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Come leggere Jane Eyre (riassunto dettagliato), Sintesi del corso di Letteratura Inglese

Riassunto dettagliato del libro "Come leggere Jane Eyre" di F.Marromi

Tipologia: Sintesi del corso

2016/2017
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Caricato il 06/06/2017

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Scarica Come leggere Jane Eyre (riassunto dettagliato) e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Inglese solo su Docsity! Capitolo I: “Charlotte Bronte: i nomi, i luoghi, le lettere, le firme” ▲ Oltre il mito brontiano • Il mito brontiano ha una sua notevole presa sull’immaginario popolare, perché intorno ad esso si concentrano da sempre vettori di un’episteme romantica nella quale siamo ancora immersi: il mito ha depotenziato l’impatto artistico della Bronte in termini di diffusione e di fruizione dei romanzi. L’ingresso di Charlotte, Emily e Anne Bronte sulla scena letteraria ottocentesca, produsse un effetto esplosivo: mostrarono allo sguardo delle nuove generazioni territori ancora inesplorati, tematiche e dialoghi ancora da inventare. Il loro consapevole atteggiamento innovatore rivelò ai letterati vittoriani che il romanzo stava correndo verso il futuro più della poesia, che la storia dei generi letterari stava cambiando radicalmente, che le strategie ereditate dalla tradizione rappresentavano solo i primi passi. • All’indomani della morte delle sorelle, contribuì la celebrata “Life of Charlotte Bronte” di Elizabeth Gaskell che mirava ad offrire un’immagine marcatamente morale della vita e delle opere dell’autrice di “Jane Eyre”: dà ampio spazio al ritratto di una donna che, in condizioni di estrema difficoltà, riesce ad affrontare le più terribili sofferenze con pia sopportazione, forza d’animo mista a solida e radicata religiosità. La “Life” era stata commissionata dal padre di Charlotte, il reverendo Patrick Bronte, poco più di due mesi dopo la morte della figlia. Nonostante l’impegno e la buona volontà, la Gaskell scontentò tutti: ma, a parte le polemiche, rimaneva il fatto che il ritratto della “Life” era del tutto edificante, in linea con la strategia gaskelliana mirante a omettere tutto ciò che potesse scalfire o macchiare l’integrità morale di Charlotte Bronte. La scena con cui si chiude la “Life”, una Charlotte sempre pronta a dare tutta se stessa per gli altri, impegnata ad alleviare le pene della famiglia, mai capace di trasgressione o di qualsiasi forma di ribellione, stride non poco con l’immagine di donna che i lettori riescono a derivare dai suoi romanzi. La Charlotte scrittrice che si avventura nei pericolosi meandri della psiche femminile, per i detentori della morale vittoriana, deve essere sempre piegata all’esigenza di una mitizzazione che, alimentata da dati oggettivi di una vita familiare tragica, postuli una rappresentazione biografica in grado di avvalorare il quadro ideologico a sostegno di una concezione patriarcale della società. La “Life” di Elizabeth Gaskell fu il primo passo verso il mito. 1 1Note principali • Altro elemento importante è la scoperta che le vite dei figli del reverendo Bronte erano state tutte segnate dall’eccezionalità: lo stesso Patrick Bronte era stato un uomo di forte determinazione e temperamento (irlandese, di umili origini, ebbe una borsa di studio per andare a Cambridge). Nonostante la mancanza assoluta di mezzi, Patrick Brontë era riuscito ad affermarsi. • Ambizione letteraria, desiderio di affermazione, perseguimento del successo letterario, autostima e autopromozione sul palcoscenico delle lettere: questi somo gli elementi su cui Charlotte costruisce la sua identità, sostenuta da un’ambiente familiare in cui rivalità ed emulazione diventano pane quotidiano dei figli del reverendo Brontë: siamo bel lontani dal ritratto gaskelliano della “Life”: l’autrice va ad incarnare, inconsapevolmente, il pensiero dominante dell’epoca. Infatti ogni episodio della vita brontiana concorre a definire un ritratto di donna che sembrerebbe privare di autorità la voce anticonformista di Charlotte Brontë scrittrice: è attiva, nella scrittura gaskelliana, una censura che interviene a distorcere gli eventi narrati ogni qualvolta Gaskell si rende conto che una parola di troppo o rivelazioni scottanti possano suscitare il risentimento dei lettori vittoriani. ▲ Voci, visioni e discorsi in conflitto • La contraddizione tra la “Life” e i personaggi femminili creati da Charlotte è una contraddizione che permea di sé l’intera società vittoriana in cui era fondamentale tenere distinti in modo netto il ruolo maschile da quello femminile. Le donne che aspirano alla realizzazione di sé non possono fare a meno di vivere nel loro intimo un lacerante conflitto: al dentro (ribelle e insoddisfatto) si oppone il fuori (ortodosso e appagato), fatto di un’apparente accettazione del ruolo ancillare rispetto all’uomo. • È necessario che una donna sappia portare con disinvoltura la maschera imposta dalla norma: questo le consentirà di evitare la condanna da parte dell’opinione pubblica, salvo poi vivere interiormente una condizione nient’affatto facile, imponendo una parola senza maschera e una voce che non suona come vorrebbe il pensiero dominante. Le opere della Brontë (come pure quelle degli altri scrittori vittoriani) non possono non misurarsi con le trasformazioni scientifiche dell’epoca e rifletterne tensioni, disarmonie e dilemmi. • Il ribellismo impetuoso di eroine quali Jane Eyre non può fare a meno di fare i conti con il contesto socioeconomico: tale momento si conclude con una serie di rinunce e forzate revisioni che consentono di postulare un ritorno all’armonia 2 2Note principali arcaico, la canonica di Haworth ambiva a porsi come alternativa culturale. • La prima preoccupazione fu quella di costruire una biblioteca, per mantenere un rapporto vivo con i circoli letterari coevi, non abbandonando mai il convincimento che la lettura fosse il primo fondamentale passo verso la costituzione di una forte e radicata identità culturale. Non solo l’ampiezza della cultura di Patrick, ma anche le sue ambizioni letterarie si riverberano sui figli: modelli come Bunyan, Milton e Watts costituiranno un punto di riferimento importante in fatto di passioni e di rappresentazione di esse stesse. Entrambe sembrerebbero appropriarsi del modello religioso e morale offerto dal “Pilgrim’s Progress” per immaginare la vita come un percorso in cui tentazione e peccato sono sempre in agguato, mentre dalla voce miltoniana la piccola Charlotte apprende (come in “Jane Eyre” fa dire a Rochester) che lungo il tragitto che condurrà alla salvezza e alla “città celeste” di Bunyan si cela sempre una “bad eminence” in agguato. Importante fu anche la presenza di Isaac Watts, che aveva cercato di capire l’essenza dei sentimenti umani, nella intima conflittualità tra spirito e carne. Il gruppo di famiglia, quindi, poneva al centro di ogni cosa l’arte e la letteratura intese come lo spazio naturale dello spirito, il luogo in cui l’essere umano esprimeva il meglio di sé. • Il reverendo Brontë faceva sempre di tutto per dare ai figli la possibilità di ampliare le loro conoscenze e insieme il loro orizzonte culturale, insegnando quotidianamente (secondo i principi illuministi di Voltaire e Rousseau) a considerare la vita un bene prezioso, collocare al centro di essa la cura dell’intelletto contro ogni forma di materialismo. Fu la biblioteca paterna ad approntare il terreno fertile della prima fase formativa di Charlotte, Patrick Branwell, Emily e Anne: Walter Scott e i poeti romantici furono sempre in prima fila, ma ognuno seguiva un suo percorso. Charlotte a soli dieci anni, leggendo gli articoli del “Blackwood’s” cominciò a immaginare storie in cui personaggi reali mischiavano le loro voci con personaggi fittizi (realtà e finzione si fondevano), in cui il Duca di Wellington (generale inglese che sconfisse Napoleone a Waterloo) costituì una sorta di pietra angolare dell’universo immaginativo di Charlotte, come culto dell’eroe ed esaltazione dell’impresa leggendaria. La figura di eroe- poeta che contribuì a definire i contorni dell’immaginazione brontiana fu Byron, come modello da imitare nella sua irrequieta e dannata esplorazione delle profondità dell’animo umano: fu Branwell ad assumere fino in fondo il suo ruolo e 5 5Note principali divenendo l’oggetto di un culto familiare. Il byronismo indicava non solo l’estrema esaltazione di sé, ma anche un cosmopolitismo che implicava un ampliamento di orizzonti rispetto al loro contesto provinciale. • Nel frattempo, la Charlotte adolescente cominciava a interrogarsi sul perché la letteratura romantica non avesse voci femminili: Brontë risponderà a questi interrogativi creando con “Jane Eyre” un personaggio che ricodificava in chiave femminile l’individualismo romantico, mentre al tempo stesso dava espressione a quella passioni, vagheggiamenti e desideri che, al pubblico benpensante, sarebbero sembrati poco in linea con l’immagine di una donna propria di una società ancora fortemente fondata sul predominio del maschile • I Brontë erano anche cartografi del loro universo finzionale, stabilendo sempre un nesso tra i toponimi e i loro eroi, come disegnare città immaginarie, tracciare confini, ecc. Il primato della predilezione brontiana spettava, oltre che alla letteratura, alla geografia: la carta geografica diventa il luogo in cui tracciare le linee di itinerari immaginari. A questo influì uno dei libri preferiti di Charlotte: “Le mille e una notte”, visione di paesaggi esotici e favolosi: decisero di dare vita ad una pubblicazione autoprodotta, “Young Men’s Magazine”, in cui riversarono tutta la capacità inventiva delle loro menti, sempre protese verso mondi alternativi e immaginari. ▲ Glass Town, Angria e Gondal: le mappe dell’invenzione • Tutto cominciò con il regalo del padre al figlio Branwell di una scatola con dodici soldatini di legno, che subito misero in moto la fantasia dei bambini: i Dodici divennero i protagonisti di nuove storie che si aggiunsero a quelle che già abitavano il loro immaginario. Ebbe così luogo una svolta decisiva nei loro giochi e nella loro inventiva: fu l’inizio delle storie di Glass Town, Angria e Gondal. • Anche nella loro ideazione di saghe fatte di rivalità amorose e battaglie cruente, l’impronta paterna si faceva sentire: i figli di Patrick Brontë formano un gruppo solo in superficie compatto, in realtà le loro personalità sono ben distinte. Si vanno a creare, dunque, due schieramenti: alla coppia costituita da Charlotte e Branwell si oppongono Emily e Anne, alla saga di Angria si oppone la saga di Gondal (quest’ultima, secondo l’immaginario di Anne e Emily, probabilmente collocata nel Nord Pacifico). • Per quanto riguarda la saga di Glass Town e Angria, bisogna mettere l’accento sul ruolo svolto da Charlotte, che riversa nel discorso angriano tutta la sua passione per l’esotismo o 6 6Note principali per un orientalismo che traeva spunto dalle “Mille e una notte” e dai racconti turchi di Byron. L’Africa diviene lo spazio privilegiato di tale mondo fantastico, con l’inconscio desiderio di trasportare la luce, il sole e le oasi di quel territorio sterminato sulle lande grigie e desolate di Haworth. Se Branwell era tutto preso dalla descrizione delle battaglie, nulla interessava di più a Charlotte delle vicende amorose dei suoi personaggi che avevano dalla loro parte passione, eros, inquietudine e coraggio: rivela una maturità artistica conquistata in piena autonomia, con uno sguardo che sa già stabilire perfettamente quello che deve essere il romanzo del futuro, su quale terreno muoversi la sua narrativa. È possibile questo perché Charlotte ha una consapevolezza estrema dei meccanismi del genere: quando deciderà di scrivere i suoi romanzi, lo farà senza mai recidere del tutto il legame fra la sua invenzione narrativa e le cartografie meravigliose degli anni di Angria e Glass Town. Nelle stanze delle tre sorelle Brontë le saghe ideate, prendendo spunto dai dodici soldatini di legno, non perirono mai, quei discorsi mitici non furono mai abbandonati. • Opere come “Jane Eyre” e “Wuthering Heights” trovano la loro matrice immaginativa in quel mondo fatto di saghe, un mondo che aveva programmaticamente escluso la verità, ma perseguiva una sua particolare logica che aveva escluso un centro ordinatore per fare luogo a un continuo rincorrersi degli eventi, di felicità e sofferenze. Per Charlotte la vocazione letteraria non era un’ipotesi: troppi erano i fattori che le confermavano che il suo mestiere era quello di romanziere e poeta. Il 29 dicembre 1833 decise di scrivere a Robert Southey che, già da vent’anni, era Poeta Laureato, noto per la sua amicizia con Coleridge e Wordsworth: inviò al letterato alcune poesie, ma probabilmente il poeta ne ricavò il convincimento che dovesse trattarsi di “una signorina romantica poco abituata alle realtà della vita”, ma, nonostante questo, Charlotte era una ragazza decisa a emergere, ambiva a far sentire la sua voce. Quando ormai aveva perso ogni speranza, fu raggiunta dalla tanto attesa di Southey: nella prospettiva di una presa di coscienza della condizione femminile, le parole di Southey ebbero una funzione non del tutto negativa, mettendo in evidenza davanti agli occhi della ragazza quanto forte e radicato fosse il pregiudizio, anche fra i letterari di indiscusso prestigio morale, nei confronti di quelle donne che come lei ambivano a ritagliarsi uno spazio sulla scena letteraria nazionale (“La letteratura non può essere l’occupazione della vita di una donna, e non dovrebbe mai esserlo…”). 7 7Note principali all’identità dell’autore. Quello che Charlotte ignorava era che la moglie di Thackeray, non diversamente da Bertha Mason, viveva di fato come una reclusa per via della sua follia: essendo la storia dello scrittore nota, non furono in pochi a ritenere che “Jane Eyre” fosse stato scritto proprio dall’istitutrice di casa Thackeray. • Nella prefazione alla prima ristampa, la scrittrice non perdeva l’opportunità per rispondere a quei recensori che avevano visto in “Jane Eyre” un romanzo non rispettoso della morale comune, definendolo “improper”, non rispettoso delle convenzioni sociali e dei codici comportamentali comunemente accettati. La prefazione rivela molto del temperamento della scrittrice: autostima e incrollabile fiducia nei suoi principi morali e religiosi. Ai critici che l’avevano accusata di avere scritto un romanzo senza Dio, sente di dover rispondere per le rime con l’adozione della tecnica dello smascheramento: l’ipocrisia è parte integrande delle convenzioni di una società che ha dimenticato le parole di Cristo. Lei sente che suo compito è togliere la maschera agli ipocriti che sembrano particolarmente numerosi nel mondo delle lettere, stimolando la critica dei benpensanti. • George Henry Lowes, compagno di George Eliot, entra “nella mischia” apparentemente per esprimere la sua ammirazione a “Currer Bell”, ma di fatto per avanzare una critica molto pesante a “Jane Eyre” e alla tecnica narrativa adottata, ossia l’uso eccessivo di melodramma con la conseguente drastica limitazione degli elementi di realismo. A questo punto, Brontë passa al contrattacco, difendendo il primato dell’immaginazione: il punto fondamentale del confronto riguarda il concetto di imagination. Per Lewes l’imagination non implicava l’accoglimento nella sfera romanzesca di tutti quegli avvenimenti sensazionali e misteriosi che, pur collocandosi fuori della sfera della razionalità, costituiscono un aspetto del reale non meno della normale quotidianità: Lewes considerava la Austen un modello perfetto, interprete della forma romanzesca intesa come rappresentazione della realtà. I dissapori tra i due sfociarono in una recensione da parte dello scrittore, in cui considerava “Jane Eyre”, romanzo basato interamente sulla formula “soul speaking to soul”, senza mai dire che si trattasse di un romanzo di incidenza sulla società coeva (influenzato da uno smodato e eccessivo maschilismo). Ad un livello socioculturale, si scontrano due concezioni del mondo: una, quella di Lewes, che guarda al passato (Fielding e Austen), dove è sicuro di trovare razionalità, chiarezza interpretativa e il predominio partriarcale; la Weltanschauung (visione del mondo) di 10 10Note principali Brontë è proiettata invece nel futuro, parla delle donne e della necessità che esse sappiano difendere la loro voce anche quando la chiusura mentale di una società ingiusta le costringe in un angolo, in silenzio. • Charlotte Brontë pone in “Jane Eyre” il problema di un cambiamento di mentalità e di una sostanziale rivisitazione del binomio maschio/femmina. Tale radicale mutamento di prospettiva determina uno spazio di destabilizzazione epistemica, inimmaginabile, che non potrà non implicare, in termini di gender, una incisiva revisione del modo di osservare, leggere e interpretare l’universo-donna. Capitolo II: “Jane Eyre: il testo, le voci, le stanze, i silenzi” ▲ Interpretazione/interpretazioni • La lettura di “Jane Eyre” impone un atto di rigore critico- metodologico: consiste innanzitutto nel rispetto del testo come spazio in cui esercitare il procedimento di disambiguazione semiotica. Il rischio che si corre è esattamente quello di seguire un unico percorso, ignorando la complessità dei suoi meccanismi narratologici: “Jane Eyre” impone la capacità di avere una visione d’insieme in grado di andare oltre l’approccio per segmenti semantico-strutturali della narrazione. Ci troviamo difronte ad una macchina narrativa che fonda la sua forza su una radicale destabilizzazione delle convenzioni e del sapere, dal livello dell’enunciazione (donna trentenne che parla di sé liberamente), al livello sociale (ribaltamento dell’ordine settecentesco), fino al livello della conoscenza (rottura epistemica rispetto alle configurazioni del mondo del passato). • Da studioso delle sorelle Brontë, Terry Eagleton scrive una monografia, “Myths of Power: A Marxist Study of the Brontës”, in cui il metodo critico risulta finalizzato ad un’analisi politica dei testi brontiani, letti come momento cruciale di negoziazione tra la borghesia industriale e la gentry latifondista in fase di declino. Ma, rispetto a questa teoria, “Jane Eyre” richiede uno sguardo più problematico, anche più capace di scandagliare le profondità e le dinamiche 11 11Note principali multi-livellari della testualizzazione brontiana. In questa sua lettura marxista, Eagleton non dà rilievo alla doppia istanza narrativa (io narrante/io esperiente) sui si costruisce la modellizzazione del mondo dell’eroina del romanzo che narra il suo tortuoso percorso formativo ed umano. • Nonostante sia la voce narrante a trasmettere al lettore un’atmosfera di verità, l’autobiografia è pur sempre la versione di Jane, con tutte le censure, omissioni, correzioni, verità rettificate e le menzogne che ogni testo autobiografico contiene. La ricostruzione della sua vita avverrà sulla scorta di un procedimento selettivo in modo da rendere il testo interessante per il lettore. ▲ Enunciazione autobiografica e strategie dell’epilogo • La storia di “Jane Eyre”, narrata in prima persona, comincia con una bambina che subisce le angherie dei cugini e l’ostracismo della zia Reed, che, invece di “adottare” affettivamente la piccola Jane come aveva promesso al marito morente, la fa sentire orfana non solo dei genitori, ma anche orfana di ogni forma di affetto. Jane appare come un’intrusa, discriminata e sola in uno spazio privo di simpatia e umana solidarietà. È questo già un microcosmo vittoriano, la prima presentazione di un quadro familiare e ambiente, fatto di ipocrisia, ingiustizie, promesse non mantenute. • È importante capire il meccanismo dell’autobiografia prendendo in considerazione un altro indizio, il momento in cui Jane Eyre, in qualità di autobiografa, informa il lettore del suo matrimonio con Rochester, raggiungimento del suo obiettivo socio-economico e insieme il completamento del suo percorso di donna che ha cercato nell’amore la sua realizzazione. La “conclusion” del romanzo inizia con “Reader, I married him”: il capitolo che chiude “Jane Eyre” marca il momento in cui ogni cosa torna a posto, le storie si risolvono e gli itinerari giungono a termine. Le parole puntano a veicolare un’immagine di normalizzazione e di ritorno ad un ordine che significa la quotidianità con i suoi ritmi: Jane è una ragazza non più ospite di Rochester a Ferndean Manor, non più potenziale amente, ma moglie legittima; Jane ora è lei la padrona, la sola padrona. • Alla fine del percorso, il contesto è tale da potersi compiere l’incarnazione di un ideologema1 radicato nella mentalità vittoriana: la maternità e sul nesso donna/maternità. La normalità rappresentata è quella della società vittoriana, la quale non doveva e non poteva scandalizzarsi delle amanti di Rochester, delle sue visite ai bordelli e la frequentazione di donne moralmente non immacolate, ma era pronta a criticare 12 12Note principali 1 Struttura dei vari livelli testuali, termine coniato da Michail Bachtin ma piuttosto il gruppo di famiglia da cui lei è esclusa. La negatività ambientale è lessicalizzata dalla negazione grammaticale (“no possibility”, “out of the question”), i cui vettori introducono al campo semantico della privazione del calore umano, ma anche del calore reale, quello cioè del caminetto. • Sul piano morfosintattico va notato come il grande assente sia il soggetto dell’enunciazione autobiografica, mirante a porre l’accento sul nesso strutturale tra gli agenti atmosferici e Jane Eyre. Il romanzo non solo drammatizza sentimenti e passioni, ma introduce una corporeità che reagisce sempre all’azione degli elementi. I primi pronunciamenti dell’io narrante sono legati alla percezione del freddo, presenza climatico-paesaggistica i cui rigori sembrano attraversare il romanzo fino al momento del matrimonio di Jane con Rochester. L’io che s’impone è quello che sa recuperare la felicità del non poter fare (la negatività iniziale, alla luce della “physical inferiority”, paradossalmente si trasforma in felicità). Tale posizione di inferiorità le consente di definire in modo netto l’opposizione fra lei e gli altri, anche sul piano dei rapporti familiari. È sola al mondo, senza legami parentali o affettivi: intorno a sé Jane vede solo il vuoto. Ciò che l’intero capitolo drammatizza è il paradigma della solitudine. • Nel quadro della concezione vittoriana dell’infanzia, il più grande peccato di Jane sarebbe la dissimulazione, la capacità di nascondere e mentire, la facilità con cui sa inventare menzogne. Se si trova sola è per mancanza di un atteggiamento socievole e di un comportamento improntato alla sincerità: tutto questo fa sì che Gateshead Hall diviene una casa della punizione e della sofferenza, una non-casa. • La solitudine diventa il terreno ideale per costruire la sua identità femminile contro il mondo, contro gli altri. E questo è un tratto costante del personaggio: quando, dopo il matrimonio fallito, Jane istitutrice decide di fuggire, le parole pronunciate davanti a Rochester, che ne vorrebbe fare la sua amante, sono in sintonia con la condizione psicologica della Jane bambina: “Io devo badare a me stessa. Quanto più sola, quanto senza amici, quanto più senza appoggi, tanto più rispetterò me stessa”. Jane sa bene che solo se riuscirà a affermare uno spazio fisico potrà anche affermare l’ontologia di se stessa. Lo spazio che appartiene a Jane è quello della liminarità, che sancisce la sua posizione instabile, stato di permanente precarietà contro cui l’eroina deve combattere. Quel piccolo segmento di “stanza” conquistato, si tratta sempre di qualcosa che Jane costruisce come un locus privato, sottratto allo sguardo degli altri, stanza in cui la sua 15 15Note principali personalità può difendersi e difendere le stanze interiori del suo immaginario. La sequenza dei verbi per soggetto il suo “io” dà la misura della transizione dalla fuga dagli altri alla sacra difesa di se stessa: “I slipped in there” “I soon possessed” “I mounted” “I set cross-legged” “I was shrined”, un crescendo in cui l’ultimo verbo, dal latino scrinium rimanda al campo semantico della gelosa tutela di sé. • Nella dialettica del dentro e del fuori, importante è l’opposizione fra il tendaggio a destra e la vetrata a sinistra. Alla rigida tenda di damasco rosso (segno prolettico della “red room”) si oppone la trasparenza del vetro che consente allo sguardo una proiezione fantasmatizzante verso il paesaggio esterno. Tale opposizione preannuncia la tensione dell’eroina ad abbandonare quel buio ambiente per la libertà dello spazio aperto: la finestra è già un varco verso l’esterno. Non può essere tralasciato il rapporto di Jane con il personaggio: il suo è uno studio analitico della totalità degli oggetti che cadono sotto i suoi occhi. Il legame con la realtà esterna è forte, romanticamente investito di pathos e partecipazione emotiva. Legge il libro e parimenti legge il paesaggio, vicino e lontano, in cui riconosce le sofferenze inflitte al suo corpo e le agonie patite dalla sua anima. In altri termini, come vero e proprio correlativo oggettivo, l’intera scena esterna sembra ribadire la triade corpo/freddo/ sofferenza: la realtà esterna trova una più sottolineata conferma proprio dai disegni del libro che la piccola Jane sta sfogliando: il mondo in cui si trova immersa si configura come una landa desolata. Ad essere condannato al gelo e alle intemperie non è semplicemente il paesaggio, ma l’umanità intera: Jane stabilisce una linea di continuità fra le immagini del libro e il mondo esterno. • Vale la pena di osservare l’enfasi posta sul libro inteso come ancora di salvezza: quello che importa è che la “History of British Birds” si trasforma per la bambina in icona dell’essere che le consente di immaginare altri cieli e altre terre, di proiettare se stesa verso altri mondi e altre visioni di sé. Le distese di ghiaccio offrono suggestioni che parrebbero rimandare alla scala geologica del tempo, rispetto alla quale la vita dell’uomo si azzera e l’intera umanità scompare in una buia voragine. Tutta la sezione relativa agli uccelli marini che affrontano le tempeste si dà come una versione straordinariamente intensa del sublime romantico, mentre nel contempo pone l’accento su una specializzazione geografica che rende il piccolo angolo ricavato nella finestra il punto zero di uno sguardo che, contro l’oscurità di 16 16Note principali Gateshead Hall, si apre verso l’infinito. Inoltre “History of British Birds” è uno dei libri formativi della famiglia brontiana, punto di confluenza artistica di due elementi molto importanti per la concezione estetica di Charlotte Brontë: disegno e scrittura. Le scene confermano una dominante spettralizzazione dell’ambiente esterno, come se tutto il mondo si trovasse nella stessa condizione della protagonista e, conseguentemente, che lei fosse parte di una scena di portata cosmica, il che investe il suo angolo di una inattesa corrente di felicità, rafforzando sempre di più il suo paradigma della solitudine. • La breve parentesi ha termine nel momento in cui il cugino John scopre il suo nascondiglio e le procura un taglio alla fronte che innesca in lei una reazione selvaggia: per avere cercato di difendersi, Jane viene rinchiusa nella “red room”, in una transizione dallo spazio protettivo della finestra (felicità) a una stanza completamente buia che evoca in lei scene di paurosi fantasmi (infelicità). • L’esperienza della stanza rossa segna la psiche di Jane in modo forte, tanto da determinare scelte e percorsi. In preda alla paura, perde i sensi e, come un rito di passaggio, al suo risveglio si renderà conto di essere entrata in un’altra fase della sua vita: dalla “red room” Jane uscirà profondamente cambiata, incapace di accettare ormai lo spazio di Gateshead Hall come suo. La casa di Mrs. Reed per lei ora vuol dire morte interiore. Dopo la crisi della “red room”, Jane sente di dover affermare la sua personalità con tutte le forze, dicendo a Mrs. Reed quello che pensa di lei, del suo modo ingiusto di trattarla, delle umiliazioni. Jane esprime il suo disprezzo: la zia legge in tutto questo i segni di una malattia psichica (secondo la cultura medica vittoriana, l’incapacità di esercitare un autocontrollo è segno di debolezza mentale). Saper stare in società vuol dire saper metter a freno le proprie reazioni, mentre la piccola Jane non sembra in grado di controllare passioni e parole: la zia subito dopo decide di liberarsi di lei, temendo che la sua presenza negativa possa essere un elemento di contaminazione. • La piccola Jane si sente di essere entrata in un nuovo mondo, di respirare un’altra aria. In riferimento allo stato di equilibrio psichico appartenente all’immagine di Jane lettrice di Bewick, si è osservato che il trauma della stanza rossa spezza quel particolare stato: dopo la rottura definitiva con Mrs. Reed, Jane scopre che è possibile ampliare la sua esperienza: la sua anima è invasa dall’idea di una liberazione che implica espansione del proprio io verso territori radicalmente diversi dalla “prigionia” di Gateshead. La 17 17Note principali libertà, dove l’assenza di contatti con il mondo esterno rende la sua esistenza priva di qualsiasi motivazione umana. In questo locus claustrale, il suo linguaggio è sempre la solitudine, unico elemento di continuità: l’eroina configura la sua vita come un paesaggio nella nebbia, rendendosi conto di come non sia facile organizzare la sua vita dal momento che dalla nuova fase non ha ricevuto le indicazioni che si aspettava. Prigionia, malattie, punizione sono i vettori negativi dell’istituzione che l’ha accolta. Superato l’impatto iniziale, Jane stringe amicizia con Helen Burns che assume ai suoi occhi il ruolo di guida spirituale, perché la ragazza incarna quella dedizione e autolimitazione fisica predicate dal reverendo Brocklehurst. • Mentre è assorta nella lettura del romanzo “Rasselas”, la ragazza parte del tutto assente, distaccata, rappresenta la capacità filosofica di distacco dalle cose mondane. Con Helen Burns, assume un ruolo importante anche Miss Temple che mostra solidarietà verso Jane, cercando di rendere più umana la condizione delle ragazze della scuola, suscitando le ire di Brocklehurst, che sottolinea come la funzione di un’educatrice deve essere di soffocare ogni forma di vanità nelle allieve. • Per Jane, la concezione religiosa del reverendo è la negazione della religione stessa, è la parola che nega la vita, che porta alla morte. A Mr. Brocklehurst non interessa il contagio di una malattia, ma il contagio del vizio che, nella sua ottica ipocrita, è la vera battaglia da compiere nel nome del Signore, in difesa della fede e della morale cristiana. Tuttavia, per la prima volta l’eroina conosce la solidarietà di altre persone e capisce che nella vita è possibile stabilire rapporti che lasciano il segno: Miss Temple e Helen Burns diventano figure importanti, perché da entrambe apprende che sono possibili l’umana comprensione, l’affetto e la condivisione di comuni pensieri e situazioni, nonostante Jane si renda conto che l’amica accetta punizioni e umiliazioni alle quali la sua indole si ribellerebbe. La visione del mondo le divide in modo profondo: mentre Helen proclama la sua distanza dalle passioni umane, Jane non riesce a essere indifferente alla vita terrena e alle sue promesse. Eppure la lezione di Helen raggiunge Jane che fa di tutto per imparare che le passioni vanno tenute sotto controllo, l’energia interiore va messa al servizio dello studio, del proprio progresso, non della violenza. • La topologia della Lowood School allarga la prospettiva della protagonista in termini di socializzazione, a favore di una comprensione degli altri, nei loro pregi e difetti: questa fase 20 20Note principali appare come uno snodo fondamentale che implica la sua apertura verso gli altri, considerati come alleati: l’opposizione paradigmatica (io vs. gli altri) diviene meno forte e, grazie a Miss Temple e Helen Burns, Lowood si dà come proiezione verso gli altri (io altri). • La configurazione topologica è diversa, ma lo sguardo di Jane allieva istituisce un rapporto di continuità con l’immaginario suscitato dal paesaggio del libro di Bewick a Gateshead Hall. La strategia narrativa pone enfasi sull’unità dell’essere contro il cambiamento di situazioni, mentre al tempo stesso registra i cambiamenti nella schematizzazione della solitudine. L’eroina è sola rispetto ai gruppi di ragazze: la scena ripropone la coppia oppositiva io vs. altri (laughing groups vs. without a companion), ma qualcosa è cambiato: il sintagma negativo-disgiuntivo yet not feeling lonely, postula una transizione che arrotonda le asperità sociali della sua personalità io altri. Quello che colpisce è la posizione di marginalità che assume una valenza di instabilità, di dissestamento dell’io in un contesto che Jane non riconosce come spazio di libertà. • Altro aspetto riguarda la sensibilità della protagonista al cospetto delle opposizioni spaziali: tutto ciò è sintomatico della ossessiva oscillazione fra il dentro e il fuori: the gleeful tumult within vs. the disconsolate moan of the wind outside. Liminarità vuol dire incertezza della posizione come essere alla ricerca di un rapporto col mondo: la voce narrante non manca di enfatizzare la sua percezione delle intemperie come espressione di un suo sentire estetico, né omette di sottolineare come la sua condizione di essere senza radici renda ancor più eccitante la rappresentazione di un mondo che sembra precipitare in un tenebroso caos. • È parte viva del suo temperamento lasciarsi coinvolgere dalla lotta degli elementi in modo da sentire il piacere di essere travolta e trascinata dal turbinare delle tempeste. La morte di Helen Burns implica anche la fine della sua concezione del mondo: le parole con cui la malata muore, sanciscono il culmine di un itinerario fatto di negazione di sé, di totale distanza dalla mondanità e passioni. La filosofica della rassegnata accettazione della fine, la saggezza fatta di astrazione rispetto al corpo, lo sguardo rivolto verso un Dio pronto ad accogliere le anime dei morti sono pensieri che non rientrano mai nei piani religiosi e nei progetti pratici della protagonista. Jane non riesce a vedere il Dio che Helen morente vede, ma la sua interrogazione è quella di una personalità ancora fortemente aggrappata al visibile, incapace di considerare il suo corpo un fardello inutile, un 21 21Note principali qualcosa di disgiunto dall’anima. Helen invece colloca lo spirito molto al di sopra del corpo. • Jane, dopo l’esperienza dell’ascetismo dell’amica, riflette sulla sua condizione e conclude che i suoi occhi non guarderanno in alto in cerca di Dio, che il suo percorso sarà totalmente diverso: guarderà avanti. Rimprovera a Helen di avere abbandonata se stessa con troppa facilità, di avere trascurato il suo corpo per inseguire la voce di una divinità che Jane non scorge al suo orizzonte. Sin dalla prima scoperta dell’atteggiamento remissivo e devoto dell’amica malata, le parole dell’io narrante sono molto esplicite: “I was no Helen Burns”, che mettono in chiaro la distanza tra lei e l’amica, il suo modo di reagire difronte alle ingiustizie non sarà mai uguale alla muta rassegnazione di Helen. • Non devono stupire le reazioni censorie e scandalizzate degli ambienti della Chiesa d’Inghilterra davanti ad un romanzo che si interrogava su Dio, mettendone in discussione la presenza sulla terra e fra gli uomini. La domanda “Where is God?” rivolta ad Helen esprime una provocazione da parte di Charlotte Brontë che non si rassegnava all’idea che le donne fossero considerate, anche di fronte a Dio, solo per essere le sacre e pie protagoniste della maternità, non già protagoniste attive sull’ampio palcoscenico della Storia. ▲ “The real world was wide”: Jane istitutrice e i codici dell’essere • Lowood School rappresenta lo spazio dell’immobilità e la triade corpo/freddo/sofferenza viene confermata e rafforzata. Jane difende il suo corpo contro il primato dell’anima; il freddo produce malattie culminanti nella tisi; la sofferenza si scompone in due versioni: i brividi derivanti dalla persistenza del freddo e i doloro delle frequenti punizioni. Non appena Jane raggiunge la maturità per proporsi come istitutrice, lascia la scuola. La consapevolezza è quella di una mente che si espande, un mondo che pulsa di vita diversa, più avventurosa. • Nel suo immaginario si definisce la natura divaricante di una dialettica topologica che vede l’immobilità (Gateshead e Lowood) contro il movimento (il tempo futuro e le nuove possibilità di realizzazione ed espressione di sé: ora giunge il momento del movimento. La tensione fantasmatizzante di Jane la sta conducendo altrove, verso mete nuove, che vuole affrontare pur rendendosi conto che l’esterno è pieno di pericoli: ma sono proprio questi pericoli (come avviene per Cristiano nel “Pilgrim’s Progress”) ad affascinarla e stimolarla, in uno sguardo sempre proiettato verso avanti, non verso l’alto. Il suo carattere è in contrasto con quello di 22 22Note principali si agita e combatte quotidianamente la sua battaglia per la sopravvivenza. • Raggiunto il piano più alto dell’edificio, dalla soffitta guarda oltre le colline: nella sua tensione verso immagini diverse, verso prospettive umane più ampie e variegate, Jane mostra una pericolosa deriva di “mascolinizzazione” appartenente alla sua concezione del mondo, che sembra stridere proprio con la missione educativa rivolta a una bambina come Adèle. La rivolta è anche contro uno spazio che l’eroina sente ostile e conflittuale. Nel caso di Thornfield Hall, Jane scopre che l’edificio consta di decine e decine di stanze, labirinto di gallerie buie che si configurano come collegamento di un testo misterioso che oppone resistenza all’interpretazione di Jane: scoprirà che nulla è come appare, che quel che è appare è solo il segno di qualcosa che deve essere ancora decodificato. La stessa bambina sembra essere l’evidenza di una storia passata e misteriosa: Rochester appare come un uomo dai mille segreti e dai mille silenzi. Thornfield è il collegamento del suo padrone, ne configura i lati misteriosi, l’irrequieto spirito di eroe byroniano e gli aggrovigliati percorsi della sua mente: mistero e indeterminatezza emergono dalla presentazione della governante che sottolinea il temperamento cosmopolita del padrone, che dialoga con il sogno della ragazza di essere cittadina del mondo. All’alto tasso di vaghezza del discorso su Rochester (“I suppose, “perhaps”, “I should think”) fa riscontro la risolutezza di Jane. • Se assumiamo la prospettiva della Jane Eyre autobiografa, gli aspetti che affascinarono la ragazza di allora e che la fecero innamorare (cosmopolitismo, sregolatezza, passionalità, mistero) sono le medesime cose che ora dovranno essere cancellate dal testo matrimoniale. Il Rochester che alla fine del romanzo sposa Jane è un uomo ormai bloccato per sempre a Ferndean, posto remoto: in tale spazio appartato potrà solo dispiegare una vita fatta di regole domestiche imposte da Jane, portando a compimento il depotenziamento politico-eroico della trasgressività dell’uomo. A dettare la linea d’azione è Jane moglie, madre e padrona della casa e del testo autobiografico che ne certifica il ruolo di dominanza anti-patriarcale. Non più quindi l’eroe, ma un uomo che ha piegato i giovanili ardori alla causa che afferma il primato della famiglia e degli affari domestici. ▲ Mistero, follia e le tentazioni della morte 25 25Note principali • Sul piano narratologico, la reclusa della soffitta mette in crisi il modello teorico avanzato da Greimas nei termini di netta contrapposizione degli attori della vicenda. Bertha sembrerebbe un’antagonista di Jane Eyre, la grande nemica dell’istitutrice. In realtà è una figura della non-disgiunzione, nemica e amica dell’istitutrice e nemica e amica del mondo. È inutile aggiungere che Bertha è il punto di crisi, figura liminare collocata fra l’umano e il non-umano, il segmento narrativo assente, ma che condiziona azioni e pensieri dei protagonisti. • La voce narrante deve controllare il testo in modo che le frizioni tra le convenzioni narrative e questa figura non raggiungano il livello di vera e propria “esplosione” dei codici sociali: l’autobiografia mira a giustificare la scelta severa compiuta da Rochester, sulla base di una sequenza di motivazioni: sessualità eccessiva animalità corruzione depravazione contaminazione. • Il testo lascia alla donna un residuo di umanità e un nesso, sebbene tenue, con il genere umano: né infatti il resoconto autobiografico potrebbe mostrare una malattia mentale che sia ancora tollerabile, ad un livello tale da consentirne il controllo. Se si considera il metalinguaggio dello spazio, la collocazione di Bertha Mason in soffitta implica una assiologia invertita fra l’alto e il basso: l’alto diventa negativo, il basso positivo. Tale ribaltamento dimostra come Thornfield sia un antimondo e la soffitta percepita come una cripta mortuaria: in questo antimondo contaminato da follia e morte, il destino del castello non potrà che essere quello della distruzione per fuoco; le fiamme divoreranno l’edificio e Bertha, in tal modo purificano lo spazio e la peccatrice che lo contaminava. • Molto prima della rivelazione della verità nascosta, Jane riceve precisi segnali, preludio al momento in cui Bertha sarà un essere visibile: inizialmente non è visibile, ma solo udibile. Il corpo si fa sentire nel modo più invadente possibile e la sua risata le comunica una dimensione sottratta a ogni razionalità. Dopo il primo approccio caratterizzato da familiarità e quiete domestica, ad emergere adesso sono valenze di segno opposto: mistero, stranezza (strange) e, sempre a proposito dell’organizzazione spaziale, la governante durante la prima visita lancia un indizio molto ambiguo, dichiarando che il terzo piano sarebbe l’ambiente ideale per un fantasma: attraverso la strutturazione topologica, il testo comincia subito a parlare, indirettamente, della verticalità della sua storia. 26 26Note principali • Bertha è una storia da seppellire sotto una montagna di menzogne che Jane accetta con positiva condiscendenza. Eppure l’eroina sembrerebbe percepire che Thornfield cela un segreto terribile: la storia di Bertha Mason ha qualcosa che rimanda alla stessa sanguinaria dimensione gotica. La risata disumana torna quando la folle abbandona la sua cella per cercare di asserire il suo diritto di donna e sospingere l’istitutrice fuori dal castello, fuori dallo spazio che ora vedeva invaso da una estranea: azione che suggerisce che, nella sua testa degradata dalla prigionia, Rochester è ancora suo marito. • Dapprima la risata del demonio e dopo il tentativo da parte della matta di dar fuoco alla camera da letto di Rochester. La scena ha tutte le caratteristiche di un gothic novel e ha una funzione prolettica in quanto sarà un vasto incendio a distruggere la casa e la stessa Bertha Mason. Interverrà Jane a salvare Rochester dalle fiamme come la salvatrice, colei che si trova nel momento giusto per soccorrere l’uomo, come era avvenuto quando Jane, nella scena del primo incontro, aveva aiutato Rochester a salire di nuovo sul suo cavallo. • La verità nascosta nella soffitta imporrà la sua parola solo dopo il tentativo di bigamia da parte di Rochester: non deve stupire che l’io narrante non si riferisca mai a Bertha Mason come Mrs. Rochester, come sarebbe giusto secondo le convenzioni vittoriane: Rochester tiene molto a rappresentare Bertha, non in termini umani, ma come un animale feroce, un essere immondo. In termini di degenerazione morale, Rochester tocca il punto più basso dopo essersi confrontato con la bestia umana. • È un’immagine, quella della folle con il volto coperto dai capelli, che nega un’identità, volto e occhi da cui riconoscere le tracce della sua umanità perduta. Rochester successivamente racconterà a Jane la sua storia in ogni dettaglio e, durante la narrazione, le sue espressioni non mostrano un minimo di umana considerazione per la moglie folle. • La costruzione della propria buona fede passa attraverso la distruzione della famiglia Mason, della quale Rochester traccia i lineamenti di una degenerazione mentale. Nella narrazione di Jane autobiografa, la vicenda del matrimonio è la storia di una macchinazione solo per motivi di interesse: la negazione di Bertha passa attraverso una serie di negazioni, indice di una auto-assoluzione morale da parte di Rochester che, contro la legge, ha appena tentato di sposare Jane. Nella ripetizione di tratti negativi della ragazza (no respect, I never loved, ecc.) riconosciamo un’abilità retorica che mira alla 27 27Note principali progresso nella circolarità (l’io narrante mostra la sua crescita in consapevolezza ed esperienza, ma ogni volta parrebbe immaginare l’io di allora come una ragazza che continua a disimparare quello che dalla vita ha già imparato. • Importante è il verbo dissolve, che “dialoga” con l’analogo verbo usato da Keats in “Ode to the Nightingale”: l’ode keatsiana postula la necessità della morte, dell’auto- dissolvimento inteso come passaggio obbligo di una rinascita interiore che significhi maggiore visione e forza immaginativa. La fase della dissoluzione di sé si configura come uno snodo cruciale ai fini della definizione del suo orientamento alla ricerca di nuovi spazi e nuove possibilità umane: alla spazializzazione buia e angusta del castello di Rochester, si contrappone la brughiera che sembrerebbe indicare a Jane la strada verso l’azzeramento di tutto, di ogni gioia e di ogni dolore. • Rochester è immaginato nello spazio, nella sua stanza mentre osserva il sorgere del sole, immagine di rinascita che rimanda al momento in cui Rochester e Jane, a coronamento di un incontro telepatico dei loro pensieri, si riuniranno. Il suo pensiero oscilla fra il passato recente e un presente proiettato verso un futuro ignoto: tale incertezza temporale s’intreccia con quella spaziale, con il passaggio brusco dal castello di Rochester e un ripario provvisorio dietro una siepe. In un paesaggio severo e ostile, l’istitutrice si abbandona ad uno scoramento: in questo suo desiderio di annullamento nella natura, l’eroina aspira a risorgere rigenerata, diversa in quanto fornita di uno sguardo nuovo, di una nuova prospettiva. Lo spazio aperto diventa il suo unico rifugio: il contatto vivo, forte con il caldo respiro della brughiera, è un modo importante di esprimere il suo desiderio di essere parte del cosmo. • Jane ha due strade davanti a sé: quella dell’autodistruzione, dell’abbandono del suo corpo per una visione di sé come spirito che aspira al mondo che le aveva indicato Helen; e un’altra strada di senso contrario: la decisione di vivere e di essere dalla parte della vita, dalla parte della comunità umana che lavora e costruisce di giorno in giorno il suo futuro. Sarà quest’ultima la scelta fatta da Jane. Il risveglio alla vita implica anche il suo desiderio di sopravvivere e credere ancora nella leggibilità del mondo in termini razionali. Mentre a Gateshead Jane pareva decisa a scegliere uno sciopero della fame fino alla morte, ora l’istitutrice cerca in ogni modo di calmare i morsi della fame mangiando i mirtilli: riconosciamo la scelta di resistere contro le sventure. 30 30Note principali • La sua intenzione di continuare a vivere (di non cedere alla tentazione romantica di un autodistruttivo abbandono di sé) s’inscrive nel quadro di una improvvisa ed epifanica scoperta degli altri esseri umani: Jane si rende conto che esiste un’umanità intera impegnata a lavorare e lottare per sbarcare il lunario e sotto tale operosità quotidiana degli umili si nasconde la chiave per comprendere il senso delle nostre vite. Nella sua condizione di emarginazione e dolorosa erranza, senza meta e senza certezze, si ritrova nella condizione di una mendicante, indebolita dalle avversità: ma proprio a questo punto la luce di Moor House3 (metonimicamente e metaforicamente) si accende. • Il caso la conduce in una dimora che inaugurerà una nuova fase della sua vita, un’entità geografica come punto di intersezione tra elementi di continuità e discontinuità della sua esistenza in movimento. La Brontë delinea il progressivo movimento dell’eroina verso la luce, in parallelo con il venire meno dell’ultimo residuo delle sue forze: la descrizione del procedere di Jane verso il puntino luminoso mette in evidenza l’alto grado di realismo della tecnica brontiana. • A Moor House, la protagonista pare ritrovare se stessa e conquistare quell’equilibrio tra il dentro e il fuori, tra l’anima e il corpo. Jane osserva come le due ragazze abbiano elementi a lei familiari: i loro lineamenti pallidi e severi sono un’anticipazione della scoperta che Diana e Mary sono sue cugine. Questi due personaggi sono intente a leggere: per Jane la lettura rimanda all’apertura mentale, all’accoglienza dialogica, alla dimensione culturale e alla convergenza spirituale: le due ragazze diventano un veicolo di comunicazione. Il fatto che la lettura delle sorelle Rivers si leghi al lavoro traduttivo allarga l’orizzonte culturale di un luogo che parrebbe suggerire il contrario. Ma la scena delle due sorelle lancia un avvertimento: il mondo silenzioso e immobile di Moor House si configura come uno spazio della rinascita di Jane e anche della individuazione sociale, ma riconduce ai tracciati convergenti di un’apparente finale armonia tra brughiera, casa e abitanti. 31 31Note principali 3 I toponimi per indicare la casa dei Rivers sono due, Moor House oppure Marsh End, quasi che la doppiezza della nominazione preveda e alluda alla doppiezza di St. John Rivers, il cui temperamento appare essenzialmente ambivalente, ora troppo spirituale per vivere tra gli esseri umani, ora troppo freddo, razionale e calcolatore per essere depositario di una vocazione religiosa • L’eroina si presenta alla famiglia come Jane Elliott, circondando la sua figura di mistero. Rivelerà la sua storia solo quando si convince che Moor House sembra offrirle le risposte a lungo cercate, sia in termini vocazionali, sia nella prospettiva di una costruzione identitaria. La casa della brughiera è la messinscena ideale dei valori che si oppongono alla triade corpo/freddo/sofferenza: Jane trova un ambiente umanamente ricco in cui viene dato il primato al lavoro e all’impegno sociale. La sofferenza fisica ha fine e Jane potrà cancellare dalla sua memoria i pensieri con cui aveva bussato alla porta di Moor House. • La rinascita passa metaforicamente attraverso la morte, ma se è vero che l’eroina trova in quel luogo calore umano, va notato che l’eroina si rende conto che nella stanza più intima della sua personalità si agitano sentimenti e ombre che rinviano al suo più recente passato, alla sua passione amorosa, al sentimento di un completamento del suo percorso. Jane capisce che quella casa così ospitale non è la sua vera dimora. A rompere il raggiunto equilibrio psichico di Jane entra in scena St. John Rivers che si convince di scorgere nella cugina ritrovata la potenziale compagna dei suoi progetti di missionario. Egli mostra di essere animato da uno straripante zelo calvinista, come risulta dal suo profondo convincimento di essere stato chiamato da Dio a una grande impresa che vuol dire opera di colonizzazione religiosa e culturale delle popolazioni dell’India. • Sin troppo ovvio appare il parallelismo fra lo zelo dell’imprenditore, anima e corpo dedito al lavoro e al profitto, e lo zelo evangelista di St. John Rivers che vuole dedicare tutto se stesso alla causa di una missione che metterà fine alle frustrazioni di un giovane: in questa sua ambizione di realizzare un imponente progetto di evangelizzazione, egli parrebbe somigliare a Jane, che è mossa anche da ambizioni e desideri che vanno ben oltre lo spazio di Marsh End: la sua decisione di fare il missionario è la risposta della sua mente irrequieta. L’opera civilizzatrice si dà come unico territorio in cui cercare la svolta, quel radicale cambiamento della sua esistenza che sembra promettere la gloria cercata. • La sua è una missione sovranamente dura, per una personalità che ama gli estremi: tutto o nulla. St. John chiede a Jane di seguirlo quale moglie legittima, come moglie pronta al sacrificio per il suo uomo, ma non come una moglie da amare con passione e desiderio. Jane manifesta una iniziale disponibilità a seguirlo a patto che le sia consentito di 32 32Note principali
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