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Common Law e Equity in Inghilterra: Conquista Normanna e Nuova Amministrazione, Appunti di Sistemi Giuridici Comparati

Come la conquista normanna dell'Inghilterra introdusse un sistema feudale e una amministrazione centrale più moderna e efficiente. Guglielmo il Conquistatore e i suoi successori adottarono queste innovazioni per mantenere l'unità del regno e contrastare le spinte feudali. La base ideale di queste tecniche amministrative risiedeva nella possibilità del sovrano di reclutare i chierici per organizzare l'esazione fiscale e mantenere la pace e la giustizia nel regno.

Tipologia: Appunti

2017/2018

Caricato il 29/04/2018

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Scarica Common Law e Equity in Inghilterra: Conquista Normanna e Nuova Amministrazione e più Appunti in PDF di Sistemi Giuridici Comparati solo su Docsity! COMMON LAW ED EQUITY IN INGHILTERRA I caratteri generali del regno normanno La conquista normanna dell’Inghilterra ha comportato due innovazioni di grande rilievo nel sistema di governo del regno. In primo luogo i Normanni introdussero in Inghilterra un sistema compiutamente feudale, in secondo luogo introdussero, come parziale correttivo del primo, un sistema di amministrazione centralizzata più moderno ed efficiente non solo rispetto a quello in uso sotto i sovrani sassoni, ma anche più avanzato di quello adottato in tutti gli altri stati europei del periodo. Circa il sistema feudale sarà qui sufficiente un breve cenno. Dal punto di vista di Guglielmo il conquistatore e dei suoi immediati successori l’adozione di un sistema feudale costituì una scelta obbligata, per due fondamentali ragioni. Anzitutto bisognava ricompensare i cavalieri – quasi tutti di origine francese più che normanna – i quali lo avevano seguito nella dubbia avventura e grazie ai quali il regno d’Inghilterra era stato conquistato. Poiché l’unica ricchezza di cui disponeva il Conquistatore era la terra conquistata, con essa i suoi accompagnatori vennero compensati. Inoltre occorreva provvedere al controllo militare ed al governo civile del paese sottomesso. A tale scopo una presenza capillare sul territorio di persone costrette dalla forza delle cose ad essere solidali con il re nei confronti della popolazione indigena sembrò di gran lunga la soluzione migliore. Perciò il regno fu ritagliato in Feudi assegnati a circa 2000 cavalieri franco-normanni ed essi furono incoraggiati a costruire castelli. Cosa che fecero con grande passione. In tal modo si attuò la sostituzione di una classe dirigente con un’altra, la quale coincideva con una aristocrazia guerriera. Come si sa, il sistema feudale tende ad aumentare le spinte centrifughe. Ciò derivava in gran parte dal fatto che la società feudale si presentava come gerarchicamente strutturata anche ai suoi vertici, pertanto i cavalieri si riunivano in primo luogo attorno al loro signore feudale e solo indirettamente, e per tramite di quest’ultimo, si riferivano al sovrano. Per contrastare queste spinte e mantenere l’unione del regno i sovrani normanni presero alcune contromisure. Sul piano politico-militare ebbero cura di non creare grandi signorie. Sul piano costituzionale tentarono di creare un legame diretto tra i valvassori ed il sovrano. Più che a queste contromisure politiche, le quali, conformemente alla loro natura, ebbero una efficacia piuttosto effimera, la saldezza del regno risultò fondata su alcune tecniche amministrative, già collaudate con successo nel ducato di Normandia. La base ideale di tali tecniche consisteva nel riservare al sovrano alcuni poteri di polizia e di esazione fiscale concernenti l’intero reame scavalcandolo la sua organizzazione feudale. Questa riserva non contraddiceva apertamente la delega delle funzioni di governo del territorio ai signori del luogo. Tuttavia, imponendo limiti ad essa, contrastava con l’accezione estremista del sistema feudale la quale scorgeva nel sovrano solo il vertice di una serie di rapporti di vassallaggio costruiti a piramide. La base materiale delle medesime tecniche amministrative risiedeva nella possibilità del sovrano di reclutare i c.d. chierici. Costoro erano normalmente ecclesiastici, senza cura d’anime, ovvero persone che avevano ricevuto una educazione scolastica. Possedevano quindi una capacità a quel tempo di carattere elitario: sapevano leggere e scrivere (naturalmente in latino). Grazie alla loro opera Guglielmo il Conquistatore potè organizzare l’esazione fiscale attorno ad una sorta di catasto, il c.d. Domesday Book , censendo e registrando per iscritto tutte le ricchezze del reame. La sorpresa, ed ovviamente il lamento, dei sudditi di fronte a queste tecniche di accertamento fiscale ne attesta il carattere innovativo. Nella mentalità medievale spetta al sovrano il compito eminente di conservare la pace e la giustizia in tutto il reame. Pertanto, era potere e dovere del re decidere le liti le quali potessero mettere in pericolo sia l’uno che l’altro valore. Però nello svolgere questa funzione delicata il re non era lasciato solo, ma era assistito da un consiglio, la Curia Regis . Quest’organo inizialmente composto dai personaggi più illustri del reame era anche Il risultato fu che quando i baroni si ribellarono approfittando della debolezza dei sovrani, uno dei terreni di disputa fu quello della giustizia. Nel 1215 i baroni ottennero che il re s’impegnasse a rispettare i loro diritti, i quali per buona misura vennero enumerati e messi per iscritto nella Magna Charta. Successivamente ottennero le Provisions of Oxford del 1258 in cui fu stabilito che i chierici della Cancelleria potessero continuare ad emanare i soli writs che a quell’epoca si trovassero già nei loro registri, ma non potessero crearne di nuovi. Il rigore di questa serrata fu un po’ attenuato dopo qualche anno con lo Statute of Westminster II del 1285, in cui si consentì ai chierici di creare nuovi writs qualora essi riguardassero casi simili a quelli già previsti dai brevia de curso. In effetti, forse senza rendersene conto compiutamente, i chierici della cancelleria creando a raffica nuovi writs avevano fatto una cosa non facilmente tollerabile: avevano legiferato. Questa conseguenza derivava infatti dal modus operandi dei chierici i quali se formulavano un nuovo writ ne conservavano una copia nei propri registri con la conseguenza che tale formula diveniva disponibile per altri richiedenti successivi. Ciò sia perché si faceva meno fatica a riprodurre una formula già esistente piuttosto che a crearne una nuova, sia perché essendoci già un precedente non ci si doveva interrogare circa la sua ammissibilità. Però legiferare non era compito esclusivo del re, ma compito del re, assistito e consigliato dalla curia regis nella sua composizione feudale. Anche dopo lo Statute of Westminster II i giuristi furono molto cauti nel creare nuove azioni, ed in seguito il Parlamento divenne assai geloso nel riservare a se stesso il compito di provvedere nuove leggi per il regno. Nella Magna Charta i baroni fissarono i contorni del loro potere di partecipazione alla gestione politica del reame come una concretizzazione dei loro diritti soggettivi. Sicchè in quel documento che viene considerato una proto costituzione si trovano elencati e frammischiati tra loro diritti politici e civili. In ogni caso, il problema principale che rimase sul tappeto dopo che lo scontro tra il re ed i baroni si fu esaurito nel quadro di un nuovo equilibrio costituzionale, era quello di mandare avanti in un qualche modo l’amministrazione della giustizia regia. La soluzione adottata al riguardo era un compromesso simile a quello che nelle guerre tra Stati conduce ad un armistizio sulla base del criterio dell’uti possidetis. Il re manteneva la sua giustizia sulla base dei writs creati sino al 1258 ed il resto rimaneva compito delle corti decentrate. Sotto il profilo del puro diritto sostanziale tutti i tipi di corti applicavano un diritto consuetudianario, ed è certo che il diritto applicato dalle corti locali decentrate era assai più prossimo, sia in punto di sostanza che in punto di procedura, ai costumi ed alle tradizioni di ciascun gruppo di quanto non fosse il diritto regio. Ma questo localismo, questo radicarsi della giustizia nelle tradizioni di ciascun territorio, era proprio ciò che contrastava con la cultura medievale, quindi, con le aspirazioni di tutti i coloro i quali in una qualche misura a quella cultura partecipavano. Ciò a cui costoro aspiravano era esattamente il contrario di quello che le corti locali potevano offrire ed era invece caratteristico della giustizia regia: una idea di legalità come ordine universale, capace di esprimersi mediante regole generali ed astratte, costantemente applicate a tutti i singoli casi.
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