusiva, aneurisma, placca complicata) o sana (es. discoagulopatie). • Dissezioni aorto-iliache: chiudono l'ostio delle arterie tramite uno slaminamento della parete aortica. • Trauma (raro). Inizialmente vi è dolore intenso, con minimi reperti fisici; quando si sviluppa la necrosi, vi è dolorabilità addominale, reazione di difesa, rigidità e assenza di rumori intestinali. Le feci possono presentare tracce ematiche. Si sviluppano i segni dello shock che spesso sono seguiti dal decesso. La diagnosi è spesso clinica, ma si può eseguire angio-TC per la diagnosi di conferma (l’ecodoppler è difficile perché l'intestino, avendo aria, impedisce la penetrazione degli ultrasuoni). Dal punto di vista laboratoristico, vi sono innalzamento di PCR, lattati, LDH e leucocitosi a causa della necrosi. Il trattamento va fatto il prima possibile, ripristinando il flusso ematico prima che vi sia necrosi intestinale. Spesso si agisce quando vi è una sintomatologia importante. Non è coinvolta solo un’arteria, ma spesso sia il tripode celiaco che l'arteria mesenterica superiore e inferiore. Solo in casi gravi il chirurgo generale procede prima del vascolare: • Clinica di peritonite franca. • Segni all’angio-TC di perforazione viscerale. • Estesa sofferenza ischemica di ampie porzioni intestinali. La terapia chirurgica prevede: • Accessi: si cerca di rivascolarizzare il prima possibile. Si può avere un approccio diretto all'arteria mesenterica superiore, che dà molti più rami collaterali ad intestino tenue e colon, rispetto al tripode celiaco. Si può avere un approccio anteriore, preferito in caso di occlusione acuta a causa embolica, in cui si isola il 1° tratto di mesenterica superiore, oppure un accesso laterale, in cui si isola l’arteria mesenterica sopra l’origine. • Embolectomia: si incide e inserisce nell’arteria un catetere a palloncino, il catetere di Fogarty, che si gonfia, si retrae estraendo il trombo e poi si chiude. • Trombo-endarteriectomia: a volte, oltre all’embolectomia, va tolta la placca che causa la trombosi. Si asporta la placca e si ricostruisce l’arteria con un patch in vena. • Bypass: prende il sangue dall'aorta e lo porta a livello di mesenterica superiore tramite il mesentere. Si può eseguire anche un bypass con l’arteria iliaca, che permette di posizione una protesi dritta, mentre un bypass aorto-mesenterico richiede di piegare la protesi. Si può eseguire uma terapia endovascolare: si esegue una puntura a livello inguinale eco-guidata e si inserisce una guida. Si può accedere non solo dall'arteria femorale, ma anche dall’omerale, che essendo sotto il tendine del bicipite, non è semplice da pungere per via percutanea. È un approccio ibrido: si punge l’arteria, si passa con la guida a livello dell’aorta discendente e si esegue la procedura. • Trombo-aspirazione: si applica una pressione negativa tramite una macchina per asportare il trombo e ripristinare il flusso. • Stenting: la trombosi su placca può esitare in una stenosi all'origine dell'arteria mesenterica. Quindi, si mette uno stent, che dilata e mantiene l'apertura, e si esegue follow up. Si può eseguire con accesso anterogrado, dopo trombo-aspirazione, o retrogrado, in corso di embolectomia. • Trombolisi: tramite fibrinolisi (se vi è trombo-aspirazione incompleta o embolizzazione distale): si usa un catetere da trombolisi che presenta fori laterali o un unico foro, che si inserisce in arteria mesenterica superiore. Si esegue un’infusione continua almeno per 24-48 h di fibrinolitico, rTPA o urochinasi (per questo non è una terapia d’elezione, infatti si è in una condizione acuta). Si esegue follow-up per vedere se il trombo si è sciolto (angiografie seriate; eventuali residui sono da trattare con eparina). Ci sono controindicazioni: o Assolute: § Diatesi emorragica. § Recente trauma cranico. § Recente emorragia gastro-intestinale. § Evento cerebro-vascolare negli ultimi 3 mesi. § Neurochirurgia cranica o spinale negli ultimi 3 mesi. o Relative: § Gravidanza. § Endocardite. § Trombo intracardiaco. § Insufficienza epatica medio/grave. § Ipertensione severa mal controllabile. § Retinopatia emorragica o recente chirurgia oculare. § Recente intervento di chirurgia maggiore o trauma <10 gg. I trattamenti endovascolari hanno mortalità a 30 gg inferiore a quelli open; inoltre, la percentuale di resezione colica con successiva rivascolarizzazione è inferiore. È difficile fare confronti perché un trattamento chirurgico può avere indicazioni per patologie più avanzate rispetto al trattamento endovascolare. Tuttavia, si vi sono tempo e possibilità, il trattamento endovascolare evita il trattamento invasivo, con conseguenze anche generali. Ischemia mesenterica cronica (angina abdominis) Insufficienza mesenterica legata a una patologia cronica. Vi è dolore addominale post-prandiale, ad insorgenza tipica, dopo 20-30 min dal pasto e di durata di 1-2 h. Questo causa una riduzione dell'alimentazione con perdita di peso: il paziente fa pasti più piccoli e ripetuti nel tempo perché pasti più grandi causano dolore più forte. Si associa a disturbi dell'alvo (es. diarrea, costipazione, vomito e nausea). • Fascia d’età più colpita: 60-80 anni (anziani aterosclerotici), mentre nell’ischemia acuta i pazienti sono più giovani. • Sesso: 3F=2M. • Fumo: fattore di rischio più frequente (75% dei casi). • In 50% dei casi vi è arteriopatia degli arti inferiori, coronaropatia o storia di chirurgia vascolare. • Lesioni critiche di tronco celiaco (50%) e mesenterica superiore (30%) in autopsie di adulti >60 anni. Spesso si associano lesioni di tripode e mesenterica superiore, infatti l'ostruzione di uno dei 2 è compensata dall'altra arteria. Quindi, alla base vi è una patologia ostruttiva di almeno 2 rami arteriosi splancnici principali. Si possono eseguire una rivascolarizzazione chirurgica o endovascolare: va bilanciato il rischio operatorio di un intervento open; un trattamento mininvasivo è meno pesante; tuttavia, ha meno possibilità di successo a breve e lungo termine. Nel trattamento endovascolare, l’arteria mesenterica superiore è il target principale della rivascolarizzazione. Vi è una via retrograda dall'arteria femorale o una via anterograda, secondo il flusso dell’arteria ascellare o omerale (spesso calcifiche). L’angioplastica si associa ad una percentuale di re-stenosi importante, quindi si associano stent coperti, che presentano una membrana che permette il flusso ematico nello stent, senza che esca ai lati. Le controindicazioni sono: • Placche in tandem. • Estese calcificazioni. • Grande estensione della zona di trattamento. Per quanto riguarda il trattamento chirurgico, il bypass, singolo o multiplo, ripristina il flusso ematico direttamente dall'aorta all'arteria mesenterica: se non è disponibile una vena, si usa una protesi in PTFE. Il reimpianto è un'altra possibilità: si stacca il vaso, si toglie la placca e lo si impianta nella stessa sede. Un’altra possibilità è l’endo-arteriectomia, singola o multipla. Aneurismi aorta addominale Dilatazione localizzata permanente di un'arteria, con un diametro almeno di 50% maggiore (se minore si parla di “ectasia”) del diametro normale (secondo studi anatomici). Il diametro dell’aorta diminuisce in modo progressivo: l’a orta ascendente nell’uomo ha diametro di 4,7 cm (4,2 cm nella donna), mentre l’aorta discendente ha diametro di 3,7 cm (3,3 cm nella donna); a livello di biforcazione ha il diametro inferiore. Anatomia L’aorta nasce dal cuore: ha un tratto che va verso l'alto (aorta ascendente), da cui nascono le coronarie; poi inizia a curvare a sinistra e dà i tronchi sovra aortici, che di solito sono tronco anonimo (si divide carotide comune dx e succlavia dx), carotide sx e succlavia sx. Dopo l’emergenza della succlavia sx, l’aorta curva verso il basso e diventa aorta toracica discendente, che termina a livello di diaframma e diventa aorta addominale, decorrendo a ridosso della colonna vertebrale. Fattori di rischio Il fumo di sigaretta è il principale fattore di rischio, fortemente associato. Altri fattori sono età, aterosclerosi, ipertensione, etnia e storia familiare. Fattori protettivi sono sesso femminile, etnia afroamericana e diabete. Epidemiologia Si sviluppano in 35% dei casi nel tratto toracico, nel tratto di passaggio nel 2% e nel 65% a livello addominale (il 90% sotto le arterie renali). Possono svilupparsi al di fuori dell'aorta, come in arteria femorale o poplitea, che è uno dei siti più frequenti di aneurismi arteriosi periferici. Gli aneurismi sono pericolosi perché si possono rompere: aumentando il diametro, aumenta il rischio di rottura, infatti aumento le forze di parete. Se hanno diametro piccolo, <4 cm, vi è rischio di 0-3%/anno; a 4-5 cm il rischio cresce ma resta basso; in classe 5-6 cm, passa all’11%; >6-7 cm il rischio è maggiore. L'indicazione al trattamento è data dal diametro dell'aneurisma, infatti è il fattore di rischio principale. Morfologia Si usano protesi formate da una parte protesica (in Dacron o PTFE) e uno stent metallico (acciaio o, più spesso, Nitinolo). Lo stent è compresso in tubicini (introduttori) ed inserito con accesso femorale, che risale le iliache. Quando si retrae il catetere, la protesi si apre poiché costituita di Nitinol che assumendo un diametro preciso, si ancora a livello del coletto aortico sano. Una caratteristica che le distingue è avere stent scoperti, che vanno al di sopra delle arterie in questione (renali o viscerali) mantenendole aperte, permettendo un ancoraggio migliore. I vantaggi delle protesi sono: • Minore invasività. • Riduzione del dolore. • Minore mortalità e morbidità. • Riduzione dei tempi operatori e delle perdite ematiche. • Riduzione dei tempi di convalescenza ed ospedalizzazione. Vi sono 2 orientamenti nell’indicazione al trattamento endovascolare: • Orientamento restrittivo: indicazione solo in pazienti ad alto rischio chirurgico per stato generale compromesso o con bassa aspettativa di vita, fattori di rischio complicanti l’intervento, addome ostile (pazienti già sottoposti ad un intervento, con tessuto cicatriziale). • Orientamento estensivo: indicazione in tutti i casi con anatomia favorevole, ossia la maggioranza. In giovani con buona anatomia si consiglia il trattamento tradizionale, ma la maggior parte sono anziani, >75- 80 anni, con più comorbidità, quindi spesso si esegue un trattamento endovascolare. Non tutti possono andare incontro a trattamento endovascolare: vanno considerati altri fattori anatomici: • Adeguato colletto prossimale (sotto-renale) di aorta sana, per un corretto ancoraggio della protesi. • Zone di atterraggio distale (arterie iliache) con caratteristiche adeguate. • Accesso vascolare (dell’arteria femorale) adeguato: le arterie iliache esterne devono essere sane (libere da malattia ostruttiva o restrittiva, ad esempio aterosclerosi). • Arterie viscerali adeguate e libere da patologia. • Esclusione di aneurismi concomitanti, sia a livello di arterie viscerali che aorta toracica. Prima dell’intervento si devono ottenere, tramite TC, misurazioni accurate di diametri e lunghezze delle sezioni coinvolte. Fino a 5-10 anni fa era necessario fare un isolamento chirurgico a livello delle arterie femorali, ovvero un’incisione a livello inguinale per esporre l’arteria. Oggi, si usa un accesso endovascolare femorale percutaneo, sotto guida ecodoppler, evitando grosse cicatrici. Il sistema ProGlide è uno sistema di chiusura percutaneo che permette di passare punti chirurgici dove si inseriscono i cateteri, come se l’arteria venisse esposta, evitando di aprire il sito. Il vantaggio è la possibilità di usare grandi introduttori. Il vantaggio del trattamento endovascolare è che, in assenza di complicanze, il paziente torna rapidamente a casa. Negli interventi tradizionali il decorso post-operatorio è di almeno una settimana di ricovero perché, una volta aperto l’addome, vi sono un ileo paralitico, che deve risolversi per riprendere l’alimentazione con anche una lenta ripresa della mobilizzazione. I tipi di protesi si distinguono anche per il tipo di ancoraggio. • Ancoraggio sotto-renale: gli stent non arrivano sopra le arterie renali. Accesso femorale da cui si inserisce il catetere contenente la protesi, che si ancora a livello di colletto. Queste protesi si biforcano con accesso sia nell’iliaca destra che sinistra (prima una, poi l’altra). Il colletto è il tratto di aorta di calibro normale tra l'arteria renale inferiore e l'inizio dell'aneurisma. • Ancoraggio sovra-renale: con stent scoperti che si portano sopra le arterie renali, fino a livello di mesenterica superiore. Sono protesi che per garantire più stabilità e ancoraggio migliore, presentano una porzione metallica scoperta che lascia passare il flusso alle arterie renali, sfruttando una superficie più ampia di colletto. Un esempio di stent sovra-renali è il free flow, che permette il flusso ematico attraverso arterie renali e viscerali. Oltre agli aneurismi sotto-renali, sono trattabili aneurismi iuxta- o para-renali, grazie a protesi fenestrate, con finestre a livello dell’origine dei vasi renali e viscerali. Tramite questi fori, si incanulano i vasi, posizionando stent coperti, che collegano la protesi al vaso viscerale, in modo da garantire il flusso ematico e l’esclusione dell’aneurisma. La tecnica endovascolare presenta ospedalizzazione più breve e minor rischio intraoperatorio. Tuttavia, vi è rischio di endoleak, quindi è necessario un monitoraggio più stretto: la sacca aneurismatica può essere rifornita per via reflua da arterie che originano dall’aorta addominale, ossia arterie mesenteriche inferiori e lombari. Endoleak Le endoprotesi possono avere complicanze (maggiori rispetto al trattamento tradizionale), ossia gli endoleak, una perdita nella sacca aneurismatica. Le endoleak si dividono in 5 tipi (con frequenza e gravità diverse): • Tipo 1: perdita ematica che si infiltra tra pareti del colletto dell’aorta e protesi, che non si aggancia in modo adeguato, causando un flusso diretto nella sacca aneurismatica. È pericoloso perché continua ad aumentare il diametro di aneurisma e colletto, con rischio di dislocazione della protesi verso il basso. o 1A: flusso diretto dall’alto, dal colletto (prossimale). o 1B: flusso diretto dal basso, dall’arteria iliaca (distale). • Tipo 2: il tipo più frequente, in cui il sanguinamento proviene dalle arterie lombari per via reflua, con flusso indiretto derivante dalla circolazione collaterale. Ci può essere un endoleak dalla mesenterica inferiore, normalmente coinvolta dall’aneurisma. Si può trattare chiudendo questi piccoli vasi, ad esempio per via radiologica mini-invasiva (con piccole spirali metalliche). Raramente, essendo la pressione inferiore rispetto al tipo 1, il sanguinamento può dare un accrescimento della sacca. In TC si vedono i vasi che riforniscono la sacca aneurismatica, quindi che il sangue arriva per via reflua. • Tipo 3: disconnessione di alcune componenti dell’endoprotesi. A seconda delle componenti, vi sono protesi bimodulari (corpo principale si prolunga con un unico tratto in arteria iliaca) o trimodulari, con un corpo e 3 gambette che si inseriscono al loro interno. Si può aggiustare inserendo un’altra protesi che faccia da ponte tra le porzioni. • Tipo 4: forme rare, legate alla porosità del tessuto protesico, che permette la filtrazione di sangue, soprattutto all'inizio del trattamento. • Tipo 5 (endo-tension): non si individua la causa del problema, ma vi è una pressione continua sulle pareti della sacca che alcune volte porta all’accrescimento dell’aneurisma. OR vs EVAR • A breve termine: riduzione di mortalità e morbilità postoperatoria in pazienti sottoposti a EVAR, a scapito di maggior numero di procedure aggiuntive, in quanto sono necessari i trattamenti per chiudere i vasi che riforniscono la sacca. Inoltre, in casi di endoleak più gravi di tipo 1, vi è tasso di conversione annuo dell’1-2% (tasso di pazienti in cui è necessario passare alla chirurgia tradizionale per rimuovere la protesi inserita e mettere una protesi standard). I pazienti trattati per via tradizionale sono più stabili e vanno più raramente incontro a procedure aggiuntive negli anni. • A lungo termine: la riduzione della mortalità, legata a rottura degli aneurismi, in pazienti sottoposti ad EVAR si esaurisce a 4 anni. Nel tempo la sopravvivenza è superiore con la chirurgica tradizionale. Nel tempo vi è maggior peggioramento di funzionalità renale in pazienti trattati per via endovascolare e pazienti sottoposti a procedure secondarie, legato all’uso di mezzo di contrasto e raggi. Aneurisma toracico e toraco-addominale Possono andare incontro a rottura: il diametro dell’aneurisma è il fattore predittivo di rottura più importante. Il rischio di rottura aumenta se >6 cm: l'indicazione al trattamento è un diametro >6 cm. Questi aneurismi aumentano progressivamente di dimensioni. L’incremento annuale del diametro di un aneurisma toraco-addominale è variabile (1,9-3,4 mm/aa), ma il tasso di crescita aumenta, se il diametro è maggiore. La porzione distale dell’aorta toracica ha accrescimento più rapido rispetto ai segmenti prossimali. Epidemiologia L'incidenza è 6-10,4 casi/100.000/anno. Gli uomini hanno incidenza maggiore rispetto alle donne: le donne sono più protette, grazie alla produzione di estrogeni, tuttavia dopo la menopausa vi è cambiamento di assetto ormonale e rischio, portando ad incidenza maggiore rispetto agli uomini. Le donne che sviluppano aneurismi toraco-addominali hanno fattori di rischio cardio-vascolari più aggressivi, per cui il rischio operatorio nelle donne è maggiore. I fattori di rischio di rottura sono: • Età. • BPCO. • Diametro dell’aorta addominale aumentato. • Diametro dell’aorta toracica discendente aumentato. • Dolore (si riscontra in fase di rottura dell’aneurisma). Eziopatogenesi • Causa degenerativa (80% dei casi), soprattutto l’aterosclerosi. • Associata a dissezioni (15-20%). • Associata a malattie del tessuto connettivo (sindrome di Marfan, di Ehlers-Danlos, Loeys-Dietz) • Causa infettiva: sifilide, TBC, aneurismi micotici (Salmonella, H. influenzae, Staphylococcus sp.) • Altre cause: aortiti, malattia di Takayasu, aortite reumatoide, spondilite anchilosante, sindrome di Reiter, aneurismi postoperatori (<1%), ecc… Classificazione Coinvolgono spesso almeno uno dei vasi viscerali, quindi il trattamento è più complesso. Si classificano in base all’estensione e la classificazione di Crawford individua: • Tipo 1 (25%): riguarda l’aorta toracica discendente, dalla succlavia sx fino al tratto sovra-renale. • Tipo 2 (30%): riguarda tutta l’aorta toraco-addominale, dall’emergenza della succlavia sinistra fino alla biforcazione delle iliache. • Tipo 3 (<25%): è più distale, riguarda una parte della toracica discendente e tutta l’addominale, dal VI spazio intercostale fino alla biforcazione delle iliache. • Tipo 4 (<25%): riguarda solo l’aorta addominale sotto-diaframmatica, ma il trattamento prevede un ancoraggio a livello toracico. L’origine dei vasi viscerali è interessata in toto: tripode celiaco, arteria mesenterica superiore, arterie renali e arteria mesenterica inferiore. • Tipo 5 (molto raro): riguarda l’aorta toracica distale, dal VI spazio intercostale fino sopra l’emergenza delle arterie renali. Diagnosi Sono per la maggior parte asintomatici; di solito la diagnosi è casuale, con esami svolti per altri motivi. Spesso la diagnosi è posta dopo un RX torace, che evidenzia i contorni aortici calcifici, ponendo il sospetto di aneurisma toracico. Se vi è il sospetto, si deve eseguire un’angio-TC, infatti con l'ecodoppler non si riesce a fare un esame dell'aorta toracica a causa dell'aria nei polmoni e delle ossa della gabbia toracica. • Dolore addominale, con irradiazione dorsale e spesso si propaga verso gli arti inferiori. • Massa pulsante addominale, che non necessariamente è l’aneurisma, ma di solito è l’ematoma che sta infiltrando parete, spazio retroperitoneale e mesi, e trasferisce loro la pulsazione. L’aneurisma aortico rotto è un’emergenza chirurgica assoluta, con mortalità elevata: 30-70% ospedaliera, 90% considerando anche i deceduti in casa o nel trasporto. L’angio-TC è il 1° esame da fare in sospetto di aneurisma rotto, se il paziente è stabile: un segno di instabilità, è il mezzo di contrasto all’interno del trombo. Se il paziente è instabile va subito in sala per un intervento di emergenza di clampaggio dell’aorta a monte dell’aneurisma per evitare l’emorragia. Il trattamento più usato è quello endovascolare, ma indipendentemente da ciò, la 1ª manovra assoluta è l’inserimento di un pallone aortico a monte dell’aneurisma. Il tempo medio tra inizio della sintomatologia e decesso è in media 16 h: in questo tempo si comprende anche coloro che muoiono entro 2 h, ma questi spesso non raggiungono nemmeno l’ospedale (solo il 13% dei casi che raggiungono l’ospedale muoiono entro 2 h). Il tempo per fare un’angio-TC è 25 min nei centri altamente organizzati; quindi, siccome non incide sulla mortalità ed è di aiuto all’intervento di riparazione, è mandatoria. Trattamento medico I pazienti arrivano in ospedale con pressione bassa, ma non possono ricevere terapia medica per alzarla, poiché aumenterebbe l’emorragia. Si mantiene un’ipotensione permissiva, un valore di pressione abbastanza alto per garantire la vascolarizzazione degli organi importanti e abbastanza basso da controllare l’emorragia; i valori ottimali sono valori di pressione sistolica di 70-90 mmHg. Trattamento chirurgico Una volta, in tutti i casi si eseguiva una laparotomia il più rapidamente possibile. Negli ultimi decenni, si sono sviluppati trattamenti endovascolari che, se possibili, sono migliori: i pazienti sono in shock e hanno un grosso stress dato dall’emorragia; quindi, è preferibile trattarli in modo mininvasivo. Vi è minor mortalità ad 1 anno con il trattamento endovascolare; anche nel follow up a 3 anni; inoltre, vi è significativo vantaggio economico. Un 47-67% dei casi può beneficiare di un intervento endovascolare, che richiede certe condizioni anatomiche che consentano un corretto ancoraggio prossimale e distale dell’endoprotesi. I criteri di inclusione sono: • Calcificazioni <40%. • Angolazione colletto aortico <60°. • Lunghezza colletto prossimale >12 mm. • Possibilità di preservare un’arteria ipogastrica. • Colletto non di forma conica, che sfavorisce l’ancoraggio della protesi. • Diametro iliaco 6-20 mm, per garantire una zona di ancoraggio adeguata. • Diametro aorta prossimale <32 mm: non vi sono endoprotesi >36 mm quindi considerando un minimo sovradimensionamento della protesi, non è possibile trattare condizioni con diametro >32 mm. Maggiore è la lunghezza del colletto prossimale, minore è la mortalità intra-operatoria, in quanto si semplifica l’intervento. Lo stesso vale per interventi tradizionali in cui bisogna mettere la clamp a livello sotto-renale e confezionare l’anastomosi. È possibile clampare più in alto, a livello sovra-renale o sovra-diaframmatico, ma la durata del clampaggio deve essere limitata per evitare lo sviluppo di insufficienza renale o viscerale. Per il controllo del sanguinamento intra-operatorio in aneurismi instabili, è fondamentale avere un pallone aortico che arresti l’emorragia consentendo l’inserimento dell’endoprotesi. Negli interventi open per arrestare il sanguinamento bisogna posizionare una clamp. L’emorragia causa uno scollamento dei tessuti che diventano lassi per cui con le mani si riesce a individuare il colletto e posizionare la clamp. Complicanze aneurisma dell’aorta addominale rotto • Locali: o Sanguinamenti: causato da possibile sbilanciamento del sistema coagulativo. o Ischemia arto inferiore: conseguente a clampaggi prolungati necessari a riparare condizioni anatomiche complesse e/o squilibri coagulativi favorenti la trombosi. o Infarto intestinale: rari, conseguenti a clampaggi alti prolungati. o Paraplegia: rara se si interviene a livello aortico (<2%). • Sistemiche: o Infarto miocardico: essendo persone portate d’urgenza in sala operatoria, non si può valutare la condizione coronarica. o Insufficienza respiratoria. o Insufficienza renale: legato al clampaggio a livello delle arterie renali o sopra le stesse; se si associa a dialisi temporanea o permanente il rischio di mortalità aumenta. o MOF: insufficienza multiorgano. Fattori prognostici La sopravvivenza è migliorata, grazia alle nuove tecniche; le variabili associate alla mortalità sono: • Pre-operatorie o Shock. o Perdita di coscienza. o Aumento dei bicarbonati. o Pressione sistolica e/o diastolica molto bassa all’arrivo in PS. o GAS (Glasgow Aneurysm Score): fattori che predicono la mortalità. o Arteriopatia ostruttiva degli arti inferiori: rischio di patologie coronariche associate o ischemie degli arti inferiori. • Intra-operatorie: o Durata procedura. o Funzionalità renale. o Clampaggio: se sopra o sotto-renale. o Lunghezza del clampaggio soprarenale. o Necessità di grosse quantità di sangue trasfuso. o Rottura intra-peritoneale: associata in modo più significativo alla mortalità. • Post-operatorie: o Ictus. o Infarto miocardico. o Lunga degenza in terapia intensiva. o Ischemia intestinale: prognosi piuttosto infausta. Le variabili più significative sono: • Score di mortalità. • Rottura intra-peritoneale. • Arteriopatia degli arti inferiori. • Bassa pressione diastolica all’arrivo in PS. • Bicarbonati bassi, quindi acidosi metabolica. Rottura traumatica dell’aorta Interessa l’istmo dell’aorta toracica, ovvero la zona dopo l’origine della succlavia sinistra, in corso di incidenti stradali o sportivi gravi. La rottura avviene a livello di istmo perché è l'unica parte di aorta mobile tra 2 parti fisse, arco ed aorta toracica, fissata dalle arterie intercostali. I pazienti sono tipicamente giovani e l’80% decede sul luogo dell’incidente. Sono legati a rapide decelerazioni e cadute, con compressione toracica. Vi sono: • Rottura parziale. • Rottura circonferenziale. • Estensione retrograda all’arco aortico. La gravità della rottura può variare: • Grado 1: piccola rottura dell’intima. • Grado 2: ematoma intramurale, nella parete. • Grado 3: pseudo-aneurisma circonferenziale, in cui la parete è rotta ma tamponata dagli strati più esterni (avventizia e tessuti circostanti). • Grado 4: rottura verso l’esterno. La terapia si divide in: • Approccio endovascolare: approccio preferito nelle rotture istmiche. Ha rivoluzionato la prognosi, in quanto, prima delle endoprotesi, si eseguiva una toracotomia con clampaggio aortico, in una zona di aorta toracica rotta con alti rischi. Si esclude la rottura tramite copertura da parte dell’endoprotesi. Se la rottura è vicina all’arteria succlavia, in emergenza può essere necessaria anche la sua copertura. Questo spesso può non dare disturbi ai circoli collaterali ma, se dà disturbi, si può rivascolarizzare tramite un bypass carotido-succlavio. La carotide comune non può essere coperta per rischio di stroke troppo elevato. • Approccio open: in caso di lesione istmica, si esegue toracotomia sinistra postero-laterale lungo il IV spazio intercostale, seguito da clamp prossimale tra carotide comune sinistra e succlavia sinistra, e clamp distale in aorta toracica. A volte si deve mantenere la perfusione aortica distale viscerale tramite bypass cardio-polmonare, incannulando vena polmonare sinistra inferiore e aorta toracica. Si inserisce l’aorta rotta con una protesi sintetica, di cui non si conoscono gli effetti a lungo termine, ma essendo eseguito su giovani, in futuro potrà essere limitante dato che una protesi non risponde alle necessità fisiologiche di un vaso arterioso. Dissezione aortica Riguarda anche la porzione ascendente dell’aorta vicino a valvole e cuore, per cui è necessaria una circolazione extra-corporea per la riparazione. È relativamente frequente ma di difficile trattamento, a metà tra chirurgia vascolare e cardiochirurgia. Vi è separazione delle tonache della parete aortica, ad opera del flusso ematico che si infiltra tra tonaca intima e media, o tra gli strati della tonaca media, e forma un doppio lume (lume falso e vero), ed entrambi possono avere flusso di sangue, anche ad alta portata. Spesso il sangue trova una via d’uscita più distalmente o prossimalmente. È dovuta a evento spontaneo, spesso legato ad un picco ipertensivo o alla debolezza congenita della parete. Cenni storici Uno dei pionieri del trattamento delle dissezioni aortiche è stato DeBakey nel ‘900. Questa patologia è stata descritta per la prima volta a metà del ‘700 da Morgagni, che si era imbattuto in questa patologia durante una dissezione anatomica. Morgagni descrive anche una delle complicanze della dissezione dell’aorta toracica ascendente, ossia la rottura in pericardio. Tipologie di intervento • Dissezione acuta: o Messa a piatto (principale): si apre la parete e si sostituisce con un tratto di protesi sintetica (40-80% mortalità in urgenza, 32% paraplegia). o Fenestrazione: il falso lume, con pressione maggiore, schiaccia il vero lume (mal perfusione), allora si rompe la membrana che separano i 2 lumi per riequilibrare la pressione in modo che il vaso resti pervio. Ciò può essere fatto sia in via chirurgica che endovascolare. Per via open si apre la parete e si rompe la membrana, poi chiusa con un patch; per via endovascolare, si entra nel falso lume e si dilata con un palloncino, oppure si può entrare e uscire nel falso lume recuperando il filo nel vero lume e strappando la membrana. È un intervento rischioso che si può eseguire in casi disperati. o Endoprotesi: in fase acuta è rischiosa perché la parete è indebolita e rischia di rompersi, causando la dissezione retrograda di aorta toracica, arco ed ascendente. L'endoprotesi deve coprire la breccia superiore della dissezione, in modo da ridurre le pressioni nel falso lume • Dissezione cronica: o Messa a piatto con innesto protesico: più facile perché la parete e più spessa e robusta. o Endoprotesi. o Trattamento ibrido (chirurgico ed endovascolare). Storia naturale delle dissezioni croniche La parete indebolita tende a dilatarsi portando alla formazione di aneurismi. Si può sostituire una parte di aorta, ma non è un trattamento risolutivo perché l’arteria può dilatarsi distalmente; si può aggiungere un’endoprotesi per eliminare il falso lume, riequilibrare l’emodinamica e far riassorbire la dissezione. Alcune volte si osserva una dilatazione solo a livello di aorta sotto-renale: in questo caso si può inserire un innesto aortico, ossia una protesi, e in occasione di ciò si può eseguire un intervento di fenestrazione. Ulcera aortica penetrante Ulcerazione di una placca aterosclerotica aortica che rompe la lamina elastica interna penetrando fino alla tunica media. Spesso si verificano in zone di alterazione aterosclerotica significativa, anche se solo in 53% dei casi si associano a placche aterosclerotiche. Sono il 2-8% delle sindromi aortiche acute e la maggior parte si manifesta nell’aorta toracica discendente; vi sono altre localizzazioni che spiegano la varietà dei sintomi: • Aorta toracica ascendente e arco: dolore retro-sternale (47%) o infra-scapolare (40%). • Aorta toracica discendente: dolore dorsale (38%), retro-sternale (14%) o addominale (14%). • Aorta toraco-addominale: dolore dorsale (45%), retro-sternale (22%), combinato (22%) o addominale (11%). • Aorta addominale: dolore lombare (46%), ischemia arti inferiori (11%), shock (4%). Trattamento L’obiettivo è evitare la progressione verso la dissezione e, in rari casi, verso la rottura dell’aorta: • Asintomatici (o sintomatologia controllata) con singola ulcera: follow up radiologico e Best Medical Therapy (controllo ipertensione arteriosa e ipercolesterolemia). • Sintomatici con imaging predittivo di pre-rottura aortica: indicazione chirurgica. • Diametro aortico adiacente all’ulcera aortica penetrante di >60 mm o ulcera di diametro >20 mm e spessore >20 mm: vanno trattati. Ematoma aortico intramurale Presenza di sangue nella parete aortica senza interruzione intimale o identificabile punto d’entrata all’imaging. Si può definire come ispessimento >5 mm della parete aortica, circolare o a mezzaluna, in assenza di membrana dissecante, interruzione intimale o flusso nel falso lume. È difficile distinguere un ematoma intramurale da una dissezione iniziale o da una velocemente tamponata. L’ematoma sintomatico deve allertare perché può indicare un’iniziale dissezione. Si osserva un’aorta normale, che evolve in ematoma di parete crescente, che può coinvolgere tutta la parete ed associarsi a ulcera penetrante e dissezione totale. Sono patologie difficili da riconoscere, che spesso passano velocemente alla dissezione, quindi va eseguito un follow up stretto. Alcuni fattori di rischio per la progressione includono coinvolgimento dell’aorta ascendente, diametro aortico >50 mm all’imaging iniziale e dolore persistente. EBM Si basa su basi scientifiche solide derivanti dall’epidemiologia. Si basa su una conoscenza, un’analisi di ciò che viene pubblicato in letteratura internazionale e questi lavori hanno un livello qualitativo diverso perché gli studi prospettici randomizzati hanno una qualità scientifica superiore. Metanalisi e revisioni di studi randomizzati sono messi insieme e hanno la massima qualità scientifica. Vi sono studi di coorte, prospettici o retrospettivi (basati sul confronto fra un gruppo analizzato per l’uso di una terapia, ad esempio, ed un gruppo controllo, ossia studi caso-controllo). Vi sono pubblicazioni di casi clinici particolari la cui validità scientifica è una prova opinabile. Infine c’è l’opinione degli esperti, da considerare ma poco scientifica. Il rischio di bias è crescente man mano che si scende di livello. Questa evidenza scientifica ha dato luogo a raccomandazioni: le società mediche nazionali e internazionali si riuniscono e, sulla base di queste evidenze, forniscono raccomandazioni sulla validità di un trattamento. Vi sono vari gradi di raccomandazioni basate su vari livelli di evidenza: raccomandazioni consigliate, da consigliare o non consigliate. Vi sono vari sistemi di grading delle raccomandazioni. I sistemi americani dividono la forza della raccomandazione in: • Grado A: basato su metanalisi, review di studi prospettici randomizzati (Ia) o singoli studi prospettici randomizzati (Ib). • Grado B: basato su studi clinici prospettici non randomizzati (IIa), studi prospettici di qualità inferiore (IIb) e studi retrospettivi (III). • Grado C: basato su opinioni degli esperti. Il sistema inglese ha una gradazione ABCD, basato su metanalisi e studi prospettici randomizzati; si basa su una classificazione 1++, 1+, 1-, ecc…, ma è poco usato. A livello europeo, la società europea di cardiologia ha stabilito criteri adottati da quella di chirurgia vascolare; spesso le linee guida sono date dalla collaborazione tra società europea di chirurgia vascolare e di cardiologia. In questo caso le raccomandazioni si dividono in: • Classe I: accordo chiaro e preciso per cui il trattamento è efficace e utile in quelle condizioni cliniche. • Classe II: forza inferiore, ci sono evidenze un po’ contrastanti ed è divisa in classe IIa (peso a favore del trattamento) e classe IIb (un po’ meno a favore). • Classe III: il trattamento non va fatto; ci sono evidenze che dicono che ha un risultato sfavorevole. Ci sono livelli di evidenza A,B e C: • A: studi prospettici randomizzati multipli e che possono essere uniti nelle metanalisi. • B: singolo studio randomizzato o studio non randomizzato con grandi casistiche (basati su registri nazionali e internazionali). • C: consenso dell’opinione degli esperti e/o piccoli studi, studi retrospettivi, registri. Ictus Epidemiologia Vi sono 200.000 casi/aa: 1ª causa di disabilità, 2ª causa di demenza e 3ª causa di morte, dopo cardiopatie e tumori. L’80% degli ictus è ischemico, con necrosi del tessuto nervoso, il 20% è di natura emorragica, con danno spesso permanente del tessuto nervoso, il 10-15% da cause intraparenchimali di natura meno chiara e il 3-5% dei casi da emorragie subaracnoidee. L’ictus colpisce in maniera quasi uguale i 2 sessi, con lieve prevalenza nelle donne; inoltre, è in relazione con vari fattori di rischio come ipertensione, diabete, fumo, FA e malattie cardiovascolari. Anatomia Vi sono tronco anonimo, che nasce a livello di arco aortico ed origina carotide comune dx e succlavia dx, carotide sx e succlavia sx. La carotide comune si divide in carotide esterna, che irrora muscoli e tessuti della parte esterna di faccia e cranio, e carotide interna, che va a livello intracranico e si unisce agli altri 3 rami: carotide interna controlaterale e le 2 arterie vertebrali (1° ramo di succlavia dx e sx); queste ultime si uniscono con l’arteria basilare dando i 2 rami posteriori che si uniscono a formare il circolo del Willis. L’arteria decorre sotto lo sternocleidomastoideo, lateralmente alla giugulare interna, mentre il nervo vago decorre fra giugulare interna e carotide comune. Fisiopatologia Vi è un evento ischemico legato ad una placca aterosclerotica che si sviluppa a livello di biforcazione carotidea, ma soprattutto a livello di carotide interna: è la sede tipica dove si sviluppano le placche aterosclerotiche che danno l’ictus ischemico su base della stenosi della carotide extra-cranica. Si sviluppa una placca che da alterazioni del flusso; se la placca si rompe, si ha il circolo di suoi frammenti, con micro-embolizzazione a livello distale ed occlusione dei piccoli rami terminali che non hanno circolazione collaterale, causando l’ictus cerebrale, ossia morte ischemica del tessuto nervoso. Una placca irregolare più facilmente può dare questa sintomatologia. Da una placca ulcerata si può formare un trombo che embolizza a livello intracranico. Sintomatologia dell’insufficienza cerebro-vascolare • TIA (attacco ischemico transitorio): deficit neurologico temporaneo dato da un’ischemia focale, da una parte limitata del tessuto cerebrale. Vi è sintomatologia specifica, ma in TC non vi è alterazione del parenchima. Non dura oltre 24 h (si parla di stroke), ma passa dopo qualche minuto (30-60 min). • Stroke: disfunzione neurologica cerebrale o retinica, data da morte cellulare, quindi deve esserci evidenza di danno permanente. Vi è una sintomatologia che non regredisce, accompagnata da lesione visibile in TC. • Infarti silenti: non c’è sintomatologia, il paziente non si è accorto di nulla, ma per altri motivi fa una TC cerebrale e si scopre che c’è stato un infarto. Sono sempre da ricercare. Sintomi di ischemia emisferica (territorio carotideo) • Deficit sensitivo monolaterale dell’arto superiore/inferiore o dei muscoli della faccia. • Deficit motorio monolaterale dell’arto superiore/inferiore o dei muscoli della faccia. • Deficit sensitivo e motorio concomitanti (più frequente): a volte deficit di motilità con sensibilità conservata oppure il contrario. quindi, pesando rischi e benefici dell’intervento, è più vantaggioso essere conservativi. Tuttavia, vi sono caratteristiche di placca e TC cerebrale che fanno propendere per l’intervento: o Cliniche: storia di ictus a livello di carotide controlaterale. o TC/RM: infarti intracranici silenti a livello dello stesso emisfero. o RM: emorragia intra-placca e core lipidico grande. o Doppler: § Micro-embolizzazione. § Placche grandi (>80 mm2). § Ulcere di placca estese (> 8mm2). § Riserva vascolare cerebrale diminuita. § Progressione veloce (6 mesi-1 aa) >20%: indice di instabilità di placca. § Placche con eco-lucentezza: vi è una banda nera a livello della placca carotidea, segno di placca “soft”, fragile, che può dare più facilmente embolizzazioni. • Sintomatici: evidenza molto più forte (IA) a sostegno di un intervento, da eseguire il prima possibile, meglio entro i primi 14 gg, quando il rischio è più alto. Un’altra raccomandazione di classe IA indica che in questi pazienti è necessario eseguire un’endarteriectomia carotidea e non uno stenting, rischioso perché dilatando lo stent, la placca può originare micro-embolizzazioni. Controindicazioni all’intervento • Ragioni tecniche: obliterazione carotide interna. • Decadimento psichico grave: gestione difficile di chirurgia e decorso post-operatorio. • Infarto cerebrale in atto: rivascolarizzando il territorio, si può trasformare l’infarto in emorragico. Dipende anche dall’estensione della lesione: non bisogna rivascolarizzare se il territorio ischemico è >1/3 del territorio della cerebrale media, ossia circa 2 cm di diametro. • Lesioni a tandem: se vi sono lesioni contemporanee a livello intracranico e di biforcazione e la lesione carotidea intracranica è >80%, non c’è indicazione al trattamento della lesione della biforcazione. L’età anagrafica non è una controindicazione all’intervento. Interventi chirurgici • Endoarterectomia carotidea: Si isola carotide comune, situata sotto lo SCOM, carotide esterna con il suo 1° ramo (tiroidea superiore), e carotide interna. Si clampa la carotide, si esegue un’arteriotomia longitudinale e si esegue l’endoarterectomia che dura 2-4 min. Il margine distale dell’endoarterectomia, che deve essere senza frustoli di tessuto che possano andare a livello cerebrale, è chiamato over pass. Durante l’intervento va interrotto il flusso ematico all’encefalo: il compenso emodinamico dell’emisfero controlaterale può essere insufficiente a causa di stenosi, ostruzioni carotidee o incompletezza del circolo del Willis. Quindi, si inserisce uno shunt che prenda il sangue dalla carotide comune e lo porti alla carotide interna sopra e sotto l’incisione. Tramite EEG si può verificare se c’è un buon compenso, con rivascolarizzazione del territorio sofferente, tuttavia può non essere preciso, quindi si inserisce sempre lo shunt. Infine, si chiude l’arteriotomia con un patch: di solito di usa il gorotex, ma a volte si preleva parte di vena safena o si usa pericardio bovino. Si potrebbe eseguire una sutura per 1ª intenzione, ossia una sutura diretta dell’arteria senza apposizione di un patch, però vi è più rischio di complicanze immediate e nel follow-up. • Endoarterectomia per eversione e rimpianto: Sezione trasversa totale della arteria carotide interna ed eversione: la parte più esterna è rovesciata “come un calzino” che è “posto” sulla placca. Poi si esegue il reimpianto a livello distale o sullo stesso tratto su cui si trovava all’origine. Si usa questa tecnica ad esempio se la carotide è curva e allungata (kinking, coiling) in quando permette di accorciarla e renderne più rettilineo il decorso. Questi interventi sono eseguibili in anestesia locale ma di solito è richiesta l’anestesia generale, perché serve una certa esperienza dell’anestesista nell’effettuare certi tipi di anestesie. L’anestesia locale ha un vantaggio: il paziente è sveglio, quindi la funzionalità motoria degli arti è controllabile. In anestesia generale si sostituisce tale monitoraggio con un EEG in continuo. • Carotid Artery Stenting: Rischio più alto di eventi cerebrovascolari intra-operatori, perciò si riserva a certe condizioni: • Stenosi carotidee post-attiniche (non calcifiche): vi sono tessuti resistenti. • Stenosi iuxta-craniche: molto alte; è difficile accedere alla carotide in quelle zone. • Ristenosi carotidee: intervenendo di nuovo, aumenta il rischio di lesione dei nervi cranici. • Colli ostili: hanno subito interventi per altri motivi (neoplasie cervicali, svuotamento latero-cervicale, tracheostomia). • Paralisi corda vocale controlaterale: per lesione del nervo laringeo, una complicanze dell’intervento. Se vi è pregressa paralisi controlaterale il passaggio d’aria sarà impedito e diventerà un’emergenza. • Cantanti professionisti o oratori: per il rischio di paralisi della corda vocale, con abbassamento del tono della voce e disfagia. Tali disturbi di solito migliorano tramite logo-fisioterapia e compenso della controlaterale sana. Le controindicazioni sono: • Placche soft. • Stenosi con elevate calcificazioni circonferenziali: lo stent può non riuscire a dilatare correttamente. • Lesioni con evidenza di trombo intra-luminale: con il posizionamento dello stent potrebbe dislocarsi ed embolizzare ai vasi intracranici. • Anatomia sfavorevole dell’origine dei tronchi sovra-aortici: lo stent è trasportato da una guida che risale dall’arteria femorale poi iliaca, aorta, origine della carotide, in cui se vi sono placche possono dislocarsi provocando embolizzazione. Questo rischio vi è soprattutto in anziani in considerazione di tale fattore anatomico. La procedura di Carotid Artery Stenting prevede: • Doppia anti-aggregazione (ASA e Clopidogrel): si riduce il rischio di evento cerebro-vascolare. • Anestesia locale. • Eparina. • Accesso femorale percutaneo. • Avanzamento guida fino alla carotide esterna per posizionare filtri a ombrello che blocchino eventuali frammenti staccati dalla placca durante la dilatazione. • Posizionamento di catetere in arteria carotide comune pre-bulbare. • Stent auto-espandibile. • Angioplastica intra-stent. A fine procedura si esegue un’angiografia di controllo. Lo stenting carotideo è mini-invasivo, si svolge in anestesia locale e il giorno si può dimettere il paziente, ma vi è maggior rischio di complicanze rispetto all’endarteriectomia, che ha percentuali di morte e stroke a 30 giorni inferiori rispetto allo stenting. Kinking carotideo (ICAET) Si tratta di una tortuosità delle arterie carotidi interne. Con l’invecchiamento o per predisposizione anatomica ci possono essere inginocchiamenti che rendono l’arteria tortuosa. L’intervento chirurgico avrà complessità diversa a seconda della localizzazione del kinking: più si colloca in alto più è difficile da approcciare. Una delle classificazioni si riferisce alla localizzazione anatomica: • Sotto il nervo ipoglosso. • A livello del nervo ipoglosso. • Tra nervo ipoglosso e glossofaringeo. • A livello di nervo glossofaringeo. • Alla base cranica o iuxta-craniche. Uno degli interventi possibili è il reimpianto di carotide interna su carotide comune: si seziona la carotide interna alla sua origine, si esegue l’endarteriectomia e si reimpianta più distalmente. Insufficienza cerebrovascolare posteriore: stenosi vertebrale Le arterie vertebrali nascono dalla succlavia e insieme alle carotidi vascolarizzano l’encefalo: contribuiscono alla vascolarizzazione posteriore, in particolare di tronco encefalico, cervelletto, lobi occipitali e in molti casi dei lobi temporali inferiori e buona parte dei talami. Vi sono patologie simili a quelle del circolo anteriore: stenosi, embolizzazione, ecc… Circa 1/5 degli stroke ischemici sono causati da stenosi delle arterie vertebrali (proporzione minore rispetto agli stroke da stenosi carotidea). Le cause di stroke/TIA vertebro-basilare sono simili a quelle del circolo anteriore, soprattutto da stenosi aterosclerotiche. La stenosi di queste arterie presenta sintomi diversi dalla stenosi carotidea: • Atassia. • Vertigini. • Nistagmo. • Perdita del visus completa per danno corticale. • Emianopsia per coinvolgimento selettivo di certi territori occipitali e non dell’intero lobo. • Debolezza bilaterale degli arti, che si può manifestare con il drop attack: caduta a terra senza perdita di coscienza poiché causata da debolezza dell’arto inferiore. Nelle stenosi vertebrali asintomatiche non si interviene poiché i rischi sono superiori ai benefici. Essendo di un territorio di difficile accesso, poiché le vertebrali decorrono tramite i forami vertebrali, si può effettuare un accesso solo prossimale o distale che è ostico. Nell’approccio endovascolare, le complicanze sono relate alle ridotte dimensioni dell’arteria e al fatto che non ci siano stent specifici per tale patologia, per cui si usano quelli coronarici. I pazienti sintomatici con stenosi di 50-99%, possono essere valutati per il trattamento, ma questa raccomandazione ha evidenza bassa (IIb). Trattamento • Chirurgico: o Bypass carotido-vertebrale con esclusione del tratto stenotico. o Reimpianto carotido-vertebrale. • Endovascolare: o Angioplastica (semplice o con pallone medicato). o Stenting. Furto di succlavia
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