Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Commento Sublime Specchio di Veraci Detti, Appunti di Letteratura

Vittorio Alfieri, commento e parafrasi del sonetto.

Tipologia: Appunti

2016/2017

Caricato il 19/02/2017

Matricola495
Matricola495 🇮🇹

4.6

(5)

5 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Commento Sublime Specchio di Veraci Detti e più Appunti in PDF di Letteratura solo su Docsity! “Sublime Specchio di Veraci Detti” COMMENTO Contenuto nella prima parte delle Rime, il sonetto risale al 1786. Noto come Sublime specchio di veraci detti, è un autoritratto in versi che inaugura un costume, quello del componimento autodescrittivo, che si sviluppa tra i poeti dell'Ottocento romantico, tra i quali Ugo Foscolo e Alessandro Manzoni. Posto davanti all’oggettività visiva dello specchio dai “veraci detti”, l’autoritratto delinea la figura dell’Alfieri in maniera “psicosomatica”: alle sembianze esteriori, realistiche e puramente fisiche del poeta infatti si sovrappone l’illustrazione di un temperamento focoso, ricco di sfaccettature e contraddizioni. Dopo l’invocazione, i primi versi sono dedicati alla descrizione fisica, che è realistica e dettagliata («bianca pelle», «occhi azzurri», «denti eletti»). L’ottavo verso introduce il motivo politico del tiranno tanto caro all’Alfieri (e già apparso negli altri componimenti dell’autore, sia nel trattato politico Della Tirannide, sia nella tragedia Saul ): «Pallido in volto, più che un re sul trono». Il paragone funge da cerniera tra la prima e la seconda parte, dedicata al ritratto morale. Il volto infatti, pallido come quello di un tiranno costantemente in ansia per la conservazione del potere, rivela gli aspetti più vari del suo carattere: rigido e brusco, può divenire buono e arrendevole, pur restando adombrato, anche se mai malevolo. Perennemente in lotta con se stesso, vittima dell’eterna contrapposizione tra mente e cuore, l’uomo descritto incarna perfettamente tutti gli elementi dello stereotipo dell’eroe romantico, solitario e scontroso, raffinato e scapigliato, ispirato e febbrile, sempre alla ricerca di un equilibrio nei suoi perenni conflitti col mondo e con se stesso. Proprio l’incapacità di trovare un equilibrio culmina nell’interrogativo che investe l’essenza stessa dell’identità del poeta: «Uom, se’ tu grande, o vil?». Ma il desiderio di una risposta netta non si può appagare che dopo la morte dell’«eroe», come in una tragedia: «Muori, e il saprai». Si tratta di uno dei passaggi in cui si fa più esplicita la natura tragica della poetica alfieriana: qui infatti la morte assume lo stesso significato che vale per i protagonisti suicidi delle sue tragedie (primo fra tutti Saul), ovvero una liberazione, un incontro con il proprio essere e la propria realtà morale, una definizione di se stessi. Una concezione simile della morte è quella di Pier Paolo Pasolini, secondo cui la morte è un momento assolutamente necessario per definire la forma dell’essere umano. La morte per Pasolini altro non è che un «montaggio» della nostra vita, fondamentale per attribuirle un significato complessivo, univoco.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved