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Rappresentazione Culturale dell'Inghilterra nel XIX Secolo: Letterature Coloniali, Traduzioni di Lingua Inglese

Come la questione dell'etnicità fornì una significativa frattura nella società e cultura britannica del xix secolo, con un focus particolare sul ruolo delle letterature coloniali. Come disraeli, george eliot e altri intellettuali britannici esemplificarono una doppia visione di terre colonizzate, e come le rappresentazioni degli indigeni furono cruciali nel controllo tra il popolo inglese e i loro oppositi, oltre nello sviluppo delle teorie sulla razza. Il testo illustra come la visione mondiale britannica del xix secolo fu eretta sull'approvata supremazia della razza anglosassone verso le altre popolazioni colonizzate.

Tipologia: Traduzioni

2012/2013

Caricato il 06/05/2013

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Scarica Rappresentazione Culturale dell'Inghilterra nel XIX Secolo: Letterature Coloniali e più Traduzioni in PDF di Lingua Inglese solo su Docsity! Nel 19° secolo c’era una radicale trasformazione della nazione. Soprattutto nel 1850 furono anni cruciali della rivoluzione delle innovazioni industriali, scientifiche e tecnologiche, così come una vasta espansione coloniale ebbe una grande influenza sulla struttura della cultura inglese. Il mondo Vittoriano fu letteralmente in movimento: John Stewart Mill annunciò ai suoi contemporanei che "un cambiamento ha preso piede nella mentalità umana.. la convinzione non è già lontana dall'essere universale, il quale tempo ha partorito con un cambiamento; e che il diciannovesimo secolo sarà conosciuto ai posteri come l'era di una delle più grandi rivoluzioni in cui la storia ha preservato la memoria nella mentalità umana, e nell'intera costituzione della società umana." Prima della seconda metà del secolo, i vittoriani hanno già percepito il cambiamento come una caratteristica critica inerente del loro tempo. Edward Bullwer Lytton, Thomas Carlyle, Jhon Ruskin hanno insistito diversamente su una transizione come una forza di un disordine di estrema ideologia, e Mill stesso registrando le difficoltà riguardo l'evoluzione tacita e graduale dal passato al presente, parlò di una 'umanità divisa' creata da "tutti quelli che sono ancora quelli che erano e quelli che hanno avuto il cambiamento". Inoltre la richiesta per l'emancipazione intellettuale e il dislocamento delle norme dominanti furono le principali cause di una sensazione di ansia imminente. Era chiaro che "il senso di un movimento inevitabile di reparto, il suo scopo sconosciuto e l'oscura direzione, furono dolorose per le persone sensibili e pensanti"; le idee contrastanti riguardo politiche e società, religione e scienza, cultura, arte, e educazione conversero in un'unica posizione condivisa fu il presentimento causato da relazioni ambivalenti con un passato lontano e un presente molto debole. Le rivoluzioni sociali intellettuali, insieme con le loro conseguenze controverse attraversarono la produzione letteraria del tempo, introducendo un senso di disagio diffuso sia nella scrittura poetica e in prosa. Come Matthew Arnold mostrò nella sua poesia "dover beach", un pensiero malinconico poteva esprimere la visione dolente di trasformazioni storiche derivanti da forme ininterrotte e mutabili del mondo moderno. Nella poesia, il destino incerto dell'uomo fu metaforizzato come "torbido riflusso e corso della miseria umana", e la continua alternazione degli elementi naturali attivò una profonda meditazione sulla desolazione e individua e collettiva, quale flusso del mare fu esteso nell'interno ambiente naturale rispetto a una serie di fluttuazioni, interruzioni, discontinuità - "la luce brilla e se n'è andata"; [..]. Queste immagini fornirono un tono di contemplazione profonda e invocarono un tempo passato di (religiosa) certezza in contrasto con il presente credo delle teorie di darwiniane, rivoluzione industriale e credo imperiale. L'oscurità e la confusione simbolizzarono la frattura esistenziale praticata dall'uomo quando venendo impugnare con le scelte difficili tra vecchio e nuovo un disorientamento che trovò espressione in due spesso citate linee dalle "stanze della grande Certosa" dove Arnold diede voce a tutti gli abbandonati di "vagare tra due mondi, un morto. Altro impotente a nascere." Discontinuità, l'intercalare, e un senso di dissipazione incombente furono i motivi principali del tempo, i quali anni finali portava i tratti sia di transizione che di rivolta, chiamata per "fin de siecle" decadenza come una sorta di reazione contro l'ottimismo vittoriano. S’ inviscava nell’esitazione, l’uomo vide il collasso della sua armonia interiore ,falsamente rappresentato da miti economici e sociale. L’alienazione morale che caratterizzò alcuni momenti che finirono per indebolirsi come la grande fede che in passato la maggior parte degli intellettuali fece valere. La comparsa dell’industriale Manchester e della mitica Atene Indisraesli’s Coningsbj (1844) la più importante biblica artistica letteraria referenza nel past and present di Carlyle (1843) e la storica e mitica fabbrica di On Heroes and Hero-Worship (1841) testimoniano al fatto che guardando alla tradizione in molti casi fu un modo per dare stabilità al presente. Ancora la società iniziò ad essere definita in accordo coi canoni che, preservando l’importanza di una conoscenza convenzionale, permisero di guardare al presente in un modo più realistico. Disraeli stesso dichiarò i suoi dubbi riguardo una rinascita del passato in modo da risolvere la situazione difficile dell’Inghilterra, come l’incessante progresso dell’industrializzazione, egli mantenne, non permettendo nessun passo indietro alle precedenti strutture sociali. Carlyle riconobbe l’importanza di entrambi i valori, conservativo e progressista, nella sua cultura personale, auspicando la presenza simultanea di una fede tradizionale e di un progresso sociale. Insieme con questi opinioni, molti atteggiamenti radicali caratterizzarono il pensiero social Vittoriano, e capendo di aver assunto talvolta in passato il sapore equivoco della precarietà ancestrale. La magnifica impresa imperiale apparentemente temprato socialmente e psicologicamente di paura. L’espansione europea globale si sviluppò largamente nel 1400 e nel 1500 e, dal 1800, l’industrializzazione alterò irrevocabilmente la natura dell’imperialismo europeo; l’Inghilterra gradualmente cominciò una leadership coloniale sulla consolidazione dei suoi possedimenti in India, nel Pacifico, in Africa e in Asia. Alla fine del secolo, l’impero inglese coprì l’intera larghezza del mondo contando “il sottocontinente indiano nella sua interezza, Burma, la più sostanziale dei possedimenti in Africa (includendo Egitto, Sudan, Nigeria, Sudafrica, Kenia e Uganda), Canada, Australia, Nuova Zelanda, le Indie occidentali e innumerevoli isole, e altre importanti colonie come Singapore e Hong Kong. In aggiunta, l’impero non ufficiale della Gran Bretagna, o regione di influenza politica ed economica incluse lì America latina e la Cina”. L‘enorme sviluppo nel trasporto, considerato sia come un modo di muoversi all’interno dei confini del paese intorno all’espansione del sistema ferroviario e sia come un significato per raggiungere i continenti più lontani a bordo dei velieri e dei piroscafi, erano soggetti a trasformazione che diedero un significante impatto nella rappresentazione delle colonie e delle relazioni coloniali. Negli ultimi anni del 19° secolo, il miglioramento del trasporto influenzò la percezione delle differenze territoriali sociali e individuali; i viaggi sui piroscafi diventarono molto meno pericolosi e molto più diffusi, e il dibattito della sostituzione dei velieri con i più moderni piroscafi portò autentici vantaggi all’impresa coloniale. In un articolo pubblicato nel New York Daily Tribune nel 1858, Angels descrisse tutti gli effetti positivi introdotti dai piroscafi e dichiarò la sua sorpresa verso le politiche di governo a favore dei vessilli delle imbarcazioni a vela per il trasporto delle truppe durante la rivoluzione indiana del 1857. I piroscafi trasportavano il doppio dei soldati e potevano impiegare la metà del tempo rispetto alle imbarcazioni a vela. Così, egli rappresentarono “…strutture temerarie buttate via, il corretto uso la cui forza aveva preventivato la guerra indiana dall’assumere le sue formidabili dimensioni”. L’evoluzione nel trasporto ebbe un diretto impatto nel modo di colonializzazione e diventò una metafora dalle prospettive assiologiche più ampie, come i contrasti tra passato e presente, scienza e natura. Inoltre giocò un ruolo nella considerazione delle colonie da sottomettere i loro valori economici e politici di più rispetto alle loro esotiche e sognatrici qualità. L’intero contesto del pensiero imperiale, il quale era così fortemente incorporato espresse nelle poesie successive …..”. Dal sogno, esotismo e fantasia all’invasione, sfruttamento e soggiogamento: questi erano dei termini all’interno dei quali il cambiamento alle attitudini coloniali (e letterari) di questo periodo presero piede. Le rappresentazioni delle terre indigene variarono e l’argomento del cambiamento influenza un ampio numero di prospettive. Le novelle della prima età vittoriana portarono a una serie di clichè i quali erano trasportati sia in modo positivo che negativo modelli ermeneutici. Inizialmente erano posti lontani, esotici la cui avventurosa e affascinante caratteristica dimostrò una valida alternativa alla vita di ogni giorno della narrativa domestica. Le colonie furono caratteristicamente introdotte attraverso rappresentazioni verbali e scritte degli avventurieri e dei viaggiatori. Per esempio, nel “Elizabeth Gaskell’s Cranford” (1851-1853), l’India è il prodotto dei racconti fantastici di Peter Jenkyns, “le storie più belle rispetto al soldato Sinbad” che fa di lui “così molto orientale”. Gli aneddoti raccontati da Jenkyns sono immediatamente etichettati come falsi e esagerati, e il contrasto tra la società locale di Cranford e i territori indiani illimitati è emblematico di un’autentica ricerca di divisione. Cranford rappresenta l’Inghilterra nei termini più tradizionali e conservativi, mentre l’India resta come un luogo dove Peter, ancora giovane, vede come rifugio dopo avere disobbedito le regole di un comportamento decente così fortemente radicate nella sua comunità. Le novelle scritte nella prima metà del secolo erano in qualche modo tutte infuse con una doppia visione delle colonie, rappresentate o come un Paradiso o come un Inferno. Queste apparirono come terre selvagge da sottomettere, e evocarono immagini di degenerazione, come in quella di Bertha Mason in “Charlotte Bronte’s Jane Eyre” (1847) che, ricoperta da vestiti, ancora “afferrò e ringhiò come uno strano animale selvatico”, drammatizzando un violento, bestiale comportamento che richiamò stadi di vita primitiva e impostazione dannosa. Tuttavia, il mondo coloniale poteva anche essere un posto di inaspettate risorse morali, dove le popolazioni britanniche più disadattate e povere potevano trovare la redenzione. In molte storie vittoriane la riabilitazione etica ed economica fu raggiunta in questi luoghi lontani tramite un processo espiatorio, che introdusse il carattere di una nuova vita. Un caso in particolare è la narrativa di Charles Dickens. “David Copperfield” (1848-1850) presenta un gran numero di personaggi Mister Peggoty, Emily, Micawbers, Martha, Mister Mell) che emigrarono in Australia e con successo iniziarono un’altra vita. Allo stesso modo, George Eliot esemplificò questa doppia visione di terre colonizzate dal collocarle in un insieme complesso di relazioni. Come Nancy Henry puntualizzò, “Eliot non rappresentò le colonie, che potevano sembrare sia minacciose che fiorenti, ma la tensione tra loro immagine come”Nuovo Mondo”, per iniziare l’inizio di una nuova vita e come margini desolati, pericolosi di un impero che non voleva essere opportunamente rimosso è evidente nella sua vita e nella sua narrativa”. Infine, la visione dell’impero in termini di prosperità era anche introdotto da un punto di vista economico: le terre indigene erano un posto dove cercare ricchezza e lusso. Le colonie erano introdotte dalle novelle attraverso esotici e spesso elaborati simboli, come le preziose sciarpe e gioielli in “Thackeray’s Vanity Fair” (1848), i vestiti di mussola e perle in “Elisabeth Gaskell’s Cranford, lo scialle indiano in North And South” (1855), “….. cose perfette per il loro genere”. Tale visione dicotomica era principalmente riconducente a un conflitto simboleggiando profondi contraddizioni attitudinali destinati a evolversi a una più interessata e in qualche modo commutabile prosa. Nella narrativa scritta intorno e dopo alla seconda metà del secolo, l’idea dell’impero inglese come un’ emblema di ordine sociale e grandezza etica non era un tema esclusivo; le immagini cupe dominarono la scena letteraria, a causa di evoluzioni storiche e politiche che inevitabilmente influenzarono visioni egocentriche. Da un’angolazione storica il 1850 segnò un cambiamento cruciale: “l’accelerazione australiana della corsa all’oro, la ricerca delle risorse del Nilo, la guerra in Crimea e l’ammutinamento fece sì che decadesse un punto di svolta per l’ideologia imperialista, a lungo prima del nuovo imperialismo manifestatosi nella “conquista dell’Africa” e tutte le altre parti del mondo che ancora rimasero aperte alle invasioni dagli europei portatori di luce e di massime armi”. Le novelle scritte dopo questi eventi come “ Wilkie Collins’s the Moonstone” (1868), sono un esempio di un cambiamento a un più sensitivo e attento approccio ai problemi coloniali; mistero, immaginazione e esotismo erano collocati con intuizioni profonde sull’importanza culturale e razziale. La peculiarità di “The Moonstone”, una storia nel quale il colonialismo ebbe un ruolo importante, era nel trattamento della cattura di indiani tra la politica anti-imperiale e gli approcci misantropici. Come “un maestro di duplicità” Collins riuscì a raffigurare la popolazione straniera ambiguamente e sovversivamente allo stesso tempo. Se al criticismo moderno e post coloniale vennero attribuite qualità positive agli indiani protagonisti della storia, la posizione di Collins riguardo la razza non può attualmente essere definita “incoraggiante”. Per esempio, nelle parole di Betteredge, una delle maggiori voci del romanzo, il riferimento al mondo straniero introdotto attraverso la centralità data a una pietra preziosa corrisponde a un inizio di sfortuna e problemi, egli riscontra immediatamente l’effetto straziante che la pietra di luna, un simbolo del mondo indiano per eccellenza, ha nella vita della collettività: “… qui era la nostra calma casa inglese improvvisamente invasa da un diabolico diamante indiano – portandolo dopo a una cospirazione di delinquenti viventi, liberato da noi da una vendetta dell’uomo morto”. Betteredge non era spinto da un impulso razzista, - “io sono… l’ultima persona al mondo a non avere fiducia verso il prossimo perché ha l’ombra più scura rispetto a me stesso”, egli dichiara – ma è ben consapevole del pericolo misteriosamente risultato del contatto con le colonie. Inoltre, egli rammento riguardo la natura del diavolo indiano di Murthwaite: “nella nazione tali uomini provenirono, a essi interessa solo come uccidere un uomo, come a te interessa riguardo svuotare le ceneri della tua pipa…. Il sacrificio della casta è una osa seria in India se tu vuoi. Il sacrificio della vita è niente a tutto”. Gli indiani sono popolazioni malvagie e selvagge e la loro connessione con il mondo occidentale genera apprensione e incertezza. Come una conseguenza, l’ibridità è considerata come dannosa, e l’incrocio di razze come ambiguo e paradossale. Ezra Jennings è un caso in questione; la sua colpa è “la miscelazione di alcune razze straniere nel suo sangue inglese” che fa di lui una contraddizione vivente, non da essere considerato come un individuo degno, ma solo condannato all’anonimato e all’oblìo. Quindi le idee razziste prendono forma evidenziando le forza e debolezze dell’impresa coloniale e chiamano attenzione su problemi specifici portati da un confronto individuale. La dimensione sociale e culturale di questo periodo oltre la natura delle rappresentazioni letterarie erano trovate sul riconoscimento di una realtà ad ampio raggio dominata dalla varietà e talvolta dal caos e dalla instabilità. Allo stesso tempo, la formazione di un nuovo epistemologico modello affidato sulla consapevolezza di una specie chiamata “differente”; la popolazione britannica gradualmente iniziò a essere consapevole che la differenza doveva essere affrontata, in modo da stabilire la loro propria posizione come cittadini europei in opposizione ai residenti indiani, africani o australiani. Questi nuovi cittadini britannici non erano pienamente consapevoli di essere la centralità dell’altra colonia nella sagomatura della loro propria identità. L’idea di disgiunzione che è incapace di vedere il resto come connesso a se stesso, era centrale nella costituzione di nuove individualità. Il senso di disagio, facilmente rilevabile nella scrittura narrativa, derivava da una ricognizione obbligatoria: il mondo è diventato, anche dal punto di vista delle individualità umane, una struttura complessa dove l’uomo bianco deve risolvere, e in parte riaggiustare la sua assunzione di superiorità. TRA LA SCIENZA E MORALE: IL CAMBIAMENTO DEI MODELLI RAZIALI. Le rappresentazioni degli indigeni furono cruciali nel controllo tra il popolo inglese e i loro opposti colonizzati, oltre nello sviluppo delle teorie sulla razza. Esso accadde precisamente nel 19esimo secolo la cui firma dei modelli razziali iniziò a prendere piede sotto l’influenza della crescente espansione geografica. La questione della razza fu un problema molto vibrante culturalmente; gli intellettuali scrittori similmente furono coinvolti in differenti dibattiti sull’etnicità attivata dalla questione imperiale. Non solo i viaggiatori, scienziati e antropologi come Charles Darwin, Richard Francis Burton, Thomas Hanry HUXLEY, Erbert Spencer, ma anche storici, filosofi, poeti e scrittori come Thomas Carlyel, John Stuart Mill, Jhon Ruskin, Charls Dikens, Halfred Tannynson furono influenzati, più o meno direttamente, da discussioni sulla schiavitù e sulla differenza etnica. Nella seconda metà del 1850, lo sviluppo britannico resiste alle attitudini razziali come una conseguenza dell’approccio del cambio politico verso le colonie. Le così chiamate “questioni razziali” maturò in un ampio contesto culturale che girò intorno ad alcuni temi essenziali: la superiorità occidentale e il risultante approccio paternalistico verso le società straniere; una politica di assimilazione degli stati indigeni dettata dal terrore dello sconosciuto che risultò nella mancanza della stabilità materiale e mentale; la considerazione negativa del (sessuale) incontro tra razze differenti come un fenomeno di grande pericolo. Le sentenze riguardo la razza furono molto differenti nella loro natura, l’orientamento e il contributo alla sagomatura di un complesso modello culturale; approcci completamente opposti attraversarono la scena sociale e intellettuale dell’inghilterra vittoriana e costituirono differenti parti di un panorama articolato. Nel 1849 Carleyl pubblicò anonimamente un “discorso occasionale sulla questione dei neri” che iniziò una lunga disputa riguardo la schiavitù e i problemi razziali. Dopo aver condannato la vasta disoccupazione dnelle indie dell’ovest come il risultato della mancanza degli indigeni di lavorare, Carlyel dichiarò che il popolo non era tutto uguale, e che i neri dovevano essere controllati in qualche modo, essendo naturalmente inferiori rispetto ai bianchi. Ai suoi “amici neri” egli indirizzò questa affermazione: “… dovrete essere seri di quelli che nascono più saggi di voi, che sono nati padroni di voi – servi per i bianchi, se essi sono (quale mortale può dubitare che lo siano) nati più saggi di voi”. Il destino di queste persone era quello di essere servi, essa era una legge del mondo che non poteva essere cambiata dagli esseri umani. Nonostante tali forti diritti, Carlyle inolte suggerì un’attitudine compassionevole e istruttiva della GB verso gli schiavi che dovevano essere “trattati come essere umani, le cui loro anime e corpi erano responsabili i bianchi; i Studi scientifici hanno un profondo effetto rivoluzionario sui problemi coloniali; biologia, etnografia, antropologia e analisi geografiche fornirono una partizione degli esseri umani mettendo d’accordo le loro fisiche oltre che mentali qualità. Le persone di razze differenti furono considerate come l’appartenenza a specie differenti: questo è il punto che connesse due campi apparentemente separati, quella della scienza dell’evoluzione e quella del razzismo. L’unione venne promossa dal “ Charles Darwin’s the origins of species”” (1859) e “ The Descent of man” (1861), ma fu rappresentata precedentemente da Robert Knox in “ “The racies of men” (1850). Sebbene originale nelle sue consapevolezze la superiorità di due razze umane (nominate i sassoni e i greci), l’analisi di Knox era orientata verso l’indiscussa inferiorità dei neri, i quali principali difetti furono il loro scarso interesse per l’innovazione e la loro inabilità a migliorare la posizione. Esseri senza speranza, furono condannati alla schiavitù dalle evidenti e immutabili leggi del mondo. Similarmente, una più forte allusione alla razza in modo diretto, le teorie darwiniane perpetuarono la superiorità degli inglesi come una qualità innata. La selezione naturale e la sopravvivenza del più forte erano i punti cardini sui quali le classificazioni razziali potevano essere costruiti, e l’argomento dell’estinzione di specie meno evolute era applicato a una sfera razziale che politici, intellettuali e uomini di cultura promossero sociologicamente e ideologicamente affermando la sua natura biologica. In “The Descent of man”, Darwin sottolineò l’attitudine bellicosa tra razze superiori e inferiori che dava luogo o all’estinzione o al progresso. Il darwinismo sociale propose una metafora sia dell’evoluzione sia della colonizzazione come una prova e conferma della selezione naturale; gli uomini bianchi erano forti, e quindi intendevano avere successo nella lotta per la sopravvivenza e comandare il resto del mondo. Questa profonda visione discrimante era largamente contrastata non solo nella scienza ma anche nella letteratura l’unione di teorie scientifiche, il progresso e colonizzazione potevano a volte avere negativi risultati, e questo era chiaro a quegli intellettuali che percepivano il lato dannoso del colonialismo. Per esempio, R. L. Stevenson in “The scientific ape” fu scritto come una forte satira sulla scienza e sulla razza; il suo concentrarsi su un gruppo di scimmie discutendo riguardo la sperimentazione sugli esseri umani propose un tipo di visione coloniale invertita centrata su una idea eticamente corrotta della scienza, contenente attitudini anti imperialistiche. Insieme con “The Clockmaker” questa breve storia fu scritta intorno al 1880, ma mai pubblicata a causa dei suoi contenuti scioccanti. L’impostazione della narrativa, un’isola nelle Indie occidentali, introdusse l’idea di degenerazione per essere trovate in alcuni posti non civilizzati, e richiamarono la crudeltà inflitta sulle popolazioni colonizzate nel nome del progresso. Qualunque angolo dell’analisi, e nonostante le opinioni di critica in conflitto, la visione mondiale britannica del 19° secolo fu eretta sull’approvata supremazia della razza anglosassone verso le altre popolazioni colonizzate, riservate da un’inferiorità condivisa. Tra l’altro ci fu un senso pervadente di inquietudine causato dalla comparazione tra con culture che non erano non solo geograficamente, ma anche culturalmente diverse. L’assimilazione e la separazione furono due opposte, ma problemi simultanei introdotti dagli inglese in modo da far fronte con la realtà dislocante del mondo indigeno. Preso per buono il ruolo negativo della civilizzazione occidentale, il tardo vittoriano diede nascita a un’attitudine dicotomica di assimilazione e segregazione delle popolazioni straniere che volevano risultare come l’essenziale caratteristica dei successivi approcci colonialisti, influenzando teorie sulla razza fino ai tempi più recenti. Oggi, i dibattiti post coloniali sono ancora concentrati riguardo comportamenti assimilazionisti e segregazionisti che sono state originate dalle più antiche convinzioni ideologiche. Il fenomeno australiano delle generazioni rubate che affondò le proprie radici nell’idea dell’assorbimento della debole cultura indigena fino alla loro scomparsa, o il modello originale sud africano di apartheid del separato sviluppo e cooperativa coesistenza dei neri e bianchi sulla base della preservazione delle tradizioni sud africane sono solo due esempi di come la vecchia visione coloniale non erano solo incorporati nella mentalità del 19° secolo, ma persistettero attraverso gli anni provando difficoltà a sradicarsi. L’inizio del secolo aveva assistito ad alcuni passi importanti verso l’unione razziale; l’abolizione della tratta degli schiavi nel 1807 fu il primo di una serie di eventi che culminarono nell’eliminazione della schiavitù nella totalità dell’impero nel 1833. Anche se il paternalismo giocò una parte importante nel pensiero coloniale del tempo, un gruppo di storici e intellettuali – tra i quali molte rappresentative della classe media evangelica – furono capaci di portare alla luce gli effetti negativi dei pregiudizi razziali e delle implicazioni sociali della dominazione. Tuttavia, invece di muoversi attraverso una visione conciliatoria delle differenti etniche, il clima degli anni seguenti era uno delle legittimizzazioni e profondamente della differenza razziale. Il contesto ermeneutico della comprensione razziale era particolarmente affetta dallo spostamento di posizione della religione; le attitudini autorevoli verso gli indigeni, principalmente convalidate attraverso sacre ragioni iniziavano ad essere lette sotto la luce di una più accreditata importanza scientifica. Essere giustificato sul piano religioso o scientifico, la separazione tra est e ovest fu eseguita sotto lo spirito artificiale di protezione preservazione delle culture tradizionali. Il modo di commerciare con popolazioni straniere evitò il loro effetto ipoteticamente pericoloso sulla civilizzazione che era o stabilire una barriera solida che preveniva agli uomini bianchi di perdersi nei continenti sconosciuti, o includere le terre sconosciute in un modello orientale che voleva lavorare per farle diventare innocue. L’assimilazione fu un fondamentale principio sul quale la cultura di questa più tarda fase dell’affidamento del colonialismo del 19° secolo. A questa fine, anche l’instruire le colonie e promuovere la loro indipendente crescita era solo un modo per nascondere le forme crudeli di autorità razziali sotto il velo di una condotta benevola. Il paternalismo mostrò una lato molto pericoloso; invece di essere solo la risorsa di istruzione e civilizzazione esso maturò come una pratica di inclusione delle culture straniere. Attraverso un sottile processo, gli altri potevano essere respinti dal significato di assimilazione: invece di contro accettando e confrontando gli indigeni, i colonizzatori preferirono uniformarli a una più presumibile cultura inferiore dei canoni occidentali. Il progetto complessivo dell’imperialismo era quello di creare popolazioni diverse identicamente attraverso l’appropriazione delle proprie terre, culture e identità e rimodellandoli secondo i canoni europei. L’inclinazione di riconoscimento umano si differenzia in termini di classificazione razziale che era stata ereditata dall’attitudine tassonomica del 18° secolo alla catalogazione; tutto quello che poteva essere classificato era sotto controllo, e contrariamente, cosa giaceva fuori i confini di una modellizzazione ordinata del mondo era considerata sconcertante e portatore di significati insondabili. L’assimilazione era principalmente un rifugio da tradizioni indefiniti e comportamenti inquietanti, come la presenza di differenza inevitabilmente prodotta dalla paura dello sconosciuto, una paura che attraeva e respingeva allo stesso tempo. Questa condizione di trepidazione e fascino è superbamente espressa nelle parole di Conrad Marlow: “ …. La terra in una palude, marcia attraverso i boschi, e in alcuni entroterra annunciano come la totale selvaggità, gli si chiuse intorno, - tutta quella vita misteriosa del deserto che si muove nella foresta, nelle giungle, nei cuori degli uomini selvaggi. Non c’è iniziazione o dentro tali misteri. Lui deve vivere nel mezzo dell’incomprensibile che è anche detestabile. E’ ha anche un fascino che va a plasmarlo. Il fascino dell’abominio – tu lo sai – immagina i crescenti rimpianti, la voglia di scappare, l’impotente disgusto, la resa, l’odio.” Nonostante la sua potenza attrattiva il mondo colonizzato implicò il rischio di perdersi in misteri incomprensibili i cui lati più pericolosi erano rappresentati dalla barbaria contagiosa. La contaminazione imposta (dagli altri) fu estremamente spaventosa perché fu difficile da controllare e ebbe la capacità di privare i bianchi dei loro poteri. Invece, dalla creazione di indigena più simile a loro stessi, i colonizzatori provarono a esorcizzare il rischio di essere assorbiti dal mondo oscuro delle colonie, cioè essi scapparono alla minaccia dell’andamento indigeno. Ogni tipo di amalgamazione razziale fu considerata come altamente azzardata; questo chiaramente dimostrò l’instabilità della razza, e portò paura dell’inquinamento culturale. A perpetuare i senso di turbamento i popoli erano già di fronte, e espansi sia dentro che fuori i confini nazionali, le teorie di somiglianza furono suggerite verso le donne, neri, le classi più basse, animali, pazzia e omosessualità; questo formò la preservazione della razza bianca un compito estremamente difficile. Dopo un lungo periodo nel quale sia la scienza che la religione portarono verso la comprensione dell’ugualità umana, l’esperienza imperiale favorì la ricognizione dell’esperienza umana, presente nelle relazioni individuali interessando anche gli interessi economici. L’ibridazione, intesa coe una forma di corruzione morale, scosse l’impero nelle sue fondazioni epistemiche. Supportato dalla teoria circolante della poligenesi, che connesse le differenze di razza alle differenze della specie, il problema dell’ibridità fu con fervore discussa, insieme con le sue implicazioni teoriche con scienza, sesso, religione, ecc..; le persone non erano tutte uguali e la miscelazione di divverenti razze oltre altre sue conseguenze sociali diventarno quasi un’ossessione. Sebbene le teorie di combinazione etica inevitabilmente suscitarono interesse e erano ampiamente trattati anche come fonti di pratiche positive, la principale convinzione rimase che l’incontro interazzale era pericolo: prevenendo ogi tipo di incontro tra britannici e colonizzati fu percepita come una responsabilità sociale. “L’ibridismo mostruoso dell’est e ovest deve essere contenuta con una precisa sereie di regole che potrebbero crearlo il più innocuo possibile. Questo tuttavia non accadde, come il concetto di incontro i razze e ibridismo – sia con i loro effetti positivi o negativi – distribuì e divento un’intrinseca arte di quasi tutti i discors intellettuali nell’inghilterra del tardo vittoriano. L’idea di ibridismo fu costruita su un principale argomento scientifico, quello del grado di fertilità risultante dalla combinazione delle differenti specie. Il prodotto dell’unione sessuale tra persone con origini razziali distinte, l’ibrido, occupò una posizione centrale in ogni argomento riguardo l‘etnia. Eccezionali teorie stabilirono che l’incrocio fu non fertile nelle generazioni seguenti o, alla meglio, mostrarono chiari segni di degenerazione con il passare del tempo. L’aperta dichiarazione di darwin dell’ottavo capitolo dll’origine delle specie dedicò all’ibridismo, rappresentò molto più che una semplice credenza personale; definendo la sterilità come il prodotto dell’incrocio delle specie, egli stava circolando una già radicata e scientificamente provata convinzione: “la visione generalmente intrattenuta dai naturalisti è che le specie, quando incrociate, sono state specialmente situato fuori i confini nazionali questo implicò un adattamento dell’originale conflitto tra le classi interne della società britannica a un più ampio contesto di confronto di razze, e anche introdusse un opposto processo di comparazione tra scontri di razza delle differenti classi. Le disparità di classe e razza erano un centrale tema nella letteratura. Le narrative di questo periodo abbondano nei riferimenti di classe e etnicità, e l’umiliazione impartita dall’appartenenza o a una classe più bassa o a una razza differente è quasi percepita come avere lo stesso effetto di disturbo. In “Jane Ayre” di Charlotte Bronte, per esempio, è forzata a lasciare la casa di sua zia, scegliendo di andare a una scuola di imbarco invece di raggiungere qualche altro parente in condizioni sociali ed economiche sfortunate. Lei fa così perché non è pronta a sacrificare la sua posizione sociale, “io non ero eroica abbastanza”, disse, “a acquistare la libertà al prezzo della casta”. Il riferimento di Jean verso la casta, a parte accennando la centralità dello sfondo indiano della novella, porta davanti la lettura della distinzione di classe percepita in termini di differenze di razza. La povertà è quella cosa che più spaventa Jean, e il collegamento tra la degradazione fornita dalla povertà e quella fornita dall’appartenenza a una cast inferiore è significatamente forte. Trasferendo le classi più basse nelle colonie, gli scrittori del tardo vittoriano stavano esportando il male fuori i confini nazionali provando così a provvedere una immagine più pulita della loro madre patria. Le rappresentazioni articolate delle società imperiale e continentale erano presenti nelle narrative di Dichens, che era uno dei primi autori a inaugurare la tradizione letteraria del lavoro di classe dell’emigrazione di personaggi verso le colonie. Dichens usò l’emigrazione come un espediente per la conclusione di alcune delle sue novelle, e ancora lo rifiutò come una soluzione ai mali del mondo, la quale sconfitta era raggiunta nei confini delle aree metropolitane. Tuttavia, anche se principalmente concentrata sulla sua società, egli fermamente credette che l’impero offriva una buona possibilità a trattare con nazionali marginalizzazioni e degradazione. L’intensione di Dichens era quella di sottolineare la condizione d degrado dei poveri urbanizzati dal considerarli uguali agli abitanti selvaggi delle colonie. Adottando la metafora dei poveri britannici come colonizzati, stabilì una forte identità unendo tra queste due categorie e affermò un complesso scambio tra classe e razze. Le rappresentazioni degli altri furono molto frequenti nelle scritture antropologiche, scientifiche, giornali e racconti vittoriani e tardo vittoriani. Molti di loro conversero nel comune bacino epistemico dell’alterazione percepita sotto due motivi validi: o la degradazione e l’inaffidabilità, o l’innocenza e la commiserazione. Entrambi le categorie portarono un numero di varianti e simultaneamente multipli significati. In “The Noble Savage” (1853) Dickens espresse, nel suo ben noto stile iperbolico e vivido lessicale, tutto il disgusto per gli indigeni che egli considerò “un fastidio prodigioso, e un enorme superstizione.… crudeli, falsi, ladreschi e atroci; dedito più o meno al grasso, alle viscere, e costumi abominevoli; un’animale selvaggio con la dote discutibile di vanità; un concitato, noioso, assetato di sangue e monotono impostore. Costruito su termini su termini stereotipati,l’identità indigena fu apparentemente data come definita, bypassando l’interpretazione. Gli indigeni erano incuranti, pericolosi, ottusi e incarnarono tutti gli aspetti negativi del carattere umano. Verso l’ultimo decennio del 19° secolo la stereo tipizzazione degli altri portò su una ben definita base e innescò una serie di concettualizzazioni che volevano formare la struttura base delle rappresentazioni moderne dell’alterità: “…. Storicamente tutte le culture e civiltà devono avere le loro proprie particolari abitudini rappresentative per percepire quelli che loro considerano come altri. Ma – è questo è una qualificazione cruciale – fu solo con il moderno imperialismo europeo che la capacità a convertire queste rappresentazioni in verità su una sistematica e emergente a larga scala. Cosa provoca quest’abitudine di rappresentanza distintamente moderne e la loro capacità produttiva. La produzione della conoscenza riguardo gli altri attraverso le rappresentazioni va mano a mano con la costrizione, articolazione, affermazione delle differenze tra l’io e gli altri, i quali a turno alimentano l’identità politica tra i rappresentanti oltre le rappresentazioni”. Fu in questo periodo che la relazione tra l’io e l’altro iniziò a essere definito secondo i canoni che includeva non solo classificazioni diverse degli indigeni, ma anche un numero di rappresentazioni dei bianchi visti nella doppia prospettiva di buoni missionari e maestri della tirannia. Dickens di nuovo fornì un esempio prezioso del trattamento narrativo delle persone colonizzate costruito in termini stereotipati; le descrizioni comuni degli indigeni come uomini degenerati sono giunte alle forme dei padroni bianchi europei percepite, sotto lo stesso trattamento convenzionale, come senza cuore e negligenti. Il personaggio indiano in “Dombey and son” (1846-1848), un uomo di presumibili origini indiane, “che non aveva nessun nome particolare, ma rispose a ogni brutale insulto”, fu disegnato in relazione ai campi semantici del silenzio e mistero. La sua condizione di servo è quasi degenerato alla schiavitù, e la sua sottomissione è solo un modo di enfatizzare la malvagità del suo padrone. Egli fu descritto come il risultato goffo della miscelazione interculturale, fu adeguato totalmente alle usanze europee: “L’indigeno, che indossava un paio di orecchini nelle sue orecchie scure, e coi vestiti europei, accucciato con un’impossibilità inconsueta di adattamento – essendo, della propria opinione, e senza alcun riferimento all’arte della sartoria, lungo dove dovrebbe essere corto, e corto dove dovrebbe essere lungo, stretto dove doveva essere largo e largo dove doveva essere stretto – e impartì una nuova grazia,ogni volta che il padrone lo attaccava, indossandoli come una nocciolina raggrinzita, o una fredda scimmia.” Il tentativo fallito di fare dell’indigeno una figura ibrida è enfatizzata dalla sua incapacità di accettarsi nei vestiti occidentali, oltre dalle sue reazioni di paura ai rimproveri del padrone. Inoltre, la sua identità è o inesistente (la sua provenienza non è connessa in un posto geografico specifico) o continuamente reinventato dalle popolazioni intorno a lui, cosi che a volte era un povero servo schiavo nero, e a volte “ principe nel proprio paese”. Tuttavia, il fatto che Dickens stesso aveva chiesto al suo illustratore Hablot Knight Browne a disegnare l’indigeno con i costumi europei poteva significativamente aggiungere al futuro dell’autore di rappresentare un ambiguo (anche un po’ ridicolo) personaggio. In una lettera a Browne, Dickens specificò che: “… quel nativo – che è così prodigiosamente bravo – deve essere rappresentato con costumi europei. Esso può portare orecchini e un look strano, e essere scuro, ma il suo fascino deve essere di Mosè – io non intendo il Mosè del vecchio testamento, ma quello delle Minories ( per esempio E. Moses e figlio, sarti del 1954-7 Minories della città di Londra)”. L’intensione di Dickens era quella di preservare una figura umana simbolizzando la difficile condizione di uno Stato di mezzo; la rappresentazione degli indigeni nei vestiti orientali offrì un importante intuito nella dicotomica posizione in cui questi uomini furono percepiti. L’intenzione dell’autore era quella di esplorare e ridicolizzare le implicazioni razziali, e l’ermeneutico risultato di tale illustrazione presenta una complessa serie di associazioni anche nelle sue semplici rappresentazioni dei tipi. L’Oriente occidentalizzato, interessò gli europei in oriente, padroni e servi, autorità e sottomessi furono gli estremi tra la percezione e gli altri rimasti. Come palinsesto storico, una costruzione sociale basata sui differenti strati di significato e così soggetti a diverse interpretazioni, agli indigeni furono attribuiti vari gradi di pericolosità. In questo senso un caso interessante è quello del racconto di Kipling, la cui visione romantica degli indiani non manca di una profonda e valida prospettiva sui problemi inerenti l’incontro tra l’io e l’altro. Kipling capì che, sebbene considerò come pericoloso e eticamente scorretto, l’incontro delle persone di razze diverse era una realtà concreta da essere trattata. In “Beyond the pale” una delle suoi più tetre e vigorose storie brevi, affermò l’impossibilità a stabilire relazioni permanenti tra i popoli di razze differenti. La relazione illecita e segreta tra Treyago – un ufficiale inglese e Bisesa – una giovane vedova indiana – portò a un destino tragico, testimoniando il fatto che la divisione culturale tra europei e indiani doveva essere rispettata, e quella miscelazione razziale è sempre una risorsa del male e della sofferenza. Molto più che essere un caso isolato, la breve storia di Kipling “è intrinseca dello stesso discorso razziale che include, a prima vista, la scienza europea razziale fino a Risley e,sugli altri, anglo- indiane storie, lettere, e memorie dopo la ribellione. Esso è di un pezzo con molta finzione contemporanea anglo-indiana riguardo l’aore interrazziale…. Il messaggio di Kipling era integrato in un contesto più ampio di idee riguardo la razza che sottolineò la doppia visione dell’inclusione ed esclusione dal modello di cultura britannica, dimostrando che la gestione alterata era difficile e necessaria allo stesso tempo. Con la sua molteplicità di rappresentazioni, l’immagine degli indiani simbolizzò una parte della vasta scena sociale e culturale del tardo 19° secolo britannico. Le scritture coloniali di questo periodo si focalizzarono su un interpretazione specifica della relazione io – altro che considerò gli inglesi come una superiorità razziale e culturale. Tuttavia, gli altri non erano una così una lontana entità per essere analizzata e discussa, essi erano, spesso inconsciamente, una parte integrante della cultura domestica e rappresentarono la ben consolidata, urbanizzata, sociale e individuo. La costruzione dell’identità britannica incluse insieme con la comparsa dei generi e classi, anche confronti tra le razze. Il ruolo delle popolazioni orientali diventò crucialmente centrale durante l’imperialismo, da quando costituirono un parte essenziale del nuovo sistema britannico. Il soggetto inglese di questo periodo era un mix di icone differenti culturalmente, verso quella dei colonizzati era come un significato di comparsa e un tipo di alter ego. Se ogni persona era definita secondo alcune specifiche caratteristiche sociali, culturali e individuali, essi erano anche arricchiti dall’opposizione con quella “sorta di surrogato e anche sotterraneo individuo”. La civilizzazione dei bianchi dipese sui neri per il mantenimento del suo corpo ideologico e su una larga scala, l’itera organizzazione sociale del tardo vittoriano britannico dovette parte della sua caratterizzazione alla presenza delle colonie fornendo un valido esempio per le dichiarazioni ideologiche successive della costruzione sociale:
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