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Ciaula scopre la luna - Luigi Pirandello, Schemi e mappe concettuali di Italiano

Analisi di 'Ciaula scopre la luna' di Luigi Pirandello. Usato per preparare un discorso per la maturità.

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2018/2019

Caricato il 17/02/2023

Roberta_.Carotenuto
Roberta_.Carotenuto 🇮🇹

4.6

(39)

33 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Ciaula scopre la luna - Luigi Pirandello e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Italiano solo su Docsity! ‘Ciaula scopre la luna’ ‘Ciaula scopre la luna’ è una novella compresa nella raccolta di Pirandello ‘Novelle per un anno’, scritte tra il 1884 e il 1936. Le novelle non seguono un ordine preciso, anzi sono disposte in modo casuali. Tuttavia noi facciamo una distinzione tra quelle romane e quelle siclle siciliane semplicemnte per la loro ambientazione. Ciaula scopre la luna è una novella siciliana pubblicata per la prima volta sul Corriere della Sera nel 1914. È caratterizzata dalla descrizione della dimensione mistica e folkroristica della terra siciliana dominata da archetipi come quello della grande madre e della luna che appare all’improvviso. A differenza di Verga e D’annunzio non ci sono nelle novelle di Pirandello rispettivamente la selezione per la vita, l’inchiesta sociale e la violenza felina e brutale. In Ciaula viene posto l’accento sul mondo ancestrale siciliano in cui c’è la luna che viene vista quando il protagonista esce dalle miniere di zolfo, una luna che gli appare per la prima volta. Alla fine di queste novelle ci sono delle marionette allucinate che gesticolano, alcune sono caricature come appunto Ciaula, un ritardato che è al servizio di un mastro all’interno della miniera. Mentre in ‘Rosso Malpelo’ di Verga il protagonista è come se possedesse una coscienza e consapevolezza lucida e quindi studiasse in maniera scientifica quelli che sono i meccanismi per la lotta per la vita, Ciaula invece è un minorato mentale che vive la vita a livello primordiale, agisce senza sapere il perché e il come. Il narratore stesso spesso ci dice che è privo di consapevolezza e coscienza. L’ambientazione è vicino alla letteratura verghiana ma la distanza dal metodo di scrittura è abissale. Innanzitutto, il giudizio dell’autore (esterno) qui si sovrappone a quello popolare smontando dall’interno la vicenda e mostrandone il lato più profondo, esposto al dolore. Elementi veristi sono sicuramente la lotta per la sopravvivenza, la terra riarsa dal sole, la durezza del lavoro disumano, lo sfruttamento degli operai e quindi la denuncia sociale. Riscontriamo il registro parlato, i dialoghi, gli scatti dialettali propri della tradizione orale. Non assistiamo al pessimismo materialistico e fatalistico di verga, non ci sono alternative al qui ed ora a causa del meccanismo sociale. -Ciaula è in diminutivo che gli altri minatori gli hanno affibbiato perché lui sa riprodurre molto bene il verso della cornacchia. Altri personaggi presenti sono il mastro Zi Scarda e il supervisore Cacciagallina, l’anello più debole siccome precedentemente in un incidente alla cava ha perso un occhio e un figlio (un po' ricorda Mastro Don Gesualdo). Il mondo siciliano delle zolfare è presentato senza filtri: il punto di vista è interno e si usa il dialetto, un linguaggio immediato, onomatopeico, ricorso al dialogo. I minatori che estraevano lo zolfo con i picconi quella sera volevano smettere di lavorare senza aver finito di estrarre le tante casse d zolfo che il giorno dopo avrebbero dovuto caricare nella fornace che serviva a estratte lo zolfo dai suoi minerali facendolo fondere. Ma Cacciagallina, il caposquadra, gli impedì di uscire con una rivoltella in mano e li minacciò con una serie di imprecazioni di riprendere a lavorare. Voleva che essi lavorassero fino allo stremo (metafora- a buttar sangue fino all’alba). Ma i minatori non ci credevano, così iniziarono a prenderlo in giro con il suono della pistola ‘Bum’. Con risate e bestemmie si opposero al caposquadra e lo oltrepassarono, chi con gomitate e chi sono spallate. Soltanto una persona non riuscì a passare: è Zi Scarda, l’anello più debole perché cieco ad un occhio. Zi Scarda era troppo debole per ribellarsi. Ma anche lui aveva un ragazzo più debole con cui prendersela: Ciaula. Così, mentre gli altri se ne andarono, Zi Scarda si girò con un ghigno contorto verso Cacciagallina aspettando il da farsi. V27: È qui che il narratore interviene e si chiede se quella smorfia era per Cacciagallina o si burlava della gioventù degli altri minatori. Poi inizia a descrivere i minatori, coloro hanno i volti oscurati dal buio crudele nei loro confronti e che li rendeva a sua volta crudeli, che hanno il corpo sfiancato per lo sforzo del lavoro giornaliero, che hanno i vestiti strappati, che vivono in quella terra bruciata dal sole, piene di zolfare che escono da mondi sotterranei come tanti formicai. (similitudine verso 31). Ma poi il narratore capisce che Zi Scarda non faceva nessuna di quelle due cose, quella smorfia era quella che era solito fare quando voleva far risalire la grande lacrima che ogni tanto gli colava dall’occhio buono. Era così che egli esternava il dolore che continuamente gli ricordava la cava per la morte del figlio, con quel sapore di sale delle lacrime a cui ormai si era abituato. Quella lacrima, per la sua bocca, era quel che per il naso sarebbe stato un pizzico di tabacco da fiuto. Quando si sentiva l’occhio pieno era solito posare un poco il piccone e guardare la fiammella rossa della lanterna alla parete, piegava la testa di lato e aspettava quella lacrima lenta scendesse giù. Vv51: tutti alla cava avevano un vizio: il fumo, il vino.. Zi Scarda aveva quello della lacrima. Vv52: il narratore pensa che quelle lacrime fossero date dal condotto lacrimale dell’occhio malato che però si era risucchiato anche le lacrime di pianto. Zi Scarda quattro anni fa aveva perso l’unico figlio per lo scoppio di una mina. Egli gli aveva lasciato sette nipotini e la nuora da accudire. Nonostante tutto si sentiva fortunato perché alla sua età gli permettevano di lavorare e la paga era alta e lui la accettava con vergogna sottovoce. Vv70: Zi Scarda tornò alla realtà e chiamò Ciaula, che ormai aveva più di 30 anni. Egli si stava rivestendo insieme agli altri: indossava un panciotto bello largo e lungo che un tempo doveva essere stato elegante e sopraffino (v 79), aveva invece le gambe magre e sbilenche. Anche se qualcuno lo prendeva in giro lui non se ne accorgeva. V 86: ‘Quanto sei bello’ gli dicevano. E lui era soddisfatto di sé stesso con un sorriso da un orecchio all’altro. V 90 è qui che viene spiegata l’origine del suo soprannome: scalzo, camminando, imitava spesso e perfettamente il suono della cornacchia ‘cràh! cràh!’. V 95 e quando Zi Scarda gli ordinò di andarsi a rivestire per continuare a lavorare, lui prima lo guardò sbigottito e poi gli risponde ‘Gna bonu’ (dialetto. Va bene). Così Ciaula lavorò tutta la notte, con il peso schiacciante del carino, andando su e giù per quelle scale rotte e con le sue ginocchia che crocchiavano ad ogni passo. V 115 Ma Ciaula non aveva di certo più paura del buio delle profondità della terra, ci stava cieco e sicuro come dentro il suo alvo materno (v 120-121). Di solito finito il suo turno tornava a casa con Zi Scarda, cenava e poi andava a riposarsi sul suo saccone di paglia come un cane (similitudine). I nipoti di Zi Scarda cercavano invano di tenerlo sveglio per ridere di o con lui, ma lui subito cascava in un sonno profondo che lo trasportava fino alla mattina successiva, quando Zi Scarda lo svegliava come se fosse stata una bestia, con i calci. La notte sì che gli faceva paura, ricordava bene quella della morte del figlio di Zi Scarda. Quella notte era scappato a ripararsi ed era uscito dal suo riparo aveva riscontrato difficoltà a trovare la scala per risalire in cima. La paura lo aveva assalito in mezzo al buio e allora si era messo a correre. V 158 Intanto la notte era passata, il carico era pronto. A mano a mano che Zi Scarda caricava, Ciaula si sentiva sempre più cadere finché non diventò insopportabile e gridò di fermarsi. Per un momento la paura del buio fu vinta dalla costernazione. V 183 Così iniziarono a salire, ma Ciaula non riusciva a vedere la luce della luna (che lassù lassù si apriva come un occhio chiaro, d’una deliziosa chiarità d’argento) perché per poter salire doveva guardare in basso, ma vedeva soltanto il chiarore che pensava fosse luce del giorno.
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