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La Socializzazione Giuridica: Teorie e Concetti - Prof. Altopiedi, Appunti di Sociologia Del Diritto

Il concetto di cultura giuridica e la socializzazione giuridica, una tematica interessante per sociologia del diritto, psicologia e filosofia. La socializzazione giuridica come processo di apprendimento di norme sociali di tipo giuridico, la distinzione tra socializzazione giuridica e morale, e le teorie più importanti in questo campo. Il documento si concentra sulla socializzazione giuridica come processo di formazione delle rappresentazioni e degli atteggiamenti nei confronti del diritto e delle sue istituzioni.

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 06/01/2024

cherry97
cherry97 🇮🇹

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Scarica La Socializzazione Giuridica: Teorie e Concetti - Prof. Altopiedi e più Appunti in PDF di Sociologia Del Diritto solo su Docsity! ricostruzione della verità - in uno specifico processo penale - finalizzata a mettere in luce il divario tra verità storica e giuridica, rappresentato dal dispositivo della sentenza. La seconda ha discusso i possibili impieghi del concetto di cultura giuridica per comprendere l'uso delle immagini come prova. La terza ricerca ha esaminato il significato, le funzioni e i risultati dell'esercizio degli strumenti di responsabilità in tre diversi sistemi costituzionali (Germania, Italia, Polonia) per rilevare le differenze tra i tipi di decisioni e cercare di descriverli nel quadro dei modelli di comportamento e di atteggiamento politico giuridicamente rilevanti. In definitiva, l'esito del workshop è stato il confronto sul tema delle culture giuridiche da prospettive differenti in contesti sia nazionali sia internazionali. Un confronto che ha fatto emergere, e che ha avuto come tratto comune, il riferimento ad alcuni dei meccanismi attraverso cui, sebbene non sempre in maniera immediatamente visibile e manifesta, le culture giuridiche influenzano le più importanti politiche di intervento delle nostre società. Conclusioni Il tentativo di questo capitolo è stato quello di mostrare in che termini il concetto di cultura giuridica possa intendersi costitutivo degli studi socio-giuridici. Mettere a fuoco prima il termine cultura e poi l'attributo giuridica nella letteratura sociologica è servito a descrivere per un verso, e problematizzare per un altro, la variabilità che il concetto ha assunto nel tempo, nonché la versatilità del suo uso fino agli studi più attuali. Il concetto di cultura giuridica risulta estremamente complesso, ma l'eterogeneità delle interpretazioni, riferite ai livelli della cultura del diritto proprio degli operatori o della cultura sul diritto propria degli utenti, altro non è che il riflesso dell'insieme dei problemi, delle questioni e dei temi di cui si occupa la sociologia del diritto. Il nucleo centrale delle argomentazioni trattate risiede in ciò che abbiamo indicato come punto di partenza, ossia la qualificazione di un fenomeno (sociale) come giuridico interna alla conoscenza sociologica, dotata cioè di validità empirica. Il sociologo, quando si pone un problema relativo al diritto, lo sostanzia nel ruolo che le norme giuridiche assumono come componenti di significato nei processi di agire sociale degli attori e degli apparati. Si tratta del significato empiricamente rilevabile che viene attribuito a un enunciato normativo entro un contesto di azione sociale: ciò che lo sostanzia in norma. Alla stessa stregua, il concetto di cultura giuridica assume una funzione euristica laddove è parte di un disegno di ricerca. In questa prospettiva, la cultura giuridica non è più come in senso giuridico un universo di dottrine, è un processo sociale che assume per scopo il mantenimento e la riproduzione della propria specificità per assolvere alla funzione sociale che l’evoluzione storica le ha attribuito. Capitolo VI: dalla socializzazione giuridica alla spinta gentile Le origini della conformità e della devianza, il rapporto tra morale e diritto, la socializzazione normativa e giuridica sono argomenti che incontrano da sempre l'interesse di numerose discipline: psicologia e filosofia, ma anche sociologia e, in particolare, sociologia del diritto. In ambito sociologico si dà particolare rilevanza all'influenza dei contesti sociali e ambientali in cui si realizzano le interazioni sociali, le quali condizionano atteggiamenti, comportamenti e rappresentazioni che hanno a che fare con le norme sociali, incluse quelle giuridiche. La sociologia del diritto, in particolare, ha focalizzato la sua attenzione sull'apprendimento delle norme sociali di tipo giuridico e sulle affinità e differenze con l'apprendimento delle norme sociali di tipo non giuri- dico. Nel capitolo si affronterà quindi il tema della socializzazione giuridica, da intendersi come l'insieme dei processi che contribuiscono alla formazione, principalmente nell'infanzia e nell'adolescenza delle rappresentazioni e degli atteggiamenti nei confronti del diritto delle sue istituzioni. Per delimitare i confini della socializzazione giuridica ci si soffermerà in primo luogo su ciò che la distingue dalla socializzazione morale. Si vedrà come nel tempo la concezione della socializzazione giuridica sia cambiata, di pari passo con i mutamenti che hanno riguardato la concezione dell'infanzia, in particolare in sociologia. Successivamente si analizzeranno le più importanti teorie della socializzazione giuridica elaborate da diverse discipline e utilizzate in diversi ambiti, per poi concludere la parte teorica con una riflessione sul rapporto tra la socializzazione giuridica e la teoria della 42 spinta gentile. L'ultima parte del capitolo sarà quindi dedicata all’analisi di alcune ricerche condotte in questo campo di studi su argomenti quali il significato attribuito alle norme, la violabilità delle medesime e la percezione e le rappresentazioni dei diritti soggettivi nei bambini e negli adolescenti. 6.2 Sviluppo morale e socializzazione giuridica: affinità e differenze Moralità e legalità, e per immoralità e illegalità, sono sovrapponibili? Ciò che è immorale è o dovrebbe essere anche vietato dalla legge? E ciò che è vietato dalla legge è anche immorale? Studiose e studiosi provenienti da diverse discipline hanno evidenziato le differenze tra diritto e morale. Innanzitutto hanno sottolineato che i principi morali prescindono dalla loro codificazione giuridica e che possono talvolta essere addirittura in contrasto con i principi giuridici. Si può ritenere un comportamento contrario ai propri principi morali, ma ciò non significa necessariamente ritenere che il diritto debba intervenire per sanzionare quel comportamento. Proviamo a pensare a una situazione concreta: tradire un amico è immorale, ma non esiste una legge che regoli i rapporti amicali e non è neppure auspicabile che ciò avvenga. Viceversa, possono esserci leggi che sono contrarie ai propri principi morali, ma a cui riteniamo si debba comunque obbedire. In questo caso, la questione non riguarda la socializzazione morale, bensì la socializzazione giuridica. Infatti possiamo ritenere immorale, ingiusto pagare il ticket per i ricoveri ospedalieri e tuttavia, se la legge lo prevede, attenerci a quanto prescritto. La socializzazione giuridica ha dunque a che fare con la legittimità da attribuire all'autorità che ha emanato quella legge che, in ragione di tale legittimità, ci sentiamo obbligati a rispettare, a prescindere dal suo contenuto. Occorre tuttavia evidenziare che la capacità dell'autorità giuridica di ottenere il rispetto della legge è tanto più efficace quanto più è in linea con i principi morali diffusi tra i consociati: una norma ha maggiore probabilità di essere rispettata quando è ritenuta moralmente condivisibile, piuttosto che per il riconoscimento della legittimità dell'autorità che l'ha emanata o per la minaccia della sanzione prevista. Inoltre, quando una legge è fortemente in contrasto con le proprie convenzioni morali, e quindi è percepita come ingiusta, si può decidere di violarla per principio, allo scopo di ottenerne l'abrogazione o la modifica. In questo caso la disobbedienza è usata come mezzo per il cambiamento sociale e normativo. Va detto però che, tendenzialmente, prescrizioni giuridiche e norme morali convergono. Per tale ragione, per promuovere il comportamento conforme occorre, come diremo meglio più avanti, anche comprendere la relazione tra legittimità e moralità. 6.2.1 Status e socializzazione morale di bambini e bambine Per lungo tempo la rappresentazione dell'infanzia típica dell'approccio classico della psicologia dello sviluppo, che la descrive come periodo in cui i bambini, mediante la socializzazione, sono “resi adatti” a entrare a far parte «dell'ordine sociale (degli adulti)», ha fatto sì che essi non venissero considerati attori sociali, e capaci, conseguentemente, di iniziativa morale. In quanto “soggetti in formazione”, l'accento era posto sul loro divenire piuttosto che sul loro essere. Erano quindi ritenuti presociali e premorali, di scarso interesse dunque per la sociologia e, più in generale, per le scienze sociali. Solo a partire dagli anni Settanta si è fatta strada una visione dell'infanzia che la intende come categoria sociale autonoma, meritevole di essere studiata di per sé stessa, portatrice di uno status specifico e di modelli di azione che possono differire da quelli adulti, ma non per questo meno rilevanti. Ciò ha comportato un cambio di prospettiva: - i bambini e le bambine non sono più considerati prevalentemente, se non esclusivamente, soggetti passivi e dipendenti dagli adulti, da educare, formare e socializzare in prospettiva del loro futuro, ma attori sociali fin dall'infanzia, nel loro presente di bambini. Individui dunque in grado di contribuire a modificare e costruire il mondo sociale di cui sono parte insieme agli adulti; - i bambini e le bambine acquisiscono uno status morale, anche se compiere scelte e prendere decisioni che hanno implicazioni morali e spesso dagli adulti non riconosciute, nel senso che sono in grado di di giustizia, così come di assumersi responsabilità. 43 sottomettere all'autorità. Il ragionamento adottato non è di tipo strumentale, ma "normativo", nel senso che le persone valutano se riconoscere la legittimità dell'autorità e conseguentemente se questa debba essere obbedita. Secondo questa tesi, le persone osservano le norme non solo per paura dell'eventuale sanzione negativa conseguente alla loro trasgressione, ma perché riconoscono legittimità all'autorità che le ha emanate. Questo giudizio di legittimità o non legittimità - e il conseguente comportamento conforme o deviante - dipenderanno da ragionamenti e valutazioni individuali, ma anche dai valori di ciascuno, valori che saranno «il riflesso delle norme sociali e individuali inerenti al sistema giuridico, il ruolo di quest'ultimo nella società in quanto fonte del controllo sociale formale, e le modalità secondo cui dovrebbe esercitare la sua autorità». In questo processo sono coinvolte le diverse istituzioni e figure portatrici di autorità di cui l'individuo fa esperienza nella sua vita quotidiana: famiglia, scuola, forze dell'ordine, tribunali, genitori, insegnanti... Sarà sulla base delle loro azioni, così come percepite dall'individuo, che si svilupperà un atteggiamento positivo piuttosto che negativo verso il diritto e le autorità che lo incarnano, e quindi di fiducia o sfiducia nei confronti dei suoi rappresentanti. Come per la socializzazione in generale, anche per la socializzazione giuridica sono particolarmente rilevanti i processi che si realizzano nei primi anni di vita. Essi contribuiscono a formare le rappresentazioni e gli atteggiamenti nei confronti del "sistema diritto" che, pur con degli adattamenti, caratterizzeranno anche l'adulto. Per tale motivo già negli anni Settanta del secolo scorso si insiste sul fatto che, per comprendere le ragioni che inducono alcuni individui a mettere in atto comportamenti devianti, sia indispensabile studiare nell'infanzia le origini degli atteggiamenti, orientamenti e rappresentazioni verso la legge e in generale le istituzioni giuridiche. La cultura giuridica si forma infatti in uno stadio antecedente l'età adulta e agisce come un filtro attraverso cui viene letta e interpretata l'ulteriore realtà giuridica di cui si farà esperienza. Le prime esperienze hanno un'influenza decisiva sulla traiettoria di vita della maggior parte delle persone. L'orientamento degli individui verso il diritto si forma in larga parte prima che venga studiato in età adulta. La vita di un adolescente può prendere direzioni molto diverse in base al modo con cui si relaziona con la legge/il diritto così come al tipo di coinvolgimento successivo con la legge, che ha radici nel tipo di azioni che [gli adulti] intraprendono e mettono in atto in risposta ai reati per lo più minori che si commettono prima della maggiore età. Già nelle ricerche sulle conoscenze e opinioni sul diritto, note come ricerche KOL (acronimo di Knowledge and Opinion about Law), si era osservato come tra la conoscenza delle leggi e il rispetto delle medesime non vi fosse una relazione diretta e univoca, e che la loro conoscenza non fosse una condizione sufficiente per la loro efficacia. Le ricerche KOL si svilupparono in Europa negli anni Settanta del Novecento e si proponevano di comprendere le conoscenze e gli atteggiamenti di soggetti adulti nei confronti del diritto, le leggi, la legalità e la giustizia, attraverso l'analisi delle loro opinioni. La diffusione di queste ricerche è rivelatrice dell'importanza attribuita dai sociologi del diritto all'opinione dei non addetti ai lavori, che Lawrence Friedman chiama «cultura giuridica esterna» e Renato Treves “coscienza giuridica popolare”. Essa esprime il punto di vista della coscienza comune nei confronti di singole leggi, ma anche del diritto in generale, della giustizia, della legalità, di alcuni comportamenti devianti. Le ricerche sulle opinioni del pubblico, trovarono un seguito e una nuova declinazione negli Stati Uniti, dove si diffusero i Legal Consciousness Studies (LCS). In questi studi il diritto è visto come un elemento della realtà sociale, parte della vita quotidiana, e non dunque solo come un apparato istituzionale che agisce su di essa. Nei Legal Consciousness Studies è condiviso l'approccio costruttivista secondo cui gli individui costruiscono la realtà sociale attraverso le loro pratiche. Quindi, per le persone, il diritto è qualcosa di indeterminato a priori, che assume senso e significato solo nell'esperienza quotidiana. La coscienza, giuridica non è dunque né completamente determinata dalle strutture sociali, né esclusivamente plasmata dall'attitudine individuale, ma è il prodotto di entrambe. Pertanto, in questa prospettiva, il compito dei sociologi del diritto dovrebbe essere quello di far emergere le rappresentazioni, i significati, le opinioni che del diritto hanno gli individui attraverso lo studio empirico della loro coscienza giuridica. Gli esponenti degli LCS esaminano la questione non dal versante degli apparati e degli operatori del diritto, ma da quello degli attori "comuni" che col diritto si confrontano. Questo approccio ha delle affinità con il fenomeno che Carbonnier definisce internormativité. Tale concetto indica come gli elementi giuridico e sociale siano intrecciati, e come quindi le 46 rappresentazioni relative al diritto non riguardino esclusivamente ciò che è facilmente riconducibile all'ambito strettamente "giuridico" (la legge, i tribunali, i giudici, gli avvocati...). Queste rappresentazioni hanno molto a che vedere infatti anche con le nostre interazioni e relazioni quotidiane che, se ci pensiamo, sono frequentemente regolate sia dalle norme sociali di tipo giuridico sia dalle norme sociali non giuridiche. In modo simile De Sousa Santos (1991, p. 32) parla di interlegalidad: Viviamo in un tempo di porosità e, quindi, anche di porosità etica e giuridica, di un diritto poroso costituito da molteplici reti di ordinamenti giuridici che ci costringono a continue transizioni e trasgressioni. La vita socio-giuridica di fine secolo è costituita dall'intersezione di diversi confini e il rispetto di uno implica necessariamente la violazione degli altri. [...] L'interlegalità è la dimensione fenomenologica del pluralismo giuridico. È un processo altamente dinamico perché i diversi spazi giuridici non sono sincronici e per questo anche le combinazioni di codici di riferimento, proiezione o simbolizzazione sono sempre diseguali e instabili. 6.3.2 Lo sviluppo del ragionamento giuridico secondo la psicologia cognitiva Le classiche e più note teorie sulla socializzazione giuridica adottano l’approccio cognitivo e si rifanno alle teorie dello sviluppo morale. In particolare, la teoria di riferimento è quella di Kohlberg, che Louin-Tapp e Levine (1980) traslano dal contesto della "moralità" a quello della legalità. Secondo i due autori, in linea con Kohlberg, gli atteggiamenti riferiti all'ambito giuridico si svilupperebbero parallelamente alle capacità cognitive. Più precisamente, l'acquisizione del pensiero astratto renderebbe possibile elaborare i concetti di regola e di autorità. Alla base di questa prospettiva è dunque la capacità di ragionamento, legata allo sviluppo biologico e quindi, in ultima battuta, all'età. In questo approccio si ritiene quindi che il processo di sviluppo delle capacità di ragionamento giuridico sia universalmente valido, e avvenga secondo una sequenza ben definita di passaggi. L'intento di Louin-Tapp e Levine è dunque quello di rilevare come progredisca il ragionamento giuridico indipendentemente dalla "variabile culturale" con i suoi valori. Riprendendo dunque il modello elaborato da Kohlberg per la sua teoria dello sviluppo morale, anch'essi individuano tre diversi stadi di sviluppo del ragionamento giuridico. Nell'ordine: 1) lo stadio preconvenzionale (fino a 10 anni circa), rinominato stadio dell'obbedienza. In questo stadio le regole sono ritenute immodificabili e l'autorità che le emana (gli adulti) indiscutibile. Si obbedisce per paura della punizione e per il rispetto incondizionato dell'autorità, e le leggi tendono ad essere ridotte a interdizioni; 2) lo stadio convenzionale (dall'adolescenza alla tarda adolescenza), chiamato stadio del mantenimento dell'ordine, nel quale il desiderio di vedere regnare l'armonia intorno a sé porta a conformarsi alle aspettative di ruolo. L'obbedienza è quindi ritenuta indispensabile per la stabilità sociale e le leggi sono percepite più come prescrizioni che interdizioni; 3) lo stadio postconvenzionale (a partire dalla tarda adolescenza), detto stadio del legislatore o di colui che crea le regole. In quest'ultima fase assumono rilevanza valori etici, di carattere universale. Le norme giuridiche non sono più dettati assoluti e immutabili e l'autorità da cui promanano non è indiscutibile. In quanto creazioni umane, esito dell'attiva e consensuale partecipazione di individui uguali, le norme possono essere cambiate nel momento in cui non rispettano quelli che sono ritenuti i principi di equità e giustizia e i diritti universali. A guidare il ragionamento giuridico sono quindi principi morali autonomi. Secondo Louin-Tappe Levine l'obiettivo della socializzazione giuridica è quello di stimolare la coscienza dei diritti e la competenza giuridica, intesa come conoscenza e consapevolezza dei diritti reciproci, la capacità di ragionamento, e soprattutto favorire la percezione di sé come "creatore" oltre che "consumatore" di diritto. I risultati di numerose ricerche hanno però dimostrato che il tipo di ragionamento morale e giuridico prevalente, anche tra gli adulti, è quello corrispondente allo stadio "convenzionale". È come se il terzo stadio venisse raramente raggiunto. Lo sviluppo cognitivo sembrerebbe dunque essere una competenza necessaria, ma non sufficiente per elaborare il ragionamento giuridico che, secondo Louin-Tappe Levine, sarebbe gerarchicamente superiore e quindi migliore. Proprio questa evidenza sarebbe il punto debole dell'architettura a stadi prospettata dagli esponenti dell'approccio dello sviluppo cognitivo. Essa è infatti usata dagli psicologi che afferiscono all'orientamento dell'apprendimento sociale per 47 criticare l'impostazione a stadi dei cognitivisti in riferimento sia allo sviluppo morale e del senso di giustizia sia allo sviluppo del ragionamento giuridico. Non sarebbe infatti secondo loro possibile individuare un modello universalmente valido di sviluppo del ragionamento morale (e giuridico), così come sarebbe impossibile "incasellare" in tappe nettamente distinte i diversi tipi di ragionamento a esso riferiti. Inoltre, i vari stadi non possono essere collocati lungo una scala gerarchica. In accordo con alcuni filosofi morali, ritengono che l'esito dello sviluppo morale sia la capacità di elaborare un pensiero "multiforme" detto anche "sistema di giudizio pluralistico", che cioè fa riferimento contemporaneamente a più criteri. Gli individui dunque, adulti e bambini, nelle loro decisioni in ambito morale e giuridico adottano ragionamenti più complessi a partire da varie considerazioni e molteplici fattori. Oltre allo sviluppo cognitivo, conterebbero variabili affettive, relazionali e situazionali, ma anche genere, lo status socio-economico e culturale, la scolarità, la cultura di appartenenza, così come le esperienze sociali e partecipative. 6.3.3 Coscienza e socializzazione giuridica nell’approccio culturale La consapevolezza dell'importante ruolo svolto dal contesto culturale, locale e situazionale nell'influenzare i processi di socializzazione è alla base delle più attuali teorie interpretative della socializzazione giuridica, così come della coscienza giuridica in età adulta. Secondo questi orientamenti la coscienza giuridica è mobile, complessa e variabile, ma entro certi limiti, che sono dettati dalle singole situazioni e dalla specifica organizzazione sociale.. In particolare, in base a una recente lettura del diritto vivente denominata "diritto nel quotidiano" (law in everyday life), gli individui nelle loro pratiche quotidiane sono produttori di norme, a cui tuttavia non sono estranei il diritto ufficiale, le sue prescrizioni e le sue rappresentazioni. Le norme prodotte dagli individui nelle loro pratiche quotidiane perciò possono aderire o non aderire al diritto ufficiale, il quale però costituisce inevitabilmente un punto di riferimento sia per conformarsi sia per discostarsene. Pertanto, il diritto ufficiale rappresenta un elemento imprescindibile per la costruzione del senso comune e per l'attribuzione di senso alla realtà. In questa concezione della coscienza giuridica, il diritto, più che un sistema organizzato di principi, è un insieme di usanze e di abitudini che fornisce alle persone "strumenti" (teorici e pratici) da utilizzare per costruire “strategie d'azione e di interpretazione”. Nella loro quotidianità, infatti, gli individui si conformano, resistono e usano strumentalmente il diritto ufficiale, a seconda di quanto i messaggi normativi siano percepiti come rispondenti alle proprie aspettative e pratiche. Più specificamente, Ewick e Silbey osservano che «di fronte ai messaggi normativi, le persone possono: a) adeguarsi (before the law), accettando l'autorità che dal diritto emana; b) resistere (against the law) nel momento in cui essi non rispondono alle attese; c)servirsene in modo strumentale (with the law) per avvantaggiarsene. Queste strategie non si escludono vicendevolmente, ma sono usate a seconda dei contesti, delle norme in questione e degli obiettivi». Per meglio comprendere cosa intendano Ewick e Silbey possiamo analizzare le pratiche messe in atto dalle coppie di genitori dello stesso sesso in Italia a fronte di un diritto che non riconosce il ruolo di genitore al partner privo del legame biologico con il figlio o la figlia (il cosiddetto genitore intenzionale o sociale). Dinanzi alla dissonanza tra le proprie aspettative di genitore e le prescrizioni normative, queste coppie mettono in atto diversi comportamenti e atteggiamenti riferiti al diritto. Per esempio: si adeguano al diritto quando accettano la norma che prevede una delega per il ritiro dei bambini da scuola per tutti coloro che non siano i genitori legali, resistono quando il genitore biologico si rifiuta di compilare tale delega per il proprio partner, il genitore intenzionale, usano strumentalmente il diritto che non li riconosce come coppia genitoriale per ottenere i vantaggi previsti dalla legge. Tornando al processo di socializzazione giuridica in senso stretto, Kourilsky-Augeven, sottolineando l'interazione tra l'individuo e il suo contesto di vita, si interroga su come i bambini recepiscano nella quotidianità ciò che è inerente al diritto e, in senso più lato, alla "giuridicità". Secondo Kourilsky-Augeven, l'assimilazione del vocabolario del diritto, i concetti che designano le figure d'autorità e le istituzioni proprie di una cultura fanno parte del processo di apprendimento quotidiano della lingua madre sino a diventare dei termini utilizzati correntemente. Nelle interazioni con gli altri all'interno dei diversi gruppi di appartenenza i bambini comprendono i meccanismi sociali 48 In altre parole, non corrispondenti alla propria interpretazione della realtà. In questo caso, allora, solo alcuni degli interventi che rientrano tra quelli riconducibili alla spinta gentile possono essere considerati utili per la socializzazione giuridica. Più precisamente quelli in cui, per indurre un certo comportamento, si interviene fornendo maggiori informazioni, avvertendo di eventuali rischi o vantaggi derivanti dall'agire in una certa direzione. Solo spinte gentili di questo tipo (di primo grado secondo Baldwin), la cui invasività è minore, lasciano una reale libertà di scelta al decisore. Mediante l'apprendimento consapevole si possono infatti favorire comportamenti e atteggiamenti orientati alla conformità e alla giustizia. Tuttavia, non si deve dimenticare che la modalità con cui si comunicano le informazioni non è mai neutra e che quindi quest'ultima ha a sua volta un'azione condizionante, limitativa, in ultima analisi, della libertà di scelta. Seppure non formalmente, di fatto anche in questo subentra quindi un meccanismo di persuasione implicito, che non si è in grado di controllare. Quegli interventi di spinta gentile che fanno leva sui bias cognitivi, cioè meccanismi comportamentali di cui la persona non è consapevole e che consistono in errori di valutazione sistematici in cui inconsciamente gli individui cadono, non potrebbero invece essere inclusi tra gli strumenti volti a favorire i processi di socializzazione giuridica, dal momento che sfruttano le distorsioni cognitive di cui l'individuo non ha coscienza, inducendolo in modo inconsapevole ad agire in un certo modo. 6.5 Socializzazione giuridica e ricerca empirica: rappresentazioni sociali delle norme nei bambini e nei ragazzi Louin-Tapp e Kohlberg utilizzarono la loro teoria dello sviluppo morale, applicata al senso della legge e della giustizia, in due differenti ricerche realizzate alla fine degli anni Sessanta con bambini e ragazzi che frequentavano dalla scuola dell'infanzia alla scuola secondaria di secondo grado. In entrambe le ricerche si sono avvalsi dello stesso metodo e strumento: un'intervista di circa 80 domande sul diritto, la giustizia, il rispetto delle norme, le sanzioni e l'autorità. La prima ricerca è stata condotta negli Stati Uniti su un centinaio di soggetti, tutti di elevata estrazione sociale; nella seconda il campione era più ampio: oltre 400 individui, residenti in Danimarca, Grecia, India, Italia, Gappone e Stati Uniti. In questo caso i partecipanti erano equamente ripartiti, oltre che per genere, anche per estrazione sociale. L'articolo analizza solo le risposte ad alcune delle domande presenti nella traccia di intervista, quelle che vertono sul valore e le funzioni delle regole e delle leggi, sulle dinamiche dell'obbedienza e sulla modificabilità e violabilità delle regole. I risultati confermano l'applicabilità del modello a stadi elaborato da Kohlberg, Louis-Tapp e Levine al ragionamento giuridico, evidenziando il passaggio, al crescere dell'età, dallo stadio preconvenzionale a quello convenzionale e, per alcuni dei ragazzi più grandi, a quello postconvenzionale. Dimostrano inoltre la presenza di alcune caratteristiche universali dello sviluppo cognitivo. Per esempio, laddove i bambini della scuola primaria hanno prevalentemente asserito che le regole e le leggi servono per prevenire i crimini e che sono essenzialmente dei divieti, mostrando un orientamento preconvenzionale, i preadolescenti e adolescenti si sono invece perlopiù detti convinti che le leggi siano un insieme di prescrizioni che servono a mantenere l'ordine sociale, collocandosi sul livello convenzionale. Solo alcuni, tra i più grandi, hanno adottato un ragionamento giuridico riconducibile al livello postconvenzionale, ritenendo che in assenza di regole le persone agirebbero comunque responsabilmente, mentre un gruppo più ampio tra loro ha definito le leggi come linee di condotta verso il raggiungimento del benessere sociale e individuale, ed esito di un ragionamento razionale. Rispetto alle ragioni dell'obbedienza, sul piano prescrittivo o "ideale" del dover essere ("perché le persone dovrebbero seguire le regole?"), nelle risposte i bambini della scuola primaria si sono richiamati ai concetti di paura/evitamento della punizione e obbedienza all'autorità; i preadolescenti al mantenimento dell'ordine e dell'armonia sociale, aderendo alle regole per conformità sociale; nella maggior parte degli studenti più grandi si è rivelato diffuso un ragionamento basato sulla valutazione dell'utilità individuale e sociale. Per quanto riguarda invece il piano descrittivo ("perché le persone seguono le regole?"), anche i ragazzi e le ragazze più grandi sembrerebbero aver messo in atto un ragionamento riconducibile allo stadio convenzionale. Louin-Tapp e Kohlberg attribuiscono quest'ultimo risultato a una sorta di disincantamento conseguente alla presa di consapevolezza del fatto che nell'agire quotidiano si tende a farsi guidare più dalla conformità che da ideali e principi morali. Infine la ricerca ha evidenziato che, al crescere dell'età, le regole sono 51 percepite sempre più come flessibili e modificabili. Nell'ottica dei due studiosi, la socializzazione giuridica dovrebbe contribuire a far emergere le "naturali" tendenze che regolano l'interazione promuovendo la partecipazione e la cooperazione, senza tuttavia escludere il conflitto in quanto dinamica sociale, come requisiti di un ordine giuridico giusto. Il diritto è dunque considerato un insieme di valori orientato a promuovere i diritti individuali e, attraverso di esso, sarebbe possibile e auspicabile crescere individui che considerano la legge una risorsa per contribuire al cambiamento, quando necessario, e non un meccanismo per consacrare lo status . Uso e negoziazione delle norme nelle relazioni tra pari e con gli adulti Una ricerca realizzata in tempi più recenti in Italia si proponeva di analizzare l'apprendimento e l'utilizzo delle norme da parte di ragazzi e ragazze nelle loro relazioni quotidiane; in particolare, le pratiche adottate per negoziare e modificare le norme che definiscono le relazioni con i pari e il rapporto con l'autorità, e quelle che delimitano l'autonomia personale. Durante un soggiorno-vacanza, un centinaio di ragazzi e ragazze tra i 14 e i 18 anni hanno risposto a un questionario. Con una parte di loro sono stati inoltre condotti dei focus groups e un periodo di osservazione sistematica delle interazioni. Il contesto del soggiorno-vacanza si presentava particolarmente adatto per gli obiettivi della ricerca in quanto, da un lato, caratterizzato da un allentamento dell'autorità dei genitori, da maggiore autonomia e da relazioni con i pari particolarmente intense e, dall'altro, da elevate richieste e aspettative da parte di adulti "altri" rispetto ai genitori, all'interno di un ambito prettamente ludico. I risultati hanno evidenziato come il genere ricopra un ruolo significativo nel processo di costruzione normativa. Quest'ultimo è rilevante nel delineare sia i modelli di regolazione adottati nelle relazioni con gli adulti e con i pari, sia i valori di riferimento e i significati attribuiti alle medesime interazioni. L'età esercita un'influenza in relazione alla trasgressione, la cui attrazione aumenta tra i più grandi che al contempo sono maggiormente propensi a punire i comportamenti devianti in modo più severo. Per quanto riguarda il genere, le ragazze sembrano orientate a una maggiore conformità, intesa però più come ottemperanza alle norme decise dagli adulti che come adesione consapevole a modelli comportamentali ritenuti desiderabili. Rispetto alla questione se obbedire o trasgredire una regola non condivisa, i più grandi fanno maggiormente uso delle pratiche di negoziazione e per modificare le norme di quanto non facciano i più giovani, in ragione della consapevolezza della propria "quota di potere contrattuale" e della maggiore familiarità con tali pratiche. 6.5.2 Sentimento di giustizia Sulla formazione e il significato del senso di giustizia Jakubowska (1991) ha condotto una ricerca a Varsavia nel 1990. Il lavoro è interessante innanzitutto per il metodo. La sociologa polacca si è avvalsa di uno stimolo costituito da una storia immaginaria, raccontata a un campione casuale stratificato di 90 bambini e ragazzi di età compresa tra 9 e 18 anni, a cui ha fatto seguire un’intervista costituita da domande aperte. Protagonista della storia è il popolo dei piccoli uomini, sottomesso al popolo dei mostri che vive sulla vicina isola. Questi ultimi vengono uccisi da una catastrofe naturale che travolge la loro isola e i piccoli uomini riconquistano finalmente la libertà. Devono però riorganizzare il proprio Stato in base al principio del consenso sociale dei suoi membri e all'obiettivo della felicità di tutti. Quali caratteristiche dovrà avere questo nuovo Stato? Su quali regole si dovrà poggiare? Sotto la dominazione del popolo dei mostri i piccoli uomini erano sottomessi alle loro leggi. I mostri esigevano obbedienza, chi si ribellava però veniva emarginato e imprigionato. La storia ideata da Jakubowska è, secondo la studiosa, una metafora del rapporto bambini-adulti: i primi vivrebbero infatti una condizione di sottomissione nei confronti dei secondi. Per questo, dalle risposte degli intervistati relative alle caratteristiche della società ideale per i piccoli uomini, sarebbe possibile dedurre la loro rappresentazione della giustizia. Quale rappresentazione della giustizia emerge dunque tra i bambini e i ragazzi che hanno partecipato alla ricerca? Per i più piccoli la giustizia coincide con il "bene" della società, come solidarietà, supporto e aiuto. In questa prospettiva le disuguaglianze sociali dovrebbero essere risolte mediante la carità e l'aiuto e non eliminandone le cause. I ragazzi di 14-15 anni si richiamano alle condizioni che possono garantire la giustizia. Per alcuni la condizione è data dal 52 rispetto della legge a prescindere dal suo contenuto; per altri la giustizia è la giusta punizione che deriva da una corretta valutazione di un reato. Altri infine interpretano la giustizia come "valutazione obiettiva", giudizio giusto, imparziale. Quest'ultima rappresentazione della giustizia è presente anche tra i ragazzi di 17-18 anni, tra i quali però emergono anche altre due rappresentazioni della giustizia, intesa rispettivamente come agire coerente con la propria coscienza e come uguaglianza di fronte alla legge. Jakubowska conclude sostenendo che mentre da piccoli si pensa che la giustizia coincida veramente con l'ideale di bene e la felicità per tutti, crescendo, anziché elaborare definizioni astratte e ideali della giustizia, ci si sforza di definirla attraverso gli strumenti e i metodi necessari per raggiungerla. Da qui discenderebbero le diverse società ideali per il popolo dei piccoli uomini immaginate dai partecipanti alla ricerca: i bambini di 9-10 anni immaginano una società in cui gli abitanti rispetterebbero la legge in quanto garanzia di felicità. I ragazzi di 14-15 anni delineano una società ordinata, piuttosto repressiva, dove solo una minoranza di cittadini si sforzerebbe di comportarsi in modo corretto. I ragazzi di 17-18 anni aspirano a una società in cui i cittadini si fidano prima di tutto della propria coscienza e che mirano a preservare l'imparzialità della legge. 6.5.3 Il “diritto nel quotidiano” e il significato dei diritti fondamentali nei bambini e nei ragazzi La sociologa americana Silbey, nella sua ricerca condotta in Massachusetts nel 1986, ha osservato per circa 9 mesi una cinquantina di studenti tredicenni, appartenenti alla classe media, impegnati in discussioni sulla Costituzione americana - in cui di volta in volta interpretano diversi ruoli (senatori, deputati, membri della Corte suprema) – e a mettere in scena alcuni processi importanti per la storia degli Stati Uniti. L'obiettivo della ricerca era fare emergere quale concezione i ragazzi hanno del diritto (law) e dei diritti (rights), ma soprattutto come il discorso sul diritto e i diritti sia usato da ragazzi e ragazze nella vita quotidiana e sia influenzato dalla propria cultura. Silbey cerca di cogliere l'esperienza vissuta dai ragazzi, e di individuare la "coscienza di senso comune" in riferimento al diritto (the common sense of law) di coloro che appartengono a un certo contesto culturale. Secondo Silbey, “in ogni situazione, ambiente o cultura locale, c'è solo un numero limitato di interpretazioni disponibili per assegnare significato a cose, eventi o termini giuridici”. Tale limite è appunto da ricondurre alla cultura di appartenenza. La ricerca evidenzia come un gruppo di adolescenti faccia propri e utilizzi i concetti giuridici nella gestione delle relazioni quotidiane. Tra i risultati ci sembra utile evidenziare come, a partire dalla preadolescenza, si cominci ad acquisire la consapevolezza di sé stessi come soggetti di diritto, e del mondo sociale come "giuridicamente" costituito e come si attribuisca al diritto il potere di garantire la costruzione di una propria, individuale, identità sociale, in quanto il diritto è uno strumento che permette di resistere alle convenzioni e alle norme stabilite dagli adulti. Per questo i partecipanti alla ricerca ritengono che la legge conferisca dei poteri e, in particolare, che il diritto rappresenti un mezzo per ottenere il riconoscimento di uno status, esigere ascolto e proteggere il singolo dal gruppo, dalla società. In merito al concetto di diritto soggettivo, gli psicologi americani Melton e Limber (1992) hanno condotto, negli anni Ottanta, diverse ricerche coinvolgendo complessivamente quasi 400 bambini e ragazzi di età compresa tra 4 e 16 anni, di varia estrazione sociale, etnia e contesto (rurale e urbano), e che vivevano in diverse aree del mondo occidentale. I risultati di queste ricerche hanno portato Melton e Limber a elaborare un modello esplicativo di come emerge e si modifica il concetto di diritto soggettivo a seconda dell'età, modello che caratterizzerebbe quantomeno bambini e ragazzi del cosiddetto Nord del mondo. Nel modello di Melton e Limber sono presenti tre stadi. Nel primo i diritti sono definiti ciò che si può/è permesso fare e a deciderlo sono gli adulti, dalla cui autorità i bambini dipendono. Verso gli 11 anni (secondo stadio), i diritti sono definiti come ciò che si dovrebbe poter fare o avere, in relazione a specifici attributi: ruolo sociale, abilità, comportamento corretto, piuttosto che dipendere dall'attribuzione di tale diritto da parte di un'autorità. Sono quindi paragonabili a dei privilegi che dipendono appunto da specifiche qualità o caratteristiche. Infine, intorno ai 13-14 anni (terzo stadio) i diritti corrispondono a ciò che, per principio, si deve poter avere o fare, si fondano perciò su principi etici astratti e si possiedono a prescindere dal loro riconoscimento da un'autorità, così come da 53
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