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Chirurgia vascolare, Sintesi del corso di Chirurgia Generale

Vengono trattate patologie come le Malattie cerebrovascolari, gli aneurismi, le arteriopatie degli arti inferiori, le ostruzioni arteriose acute, le patologie venose incluse le varici e la trombosi venosa profonda. per ogni patologia viene descritto il trattamento chirurgico, il tutto correlato di immagini. si prende in considerazione anche i principi della chirurgia endovascolare e l'assistenza infermieristica in chirurgia vascolare.

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

In vendita dal 21/10/2020

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Scarica Chirurgia vascolare e più Sintesi del corso in PDF di Chirurgia Generale solo su Docsity! 2 SISTEMA VASCOLARE MALATTIE CEREBROVASCOLARI Le arterie carotidi sono due grossi vasi sanguigni situati ai lati del collo; insieme alle arterie vertebrali, le carotidi con le loro numerose ramificazioni irrorano la testa ed il collo, trasportando sangue ricco di ossigeno dal cuore all'encefalo e alle strutture facciali. L'arteria carotide comune di sinistra deriva direttamente dall'arco aortico, mentre quella di destra origina dall'arteria innominata (o anonima). Anatomicamente, ciascuna carotide è distinguibile in: → Carotide comune; → Carotide interna; Le arterie carotidi comuni risalgono profondamente nel collo e si dividono a livello della laringe (pomo d'Adamo) in un'arteria carotide esterna e in una interna.  Le arterie carotidi esterne irrorano le seguenti strutture: collo, faringe, esofago, laringe, mandibola, cuoio capelluto e volto.  Le arterie carotidi interne, invece, entrano nel cranio a livello dei fori carotidei delle ossa temporali, apportando sangue all'encefalo. Da qui risalgono fino a livello del nervo ottico, dove si dividono in tre rami: arteria oftalmica (vascolarizza l'occhio), arteria cerebrale anteriore (irrora i lobi frontali e parietali dell'encefalo) e arteria cerebrale media (apporta il sangue al mesencefalo e alle strutture laterali degli emisferi cerebrali). L'encefalo è estremamente sensibile alle modificazioni dell'apporto vascolare, tanto che un'interruzione della circolazione per pochi secondi produrrà incoscienza, mentre dopo circa quattro minuti i danni cerebrali risulteranno permanenti. Queste crisi circolatorie sono rare, poiché il sangue può raggiungere l'encefalo anche attraverso le arterie vertebrali. Le carotidi interne generalmente forniscono sangue alla metà anteriore del cervello, mentre il resto dell'encefalo riceve sangue dalle arterie vertebrali. Questa distribuzione può però mutare facilmente: le arterie carotidi interne e una porzione dell'arteria vertebrale (cioè l'arteria basilare) sono interconnesse dal circolo del Willis, un circuito anastomotico ad anello, che si trova a circondare l'ipofisi. Grazie a questo circolo arterioso cerebrale, la possibilità che si verifichi una grave interruzione dell'apporto vascolare all'encefalo è ridotta. ARTERIOSCLEROSI Con il termine arteriosclerosi si identificano tutte le forme di indurimento, ispessimento e perdita di elasticità della parete arteriosa, quali l'aterosclerosi, l'arteriolosclerosi e la sclerosi calcifica di Mönckeberg: si tratta quindi di un termine generale. La patologia più comune che colpisce il sistema carotideo è l'arteriosclerosi. Essa è una malattia tipica delle arterie e si presenta con le seguenti caratteristiche:  Aumento di consistenza, a cui fa seguito un indurimento tissutale, della parete vasale. Si parla, in questo caso, di sclerosi.  Spessore del vaso modificato: ispessimento o assottigliamento.  Lunghezza del vaso modificata: l'arteria si allunga e diventa più tortuosa.  Superficie interna modificata: diventa irregolare.  Calibro modificato: dilatazione o stenosi del vaso. Queste caratteristiche determinano due conseguenze tipiche dell'arteriosclerosi:  Diminuzione dell'elasticità vasale. 2  Diminuzione della contrattilità vasale. L'irrorazione attraverso i vasi arteriosclerotici è quindi insufficiente e genera, nei tessuti non adeguatamente ossigenati, serie complicazioni. È quanto accade per il sistema carotideo: i distretti cerebrali, la faccia e gli occhi perdono le loro normali capacità. Gli effetti, purtroppo, non si limitano a queste sedi: si ha, infatti, anche una perdita del controllo degli arti innervati dalle zone di cervello non più raggiunte da un corretto flusso sanguigno. L'aterosclerosi è caratterizzata dalla formazione di ateromi (placche di materiale lipidico, proteico e fibroso) nelle arterie muscolari di grande e medio calibro (coronarie, carotidi e femorali) e in quelle elastiche come l'aorta o l'arteria polmonare. L'arteriolosclerosi interessa le arterie di piccolo calibro, in particolare quelle del rene, della milza, del fegato e del pancreas. A differenza dell'aterosclerosi non comporta il formarsi di depositi lipidici, ma di proliferazioni anomale di alcune cellule della tonaca intima (endotelio a contatto diretto con il sangue) e di quella media (formata da muscolo liscio); il conseguente ispessimento della parete causa il restringimento del lume arteriolare. La sclerosi calcifica di Mönckeberg è un particolare tipo di arteriosclerosi, caratterizzato da calcificazioni focali della tonaca media - generalmente a carico delle arterie muscolari di medio e piccolo calibro - fino alla formazione di tessuto osseo. DISPLASIA FIBROMUSCOLARE La displasia fibromuscolare è una malattia delle grosse e medie arterie. La displasia fibromuscolare (FMD) è una condizione che causa restringimento (stenosi) e l’allargamento (aneurisma) delle arterie di medie dimensioni nel vostro corpo. La maggior parte delle persone che hanno la displasia fibromuscolare non hanno alcun sintomo. Se presenti dipendono dall’arteria colpita dalla malattia. Se le arterie al cervello (arterie carotidi) sono colpiti, si possono avere: o Mal di testa; o Vertigini; o Offuscamento della vista o perdita temporanea della vista; o Ronzio pulsante nelle orecchie (tinnito); o Il dolore al collo; o Mal di testa cronico; o Debolezza o intorpidimento del viso. La displasia fibromuscolare può causare una serie di complicazioni. Queste includono:  L’alta pressione sanguigna. Una complicanza comune è la pressione alta. Il restringimento delle arterie provoca maggiore pressione sulle pareti delle arterie, che può portare a ulteriori danni delle arterie, malattie cardiache o insufficienza cardiaca.  Sezione arteria. La displasia fibromuscolare può causare rotture nelle pareti delle arterie, causando fuoriuscita di sangue nella parete dell’arteria. Questo processo, chiamato dissecazione arteriosa o dissezione spontanea dell’arteria coronaria (SCAD), può limitare il flusso di sangue all’organo fornito dall’arteria ferita.  Aneurismi. La displasia fibromuscolare può indebolire le pareti delle arterie, creando un rigonfiamento chiamato aneurisma. Se un aneurisma si rompe, può portare a un pericolo di vita. Un aneurisma può verificarsi in qualsiasi arteria affetta da displasia fibromuscolare.  Stroke (ictus). Se si dispone di un’ “arteria sezionata” che porta al cervello o se di un aneurisma a un’arteria per le rotture del cervello, si può avere un ictus. La pressione alta può anche aumentare il rischio di un ictus. ARTERITI È l'Infiammazione della parete di un'arteria. Può essere di natura infettiva, traumatica, allergica, farmacologica o autoimmunitaria. Se localizzata in particolari distretti, come ad esempio la circolazione cerebrale, può dare origine ad importanti sintomi di sofferenza d'organo, a causa della riduzione del calibro del vaso e dell'afflusso di Sangue ai tessuti a valle. L'arterite a cellule giganti tende a colpire vasi sanguigni di grande e medio calibro, contenenti tessuto elastico. Per questo motivo, il processo patologico interessa prevalentemente l'arco aortico e i suoi principali rami, il sistema carotideo e le arterie temporali e craniche. Le lesioni che si riscontrano a livello dei vasi sanguigni colpiti sono caratterizzate da infiltrati di mediatori infiammatori (cellule mononucleate, linfociti T attivati e macrofagi) e di cellule giganti multinucleate (da cui il nome arterite giganto- cellulare). La tonaca intima è marcatamente ispessita, con restringimento concentrico ed occlusione del lume. I sintomi dell'arterite a cellule giganti possono esordire bruscamente o in modo graduale, nel corso di diverse settimane. La manifestazione più frequente è una cefalea pulsante, talvolta grave, in sede temporale, occipitale, frontale o diffusa. Il mal di testa può essere associato a formicolii o dolore al cuoio capelluto. La sintomatologia può comprendere, inoltre, disturbi visivi (diplopia, scotomi, ptosi, alterazioni del campo visivo, visione offuscata, amaurosi fugace e perdita della vista), dolorabilità sull'arteria temporale alla palpazione e dolore ai muscoli del volto, soprattutto durante la masticazione di cibi solidi (claudicatio della mandibola). Possono presentarsi anche febbre (generalmente non elevata), perdita di peso inspiegabile, sudorazione, malessere e astenia. Inoltre, è frequente la contemporanea presenza di polimialgia reumatica, una sindrome infiammatoria caratterizzata da rigidità e dolore a carico delle spalle e del collo. Possibili complicanze neurologiche dell'arterite a cellule giganti, spesso tardive, comprendono ictus e attacchi ischemici transitori (per riduzione del diametro e occlusione delle arterie carotidi o delle loro diramazioni), aneurismi e dissezioni dell'aorta toracica ed infarto miocardico. La diagnosi è clinica e viene confermata mediante biopsia dell'arteria temporale, esame che evidenzia l'infiltrazione di cellule infiammatorie. In genere, VES e proteina C-reattiva sono elevate. Il riconoscimento precoce e il trattamento tempestivo dell'arterite a cellule giganti sono fondamentali, a causa dell'elevato rischio di cecità e di ictus. In genere, è prevista la somministrazione di corticosteroidi ad alte dosi. La terapia può avvalersi anche di farmaci immunosoppressori (es. metotrexato o azatioprina) e di aspirina a basso dosaggio per prevenire eventi ischemici, salvo controindicazioni. ANEURISMI 2  Angio RM : questo test di imaging utilizza un mezzo di contrasto, per evidenziare le arterie che irrorano il collo e l'encefalo. Il campo magnetico e le onde radio vengono utilizzate per creare immagini tridimensionali. Accanto alla metodica classica, esistono due modalità d'esecuzione della risonanza magnetica all'encefalo che permettono di studiare, una, l'attività cerebrale durante l'esecuzione di un certo compito (es: parlare, leggere, pensare ecc.) e, l'altra, le particolarità del flusso di sangue all'interno dei vasi arteriosi e venosi delle varie componenti encefaliche.La risonanza magnetica all'encefalo che consente lo studio dell'attività cerebrale, durante l'esecuzione di un certo compito, è un esempio di risonanza magnetica funzionale e prende il nome di risonanza magnetica funzionale dell'encefalo.La risonanza magnetica all'encefalo che studia il flusso di sangue nel compartimento encefalico, invece, è un esempio di angio-risonanza magnetica e assume il nome di angio- risonanza magnetica dell'encefalo.  Ecocolordoppler transocranico L’arteriografia: gold standard con sensibilità e specificità al 100%; viene usata sempre meno frequentemente a vantaggio di esami meno invasivi L’ecocolordoppler: sensibilità e specificità >90%; limiti operatore dipendete ed è l’esame attualmente più utilizzato AgioTC: sensibilità e specificita >90%, possibilità di artefatti e non reali vantaggi rispetto all’eco doppler Terapia medica  Correzione dei fattori di rischio: Cambiare stile di vita . Cambiamenti nel comportamento possono aiutare a ridurre la pressione sulla carotide e rallentare la progressione dell'aterosclerosi. Tali cambiamenti includono smettere di fumare, perdere peso, bere alcol con moderazione, mangiare cibi sani, ridurre la quantità di sale e praticare regolare esercizio fisico.  Antiaggreganti: aspirina: I pazienti asintomatici o che presentano una stenosi carotidea di basso grado sono trattati con farmaci. Il medico può prescrivere un antiaggregante piastrinico (come aspirina, ticlopidina, clopidogrel), da assumere quotidianamente per fluidificare il sangue e prevenire la formazione di pericolosi coaguli di sangue  Possono essere raccomandati anche farmaci antipertensivi per controllare e regolare la pressione sanguigna (ACE-inibitori, bloccanti dell'angiotensina, beta-bloccanti, calcio-antagonisti ecc.)  Statine : farmaci che ipo colesterolizzano: per abbassare il colesterolo e contribuire a ridurre la formazione della placca nell'aterosclerosi. Le statine possono ridurre il colesterolo LDL "cattivo" in media del 25-30%, quando combinate con una dieta ipocalorica e a basso contenuto di colesterolo. Indicazioni al trattamento chirurgico  Paziente asintomatico con stenosi maggiore o uguale del 70%  Paziente sintomatico con stenosi maggiore o uguale al 70% Quando si dispone di una grave stenosi, soprattutto se il paziente ha già subito un TIA o un ictus correlato all'occlusione, è meglio procedere chirurgicamente ripulendo l'arteria dalla placca ateromatosa. → Tromboendoarterectomia (TEA) : Si definisce TEA carotidea o TromboEndoArterectomia carotidea l'intervento che consiste nel ristabilire il lume arterioso nativo attraverso l'asportazione di ateromi steno-occludenti, preservando in questo modo la pervietà vasale e prevenendo il rischio di embolizzazione. La terapia chirurgica della stenosi carotidea ha come obiettivo quello di rimuovere la placca ateromasica, che riduce il lume (stenosi) dell'arteria carotide interna, al fine di ridurre il rischio di eventi ischemici (per embolizzazione o trombosi) a livello cerebrale (TIA, ictus). La stenosi della carotide interna rappresenta una delle principali cause di ischemia cerebrale. Questa procedura chirurgica è il trattamento più comune per rimuovere l'ateroma in presenza di un grave quadro clinico. L'intervento viene eseguito in anestesia generale. Dopo aver effettuato un'incisione lungo la parte anteriore del collo, il chirurgo apre l'arteria carotide colpita e rimuove la placca ateromatosa. L'arteria viene riparata con punti di sutura o, preferibilmente, con un innesto. L'endoarteriectomia carotidea è generalmente indicata per i pazienti sintomatici (ictus o TIA) e con un'ostruzione superiore al 50%. Si raccomanda anche per i pazienti che non hanno sintomi (asintomatici), con blocco superiore al 60%. Gli studi hanno dimostrato che, in caso di ostruzione moderata, la chirurgia apporta benefici duraturi ed aiuta a prevenire un eventuale ictus su un periodo di circa cinque anni. Un'endoarteriectomia carotidea non è raccomandata quando la posizione dell'ostruzione o del restringimento è di difficile accesso per il chirurgo o quando si dispone di altre condizioni di salute che rendono l'intervento chirurgico troppo rischioso. In questi casi, il medico può raccomandare una procedura chiamata angioplastica carotidea associata ad uno stenting. → Angioplastica carotidea e stenting . Il posizionamento di uno stent carotideo è una procedura meno invasiva rispetto all'endoarteriectomia carotidea, in quanto non comporta un'incisione nel collo. L'angioplastica carotidea con inserimento di uno stent permette di ottenere buoni risultati nel breve termine, ed è tipicamente indicata per pazienti che: 1) presentano un grado di stenosi carotidea moderato-grave; 2) soffrono di altre condizioni mediche che aumentano il rischio di complicanze chirurgiche; 3) manifestano una recidiva. Nell'angioplastica carotidea, un catetere viene infilato fino all'area carotidea ostruita nel collo. Un 2 filtro appositamente progettato su un filo guida (chiamato dispositivo di protezione embolica) viene inserito per raccogliere eventuali detriti che possono staccarsi dalla placca durante la procedura. Una volta in posizione, viene gonfiato un piccolo palloncino all'estremità del catetere per alcuni secondi, allo scopo di aprire o allargare l'arteria. Uno stent viene inserito in modo permanente per costituire una impalcatura, che aiuti a sostenere le pareti delle arterie e a mantenere pervio il lume della carotide. Il palloncino viene poi sgonfiato ed il catetere e il filtro vengono rimossi. Dopo diverse settimane, l'arteria guarisce attorno allo stent. Come per l'endoarteriectomia carotidea, esistono alcuni rischi connessi alla procedura (ictus o decesso). Lo stenting sarà pertanto consigliato solo in caso di una grave stenosi. Il recupero dalle procedure chirurgiche generalmente richiede una breve degenza in ospedale. I pazienti spesso ritornano alle normali attività entro una o due settiman. Dopo un'endoarteriectomia carotidea, la stenosi può recidivare ed è spesso correlata alla progressione della malattia aterosclerotica. Queste nuove placche possono essere trattate con la ripetizione dell'intervento chirurgico. GLI ANEURISMI DELL’AORTA ADDOMINALE Il temine aneurisma deriva dal greco “aneurismos”, significa dilatazione e fu coniato da Jean Fernel nel 1554. Un aneurisma è una dilatazione permanente e progressiva di un segmento di un’arteria, che è causata da un’anomalia della parte del vaso sanguigno. Per essere considerata un aneurisma, la dilatazione deve essere superiore al diametro teorico normale almeno del 50%, altrimenti si parla di ectasia. La localizzazione più importante è a carico dell’aorta; la causa principale è l’aterosclerosi. Nella maggior parte dei casi gli aneurismi sono da ricondurre a patologia aterosclerotica, mentre in una percentuale inferiore sono:  micotici (dovuti a migrazione di emboli settici, di solito in corso di endocardite batterica, con infezione localizzata a livello della tunica media del caso da cui originerà un’arterite transmurale)  sifilitici  legati a collagenopatie  post-stenotici  post-traumatici  infiammatori  congeniti = soprattutto cerebrali a livello del poligono di Willis  legati a vasculiti SI distinguono:  aneurisma vero = delimitato da componenti della parete vascolare  falso aneurisma o pseudoaneurisma = costituito da una breccia nella parete vascolare che determina la formazione di un ematoma delimitato da tessuto connettivo periavventiziale e non da componenti vasali, che comunica con il lume arterioso (ematoma pulsante) attraverso un orifizio a livello del punto di rottura. Principali localizzazioni degli aneurismi o addominali = 64% (90% al di sotto dell’arteria renale) o toracici = 33% /7% arco aortico, 10% aorta ascendente, 16% aorta discendente) o toraco addominali = 2% o periferici = 1% (70% poplitei, spesso bilaterali, che richiedono un trattamento quando sono sintomatici o presentano un diametro di circa 2 cm; 20% arteria femorale, che richiedono un trattamento se le dimensioni superano i 3 cm; 10% altre localizzazioni. Le dilatazioni aneurismatiche possono essere classificate, anche l’aspetto macroscopico e le dimensioni in: → navicolari → cilindriche → fusiformi → sacciformi → cirsoidee 2 Gli aneurismi più frequenti sono:  aneurismi sacculari o sacciformi = sferici, interessano solo una porzione del vaso  aneurismi fusiformi = interessano un lungo segmento arterioso Aneurismi dell’aorta addominale Un aneurisma dell'aorta addominale, detto più semplicemente aneurisma addominale o AAA, è un rigonfiamento patologico di una porzione del tratto di aorta passante per l'addome. Come per ogni altro aneurisma, la parete aortica interessata dal rigonfiamento è fragile e può rompersi con relativa facilità, provocando una grave perdita di sangue. Epidemiologia  È 2 volte più frequente negli uomini rispetto alle donne  Da 2 a 3 volte più frequenti nella razza bianca rispetto alla nera La formazione di un aneurisma addominale è assai più frequente tra gli individui di età avanzata (N.B: sopra i 65 anni, si osserva un aumento sensibile del numero di casi), tra i fumatori e tra i soggetti affetti da ipertensione. Inoltre, si è notato che gli uomini sono più colpiti delle donne e che la razza maggiormente interessata è quella caucasica. Nuovi AAA vengono scoperti nel 2%deo pazienti sottoposti ad un secondo controllo ecografico dopo una media di 5,5 anni da un precedente esame negativo. Classificazione  Degenerativo (ateroscleroitco)  Associato malattie primitive del connettivo  Associato ad arterite  Post-infettivo  Associato a malattie congenite  Da arterite infiammatoria Patogenesi  Fattori emodinamici = > PA  Fattori nutritivi  Fattori autoimmuni  Aumento di enzimi proteolitici = con un > degli enzimi proteolitici si ha a lungo andare uno sfiancamento delle pareti.  Infezioni  Famigliarità: Una determinata predisposizione genetica. Gli individui che hanno una storia familiare di aneurisma addominale sono predisposti a sviluppare tali disturbi con maggiore facilità e prima del solito (cioè prima dell'età soglia di 65 anni). Fattori di rischio  L'invecchiamento. La parete dei vasi sanguigni è composta da elastina e collagene. La prima assicura elasticità ai vasi; la seconda ne garantisce la forza e la resistenza alle sollecitazioni. E' ormai assodato che l'invecchiamento determini una perdita progressiva sia di elastina che di collagene; ciò irrigidisce e rende più fragile la parete vasale, pertanto è anche più facilmente soggetta a dilatazioni permanenti e rotture.  L'aterosclerosi. Si tratta di una malattia degenerativa che interessa le arterie di medio e grosso calibro e che dipende da numerosi fattori di rischio (quali fumo, obesità, diabete, sedentarietà ecc.). L'aterosclerosi è caratterizzata dall'accumulo, sulla parete interna dei vasi, di depositi di grasso e di altre 2 Solo il 25%dei pazienti con AAA rotto giunge vivo in ospedale e solo il 10%in camera operatoria Screening diagnostico È ipotizzabile un possibile beneficio da programmi di screening della popolazione sana. In gruppi di persone tra i 65 e i 75 anni studiati con screening ecografico si è rilevata una riduzione della mortalità correlata ad AAA del 43%. In Italia nel 2010 è iniziato un programma di screening ecografico su iniziativa della SICVE nella popolazione tra i 65 e gli 80 anni Tipo di intervento  Chirurgia tradizionale, si apre la pancia e si sostituisce il pezzo di aorta malato. Consiste nel rimuovere la sezione di aorta interessata dall'aneurisma, per poi sostituirla con una struttura di forma analoga ma di materiale sintetico. In altre parole, il chirurgo esegue una sorta di trapianto. Tale approccio è molto invasivo, perché prevede l'incisione dell'addome e di un vaso arterioso importante come l'aorta. Il recupero post-operatorio può richiedere anche più di 30 giorni.  Trattamento endovascolare, il paziente va a casa dopo 2-3 giorni. Consiste nel rinforzare le pareti dell'aneurisma inserendo, internamente alla dilatazione, una protesi metallica di forma circolare e simile a una rete (detta stent). Il posizionamento della protesi avviene tramite un catetere infilato in un'arteria della gamba e condotto fino all'aorta. Una volta posizionato, lo stent è fissato con delle clip metalliche, in modo tale che non si muova dalla sua posizione. Il vantaggio di questa procedura consiste nella bassa invasività e nei tempi di recupero più brevi rispetto alla tecnica tradizionale. Lo svantaggio è che lo stent potrebbe staccarsi, rendendo così necessario un altro intervento per la sua sistemazione. Per assicurarsi che lo stent si mantenga in posizione corretta, è consigliabile svolgere un'ecografia addominale ogni 6-12 mesi.  Chirurgia videoassistita Complicanze endovascolari Endoleak è un termine che descrive una persistente perfusione e pressurazione del sacco aneurismatico Il fibrobroncoscopio è uno strumento che viene inserito un tubicino attraverso una cavità (naso o bocca) e tramite corde vocali si vede l’interno del polmone. ARTERIOPATIE DEGLI ARTI INFERIORI Principi generali L’arteriopatia obliterante cronica degli arti inferiori è una patologia steno-ostruttiva che coinvolge i tronchi arteriosi deputati all’irrorazione degli arti inferiori. La causa più frequente per l’insorgenza della malattia è:  Una patologia degenerativa, l’aterosclerosi. Si caratterizza per la formazione della “placca aterosclerotica”, che si forma attraverso numerose tappe che vanno dalla formazione delle strie lipidiche e della placca fibrosa alla formazione della placca occlusiva fino all’occlusione completa, alla rottura e alla trombosi.  Arteriti  Displasie Fattori di rischio Sono riconosciuti come fattori di rischio:  Ipertensione arteriosa  Ipercolesterolemia  Fumo  Diabete mellito  Tromboangioite obliteranti  Esiti di traumi o di compressione prolungata  Arteriti batteriche, virali Sintomi Il quadro clinico è dominato dai sintomi dell’ischemia che si manifestano quando l’irrorazione di uno o più distretti è insufficiente. La comparsa della sintomatologia ischemica e la sua evoluzione è determinata da vari fattori tra cui: o Rapidità con cui si instaura l’ostruzione o Entità della stenosi Figura: procedura tradizionale, "a cielo aperto". Il materiale sintetico, impiantato a sostituzione del tratto di aorta colpito dall'aneurisma, è saldato alle estremità mediante cuciture. Figura: procedura endovascolare. Lo stent è introdotto all'interno dell'aorta e rinforza la parete vascolare più fragile del normale. 2 o Esigenze metaboliche della zona ischemica o Modificazioni dell’emodinamica generale L’arteriopatia obliterante cronica periferica, dal punto di vista clinico, si può classificare in:  4 stadi = classificazione di Leriche-Fontaine  6 stadi = classificazione di Rutherford Classificazione Leriche-Fontaine Rutherford 1 = asintomatico 2 = claudicatio intermittens 2a = dopo 150-200 m 2b = prima di 150 3 = dolore a riposo 4 = lesioni atrofiche e gangrena 0 = asintomatico 1 = claudicatio lieve 2 = caludicatio moderata 3 = claudicatio severa 4 = dolore a riposo 5 = lesioni trofiche con lieve perdita di tessuto 6 = con ampia perdita di tessuto 3-4 = ischemia critica 4-5-6 = ischemia moderata Il primo stadio di Fontaine è, nella maggior parte dei casi, completamente asintomatico; talora possono essere presenti delle parestesie. La diagnosi avviene soltanto attraverso l’effettuazione di procedure diagnostiche particolari. Il secondo stadio di Fontaine è caratterizzato dalla “claudicatio intermittens”, alla lettera camminata in modo intermittente. Il paziente riferisce che, durante la marcia, è costretto, dopo un intervallo più o meno lungo, a fermarsi. Poiché è portatore di patologia steno-ostruttiva degli arti inferiori, la quantità di sangue che affluisce è sufficiente in condizioni di base e diviene insufficiente sotto uno sforzo come può essere appunto la marcia. Il dolore è determinato dalla stimolazione di alcuni recettori periferici da parte dell’acido lattico che si accumula a livello muscolare allorquando il muscolo stesso deve lavorare in condizione di anaerobiosi, laddove, nel soggetto normale, lavora in condizioni di aerobiosi. Sede del dolore Localizzazione dell’ostruzione Polpaccio Arteria femorale superficiale Coscia e polpaccio Asse iliaco-femorale Glutei Asse aorto-iliaco Il terzo stadio di Fontaine o “stadio del dolore a riposo” è caratterizzato dalla presenza di dolore anche in condizioni di riposo, e ciò avviene prevalentemente durante le ore notturne. Rappresenta lo stadio in cui la quantità di sangue è insufficiente anche per le normali attività a riposo dell’arto inferiore ed è solo parzialmente compensata a livello del microcircolo. Il quarto stadio di Fontaine o “stadio delle lesioni trofiche” si caratterizza per l’insorgenza di necrosi, cioè di morte cellulare, per cui questi pazienti presentano lesioni ulcerative o zone di necrosi più o meno ampie a vari livelli del piede o della bamba. In questi casi è praticamente impedita l’irrorazione dei distretti più periferici. La diagnosi clinici è in genere semplice: basta l’assenza dei polsi periferici per nutrire un forte sospetto di arteriopatia. La conferma assolutamente certa avviene, oggi, con l’esecuzione di un esame eco-color-Doppler, che consente di valutare: → la tipologia di lesione, → la sua sede, → l’entità della stenosi → la riduzione di flusso in periferia, → i differenti circuiti di compenso eventualmente attivati dall’organismo Le arterie più frequentemente sede di lesione sono:  aorta addominale e arterie iliache = 30%  arterie femorali e poplitee = 80-90%  arterie tibiali = 40-50% L’interessamento delle arterie distali è più frequente negli anziani e nei pazienti con diabete mellito. Diagnosi  anamnesi = evidenza di fattori di rischio  ispezione = nelle fasi iniziali possono essere presenti:  alterazione degli annessi cutanei  ipotrofia muscolare nelle fasi avanzate:  pallore o cianosi distale a seconda della posizione,  lesioni trofiche  palpazione = valutazione dei polsi arteriosi, del termotatto o della sensibilità  ascoltazione = in sede addominale paramediana e/o femorale, presenza di un soffio che dimostra l’esistenza di stenosi del lume  diagnosi strumentale =  tensiometria Doppler  velocimetria Doppler  eco-color-Doppler  TcPO2  Capillaroscopia  Angio-TC 2  Angio-RM L’indicazione a uno studio angiografico viene posta se appare necessario un intervento chirurgico o un trattamento endovascolare. Protezione dell’arto ischemico  Fasciatura leggera con cotone  Medicazione giornaliera delle necrosi e delle ulcere con iodine Povidone separando le dita  Materassino morbido d’appoggio e archetto  Riduzione dell’edema con postura e analgesia  Evitare bendaggi costrittivi Terapia I e II stadio di Fontaine Tendenza conservativa con terapia per controllare l’evolutività della condizione morbosa; nello stadio 2b trattamento medico con cilostazolo o endoprost e in caso selezionati trattamento endovascolare delle lesioni steno-ostruttive. Ricanalizzazione poplitea Il riscontro più frequente è costituito dalle lesioni dell’arteria femorale superficiale nel suo terzo medio, che solo raramente richiedono una terapia chirurgica ma solitamente sono trattate con:  PTA = L'angioplastica (PTA - Percutaneous Transluminal Angioplasty) delle arterie degli arti inferiori è una modalità di intervento mini-invasiva che rappresenta una vera innovazione nel campo della terapia delle arteriopatie. In molti casi sostituisce l'intervento chirurgico tradizionale (by- pass) con il vantaggio di essere poco invasiva, ripetibile, eseguibile in anestesia locale e con ricovero limitato a pochi giorni (in genere 2 notti). Anche il recupero dopo la procedura è breve e il paziente può tornare alle sue occupazioni il giorno stesso della dimissione. In che cosa consiste l'angioplastica delle arterie delle gambe? Conosciuta anche per le sue applicazioni cardiologiche, l'angioplastica si ripropone di dilatare o riaprire arterie colpite dall'aterosclerosi attraverso l'introduzione di un catetere provvisto di un palloncino che allarga il punto malato. In anestesia locale si punge un'arteria del braccio o dell’inguine, si esegue l'angiografia e si individua il restringimento o l'occlusione del lume dell'arteria e con l'ausilio di un filo di metallo sottile, con un catetere si raggiunge la stenosi e con il palloncino la si dilata. La stragrande maggioranza delle angioplastiche delle arterie della coscia e delle gambe viene eseguita con l'utilizzo di Palloncini che rilasciano un farmaco in grado di ridurre la percentuale di restenosi(nuovo restringimento) a sei mesi-un anno.  Stenting = Anche l'angioplastica delle arterie delle gambe può essere integrata in ultima analisi dall'applicazione di uno stent, una protesi metallica lasciata nel punto della stenosi per ridurre la possibilità di recidiva che si impianta solo dopo che l'angioplastica con palloncino non è riuscita ad ottenere un risultato accettabile. III e IV stadio di Fontaine Approccio più aggressivo con chirurgia o ricanalizzazione endovascolare sino a rivascolarizzazione estrema per il salvataggio dell’arto. Tra gli interventi di rivascolarizzazione nell’area aorto-iliaca sono utilizzate:  Bypass aorto-iliaco-femorale = Il by-pass è utilizzato nel caso in cui la stenosi o l'occlusione sia estesa a un tratto lungo o difficilmente accessibile di arteria. Per bypass si intende l'interposizione di una "arteria artificiale" tra il segmento di arteria sana a monte e l'arteria sana a valle dell'ostruzione. Si convoglia quindi il flusso sanguigno in un condotto posizionato in modo da superare l'ostacolo rappresentato dall'arteria ristretta. In base alle sedi di ostruzione del flusso, si distinguono alcuni tipi di by-pass.  Bypass iliaco-femorale = 2 PATOLOGIE VENOSE Le vene sono le strutture vascolari deputate al trasporto di sangue dalle ragioni periferiche del corpo al cuore. In linea generale le patologie che possono interessare le vene sono 2:  Malattia trombotica  Malattia varicosa Entrambe queste patologie colpiscono prevalentemente gli arti inferiori. Questo è legato al fatto che le vene che si trovano nelle gambe subiscono la forza di gravità in maniera assai maggiore rispetto alle vene degli arti superiori, e quindi ne vengono maggiormente sollecitate. Il sistema venoso si divide in:  Sistema venoso superficiale = a livello degli arti inferiori il sistema venoso superficiale è costituito da:  Grande safena  Piccola safena  Sistema profondo = a livello degli arti inferiori il sistema profondo è costituito da vene che accompagnano le arterie:  Vene tibiali  Vena poplitea  Vena femorale superficiale queste si congiungono, a livello inguinale, a formare la vena femorale comune  Vena femorale profonda La vena grande safena origina a livello della parte interna del piede e termina all’inguine, dove si congiunge alla vena femorale, mentre la vena piccola safena origina nella parte esterna del piede e termina dietro il ginocchio congiungendosi alla vena poplitea. Le vene degli arti inferiori possiedono al loro interno delle strutture che prendono il nome di valvole che hanno il compito di ridurre la pressione sanguigna presente all’interno dei vasi, favorendo il ritorno dal sangue al cuore. MALATTIA VARICOSA Il termine “varice” deriva dal latino che significa “tortuoso”, “dilatato”. Quindi la varice viene definita come: - Dilatazione irregolare, permanente e irreversibile di un semento venoso. Quando le vene diventano varicose, le valvole non funzionano più, per cui si crea una stasi di sangue a livello degli arti inferiori che aggrava la dilatazione. La prevalenza delle varici è maggiore nelle donne, anche se la differenza tra maschi e femmine diminuisce con l’aumentare dell’età. La fascia di età più colpita è quella tra i 50 e i 60 anni. Esiste una chiara correlazione tra varici e gravidanza, con un netto aumento della prevalenza tra le pluripare. Anche l’aumento ponderale con alterato appoggio plantare favorisce l’insorgenza delle varici degli arti inferiori attraverso la scarsa deambulazione, con aumento relativo della flebostasi. Classificazione Le varici possono essere classificate in:  Primitive = idiopatiche o essenziali. Sono varici in cui non si riconosce un fattore causale diretto evidente.  Secondarie = sintomatiche. Sono varici in cui è possibile evidenziare la causa:  Varici post-trombotiche  Varici angiodisplastiche  Varici da fistola artero-venosa singola traumatica  Varici da ostacolato scarico venoso dell’arto inferiore Segni e sintomi 2 L’insufficienza venosa determina una condizione nella quale le vene non favoriscono il ritorno del flusso di sangue al cuore. Questo problema si verifica spesso nelle vene delle estremità inferiori. Nei casi di insufficienza venosa si determina quindi un rallentamento del flusso sanguigno, per cui il sangue tende a ristagnare nella parte inferiore delle gambe. Il rallentamento del flusso sanguigno dovuto a insufficienza venosa riduce anche l’apporto di ossigeno e di sostanze nutritive alle pareti del vaso venoso. Tutti i sintomi e le complicanze legate alle varici dipendono quindi dalla presenza dell’ipertensione venosa. I sintomi delle varici sono vari. Si possono accusare:  Senso di peso  Facile affaticabilità delle gambe, soprattutto la sera  Prurito = soprattutto a livello delle caviglie  Gonfiore Man mano che passa il tempo e che la situazione peggiora, cominciano a comparire:  Dilatazioni venose sempre maggiori  Gozzi venosi  Capillari = più frequenti a livello della caviglia  Macchie cutanee permanenti che contribuiscono a peggiorare la situazione estetica dell’arto Anche le complicanze delle varici sono varie e di varia gravità: o Flebiti = infiammazioni delle vene a volte complicate da trombosi o Ulcere cutanee = di lenta guarigione Diagnosi La diagnosi si basa su:  Esame clinico  Eco-doppler venoso delle gambe Terapia Per il trattamento delle varici possiamo utilizzare:  Terapia medica = la terapia farmacologica si base sull’uso di farmaci detti:  “venotropi” che possono essere antitrombotici, come l’eparina, con effetto anticoagulante, antinfiammatorio e antiedematoso,  Capillaroprotettori  Antivaricosi = come la diosmina che aumenta la resistenza e diminuisce la permeabilità capillare  Calze elastiche e terapie compressive = indossare calze elastiche a compressione graduata, che devono essere sempre prescritte dal medico, riduce i sintomi relativi alle varici, previene il gonfiore alle gambe, riduce il rischio di complicanze trombotiche.  Scleroterapia o terapia sclerosante delle varici = è una procedura minimamente invasiva che, attraverso l’iniezione intravenosa di sostanze chimiche irritanti per l’endotelio della vena, ne provoca la chiusura. È un trattamento che si articola in più sedute ambulatoriali, indicato per teleangectasie, vene reticolari e varici.  Intervento chirurgico = nell’ambito del trattamento chirurgico lo:  Stripping safenico o safenectomia = costituisce l’intervento di scelta in caso di incompetenza di VGS (vena grande safena) o VPS (vena piccola safena).  Laser = è una tecnica relativamente recente che si avvale dell’energia laser che, veicolata all’interno del lume venoso da una fibra ottica, provoca un danno termico immediato con fotocoagulazione della parete venosa, a cui farà seguito a distanza di qualche mese la sclerosi con obliterazioni del lume e scomparsa della vena trattata.  Radiofrequenza = è una tecnica endovasale che determina la chiusura della vena attraverso l0energia fornita da onde radio. TROMBOSI VENOSA PROFONDA 2 La trombosi venosa è una condizione in cui il sangue si coagula all’interno di una vena e aderisce alla sua parete. Di conseguenza, il passaggio del sangue attraverso quella vena è bloccato, parzialmente o in modo completo. Il coagulo formato prende il nome di trombo. Si parla di: → Tromboflebite = quando il coagulo di sangue si forma nelle vene più piccole proprio al di sotto della pelle → Flebotrombosi = quando il coagulo di forma nelle vene profonde. Le sedi più interessate dalla formazione dei trombi profondi sono le vene del polpaccio e della coscia. Lo stimolo che porta alla formazione del coagulo è di solito rappresentato da un  mutamento nelle caratteristiche del sangue causato da un intervento chirurgico, da un trauma o da un’infezione. Il rischio aumenta quando il sangue tende a restare fermo nelle gambe, per esempio per la presenza di vene varicose, o dopo un intervento chirurgico o a seguito di un prolungato periodo in cui si è dovuti restare a letto. La trombosi venosa profonda è una patologia piuttosto grave in quanto anche se di solito benigna, in alcuni casi può dar luogo a un’embolia polmonare a volte fatale. Le cause sono riconducibili alla triade di Virchow: o stasi del circolo o lesioni endoteliali o alterazione della coagulazione I trombi vengono classificati in base a 3 caratteristiche:  composizione in elementi corpuscolari e fibrina = in questo caso si distinguono:  bianchi = formati da piastrine, fibrina, pochi globuli rossi e pochi globuli bianchi, peculiari delle arterie, dove il flusso veloce non permette di catturare i globuli rossi  rossi = formati da piastrine, fibrina e molti globuli rossi e globuli bianchi, peculiare delle vene per la lentezza del flusso  variegati = trombi con zone chiare e zone rosse alternate, dovuti a un lento processo di aggregazione piastrinica che ha intrappolato alcuni globuli rossi nei momenti di bassa velocità del flusso ematico, condizione che si verifica dopo ogni contrazione a livello del cuore e del primo tratto dell’aorta.  dimensioni  sede Segni e sintomi I sintomi della TVP sono variabili, a seconda dell’estensione della malattia:  gonfiore dell’arto = è il sintomo più frequente. Il gonfiore può essere localizzato solo alla gamba o estendersi anche alla coscia ed essere di intensità varia.  dolore che può aumentare camminando  sensazione di calore nella gamba  alterazione del colore della pelle, che può diventare bluastra o rossastra Le TVP più pericolose per la vita sono quelle in cui vi è l’interessamento delle vene iliache, in quanto si può avere l’estensione della trombosi anche alla vena cava e, se il trombo non è ben adeso alla parete venosa, può distaccarsi e dar luogo all’embolia polmonare che può mettere a rischio la vita del paziente. A volte l’embolia polmonare può essere la prima e l’unica manifestazione di una TVP. Nei soggetti a rischio è estremamente importante l’esecuzione di un’adeguata profilassi con la somministrazione di eparina a basso peso molecolare per ridurre al minimo il rischio di embolia polmonare. Diagnosi - esame clinico - eco-color-Doppler venoso degli arti inferiori - prelievo ematico = per il dosaggio del D-dimero - angio-TC Terapia  medica = vengono usati dei farmaci anticoagulanti quali eparina  chirurgica = trombectomia con la quale viene rimosso dalla vena, per mezzo di un sottile catetere di Fogarty il coagulo che la ostruisce  fibrinolitica = con farmaci che, introdotti localmente mediante catetere, dissolvono il trombo ASSISTENZA INFERMIERISTICA IN CHIRURGIA VASCOLARE In chirurgia vascolare si distinguono interventi eseguiti in:
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