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Cinque secoli di stampa, Sintesi del corso di Design

Parla della storia della stampa, di quello che per 500 anni fu il principale mezzo di diffusione delle idee , come la sua relazione con il cambiamento della societa.

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 05/10/2021

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Scarica Cinque secoli di stampa e più Sintesi del corso in PDF di Design solo su Docsity! Capitolo primo Il periodo degli incunaboli Restrizione del termine incunabula agli anni compresi tra la prima produzione di Gutenberg e il 31 dicembre 1500. Il termine incunabula venne usato per la prima volta in relazione con l’arte della stampa dal decano della cattedrale di Minster Bernard von Mallinckrodt, in un trattato scritto in occasione delle celebrazioni del secondo centenario dell'invenzione di Gutenberg, l'infanzia della tipografia. Nell'Ottocento altri scrittori coniarono il singolare incunabolo. La seconda meta del Quattrocento e la prima del Cinquecento hanno due caratteristiche in comune che ne fanno un'unica entità: le mansioni di fonditore di caratteri, stampatore, editore, revisore letterario e libraio sono poco differenziate; la stessa persona o la stessa ditta svolgono da sé, generalmente, tutte o la maggior parte di queste arti o professioni. | primi a separare disegno di carattere, incisione dei punzoni e fusione dei caratteri dalla stampa vera e propria furono il parigino Claude Garamond e Jacob Sabon. Intorno al 1540 il numero degli stampatori andava crescendo. Diventate attività commerciali riconosciute, stampa editoriale e vendita dei libri richiedevano dimora fissa, capitali, schemi di lavorazione prestabiliti. Anche dal punto di vista grafico la prima metà del Cinquecento è ancora parte integrante del periodo creativo degli incunabula, quando l'aspetto dei caratteri da stampa era ancora allo stadio sperimentale. Verso la metà del Cinquecento si ebbe anche un cambiamento nella distribuzione geografica dei cenni della stampa e dell'editoria, in quanto l’importanza della Germania e dell'Italia cessava quasi del tutto, mentre entravano nel periodo del loro massimo fulgore la bella stampa e l'editoria francese. Capitolo secondo Gutenberg Gutenberg cominciò a sperimentare un sistema di stampa verso il 1440 e verso il 1450 aveva perfezionato abbastanza la sua invenzione per poterla sfruttare commercialmente. Egli prese allora a prestito 800 fiorini d'oro. Nel 1455, però il finanziatore esercitò sull'inventore il suo diritto di creditore non pagato. Gutenberg sembra che abbia salvato molto poco nel naufragio della sua fortuna: forse soltanto il carattere con cui aveva stampato le Bibbie delle 42 e delle 36 linee, e il Catholicon. Il Cathoticon è notevolmente più economico e segna un passo importante sia verso una produzione più varia che verso la diminuzione del prezzo dei libri. Con la pubblicazione di un'enciclopedia popolare come il Catholicon, Gutenberg indicò la via verso una delle mete più importanti dell’arte della stampa, cioè la diffusione della cultura. Nel tardo XVIII secolo vari inventori tentarono di migliorare il torchio di legno sostituendo alla vite altri modi di esercitare la pressione. Tuttavia il torchio originario progettato da Gutenberg veniva ancora utilizzato commercialmente a XIX secolo inoltrato. Si stamparono libri prima di Gutenberg e non c'era ragione per cui la stampa silografica non dovesse continuare con sempre maggiori perfezionamenti, come infatti accadde: i libri stampati da William Blake e la fotocomposizione sono tipici esempi di stampa senza caratteri mobili. Quel che fece epoca nell'invenzione di Gutenberg fu la possibilità di rivedere e correggere un testo assolutamente identico in ogni copia. Inoltre l’uso dei caratteri mobili e il loro impiego nelle edizioni a stampa non rivoluzionò la produzione dei libri, dal momento che agli inizi i libri stampati si distinguevano appena dai manoscritti e il frontespizio rimase virtualmente la sola aggiunta degli stampatori ai prodotti degli amanuensi. Facendo precedere e poi affiancando alla grande avventura della stampa di un libro l'edizione di indulgenze, calendari e opuscoli su argomenti d'interesse effimero, i proto-tipografi crearono quel che oggi viene chiamato lo “stampato commerciale”, e con esso Gutenberg e Fust posero le basi della moderna pubblicistica a stampa. Rendendo possibile l'immissione sul mercato di un grande numero di copie identiche di uno stesso testo in un qualsiasi momento prestabilito, Gutenberg previde la possibilità di aumentare sempre più il numero di copie riducendo contemporaneamente il tempo necessario a produrle. Gutenberg si rifece a realizzazioni precedenti, la realizzazione di Gutenberg sta dunque, prima di tutto, nella sintesi scientifica di tutti questi diversi esperimenti e tendenze. Per poter comporre anche una sola pagina occorreva disporre di un grande numero di caratteri; per un libro intero ce ne sarebbero voluti a migliaia: Gutenberg superò la difficoltà applicando il principio della fondita a ripetizione. Una singola lettera, incisa in rilievo e impressa in una piastra d'ottone, avrebbe fornito l'incisione in incavo e rovesciata della lettera stessa, da cui si sarebbe potuta ottenere meccanicamente una qualsiasi quantità di copie identiche semplicemente versandovi dentro del piombo fuso. La seconda invenzione compiuta da Gutenberg fu la realizzazione di un inchiostro che aderisse ai caratteri metallici e avesse quindi proprietà chimiche molto diverse da quelle dell'inchiostro impiegato nella stampa silografica. Un inchiostro composto d'un pigmento macinato in una vernice d'olio di lino. A Gutenberg occorreva anche la carta ricavata da stracci di lino e cotone macerati. Il torchio di Gutenberg rimase in uso senza miglioramenti sostanziali per più di rue secoli. Per manovrarlo occorreva una grande forza fisica e per di più esso non consentiva di stampare un foglio intero tutto in una volta. Capitolo terzo Il disegno di carattere E pressoché impossibile distinguere all'aspetto esteriore i libri stampati tra il 1450 e il 1480 dai manoscitti dello stesso periodo. Gli stampatori adottarono virtualmente tutte le scritture usate verso la metà del Quattrocento in Europa: la textura dei lavori liturgici, la bastarda dei testi di legge, la rotunda e La gothicoantiqua, la lettera antica ufficiale, e la cancelleresca corsiva. Né i manoscritti né i libri stampati avevano frontespizio o numeri di pagina. S'impiegavano anche gli stessi supporti e gli stessi formati. Perché gli stampatori imitarono così tanto gli amanuensi? la spiegazione vera la si troverà nell'atteggiamento del consumatore piuttosto che in quello del produttore. Nei riguardi della presentazione degli stampati il conservatorismo è sempre stata una caratteristica prominente del lettore: la presentazione tipografica dei libri richiede tradizione, e perché una nuova serie di caratteri abbia successo occorre che essa sia tanto buona da non poter esser riconosciuta come nuova se non da pochi. Gli stampatori del periodo degli incunaboli erano orgogliosi della qualità del loro lavoro fatto a mano. E siccome con esso dovevano guadagnarsi da vivere essi accettarono senza esitare i canoni stabiliti dagli amanuensi, i quali cercavano di ottenere, più della chiarezza e della leggibilità, la regolarità delle singole lettere, la compattezza di ciascuna linea. Il riconoscimento della fondamentale differenza tra gli effetti creati da colui che incide il metallo e quelli prodotti dalla penna d'oca portò alla vittoria del punzonista sull'amanuense, e conseguentemente il libro autentico soppiantò quello che imitava il manoscritto. La superiorità dello stampatore rispetto allo scrivano sta proprio nelle sue maggiori possibilità di disporre la materia organicamente. Un importante effetto di questa evoluzione fu la graduale riduzione dei segni contenuti nelle casse dei compositori. Gutenberg usò circa trecento segni diversi fra lettere singole, politipi e abbreviazioni: ora il numero è sceso a circa quaranta minuscole e quasi altrettante maiuscole: sopravvivono solo più sette politipi e una abbreviazione, la &. Entro circa cinquant'anni dalla morte di Gutenberg l'originaria abbondanza di caratteri diversi si divise in due correnti: da una parte l'antiqua nelle serie tonda e corsiva, dall’altra il gotico. La serie tonda fu incisa per la prima volta a Strasburgo nel 1467 e venne portata alla perfezione dal francese Nicolas Jenson a Venezia nel 1470. Dai vari caratteri gotici usati in Europa durante il XV secolo derivò il Franktur. Lo Schwabach, uno dei molti gotici allora in uso comparve a Norimberga. Il carattere latino, o antiqua. La vittoria dell’antiqua sul gotico è dovuta principalmente ad Aldo Manuzio. Aldo Manuzio, estremamente fortunato nella scelta di un punzonista, il bolognese Francesco Griffo, che gli fornì una nuova serie cui Jenson non aveva pensato, basata sulla scrittura cancelleresca corsiva della cancelleria papale. Fu chiamata più tardi “corsivo”. Griffo incise anche varie serie di tondo. Il corsivo di Griffo essendo stretto e condensato, permetteva un più economico impiego dell'area destinata ad essere stampata. Da allora non vi fu più dubbio che l’antiqua dovesse diventate il carattere europeo comune. Geoffroy Tory coronò il suo lavoro di stampatore scrivendo il primo trattato teorico sul disegno di carattere. Tory patrocinò anche l'uso dell’accento, dell’apostrofo e della cediglia nella stampa francese; fu egli stesso poeta e abile traduttore dal greco. Claude Garamond fu il primo a dedicarsi completamente al disegno, all’incisione e alla fusione di caratteri, specializzazioni che fino allora erano state parte integrante dell'addestramento professionale dello stampatore. Egli non stampò, ma dal 1531 creò su commissione dell’editore Estienne delle serie di tondo destinate a influenzare lo stile della stampa francese fino alla fine del Settecento. L'ultimo sforzo compiuto per creare una serie veramente nuova accanto al tondo e al corsivo fu compiuto da Robert Magonza è la culla della stampa a caratteri mobili. La maggior parte della produzione di Johann Schoffer è nella sfera degli studi classici. Una sua edizione del 1505 merita anche menzione per la sua prefazione, in cui vengono stabilite chiaramente le origini dell’inventore. Colonia Colonia fu per alcuni decenni il centro della stampa della Germania nord-occidentale. Tra il 1464, anno in cui Ulrich Zell vi fondò la prima stamperia, e la fine del secolo uscirono circa milletrecento titoli, due terzi dei quali erano però opuscoli. Quasi tutti i libri pubblicati a Colonia erano in latino, per metà scritti teologici. Questa unicità d'indirizzo della produzione libraria di Colonia trova spiegazione nelle tendenze tomistiche strettamente ortodosse degli insegnanti dell'Università. Ulrich Zell stampò più di duecento titoli; Heinrich Quentell lo superò con circa quattrocento. Le migliori realizzazioni del primo periodo della stampa a Colonia sono però due libri in tedesco, la Bibbia in basso tedesco di Heinrich Quentell e la Cronica di Johann Koelhoff il Giovane. Colonia riveste un'importanza particolare per l'Inghilterra, in quanto vi apprese l’arte William Caxton e vi nacquero Theoderich Rood e John Siberch, i proto-tipografi delle Università di Oxford e Cambridge. Lubecca Lubecca ebbe notevole importanza nella diffusione della stampa verso l'Europa orientale e nord-orientale. Il suo maggior stampatore fu Steffen Arndes. Egli aveva appreso il mestiere di fonditore e stampatore a Magonza. Oltre a una quantità di libri liturgici commissionatigli da vari capitoli e ordini monastici danesi, la maggior produzione di Arndes fu la Bibbia del 1494 in basso tedesco, un capolavoro d'esecuzione tipografica e d'illustrazione. Da Lubecca partirono via mare gli stampatori che introdussero la nuova arte nelle città baltiche. Lubecca fu anche il punto di partenza del primo fallito tentativo di introdurre la stampa in Russia. Un'ambasceria dello zar Ivan III invitò lo stampatore di Lubecca Bartholomaeus Gothan a trasferirsi a Mosca. Questi si recò infatti a Novgorod ma morì prima senza aver potuto produrre libri in quella lingua. Il soggiorno di Gothan in Russia lasciò però una traccia curiosa venuta alla luce solo recentemente. Sono state infatti ritrovate traduzioni manoscritte di testi tedeschi: ciascuno di tali manoscritti può esser fatto risalire a libri stampati a Lubecca fra il 1478 e il 1485. L'onore di aver fondato la stampa a caratteri mobili in Russia spetta allo zar Ivan IV il Terribile. Italia L'Italia fu il primo paese straniero in cui gli stampatori tedeschi portarono la nuova invenzione. Nel maggio 1471 apparve il primo libro effettivamente stampato da un italiano, il prete Clemente da Padova. La terra nativa della nuova cultura, il centro della civiltà cristiana, il paese d'origine del moderno sistema bancario e contabile, offrì a editori e stampatori avventurosi delle possibilità per cui non v'era invece posto nella società tedesca di struttura ancora prevalentemente medievale. | due caratteri che sono stati da allora gli elementi base della stampa occidentale, il tondo e il corsivo, videro così la luce in Italia; e qui si produssero pure le prime serie di caratteri greci ed ebraici; e avvenne il lancio nel mondo delle lettere dell'uso del frontespizio e della numerazione delle pagine, della stampa della musica e delle edizioni tascabili. Roma Dopo poco tempo Sweynheym e Pannartz, i primi stampatori d'Italia, trasferirono la loro attività dal monastero di Subiaco a Roma. Molto lavoro eseguito fino allora dagli abili amanuensi dell'amministrazione papale impegnò ora con continuità il torchio da stampa: gli stampatori romani hanno avuto da allora il loro da fare con moduli dell'amministrazione governativa, decreti, circolari e simili. Inoltre Roma era il centro del mercato librario mediterraneo sin dai tempi di Cicerone ed Orazio. Il numero dei titoli disponibili a Roma in quel tempo era notevole. Sweynheym e Pannartz affermarono nel 1472 di aver stampato ventotto opere in quarantasei volumi, alcune delle quali ebbero parecchie edizioni, di solito di duecentosettantacinque copie ciascuna. Nel complesso tuttavia la produzione dei torchi romani non è notevole dal punto di vista tipografico, lo è invece per il suo contenuto, che riflette la posizione internazionale della città. Lo stampatore romano Stephan Planck stampò per primo la lettera di Cristoforo Colombo da cui l'Europa apprese l'avvenuta rivoluzione delle sue concezioni geografiche. Due soli stampatori romani meritano particolare menzione: Ludovico degli Arrighi e Antonio Blado. Arrighi, maestro calligrafo e copista di professione, era anche un funzionario e pubblicò nel 1522 il primo campionario a stampa, che insegnava agli apprendisti l’uso della littera cancelleresca. Blado è famoso nella storia della letteratura per aver pubblicato le prime edizioni di due opere di carattere assai diverso: Il Principe di Machiavelli e gli Exercitia spiritualia di sant'Ignazio di Loyola. I due fratelli Johann e Wendelin von Speyer vi aprirono la prima stamperia nel 1467 e l'anno seguente Johann pubblicò il primo libro stampato. Erano le Epistolae ad familiares di Cicerone, la cui prime edizione di duecento copie fu venduta immediatamente. Le loro edizioni erano ben stampate e dimostrano una certa discriminazione nella scelta degli autori. Oltre ai classici latini i due fratelli pubblicarono i primi libri in lingua italiana. Il francese Nicolas Jenson si interessò a vari argomenti, fra cui ebbero evidenza particolare i padri della Chiesa e i classici latini. Nel suo programma egli incluse inevitabilmente anche parecchi scritti di Cicerone. L'importanza di Venezia come centro del mercato librario traspare dall'enorme numero di stamperie che vi svolgevano la loro attività verso la fine del secolo. La qualità della produzione era però inversamente proporzionale alla quantità. Erhard Ratdolt, il miglior stampatore rimasto a Venezia dopo la morte di Jenson, ritornò nella nativa Augusta nel 1486; il livello generale rimase basso. Importante fu lo stampatore veneziano del Cinquecento, Aldo Manuzio che aprì la sua stamperia a Venezia nel 1490, avendo come scopo ed interesse principali la pubblicazione di autori greci. Il successo di queste edizioni incoraggiò Aldo ad applicare la sua produzione e il suo senso degli affari a una nuova avventura, la produzione di testi latini, in cui doveva distinguersi in modo particolare. In quel tempo erano cresciute nuove generazioni di lettori come maestri di scuola, preti, avvocati, dottori, i quali volevano libri da poter portare in giro durante viaggi e passeggiate, o da leggere senza fretta davanti al caminetto, e il cui prezzo fosse, fra l’altro, accessibile alle possibilità finanziarie dei più poveri. Aldo ebbe una di quelle idee geniali che distinguono il grande editore quando decise di produrre una serie di testi che fossero allo stesso tempo di alto livello, raccolti in un numero di pagine relativamente piccolo, di formato maneggevole e a buon prezzo. Per poter giungere al successo commerciale, non gli fu solo necessario aumentare la tiratura di ogni edizione ma dovette anche far stare quanto più testo possibile nel piccolo formato in sedicesimo. Gli fu di molto aiuto in questo frangente il suo amore per i caratteri corsivi: la serie corsiva di Francesco Griffo soddisfece le sue esigenze. Il simbolo del delfino e dell'ancora vennero considerati in tutta Europa sicura garanzia di testi eccellenti e di belle impeccabili edizioni a prezzo ragionevole. Aldo Manuzio fu anche molto vicino a diventare il pioniere delle Bibbie poliglotte: egli progettò nel 1497 una Bibbia in ebraico, greco e latino. La stamperia di Manuzio si mantenne onorevolmente in vita per oltre un secolo. Morto Aldo, il suocero Andrea Asolano ne fu il fedele amministratore in nome del nipote Paolo. Paolo accrebbe la fama godura dalla stamperia con eccellenti edizioni ma non seppe migliorarne o anche solo mantenerne stabile il successo commerciale. Anche suo figlio Aldo il Giovane, che ereditò la ditta dopo la morte di Paolo fu bravo filologo e cattivo uomo d'affari. Posizione geografica e affinità storiche fecero di Venezia la via naturale attraverso cui gli slavi del Sud vennero in contatto con l’arte della stampa e vi s'incontrano stampatori croati a partire dal 1476. Anche i primi libri in lingua croata e caratteri glagolitici vennero stampati a Venezia. Venezia conservò la sua tradizione di centro della stampa per tutto il Cinquecento. Altri due grandi stampatori veneziani si dedicarono con passione alla letteratura italiana del tempo. Francesco Marcolini pubblicò una graziosa edizione di Dante. Anche più importante per la diffusione della letteratura nazionale fu il piemontese Giovanni Giolito de Ferrari. Egli non fu solo l'editore dell'Ariosto, ma ristampò anche maestri più antichi, specialmente Petrarca e Boccaccio. Padova La stampa cominciò a Padova nel 1471; i primi stampatori erano nativi dell'Italia, della Prussia, di Harlem, di Basilea e di Stendal. Nel 1474 si aggiunse loro un francese, Pierre Maufer di Rouen. Egli si recò a Padova con il padre e aprì una stamperia in proprio. Era evidentemente un manager astuto e intraprendente, benché il suo ambizioso programma editoriale lo coinvolgesse in continue liti coi suoi creditori. Maufer era in relazione con Johann Rauchfass, un libraio di Francoforte che viveva a Padova, fungeva da agente a Venezia di ditte tedesche, si era specializzato nell'esportazione di libri italiani alla fiera di Francoforte e finanziò la stampa del più importante libro di Maufer. Per questa impresa Rauchfass commissionò due nuovi caratteri gotici al grande punzonista Francesco Griffo, sul modello di un carattere usato da Nicolas Jenson. Il passo successivo fu di assicurarsi la collaborazione di due accademici e di un dotto correttore. In ultimo, ci si assicurò una fornitura sufficiente di carta di elevata qualità e uscirono dalla bottega di Maufer 600 copie del libro. Francia La storia del libro stampato è caratterizzata in Francia, fin dagli inizi, dalla centralizzazione delle stamperie e dall’eleganza della produzione. Lione fu la sola città, oltre Parigi, a mantenere la sua posizione di centro indipendente della stampa e dell'editoria. Questa tendenza venne rafforzata dall'apertura della prima stamperia francese come dipendenza ufficiale della Sorbona, il centro intellettuale del paese, e dal fatto che essa godette subito della speciale attenzione della Corona. In Francia lo stampatore fu per la prima volta al servizio dell'editore. La Sorbona, la più antica università a nord delle Alpi nel 1470 invitò tre stampatori tedeschi a fondare una stamperia nei suoi locali; il rettore e il bibliotecario dai quali era partito l'invito scelsero i libri da pubblicare e ne supervisionarono la stampa per cui scelsero loro stessi il carattere; la loro insistenza per l’impiego di una serie tonda ebbe importanza decisiva nel preparare il rapido abbandono del gotico nel mondo occidentale. | volumi pubblicati furono in gran parte libri di testo per gli studenti. Si erano ormai affermati gli stampatori indigeni, fra i quali un certo Pasquier Bonhomme che pubblicò il primo libro a stampa in lingua francese: i tre volumi delle Croniques de France. Jean Dupré e Anloine Vérard, che si specializzarono entrambi in edizioni di lusso illustrate e ricche di ornamentazione. Dupré controllò per un certo tempo il mercato librario francese, associandosi a ricchi finanziatori e fondando filiali e agenzie nelle va rie province. Vèrard fu invece l’iniziatore dei libri d'ore, di cui stampò circa duecento edizioni diverse; nella loro armoniosa fusione di nitidi caratteri, fregi eleganti e fini illustrazioni, questi volumi costituirono un esempio di fine esecuzione tipografica di cui si giova da allora la stampa francese. Verso la fine del secolo queste letture prettamente medievali decaddero nel favpre del pubblico e lo spirito del Rinascimento cominciò a permeare il pensiero francese. Vérard fu uno dei pionieri che introdussero elementi rinascimentali nell’ornamentazione dei libri. Lione costituisce un'eccezione alla regola generale, in quanto il suo primo stampatore fu un francese di nome Guillaume le Roy. In confronto ai sessanta e più stampatori di cui si può trovare traccia a Parigi durante gli ultimi decenni del Quattrocento, Lione ne contava negli stessi anni una quarantina, prova dufficiente dell'importanza economica della città, le cui fiere di rinomanza mondiale richiamavano mercanti dalla Germania, dall'Italia e dalla Spagna. Inoltre gli stampatori lionesi ebbero il vantaggio di essere lontani dalla censura esercitata dai teologi della Sorbona e furono perciò liberi di seguire le tendenze umanistiche. Bade, Henri Estienne, Geoffry Tory. Questi stampatori introdussero in Francia i principi lasciati dalla stamperia aldina: uso esclusivo dei caratteri latini, tondi e corsivi, formato maneggevole, prezzo basso. Sotto l'influenza dei principi di Tory, Colines e Estienne acquisirono serie di caratteri interamente nuove. Vengono attribuite allo stesso Colines alcune serie di corsivo e di greco. Robert Estienne, e dopo di lui il figlio Henri il Giovane, furono i più eminenti studiosi stampatori del secolo. Robert fu un profondo classicista e cristiano devoto. Nel suo Nuovo Testamento in greco egli divise i capitoli in versi numerati, innovazione che fu presto universalmente adottata. Le loro edizioni ridotte per le scuole fecero di Robert il padre della lessicografia francese. Francesco | riconobbe intelligentemente l'immensa forza che poteva derivare da un appello a quella che si chiamò poi l'opinione pubblica per mezzo della parola stampata. Nel 1527 il suo governo spiegò e giustificò pubblicamente la propria politica in un opuscolo, che costituì il modello di molti libri bianchi successivi. Si deve a Henri una lunga serie di classici pagani e dei primi anni del cristianesimo. Gli Estienne costituirono così il ponte ideale fra il periodo degli incunaboli e l'imprimerie royale di Luigi XIII, dimostrando la solidità unica e la quasi uniforme eccellenza della stampa francese attraverso i secoli. Oltre ai Trechsel, uno dei più eminenti stampatori lionesi fu Sebastian Greyff (Gryphius). Le sue edizioni di autori antichi rivaleggiarono con quelle di Aldo Manuzio. Gryphius fu anche il primo editore del libero pensatore umanista Etienne Dolet, il quale nel 1538 aprì una stamperia per proprio conto pubblicando la satira calvinista. Ma la fama di Lione nella storia della stampa è dovuta in ugual misura agli stampatori e ai disegnatori di caratteri, di cui il più grande fu Robert Granjon. | caratteri di Granjon, le illustrazioni di Salomon e l'esecuzione tipografica dei due De libraria in lingua locale del Cinquecento. Dopo aver rafforzato le barriere linguistiche tra le varie nazioni, la stampa procedette ad eliminare le differenze linguistiche all'interno di ciascun gruppo. Fu Caxton a superare le perplessità dei dialetti e a fissare, con l'adozione di un modello che non sarebbe stato mai più abbandonato. Caxton può vantarsi di aver inaugurato lo stile tipografico di una casa editrice, che annulla le incongruenze dei singoli autori. La standardizzazione dell'inglese per effetto della stampa ha portato a un enorme incremento del vocabolario e alla creazione di un solco sempre più profondo tra lingua scritta e lingua parlata. La più notevole espressione della standardizzazione della lingua inglese operata dall'uniformizzazione degli stampati la si riscontra nell'ortografia odierna. Fino all'invenzione della stampa essa era completamente fonetica, il che significa che ogni scrivano rendeva i suoni sulla pergamena così come li udiva: il moderno compositore segue invece quanto decretano Horace e Collins. Questa generale tendenza alla standardizzazione non ha tuttavia mai soddisfatto l'ardore di coloro che volevano riformare l'ortografia a fin di bene. La loro ambiziosa ricerca dell'irraggiungibile ortografia fonetica cominciò nel primo Cinquecento. Trissino raccomandò nel 1524 di aggiungere all'alfabeto latino alcune lettere greche, in modo da indicare la differenza tra le vocali aperte e quelle chiuse. Negli anni 1530 Robert Estienne introdusse in Francia l’uso dell'accento, grave e acuto, e dell'apostrofo. L'errore fondamentale dei riformatori dell'ortografia stava nella loro pretesa che la parola stampata o scritta rappresentasse graficamente l'insieme di suoni che costituiscono una parola, mentre la sua vera funzione è piuttosto quella di rappresentare un'idea, di trasmettere questa stessa idea a quante più persone possibile. Tutti i tentativi di una completa riforma ortografica sono destinati al fallimento, poiché i loro promotori non tengono conto dello stampatore, che è il più forte elemento di conservatorismo. Capitolo sesto Stampatore ed editore Agli inizi la figura principale dell'editoria era lo stampatore: era lui che si assicurava i servizi di un incisore che gli incidesse appositamente i punzoni, e che faceva fondere i caratteri alla fonderia locale; lui che sceglieva i manoscritti che desiderava pubblicare e ne curava la pubblicazione svolgendo le funzioni di revisore letterario; lui che stabiliva il numero di copie da stampare e che vendeva il libro ai clienti; ed era lui che teneva la contabilità. Quando non svolgeva egli stesso tutte queste mansioni, era comunque lui ad anticipare il capitale, a commissionare le revisioni dei testi da pubblicare, a organizzare la distribuzione dei libri attraverso i propri agenti. Soltanto i legatori e i fabbricanti di carta sono sempre stati indipendenti. La situazione è andata gradualmente cambiando e il centro propulsore dell'editoria è diventato l'editore stesso, che sceglie l’autore, il titolo, lo stampatore e in genere perfino il carattere e la carta; fissa il prezzo del libro; e organizza il sistema di distribuzione. L'idea di dar vita a società editrici in cui autori o revisori letterari, uomini d'affari e stampatori unissero le loro coscienze e la loro esperienza pratica deve essersi fatta strada molto presto. Siccome la maggioranza dei primi stampatori era di bassa levatura e di poca importanza, i dati biografici scarseggiano e a stento permettono e a stento permettono di generalizzare sulle loro fortune individuali; ma sembra che solo pochi siano riusciti a fare dell'editoria un'attività redditizia. | primi stampatori compreso Gutenberg sono stati più bravi come stampatori che come uomini d'affari. Essi non si resero conto del fatto che il considerevole capitale investito in anticipo in ogni edizione sarebbe rientrato soltanto con molta lentezza. Il loro mancato successo commerciale può infatti essere attribuito a questo. Ma di solito gli stampatori dovettero assicurarsi la partecipazione finanziaria di personalità estranee all'arte, e questa cooperazione fra artigiano e finanziatore portò facilmente alla successiva separazione fra stampatore ed editore. Il modo in cui essi andarono presentandosi ai loro clienti riflette questa evoluzione. Il colophon fu il primo mezzo usato dallo stampatore per far conoscere quale parte avesse avuto nel procedimento tecnico, per assicurarsi i suoi diritti morali e legali. A causa della netta differenziazione dello stampatore dall'editore il colophon oggi si è ridotto moltissimo. Nei primi tempi il colophon fungeva un po’ da frontespizio e conteneva molto comunemente un riferimento in termini elogiativi alla qualità della stampa e venivano spesso poste in rilievo la novità dell'arte della stampa. Alcuni degli stampatori si fecero comporre i colophon da scrittori professionisti. I marchi degli stampatori entrarono nell'uso fin dai primissimi anni dell'arte, e venivano di solito collocati dopo il colophon. Lo scopo era sempre quello di garantire la qualità e salvaguardare ciò che più tardi divenne noto come copyright. Molti dei marchi dei proto-tipografi costituiscono oggi preziosi documenti d'arte grafica, sono disegnati artisticamente, araldicamente esatti e ricchi di inventiva. La loro importanza è ancor maggiore quando ad essi si accompagna il norne di una ditta famosa. Il più famoso tra tutti è quello di Aldo Manuzio: ancora e delfino. I marchi del tardo Cinquecento e del Seicento erano di stile barocco. Le principali forme di pubblicità impiegate dagli editori - il volantino contenente informazioni dettagliate su uno o più libri; il prospetto delle edizioni in programma; il manifesto destinato ad attirare il passante occasionale; il catalogo in cui vengono elencati i libri disponibili - vennero elaborate nel ventennio successivo all'invenzione della stampa. | primi cataloghi di una casa editrice recanti il prezzo di ciascun volume furono quelli pubblicati da Aldo Manuzio nel 1498. Il primo catalogo contenente solo libri in tedesco venne pubblicato 1483. L'editore si diede quindi la pena di spiegare ai probabili clienti di che cosa trattasse ciascun libro e quale profitto o piacere se ne potesse ricavare. Koberger riunì su un solo volantino la pubblicità particolareggiata di un determinato libro e l'elenco di altre pubblicazioni. Il volantino di Koberger contiene virtualmente tutto quello che potrebbe escogitare il direttore dell'ufficio pubblicità d'una ditta moderna. Egli comincia con qualche osservazione generale sull'utilità e sul piacere derivanti dai vari tipi di letteratura basata sul generoso impiego di grandi nomi. Koberger porta poi il discorso sull'importanza suprema della teologia tra le varie manifestazioni dell'intelletto umano. Koberger si preoccupa anche di agevolare i compratori, in quanto era allora ben difficile trovare una libreria in un luogo che non fosse sede d'università: i suoi rappresentanti e commessi viaggiatori avrebbero esposto il loro ampio assortimento in locande dove i clienti erano invitati. L'era del consolidamento Scozia Nel Settecento la Scozia ottenne finalmente un posto onorevole negli annali della stampa. Essa era stata uno degli ultimi paesi civili a veder fondata una stamperia nel suo territorio, ma in compenso i suoi primi stampatori furono indigeni. Per due secoli, comunque, gli stampatori scozzesi non furono seri rivali né degli artigiani inglesi né di quelli stranieri. Fu Glasgow, tuttavia, e non Edimburgo, ad assurgere tra il 1740 e il 1775 al rango di metropoli scozzese della stampa. | fratelli Robert e Andrew Foulis si specializzarono in filosofia e in autori classici, per la maggior parte greci, sia in edizione originale che in traduzioni. L'ambizione di pubblicare libri veramente “dotti” è evidente nella cura dedicata alla correzione di queste edizioni: ogni bozza veniva letta molte volte. | Foulis vantano un particolare titolo di merito per l'influenza ch'essi esercitarono sull'evoluzione del frontespizio, che non riuniva minuscole, corsivi, o maiuscole di due corpi diversi nella stessa linea costituì una vera rivoluzione. America Uno dei primi ammiratori di Caslon e Baskerville fu Beniamin Franklin, il primo stampatore americano degno di nota. La stampa era stata introdotta nelle colonie di New England solo nel 1638, quando Joseph Glover importò nell'omonima cittadina del Massachusetts un torchio e tre stampatori di Cambridge. Dopo vent'anni venne importato dall'Inghilterra un secondo torchio. Il primo maestro stampatore professionista delle Americhe fu Marmaduke Johnson. Sudafrica Per più di un secolo la sparsa popolazione del Capo si accontentò di stampati, di carattere prevalentemente religioso, importati dai Paesi Bassi. Nel 1784 un legatore tedesco fondò nel Capo una piccola stamperia, in cui pubblicò un almanacco e varie altre cose. Il primo libro stampato in Sudafrica fu un opuscolo della London Missionary Society tradotto in olandese. La prima produzione letteraria fu un breve poema scritto da un pastore olandese. Capitolo terzo Editori e patroni A causa della migliorata organizzazione del commercio al minuto non era più necessario per l'editore far assegnamento sulla buona volontà di un determinato dettagliante. Da allora il postulato che ogni buon libraio abbia in magazzino i suoi libri è diventato bagaglio inseparabile della pubblicità di tutti gli editori moderni. | casi in cui stampatore ed editore sono la stessa persona sono diventati sempre più rari, e in queste occasioni la soscrizione mette quasi invariabilmente in evidenza il fatto che il libro è pubblicato dallo stampatore e non che la stampa è stata eseguita dall'editore. Analogamente le case editrici universitarie sono conosciute generalmente con il nome della stamperia, in quanto la dicitura “Oxford University Press” si riferisce soltanto alla stamperia gestita dalla rispettiva università, mentre la responsabilità tipografica, editoriale, delle vendite e dell'approvvigionamento della carta tocca ai Sindaci a Cambridge e ai Delegati a Oxford. In origine le autorità universitarie si erano accontentate di lasciare che il nome dello stampatore stesse per quello degli editori accademici. Thomas, nominato nel 1583 primo stampatore ufficiale di questa università, diede maggior rilievo alla sua posizione introducendo nei suoi frontespizi le armi dell'università stessa, rimpiazzate poi dal marchio barocco comprendente il motto. Per quanto riguarda la Gran Bretagna, si può dire che il riconoscimento di editore e autore è dovuto al Copyright Act del 1709, una legge per l'incoraggiamento degli studi, mediante il conferimento agli autori o compratori delle copie dei libri stampati del diritto di proprietà presente e futura per il tempo ivi stabilito. | principali beneficiari di questa legge furono gli autori (il loro lavoro venne per la prima volta riconosciuto come bene prezioso, per il quale essi avevano diritto alla protezione della legge e della cui proprietà essi potevano disporre sul libero mercato a loro miglior vantaggio), ma la petizione venne dagli editori, i quali infatti non trassero minor profitto degli autori dalla protezione che la legge garantiva ora al compratore e al venditore dei prodotti dell'intelletto. La conseguente scomparsa dei contraffattori permise all'editore di fissare il prezzo dei suoi prodotti a un livello che gli assicurasse un ragionevole profitto e gli permettesse nello stesso tempo di dividerlo con l’autore. Forme di pubblicità dovettero essere adattate alle necessità vere o supposte di una clientela sempre crescen-te e di gusti ancor più variabili e imprevedibili. Alla scadenza dello statuto originario del copyright (1731) risale la responsabilità dell'improvvisa nascita, nel 1732, delle pubblicazioni periodiche. | compensi per l'editore e l'autore di successo aumentarono corrispondentemente. L'editore che seppe valutare correttamente quel che il pubblico voleva poté ora ordinare al suo stampatore tirature di migliaia di copie. L'autore che aveva scritto il giusto tipo di libro per il giusto tipo di editore e si era affermato nei gusti del pubblico poteva ora vivere sulle sue royalties, senza dover più comporre a termine il lavoro letterario nel tempo che poteva avanzargli dall'espletamento dei suoi doveri di funzionario, maestro, pastore, ecc. Fino alla metà del Settecento lo scrivere per lucro invece che per la fama era considerato un'indice di cattiva educazione. Soltanto pochi scrittori avevano ricevuto un compenso dai loro editori e se lo avevano avuto, lo nascondevano. Verso il Settecento la mancanza di sentimento artistico personale aveva portato a fissare una specie di tariffa. Ci si aspettava di più quando accettava una dedica un membro della famiglia reale. Verso la metà del secolo cessò l’uso di dedicare un libro con lo scopo di ricevere un compenso in denaro, e a questo tipo di dedica si sostituì quell'espressione di genuino rispetto e affezione che sarebbe poi rimasta. La fioritura della letteratura inglese del Settecento è strettamente collegata con il crescente interesse personale che gli editori cominciarono a dimostrare per i loro autori. Una particolarità dell'editoria del Seicento e del Settecento fu la frequente costituzione di “società cooperative”. La società era stata fin dagli inizi una caratteristica della stampa; in origine, certo per mancanza di capitali da parte dello stampatore- editore, ma più tardi probabilmente per il desiderio di estendere a una base più vasta il rischio di ogni avventura editoriale d'incerte prospettive: la Francia diede l'esempio in questo campo all'inizio del Seicento, quando per ogni iniziativa si fondava un sindacato che veniva poi sciolto con la massima facilità una volta raggiunto lo scopo. Le società inglesi del Settecento ebbero quale caratteristica principale fogli di notizie. Furono tra i primi giornali che tennero conto dei gusti d'una nuova classe di lettori. Il cambiamento di formato e d'impaginazione non era infatti dovuto a necessità tipografiche, si trattava piuttosto di un segno esteriore del cambiamento che stava avvenendo in quel tempo tra i lettori. Il principale rappresentante del pubblico letterato e letterario non era più lo studioso, ma l'uomo di mondo. Lo stesso imperioso bisogno di più facile e rapido accesso agli stampati informativi ebbe una parte di primo piano nella nascita della rivista periodica, perché essa è in effetti una specie di libro a puntate e perciò può servire ugualmente bene da sostituto meno impegnativo o da facile introduzione a una lettura più seria. Cultura generale e filosofia furono i principali argomenti con cui si riempirono le pagine dei primi periodici. Ai primi del Settecento la stampa periodica, giornali e riviste, si era ormai affermata definitivamente e di decennio in decennio acquistava nuova forza. Anche le province cominciarono ad avere i loro giornali locali, agli inizi quasi tutti a frequenza bisettimanale. Dopo l'istituzione, nel 1691, di un servizio postale giornaliero che assicurava la regolare trasmissione alla capitale delle notizie dall'estero divenne possibile pubblicare dei quotidiani. | primi giornali londinesi che uscirono con tale frequenza furono The Daily Courant (1702), The Daily Post (1719), The Daily Journal (1720) e The Daily Advertiser (1730). La severità della censura francese ritardò fino al 1777 la nascita del primo quotidiano francese, il Journal de Paris. Quando la Rivoluzione proclamò la liberti di stampa, il numero dei giornali di Parigi salì di colpo. Più di ogni altro direttore, furono Richard Steele e Joseph Addison a determinare lo stile del periodico generico, che, presto imitato in tutti i paesi, doveva diventare la guida e l'amico, l'educatore di milioni di lettori per tutto il Settecento. The Tatler (1709) e The Spectator (1711) sono i giornali più famosi che essi diressero e per i quali essi garantirono ai loro lettori servizi d'istruzione morale, commenti su argomenti letterari ed artistici, notizie in breve e trattenimenti piacevoli. Molti giornali inaugurarono una nuova rubrica, la recensione delle novità librarie, e alcuni periodici fecero addirittura della critica letteraria il loro principale interesse. Capitolo settimo Le biblioteche Grandi e ben organizzate biblioteche di manoscritti esistevano già molto tempo prima dell'invenzione della stampa a caratteri mobili. Il primo uomo di stato ad includere tra i benefici che un'amministrazione ben guidata avrebbe dovuto provvedere ai cittadini la costituzione di una biblioteca fu Giulio Cesare. Tale esempio venne seguito da molti imperatori, a cominciare da Augusto e Tiberio, e la Roma imperiale giunse ad avere ventotto biblioteche pubbliche. Distrutto l'impero, l'idea della biblioteca aperta al pubblico venne seppellita per mille anni. Le biblioteche del Medioevo erano monastiche, episcopali o accademiche: solo l'arte della stampa permise di realizzate la biblioteca destinata ad essere il magazzino dei tesori intellettuali dell'intero mondo civile. Principi e nobili, mercanti e studiosi cominciarono nel Rinascimento a mettere insieme collezioni di libri. La concessione di una biblioteca del copyright venne incorporata nel license act del 1663, in cui si stabilì la presentazione di tre copie gratuite per ogni pubblicazione, numero che salì gradualmente. Questo concetto fu ripreso anche altrove ed è vantaggioso per tutti coloro che sono interessati ai libri da un punto di vista professionale, poiché le biblioteche del copyright sono centri presso i quali si possono trovare info bibliografiche complete. Le prime grandi biblioteche aperte al pubblico furono l'Ambrosiana di Milano (aperta nel 1609) e quella messa insieme per il cardinal Mazarino da Gabriel Naudé. La maggior parte delle grandi biblioteche nazionali venne fondata tra il Seicento e il Settecento: esse furono, di fatto, il simbolo, nella sfera intellettuale, delle tendenze centralizzatrici delle monarchie assolute. Fino ad Ottocento inoltrato, però, il pubblico ebbe tutt'altro che facile accesso alle biblioteche pubbliche. Di fatto le grandi biblioteche di stato, quelle municipali non erano adatte a soddisfare le necessità delle classi non accademiche e non professioniste che costituivano sempre più la grande maggioranza dei lettori di libri. La creazione della biblioteca pubblica è forse il maggior contributo dato dagli Usa al sistema di istruzione generale. L'dea della biblioteca circolante, ottima fusione d'iniziativa commerciale e di sollecitudine per il progresso intellettuale, venne lanciata da uno scozzese, Allan Ramsay che annesse la prima biblioteca circolante alla sua bottega di libraio a Edimburgo (1726). Alcuni anni dopo il reverendo Samuel Fancourt, un pastore dissidente, fondò la prima biblioteca circolante londinese negli anni 1730. Verso la fine del Settecento le biblioteche circolanti erano diventate caratteristica comune di ogni citti dell'Europa occidentale. Nei piccoli centri dove probabilmente non le si sarebbe potute gestire con profitto, club di lettura e società letterarie funsero da biblioteca, provvedendo agli associati le ultime novità del mercato librario: queste organizzazioni si potrebbero quindi classificare come i precursori delle biblioteche locali e municipali. Capitolo ottavo La censura Cent'anni dopo l'invenzione di Gutenberg tutte le autorità laiche ed ecclesiastiche europee esercitarono sulla stampa il diritto di censura, che fu poi abolito verso la fine del settecento in Inghilterra, e in altri paesi. Magonza, culla dell'arte della stampa, vide nascere anche la censura sui libri infatti, l'elettorato di Magonza e la città imperiale di Francoforte si accordarono per l'istituzione in comune del primo ufficio laico di censura. Quel ch'era nuovo nella procedura seguita dall'arcivescovo Berthold era l'attribuzione allo stato del diritto di esercitare la censura. Il suo scopo era di tenere sotto stretta sorveglianza ecclesiastica il nuovo mezzo d'espressione della cultura. Le autorità ecclesiastiche, e nel tardo Medioevo le università, avevano sempre esercitato sugli scritti il diritto di censura. La censura ecclesiastica, comunque, si era quasi esclusivamente interessata fin allora a combattere e reprimere la pubblicistica eretica. La Chiesa romana, scossa alle fondamenta dalla Riforma luterana e allarmata per i poteri sempre più grandi che si arrogava lo stato laico, continuò la politica delineata da Leone X. Il cardinal Carafa decretò nel 1543 che nessun libro - nuovo o vecchio, e quale che ne fosse il contenuto - potesse venir stampato o venduto d'allora in poi senza l'autorizzazione dell'Inquisizione. L'Index, continuamente aggiornato, rimase fino al 1966 l'autoritaria guida cui ogni cattolico romano praticante doveva uniformarsi nelle sue letture, ma già al tempo della sua prima edizione la censura era caduta nelle mani dei poteri secolari ed era diventata un'arma di governo volta a salvaguardare determinati interessi politici. Singoli libri vennero proibiti per ragioni politiche da vari principi tedeschi e da numerose autorità cittadine tanto in Italia quanto in Germania. Il primo monarca che pubblicò un elenco di libri proibiti fu Enrico VIII d'Inghilterra, il quale proibì anche l'importazione di libri stampati all'estero. Fin dalla fine del quattrocento Francoforte era stata il centro del mercato librario tedesco e aveva perfino attratto un gran numero di editori e librai stranieri ma nel 1579 il suo mercato librario venne posto sotto la sorveglianza della commissione imperiale per la censura, poiché Francoforte era una libera città imperiale. Contemporaneamente la Repubblica olandese dimostrava quali favorevoli risultati si potessero ottenere esercitando con intendimenti liberali una censura simbolica. Pian piano l'escludere la sorveglianza della censura diventò quindi un'arte. Il sotterfugio più comune fu l'impiego di una soscrizione falsa oppure adottare l'indirizzo di comodo d'un editore straniero o semplicemente omettere qualunque indicazione circa il nome dello stampatore e il luogo d'edizione. Quasi tutte le grandi opere della letteratura francese del Settecento dovettero venir stampate all'estero, oppure sotto falsa soscrizione. Il più efficace antidoto contro le intenzioni della censura sta forse nel fatto che il pubblico bando o la condanna al rogo di un libro sono il modo più sicuro per attrarre su di esso l'attenzione del pubblico. Il primo colpo efficace contro le restrizioni venne vibrato in Inghilterra. Conto un'ordinanza parlamentare del 1643 sull'attività degli stampatori e dei librai insorse John Milton. La libera critica, sostiene Milton, è un privilegio del cittadino e un bene per lo stato Un passo ulteriore, decisivo per la liberti di stampa, venne compiuto da John Wilkes, la cui coraggiosa presa di posizione contro il re, il governo, il Parlamento e i magistrati condusse all'abolizione del mandato generico d'arresto contro autori, stampatori ed editori non meglio specificati. D'allora in poi si poté agire legalmente soltanto nei confronti di individui ben determinati e imputati di uno specifico reato. In Europa la situazione era diversa. Con lo sviluppo dell'assolutismo nel Settecento, la censura divenne più severa, almeno per quel che riguarda gli scritti politici. La Svezia fu il primo paese del continente ad abolire la censura (1766), seguita dalla Danimarca (1770). La svolta decisiva si ebbe con la Rivoluzione francese, che incorporò in leggi costituzionali le idee di Milton. Alla vigilia della rivoluzione Mirabeau aveva pubblicato un suo opuscolo sulla libertà di stampa che ebbe importanza determinante nel provocare la dichiarazione, formulata dall'Assemblea nazionale nell'undicesimo articolo della Dichiarazione dei diritti: <<La libera comunicazione del pensiero e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi dell'uomo; ogni cittadino può dunque parlare, scrivere, stampare liberamente>>. Un simile articolo è diventato da allora obbligatorio in tutte le costituzioni scritte. Tre fattori militano tendenzialmente contro l'efficacia di qualsiasi censura: il tempo intercorrente fra pubblicazione e messa al bando, la benevolenza dei censori stessi, e la resistenza del pubblico. La censura è solo uno degli aspetti assunti da quel desiderio di controllo e di conformismo che non manca negli uffici governativi. Gottfried Wilhelm von Leibniz concepì una riforma dell'editoria tedesca che avrebbe trasformato autori, editori e librai in impiegati dello stato (1668-69). Un piano analogo lo studiò il cancelliere austriaco Metternich, che vagheggiò un'organizzazione centralizzata, sotto stretto controllo governativo, di tutta l'editoria tedesca, in modo da infrangere l'illimitato potere dei librai, che guidano l'opinione pubblica tedesca. Parte terza Dall’ottocento ai nostri giorni Durante il secolo XIX si ebbero graduali cambiamenti nelle tecniche di stampa. In un primo tempo, i miglioramenti non vennero adottati su vasta scala, perché i consolidati metodi in uso da molto tempo erano in grado di far fronte alla crescente domanda di stampati. Solo in campi molto specializzati, come la produzione di grandi giornali, le nuove tecniche s'imposero decisamente. Alcuni aspetti, come il passaggio in macchina del foglio di carta, progredirono più rapidamente di altri. Le ragioni di queste ineguaglianze sono: la spesso deliberata volontà politica dei tipografi di limitare la meccanizzazione; la maggior facilità con cui si poteva meccanizzare un torchio rispetto al procedimento di composizione; e la presenza di un esercito di compositori che per un tempo considerevole furono in grado di far fronte alla domanda crescente di composizione. Il concetto di meccanizzazione cominciò a farsi strada nella fondita dei caratteri, nella composizione, nella legatura, soltanto negli anni 1860, e la macchina capace di fondere e comporre da sola i caratteri non divenne una realtà commerciale prima della fine degli anni 1880. Ciò nonostante stampatori ed editori, librai e lettori adottarono nuovi modi di produzione e di consumo. L'abolizione delle tasse sulla cultura, il bollo per i giornali e la tassa sulla carta provocarono in Inghilterra l'aumento del numero dei giornali e la conseguente sostituzione, in molti stabilimenti, del torchio azionato a mano con la macchina piano-cilindrica. Il progresso tecnico, un'organizzazione più razionale e l'istruzione obbligatoria s'influenzarono quindi a vicenda. Nuove invenzioni diminuirono i costi di produzione; la diffusione della capaciti di leggere e scrivere creò un ulteriore domanda; e una migliore organizzazione favorì il flusso dei libri. Gli effetti combinati della graduale meccanizzazione, della cauta adozione delle nuove tecniche e della grande espansione della domanda significarono che non ci fu disoccupazione su larga scala nell'industria grafica e che il pubblico poté beneficiare di giornali, periodici e libri a basso prezzo. Capitolo primo Il progresso tecnico Dopo il 1800 anche la stampa iniziò il lento processo di trasformazione in industria, favorito dai progressi della meccanica. Le brecce aperte nel sistema delle corporazioni, il generale fermento nella società e l'accresciuta cerchia dei potenziali lettori crearono finalmente un clima favorevole all'accettazione della macchina. Ci sarebbe voluta una nuova generazione di stampatori dalla mentalità più aperta verso la meccanica perché la macchina da stampa venisse infine accettata, ma i loro colleghi compositori avrebbero combattuto per molti anni ancora una battaglia di retroguardia contro la composizione meccanica. La prima invenzione rivoluzionaria riguardò la fabbricazione meccanica della carta. Nicolas-Louis Robert inventò nel 1798, nella cartiera dei Didot, una macchina che doveva soppiantare la lenta e costosa za degli sciivani préfessionisti e L'elevataquallq dele loro sirittura avevano ritardato l'introduzionedella stam' pa in Turchia fino al r7zg, anno in cui un rinnegato un' L'AFFERMAZIONE DELL'ALFABETOLATINO 235 gherese - che dopo la conversione all'Islamaveva adot-tato il nome di Ibrahim Muteferrika ft674-r74r\ - fon- db a Costantinopoli la prima stamperia turca. Alla sua morte, e dopo aver pubblicato diciassette libri (in venti-tre volumi) fra cui un dizionario arabo e una grammatica turco-francese compilata dal gesuita tedesco j. n. Holder-mann, la stamperia dovette chiudere i battenti e solo nel 1784 il sultano AMul Hamid | ne fondb un'alua,uffi-ciale questa volta, che perb non si distinse mai in modo particolare. La scomparsa del Fraktur dal mondo di lingua tedesca avvenne invece assai più gradualmente. | primi a ribel-larsi contro il monopolio del gotico futono scienziati, dot-tori, economisti e tecnici tedeschi. La natura stessa dei loro studi li spingeva alla collaborazione internazionale e per tutto l'Ottocentoessi fecero stampare in caratteri latini tutti i loro libri e periodici, in modo da renderli ac- cessibili a un pubblico non tedesco. Merita d'esserericordato un ridicolo tentativo di fon- dere il Fraktur con l'antiquapromosso nel r8j3 dalla fonderia berlinese C. G. Schoppe. Essa mise in commer- cio un carattere chiamato Cenmalschrift, asserendo orgo-gliosamente di aver finalmente tisolto la secolare lotta fra caratteri latini e caratteri gotici: in realtà non aveva fat-to altro che combinare meccanicamente la parte superiore dei caratteri latini con l'inferioredi quelli gotici, attuan-do la più grande follia mai escogitata nella storia del di-segno di carattere. Alla conversione finale della stampa tedesca all'alfabe-to latino non condussero però né la crescente popolariti dell'antiquané un cambiamento di gusti come fu il ca- so dell'Europaoccidentale nel Quattro-Cinquecento, del-l'Americae dell'Inghilterranel Seicento, dell'Europaset- tentrionale nell'Ottocento:essa venne imposta dall'alto su un popolo riluthnte o indifierente. | nazisti furono per qualche tempo in dubbio fra le due possibiliti: fin quando il loro credo era destinato ad uso interno essi fu-rono inclini a impone il gotico, genuina espressione ti-pografica dello spirito nordico; ma quando cominciarono a balenar loro in mente l'OrdineNuovo d'Europae l'am- 46 DALL'OTTOCENTO Al GIORNI NOSTRI bizione di dominare il mondo, Hitler valutb con intelli, genza il vantaggio che gli sarebbe poruto derivare se egli avesse presentato la causa della Germania nazistanella ve- ste tipografica più adatta a farla apprezz‘te dai popoli non tedeschi. Cosf, il 3 gennaio ryJl, un decreto stabill che <<il cosiddetto carattere gotico> era stato inventato da un ebreo (Scbuabacber-IIrdenlettern) e che d'orain poi l'alfabetonormale del popolo tedesco doveva essere quello latino: nonosrante finiens atezza della motivazio-ne,.q!9st-'ordinanzafu uno dei pochi atti positivi compiu-ti da Hider negli interessi della civilti teà.sca. Tale diffusione dell'alfabetoe dei caratteri latini si ] sfortunatamente anestata alle frontiere dell'UnioneSo. vietica. All'iniziodegli anni 'zoLenin aveva insediato una cqq{nissione incaricata di studiare una semplifica. zione dell'ortografiarussa e di raccomandare delle ttorme per la trascizione del cirillico in caratteri latini: la rina. scita e l'intensificazione del nazionalismo russo sotto Sta. lin hanno però fatto fallire quesro progetro e il cirillico, fungi dall'essereabbandonato, é stato invece imposto al-le minora nze nazionali dei territori asia tici dell'Unione . L'atteggiamento-negativo dell'UnioneSovietica po. uebbe venir più che conrobilanciato se il Consiglio di Stato cinese attuasse praticamente la sua risoluzione del dicembre r9j1, in cui era stata decisa la sostituzione dei trentamila caratteri cinesi con una versione in trenta se-gni dell'alfabetolatino, adatta alla trascrizione fonetica del cinese e delle lingue collaterali. Il possibile incemen. to di seicento milioni di uniti che in questo modo verreb-be a subire la comunii dei popoli présso i quali é in uso l'alfabetolatino, apre prospettive impressionanti. La progressiva difiusione dell'alfabetolatino é ancora più degna di nota se si considera che esso non é assolu. tamente adatto, in teoria, alle necessità di una qualsiasi lingua moderna. Le sue venti lettere originarie - desti. nate a riprodurre i suoni di un antico dialetto italico - non erano neppur state inventate dai latini, bensl adat. tate-da una lingua del rurto diversa, il greco coloniale; e perfino questo alfabeto greco era, in origine, destinato a esprimere i suoni di una lingua semitica. Si pub cosi facil. L'AFFERMAZIONE DELL'ALFABETO LATINO 237 mente capire come i caratteri disegnati per la prima volta dai fenici uemila anni f.a non servano che molto imperfet-tamente a riprodurre le parole di un europeo del seco- lo xx. Tali difficolti intrinseche appaiono chiaramente nei dif-ferenti tentativi compiuti dalle nazioni occidentali per trovare un segno soddisfacente per le sibilanti, di cui l'alfabetolatino é notoriamente deficiente. Lo stesso se-gno .t deve esprimere due suoni del tutto diversi, uno dei quali per di più può esser sostituito in inglese dalla c (come in cent) o da sc (come in scent), e l'aluodalla z (come in size\.Il suono sc (come in scena),viene reso con sb in inglese, cb in francese, scb in tedesco, sz in polacco, i in ceco, e nel raslitterare la semplice consonante rus-sa ul il compositore tedesco deve usare sette lettere (scbtscb), quattro il suo collega inglese (sbch) e due perfi- no il ceco (ii). Nell'alfabeto a stampa si sono conservate soltanto tre aggiunte tardo-romane (r, !, z) e ue lettere inventate al-la fine del Medioevo (f, i, w)i é un peccato che \ùilliam Caxton e i suoi discepoli non abbiano conservato una delle più utili ceazioni degli scrivani tedeschi, la p, a de- notare il suono dentale fricativo. Essa era diventata nel Quattrocento quasi indistinguibile dalla !, e i primi stam-patori inglesi usarono quest'ultimastampando y" e y'pet tbe e that: semplicemente per risparmiare spazio, e non perché queste parole venissero pronunciate ye e yat: <<ye olde English tea-shoppe>> é uno pseudoarcaismo caro ai semiletterati. Un piccolo numero di politipi e di combinazioni di let-tere preesistenti é stato tuttavia adottato dagli stampa-tori e si é cosi natwalizzato in varie letterature nazionali: G: o + e in francese, à: d + o nelle lingue scandinave, si, si, ù (ancora stampate qualche volta 4,6, ) e fi, ch in tedesco. Ulteriori tentativi di avvicinare la parola stampa-ta al suo suono fonetico si sono limitati ad impiegare al-cuni segni diacritici: ne furono all'avanguardia i francesi quando, nel t770, regolatizzarono l'usodell'accento,del-la cediglia, della dieresi, ecc., facendo compiere ad esem-pio alla lettera e cinque funzioni (e, é, è, é, é). Tale pro- 238. DALL'OTTOCENTO Al GIORNI NOSTRI cesso é stato forse portato al suo massimo sviluppo nel. le lingue baltiche e slave, ma é dubbio se le varié-l, ir, !, i, 6, Q, q, ecc. degli alfabetipolacco e lituano non abbiano impedito, più che favorito, l'accostamentoa queste lingue e letterature. Nel r9z8 sfortunatamente i turchi non accettarono al-cuno degli alfabeti occidentali - sebbene l'ortograliaceca fosse quasi ideale per i loro scopi -, D4 mescélarono le ortografie inglese, francese, tedesca e rumena, più qual. che segno di loro invenzione. Questo nuovo alfabeto turco rende la lettura inutilmente difrcile: per esem- pio la c corrisponde all'inglesei,la Q all'inglesecb,la i al francese i,la f all'inglesesà, ecc.; un'ulteriorecomplica. zione é la distinzione f:a la i con il punto (l francese) e quella senza punto t (e f.rancese non accentata). Un problema afine che interessa ugualmente lo stampa-tore, il filologo e il pubblico dei lettori, é quello defa tra-sitterazione in caratteri latini degli alfabeti non latini. Bi-sogna trovarsi alle prese con un caso concreto per credere quale confusione regni oggi, non solo fra le raslittera- zioniinglese, francese e tedesca della stessa parola, ma an- che ra le diflerenti tendenze nell'orbitadi ciascuna lingua. La mezza dozzina e più di uavestimenti d'unafigura della letteratura mondiale come Chekhov, Tchekhov, Tsche-khow, Tchékoff, Cekof, Cecov, Cécov, Cechov, ecc. dimo. sra quanto sia desiderabile un qualche sistema standard accettabile al maggior numero possibile di nazioni occi-dentali. Capitolo terzo L'industriaeditoriale 242. DALL'OTTOCENTO Al GIORNI NOSTRI era però valido in Irlanda e gli stampatori di quel paese continuarono imperteriti a derubare stampatori e autori inglesi, mascherando il loro disonesto guadagno col dol-ce profumo del patriottismo; essi godettero del risoluto appoggio delle autoriti irlandesi, fin quando l'Unione (r8or) non pose termine a questa vergogna. Accadde co-si che tre edizioni non autotizzate del Sir Charles Grandi-son iù Richardson GZ;l) uscirono a Dublino prima del- l'edizionelondinese autentica: operai disonesti avevano portato dandestinamente lebozze impaginate del volume al di li del canale di San Giorgio. Gli Usa restarono fermamente radicati a questo sorpas. sato credo dell'eramercantilistica per tutto l'Ottocento. La casa edirice Harper & Brothers di New York merits una onorevole citazione per aver pagato di sua spontanea volonti a Dickens, Macaulay, e alri autori non protetti dalla legge, delle sostanziose indenniti. Le prime disposizioni di legge con cui venne garantito il buon diritto degli autori e degli editori in un grande stato furono il Copyright Act inglese del r709 e la corti. spondente legge francese del ryy (in cui era prevista la protezione per un periodo di due anni dopo la morte del. l'autore).In Germania la prima legge di questo genere fu quella emanat* nel 1839 dal granducato di Sassonia-'$leimar,che fu anche la prima a prevedere il prolunga- mento della protezione per trent'annidopo la morte del- l'autore.Ci vollero però altri cinquant'anni prima c}e nella Convenzione di Berna del 1886 venisse finalmenrc stabilito il principio della reciprociti internazionale di di-ritti. La convenzione universale del 1955, promossa dal-l'Unesco,ha infine stabilito un sistema di protezione del copyright su basi sopranazionali (cui non aderiscono i soll paesi comunisti), senza tuttavia intaccare l'autoritidellg convenzione di Berna, aggiornata da quella di Bruxellej del 1948 (cui non aderiscono però né l'Urssné gli Usa). La scomparsa dal mercato della piaga costituita dallc 'uzioru edizioni plagiateolasiate esercitò una grandeerande influenza sul conte! conteg-. gio del prezzo dei ùbri, perché 6no a quel momento:nto gli editori avevano sempre asserito che <<i libri costano cari perché vengono plagiati, e vengono plagiati perché costà- L'INDUSTRIA EDITORIALE 24t no cari>. Gli accordi sul ptiùzo netto, come guelli inter-venuti per opera della Béisenverein nel 1887 e-della Pu-blisheri'Association nel 1899, hanno messo al sicuro il libraio dal pericolo della concotrefiza slealedi profittatori poco scrupblosi (e quindi di fallimento), Cato una certa ii*r.zza a['editor.-onesto,e assicurato all'autorela sua esiusta Darte del profitto. Si déve d'altràparte ammettere che il plagio recb qual-che vantaggio al lettore, perché | prazo relativamente basso di quéste edizioni invoglib molta gente ad acquista- re libri che in edizione originale sarebbero stati al di li delle loro possibiliti finanziariet l'edizioneorigin4e delle CEaares iu Pbilosopbe de Sans-souci (ctoé Federico il Grande di Pnrssia) éostava ad esempio ventisette fiorini, mentre quella plagiata uscita pressoché simultaneamente si poteva acquiitare per dodiCi. Gli editori desideravano natrjralmenté conservaje sine die il <<diritto> ù stampare dall'<<originale>>dell'autore,menue il pubblico premeva per aver libri a basso prezzo.In Gran Bretagna la questio ire u.nn. risolta principdmente per iniziativa ù uno scoz-zese, Alexandet'Dott*idtondi Édi-btttgo, c.he-fu il pri- mo a spezz,arc la cerchia chiusa dei ibtai londinesi, se-guito immediatamente da John Bell della British Li! IV. L innovazioni tecniche soprawenute ua la fine del Set' tecento e il primo Ottocento e lo spettacolar-e incremento subito dallimassa dei lettori durante tutto l'Ottocento e il Novecento, resero possibile la stampa di un maggior nu-mero di copie per edizione e il ribasso- 4? ptgrri. Que-sta tendenza continuò fino allo scoppio della ptima guega mondiale; da allora in poi le tasse e l'inflazione- €I nella loro scia, i costi cescefiti delle materie prime e della ma-nodopera - l'hannopraticamente rovesciata. La stabiùti e la tispettabiliti raggiunte negli ultimi centocinquant'annidai-singoi editori e dall'editorianel suo complesso hanno avuto notevoli riperorssioni sui rap-porti tri autori ed editori. Gli autori s'identificanosem- Ire più frequentemente con una determinata casa,per cui rappresentano a loro volta una parte intEgrante del giro d'afiari.E vero che anche ptima si erano avuti casi d'auto-ri che preferivano un editére piuttosto che un aho - fre- 244 DALL'OTTOCENTO Al GIORNI NOSTRI quentemente per amicizia personale (come Erasmo e Fro" En) - e di editori che aiuravano i loro autori in periodo di magra; ma il sentimento che intercomeva fti le duc parll era più sovente di antagonismo, latente di solito ma glalchg volta anche scopertor i moderni rapporti di fidu. cia e d'amictziapossono essere consideraii r.nr. tema d'e*oriuna conquista recente. Faceva sul serio Thomas pampbell quando una volta brindé a Napoleon. p.o.hé l'imperatoreaveva ordinato che un editoie venissé defe- rito alla corre marziale e fucilato? Byron fece ammend; (se ammenda occorreva) per aver donato a John Murjay una Bibbia con la scherzoia altenziott. ..ori Barabba erà un editore> (Giovanni, XVIII, +0) dedicandogii i versi seguenti: A te, con sperariza e muti di temore, vengono gli imberbi autori coi loro manoscritti. Ty li stampi tutti - e ne vendi qualcuno - mio Murray. . Il *pti,.Sioso genio di \tr7alter Savage Landor sembra abbia stabilito un record assoluto p"rtàndo f* it izgs il r863.a non meno di ventotto ediiori a".tri. s"n" é6arb" assai più frequenti non solo il caso dell'autorerimasto sempre- fedele al suo editore, ma anche quello dell'evolu. zione dei semplici rapporti d'affarima ed editore in durevoii amicizie personali: "utor. la storia di qualsiasi case edit_rice pomebbe fornirne numerosi esempi." Verso la meti dell'Ottocento,con feliie connubio di byg gusto e senso degli afran, iorn"rorro in voga i mar- chi d9s! stampatori. fàU simboli, orgogliosa*.rii inven tati da Peter schéfier a garanzia deilà qualiti e della pre venienza delle edizioni che ne erano contraddistinte, era- no caduti in disuso:_ in Inghilrema, per esempio, il Copy- igh! Act-del \zog li avevà resi superflui, in*quanto esso tutelava il diritto di proprietà dell'editoreartài meglio ù qua-nlg non potessg fare un semplice marchio non protet. to dalla legge. Inoltre la maggioi importanza assunta dal. l'editorenei confronti dello iirmprtore stava contro qual-siasi richiamo particolare alla parle che quest'ultimoave. va avuto nella produzione del libro. Quanto agli editori, L'INDUSTRIA EDITORIALE 245 essi non dimostrarono alcun interesse per quel che dove-vano probabilmente considerate - loro, figli dell'etidella ragione, - un'inudlesopravvivenza di tempi meno illu-minati; e le cooperative erano moppo instabili per poter dar vita a un marchio comune A Charles \ùhittingham il Giovane, nipote del fonda- tore della Chiswick Press, viene attribuito il merito di aver reinmodotto - verso il r850 - il marchio dello stam-patore. La sua idea venne ripresa da R. & R. Clark di Edimburgo, T. & A" Constable, e \uilliam Morris, la cui prima pubblicazione venne di fatto stampata per lui alla Chiswick Press nel 1889. Le ragioni che avevano riporta-to in auge l'anticausanza erano sia artistiche che economi- che, in quanto il mardrio sarebbe servito tanto a scopi pubblicitari che di disegno grafico del volume. Anche gli editori adottarono pfesto un loro marchio particolare e la nave a vele spiegate della Insel-Verlag,laBelle Sauvage della Cassell, la fontana di Collins, il pinguino, il pellica-no e il puttino della Penguin Books si sono indubbiamen-te impressi nella memoria di milioni di lettori. Sorprende un poco il fatto che ancora tanti editori inglesi si astenga-no dall'usarequesto semplice e cosi facilmente ricordabile mezzo commerciale, e che alcuni di essi - come le stampe-rie universitarie e stampa nazista avreb. be dovuto estinguere l'editoriainglese, le diede invece nuove energie. La crescente richiesta di libri da parte del grosso pubblico - più libri e a prezzo inferiore - fornf agli editori, ai librai e agli autori un argomento in pirl per parare il colpo della <tassa sulla cultura>> che uD con celliere dello scacchiere minacciò d'istituirenel r94o. Er-sendo incapace a distinguere - come egli stesso dichie- li rb - fra libri e stivali',egli avrebbe voluto che ambedue ,,# questi beni fossero soggetti alla medesima tassa. Le gene r';'ij rali proteste contro quisto tentativo oscurantistico, gui- ' date da Geoflrey Faber, obbligarono il cancelliere ad ab. 'i' bandonare il suo progetto prima d'incorrerein una sicurj | sconfitta in Parlamento. Tale vittoria - che proclamb uf-ficialmente il libro bene di prima necessità, come il pe-ne - é un riconoscimento senza uguali del cambiamento awenuto, .lopo cinquecento anni d'attiviti,nelle prospet. tive dell'editoria. I [Gioco di parole intraducibile fra le parole books (libù) e boots (tt. vali), le fui pronuncia € praticamente identica: un jro'come il nostjo rc! pir toma per Romael. Capitolo quarto La censura stampatori, eiitori e ùbrai furono fortunati abbastanza da sfuggir. ril" rigida regolamentazione- che governava . sp.rò'rofiocavale arti più antiche. Le lorg corporazio-ni i associ aziottt nacquero sempre in base ad accordi vo-lontari intercorsi fra gl'interessatie non Pe! imposizione superiore: non ci fu Iraticamente mai un limite all'am-piizzae al vigore delli difiusione della stampa. Il lavoro «h. utro rt".f,"tote aveva considerato pericoloso assume- re, o non redditizio, poteva essere Pleso {a un altro senza .he per questo venilie infranto il codice d'onoredell'arte; e quki"ti venditore ambulante poteva vender libri e por-t.r" itt tal modo istruzione e svago in luoghi remod, mai raeeiunti da qualsiasi libraio. Questo perché, dichiararo- iarzatori della Bérsenverein dei ibrai tedeschi nel i il delle let- iai5,oi;iditotia éterritorio della Rgggbbiic.a t.àé a11a professione di libraio si addice soltanto uno statuto-- liberale>. *p"i in; r.o*p"tr" della- censura sui ùbri e sulla ,t"*oi in senere ttil .otto dell'Ottocentoincoraggiò ;;funt; le vedute liberali latenti in tutto il settore: fi.tti.ol.r. influenza ebbe l'abolizionedella censura in 'Germa.ria(rS+s) e in Francia (definitivamente nel r87z), na sili;; .iC ioéto eminente occupato dai-due paesi nel-ir-n.p"UUlica delle lettere. | <idiritti fondamentali>> scrittiielle costituzioni hanno perb sempre espresso i no- bif, ideali dei redattori delle costituzioni stesse senza i.rr., nel dovuto conto l'apparatoamminiséativo: in un ,0;0 o nell'altro,con l'afitodi leggi speciali e decreti d,emergenza, i governi hanno continuamente tentato - e 250 DALL'OTTOCENTO Al GIORNI NOSTR; di solito con successo - di introdurre una qualche spe. cie di censura pur vergognandosene ed eviiafii" ai ,.rrire quel nome odioso. All'albadel secolo xrx la lotta contro le eresie sembre. va ormai relegata agli sforzi dell'Indicedella Chi.r. ..t tolica romana, che del resto i laici non tenevan pratica. mente più in conto alcuno: essa venne invece inispetta. tamente resuscitata nel secolo xx sotto le vesti di censura ideologica per motivi politici. cominciato"o i-t.J.r.tj nel 1933 bruciando simbolicamente — iribridi autori .brii, marxisti, pacifisti e <<decadenti> jn g.g.r.. l.*i opere vennero anche eliminate dalle bibliotéch.. aru.ibÉri* Autori, editori e_librai vennero "uulig.ti;ri;;; in ?i:*?Ti"ni.rigidamenre controllate UU. ri di trto'e l'inevitabilerisultato fu che per tutta la d,rrata'del si ffovarono avvolte nell'oscurantismo . La.rigida censura imposta fra il rg4o e il 1945 dai te. deschi ai pa39i conquisiati provocò î"'rin"tilàii quii stratagemmi in cui.precedenti generazioni di stamiatiri avevano trovato sollievo e diletto. René Billoux, n.iia sue Encyclopédie chronologique. des arts gr;iblg;;i(parii rg43), ristampò sul re*o del front.rfirio if priuiietio +0, "tp nel r58z da Enrico Ill a r.rrr.ditor. f.r.iginé c salutd il censore tedesco come ripristinatore di .ma"tradi. zione consacrata dai <<bons vieui temps>. Il g"ir"t eJi. tore olandese G. J.va! der \ùjoude (màrto Ut Igiàj-prb blicé un innocenre Libre suila fibb*iiar'àii inrj JUtleght r94r) in cui.spie gavalarlvisione iipogt" cilore, 4 un comprendente commovente inno patriotticq dava come.esemp_io di eficace accostamento ài silografiA e stampa tipografica un disegno dei Geusen r.icenieschi con accanto il rigidamente proibito inno nazionale'vil. belmus aan Nassouue-; riproduceva un magnifico rabbi. no ebreo di Rembrandt còme esempio di ttZ*pà-al mat. to; e usava le norme per It correzio-ne delle bo)r.p., ,1. tre più.uanquille burle alle spalle dei nazisti tedeschi | olandesi. Ma nazisti, fascisti e falangisti si astennero almeno "fi." d.i. l'originale me?,?0 di un-testo, Olenda, irliT;-)osno LA CENSURA 25Î dall'assumeredirettamente la gestione delle case editrici e delle stamperie (perfino laEnnz Eher Verlag di Mona-co, proprieti personale di Hitler, non tentb mai ù mono-polizzate neppure gli scritti nazisti), menme l'UnioneSo-vietica e i suoi satelliti hanno imposto alla stampa una uniformiti tale, che nessuna societ più o meno colta ne ha mai sperimentata una più rigida e completa. Siccome i governi sovietici controllano strettamente tutti i mezzi di produzione e disribuzione, non possono esistete stam-perie private ed é lecito stampare, pubblicare, importare, vendere e leggere solo i libri approvati dal governo: il che b proprio l'antitesidi quel che stampatori e scittori hanno sperato per secoli di ottenere. Vi é almeno un caso autentico in cui la censura politica é ricorsa alla contrafrazione piuttosto che alla soppres- sione di un'opera.L'ednione<<definitiva> di Cechov, pub-blicata sotto gli auspici dell'Accademiasovietica, si pro- pone di stampare le opere così com'eglile scrisse, mà in realti i curatori hanno alterato il testo, omettendo com-pletamente intere sezioni, come la sua corrispondenza con rivoluzionai che oggi (vivi o morti) non sono più accetti ai governanti del Cremlino. Tutti i riferimenti oc-casionali - che sono, si noti bene, anteriori aL r904, anno della morte del poeta - alla superiorità delle istituzioni, del tenore di vita o delle abitudini europee (e specialmen-te britanniche) sono stati radicalmente eliminati. N.p-pure il. più.r piccolo indizio rivela la metamorfosi dal Ce-chov patriota russo progressista al Cechov araldo dello sciovinismo sovietico. D'alrocanto vi sono esempi di censura da| basso al trettanto intollerabili e ottusi.La lotta sostenuta da Ger-hart'Hauptmann conuo la proibizione di quasi tutti i suoi lavori teatrali fra il 1889 e il rgrt ce ne fornisce una prova documentata. Le autoriti tedesche, francesi, austriache, ungheresi, italiane, russe e statunitensi ven-nero di solito costrette a intenjenire dalle ptessioni di gruppi privati accorsi a difesa della moralitl, della lotta conto l'alcolismo, del militarismo, della reùgione, dell'in-f.anzia,del nazionalismo e delle autorit) costituite, giù giù fino all'ultimopoliziotto. 302. DALL'OTTOCENTO Al GIORNI NOSTRI teraria di un libro cessasse sette anni dopo la morte del-l'autoreo comunque quarantadue anni dopo l'uscitadella prima edizione. Intorno all'annorgoo si resero cosi libe-ri tutti (o almeno la maggior parle) i libri di Dickens, Thackeray, Disraeli, Lytton, George Eliot, le sorelle Bronté, Carlyle, Ruskin, di quasi tumi i grandi vittoriani, quindi. Non é percib un caso che siano nate in quegli anni tut-te le collane economiche famose sopravvissute fino ad og- gi: la <<New Century Library> di Nelson (r900; uasfor-mata nel r905 in <Classics)>), la <\ùorld's Classics> (ini-ziata nel rgor da Grant Richards e passata poi nel rgoj alla Oxford University Press), la << Pocket Classics > di Col- lins (r903), e la <<Everyman'sLibrary> di Dent (rqo6). Tutte queste collane hanno pet f,orza di cose molte ca-ratteristiche comuni, in quanto sono destinate a tispon-dere alle necessiti delle stesse classi e categorie di letto-ri, il che é gii sottinteso nel fatto che gli editori e diret-tori di tali collane stanno praticamente sul medesimo pia- no commerciale e culturale. Nessuna di esse, per comin-ciare dall'aspettopiù tangibile e gravoso (per il compra-tore) del problema ha potuto mantenere iL prezzo inizia-le e neppute un prezzo uniforme. In History of Mister Polly di H. G. \ù7ells, salito al quin- to e perfino al terzo posto nell'ambitodella collana -, rà é difficile cedere che le Sbort Stories di O. Henry siano entrate nel gruppo dei best-sellers dei <<New Classics> grazie ai dettami delle commissioni d'esame.Inolme il Dauid Copperfiel/ é pur sempre il romanzo più venduto della collana tedesca di Reclam, menue ben di rado lo. si legge a scuola in Germania; e se del Faust I di Goethe, che in Germania é testo scolastico, se n'eranovendute fino al ry42 un milione e 890 000 copie, del Fau.st ff, che non si legge a scuola, se n'eranovendute un milione e 460 000, cioe appena 400 000 in meno in un periodo di settantacinque anni. E, poi praticamente impossibile far risalire alla lettura obbligatoria nelle scuole o nei colleges il notevole suc-cesso delle opere di Tolstoj uscite nei <<'World'sClassic>> e nella <<Everyman'sLibrary>: se é vero cheGuerra e pa- ce si vendette principalmente durante la guema, quando , l'argomentoe l'ammirazionecomune per tutto quel che era russo possono aver influenzato i lettori, i saggi, le let- tere e i racconti di Tolstoj erano popolari anche prima. Inoltre avevano movato posto nella <<Everyman>> i suoi grandi connazionali Dostéevskii, Turgenev, Gogol'e Ce. chov: Delitto e castigo e | Iratelli Karantazoa frgaravano atuifta i best-sellers della collana. Le edizioni economiche in brossura (paperbacks) - di cui furono pionieri i <Penguin Books> in Inghilterra Gglil e i <Poclcet Books> di Robert de Graaf in Ame- ùca (1939) - sono ora diventati il nerbo della produzione e delle vendite, e la loro popolarità ha avuto notevoli ri' percussioni. Originariamehté queste collane vennero pub-Lii..t. da case ipecializzate - ancor oggi vi sono dggli editori, seppure in numero sempre minore, che si dedica' no esclusilamente a tali edizioni -, 14 dal ry45 in poi sono via via più numerosi gli editori che hanno comin-ciato ad affiaficare alle edizioni rilegate collane in bros-sura. Contemporaneamente sono cambiati i principl ctri esse s'ispiravano.Inizialmente si ristampavano economi-camente in brossura opere gii note, per la maggior parte romanzi e racconti; oggi tale produzione é quasi contro- 3c,6 —DALL'OTTOCENTO Al GIORNI NOSTRI bilanciata dai volumi educativi: nel rgtg la proporzione era, negli_G-r, di circa 800 titoli contro 900 roma nzi e raccond. Inoltre, dal r940 in poi gù editòri - sir Allen Lane in testa - cominciaiono a far"scriv.t.-.rp*amen-te per queste collane: alcuni dei volumi usciti in questo modo sono stati una piacevole sorpr.t" ri" p.r gli,'t"ao- si che per il lettore comune. . egr. la ristampa in edizione rilegata delle edizioni ori-ginali in brossura, il circolo si é infine chiuso su se sresso. uno dei vantaggi delle edizioni economich. in bràrr,rra èé- che, _una volta lette, le si può buttar via senza sentirsi rimordere la coscienza e seniache il borsellino ri ri ffop-po alleggerito. Parecchi libri in brossura suscitarotto p.rb un tale interesse nei lettori , da f.ar loro desiderare diion-servarli nei loro scaffali in una presentazione più durevo. le. Per soddisfare tale desiderio, gli editori ora i diritti di molti titoli delle ediifoni ..otori*.d"itt.hi.biorrono- rite per ris.tamparli nelle loro edizioni da biblioteca soli-damente rilegate. Conclusione Menre la stampa a caratteri mobili ha dato a milioni di persone la possibiliti di leggere contemporaneamente uno stesso testo, la radio, il cinema e la televisione -i suoi'più recenti dvali - mettono gli stessi milioni di per-sone in condizione i ascoltare la lettura di quel testo assistendo contemporaneamente anche alla sua rappresen- tazione. Quale e quanta sarà l'influetuadi questi nuovi mezzi di comunicazione sul futuro della stampa? Senza dubbio il numero di coloro che cercano diverti- mento ed istruzione nel cinema e nella radio cresce con-tinuamente. Ma diminuisce per questo il numero di colo-ro i quali preferiscono invece la lettura? Le statistiche di-cono di no. Quando i giornai cominciarono a recensire libri, l'interessedei loro lettori non si rasferl per questo ai libji e l'aumentodelle vendite di questi ultimi non dan-neggib affatto la diffusione dei giornali: entrambi i tipi d'edizioneprosperarono fianco a franco senza che le loro sfere d'influenzavenissero mai a sovrapporsi. Anche per la lotta intrapresa dalla radio contro il libro per cattivarsi i favori del pubblico si può azzatdare la medesima pre-visione. Editori, librai, insegnanti, bibliotecari possono testimoniare che moltissima gente viene indotta a legge-re ibri proprio dall'ascoltodelle trasmissioni radiofoni- che e televisive dedicate ad argomenti letterari (come re-censioni di nuovi libri, letture di poesia, adattamenti di romanzi, ecc.), o per aver visto la versione cinematografi-ca di un'operateauale o di un racconto. I,e caratteristiche psico-fisiologiche della tazza umana dinno ampie gannzie circa la possibile coesistenza pacl 308. DALL'OTTOCENTO Al GIORNI NOSTRI fica dei mezzi grafici e di quelli auio-visivi. L'esistenza di tre grandi app‘tatifisiologici fondamentali, visivo, udi. tivo e motorio, significa che gli impulsi primari e più forti sono quelli che interessano rispettivamente l'occhio,l'o- recchio e il sistema muscolare. Anche se tali impulsi non sono così nettrimente distinti fra loro, sussiste tuttavia Bibiografia una differenziazione sufniciente ad assicurare l'esistenza, fianco a fianco, di tre gruppi di persone per cui la soddisfa- zione più grande e l'impressionepiù profonda derivano rispettivamente dalla lettura di parole stampate, dall'a- scolto di parole recitate e dalla vista di parole rappre- sentate. Prima di Edison e di Marconi solo 10 stampatore pote- va diffondere un'operapubblicandone un gian numero di copie uguali. Tale monopolio egli lo ha ora perduto e dovri riesaminare un po'(cum grono salis) la sua posizio ne, rimasta praticamente invariata dal tempo di Guten- b.tg. La libera competizione cJre ne deriveri non potri non perfezionare ancora l'artedella stampa: sia quindi la benvenuta! A lungo andare ne beneficierà il pubblico, giudice finale degli sforzi dello stampatore, e questi con- tinuerà a godere dell'invidiabileposizione di chi - come é detto nell'epitafiodi Gutenberg - <<ha benemeritato di tutte le nazioni e di tutte le lingue>. Il materiale pej una storia della stampa concepita come storia ddla civiltl riflessa negli stampati non si tove in un paio di vo lumi onnicomprensivi. Quasi ogni scritto di storia sociologia e bi. biiografia, usato con discriminazione, fornisce qualche dato perti- nente. Molto materiale lo si pub uovare, naturalmente, nelle sto rie di singole.tipografie o case editrici, e nelle biografie e autobio- grafie di stampatori e librai. La lista che segue si limita ad indicare i testi fondamentali e a riportare le referenze bibliografiche su rugomenti particolari ùattati nel testo. [Per il lettore italiano é stata aggiunta in appendice, a cura del uaduttore, una lista di opere in italiano con lo scopo ptecipuo di orientare le ricerche e inquadrare i vari argomenti: le bibliografie delle singole opere e gli suumenti indicati consentiranno l'appre fondimento e l'allargamentod'orizzontil. r. Opere generali. ALDrs, u. o.,Tbe Printed Book,3" ed.riv. da John Carter e Brooke Crutchlej',Cambridge University Press, r95 r.
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