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Come vive la classe operaia, Sintesi del corso di Economia

Il libro tratta dei comportamenti di consumo degli operai tedeschi di fine Ottocento. In maniera assolutamente originale, l’autore interpreta qui il consumo come un mezzo per fondare l’appartenenza di classe sulle condizioni di vita e di lavoro, cioè su un sistema di rappresentazioni collettive, e non soltanto sul reddito o la professione. In questo senso acquisisce pieno significato la sorprendente gerarchia dei bisogni che questa ricerca stabilisce. Gli operai, stretti dalle necessità della vi

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 18/03/2021

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irene9. 🇮🇹

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Scarica Come vive la classe operaia e più Sintesi del corso in PDF di Economia solo su Docsity! COME VIVE LA CLASSE OPERAIA Libro I: I confini e l'unità della classe operaia 1. I gruppi rurali 1.1I gruppi rurali e la classe operaia L'espressione “classe operaia” viene solitamente impiegata come se, quale sia la realtà che rappresenti, si fosse comunque certi che ne rappresenti una. Si possono avanzare per lo meno tre ipotesi sull'atteggiamento dei contadini nei confronti della classe operaia, ammettendo che esista. Si può supporre che la classe contadina e quella operaia siano ben distinte, opposte per interessi, stile di vira e tradizioni. Come hanno notato in molti, l'operaio è meno previdente, più indipendente, meno consuetudinario, più “progredito” dei contadini. Non ci sarebbe, dunque, da stupirsi se questi conflitti d'interesse, questa diversità di tendenze, di traducessero in un antagonismo cosciente fra due gruppi. Di converso, la classe operaia e quella contadina potrebbero in realtà costituire un'unica classe. Lotte e divergenze non mancano anche all'interno della classe operaia stessa, o tra gli addetti di settori industriali differenti. I motivi di contrasto tra contadini e operai sarebbero puramente accidentali e temporanei, finendo per passare in secondo piano di fronte all'affinità delle loro rispettive attività e alla relazione di dipendenza che li lega alla classe ricca, di fronte cioè alle loro comuni caratteristiche, essenziali e durevoli. Il movimento migratorio dalla campagna alla città viene spesso rappresentato come la brutale amputazione di una parte della classe contadina per annetterla alla classe operaia. In verità, anzitutto, il trapianto non è sempre definitivo. Nei periodi di bassa produttività molti operai ridiventano contadini. Oltre la metà degli italiani che emigrano negli USA rientrano poi nel proprio paese. Si nota che le relazioni non sono definitivamente interrotte, che l'emigrante non si preclude la via del ritorno. In questo senso, il gruppo contadino sarebbe subordinato al gruppo operaio, proprio come in quest'ultimo i manovali sono subordinati agli operai qualificati, ma entrambi i gruppi farebbero parte della medesima classe. Potrebbe darsi che al di fuori della classe operaia, i contadini formino una massa sociale confusa e inorganica, caratterizzata dall'assenza di una coscienza collettiva. I contadini hanno tutti l'impressione di vivere della terra. Il che i rivelerebbe, tuttavia, un ulteriore motivo di frazionamento e di divisione interna: la terra, infatti, non è sempre ugualmente fertile e non è equamente suddivisa. E anche supponendo che in un area limitata, tutti o quasi versassero nelle stesse condizioni, ciò non basterebbe a far prendere coscienza di appartenere a una classe estesa almeno fino ai confini della nazione. Passare dall'agricoltura all'industria, non significherebbe elevarsi da una classe all'altra, quanto piuttosto abbandonare un raggruppamento locale che riposa segnatamente su tradizioni e costumi familiari, per entrare in un gruppo organico e quantomeno nazionale. Consideriamo ad esempio la Francia, terra classica di piccola proprietà: vi i troveranno agevolmente regioni ove agricoltura e industria coesistono e, accanto a campagne lavorate da piccoli proprietari con un tenore di vira assai simile, in genere mediocre, si sviluppano grandi centri industriali densamente popolati da operai di fabbrica. L'operaio me il contadino vivono l'uno accanto all'altro: il primo ridotto al suo salario, ma indipendente e garantito, il secondo vincolato alla terra “come un servo della gleba”, annorchè in virtù di un'altra natura di legami, senza poter abbinare lavoro industriale e agricolo, costretto a limitare i propri bisogni per timore di cattivi raccolti. Essi si incontrano e si confrontano. Quando i figli o le figlie dei contadini vanno a lavorare in fabbrica, questa contiguità, questa diversa condizione economica creano sentimenti di diffidenza, di invidia e di ostilità nei più disagiati. I contadini mutarono una vaga percezione di dipendere da persone più ricche di loro, a cui devono cedere con regolarità una quota arbitraria del prodotto del proprio lavoro. È una delle ragioni per cui si sviluppa in loro una coscienza di gruppo. Non possiamo spingerci ad affermare che tra agricoltori e operai industriali di un medesimo territorio si sviluppino, contemporaneamente e in tutte le circostanze, relazioni di solidarietà così strette da dar luogo a un'unica classe, ma, data la loro situazione economica, è plausibile che non li separino barriere troppo nette. Poiché pare che le classi si delineino soprattutto nei momenti di conflitto, bisogna aspettarsi che, a seconda delle circostanze, un medesimo gruppo si comporti o meno come una classe. Ai tempi di prosperità, quando i raccolti sono buoni e i lavoratori ben pagati, probabilmente i pregiudizi dei contadini nei confronti degli operai saranno meno severi e la loro attenzione sarà prevalentemente rivolta a legami di solidarietà esistenti tra agricoltura e industria. Consideriamo, invece, il caso in cui, in una regione dove gli agricoltori ricevono il proprio reddito con lavori a domicilio per l'industria, si insedi in un'azienda che fabbrica i medesimi prodotti. È probabile che alcuni contadini, trovando più vantaggioso lavorare i fabbrica, abbandonino i campi per trasformarsi in operai. Quelli che, al contrario, rimangono legati alla terra si vedranno privati dell'attività integrativa che gli riserva di sopravvivere. Accomunati dal rancore e dalla miseria, e ancor di più dal fatto di non aver ceduto alle sirene dell'industria, avvertiranno la distanza che gli separa dagli operai e si percepiranno come una classe. Notiamo subito che l'opposizione tra classe operaia e classe contadina è difficile da rilevare, perchè sembra ci siano due tendenze opposte: alcuni invidiano e perciò si lasciano andare al lavoro operaio, altri invidiano e perciò si ostinano. (Nel corso del XVIII secolo, in Inghilterra, la pratica massiccia della recinzione produsse risultati significativi in questa direzione. Prima della sua diffusione gli aristocratici fondiari, signorotti di campagna, e possidenti terrieri, piccoli possidenti, benchè distinti sul piano sociale dal fatto che i primi erano di nobile linguaggio, dal punto di vista economico si somigliavano molto. Nello stesso periodo numerosi i contadini residenti in una piccola casa rurale vivevano su terre comunali, spesso semi-incolte e visto che non godevano di alcun diritto d'uso legalmente riconosciuto, non li sfiorava il pensiero che la situazione potesse cambiare. Attorno alla metà del secolo fece la sua comparsa la classe dei grandi proprietari terrieri, per cui l'agricoltura era una forma di investimento, si deve a loro l'unificazione e la redistribuzione delle terre demaniali e dei possedimenti privati, che poterono così essere interamente recintati. Il possidente terriero non potè evitare che le migliori terre fossero riservate a perone più ricche e contestualmente, perse il diritto di pascolo sui demani comunali. Al contempo i contadini residenti in una piccola casa rurale si trovarono espulsi dai poderi e dalle mansioni in cui vivevano, costretti a mendicare lavoro nelle fattorie. Alla maggior parte rimase l'unica possibilità di trasferirsi in città e offrirsi come manodopera alla grande industria nascente. Il comune destino e l'identica ragione di miseria porco nel gruppo un sentimento di classe. Un sentimento analogo a quello degli operai: non a caso la distribuzione delle macchine industriali da cui gli operai sentivano giungere la minaccia di una temporanea mancanza di lavoro, prima forma di protesta operaia, richiama le lotte dei contadini che la pubblicazione degli atti di recinzione. È utile, quindi, domandarsi se, mirando a esplorare il contenuto e la reale natura di una coscienza di classe, da un punto di vista metodologico sia appropriato prenderla in considerazione nel momento in cui è animata da un sentimento di rivolta, di sfinimento o di rabbia, ovvero quando appare disillusa e disperata, nel timore che il gruppo che la sostene di sita disgregando. Una coscienza sociale orientata alla lotta necessaria si semplifica: essa esiste solo in virtù di un conflitto e rende manifeste esclusivamente le parti che sono minacciate dall'avversario o che al contrario possono servire a combatterlo. Viceversa, una coscienza sociale che sente la propria morte è debole e confusa: da un lato mette in estrema luce la fragilità, l'importanza, i limiti di chi ne fa parte, dall'altro, con un movimento opposto, si volge con eccessivo rimpianto agli antichi fasti e alle possibilità che stanno venendo meno. A questo punto è lecito chiedersi se, in circostanze differenti, si possa parlare di coscienza di classe. Ci scontriamo qui con un'altra ipotesi correlata: è solo il conflitto che consente a una classe di esistere e prendere coscienza di sé. Talvolta una coscienza collettiva si esprime in maniera istintiva, dall'altra resta sotto traccia senza che per interesse a compattare nel periodo più breve possibile la produzione per diminuire le spese in funzionamento degli impianti. Si aggiungono i periodi di crisi nei quali per meglio approfittare della congiuntura economica, la produzione viene spinta fino alla saturazione così da poter poi chiudere molte fabbriche. In questi periodi alcuni operai restano nelle fabbriche: il lavoro rallenta e si fa meno pesante, si dedicano a lavori di riparazione e manutenzione. Altri lavorano a tempo ridotto, per una parte della giornata o della settimana o a rotazione. Alcuni infine rimangono completamente disoccupati non possono che cercare un lavoro, quasi certamente saltuario, altrove o lavorare al proprio domicilio per privati. Il lavoro industriale ha periodi di intenso lavoro, ma seguono periodi in cui, per chi continua a operare collettivamente nel proprio settore, la presa del lavoro diminuisce e si allenta, mentre altri passano al lavoro collettivo ai più svariati lavori individuali. Quando la chiusura di una fabbrica giunge all'improvviso, si rivela quasi sempre una catastrofe per gli operai, che rimangono senza lavoro. Di fronte a rovesci e irregolarità prevedibili e previste, invece, i lavoratori predispongono in anticipo delle attività per occupare i periodi di pausa forzosa. In questo secondo caso, alternare i lavori è un fenomeno di adattamento altrettanto naturale del succedersi delle diverse attività agricole. Appare altrettanto naturale che esso si traduca nella coscienza collettiva allo stesso modo e che non ci si possa in alcun modo ravvisare, dunque, un principio di separazione e contrapposizione tra classe operaia e contadini. 1.3Lo statuto giuridico dei contadini Abbiamo distinto il contadino dalla terra che lavora, dal lavoro che svolge e dagli utensili che usa, con cui per troppo tempo non ha fatto che identificarsi. Il servo costituiva un tutt'uno con la terra, il lavoro dei campi pareva la sua ragione d'essere e la sua sostanza. Eppure, se guardiamo alla condizione in cui versa oggi e la paragoniamo a quella di un operaio dell'industria, saremmo portati a insistere sulla relativa indipendenza di cui gode e sulla fonte di questa nuova libertà proprietà. I contadini, medi proprietari terrieri, che si dedicano esclusivamente all'attività rurale, sembrerebbero l'opposto degli operai di fabbrica: non dipendono da un padrone, ma lavorano in proprio, in una condizione di piena indipendenza; nel loro caso le entrate sono incostanti, non hanno cadenza settimanale o mensile e il reddito annuo varia in base ai raccolti e al prezzo delle derrate. Nel primo caso, se il proprietario terriero lavora direttamente la terra che possiede, la presenza di eventuali operai si rivela un dato secondario. In teoria di tratta di un uomo che mette a profitto un capitale, ma nei fatti, non è questa la sua principale funzione. Non ha nulla a che vedere con gli uomini d'affari e i ricchi che investono come altre, mentre per il contadino proprietario, l'attività agricola è una professione. Venendo al fattore e al mezzadro, va da sé che non possiedono la terra che lavorano, ma dipendono da un proprietario a cui sono tenuti a versare somme fisse e per cui devono svolgere lavori di manutenzione e ammendamenti. Tuttavia, diversamente dall'operaio su cui vegliano capi e capireparto, il contadino non è sottoposto al costante controllo del padrone che, spesso, avita distante: è il contadino a occupare la terra, ed è lui a lavorarla. Se aggiungiamo che dal lavoro del contadino dipendono i guadagni di entrambi, ma che al padrone spetta una quota prestabilita, mentre al contadino va quel che resta, cioè una quota indeterminata e variabile non stupirà che il contadino si pensi come un lavoratore autonomo e consideri la rendita una sorta di imposta sul lavoro, ala stregua della decima o de ventesimo. Tra la locazione o la mezzadria e la proprietà sussistevano, inoltre, forme miste, come la concessione, che non garantiva il “conduttore” da un'eventuale evizione o la cessione, una forma di lavorazione ancora più simile al possedimento feudale per la quale la terra veniva ceduta in perpetuità e a titolo ereditizio al coltivatore dietro corresponsione di una piccola parte del raccolto: erano dunque le dorme giuridiche stesse a evidenziare una parentela tra locazione a canone e proprietà feudale, mediante una serie di formule intermedie. Oggi la situazione è cambiata, ma le abitudini denotano la stessa preoccupazione di un tempo. Al proprietario interessa che il fattore si dedichi alacremente alla terra, comense fosse destinato a restarvi per sempre: per questo i contratti vengono automaticamente rinnovati ai medesimi occupanti. Diversamente da quel che accade in fabbrica, in campagna il lavoratore è strumento del proprio lavoro. Se ammettiamo che gli operai che lavorano alternativamente in campagna o in città non possono appartenere contemporaneamente a due classi, allora riconosciamo che vi sono solide differenze di classe. Pensare che il contadino sia legato affettivamente alla terra e la concepisca come un prolungamento dell'attività umana, significa dar credito individualista che non può in alcun caso essere il fondamento di una coscienza di classe. In realtà la terra è un mezzo della produzione e quel che ci interessa è il rapporto che vincola il contadino a questo strumento. Se, come è accaduto in passato, la situazione economica si mantiene a lungo favorevole non ci sono ragioni per temere che muri, è comprensibile che il contadino tenda a sentirsi autonomo e indipendente. La produzione e i bisogni dei consumatori sembrano procedere in maniera regolare secondo leggi costanti, messe a repentaglio soltanto dalle calamità naturali, contro cui nulla è possibile. I tempi, perciò, stanno cambiando. La massa contadina, che fino ad allora aveva creduto di disporre dello strumento del proprio lavoro, si rende conto di essere in balia di altri gruppi di interesse, del sistema del commercio e dell'industria. Tutti questi lavori rurali appartengono a un unico gruppo economico insieme agli operai ai quali forniscono la materia. La terra degli uni e il lavoro operaio degli altri perderanno ogni valore il giorno in cui le macchine dovessero essere spente. Il progresso industriale e commerciale non “proletarizza” i contadini, m ali spinfe a prendere consapevolezza del valore incerto e instabile della terra e a distaccarsene. Quanto ai fattori e ai mezzadri, è più arduo cogliere tratti salienti che permettano di assimilarli ai salariati dell'industria o agli operai in generale. Essi non ricevono una retribuzione in denaro e il loro reddito dipende dalla vendita di prodotti della terra, dal cui ricavato ca sottratta la rendita o una percentuale prestabilita, ciò gli assimila ai piccoli proprietari. Generalmente la condizione del fattore e quella del piccolo proprietario si equivalgono, dato che da un lato il regine di locazione si addice soltanto alle terre più fertili, dall'altro i fittavoli sono tenuti a innovare e possessore solide conoscenze tecniche. Quel che più conta, in ogni caso è che il reddito di entrambi dipende comunque sempre dall'adattamento dei prezzi. Il codice civile stabilisce che la perita accidentale della metà o dell'intero raccolto durante il periodo di locazione, consente al fattore di chiedere una riduzione del canone, ma la discesa progressiva dei prezzi delle derrate non rientra in questa casistica. In questo caso la perdita è tutta in capo al fattore. Questa disparità di condizioni e il suo aspetto paradossale trovano spiegazione nella diversità dei terreni e della relativa necessità di adeguarvi le coltivazioni. Talvolta siamo eccessivamente propensi a figurarci che la principale differenza tra le aziende agricole sia la loro estensione e a motivare questa disparità con le circostanze storiche, le tradizioni e gli eventi che hanno presieduto alla formazione e alla distribuzione dei gruppi sociali. Se il suolo è povero, un piccolo proprietario deve lavorare indefessamente per poterne trarre a malapena lo stretto necessario per sussistere. Viceversa, se il suolo è pi fertile e al contempo parcellizzato in medi e piccoli appezzamenti, il proprietario potrà arricchirsi e conseguirà un guadagno tale da poterne acquistare anche altra da cedere in gestione a terzi, oppure lui o i suoi figli potranno semplicemente vivere di rendita. Da quanto emerso sin qui, la situazione del fattore sembra variare in funzione di due elementi: 1. La fertilità del suolo. 2. Il protagonismo del proprietario: la resa di un terreno affittato caria a seconda che il proprietario vi si rechi più o meno frequentemente di quanto è aggiornato sui prezzi del grano o del bestiame della sorveglianza diretta o meno, che esercita sul fattore, gli acuisti fatti in suo nome e via dicendo. La condizione giuridica di fattori al pari di quella dei proprietari, non offre alcun serio motivo per pensare che contadini e operai costituiscano due classi opposte o anche solo diverse. Rimane comunque necessario approfondire la questione dato che l'idea che il contadino, in quanto proprietario della terra, si ritrovi separato dall'operaio da una barriera insuperabile è assai radicata e apparentemente ben fondata e dato che chi l'ha osteggiata è pervenuto troppo rapidamente a conclusioni superficiali. Può essere che il contadino ami la terra poiché rappresenta per lui l'unica occasione di lavoro, l'unica possibilità di trarre risultati dai suoi sforzi. Forse da prova di una tenacia e di un'energia fuori dal comune poiché deve superare grandi difficoltà con pochi mezzi e per lui raggiungere comunque un risultato è questione di vita o di morte. E se non adegua i suoi sforzi alla remunerazione che lo attende è solo perchè vive relativamente isolato e ha pochi bisogni ed esigenze, ancora meno di natura sociale. Il contadino, il falegname o il chirurgo, che con i loro strumenti di lavoro non sfruttano altri, non devono temere che una rivoluzione socialista glieli sottragga. Restano esclusi dalla classe operaia i medi proprietari terrieri destinati a estinguersi con l'evoluzione economica. Così facendo, però, si rischia di attribuire troppa importanza alle classificazioni teoriche e di ritenerle più reali di quanto non siano nella coscienza sociale. Tra i piccoli e i medi proprietari intercorre lo stesso genere di differenza. A fare la differenza in questo caso, non è la sua relativa indipendenza, considerata in astratto. 1.4Vita di città evita di campagna Confrontando persone di tipologia mista che hanno caratteri sia dell'operaio che del contadino, con i membri della classe o del gruppo a cui appartengono a cui è incidentalmente possibile ricondurli, riusciremo forse a cogliere nella sua assolutezza i complesso delle rappresentazioni delle abitudini comuni a tutto il gruppo, al di là delle specifiche differenze tra i suoi membri. Soprattutto, se riscontrassimo che uno stesso individuo non può mai appartenere alla classe operaia e alla massa contadina, avremmo un chiaro indicatore che si tratta di due insiemi disgiunti, nonché un valido punto di partenza per pervenire al principio della loro separazione. Capita raramente che persone addette all'agricoltura vivano nelle vicinanze di agglomerati popolati soprattutto da operai, artigiani o piccoli commercianti. Intendiamo tanti orticoltori e operai agricoli che abitano in città e lavorano la terra in periferia. Dato che sono ben consapevoli di quanto chi vive in città necessiti dei loro servizi e che, al contempo, è in città che spendono quel che guadagnano, finiscono spontaneamente per percepirsi come un ingranaggio indispensabile della vita urbana, al pari di certi operai e artigiani rari da trovare e molto ricercati. Soprattutto, avendo un reddito più alto di quel che avrebbero lavorando in campagna, il loro tenore di vita e i loro bisogni sono simili a quelli degli operai che li circondano. Viceversa, ci sono squadre di operai che lavorano per lunghi mesi l'anno in campagna e che, avvezzi fin dalla nascita a una vita di fatiche, anche in città conservano abitudini e mentalità contadine, rafforzati dal vivere fianco a fianco. Questo tipo di persone tende a ricondurre le condizioni di vira della campagna anche nei grandi agglomerati, mentre gli agricoltori che vi risiedono stabilmente sono più “urbanizzati”, poiché partecipano alla vita organica nella città. Gli artigiani di paese spesso coltivano anche un piccolo pezzo di terra e occasionalmente si dedicano ad attività rurali. Per meglio tracciare il confine tra gruppi operai e contadini, bisognerebbe tener conto del tipo di agglomerato che costituiscono, e in cui vivono e abitano, valutando di ricondurre le differenze tra i due gruppi a quelle che sussistono tra città e paese, tra vita urbana e vita di campagna. All'interno della classe operaia, il rango sociale di un gruppo può dipendere esclusivamente dall'ammontare del reddito, ma non è detto che sia sempre così e in alcuni casi sarebbe più opportuno osservare come vengono impiegate le risorse disponibili oppure combinare i due elementi. A far da discrimine tra contadini e operai non è dunque la ricchezza di cui dispongono, posto che sia possibile risalirvi. Nelle condizioni di vita presenti alla coscienza dei contadini vi sono alcuni caratteri semplici e omogenei che sono al tempo stesso oggettivi, poiché costituiscono la base materiale stabile e duratura della loro esistenza e sociali, poiché dominano tutte le loro relazioni si tratta della conformazione dell'agglomerato, della proprietà e dell'abitazione dove vivono. 1. Vivere in città significa vivere in gruppi sempre più strettamente agglomerati, diversamente dal paese dove le famiglie sono piuttosto disperse. Non si tratta di una differenza di intensità. Se escludendo le grandi città e tracciando un limite immaginario Se la terra che lavora produce poco egli limiterà o contrarrà i suoi bisogni, se si produce di più, gli svilupperà e lascerà il loro spazio. con ogni probabilità lo stesso non si può dire degli operai. Soprattutto l'operaio della grande industria solitamente ignora quale sia il valore complessivo del prodotto del proprio lavoro dovendo combinare le proprie azioni con quelle di altri. Il suo stile di vita sembrerebbe rispondere ad abitudini e influenze che non si spiegano con la funzione economica che ricopre, più probabilmente con l'ambiente sociale in cui vive al di fuori della fabbrica. Inoltre nel caso in cui lavori di più o attenda un salario più alto è prevalentemente il suo stile di vita abituale a determinare le condizioni di lavoro che accetta subisce o reclamo e non viceversa. L'artigiano autonomo e le sue condizioni lavorative in questo caso sono più sociali che naturali più svincolate dalla terra e del clima a seconda del numero dei clienti della portata dei loro bisogni della Concorrenza e così via il lavoro può essere più o meno produttivo. Trattandosi di condizioni sociali è pensabile gestirle adattarvisi più o meno abilmente è a rigore cambiarle spostando altrove la propria attività cambiando mestiere o passando dalla piccola alla grande industria. Possiamo dire che indipendentemente dalla loro specifica condizione gli operai dell'industria vivono più ravvicinati rispetto ai contadini e che fuori dalle fabbriche e dai laboratori nelle vie e nelle case sviluppino una vita sociale vincolata dalla professione che svolgono. Questo tipo di rappresentazione collettiva non può invece svilupparsi alle masse contadine. Di fatto i contadini sono troppo isolati è costretti a vivere in case sparse su territori vasti a causa delle esigenze tecniche del lavoro agricolo che intreccia instrecabilmente la vita privata con l'attività lavorativa. Lo stile di vita che riescono a rappresentarsi è il risultato della loro attività produttiva. Per questo su aree di territorio più o meno ampie si trovano produzioni agricole e condizioni di vita mediamente simili. Conclusione: Riassumiamo i risultati della nostra analisi sui gruppi contadini. Che tipo di relazione potessero intrattenere con la classe operaia e abbiamo avanzato 3 ipotesi: 1. Che i contadini costituissero una classe contrapposta a quella operaia. 2. Che ne costituisce ero una parte o un addentellato. 3. Che non esistessero in quanto Classe. Abbiamo stabilito che i contadini avessero una coscienza di classe la prima cosa di cui si renderebbero conto di avere diretti rapporti con la classe operaia. Sia sul piano del comportamento economico che su quello giuridico i contadini sono sempre più simili agli operai dell'industria. L'oggetto o la tecnica del lavoro che svolgono l'ineguale sviluppo del meccanismo la diffusione della proprietà agricola le specificità di forme contrattuali come l'affitto e la mezzadria. Lo sviluppo tecnico dell'agricoltura è quello dell'industria procedono di pari passo operai e contadini nutrono interessi comuni per l'applicazione o l'abrogazione di talune norme giuridiche: acquisendo progressivamente consapevolezza di queste relazioni i due gruppi spenderebbero dunque a riconoscersi nella medesima classe. Sembra inevitabile che due gruppi siano in opposizione nella misura in cui l'esistenza dell'uomo si fondi su condizioni tradizionali talmente radicate da indurlo moltiplicare gli sforzi è a compiere grossi sacrifici pur di mantenerle inalterate mentre l'altro se ne sia pienamente emancipato creando condizioni completamente diverse e attinga a piene mani dal primo gruppo un numero crescente di persone. Tuttavia nell'industria possono esservi periodi di crisi e similari antagonismi tra i vari settori pur senza che questo rompa definitivamente l'unità della classe operaia: da un lato vi è la necessità di ristabilire l'equilibrio tra le parti dall'altro le condizioni che uniscono sono più profonde e radicate di quelle che dividono. La classe contadina avrebbe dimostrato di potersi costituire come classe. C'è invece sembrato che l'elemento costitutivo della classe contadina fosse proprio la sua diffusività e inorganicità. 2. Le condizioni tecniche e giuridiche del lavoro operaio Non si può dire che la classe operaia esista solo perché oggi il termine ricorre più frequentemente che in passato e molti parlano in nome della classe operaia nei in base al fatto che istituzioni e organizzazioni operaie si siano istituzionalizzate e consolidate. Tuttavia se la natura sociale dei diversi gruppi economici operai presentasse insormontabili ostacoli alla costruzione di un'unità di Classe operaia questa non si rivelerebbe altro che un invenzione e la coscienza di classe un auspicio puramente illusorio. Potrebbe accadere che lo studio dei dati reali sulla condizione degli operai ci conduca alla seguente conclusione: la classe operaia deve prendere coscienza della propria unità e di riuscire a quando le circostanze la costringeranno a definirsi come tale. 2.1 La Classe operaia e i comportamenti industriali Definire operaio come l'individuo che lavora con le proprie mani alla produzione industriale significa rilevarne un tratto specifico che permetta di distinguerlo dagli altri individui. tuttavia nulla prova che l'operaio si rappresenti in forma così astratta e che raffigurandosi la propria funzione non metta in primo piano il tipo di attività che esercita è il settore industriale in cui è impiegato. Gli operai che praticano il medesimo mestiere hanno già manifestato in passato una certa tendenza a raggrupparsi in singole specifiche organizzazioni. Probabilmente hanno agito in nome del proprio interesse adottando una tattica di protezionismo professionale ma ciò non implica che abbiano sviluppato una propria coscienza collettiva. La professione riveste anche un significato sociale che mantiene per periodi relativamente lunghi: può essere più o meno difficile di altre necessità di un apprendistato più o meno lungo procura un salario più o meno elevato. Si corrono 2 rischi: tener conto delle caratteristiche esteriori e aggregare professioni che presentano qualche tratto comune benché siano esercitate in contesti operai e industriali molto frammentati oppure trascurare il fatto che una professione molto diffusa in una regione è in un settore che conta un numero di operai molto più alto di tutti gli altri lavoratori del Territorio può divenire il perno è il principio unificante di tutti perché sussista un comune interesse. Sapere quanto sia forte la tendenza degli operai di un medesimo settore a formare un gruppo sociale specifico ci permetterà di comprendere se professioni analoghe si differenziano qualora siano praticate in settori distinti e di conseguenza se è la diversità dei comparti ostacolare l'aggregazione. Di fatto in passato i materiali con cui l'uomo si è confrontato ne hanno modificato l'aspetto e il comportamento producendo differenze che si sono impresse tanto nella coscienza individuale quanto in quella collettiva. Indubbiamente in più di un secolo le cose sono molto cambiate. I minatori non riportano più i carboni superficie a spalla risalendo impervie scalette a pioli non si trascinano più nelle gallerie avvolti in panni umidi dalla testa ai piedi preceduti da una pertica alla quale l'estremità è fissata una candela per far esplodere il Grisou. Infine nelle filature e nelle tessiture moderne non vi è più traccia delle abitudini e delle occupazioni se mi campagnole dei vecchi operai della lana e del cotone. Gli attrezzi sono stati perfezionati e sono state introdotte le macchine ma le materie estratte e lavorate sono sempre le stesse e come in passato l'operaio vi rimane costantemente in contatto e continua portare le tracce delle specifiche operazioni che ogni prodotto richiede. Probabilmente nella sua mente l'immagine del gruppo professionale di cui fa parte e quella della materia contro cui cozza continuamente il suo sforzo sono strettamente associate. Quest'associazione è evidente nel caso dei minatori e della miniera. Benché l'areazione sia molto migliorata e siano state facilitate l'entrata e l'uscita le condizioni di lavoro del minatore non smettono di colpire l'immaginario popolare. Il carbone è nascosto nelle viscere della terra e non può essere scavato che a prezzo di ingenti sforzi fisici. Nell'industria il lavoro in miniera sia, quello in cui la dipendenza dell'operaio dalla materia è più accentuata sostanziandosi non solo nei comportamenti e nei gesti ma anche nella durata dello sforzo. Soltanto gli aggiustatori i tornitori i piallatori i montatori rifinitori concludono a freddo l'opera che altri hanno svolto a caldo. Di fatto la vita professionale degli operai metallurgici continua a essere così intrecciata alla lunga serie di manipolazioni a cui viene sottoposto il metallo che è davvero Argo credere che non si tenga dei riflessi ardenti delle Fornaci. Per il fabbro è ancora diverso. Oggi la figura tradizionale del fabbro, che con il volto grondanti rischiato da scuri riflessi abbatti il martello sull' incudine imponendo al metallo una forza quasi sovraumana, è scomparsa per sempre. Nell'industria metallurgica sono i locali di fusione e forgiatura a dare propulsione alle fabbriche: qui gli operai devono muoversi con destrezza e cautela in spazi angusti dove si condensano forze smisurate che spetta loro dirigere e incanalare verso il giusto obiettivo sempre mantenendo una tesa in mobilità. Così nel momento stesso in cui afferma la propria forza sulla materia l'uomo prende anche consapevolezza della propria intrinseca fragilità. Nell'industria tessile l'individuo è a contatto con una materia leggera e lieve trattabile e delicata si tratta di un lavoro che richiede attitudini e presenta difficoltà completamente diverse da quelle che abbiamo visto finora. Siamo di fronte ha un settore profondamente rivoluzionato dalla meccanizzazione. Nel laboratorio di tessitura non è più il tessitore a lanciare la navetta e gestire l'abbassamento del pettine l'invenzione della spoletta volante è l'introduzione delle macchine hanno progressivamente ridotto il lavoro del tessitore alla messa in moto e alla sorveglianza dei macchinari. Benché i macchinari svolgano autonomamente i movimenti che compiva l'operaio, nei più moderni telai si ritrovano ancora tutti i passaggi del vecchio mestiere manuale. Il filatore e il tessitore toccano costantemente i fili per unirli e comprendono fin nei dettagli il funzionamento dei congegni che sorvegliano e assecondano costantemente. Gli operai tessili non devono impiegare immagini energie per domare una materia dura e pesante come fanno invece i minatori ne sono obbligati compiere operazioni complesse su una materia che non possono toccare avvalendosi di strumenti e macchinari che sostituiscono la forza manuale va che devono dirigere a loro rischio e pericolo come accade in metallurgia: nel tessile la produzione avviene automaticamente e continuativamente sotto i loro occhi. Il loro lavoro e monotono e richiede concentrazione proprio come comunemente si immaginano i lavori di taglio e cucito. Nei tre comparti che abbiamo descritto si lavorano materie prime diverse che non solo richiedono specifiche competenze tecniche ma che sembrerebbero anche determinare percezioni abitudini di pensiero e rappresentazioni dell'uomo nel suo rapporto con la natura differenti da un settore all'altro. Tali specificità impedirebbero ai lavoratori di considerare equivalenti o almeno comparabili le rispettive professioni e funzioni. Si può ritenere che suddividere la popolazione operaia in categorie professionali in base al comparto industriale di appartenenza fondandosi sulla tecnica non possa rendere conto della formazione di classi sociali dato che si tratta di gruppi fortemente gerarchizzati. Ogni comparto industriale raggruppa funzioni molto diverse da quelle molto specializzate e qualificate ad alte di semplice manovalanza; si produrrebbero così divisioni sociali verticali ma non differenze di livello. Relativamente ai nostri tre comparti industriali era dunque importante riconoscere quali qualità implicano e quali impressioni generali suscitano per verificare come classificarli. Le distinzioni che abbiamo rilevato tra i settori sembrano coincidere con quelle impresse dalla coscienza collettiva di ciascun gruppo e della società in generale. non possiamo escludere che anche qualora se ne sia presentata l'occasione il bisogno di classificare i settori industriali secondo questi criteri non fosse tanto impellente da originare giudizi di valore nei che anche una volta formulata una siffatta classificazione non rinviato a nulla il concreto. Tra le tante rappresentazioni riconducibili ai diversi comparti industriali occorre ora distinguere quelle che esprimono il livello sociale dei loro membri. con ogni probabilità l'attività fisica da investire nei diversi settori non sarà la stessa poiché dipende dal tipo di materiale e dal grado di sviluppo del macchinismo. è possibile anche che la durata della giornata lavorativa e la fatica richiesta varino e mal si prestino a comparazioni. Poco importa in ogni gruppo matura nel tempo la nozione di quali siano le condizioni di lavoro al di sotto delle quali non si vuole scadere condizioni che si spera migliorino ma che nel frattempo vengono considerate normali perché fino a quel momento nessuno le ha messe in discussione. Gli operai si abituano a condizioni che ritengono di non poter modificare. Solo di rado lavorano in un settore che hanno scelto e pure nel giro di qualche tempo si comportano come se fosse tale è come se le competenze che hanno appena acquistato fossero loro con natura te quasi non esistesse occupazione migliore. Ogni gruppo sembra perfettamente adatto alla propria funzione. L'operaio è l'unico a esercitare il proprio lavoro direttamente sulla materia inanimata con cui di conseguenza si trova in contatto costante. nel loro lavoro tutti gli altri membri della società professionisti commercianti o impiegati che siano si trovano in relazione con altri individui ho con una materia umana. Alcuni danno idee ordini e così gli altri si occupano di redigere lì di trasmetterli di curarne l'esecuzione e verificare i risultati. Soltanto gli operai si limitano a ricevere ordini o istruzioni la cui esecuzione implica di agire esclusivamente Il macchinismo modifica la divisione sociale del lavoro più nella forma che nella sostanza che la forza motrice sia fornita da un motore umano animale o inanimato è secondario. La macchina in questo senso non fa altro che serrare le diverse operazioni di produzione ed eliminare progressivamente le cause di incertezza dire allentamento o di sospensione che derivano dal fatto che il lavoro umano che vi concorre è più indipendente. Rende il lavoro più rapido meccanico e automatico. ogni operaio subisce la pressione degli altri e deve seguirne il ritmo che in un certo senso si determina indipendentemente da ciascuno di loro :è un ritmo collettivo che si impone agli individui proprio come il ritmo della macchina. Con ogni probabilità questo ritmo non è rigido e le eventuali modifiche sono complessive cioè regolate da una decisione collettiva o da una rassegnata accettazione da parte di tutti. In ogni caso scompaiono completamente l'iniziativa e l'intraprendenza individuale. Per l'operaio poi l'utilità è il significato sociale del prodotto non costituiscono per lui materia di riflessione. Per occupare un alto numero di operai organizzare ma soprattutto per sostituire la manodopera con le macchine occorrono grandi capitali: nella grande industria sia la separazione dell'operaio dai suoi strumenti di lavoro sia la preminenza economica dei datori di lavoro sono più marcate. Sombart ha definito la professione in senso restrittivo come l'attività di produzione dell'artigiano nella piccola industria "un tipo di attività che sta fra l'arte e l'attività manuale ordinaria": come dire che la professione consente all'artigiano di salvaguardare una propria personalità e che la qualità è l'importanza del suo lavoro dipendono ampiamente dalle sue attitudini e dalla sua iniziativa. L'operaio dunque considerato come essere dotato di personalità e coscien è molto meno coinvolto dell'artigiano nel lavoro produttivo. A questo punto vi sono fondati motivi per scendere la sua personalità profonda dalla sua forza lavoro che invece è una forma di merce relativamente omogenea che si compra e si vende su base quantitativa e che a contatto con la materia e le macchine diventa a sua volta sempre più meccanica e materiale. Questo tipo di divisione del lavoro finisce piuttosto per dividere e isolare coloro che vi sono implicati. È quel che si intende quando si dice che la frammentarietà dell'attività derivante dall'estrema divisione del lavoro conduce l'operaio a disinteressarsi dell'andamento complessivo dell'impresa. Questo disinteresse in verità non deriva dalla frammentazione del lavoro nei dalla divisione del lavoro. Sono la maggiore rapidità è la più alta meccanizzazione del lavoro a obbligare l'operaio a trasformarsi in un ingranaggio azionato da altri ingranaggi e che a sua volta ne innesca altri. Se in molti casi le macchine hanno semplificato il lavoro manuale al punto da aver ridotto l'operaio alle funzioni di accensione sorveglianza pulitura carico e scarico coloro che la fabbricano le montano le dirigono e le riparano devono a causa della complessità crescente della meccanica possedere conoscenze scientifiche e competenze tecniche più sofisticate. Del resto gli operai non sono stati completamente soppiantati poiché le macchine non possono svolgere le loro mansioni più complesse. Di solito si contrappongono operai specializzati a manovali pensando che questa distinzione di fondo origini due classi distinte. Se gli operai si "classificano" in funzione delle proprie competenze e sulle loro capacità potenziali che devono fondarsi non sulle condizioni di lavoro imposte dall'esterno. La difficoltà di marcare il confine tra questi gruppi non è ragione sufficiente per ritenere che non ve ne sia uno. Ci si potrebbe basare sulla durata media dell'apprendistato necessario per alcuni mestieri che potrebbe apparire indicatore oggettivo del suo livello di qualificazione tuttavia nelle condizioni attuali di rapida trasformazione dell'industria l'apprendistato non è più la condizione necessaria per l'accesso a una professione. Le professioni non sono più chiuse per cui i padroni possono essere interessati a impiegare operai meno formati che hanno meno esigenze e competenze minime per il compito che devono svolgere. È anche possibile che una determinata attività possa essere svolta da operai diversi da quelli che in passato non erano specializzati. Il progresso tecnico il mutamento sociale l'evoluzione economica complessiva possono rendere obsolete alcune professioni. In paesi diversi una stessa professione può essere più o meno nobile e gli operai ricevere salari più o meno alti. Del resto è quasi impossibile rintracciare casi in cui una categoria di operai abbia protestato contro gli alti salari di un'altra. Tutti sentono che la classe operaia trae generale profitto dalle richieste più alte della propria Élite. Certamente l'unità della classe operaia non è apparsa sempre pienamente conforme agli interessi di tutti i gruppi operai. Molti hanno sofferto della crescita indefinita della disponibilità di manodopera durante il corso del XIX secolo e della concorrenza che ciò ha innescato. gli operai hanno la percezione che il progresso di una categoria non nuoce alle altre. Non soltanto è possibile che la crescita dei salari sia innescata dagli operai specializzati ma percepiscono pure l'utilità di consolidare i vantaggi acquisiti dal basso. Di qui la partecipazione degli operai a scioperi di solidarietà nei quali si tratta di appoggiare le rivendicazioni di colleghi meno qualificati o l'accettazione di quelle uniformi salariali che sembrano riaffermare il principio per cui "a lavoro qualitativamente diverso uguale Salario". Tra i manovali non si segnalano sentimenti di ostilità e di invidia nei confronti delle elite operaia. Questo dipende forse dal fatto che tutte le professioni operaie sono manuali che differiscono tra loro soltanto per intensità. al contrario il lavoro intellettuale è nettamente isolato è distante dal lavoro manuale ed è facile che l'operaio sia indotto a interpretare tale isolamento come una forma di ostilità o di disprezzo. l'atteggiamento degli operai specializzati è forse completamente diverso ed è accaduto che abbiano provato a formare una sorta di aristocrazia operaia completamente impermeabile. Per comprenderlo non basta osservare le strategie molto varie che hanno adottato. Il fatto che nei congressi e sui giornali di corporazione non emerga un conflitto esplicito tra gli operai qualificati e gli altri potrebbe significare che abbiano tutti convenuto sull'utilità della lotta comune che vada oltre le linee di frattura che continuano a esistere e che ancora percepiscono. La superiorità tecnica si vede nell' oggetto prodotto ma è un apparizione fugace perché quel prodotto si confonde subito nella massa degli altri. Per di più viene immediatamente modificato nella forma vi vengono aggiunti altri pezzi e diventa impossibile distinguere l'apporto dei singoli all'opera collettiva. Gli operai che si radunano attorno a un gruppo di macchine e le loro attività interrelate in un sistema complesso di produzione non corrispondono ad altrettante rappresentazioni collettive o di Classe; sono elementi che piuttosto spingono gli operai a prendere maggiore consapevolezza del loro isolamento di fronte alle forze della materia. La distinzione derivante dal progresso nella divisione del lavoro tra manovali preposti alla conduzione delle macchine e operai specializzati incaricati di costruirle o di ripararle non determina una divisione dell'insieme degli operai in due classi gerarchicamente disposte; piuttosto mette in luce come tutti gli operai che partecipano al progresso di produzione devono rinunciare a ogni iniziativa personale e diventare delle parti meccaniche senza autonomia. Per studiare la piccola industria può essere utile rifarsi al suo periodo di massimo splendore cioè il contesto della produzione artigianale. Solo apparentemente il lavoratore aveva in questo contesto più indipendenza e maggiore contatto con i bisogni e le attività tipicamente umane. Egli basta a se stesso non è un artista,ma deve possedere una concezione complessiva dell'opera e delle abilità tecniche. Non gli ha richiesto di essere uno specialista nel senso moderno del termine ma deve avere le conoscenze necessarie per la produzione e per la trasmissione della capacità produttiva deve possedere cioè una sorta di cultura integrale. Emergono allora le inclinazioni personali naturali ho appreso i procedimenti che vengono trasmessi e perfezionati; la sensazione di essere soltanto un oggetto un ingranaggio fermo e immutabile scompare. L'artigiano non si limita a ricevere ed eseguire gli ordini delle persone con le quali entra in rapporto; avanza proposte al cliente è più che imporre gli consiglia determinate modifiche o miglioramenti a cui quest'ultimo potrebbe non aver fatto caso e che invece l'artigiano ha elaborato attraverso la sua riflessione. Sono preoccupati della qualità più che della quantità. sotto il profilo tecnico dunque il lavoro artigiano è quello dell'operaio moderno sono profondamente differenti già che nei processi tecnici del primo vi è ogni sorta di rappresentazione umana: più iniziativa e meno meccanicismo. quindi non è possibile rintracciare una linea di frattura netta tra l'artigiano il commerciante e libero professionista. la corporazione ha perduto il suo carattere originario e si è trasformata in un organo di sfruttamento amministrazione e regolamentazione al servizio dei grandi proprietari associati. Gli operai potevano lavorare unicamente per i membri della corporazione che li soggiogava attraverso prestiti di capitali di strumenti e di materie prime e imponeva loro i propri salari. Importa poco che questi piccoli produttori siano o meno alle dipendenze di una grande impresa centrale poiché la moltiplicazione di imprese dello stesso tipo rende molto più facile stringere relazioni finisce che il sistema stabilisce un cartello dei salari e dei prezzi a cui tutti i piccoli imprenditori devono conformarsi. Le condizioni del lavoro artigiano sono sempre più simili a quelle degli operai della grande industria: non è dunque nelle sue condizioni tecniche che è possibile rintracciare l'origine delle specifiche rappresentazioni di classe. 2.3 La nozione di salario Analizziamo il rapporto del lavoratore con i suoi superiori. Consideriamo i rapporti tra le seguenti coppie: schiavo e il padrone, artigiano cliente, libero professionista e imprenditore, lavoratore a domicilio e di grandi magazzini i primi elementi di ogni coppia rappresentano lavoratori di condizione giuridica molto differente di cui sarebbero consapevoli anche se tutti volgessero il medesimo lavoro con i medesimi tempi le stesse complessità e le stesse dotazioni tecniche. Spesso tra operaio e padrone la distanza è minima soprattutto se un giorno l'operaio potrebbe divenire imprenditore egli stesso. È stato osservato che nel lavoro a domicilio per evitare di dover gestire i rapporti con troppi operai i datori di lavoro distribuiscono grosse commissioni; capita allora di frequente che gli operai subappalti no il lavoro diventando a loro volta imprenditore. Vi è poi il caso della piccola impresa indipendente in cui l'operaio spera di potersi in futuro mettere in proprio e in cui sussistono condizioni molto molto particolari. Spesso qui il principale è un maestro artigiano da cui l'apprendista impara un lavoro che faticherà altrove e nella grande industria. Talvolta tra i due persiste l'antico legame corporativo che legava mastro e apprendista fondato sull'idea che l'apprendista diventerà a sua volta un giorno maestro. Nella maggioranza dei casi l'operaio rimarrà tale ma poiché lavora affianco con il principale ne svolge la medesima attività e nel laboratorio si è in pochi i rapporti assumono un carattere familiare proprio come in agricoltura avviene per il piccolo fattore i suoi aiutanti. Il padrone appartiene a un gruppo sociale completamente diverso in cui anche volendo non hanno alcuna speranza di entrare gli operai. Altre volte può capitare che il datore sia a sua volta un impiegato alle dipendenze di un grande industriale e che non venga percepito come totalmente autonomo. Altre volte ancora può darsi che l'operaio sì rappresenti gruppo di soci ancora più invisibili come una moltitudine di azionisti. Evidentemente i principali ispirano ai dipendenti una gran varietà di sentimenti individuali e del tutto personali. Quando un comparto industriale e in crescita nei paesi in cui i datori di lavoro dedicano. Pagamenti spontaneamente di incentivare con incrementi salariali lo sforzo produttivo degli operai tra gruppi capitalisti e collettività operaie possono nascere relazioni amicali soprattutto se entrambe le parti comprendono che la loro momentanea Intesa e l'unico modo per approfittare rapidamente delle circostanze. raggruppamenti embrionali di questo tipo potrebbero emergere solo qualora nella coscienza della classe operaia prendesse forma universale la condizione che accomuna tutti indistintamente quella cioè del salariato. ammettiamo che la produzione artigiana e la piccola impresa per sopravvivere in un sistema economico sempre più dominato della grande industria si siano dovute piegare e adattare a nuove condizioni. Le trasformazioni non attendono solo la tecnica: anche il rapporto tra operaio e datore di lavoro e multato essendo stato abbandonato il modello tradizionale della corporazione in favore di quello della grande industria; in questo senso l'adattamento del salario degli Artigiani è ancorato agli andamenti del tasso di salario della grande industria. Nella grande industria la definizione di salario non risponde a leggi naturali ma segue regole variabili diverse da comparto a comparto. Complessivamente e secondo varie modalità la remunerazione e essenzialmente di due tipi: a tempo e cottimo. valore del lavoro permettendo in qualche modo di quantificarlo e sia dunque imperativo impedire che questo valore venga falsato da una riduzione dell'orario lavorativo. in alcuni casi quest'idea collettiva si scontra con i progetti del padrone ma nella maggior parte dei casi va invece a suo vantaggio. Grazie a questa sorta di conservatorismo degli operai il padrone può permettersi di non modificare immediatamente i salari quando i prezzi crescono cedendo alle loro rivendicazioni solo quando ormai attratto ampiamente profitto dalle circostanze. 2.4 Conclusione Ci siamo chiesti se in generale si potesse parlare di una classe operaia e se esistesse un complesso di rappresentazioni comuni a tutti gli individui o meglio a tutti i gruppi empiricamente definibili come operai oppure se al contrario non predominasse ero in alcuni gruppi single e rappresentazioni diverse dalle precedenti e tanto specifiche da costituire un principio di distinzione tra gruppi. tenendo conto delle diverse tipologie industriali ne abbiamo dedotto che l'idea che sia di un certo compatta industriale non è affatto connessa all'idea di un determinato rango sociale a cui accederebbe tv opera; pertanto non è su questa idea che può fondarsi una rappresentazione di classe. infine considerando la più abituale distinzione fondata sulle competenze tecniche e non più sull'organizzazione industriale abbiamo notato che accanto alla difficoltà di tracciare una linea di demarcazione netta tra le mansioni cosidette qualificate e le altre non si riscontrano sentimenti di ostilità ho di esclusione che oppongono il gruppo dei manovali a quello degli operai specializzati. attraverso l'analisi di tutti questi punti di osservazione abbiamo potuto cogliere i tratti essenziali della funzione degli operai: indipendentemente dagli oggetti che lavora l'operaio è un uomo il cui lavoro metti in relazione con la materia e non con altri individui e isolato di fronte alla natura e si scontra soltanto con forze inanimate. ancora l'operaio è un uomo che deve piegare le proprie azioni a ritmo delle macchine deve coordinare i propri gesti con quelli dei suoi colleghi riproducendo così il gioco meccanico degli attrezzi come se la materia potesse essere domata soltanto sottomettendosi a leggi altrettanto regolari e impersonali di quelle naturali. infine l'operaio è un uomo che manovale o operaio specializzato non deve prendere iniziative ma deve diventare rimanere uno strumento saldo e ben adattato o a una mansione che semplice o complessa che sia e comunque monotona. Nella condizione di isolamento in cui abitualmente si trova e nei tempi di pausa che gli consentono di pensare e provare emozioni l'operaio avverte certamente la mancanza di una vita sociale e l'impossibilità di stringere legami con altre persone. Osserviamo a questo punto che una rappresentazione e sociale solo nella misura in cui essa abita in un individuo calato nella società che a sua volta gliela impone. E bene questa sensazione di manchevolezza e di sofferenza solitudine è condivisa più o meno intensamente da tutti giàcche l'individuo è abituato alla società e trova naturale vivere in essa e cioè indubbiamente sociale. In effetti è la società stessa a imporsi l'idea che ci sia naturale vivere in essa è che quando ne veniamo estratti e strappati i sentimenti che proviamo sono originati dal sociale. Nondimeno questi sentimenti possono essere individuali o sociali: - individuali ad esempio nel caso di un operaio a domicilio o di un prigioniero rinchiuso nella sua cella ho ancora di lavoratori di fabbrica che non si confrontano sulle loro condizioni di lavoro. - sociali nei casi in cui si imporranno alla coscienza degli operai opinioni e idee sviluppate nel gruppo e non più impressioni personali nate e maturate nella solitudine morale dell'officina. Da un lato quindi le nozioni sin qui analizzate ossia quelle relative alla tecnica all'organizzazione alle capacità all'attività industriale e artigianale e alle mansioni; dall'altro le rappresentazioni che abbiamo appena citato originate in tutti i gruppi da una riflessione comune circa i rapporti con il padrone i clienti. In graduale e progressivo combinarsi reciproco di queste nozioni conferirà loro valore sociale. gli operai della piccola e della grande industria così come quelli della produzione artigianale non accettano distinzioni operate sulla base del loro comportamento collettivo nei confronti del datore di lavoro. Considerato sotto questa angolazione il loro comportamento sembra dipendere più dalle circostanze che dalla condizione oggettiva. nella grande industria possono esservi molte modalità di definizione del salario tuttavia non si deve pensare che il salario a ore e quello cottimo siano diversi e neppure che lo siano i lavoratori che li percepiscono solo perché il secondo garantirebbe una remunerazione meglio proporzionata allo sforzo. al di là di queste distinzioni piuttosto poco significative la nozione di salario è chiarissima alla coscienza della classe operaia anzi probabilmente ne costituisce il nocciolo. In tutta la produzione l'operaio è l'unico a non speculare tuttavia questa è soltanto una caratteristica di negativo del salario. abbiamo rilevato che quando chiede un aumento del salario l'operaio anzi la collettività operaia percepisce l'esistenza di un rapporto quantitativo tra salario medio e livello dei prezzi. La condizione dell'operaio differisce da quella dell'impiegato o del funzionario che come lui non sono commercianti ma i quali vengono retribuiti contemporaneamente il lavoro l'anzianità di servizio lo zelo e le qualità intellettuali o morali. e soprattutto in questo senso che la condizione operaia si oppone più chiaramente a quella del datore di lavoro quest'ultimo specula sui salari sulla differenza tra salari e prezzi sui salari nelle diverse ragioni e nelle diverse industrie e ciò che gli consente questo genere di speculazioni è proprio la possibilità di considerare il lavoro operaio come una pura quantità. abbiamo detto che l'operaio isolato di fronte alle forze materiali privato nessun lavoro di ogni rapporto umano non è necessariamente indotto a considerare la sua condizione come un fatto sociale ma può limitarsi a considerarla come un dato individuale. Viceversa la nozione di salario e di salariato che abbiamo definito è una rappresentazione sociale. l'individuo non potrebbe concepirla in solitudine. e infatti necessario che possa comparare la sua situazione e quella del gruppo di operai di cui fa parte e a quella di altri gruppi. comparazioni di questo tipo sono possibili soltanto entro una coscienza sociale e possono essere espresse soltanto in termini sociali. non si comprende quale nozione sociale di base avrebbe potuto generare una coscienza di classe. neppure l'idea di salario appare sufficientemente chiara se non come una concezione generale del rapporto che lega l'operaio e datore di lavoro. gli operai protestano perché i commercianti comprano le loro merci a un prezzo inferiore a quello precedente. da un lato quindi lo sviluppo del patrimonio patrimonio mobiliare e la crescita del commercio e della speculazione hanno progressivamente trasformato le condizioni dell'industria modificando le tendenze e le abitudini degli industriali. Dall'altro gli operai della grande industria sono diventati sempre più emblema della classe operaia a cui hanno imposto le loro concezioni correnti. La formazione e la crescita di gruppi opera la loro organizzazione finalizzata alla critica delle condizioni di lavoro di scioperi e gli accordi con i padroni hanno preparato gli operai a riconoscere l'unità della loro classe, mostrare che esiste. LIBRO III Le tendenze di consumo. Contributo a una teoria sociologica dei bisogni. 1. La teoria individualista Bisogni delle persone possono essere classificati in vari modi. A questo punto rimane da comprendere su quali basi si fondi questa classificazione individuare quale teoria dei bisogni possa renderene adeguatamente conto. In via preliminare possiamo supporre che non esistano le coscienze le rappresentazioni sociali e nemmeno alcun tipo di bisogno sociale cioè di bisogno non spiegabile come una semplice giustapposizione o combinazione di bisogni individuali. I migliori psicologi ci insegnano che, procedendo per astrazione a partire dalle abitudini diffuse nella società, ci si rende conto di come le categorie e le divisioni semplici e nette che danno il passo a tutta la varietà di tendenze individuali. Parliamo del bisogno alimentare. Alcuni bisogni, come verdure carne eccetera seguono uno sviluppo autonomo e riescono a influire su tutti gli altri facendoli contrarre, se non addirittura acquistare una posizione dominante. Spesso entrano in conflitto fra loro, poiché, se crescono eccessivamente, da un lato non sarà possibile disporre dei mezzi pecuniari per soddisfarli tutti e, dall'altro, lo stesso organismo umano finirebbe per non sopportarli. Potremmo procedere parimenti anche per gli altri bisogni. Il bisogno relativo alla abbigliamento è un bisogno complesso e che fa riferimento istinti differenti l'istinto di proteggersi dalle intemperie, il pudore, l'igiene, il decoro, l'istinto di piacere, l'istinto del lusso, per citare i più evidenti. Appare logico che un nucleo familiare stabilisca anzitutto una somma complessiva da dedicare l'abbigliamento per determinare poi la cifra necessaria agli indumenti da lavoro, alla biancheria, agli articoli di lavanderia e simili, e quindi quella da dedicare agli articoli che nutrono il desiderio di piacere agli altri o di manifestare la ricchezza di chi le indossa. Non è così che vanno le cose: può essere che un oggetto di lusso ho un vestito elegante vengano acquistati a dispetto del fatto che servono scarpe d'uso comune, che stia per scalare l'affitto. l'ammontare della spesa per l'abbigliamento non sarebbe altro, in questo senso, che la media di somme spese per rispondere a bisogni diversi tra loro e che possono venire sborsate indipendentemente da tutte le altre. parliamo del bisogno relative all'abbigliamento genericamente inteso per me era consuetudine e perché nella nostra mente siamo abituati a unire bisogni di tipo diverso, soddisfatti da oggetti che indichiamo con lo stesso vocabolo, Che riponiamo nel medesimo armadio e che possiamo acquistare in un unico negozio. una simile relazione è del tutto artificiale e nulla toglie al fatto che si tratti di bisogni radicalmente diversi e che tali appaiono se fosse arrivati a livello dell'organismo o della coscienza individuale. Infine raggruppare in un'unica categoria gli altri bisogni è un'operazione altrettanto artificiale. Già nell'etichetta vi è l' implicito riconoscimento che si tratta di bisogni eterogenei. Tuttavia, il Fatto che vengano contrapposti ha bisogno di altri tipi sembrerebbe conferire loro una certa unitarietà, come se rappresentassero il margine che, in ogni gruppo, rimane gli individui per soddisfare bisogni straordinari o di lusso. Potremmo a pieno titolo inserire qui anche il bisogno di finti colli e cappelli però per un operaio, il bisogno di tabacco e per quel che concerne i non operai, il bisogno dell'ascensore, che non hanno una parentela stretta con il bisogno relativo alla abbigliamento, all'alloggio o al sostentamento. Tutte le categorie azioni Di cui ci si avvale non sono in realtà che associazioni di idee, fondate perlopiù su consuetudine linguistiche, commerciali o di altra natura. Modo separato il bisogno alimentare, quello relativo l'abbigliamento, quello per l'alloggio e le altre spese, come se fossero tendenze indipendenti, significa dunque assegnare loro un valore di realtà, senza però spiegare da dove lo traggano. Abbiamo detto che è opportuno evitare di riferirsi al bisogno di inventare in termini generali, distinguendo invece il bisogno di bevande da quello di verdure e così via. non possiamo limitarci a questo, in realtà ognuno di questi bisogni può variare in base alle circostanze, agli umori, alla natura degli altri bisogni qui è stato accidentalmente raggruppato, tanto che sarebbe meglio evitare di usare financo la stessa parola per designarli, distinguendo opportunamente il bisogno di acqua Virgola quello di bevande zuccherate, quello di vino o quello di alcol. Riguardo all'acqua non ci troviamo di fronte a un unico bisogno, ma a un unico getto che in grado di rispondere a più bisogni differenti, senza però per questo poter fornire al gruppo un'unitarietà che non gli ha dato possedere sei bisogni vengono osservati come mere tendenze individuali. In sintesi, se concepiamo i bisogni come stati individuali di coscienza ci accorgiamo che, più caliamo in profondità nell'analisi, più i bisogni sembrano risolversi in una molteplicità di attitudini psicologiche, fino al punto da privare di ogni verosimiglianza l'idea di unitarietà che attribuiamo ai bisogni essenziali, solitamente nominati con un unico termine nella società. Se un nucleo familiare vuole prevedere le spese e fare in modo che ciascuna di esse si mantenga entro limiti predefiniti, non può far altro che raggrupparle in un numero limitato di voci. Se si trattasse di categorie artificiali, che raggruppano bisogni senza alcuna naturale relazione di parentela nella nella realtà, non si capirebbe come mai rimangono le medesime in tutti i nuclei, né per quale motivo la ripartizione delle spese conti il medesimo numero di quadri e perfino i medesimi quadri, quasi che ci fosse uno scherzo schema a ispirarla. La persistenza di un tipo psicologico originario non basta spiegare gli attuali somiglianze tra alcuni individui sul piano dei bisogni: si sono susseguite troppe deformazioni abitudini, l'uomo è stato troppo influenzato dalle circostanze. Nessuno psicologo vorrà affermare che i bisogni primari, per il solo fatto di dover essere soddisfatti sempre allo stesso grado e nelle stesse circostanze, si conservino immutati anche nell'intensità e nella forma. Rimarchiamo che un sicuro risultato della nostra analisi è che la gerarchia delle spese è direttamente correlata alla composizione familiare e al tasso di reddito, solo un miracolo potrebbe far sì che persone della stessa natura si raggruppino in funzione di questi due parametri. Quando acquista prodotti alimentari, non tratta sul prezzo, considera il prezzo come una parte della sostanza stessa della merce che sta acquistando, dotato della stessa naturalità. Se gli alimenti valgono quel che costano, l'utilità e il piacere per l'organismo saranno proporzionali al prezzo pagato. L'immagine degli scaffali di un negozio alimentare, con indicati i prezzi, s'impone alla coscienza dei clienti, che credono di vedervi riflesso delle proprie valutazioni invece che riconoscere che è proprio da lì che se in genere traggono origine. Tutti evitano dal merciaio, dal sardo e dal commerciante di vestiti, mercanteggiano, fanno vari tentativi, oppure, se i prezzi sono fissi, cercano il prodotto più a buon mercato. In questo settore non sia l'abitudine di associare un determinato prodotto a un determinato prezzo e preoccupati di fare un cattivo affare, si finisce per scegliere l'articolo più conveniente, nel tentativo di dimostrare che non si è sprovveduti, o almeno non del tutto. Si cercano condizioni Simili a quelle del settore alimentare, preferendo abiti di corta durata, ma di prezzo contenuto, dell'idea che in questo caso lo scarto tra il valore reale e il prezzo sia minore di quello che sia nei capi costosi. Comunque la si voglia guardare, per l'operaio la trattativa più difficile da sostenere è quella con il padrone di casa. Il rapporto tra l'affitto richiesto e l'alloggio ottenuto il sembra talmente elastico che quando gli affitti aumentano, non trova motivi di protesta. Per una larga parte degli operai l'affitto è una sorta di tassa a cui è lecito sottrarsi appena possibile. Se il bisogno alimentare, come abbiamo ricordato poco sopra, viene pagato mediante frequenti spese di entità contenuta, è plausibile che sia anche il più difficile da contenere. Benché gli alimenti abbiano prezzi molto definiti e prevedibili è più facile calcolare in anticipo la spesa annua per l'alloggio e l'abbigliamento che stimare la spesa alimentare di un solo mese. Il reddito non è mai completamente prevedibile e durante l'anno è sempre possibile ridurre le spese per l'alloggio e l'abbigliamento. La spesa alimentare e quindi sempre suscettibile di variazioni, passando dalla cifra strettamente necessaria per vivere a quella che è possibile ottenere contraendo al massimo tutti gli altri bisogni. Se si è speso troppo rispetto quel che si guadagna, si può pensare di correre ai ripari già la settimana successiva, spendendo meno. non si può fare lo stesso con le spese per l'alloggio o per l'abbigliamento, in questi ambiti compensare una spesa smisurata economizzando sulla successiva significa aspettare il momento in cui sarà necessario comprare un altro vestito, magari sei o 12 mesi più tardi, o cambiare casa. Programmi di questo genere, tuttavia, vengono spesso disattesi. Abituarsi a consumi sovradimensionati, infatti, non è scevro da conseguenze, si sviluppano gusti e tendenze che è assai difficile ridurre. A questo proposito sinottiche, per via di quella che abbiamo detto essere la sua forma, cioè una serie di piccoli soddisfacimenti ravvicinati nel tempo, il bisogno alimentare rischia continuamente di oltrepassare i limiti, quindi Brando il bilancio. Per l'abbigliamento e l'abitazione tutto ciò ha un significato è una sorta di Contenuto sociale. La classificazione dei bisogni che ci troviamo davanti non può che essere, dunque, opera della società, vivendo in società, le persone avvertono l'esigenza di prevedere e calcolare in anticipo l'entità delle spese, nell'intento di poter soddisfare tutti i bisogni nel modo in cui li soddisfano gli altri membri del gruppo. Contenere al minimo le spese per l'abbigliamento e per l'alloggio, consacrando tutto il resto del reddito al cibo, il livello più elementare di programmazione, la più grezza forma di vita sociale. Concludendo possiamo affermare che quanto più le previsioni sono a lungo termine, tanto più i bisogni corrispondenti potranno essere definiti sociali. 2.2 La materia dei bisogni 2.2.1 Gli oggetti dei bisogni La società non solo obbliga gli individui a essere previdenti nel soddisfare i propri bisogni, ma determina in anticipo la tipologia e la quantità degli oggetti tra cui potranno scegliere. Anche se la situazione non è esattamente così incontrovertibile che la scomparsa delle tradizioni locali e lo sviluppo della grande industria stia progressivamente uniformando cibo, abiti, case mobili, almeno all'interno di altri gruppi punto a capo possiamo immaginare, senza troppo concedere la fantasia, che esistano organizzazioni economiche e persone tanto diverse per temperamento e Costituzione da richiedere agli artigiani e ai commercianti oggetti particolari in grado di rispondere ai loro specifici gusti. Possiamo considerare che, in presenza di un importante centro storico chi ha invitato l'insorgere dei grandi magazzini, ciascuno scelga dove rifornirsi. Anche in questi rari casi, dato che i piccoli commercianti sono decisamente meno numerosi dei clienti, il gusto e le scelte della clientela non sfuggono ai limiti imposti dal mercato. Accanto la massa invece cede, modifica i propri bisogni e li adatta alle nuove condizioni. Tuttavia, anche quando resiste, la massa non fa altro che ri dirigersi verso articoli già noti, abbandonati da più o meno tempo: si rassegna a girare in tondo nell'orizzonte di bisogni socialmente determinati. E nella maggior parte dei casi, non oppone resistenza alcuna, anzi sembra che sacrificare i propri gusti individuali, modificando abbondantemente le proprie disposizioni fisiologiche in base alle variazioni della moda e dell'Industria, l'abbia resa ancor più adattabile. Si farà presente la crescente attenzione che le classi elevate riservano all'igiene e allo sviluppo fisico: ci si mette a dieta e si rinuncia agli alcolici, ti tengono areate le stanze giorno e notte, si fa attenzione a non coprire molto i bambini e si esce senza soprabito per rinvigorirsi L'esercizio fisico acquista sempre più importanza, si è diffusa la moda degli sport invernali. Nel suo saggio educazione intellettuale, morale e fisica Spencer afferma che si tratta di pratiche assurde: a suo avviso la dieta vegetariana e debilitante, i bambini di campagna paffuti e rosei sono floridi solo in apparenza e far circolare scoperti i bambini equivale a privarli di una gran parte della loro energia vitale, sottoforma di calore che si disperde. è curioso come il più indifeso individualista del XIX secolo si scagli deliberatamente contro la visione proposta nel secolo precedente da Rousseau. anche se ti sbagliassi e queste nuove abitudini fossero salutari rimane il fatto che se non derivano dalla natura, né dall'istinto, ma dalla scienza, cioè da un insieme di affermazioni che la società a formulare e ad accettare. Ma non è certo solo dalla scienza che derivano Con l'affermazione della grande industria e la nascita della classe operaia, Questi tratti dell'aspetto e della vita quotidiana hanno perso le loro funzioni. Gli operai trascorrono la maggior parte del giorno al chiuso, in fabbriche Dall'aria pesante viziata, e all'uscita si stipano nei quartieri di città, ben lungi dall'aria e della luce dei campi. nei loro volti affaticati e tesi, nel fisico così spesso anemico, si legge tutto lo sfinimento di un lavoro estenuante, più intenso e monotono Di quello agricolo, tutta la durezza della loro condizione di vita e di lavoro. Il miglior modo per palesare una vita ricca e agiata è sembrare tonici in salute, dimostrando di poter dedicare tempo ed energie in quantità a Sport di ogni genere. Atteggiamento che se portato agli estremi, come non di rado accade, poco a che vedere con il reale benessere delle persone e con un complessivo sereno equilibrio delle facoltà umane. Al di là di tutte queste trasformazioni, l'operaio continuo a seguire e soddisfare le posizioni del corpo più di quanto non faccia chi appartiene classi elevate, persone di questo rango, anche a tavola ragionano di più e tendono a diffidare dei propri gusti, tanto che accetterebbero con meno fatica di altri l'ipotesi di nutrirsi di cibi insipidi sintetizzati chimicamente. dato che per vestirsi dispongono di un guardaroba adatto alle più diverse occasioni o all'occhio, con capi di vari modelli, realizzati con stoffe raffinate, morbide e leggere, si pensa che si sentono meglio dei propri abiti e che lo stesso valga per le loro abitazioni che, arredate, illuminate e riscaldate a piacimento, confortevoli e appaganti alla vista, sono espressione dell'originalità di ognuno. I bisogni fisici a cui è chiamato a rispondere l'abitazione sono minimi è sempre identici, sedersi, svegliarsi, eccetera. Sono questi i primi che so vengono alla mente entrando in un alloggio operaio, diretta espressione dei bisogni a cui risponde, di cui si capiscono subito il tempo è l'intensità, fino a intuire dalla luminosità degli ambienti, dal grado di isolamento dai rumori esterni o dalle sedie e dei letti più o meno confortevoli se vi abitano persone rudi o delicate. al contrario in un interno facoltoso, ciò che concerne i bisogni fisici in quanto tali valsa decisamente meno all'occhio, mentre a capire l'attenzione sono l'arredamento ricco ed elegante e gli ambienti raffinati a partire proprio da ciò che mira a soddisfare i bisogni sociali. In sostanza, che la società ha il potere di deformare e modellare a piacimento la sensibilità fisica degli individui. D'altro canto, in virtù di questa stessa plasticità sensibile, potrebbe essere che la vita sociale non impoverisca, come sembrerebbe in apparenza, la vista organica, e anzi la arricchisca. Vestirsi con panni puliti di fresco regala una piacevole sensazione fisica come per lo più di natura fisica e il piacere che si ricava da una casa ben tenuta, dove tutto, le forme, i colori, comunicano ordine e armonia. Nel menù delle famiglie ricche tornano alimenti semplici, particolarmente apprezzati;; l'uso di abiti da casa, la presenza, anche in alloggi lussuosi, di stanze arredate in modo semplice, dando priorità al comfort, robuste sedie a dondolo a fianco delle normali sedie e di delicate poltrone, sembrano rispondere a bisogni fisici. Del resto sarebbe sbagliato interpretare questo lato della vita sociale unicamente nei termini di una sopravvivenza del primitivo nel sociale come segno cioè di un bisogno periodico dell'uomo di dimenticare la società è i limiti che essa impone. Comunque stiano le cose, la vita sociale è in grado di ampliare la nostra sensibilità fisica, combinando e associando insieme sufficientemente sistematici sensazioni molto diverse per tipo, natura e intensità. Un alimento non è più apprezzato in quanto tale, ma soprattutto per la posizione e ruolo che riveste nel pasto, proprio come nell'abbigliamento il valore di un particolare dipende dal rapporto che intrattiene con altri dettagli e con l'insieme. Unico piacere, siamo sempre più portati a preferire un insieme di piaceri in perfetta armonia, e le nostre scelte sono comuni a tutto il gruppo che condivide i nostri stessi desideri. Poiché insieme di questo genere esprimono un'esperienza sociale che ci oltrepassa, abbiamo la possibilità di sperimentare e saggiare tutte le sensazioni che ne fanno parte, comprese quelle a noi ancora sconosciute. Dunque gli oggetti che la società offre non solo non ci suscitano le sensazioni fisiche che potrebbero produrre in individui isolati sotto l'esclusivo controllo degli impulsi primitivi, ma ma vedendoli ci rappresentiamo tutto un insieme di oggetti che per noi vi si legano, e la soddisfazione che pensiamo di poterne è insensibile da quella che potremmo trarre dal insieme. 2.2.2 i principi dei bisogni è vero che quando una famiglia deve far fronte a scelte in merito all'alimentazione, all'abbigliamento all'abitazione, il padre e la madre, manchi altri parenti o figli grandi, intervengono con osservazioni personali e talvolta si confrontano fino a un accordo. Ma l'idea dominante, il punto di partenza e di arrivo di tutta la discussione, e quale sia il massimo vantaggio per la famiglia intesa come un unità. Il sentimento sociale si presenta in due modi, si potrebbe dire in due luoghi diversi, a seconda che si mantenga interno alla cerchia famigliare o al contrario che nei varchi confini punto a capo Nel primo caso le scelte di consumo si fondano sull'idea del ceto sociale a cui la famiglia pensa di appartenere, nel secondo le persone cercano invece di essere apprezzate da un gruppo sociale più ampio di cui la famiglia non è che un frammento. Nella vita quotidiana virgola questa altitudine si palesa in uno dei principali compiti della famiglia, l'educazione dei figli, che deve essere adatta allo scopo. Negli individui l'atteggiamento, il linguaggio, le idee, i giudizi, le abitudini, cioè tutto ciò che sta alla base della coscienza di classe è più di tutto la rivela, resistono, inscalfibili e invariati, alle peripezie della vita è perché sono stati appresi in tenera età in famiglia e sono carichi di una dimensione affettiva. Può accadere che la famiglia interpreti fino all'eccesso questa funzione educativa rivolta a rango sociale, finendo per sacrificare i sentimenti individuali, vi sono genitori che rinunciano alla presenza dei figli poiché lo ritengono necessario a mantenere il rango sociale raggiunto o che introducono norme di galateo fredde e un contegno apparentemente distaccato solo perché di bon ton. Inutile insistere, a tal proposito, sui casi in cui il sentimento di classe è così inteso da garantire da solo la coesione familiare o da condurre il disconoscimento di un membro della famiglia. In genere sì nota che chi è impegnato, con maggior o minor successo, a ottenere una posizione sociale più elevata di quella di partenza, tende anche ad avere un legame sempre più debole con la propria famiglia d'origine. È proprio la volontà di offrire un'immagine positiva della famiglia a spingere questi eccessi che ne mineranno poi l'unità il benessere: il marito diventa un alcolizzato a forza di compiacere gli altri, la moglie, da parte sua finisce per prendere gusto ai vestiti di lusso che inizialmente indossava solo per avere l'aria di un'agiata padrona di casa. Dunque chi fa parte di un nucleo familiare può pensare o che sia la famiglia a riconoscersi un certo rango o che questo riconoscimento passi dalla società. Benché queste due aspirazioni, ho due aspettative, siano strettamente connesse, quando si lavora si principi dei bisogni e Bene distinguerle: si tratta infatti di tendenze, e quindi di bisogni, che si limitano a vicenda e che talvolta entrano in diretto conflitto. Nel calcolare la spesa per il vitto e nello scegliere i prodotti alimentari le famiglie paiono non curarsi molto l'aspetto. Più si va in questa direzione, più un mobile è in grado non solo di adattarsi ai nostri bisogni, ma soprattutto di rispondere, complessivamente e nei singoli dettagli, al bisogno che si sviluppa più lentamente e più di rado, ma che anche il più speciale di tutti: il bisogno del lusso. Nei livelli sociali molto elevati, questo aspetto passa apertamente in primo piano, tanto che scompaiono oggetti finalizzati esclusivamente a questo scopo, sempre più numerosi e centrali per importanza via via che si risale la scala sociale, ad esempio vasi di fiori, statuette, eccetera. Sappiamo quanto possono Spendere gli operai per l'alloggio e immobili in proporzione reddito. Abbiamo analizzato i loro diversi bisogni, notando come quello abitativo sia poco sviluppato. Nel realizzare la propria casa gli operai mediamente non si curano molto degli altri, sia perché gli altri non saprebbero a loro volta valutare l'eleganza e il confort di un'abitazione, sia perché non li ritengono beni essenziali, sia perché del resto è raro il caso in cui si ricevono visite. Da un lato ci sono i parenti, gli amici intimi e vicini che hanno accesso alla casa più o meno regolarmente, Dall'altro, gli amici meno stretti, i compagni di lavoro, i conoscenti della zona, che sanno dove si abita e passano spesso davanti a casa, ma che rientrano assai di rado. In questo secondo caso quel che incide sono il tipo di quartiere e di strada dove si abita, il piano, l'ingresso, la scala. Nel primo caso, invece questi parametri non bastano a fare buona impressione, perché quel che più conta e di cui ci si prende quindi cura, è l'aspetto interno dell'abitazione. Bisogna anzitutto aver provato in prima persona la soddisfazione di ottenere un livello sociale elevato grazie al tipo di casa di cui si abita, per trovar piacere nel mostrarlo ad altri di aver cura del l'impressione che si può fare a degli sconosciuti. Possiamo concludere che nella classe operaia un nucleo familiare, nel decidere quanto soddisfare i bisogni relativi all'alloggio, metà al primo posto il proprio interesse e sicuri prima di tutto di garantire condizioni di vita appropriate rango sociale elevato È un tipo di abitazione che rafforzi l'impressione di averlo effettivamente raggiunto. Solo secondariamente, in misura decisamente minore, subentra la preoccupazione di quel che possono pensare della famiglia e del capofamiglia i vicini e tutti gli altri membri del gruppo sociale Di cui fa parte. Se c'è un campo Nel quale la coscienza collettiva si manifesta in tutta la sua potenza, questa è proprio l'abbigliamento. Non si potrebbe spiegare altrimenti come, dai 2 bisogni essenziali che i più ritengono all'origine dell'uso degli abiti, e cioè il bisogno di coprirsi per proteggersi dalle intemperie il bisogno di attirare gli sguardi con stoffe sgargianti. spesso queste due determinanti, diciamo così primordiali, è la determinante sociale entrano in conflitto: non è detto che gli abiti che si riparano meglio dal freddo durante l'inverno o che sono più freschi d'estate siano anche i più eleganti, le mise più vistose possono essere poco decorosi e Rasentare il cattivo gusto. Agisci qui lo stesso principio che abbiamo avuto modo di evidenziare riguardo all'abitare: Il lavoro, la vita domestica, i transiti di strada durante la settimana, infine i giorni festivi, le ricorrenze i momenti celebrativi e di rappresentanza di genere. La maggior parte degli operai non si cambia d'abito ogni volta che passa da una fase all'altra. Viene il cambio d'abito quando, all'uscita dalla fabbrica, ci si riversa in strada. In generale eraro il caso in cui non si cerchi di modificare anche solo qualche dettaglio, ma è ancora più raro che il cambiamento sia così radicale che passando gli accanto per strada non ci si accorga comunque che si tratta di un operaio. La strada sembra un luogo sociale dove ancora penetrano mescolandovi si le faccende di fabbrica, dove tra le rappresentazioni della vita sociale ti trovano immagini delle macchine, del lavoro materiale, gli operai ancora all'opera. Così in strada gli operai che hanno a malapena dato una sistemata è una spolverata all'abito da lavoro possono camminare a testa alta a fianco di operai che hanno sostituito il grembiule e la blusa con una giacca fuori moda, abiti della festa ormai sgualciti o vecchi vestiti di seconda mano. D'altra parte la differenza è tenue, chi ha abiti da lavoro nuovi, che cambia spesso, è guardato con più rispetto di chi è sì in abiti borghesi, ma rovinati e sporchi. L'abitudine di usare abiti di generi, forme e colori diversi ogni stagione è di natura sociale, nel senso che è il modo scelto dalla società, tra i tanti anche più pratici che sarebbero possibili, è imposto tutti gli esseri umani, a dispetto della loro intrinseca diversità, per soddisfare nelle diverse stagioni il bisogno di vestirsi. Facendo leva su questi due processi adattivi, la vita sociale porta a moltiplicare il numero è il tipo di vestiti di cui di sì si dispone nell'intento di soddisfare ogni bisogno con oggetti appropriati: la ricchezza e la varietà del guardaroba sono il primo indicatore del tenore di vita di una persona. Vantare molti vestiti e disporre di una tenuta per ogni occasione, a seconda della stagione, dell'ambiente, dell'occupazione acquisti intenti, non è però sufficiente. Si è ben vestiti che si indossano abiti nuovi e biancheria intima pulita, assecondando un bisogno sociale che richiama solo alla lontana il bisogno fisico di proteggersi dai parassiti e quello pratico di coprirsi con tessuti robusti in buono stato. Tra l'operaio in fabbrica e l'uomo di mondo la differenza totale. Il primo è un organismo alle prese con la materia, si sporca, si logora e si strappa nel maneggiarla, usando i tessuti, che ne subiscono tutto l'impatto, come barriera; al contempo, divenendo egli stesso forza in azione, materia in movimento, suda copiosamente ei suoi gesti si fanno numerosi e violenti. Il Borghese, al contrario, rischia assai raramente di sporcarsi o farsi male e quando fatica fisicamente, indossa vestiti e biancheria ad hoc. In una persona pienamente integrata nella propria classe, e non in balia di stranezze caratteriali, il desiderio sessuale si risveglia solo davanti a persone con abiti, gioielli e maniere tipici del proprio rango, o di 1 superiore. Per il ceto più alto potrebbe trattarsi di un espediente per tutelarsi da cattivi matrimoni, ma certamente si tratta soprattutto del desiderio di affermare la propria superiorità culturale e sociale. Per questo, quando un operaio o un operaia scelgono i vestiti nel desiderio di piacere all'altro sesso, s'ispirano agli usi e costumi delle classi alte, non senza scadere in abbinamenti di dubbio gusto e rinunciando spesso a tratti favorevoli al loro obiettivo. Anorchè apparentati, possiamo distinguere da questo primo bisogno quello di indossare abiti e accessori lussuosi non per accendere il desiderio sessuale, ma per guadagnare l'attenzione e la considerazione altrui. Si comprende così perché gli operai si vestono tutti in modo piuttosto eccentrico, il punto è che cercano di imitare le classi alte, ma che non possono permetterselo. Così c'è chi porta una giacca elegante, ma senza finto collo, sopra semplici pantaloni di tela, eccetera. in conclusione possiamo affermare che il bisogno relativo alla abbigliamento risponda un duplice principio: Conformarsi alle abitudini altrui e al contempo manifestare agli altri il proprio rango sociale. In questo caso la reputazione familiare gioca un ruolo secondario, a differenza di quanto avviene per i due bisogni analizzati in precedenza. Non va sottovalutato però che si tratta di un sentimento che nasce al di fuori della famiglia, pervenirvi introdotto solo in un secondo tempo dai vari componenti: se per strada non li vedesse nessuno, se potessero passare direttamente dalla fabbrica la famiglia virgola E viceversa, per questa voce gli operai spenderebbero decisamente meno. In ultima analisi, per quel che concerne la classe operaia è impossibile distinguere quattro essenziali categorie di bisogni: una classificazione naturale, Frutto dell'azione della coscienza sociale. La società, anzitutto, ci porta, potremmo dire ci obbliga, apri vedere le condizioni in cui effettueremo le diverse spese che ci interessano e a classificare Proprio in base al tipo di previsione che ciascuna comporta. Da questo punto di vista, 3 ritmi si distinguono per la loro regolarità, gli acquisti alimentari che prevedono esborsi costanti e di poco conto, gli esborsi per l'abbigliamento, più rari e più corposi di quelli per l'alimentazione e al tempo stesso più esigui e frequenti di quelli per l'alloggio, infine i pagamenti dell'affitto. Quanto alle altre spese, proprio il loro ritmo meno regolare invita a considerarle in un gruppo a sè stante. Abbiamo detto che la società prevede quali e quanti oggetti devono essere necessari agli individui per soddisfare i loro bisogni. Inizialmente la società agisce per via negativa. Mediante un'opera di scomposizione lunga e metodica, di contenimento e soprattutto di sostituzione, la società svuota poco a poco i nostri bisogni di ogni contenuto organico originario e decostruisce la gerarchia delle soddisfazioni psicologiche: una scala di valori che meno si è integrata nella società, più a modo di svilupparsi spontaneamente. Accanto questa viene anche un'azione positiva. La vita sociale arricchisce la vita organica, le altre nuove infinite prospettive, la spina e le conferisce complessità. Se è vero che i bisogni nascono, si determinano ed evolvono all'interno della società, è logico supporre che si connettano i sistemi progressivamente sempre più integrati, o almeno che loro grado di relazione aumenti negli strati sociali più elevati. I beni negli oggetti si suddividono per tipologia in insiemi diversi, poiché nella società siamo soliti collegare, e considerare unitamente, le soddisfazioni e le relative tendenze. A questo punto e necessario riflettere sui principi dei bisogni. Dei nostri bisogni sono opera della società, solo passando per la società potremmo comprenderne e il principio. Il valore che attribuiamo ai beni economici dipende in larga misura dal genere di soddisfazione sociale che sono in grado di procurarci. Abbiamo visto che l'operaio, al di fuori della fabbrica, si relaziona essenzialmente con due gruppi sociali: da un lato la famiglia, dall'altro venendo in contatto con altri per strada o nei luoghi pubblici, la società nel suo complesso. Anche le rappresentazioni, le pretese e le soddisfazioni sociali che lo animano si potranno quindi distinguere in due gruppi: - un primo gruppo sarà connesso all'idea che la famiglia si fa del proprio rango sociale. - un secondo gruppo si fa a l'idea che la società si fa del rango a cui famiglia appartiene, sicura di appartenere. le condizioni di vita degli operai, i loro costumi e le loro idee lasciano immaginare che la rappresentazione sociale giochi un ruolo assolutamente secondario quando si tratta di stabilire l'impegno economico Da profondere in questo campo; la chiave di volta sarebbe piuttosto la famiglia, il suo benessere materiale E sociale, il livello di vita a cui pensa di appartenere. 3. Conclusione. La famiglia e la classe operaia. La nostra analisi ci porta a concludere che la natura, è il numero, dei bisogni essenziali trova spiegazione nella società. Su questa base non è possibile dedurre né prevedere l'importanza è l'intensità che ha ciascun bisogno all'interno di un determinato gruppo. L'unica via per comprendere la gerarchia dei bisogni e riferirsi ai fatti. È proprio alla luce di questo percorso, le affermazioni che abbiamo avanzato prendono consistenza. Quando ci siamo interessati a l'influenza della dimensione familiare e del reddito sulla distribuzione delle spese, il primo dato emerso e l'estrema complessità del fenomeno. Relativamente a quali siano, da dove derivino e che ruolo abbiano, abbiamo dovuto limitarci alla formulazione di ipotesi, nel pieno rispetto dei dati a nostra disposizione. Riteniamo che una parte delle irregolarità dipende dal fatto che le famiglie passano spesso da una classe di reddito inferiore a una superiore e almeno per un periodo conservano le precedenti abitudini e mantengono invariato l'ammontare complessivo del bilancio alcune voci di spesa. Gli operai si affezionano a qualche anno, sono abitudinari. Da un lato, si rifiutano di accettare che loro tenore di vita cali; dall'altro, poiché non concepiscono e soprattutto non conoscono condizioni di vita migliori, anche quando il loro reddito aumenta ci vuole tempo perché recepiscano il cambiamento, modificando il bilancio. Resta surdato che l'incidenza della spesa alimentare totale Si riduce con l'aumento del reddito. Sì noterà, però, che questo andamento decrescente Non è scevro da rallentamenti e picchi. Uno studio attento della spesa alimentare ci ha permesso di evidenziare che, insieme all'aumento della spesa complessiva per l'alimentazione muta anche il pasto che si consuma e di dettagliare questo cambiamento. Gli operai più poveri Si alimentano in modo monotono è regolare, gli operai Agiati pongono una crescente attenzione a dare verità e ordine al pasto. Senza dubbio risalendo alla Scala reddituale, il denaro a disposizione per tutte le altre spese aumento in termini percentuali. Tuttavia, non ci è possibile seguire in Engel quando afferma che l'incidenza delle spese per l'alloggio e di quelle per l'abbigliamento e di quelle per l'abbigliamento rimane sostanzialmente stabile. Abbiamo avuto modo di mostrare come la spesa per l'abbigliamento aumenti con continuità, mentre quella per l'alloggio si stabilizza rapidamente, fino a flettersi. A colpire, è innanzitutto che la spesa per l'alloggio si mantenga moderata. A seguito di quanto emerso è lecito concludere che gli operai, non appena ne abbiano la possibilità, preferiscono consacrare il surplus di denaro di cui dispongono la spesa che guardano all'esterno della cerchia familiare, alla società in senso lato, piuttosto che cercare un alloggio più comodo o migliorare gli interni e l'arredo della casa in cui vivono: l'alloggio è sacrificato in favore della abbigliamento, delle distrazioni, di tutto quel che li mette a diretto contatto con i gruppi della strada o della classe a cui appartengono. Dai dati emerge con chiarezza che in tempi piuttosto rapidi la spesa per l'alloggio tende prima a divenire stazionaria, quindi a calare, in modo pressoché simile alla spesa per l'alimentazione. Del resto, tra le case degli operai e quelle abitate da gente di altre classi corre una differenza del maggiore di
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