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Cinema e Religioni e Multiculturalismo, Sintesi del corso di Storia della Chiesa

Riassunto Cinema e Religioni - Prof.ssa Barcellona

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019
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Scarica Cinema e Religioni e Multiculturalismo e più Sintesi del corso in PDF di Storia della Chiesa solo su Docsity! BINOMIO CINEMA/RELIGIONI: Il discorso sulla relazione tra cinema e religione è diventato da qualche decennio un discorso scientifico al quale sono dedicati studi e pubblicazioni, sopratutto in area occidentale, che insistono dunque sopratutto sul mondo culturale di matrice cristiana. Ne discende che essi partono da due assunti: 1) i fatti e i fenomeni religiosi sono separati e separabili dalla realtà profana; 2) Il religioso è retto da leggi proprie e autonome e in rapporto con la realtà profana nella quale operano. Questo filone di studi denominato Religious and Films Studies è caratterizzato dal: pluralismo metodologico e dalla contaminazione disciplinare dell’approccio. Se ne possono occupare studiosi di arti visuali, di storia del cinema, ma anche storici delle religioni, del cristianesimo, di letterature, di scienze antropologiche. Il cinema non è, infatti, solo un’opera artistica, un prodotto da valutare per la profondità dei suoi contenuti, del livello espressivo raggiunto, della raffinatezza dei suoi mezzi. Un film viene preso in considerazione per gli spunti di riflessione che offre: sul suo autore, sui temi che affronta, sul dialogo che intavola con lo spettatore. Tuttavia sono molto esigui i contributi che prendono in considerazione il film non solo come un’opera artistica, ma come strumento capace di evocare un mondo autenticamente sacro. La stessa nozione di cinema sacro suggerisce l’dea di un oltrepassamento della sfera sensibile. LA DOMANDA DI FONDO: IL SACRO E’ RAPPRESENTABILE? Questo è il problema teorico che deve affrontare chi parla di cinema e religione. Il cristianesimo ha affrontato si può dire dalle origini questa fondamentale questione. Da un lato esso portava in sé il fermento dell’ANICONISMO GIUDAICO secondo cui Dio non è rappresentabile, dall’altro la peculiare fede cristiana in un Dio fatto uomo riproponeva con forza, a livello di arte visiva, la difficile conciliazione di umanità e divinità in un unico soggetto. Ma le raffigurazione antropomorfe prendono piede, sostenute dalla pietà popolare, fra IV e V secolo, e accanto a posizioni di rigido rifiuto, compaiono le prime significative aperture teoriche. In Oriente i Padri Cappadoci nel IV secolo, e in Occidente sopratutto Gregorio Magno (papa), fanno appello alla potenzialità didattica dell’immagine. Dopo che il Concilio Trulliano aveva ordinato la sostituzione nelle chiese dell’immagine umana di Cristo a quella simbolica in forma di agnello voluta da Costantino, viene messo a tema il nesso fra cristologia e rappresentabilità del divino. La crisi iconoclasta evidenzierà questo nocciolo del problema. 1) Gli iconoclasti oppositori delle immagini sacre, sostenevano che l’icona di Cristo, divide, le due nature di Cristo, la cui unione ipostatica è inesprimibile ed irrappresentabile. 2) Al contrario gli iconoduli, veneratori delle immagini affermavano che l’icona rappresenta appunto l’unica ipostasi del Verbo: quindi negare la venerazione alle immagini significa negare la realtà dell’incarnazione. Una volta riaffermata la posizione ICONODULA nel CONCILIO NICENO 2 DEL 787, le vie della rappresentabilità di Cristo si divaricheranno fra Oriente e Occidente: -L’oriente bizantino punta sul carattere ieratico, statico e ripetitivo dell’immagine; -L’occidente invece, imbocca la strada di un progressivo realismo della rappresentazione. Nel grande Caravaggio, si può seguire un esito, di potente valenza religiosa del realismo: quello della “kenosi di Dio” nella umanità radicale dei suoi personaggi, di cui un esito sconvolgente è la “Morte della Vergine”, attualmente al Louvre, per la quale leggenda vuole che il modello usato fosse una “donna morta gonfia”. Il pittore attinge dunque al più estremo realismo. (Kenosis -> Nella teologia cristiana kenosis esprime l'"autosvuotamento" del Logos divino nell'incarnazione, nella realtà della sua ubbidienza verso il divin Padre, nella cosciente accettazione della sua morte). (IPOSTASI: Rappresentazione concreta di una realtà astratta o ideale; personificazione. ) (UNIONE IPOSTATICA: Unione sostanziale delle nature divina e umana in una sola persona. ) Per leggere i film a sfondo religioso, o che evocano problematiche collegate al sacro e alle religioni si possono elaborare diversi criteri di lettura, diverse proposte interpretative. Il libro a cura di Botta-Prinzivalli organizza i saggi che racchiude individuando alcune linee comuni e riunendo in tre sezioni registi e film esaminati. Le chiavi interpretative proposte non sono le uniche, né si escludono a vicenda, ma suggeriscono alcuni utili punti di vista. BOTTA-PRINVINZALLI PROPONGONO 3 PARADIGMI O CHIAVI DI LETTURA DEI FILM RELIGIOSI: 1) Paradigma cristologico si applica alla storia di Gesù, ai film che la raccontano! Esso riguarda anche il modo indiretto con cui si affronta la storia. Il paradigma cristologico si può applicare alle passioni di Gesù, ma anche per esempio al sacrificio di Ipazia. Ella è figura innocente immolata per il messaggio che portava. Tale paradigma si può applicare anche a Giovanna D’arco. Tale paradigma si può applicare ad ogni figura che sia cristica o a vittime innocenti morti per il messaggio da loro diffuso. 2 mezzi importati per Ayfre: 1) primo piano 2) Montaggio In rifiuto con i modelli del cinema hollywodiano, spettacolari ma stereotipati Ayfre propone una modalità di rappresentazione del sacro che sappia attingere al realismo dell’immagine cinematografico. CHIAVE REALISTA. André Bazin -> Anche per André Bazin è importantissimo il realismo della rappresentazione. Le riflessioni di Bazin partono dall’assunto che il principio psicologico alla base delle arti figurative consiste nell’esigenza umana di garantire l’immortalità dell’essere. Ciò vale per la pittura, la scultura, la fotografia e la tecnica cinematografica. Tuttavia per lui, vi sono delle immagini tabù che il cinema dovrebbe astenersi dal mostrare, come l’atto sessuale e l’immagine della morte e sopratutto il sacro nelle sue manifestazioni soprannaturali. Sia per Ayfre che per Bazin, il realismo deve conservare la densità del reale al fine di preservarne l’ambiguità che determina nello spettatore un atteggiamento dinamico di apertura e di incontro con il mondo. Dunque, Ayfre e Bazin giungono alle medesime conclusioni: il rifiuto del trucco e delle scenografie posticce, la ricerca di linguaggio che sappia attingere alla realtà. La teoria baziniana del “montaggio proibito” prende le mosse da qui: -il montaggio analitico, studiato, caratteristico del cinema classico si oppone all’espressione dell’ambiguità mettendo ordine, stabilendo priorità e predisponendo così un sentiero obbligato per lo sguardo dello spettatore. L’ESTASI DEL SENSO: OLTRE LE SOGLIE DELLA RAPPRESENTAZIONE. Una possibile via all’evocazione del trascendente consiste, dunque, nell’espressione dell’ambiguità e del mistero. Vi sono anche procedimenti dis crittura filmica finalizzati alla costruzione di un significato. Un altro teorico e cineasta che ha sviluppato interessanti riflessioni sull’immagine eidetica (che costituisce una possibilità della scrittura filmica e può definirsi come “un’immagine che realizza una fusione di visione e concetto” è Sergej Ejzenstejn. Egli espone l’idea di un cinema intellettuale in grado di esporre visivamente concetti astratti e assimila questo procedimento alla scrittura ideografica. Il “montaggio intellettuale” è dunque un processo “eidogenerativo” che consiste nella possibilità di comunicare concetti astratti attraverso l’elaborazione di immagini. La pratica del montaggio rappresenta anche un esempio efficace di come partendo da un materiale grezzo si possa giungere ad un’unità di ordine superiore rispetto all’unità originaria passando per una frantumazione e poi per una ricombinazione (per spiegare questo concetto Ejzenstejn ricorreva al mito di Dioniso, il cui corpo smembrato si ricompone in un Dioniso trasfigurato): tale processo viene definito ESTASI (ek-stasi, uscita fuori da sé). In seguito Ejzenstejn prenderà in esame anche la componente affettiva ed emotiva che accompagna tale processo di “estasi” -> ovvero il pathos. In questa prospettiva, è possibile condurre lo spettatore a sperimentare un movimento di “uscita fuori di sé” riconducibile alla particolare condizione psichica indotta dagli esercizi spirituale di Ignazio di Loyola. Si tratta di spingere lo spettatore oltre i limiti della rappresentazione e dell’immagine. Nonostante le finalità anireligiosi che animano il di scorso di Ejzenstejn, le sue teorie hanno alcuni punti in comune con le riflessioni di Paul Schrader, contenute nel saggio Trascendental Style in Film: uno degli studi + articolati e sistematici che affronti l’argomento da una prospettiva specificamente cinematografica e religiosa. SCHRADER E LO STILE TRASCENDENTALE: Stile trascendentale -> procedimento di scrittura filmica e in quanto tale può essere definito ed analizzato. Le teorie di Schrader partono dalle teorie baziniane di “realismo ontologico” -> vi sono cose che non posso essere rappresentate nei film (esempio la morte nell’”L’ultima tentazione di Cristo” film da lui sceneggiato) Non esistono obiettivi o pellicole capaci di registrare un evento che trascende al tal punto il mondo dei fenomeni. A partire da queste considerazioni Schrader definisce nel suo saggio le caratteristiche di uno stile filmico che opera secondo precise leggi, e ha come finalità l’evocazione del trascendente: 1) In primo luogo, lo stile trascendentale deve accogliere e penetrare il mistero dell’esistenza (esso rifugge da tutte le interpretazioni convenzionali della realtà, considerate come costruzioni emotive e razionali escogitate dall’uomo per ridurre o esaurire il valore del divino spiegandolo.) 2) LA TRAMA, LA RECITAZIONE, LA CARATTERIZZAZIONE PSICOLOGICA -> NEI FILM DI STILE TRASCENDENTALE TUTTI QUESTI ELEMENTI SONO INESPRESSIVI! IL REGISTRA DEVE CHIUDERE TUTTE LE VIE DI FUGA INTERPETATIVE, PER EVITARE CHE IL PUBBLICO POSSA ESSERE TENTATO DI RICONDURRE A PARAMETRI RAZIONALI GLI EVENTI RAPPRESENTATI NEL FILM. Al fine di individuare i principi di funzionamento dello stile trascendentale, prenderemo in esempio un film di Bresson intitolato “Diario di un curato di campagna”… (Storia dal libro). Il film è la cronaca rarefatta di una lenta agonia, l’intreccio è ridotto ai minimi particolari e gli eventi sono diluiti nella rappresentazione di un’interminabile quotidianità. Bresson riduce la recitazione alla pura fisiologica, forzando i suoi attori a recitare automaticamente privando ogni residuo psicologico dalla recitazione (fa recitare agli attori la stessa scena più volte). Ciò vale anche per le intonazioni espressive. LE MOTIVAZIONI DI QUESTA SCELTA SONO PRECISE. La recitazione “psicologica”, il “Più comodo e allettante dei paraventi” umanizza il personaggio e stimola il pubblico a ricercare una motivazione per le sue azioni, che dovrebbero rimanere indecifrabili!!! Lo stesso Bresson suggerisce che il realismo, la cronaca sono soltanto il punto di partenza di un percorso più articolato che al culmine deve giungere ad una trasformazione chiamata da Schrader col il termine “scissione”. La scissione lascia trasparire progressivamente una dimensione latra in una quotidianità inespressiva. Essa conduce ad una biforcazione interpretativa: 1) realismo che non porta a nulla 2) Chiave interpretativa simbolica La scissione è attiva, oltre che dalla rappresentazione inespressiva della quotidianità, anche dall’applicazione di specifiche tecniche narrative: -raddoppiamento dell’azione ripetuta nella frequenza -reiterazione delle azioni ripetute nell’intreccio Ripetere più volte un’azione finisce per svuotarla di significato, e in Bresson questa tecnica serve per cercare le motivazioni che producono una determinata situazioni. Nel film “Diario di un curato di campagna” l’evento decisivo è rappresentato dalla morte del curato. Schrader definisce l’evento decisivo come un vicolo cieco che predispone lo spettatore a intraprendere l’unica via interpretativa possibile. Nel momento della morte del curato il registro realista viene di colpo abbandonato, c’è un esplosione di musica e la macchina da presa resta per un tempo interminabile su una croce, il primo ed unico invito esplicito ad una lettura degli eventi in chiave spirituale. Dunque per Schrader, la ricerca della verità del messaggio non risiede soltanto nell’immagine filmica come per Ayfre, ma anche nel sentimento autenticamente religioso che il film riesce a suscitare nello spettatore! CINEMA SACRO: “Sacro” e Cinema” hanno numerosi punti in comune che ci dicono di un rapporto quanto mai articolato. Sin dalle origini, il cinema ha fatto della Bibbia il proprio codice dell’arte. Infatti, la nuova arte prendeva in prestito dalla Bibbia un’infinità di storie già scritte e di personaggi già descritti. Mentre nei primissimi film, il montaggio è ancora lontano dall’arrivare e le inquadrature è come se fossero rappresentazioni differenti, i film a carattere
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