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"Compendio di diritto alimentare", L. Costato, P. Borghi, S. Rizzioli, V. Paganizza, L. Salvi - Riassunto, Sintesi del corso di Diritto Agrario

Riassunto del libro "Compendio di diritto alimentare", di L. Costato, P. Borghi, S. Rizzioli, V. Paganizza, L. Salvi. Utile per l'esame di Diritto agroalimentare e per i corsi di Giurisprudenza e Diritto per le imprese e le istituzioni.

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

In vendita dal 14/12/2020

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Scarica "Compendio di diritto alimentare", L. Costato, P. Borghi, S. Rizzioli, V. Paganizza, L. Salvi - Riassunto e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Agrario solo su Docsity! COMPENDIO DI DIRITTO ALIMENTARE CAPITOLO PRIMO - LE RAGIONI E LE FONTI DEL DIRITTO ALIMENTARE 1. Alimenti e diritto alimentare nell’UE. L’organismo umano ha bisogno di nutrirsi. Agli occhi del Legislatore, gli alimenti possono essere visti dal punto di vista del produttore o da quello del consumatore. Il punto di vista del consumatore varia a seconda delle sue condizioni economiche e della società in cui vive. In Europa si fa spesso riferimento alla sicurezza alimentare che si distingue tra: ● food security → sicurezza delle disponibilità e degli approvvigionamenti alimentari, “sicurezza di avere cibo sufficiente”, si basa su un criterio quantitativo; ● food safety → dà per scontata la food security, è la sicurezza igienico-sanitaria, l’assenza di fattori che possano comportare un pericolo fisico, chimico o biologico. Significa anche “sicurezza informativa”, adeguata e completa comunicazione al consumatore delle caratteristiche dell’alimento e delle sue modalità o quantità di consumo. Sostanzialmente, l’intero sistema alimentare dipende dall’agricoltura. Talvolta è necessario l’uso di sostanze e tecniche conservanti, che garantiscano la lunga scadenza del prodotto. Per quanto riguarda l’UE, la dimensione sovranazionale della catena di produzione e distribuzione di alimenti determina la necessaria collaborazione tra le autorità nazionali e quelle dell’UE. Il diritto alimentare disciplina questa materia, stabilendo regole di produzione e di commercializzazione degli alimenti. Oggi, il diritto alimentare è anche indirizzato alla prevenzione, ai controlli e ad assicurare la libera e sicura circolazione degli alimenti e delle bevande all’interno dell’UE e del mercato mondiale. Gli alimenti, in quanto “merce”, sono soggetti alle disposizioni del TFUE sulla libera circolazione delle stesse e sul ravvicinamento delle legislazioni degli SM. In forza del primato del diritto UE su quello nazionale, le disposizioni in materia di produzione e commercio degli alimenti di fonte UE prevalgono e condizionano la produzione normativa nazionale. Dall’altro lato, il diritto alimentare di fonte internazionale è contenuto principalmente negli Accordi dell'OMC (1994): es. Accordo SPS, Agreement on the Application of Sanitary and Phytosanitary Measures. Tali fonti sono prive di efficacia diretta. Tra le fonti dell’UE spicca il reg. (CE) n. 178/2002 del PE e del Consiglio, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per gli alimenti e fissa le procedure nel campo della sicurezza alimentare. Vanno ricordati il “pacchetto igiene” e il “pacchetto miglioratori”, e, per quanto riguarda la sicurezza informativa, il reg. (UE) n. 1169/2011 del PE e del Consiglio relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, e il reg. (CE) n. 1924/2006 sulle indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti alimentari. 2. Il “diritto al cibo” nelle fonti internazionali, europee e italiane. Emerge e prevale, nei Paesi sviluppati, la food safety rispetto alla food security. La storia umana, però, è stata caratterizzata per millenni dalla seconda, e ancora oggi è il principale problema nei Paesi meno sviluppati del mondo. Il mondo, nella seconda metà del XX secolo, divenne più attento ai diritti fondamentali dell’uomo, proclamati dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (ONU 1948): “ogni individuo ha diritto a un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari”. Quest’atto costituì la base sulla quale stipulare il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (PIDESC), adottato nel 1966 ed entrato in vigore nel 1976, ratificato da tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite: “gli Stati del presente Patto riconoscono il diritto di ogni individuo ad un livello di vita adeguato per sé e per la propria famiglia, che includa un’alimentazione, un vestiario ed un alloggio adeguati, …”. Gli SM dell’UE prevedono una forte tutela del lavoratore. Si sono trovate soluzioni come l’erogazione di un sostegno temporaneo a chi ha redditi molto limitati o non ne ha, la riqualificazione di chi abbia perso lavoro o non lo trovi, per consentirgli di rientrare nel mercato del lavoro con le competenze oggi necessarie. L’Italia ha previsto molte misure per la lotta all’esclusione sociale e alla povertà, come pensioni sociali, bonus mamma e, nel 2019, il Reddito di cittadinanza. Quest’ultimo strumento dovrebbe garantire il diritto al lavoro, il contrasto alla povertà, la disuguaglianza e l’esclusione sociale. Questi strumenti non garantiscono in senso stretto il diritto al cibo, ma prevedono sostegno al reddito delle persone e famiglie in difficoltà. 3. Le fonti nazionale e dell’UE del diritto alimentare. Il diritto alimentare si presenta quale sistema normativo multilivello, nel quale le fonti principali (nazionali e UE) sono integrate secondo il principio del primato del diritto UE. Il sistema delle fonti UE si articola in fonti primarie (Trattati) e fonti secondarie (atti emanati dalle Istituzioni UE, divisi in atti legislativi e non legislativi). L’individuazione dei settori di competenza dell’UE è fondata sul principio di attribuzione. Nei settori di competenza concorrente UE-SM, l’esercizio delle competenze dell’UE è retto dal principio di sussidiarietà. L’esercizio di tutte le competenze UE è disciplinato dal principio di proporzionalità. Gli alimenti, in quanto merci, sono soggetti in primo luogo alle disposizioni sulla libera circolazione delle stesse (artt. 28-37 TFUE). Il settore alimentare appare connesso a più settori economici oggetto di competenza dell’UE, sicché quest’ultima è comunque intervenuta ampiamente a disciplinare il settore. A seguito dell’entrata in vigore del trattato di Maastricht, la Commissione ha assunto nuove responsabilità per contribuire al raggiungimento di un elevato livello di tutela della salute umana, di protezione dei consumatori e dell’ambiente. Riguardano il diritto alimentare gli articoli sul ravvicinamento delle legislazioni nazionali (art. 114-118 TFUE). ● art. 115 TFUE → ravvicinamento delle legislazioni nazionali attraverso direttive che abbiano un'incidenza diretta sull’instaurazione o sul funzionamento del mercato comune; ● art. 114 TFUE → ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli SM che hanno ad oggetto l’instaurazione o il funzionamento del mercato interno. Dunque, il ravvicinamento ex art. 114 TFUE si può porre in essere solo garantendo un livello di protezione elevato in materia di sanità, sicurezza, protezione dell’ambiente e protezione dei consumatori. Qualora il Legislatore UE non rispettasse questi obblighi, la Corte di giustizia potrebbe eliminare dall’ordinamento la norma viziata (es. Danimarca contro Commissione); ● art. 168 TFUE → relativo alla sanità pubblica. Possibilità per le Istituzioni UE si introdurre (con procedura legislativa ordinaria) atti che non si limitano a coordinare o completare le misure nazionali, ma introducono misure nei settori veterinario e fitosanitario il cui obiettivo primario sia la protezione della salute pubblica; ● art. 169 TFUE → protezione dei consumatori. Possibilità per le istituzioni UE di introdurre, con procedura legislativa ordinaria, misure di sostegno, di integrazione e di controllo della politica svolta dagli SM, al fine della: tutela della salute, della sicurezza, degli interessi economici dei consumatori, del diritto all’informazione, all’educazione e all’organizzazione per la salvaguardia dei propri interessi. Questo articolo consente agli SM di mantenere o adottare misure più rigorose a favore del consumatore rispetto a quelle dell’UE. Tali misure però non dovranno essere incompatibili con il trattato e saranno comunque notificate alla Commissione; ● art. 216 TFUE → all’UE è attribuita la competenza a concludere accordi internazionali quando i trattati lo prevedono ovvero quando la conclusione dell’accordo è necessaria per realizzare, nell'ambito delle politiche dell’Unione, uno degli obiettivi fissati dai Trattati, o sia prevista in un atto giuridico vincolante dell’Unione, oppure possa incidere su norme comuni o alterarne la portata; ● art. 207 TFUE → la Corte di Giustizia ha riconosciuto che solo l’UE è competente a stipulare accordi multilaterali relativi al commercio dei prodotti. Su tali presupposti il Consiglio ha adottato la decisione n. 2003/822/CE in forza della quale l’allora Comunità europea, in qualità di membro della FAO (Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura), ha chiesto di aderire alla Commissione del Codex Alimentarius; ● art. 43 TFUE → i prodotti agricoli di cui all’Allegato I al TFUE includono moltissimi prodotti destinati all’alimentazione umana. La CDG ha affermato nel 1988 che il perseguimento degli obiettivi della politica agricola comune non può prescindere da esigenze di interesse generale quali la tutela dei consumatori o della salute e della vita delle persone e degli animali, esigenze che istituzioni comunitarie devono tenere in considerazione nell’esercizio dei loro poteri. Le competenze dell’UE in ambito agrario hanno compreso dunque le questioni di sicurezza alimentare che possono presentarsi in campo veterinario e fitosanitario. L’inclusione di molti temi propri della legislazione alimentare all’interno delle misure PAC è conseguenza anche del primato delle regole speciali agrarie rispetto alle regole generali sull'instaurazione del mercato comune. Dapprima, infatti, le misure PAC relative alla sicurezza alimentare trovavano fondamento negli artt. 43 e 100 TCEE (ora artt. 43 e 114 TFUE). L’art. 43 del Trattato costituisce il fondamento giuridico appropriato per tutte le normative concernenti la produzione e la vendita dei prodotti agricoli elencati all’Allegato I del Trattato, le quali contribuiscano al conseguimento di uno o più scopi della politica agricola comune. Tali normative, anche se perseguono altri scopi i quali non sono perseguiti dall’art. 100, possono implicare l’armonizzazione delle disposizioni nazionali in questo campo senza che sia necessario valersi di quest'ultimo articolo. A partire dalla seconda metà degli anni ‘80, l’art. 43 TCEE figura quale unica base giuridica di norme volte a tutelare la salute pubblica. L’Unione possiede una competenza generale ad emanare norme sulla produzione e il commercio dei prodotti alimentari, comprese le disposizioni per l’applicazione delle misure sanitarie e fitosanitarie di fonte internazionale. La Costituzione non contiene nessun riferimento all'alimentazione o agli alimenti. E’ possibile individuare due diversi meccanismi che consentono la circolazione degli alimenti, ovvero le condizioni al soddisfacimento delle quali un prodotto alimentare può legittimamente essere immesso in commercio in tutta l’UE: 1. per gli aspetti per i quali manca un’armonizzazione di fonte UE l’alimento può essere immesso in commercio in tutta l’UE purché sia conforme alle regole di produzione e di commercializzazione nazionali del Paese di provenienza. Es. Il Legislatore italiano ha iniziato ad inserire nelle proprie normative interne di carattere tecnico clausole di mutuo riconoscimento con cui è stabilita l’inapplicabilità dei limiti e dei divieti ivi previsti ai prodotti alimentari legalmente fabbricati e commercializzati negli altri SM o negli altri paesi contraenti l’Accordo sullo spazio economico europeo, introdotti e posti in vendita nel territorio nazionale; 2. ove il Legislatore UE sia intervenuto con una disciplina di armonizzazione, i prodotti conformi a tale disciplina possono circolare liberamente in tutta l’Unione e gli SM non possono ostacolarne il commercio, pretendendo il rispetto di normative nazionali “non armonizzate”. Si parla, in questo caso, di clausole di armonizzazione. 6. La giurisprudenza della CDG in materia di denominazione degli alimenti. L’evoluzione nella produzione di alimenti ha causato molti problemi nell’instaurazione del mercato comune dei cibi, in larga misura risolti in via giurisprudenziale dalla CDG. Affermando l’effetto diretto dell’art. 34 TFUE la Corte ha applicato la giurisprudenza Van Gend en Loos all’art. 34 TFUE con la sentenza Dassonville, secondo cui ogni normativa commerciale degli SM che possa ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi intracomunitari va considerata come una misura di effetto equivalente a restrizioni quantitative. Su tale base, la Corte ha pervenuto alla sentenza Cassis de Dijon (principio di mutuo riconoscimento). In molti casi la Corte ha concluso per: ● la liberalizzazione delle importazioni di prodotti ottenuti secondo ricette diverse da quelle nazionali; ● il diritto dello Stato di mantenere a propria discrezione, per i suoi prodotti nazionali, l’obbligo di fabbricare l’alimento secondo la ricetta legale nazionale; ● il diritto dello Stato di imporre all’importazione del prodotto “diverso” di etichettarlo adeguatamente, per tutelare il consumatore; ● l’assenza, in capo allo Stato, del diritto di vietare l’uso di un certo nome per il prodotti “diverso” quando detto nome è ormai generico, per il solo fatto che esso non sia conforme alla ricetta nazionale, salvo che la diversità sia tale da mutare completamente il tipo merceologico, o caratteristiche che il consumatore ritiene fondamentali per identificare il prodotto; ● la possibilità che l’uso di un certo nome per individuare il prodotto sia vietato, se ciò serve a evitare di confondere il consumatore con informazioni non corrette. La CDG ha affidato la protezione del consumatore all’etichettatura del prodotto (strumento più efficace per tutelare l’acquirente. L’etichetta sembra, però, in certi casi non del tutto sufficiente se il nome usato per designare il prodotto può ingannare il consumatore. Le sentenze che hanno respinto posizioni di SM a difesa delle loro ricette, e la loro pretesa di escludere dai propri mercati prodotti esteri per via dell’uso di un certo nome su un prodotto perché difforme dalle ricette stesse, sono numerose: es. sentenze pasta e sentenza sul pane italiano. 7. (Segue): la giurisprudenza della Corte Costituzionale italiana in materia alimentare e le discriminazioni “a rovescio”. Anche la Corte Costituzionale italiana ha avuto occasione di affrontare il problema della protezione del consumatore di alimenti: ● sent. n. 137/1971, nella quale fu considerata non illegittima la legge n. 580/1967 (che escludeva l’uso di farine diverse dalla semola di grano duro per la produzione di paste alimentari); ● ordinanza n. 37/1994, con cui la Corte dichiarava inammissibile la questione di costituzionalità relativa alla “discriminazione a rovescio” dei produttori italiani di paste alimentari, costretti dalla l. n. 580/1967 a produrre tale alimento usando solo semole di grano duro. Sent. n. 443/1997 → si spinge a considerazioni in merito alle conseguenze di diritto interno del mutuo riconoscimento. Nel 1996, il pretore di Pordenone, nel corso di un giudizio di opposizione ad ordinanza-ingiunzione, proposto dal legale rappresentante di un pastificio che aveva prodotto e commercializzato “specialità gastronomica alle erbe aromatiche” (in realtà pasta, con aggiunta di aglio e prezzemolo, anche se non chiamata pasta) sottopose alla Corte Costituzionale varie questioni di legittimità relative alla l. n. 580/1967. 1. la prima questione riguardava un possibile contrasto con gli artt. 3 e 41 Cost.: ne potevano conseguire disparità di trattamento tra produttori e importatori dello stesso prodotto, tra produttori per il mercato interno e esterno, tra chi utilizza alcuni ingredienti come ripieno e chi li usa per l’impasto. Si limiterebbe l’iniziativa economica dei produttori italiani, la cui attività verrebbe ad essere irragionevolmente compressa; 2. la seconda questione sollevata è identica, ma relativamente alla commercializzazione di pasta secca non conforme alla normativa vigente per la presenza di aglio e prezzemolo; 3. la terza si riferiva a paste alimentari denominate “specialità al peperaglio”, “specialità al nero di seppia”, “specialità del Chianti”, e riguardava la legittimità costituzionale del divieto di impiegare tali ingredienti in Italia. Le ordinanze non tenevano conto del fatto che i prodotti non erano stati venduti con il nome “pasta”, ma con quello più vago di “specialità”, il che non pareva vietato. E di conseguenza il giudizio aveva ad oggetto contestazioni di violazioni di dubbia fondatezza. La sent. n. 443/1997 dichiarò l’illegittimità costituzionale del solo art. 30 della legge, il quale subordinava la produzione di “paste speciali” contenenti vari ingredienti alimentari a due condizioni: ● autorizzazione del Ministro della sanità, Ministro per l’agricoltura e Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato; ● che dette paste speciali fossero prodotte esclusivamente con semola di grano duro. La Corte evidenziò che lo Stato italiano non poteva opporsi a che venissero vendute in Italia paste alimentari contenenti ingredienti diversi da quelli autorizzati dalla legge nazionale ma consentiti dal diritto comunitario. Nella pronuncia la Corte afferma che, per effetto dell’art. 30, l. 580/1967, le imprese italiane si trovavano ad operare in uno svantaggio competitivo poiché qui non erano in gioco regole mirate alla salvaguardia delle tradizioni alimentari italiane. Si sta accennando al tema delle discriminazioni a rovescio. Dunque, il significato della sentenza n. 443/1997 consiste nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 30 della legge, nella parte in cui non prevede che alle imprese italiane è consentita, nella produzione e nella commercializzazione di paste alimentari, l’utilizzazione di ingredienti legittimamente impiegati, in base al diritto comunitario, nel territorio della CE. Ogni limitazione imposta dalla legislazione nazionale si risolve in uno svantaggio competitivo e in una vera e propria discriminazione in danno delle imprese nazionali. Conclude che l’interpretazione sistematica della l. n. 580/1967 conduce all’univoca soluzione che questa, non solo non ha recepito, ma ha del tutto ignorato il divieto imposto dagli articoli 3 e 41 della Costituzione, di discriminare la produzione nazionale delle paste alimentari. La legge n. 580/1967 risulta abrogata e sostituita da una nuova disciplina che recita: è consentita la produzione di paste speciali. Per paste speciali si intendono le paste contenenti ingredienti alimentari diversi dagli sfarinati di grano tenero, rispondenti alle norme igienico-sanitarie. Non esiste più un divieto di impiego di ingredienti ulteriori, mentre gli ingredienti di base del prodotto “pasta” devono essere sempre gli sfarinati di grano duro. 8. Gli atti non vincolanti dell’UE in materia di alimenti. Ci sono stati numerosi atti non vincolanti emanati dalle istituzioni UE, principalmente dalla Commissione, e che concernono questo settore. Es. Comunicazione della Commissione sulla realizzazione del mercato interno: legislazione comunitaria dei prodotti alimentari. La Commissione ha pubblicato il Libro verde sui “Principi generali della legislazione in materia alimentare nell’UE” e il “Libro bianco sulla sicurezza alimentare”. Il libro verde è un documento diviso in sei parti, ciascuna dedicata ad un aspetto delle problematiche alimentari. Nel 2000, la Commissione ha approfondito il futuro approccio verso la sicurezza alimentare con l'omonimo Libro bianco: ● necessità di realizzare un sistema di rintracciabilità per attuare la politica di sicurezza dai campi alla tavola; ● opportunità di attivare sistemi sempre più accurati di monitoraggio sulla catena alimentare e di allarme in caso di bisogno; ● opportunità di istituire un’Autorità alimentare europea indipendente con responsabilità particolari. Risale al 2000 anche la Comunicazione sul principio di precauzione nella quale la Commissione ha puntualizzato che, al pari degli altri membri dell’OMC, la Comunità ha il diritto di stabilire il livello di protezione che ritiene adeguato, in particolare in materia di protezione dell’ambiente e della salute umana, animale e vegetale. Il ricorso al principio di precauzione costituisce un elemento essenziale della sua politica. CAPITOLO SECONDO - LA LEGISLAZIONE ALIMENTARE DELL’UE: IL REG. N. 178/2002. 1. La definizione giuridica di alimento e il campo di applicazione della legislazione alimentare. Il diritto alimentare comprende una pluralità di fonti e si caratterizza per la trasversalità. L’oggetto del diritto alimentare è l’alimento. Il campo di applicazione può essere quindi delimitato individuando la definizione giuridicamente rilevante di alimento. L’art. 2 del reg. (CE) n. 178/2002 enuncia una definizione di prodotto alimentare: “qualsiasi sostanza o prodotto trasformato, parzialmente trasformato o non trasformato, destinato ad essere ingerito, o di cui si prevede ragionevolmente che possa essere ingerito, da esseri umani. Sono comprese le bevande, le gomme da masticare e qualsiasi sostanza, compresa l'acqua, intenzionalmente incorporata negli alimenti nel corso della loro produzione, preparazione o trattamento. Esso include l'acqua nei punti in cui i valori devono essere rispettati come stabilito all'articolo 6 della direttiva 98/83/CE e fatti salvi i requisiti delle direttive 80/778/ CEE e 98/83/CE. Non sono compresi: a) i mangimi; b) gli animali vivi, a meno che siano preparati per l'immissione sul mercato ai fini del consumo umano; c) i vegetali prima della raccolta; d) i medicinali ai sensi delle direttive del Consiglio 65/65/CEE (1 ) e 92/73/CEE (2 ); e) i cosmetici ai sensi della direttiva 76/768/CEE del Consiglio (3 ); f) il tabacco e i prodotti del tabacco ai sensi della direttiva 89/622/CEE del Consiglio (4 ); g) le sostanze stupefacenti o psicotrope ai sensi della convenzione unica delle Nazioni Unite sugli stupefacenti del 1961 e della convenzione delle Nazioni Unite sulle sostanze psicotrope del 1971; h) residui e contaminanti.” La definizione è unica a livello europeo e direttamente applicabile negli SM. La sua enunciazione mira a ridurre gli ostacoli alla circolazione di alimenti nell’UE causati dalla presenza di differenti definizioni nazionali di alimento. La definizione di alimento non richiede che la sostanza sia suscettibile di svolgere una funzione nutrizionale. 2. L’impresa alimentare. L’art. 3 reg. 178/2002 definisce l’impresa alimentare come: ​ogni soggetto pubblico o privato, con o senza fini di lucro, che svolge una qualsiasi delle attività connesse ad una delle fasi di produzione, trasformazione e distribuzione degli alimenti, per garantire un livello elevato di tutela della salute umana e degli interessi dei consumatori in relazione agli alimenti​. Mira ad assoggettare alle regole del diritto alimentare europeo e nazionale e alla responsabilità per le loro violazioni tutti coloro che siano presenti nella catena alimentare. Il regolamento definisce anche la legislazione alimentare: ​le leggi, i regolamenti e le disposizioni amministrative riguardanti gli alimenti in generale, e la sicurezza degli alimenti in particolare, sia nella Comunità che a livello nazionale; sono incluse tutte le fasi di produzione, trasformazione e distribuzione degli alimenti e anche dei mangimi prodotti per gli animali destinati alla produzione alimentare o ad essi somministrati​. La legislazione alimentare include anche i mangimi destinati ad animali che producono alimenti o che diventano essi stessi alimenti. L’impresa alimentare non è quella mangimistica perché i mangimi non diventano alimenti per l’uomo. L’attività agricola è coinvolta attraverso la definizione di produzione primaria, che comprende ​tutte le fasi della produzione, dell’allevamento o della coltivazione dei prodotti primari, compresi il raccolto, la mungitura e la produzione zootecnica precedente la macellazione e comprese la caccia e la pesca e la raccolta di prodotti selvatici​. Si deduce che la nozione giuridica di impresa alimentare suppone una destinazione dell’alimento che sarà prodotto al mercato. 3. L’operatore del settore alimentare (OSA). E’ la persona fisica o giuridica responsabile di garantire il rispetto delle disposizioni della legislazione alimentare nell’impresa alimentare posta sotto il suo controllo. Lo caratterizzano l’assunzione di un obbligo di garanzia e una posizione di responsabilità legata all’assolvimento del primo. L’OSA dovrà infatti garantire che, nell’impresa posta sotto al suo controllo, la legislazione alimentare sia rispettata. Sarà responsabile nel caso in cui non sia stato in grado di assicurare questa garanzia. 4. La nozione di consumatore e il consumatore di prodotti alimentari. Art. 169 TFUE → l’UE è chiamata a promuovere gli interessi dei consumatori ed assicurare un livello elevato di protezione dei consumatori. Art. 12 TFUE → nella definizione e nell’attuazione di altre politiche o attività dell’Unione sono prese in considerazione le esigenze inerenti alla protezione dei consumatori. Il Codice del consumo stabilisce che si intende per ​consumatore o ​utente la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta. Oltre alla Comunicazione della Commissione, va ricordata la posizione espressa dalla CDG in casi molto noti di emergenza alimentare o legati all’immissione in commercio di OGM. La Corte ha precisato che la protezione della salute umana rientra tra gli obiettivi della politica della comunità in materia ambientale, sicché si deve ammettere che quando sussistono incertezze riguardo all’esistenza o alla portata dei rischi per la salute delle persone, le istituzioni possono adottare misure protettive senza dover attendere che siano esaurientemente dimostrate la realtà e la gravità dei rischi. 9. Il principio di precauzione nell’art. 7 del reg. 178/2002. Con l’adozione del regolamento 178/2002, il principio di precauzione è stato ufficialmente formalizzato all’interno della disciplina sulla sicurezza alimentare, diventando uno dei principi generali di essa. L’art. 7 descrive il principio come uno strumento attraverso cui, in situazioni in cui ci sia la possibilità di effetti dannosi per la salute ma permanga una situazione di incertezza sul piano scientifico, è possibile adottare misure provvisorie di gestione del rischio necessarie per garantire il livello elevato di tutela della salute che la Comunità persegue (par. 1). Le misure adottate sulla base del par. 1 sono proporzionate e prevedono le sole restrizioni al commercio che siano necessarie per raggiungere il livello elevato di tutela della salute perseguito dalla Comunità (par. 2). Il rischio non può essere motivato con un approccio puramente ipotetico, fondato su semplici supposizioni non ancora accertate scientificamente, dovendosi in ogni caso compiere una valutazione complessiva del rischio per la salute basata sui dati scientifici disponibili più affidabili e sui risultati più recenti della ricerca internazionale, dai quali devono essere emerse incertezze scientifiche circa i possibili effetti dannosi di un alimento per la salute. Il ricordo al principio di precauzione deve avvenire sempre e comunque nel rispetto del principio di proporzionalità. Il Legislatore UE ha affermato che possono essere adottate misure provvisorie di gestione del rischio. Dunque, il principio di precauzione non troverebbe applicazione obbligatoria ma solo eventuale. L’art. 7 non fa espresso riferimento né alle Istituzioni né agli SM, sicché è da ritenere che il potere di agire in via precauzionale spetti tanto alle prime (soprattutto Commissione), tanto alle autorità nazionali. 10. I requisiti di sicurezza degli alimenti e dei mangimi. L’art. 14 del reg. 178/2002 stabilisce che gli alimenti a rischio non possono essere immessi sul mercato. Sono considerati a rischio gli alimenti dannosi per la salute o inadatti al consumo umano. La CDg ha statuito che quando un alimento, pur non essendo dannoso per la salute, non risponde alle suddette prescrizioni relative alla sicurezza degli alimenti in quanto inadatto al consumo umano, le autorità nazionali possono informarne i consumatori. Per considerare se un alimento è a rischio si devono considerare due elementi: ● le condizioni d’uso normali dell’alimento da parte del consumatore in ciascuna fase della produzione, della trasformazione e della distribuzione; ● le informazioni messe a disposizione del consumatore sul modo di evitare specifici effetti nocivi per la salute provocati da un alimento o categoria di alimenti. Il regolamento mette in evidenza il ruolo centrale delle informazioni ai consumatori: nel caso di alimenti destinati a consumatori particolarmente delicati, per determinare se un prodotto sia sicuro occorre rapportare il concetto di sicurezza alimentare a questa categoria particolare di consumatori. Perciò, se l’etichetta contiene le necessarie informazioni,, ma il consumatore le ignora di propria iniziativa, il prodotto in questione non è insicuro secondo il reg. 178/2002. La sicurezza informativa appare quindi indispensabile. Per determinare se un alimento sia dannoso per la salute, il regolamento indica quali elementi siano da considerare: ● non solo i probabili effetti immediati / a breve termine / a lungo termine dell’alimento sulla salute di una persona che lo consuma, ma anche su quella dei discendenti; ● i probabili effetti tossici cumulativi di un alimento; ● la particolare sensibilità sotto il profilo della salute, in una specifica categoria di consumatori, nel caso in cui l’alimento sia destinato ad essa. Per determinare se un alimento sia inadatto al consumo umano, occorre considerare se l’alimento sia inaccettabile per il consumo umano secondo l’uso previsto, in seguito a contaminazione dovuta a materiale estraneo o ad altri motivi, o in seguito a putrefazione, deterioramento o decomposizione. Il regolamento presume che se un alimento a rischio appartiene ad una partita di alimenti della stessa classe o descrizione, si presume che tutti gli alimenti contenuti in quella partita siano a rischio a meno che, a seguito di una valutazione approfondita, risulti infondato ritenere che il resto della partita sia a rischio. I par. 7 e 9 dell’art. 14 del reg. 178/2002 riflettono i due possibili principi che regolano l’immissione in commercio di una merce: la conformità e l’equivalenza. In assenza di disposizione armonizzata a livello UE, un alimento è considerato sicuro se è conforme alle norme nazionali di uno SM sul cui territorio è immesso sul mercato → trasposizione del principio del mutuo riconoscimento. Requisiti di sicurezza dei mangimi: i mangimi sono considerati a rischio (o insicuri) se hanno un effetto nocivo per la salute umana o animale o se mettono a rischio (o rendono insicuro) per il consumo umano l’alimento ottenuto dall’animale destinato alla produzione alimentare. 11. Gli obblighi degli operatori e degli Stati. Gli operatori del settore alimentare e dei mangimi devono garantire il rispetto delle norme della legislazione alimentare nelle fasi di produzione, trasformazione e distribuzione degli alimenti. ● obbligo di mettere in commercio solo prodotti sicuri; ● assicurare la rintracciabilità; ● tenere determinate condotte in caso di “non conformità”. Gli Stati membri sono tenuti ad applicare la legislazione alimentare e a verificarne il rispetto attraverso la creazione di un sistema ufficiale di controllo e altre attività adatte dalle circostanze: ● comunicazione ai cittadini in materia di sicurezza e di rischio degli alimenti e dei mangimi; ● sorveglianza della sicurezza degli alimenti e dei mangimi; ● altre attività di controllo. L’obiettivo di assicurare la sicurezza igienico-sanitaria degli alimenti ha spinto il legislatore Ue a disporre, in tutte le fasi della produzione, trasformazione e distribuzione degli alimenti, la rintracciabilità degli alimenti, dei mangimi, degli animali destinati alla produzione alimentare e di qualsiasi altra sostanza destinata o atta a entrare a far parte di un alimento o di un mangime. Rintracciabilità → possibilità di ricostruire e seguire il percorso di un alimento (mangime, ecc.) attraverso tutte le fasi della produzione, trasformazione e distribuzione. Quando l’operatore avesse motivo di ritenere che un alimento da lui importato, prodotto, trasformato, lavorato o distribuito non sia conforme ai requisiti di sicurezza, esso deve avviare immediatamente procedure per ritirarlo e informarne le autorità competenti. Se il prodotto può essere arrivato al consumatore, l’operatore informa i consumatori (in maniera efficace e accurata) del motivo del ritiro e, se necessario, richiama i prodotti già forniti ai consumatori quando altre misure siano insufficienti a conseguire un livello elevato di tutela della salute. Gli operatori responsabili di attività di vendita al dettaglio o distribuzione che non incidono sul confezionamento, sull’etichettatura, sulla sicurezza o sull’integrità dell’alimento o del mangime devono avviare procedure per ritirare dal mercato i prodotti non conformi ai requisiti di sicurezza alimentare dei mangimi e contribuire a garantire la sicurezza dei prodotti trasmettendo al riguardo le informazioni necessarie ai fini della loro rintracciabilità, collaborando agli interventi dei responsabili della produzione, trasformazione e lavorazione e/o delle autorità competenti. Il regolamento stabilisce un obbligo generale per gli operatori di informare le autorità quando ritengano o abbiano motivo di ritenere che un alimento da essi immesso sul mercato possa essere dannoso per la salute umana o non essere conforme ai requisiti di sicurezza dei mangimi. L’art. 11 del regolamento impone che gli alimenti e i mangimi importati, per essere immessi sul mercato, debbano rispettare le pertinenti disposizioni della legislazione alimentare o le condizioni riconosciute almeno equivalenti dalla Comunità o, quando tra la Comunità e il paese esportatore esiste un accordo specifico, le disposizioni ivi contenute. E’ evidente il richiamo all’Accordo SPS e al principio di equivalenza (che consente non solo di importare alimenti e mangimi che abbiano caratteristiche corrispondenti a quanto richiesto dalla normativa comunitaria, ma anche prodotti riconosciuti equivalenti). Gli alimenti e i mangimi esportati devono essere prodotti secondo le regole stabilite per la produzione e vendita all’interno dell’UE. 12. (Segue): in particolare, la tracciabilità. L’incessante sviluppo dei commerci ha causato il progredire dell’orientamento della PA (nazionale e dell’UE) di mettere il consumatore e l’Amministrazione stessa nelle condizioni di conoscere sempre più l’origine dei prodotti e la loro identificabilità. Dal confezionamento obbligatorio di molti alimenti, dalle norme sull’indicazione del produttore, si è arrivati ad un sistema di etichettatura in cui devono essere indicati gli ingredienti che compongono il prodotto. Il problema della tracciabilità si fonda sulla necessità di risalire a tutte le materie prime usate dall’OSA per poter rinvenire eventuali responsabili di presenze indesiderate nei cibi. Fino all’adozione del reg. 178/2002, norme cogenti in materia di rintracciabilità si avevano solo: ● per le carni, uova e in parte per il pesce; ● per gli altri prodotti alimentari confezionati, grazie alle norme generali sull’etichettatura. Tuttavia la rintracciabilità era incompleta. Nel Libro Bianco sulla sicurezza alimentare, la Commissione afferma che una politica alimentare efficace richiede la tracciabilità dei percorsi dei mangimi e degli alimenti, nonché dei loro ingredienti. Il ​considerando n. 28 del regolamento indica: ​posto che l’esperienza ha dimostrato che l’impossibilità di ricostruire il percorso compiuto da alimenti e mangimi può mettere in pericolo il funzionamento del mercato interno di tali prodotti, risulta necessario predisporre un sistema generale per la rintracciabilità dei prodotti che abbracci il settore dei mangimi e alimentare, onde poter procedere a ritiri mirati e precisi o fornire informazioni ai consumatori o ai funzionari responsabili dei controlli, evitando così disagi più estesi e ingiustificati quando la sicurezza degli alimenti sia in pericolo​. L’obbligo di rintracciabilità non ha estensione extraterritoriale: gli esportatori dei Paesi terzi non sono tenuti al rispetto dell’obbligo di rintracciabilità; è sufficiente che la rintracciabilità sia assicurata dall’importatore dell’UE. Art. 3, n. 15 del reg. 178/2002 dice che: ● bisogna poter seguire tutto l’iter biologico formativo dell’alimento, in relazione ai problemi sanitari che ne potrebbero conseguire; ● la previsione va inapplicata ai prodotti spontanei, alla cacciagione e alla pesca perché di questi alimenti non si conoscono tutti gli elementi nutritivi assunti; ● il riferimento ad ogni sostanza destinata o atta a far parte di un alimento o di un mangime propone il problema di lasciare all’interprete di valutare se un prodotto sia o meno atto a far parte di un alimento o di un mangime. Le norme sulla rintracciabilità appaiono indirizzate agli OSA, perciò la produzione primaria sarebbe sottratta agli obblighi da esse derivanti. Tuttavia, poiché i soggetti successivi agli agricoltori sono obbligati a consentire l’individuazione delle imprese che hanno fornito i propri prodotti, l’obbligo di rintracciabilità produce effetti anche a monte, nel settore primario. La tracciabilità prevista dal reg. 178/2002 è divenuta obbligatoria dal 1° gennaio 2006. 13. Il sistema di allarme rapido per gli alimenti e i mangimi. Al reg. 178/2002 si deve la codificazione delle norme che regolavano il sistema di allarme rapido. Ha definito meglio il quadro applicativo del RASFF (Rapid Alert System for Food and Feed) e ne ha esteso l’operatività anche ai rischi derivanti dall’utilizzo dei mangimi. Gli artt. 50 e 52 del regolamento disciplinano oggi il RASFF. Questo sistema è una rete di soggetti istituita per consentire lo scambio repentino di informazioni in caso di rischio per la salute umana derivante dal consumo di alimenti o dall’utilizzo di materiali a contatto con gli alimenti o di mangimi, o in caso di grave rischio per la salute umana, animale o per l’ambiente derivante dall’utilizzo dei mangimi. Al RASFF partecipano gli SM dell’UE, il Paesi non UE che abbiano deciso di aderirvi, l’Associazione europea di libero scambio (EFTA), l’EFSA e la Commissione europea. Quest’ultima è incaricata di ricevere e ritrasmettere le notifiche. La notifica dovrà contenere tutti i dati affinché i prodotti oggetto della stessa possano essere immediatamente individuati. Alla Commissione spetta il controllo sulla forma e la ritrasmissione delle stesse, sul Paese membro notificante graverà la responsabilità per la sostanza delle informazioni trasmesse. Al ricevimento di una notifica ritrasmessa da parte della Commissione, ogni membro del RASFF potrà determinare le misure più idonee per far fronte all’eventuale pericolo. I cittadini saranno portati a conoscenza dei dati concernenti l’alimento o il mangime, il rischio e i provvedimenti adottati o da adottarsi, in funzione alla natura, gravità ed entità del rischio. 14. Le situazioni di emergenza. La gestione del rischio spetta, in una certa misura, agli SM. Ma può capitare che un alimento possa portare un grave rischio e che il Paese o i Paesi interessati non possano adottare misure adeguate. In casi simili, l’art. 53 del re. 178/2002 affida alla Commissione l’incarico di adottare immediatamente ogni misura idonea di gestione, su propria iniziativa o su L’HACCP si integra oggi con il sistema delle certificazioni private di processo, sicché la corretta gestione di tale protocollo finisce per divenire anche uno strumento di promozione dell’immagine dell’impresa alimentare e del prodotto, anche perché questa certificazione viene spesso percepita dal consumatore come fosse una certificazione di prodotto. 3. La produzione primaria nel regolamento 852/2004. Nella disciplina comunitaria dell’HACCP precedente al “pacchetto igiene”, l’attività di produzione primaria pura e semplice era testualmente esclusa dall’applicazione di detto sistema e dell’autocontrollo, ma nella realtà molte delle operazioni normalmente compiute dall’agricoltore vie erano soggette, in quanto esulavano dalla produzione primaria in senso stretto. I considerando introduttivi del reg. 852/2004 confermano il coinvolgimento del sistema di autocontrollo e HACCP anche della produzione agricola, mettendo in evidenza: ● che la PAC prevede già misure sanitarie specifiche per la produzione e l’immissione nel mercato dei prodotti agricoli, contribuendo alla creazione del mercato interno e garantendo nel contempo un elevato livello di tutela della salute pubblica; ● che la catena alimentare parte dai campi e che per garantire la sicurezza degli alimenti dal luogo di produzione primaria al punto di commercializzazione o esportazione occorre una strategia integrata. Ogni OSA lungo la catena alimentare dovrebbe garantire tale sicurezza; ● che i pericoli alimentari presenti nella produzione primaria dovrebbero essere identificati e adeguatamente controllati; ● che l’applicazione dell’HACCP non è ancora praticabile alla produzione primaria su base generalizzata, ma che si deve tuttavia incentivare la formulazione di manuali di corretta prassi operativa, per arrivare in prospettiva ad estendere un giorno anche esplicitamente il sistema HACCP all’agricoltura; ● che l’agricoltura fornendo alimenti o materie prime all’industria e all'artigianato alimentare, deve già essere in condizione di assicurare un risultato in certa misura corrispondente a quello che si richiede a chi applica il sistema HACCP. E’ necessario garantire la sicurezza degli alimenti lungo tutta la catena alimentare, a cominciare dalla produzione primaria. La produzione primaria comprende tutte le fasi della produzione, dell’allevamento o della coltivazione dei prodotti primari, compresi il raccolto, la mungitura e la produzione zootecnica precedente la macellazione. Il presente regolamento si applica a tutte le fasi della produzione, trasformazione e distribuzione degli alimenti. Si prevede l’inapplicabilità del regolamento alla produzione primaria, ma solo quando essa avviene per uso domestico, e anche alla fornitura diretta di piccoli quantitativi di prodotti primari dal produttore al consumatore finale o a dettaglianti locali che forniscono direttamente il consumatore finale. La disciplina di quest’ultima attività di forniture dirette è lasciata alla competenza degli SM. Il regolamento ha stabilito in generale che gli OSA garantiscono in tutte le fasi che gli alimenti soddisfino i pertinenti requisiti di igiene fissati dal presente regolamento e precisa la distinzione fra la produzione primaria e le altri fasi di produzione, stabilendo che le prime devono essere svolte rispettando i requisiti generali in materia d’igiene di cui alla parte A dell’Allegato I. L’Allegato I al regolamento si divide in due parti: ● Parte A → detta i requisiti generali in materia di igiene per la produzione primaria e le operazioni associate; ● Parte B → contiene raccomandazioni inerenti ai manuali di corretta prassi igienica, la quale ha un contenuto non vincolante. La parte A si applica, oltre che alle operazioni di produzione primaria, anche a quelle “associate”: trasporto, magazzinaggio, manipolazione dei prodotti primari, ecc. I requisiti di igiene elencati al punto II, sono formulati a volte in modo alquanto “ammorbidito”, altre volte con prescrizioni di difficile applicazione. La parte III dell’Allegato stabilisce regole più severe, quanto a documenti e registrazioni, per gli allevatori e per coloro che producono prodotti primari di origine animale, ma richiede anche ai produttori di vegetali di tenere le registrazioni relative alle misure adottare per il controllo dei pericoli e quelle relative all’uso di qualsiasi prodotto fitosanitario, all’insorgenza di malattie che possano incidere sulla sicurezza dei prodotti di origine vegetale e ai risultati di analisi effettuate, da mettere a disposizione dell’autorità competente. 4. Le norme igieniche per i prodotti alimentari. Gli OSA devono osservare i requisiti generali in materia di igiene disciplinati nell’Allegato II al reg. 852/2004. Possono anche essere chiamati ad osservare gli specifici requisiti di cui al reg. 853/2004. L’Allegato II al re. 852/2004 consta di dodici capitoli: 1. requisiti per strutture destinate agli alimenti; 2. requisiti specifici applicabili ai locali all’interno dei quali i prodotti alimentari vengono lavorati; 3. strutture mobili o temporanee; 4. prescrizioni da seguire nel trasporto degli alimenti; 5. requisiti di igiene per le attrezzature; 6. prescrizioni igieniche in materia di rifiuti alimentari; 7. prescrizioni igieniche in materia di rifornimento idrico; 8. requisiti di igiene del personale; 9. requisiti applicabili ai prodotti alimentari; 10. requisiti applicabili al confezionamento e all’imballaggio di prodotti alimentari; 11. requisiti in materia di trattamento termico, per alimenti immessi sul mercato in contenitori ermeticamente chiusi; 12. previsioni concernenti la formazione del personale. 5. I criteri microbiologici applicabili agli alimenti. Il reg. 852/2004 dispone che gli OSA, in aggiunta ai requisiti generali, debbano rispettare, se necessario, misure igieniche specifiche. Fra queste figurano quelle concernenti i criteri microbiologici relativi ai prodotti alimentari. La specifica disciplina è contenuta nel reg. 2073/2005 della Commissione, che prescrive una serie di comportamenti che gli operatori devono adottare per garantire la sicurezza microbiologica dei prodotti alimentari. L’Allegato I al reg. 2073/2005 contiene prescrizioni relative ai criteri di sicurezza alimentare, che definiscono l’accettabilità di un prodotto alimentare, applicabile ai prodotti immessi sul mercato, e ai criteri di igiene nel processo, che definiscono il funzionamento accettabile del processo di produzione fissando un valore indicativo di contaminazione limite. Inoltre detta norme per il campionamento e la preparazione dei campioni da analizzare, suddivide in norme generali e norme specifiche. E’ possibile impiegare ulteriori metodi di analisi e campionamento (detti alternativi), a condizione che gli stessi siano validati in base allo specifico metodo di riferimento indicato nello stesso Allegato I e per la categoria di alimenti specificamente ivi considerata. In Italia sono da segnalare le linee guida relative all’applicazione del reg. 2073/2005 e successive modifiche ed integrazioni sui criteri microbiologici applicati agli alimenti. Negli ultimi anni, un’attenzione crescente è stata dedicata anche agli aspetti di igiene dei prodotti vegetali, specie a seguito della nota vicenda dell’​Escherichia coli ​(“E.Coli”) del 2011. Il batterio (a volte letale) era entrato nell’UE veicolato da germogli commestibili. La Commissione ha adottato il regolamento di esecuzione 208/2013, recante prescrizioni in materia di rintracciabilità per i germogli e i semi destinati alla produzione di germogli, nonché il regolamento 209/2013, con il quale la disciplina dei criteri microbiologici del reg. 2073/2005 è stata estesa anche ai germogli e il regolamento 210/2013, che ha prescritto per le imprese produttrici di germogli l’obbligo di preventivo riconoscimento da parte delle competenti autorità nazionali. 6. I prodotti alimentari tradizionali e la loro legittimazione. Ancor prima dell’emanazione dei regolamenti del pacchetto igiene del 2004, il Legislatore italiano si rese conto che l’obbligo comunitario di rispettare i principi di autocontrollo, di igiene e dell’HACCP avrebbe portato alcune produzioni di nicchia, peculiari del nostro Paese, a scomparire. L’art. 8 del d.lgs. 173/1998 prende anzitutto in considerazione i prodotti tradizionali, che non rispondono alle norme UE sull’HACCP, caratterizzati però da metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura il cui uso risulta consolidato dal tempo. Ciascuna Regione provvede all’elencazione dei prodotti del proprio territorio qualificabili come “tradizionali”. Si stabilì che le Regioni aventi prodotti tradizionali per i quali fosse necessaria la deroga prevista dall’art. 8 del d.lgs. 173/1998, potevano comunicare al MIPAAF gli elementi relativi alle procedure previste al fine di assicurare un’igiene comunque soddisfacente nella produzione di ciascuno dei prodotti in questione. La l. 526/1999 ha previsto che le Regioni individuino le imprese alimentari nei cui confronti adottare misure dirette a semplificare le procedure HACCP. Tali individuazione deve essere resa nota al Ministero della Sanità per l’emanazione degli opportuni regolamenti o per la proposizione di appropriate modifiche alla direttiva 93/43 (sull’HACCP). Questi prodotti alimentari non possono essere esportati né essere oggetto di commercializzazione, tuttavia: ● non è “commercializzazione” la vendita diretta al consumatore finale, nell’ambito della provincia della zona tipica di produzione; ● è fatta espressamente eccezione per i prodotti qualificati “tradizionali”, ai sensi dell’art. 8 d.lgs. 173/1998. Oggi, con il reg. 852/2004 è possibile proporre una domanda di riconoscimento della non pericolosità e della possibilità della circolazione nell’UE dei prodotti esonerati dal rispetto del regolamento. Quest’ultimo, dopo aver fissato gli obiettivi generali per gli operatori alimentari in tema di HACCP e di autocontrollo, e dopo aver chiarito i limiti di applicazione dell’HACCP al settore primario, introduce la possibilità di deroghe ai due allegati e ai principi HACCP, quando siano necessarie per agevolare l’applicazione dell’art. 5 anche alle piccole imprese. Simili deroghe (di competenza della Commissione) si affiancano ad eventuali adattamenti dei requisiti igienici e delle procedure HACCP, affidati alla competenza degli SM, per consentire l’utilizzazione ininterrotta di metodi tradizionali in una qualsiasi delle fasi di produzione, trasformazione o distribuzione degli alimenti. Uno Sm che desideri adottare misure nazionali di questo genere, deve notificare alla Commissione e agli altri SM: ● descrizione dei requisiti igienici che esso ritiene necessario adattare, e la natura di tale adattamento; ● descrizione dei prodotti alimentari e degli stabilimenti interessati; ● esposizione delle motivazioni dell’adattamento; ● ogni altra informazione pertinente. Gli altri SM dispongono di tre mesi per inviare osservazioni scritte alla Commissione. Questa può consultare gli altri Stati e deciderà se le misure nazionali possono essere attuate. Solo allora lo SM potrà adottare le misure proposte. La Commissione ha adottato il reg. 2074/2005, richiamando come propria base normativa il reg. 852/2004 (art. 13, par. 2) e ha stabilito specifiche deroghe al reg. 852/2004, da applicare ai prodotti alimentari che presentano caratteristiche tradizionali. Definisce i prodotti alimentari che presentano caratteristiche tradizionali come quegli alimenti che, nello SM di origine, sono storicamente conosciuti come prodotti tradizionali, ovvero fabbricati secondo riferimenti tecnici codificati o registrati al processo tradizionale o secondo metodi di produzione tradizionali, oppure protetti come prodotti alimentari tradizionali dalla legislazione comunitaria, nazionale, regionale o locale. 7. Il regolamento 853/2004 sull’igiene degli alimenti di origine animale. Il reg. 853/2004 detta una serie di regole specifiche in materia di igiene applicabili agli alimenti di origine animale. Delimita il proprio campo di applicazione, che ricomprende i prodotti di origine animale trasformati e non. L’art. 2 stabilisce che, ai fini del regolamento, si applicano, oltre alle definizioni del reg. 178/2002 (carattere trasversale), quelle contenute nel reg. 852/2004 e quelle previste nell’allegato I, nonché negli allegati II e III allo stesso reg. 853/2004. Ai sensi dell’art. 3 del reg. 853/2004 (“obblighi generali”), gli OSA che si occupano di una delle fasi di produzione, trasformazione o distribuzione di alimenti di origine animale, devono rispettare le pertinenti disposizioni degli allegati II e III e non devono fare uso di sostanze diverse dall’acqua potabile per l’eliminazione di contaminazioni superficiali. Inoltre, devono rispettare i limiti delle presenze microbiche previsti dal reg. 2073/2005. L’art. 4 (“registrazione e riconoscimento degli stabilimenti”) prevede che gli stabilimenti in cui vengono preparati e manipolati alimenti di origine alimentare debbano soddisfare i requisiti previsti nel reg. 852/2004, negli allegati II e III allo stesso reg. 853/2004, e altri requisiti della legislazione alimentare. Gli stabilimenti che trattano i prodotti di origine animale per i quali sono previsti requisiti ai sensi dell’allegato III possono operare solo se l’autorità competente ha concesso loro il riconoscimento, in seguito ad una ispezione ​ad hoc​. Fanno eccezione gli stabilimenti che effettuano solo produzione primaria, nonché altre attività normalmente effettuate dall’agricoltore. Nel prevedere l’obbligo di riconoscimento per gli stabilimenti che trattano alimenti di origine animale, assurge a deroga rispetto al principio generale, per cui il riconoscimento dello stabilimento è necessario solo nei casi espressamente previsti. Le due norme vanno lette congiuntamente: per tutti gli alimenti non strettamente di origine animale gli Stati possono scegliere se imporre un riconoscimento; per gli alimenti di origine animale, gli Stati devono esigere un riconoscimento. All’art. 5 si stabilisce che i prodotti di origine animale immessi sul mercato siano muniti di bollatura sanitaria. Il regolamento contiene regole specifiche e molto dettagliate in tema di importazioni e di scambi. L’Allegato I al reg. 853/2004 fornisce le principali definizioni da utilizzare nell’applicazione della disciplina sull’igiene dei prodotti di origine animale e delle sotto-definizioni. L’Allegato II stabilisce i requisiti concernenti i diversi prodotti di origine animale. In particolare, si occupa della marchiatura di tali prodotti. Ulteriori specifiche prescrizioni sono dettate per gli OSA che gestiscono i macelli, i quali sono tenuti ad assicurare l'efficace applicazione dell’HACCP e a verificare che le informazioni sulla catena alimentare fornite loro siano complete e prive di errori, attivandosi eventualmente per ottenerle. L’Allegato III detta requisiti specifici sulle diverse tipologie di prodotti di origine alimentare. Per ciascuna categoria sono previste regole dettagliate. Per l’alimentazione di animali destinati alla produzioni di alimenti, gli allevatori devono conformarsi alle disposizioni dell’allegato III e sono strettamente tenuti a procurarsi e a utilizzare solo mangimi prodotti da stabilimenti registrati e/o riconosciuti a norma del reg. 183/2005. Anche per i mangimi si prevede un sistema di analisi del rischio e punti critici di controllo (HACCP). La disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni del reg. 183/2005 è contenuta nel d.lgs. 142/2009. CAPITOLO QUARTO - LE INFORMAZIONI AL CONSUMATORE DI ALIMENTI. 1. Il regolamento n.1169/2011 e le informazioni sugli alimenti. Una posizione di grande rilievo è rappresentata dalle norme in materia di informazioni sugli alimenti. In Italia il testo di riferimento per quanto riguarda la disciplina dell’etichettatura degli alimenti è stato per molto tempo il d.lgs. 109/1992 sull’etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari, che è stato recentemente abrogato dal d.lgs. 231/2017, che ha introdotto le sanzioni per la violazione delle disposizioni del reg. 1169/2011. Quest’ultimo costituisce il nuovo regolamento di base relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori e costituisce una misura di armonizzazione “orizzontale”: si applica a tutti gli alimenti fatti salvi i particolari requisiti dell’etichettatura stabiliti da specifiche disposizioni dell’Unione per particolari alimenti, ossia le misure di armonizzazione “verticale”. La struttura del reg. 1169/2011 riflette l’approccio della responsabilità principale in capo all’operatore alimentare. Il regolamento si apre con le disposizioni generali dedicate ad oggetto e ambito di applicazione e alle definizione, per poi dettare principi e requisiti generali relativi all’informazione sugli alimenti e le informazioni obbligatorie e volontarie, le disposizioni nazionali, quelle di attuazione, modificative e finali. Il regolamento riconosce agli SM la possibilità di adottare misure nazionali nelle materie non specificatamente armonizzate dal regolamento a condizione che: ● non ostacolino la libera circolazione degli alimenti conformi al regolamento; ● siano basate sulla necessità di proteggere la salute pubblica, tutelare gli interessi dei consumatori, prevenire frodi, tutelare i diritti di proprietà industriale e commerciale. In ogni caso l’adozione delle misure nazionali deve avvenire attraverso la procedura di notifica alla Commissione UE disciplinata dall’art. 44. Il reg. 1169/2011 ha una portata più ampia rispetto alla dir. 2000/13/CE: esso ha ad oggetto in generale le informazioni sugli alimenti, ovvero le ​informazioni concernenti un alimento e messe a disposizione del consumatore finale mediante un’etichetta, altri materiali di accompagnamento o qualunque altro mezzo​. Etichettatura → qualunque indicazione che si riferisce ad un alimento e che figura su qualunque imballaggio, documento, avviso, ecc., che accompagna o si riferisce a tale alimento. Il regolamento si applica agli OSA in tutte le fasi della catena alimentare quando le loro attività riguardano la fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, inclusi i servizi di ristorazione forniti da imprese di trasporto quando il luogo di partenza si trovi nel territorio di SM. Il regolamento trova applicazione solo per le imprese alimentari, quindi sono escluse operazione come la manipolazione e la consegna di alimenti, il servizio di pasti e la vendita di alimenti da parte di privati (es. eventi di beneficenza). Il regolamento si applica per tutti gli alimenti destinati al consumatore finale, compresi quelli forniti dalle collettività e quelli destinati alla fornitura delle collettività. Collettività → qualunque struttura come ristoranti, mense, scuole, ospedali, in cui, nel quadro di un’attività imprenditoriale, sono preparati alimenti destinati al consumo immediato da parte del consumatore finale. Il regolamento distingue tra alimenti preimballati e non. Alimento preimballato → unità di vendita destinata a essere presentata come tale al consumatore finale e alle collettività, costituita da un alimento e dall’imballaggio in cui è stato confezionato prima di essere messo in vendita, avvolta interamente o in parte da tale imballaggio, ma comunque in modo tale che il contenuto non possa essere alterato senza aprire o cambiare l’imballaggio. La distinzione rileva ai fini dell’applicazione delle informazioni obbligatorie sugli alimenti, che è prescritta unicamente per gli alimenti preimballati: compete a ciascuno SM stabilire, per gli alimenti non preimballati, la fornitura parziale o totale di tali indicazioni (in Italia d.lgs. 231/2017). Finalità del regolamento: ● consentire al consumatore di adottare scelte consapevoli e di utilizzare gli alimenti in modo sicuro anche nel rispetto di considerazioni sanitarie, economiche, ambientali, sociali ed etiche; ● consentire al consumatore di identificare e di fare uso adeguato di un alimento e di effettuare scelte adatte alle proprie esigenze dietetiche individuali. La dichiarazione nutrizionale è divenuta obbligatoria perché costituisce uno dei metodi principali per informare i consumatori sulla composizione degli alimenti e aiutarli ad adottare decisioni consapevoli. Le informazioni obbligatorie sugli alimenti sono le indicazioni che le disposizioni dell’Unione impongono di fornire al consumatore finale: ● informazioni sulla identità e la composizione, le proprietà o altre caratteristiche dell’alimento; ● informazioni sulla tutela della salute dei consumatori e l’uso sicuro dell’alimento; ● informazioni sulle caratteristiche nutrizionali dell’alimento. Per tutte le informazioni sugli alimenti (obbligatorie o volontarie) sono imposte pratiche leali di informazione. Esse devono essere precise, chiare, facilmente comprensibili e tali da non indurre in errore. Permane il divieto di attribuire all’alimento la proprietà di prevenire, trattare o guarire una malattia umana. Dir. 2005/29/CE → i principi generali sulle pratiche commerciali sleali dovrebbero essere integrati da norme specifiche relative alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori. Indicazioni obbligatorie: ● denominazione di vendita; ● elenco degli ingredienti; ● indicazione di ingredienti o coadiuvanti tecnologici elencati nell’allegato II al regolamento, in grado di provocare allergie o intolleranze; ● quantità netta dell’alimento; ● condizioni particolari di conservazione e/o di utilizzo; ● istruzioni per l’uso; ● ecc. La disciplina dettata dal Legislatore UE si preoccupa anche di curare che le informazioni obbligatorie siano facilmente accessibili al consumatore: si stabilisce che esse siano apposte in un punto evidente, in modo da essere facilmente visibili, chiaramente leggibili ed eventualmente indelebili. Il reg. 1169/2011 è stato applicato a decorrere dal 13 dicembre 2014. Esso rinvia a futuri atti delegati della Commissione per quanto riguarda la messa a disposizione di determinate indicazioni obbligatorie con mezzi diversi dall’apposizione sull’imballaggio o sull’etichetta, l’elenco degli alimenti per i quali non è richiesto un elenco di ingredienti, il riesame dell’elenco delle sostanze o prodotti che provocano allergie o intolleranze o l'elenco delle sostanze nutritive che possono essere dichiarate su base volontaria. Al fine di garantire condizioni uniformi di attuazione, alla Commissione sono affidate competenze di esecuzione per adottare atti esecutivi concernenti le modalità di espressione di una o più indicazioni attraverso programmi o simboli invece che parole o numeri, il contrasto tra i caratteri stampati e lo sfondo, ecc.. Es. regolamento di esecuzione 2018/775 recante norme sull’indicazione del paese di origine o del luogo di provenienza dell’ingrediente primario di un alimento. Il nuovo regolamento non esaurisce il quadro regolatorio in materia di informazioni sugli alimenti. Vanno ricordati: ● reg. 1234/2007 sull’organizzazione comune di mercato unica; ● reg. 1308/2013 sui prodotti della pesca e dell’acquacoltura; ● reg. 848/2018 sulla produzione biologica; ● ecc. Comunicazione della Commissione relativa alle domande e risposte sull’applicazione del reg.1169/2011 → ha lo scopo di assistere gli OSA e le autorità nazionali nell’applicazione del regolamento fornendo risposte ad una serie di domande sollevate dopo l’entrata in vigore del regolamento. 2. La denominazione dell’alimento. La denominazione dell’alimento è una delle indicazioni obbligatorie. E’ la sua denominazione legale, ovvero la denominazione prescritta dalle disposizioni UE o dalle disposizione dello SM in cui l’alimento è immesso in vendita. In mancanza di denominazione legale, la denominazione dell’alimento è la sua denominazione usuale (denominazione accettata quale nome dell’alimento dai consumatori dello SM di vendita) o, in mancanza di questa, la denominazione descrittiva (che descrive l’alimento e il suo uso). Ove la denominazione del Paese di provenienza non consenta ai consumatori dello Stato di vendita di conoscere la natura reali dell’alimento e di distinguerlo dai prodotti con i quali potrebbero confonderlo, la denominazione in questione è accompagnata da ulteriori informazioni descrittive in prossimità della denominazione. La denominazione usata nello SM di produzione può non essere consentita nello Stato di importazione quando il prodotto che essa designa nello SM di produzione si discosta talmente dal prodotto conosciuto nello SM di commercializzazione sotto tale denominazione che ulteriori informazioni in etichetta non siano sufficienti a informare il consumatore. Causa Van der Laan → per la Corte, l’etichettatura non è sufficiente se il nomen usato per designare il prodotto può ingannare il consumatore. In certe circostanze il nomen usato può introdurre un elemento di confusione che può non essere superato dall’informazione contenuta nell’etichetta. Un prodotto fabbricato e commercializzato legittimamente in uno SM può circolare liberamente in tutta l’UE. La protezione del consumatore si realizza essenzialmente con l’etichettatura del prodotto. Tuttavia, l’uso di una denominazione di vendita che non permette all’acquirente dello Stato ove il prodotto è messo in vendita di determinare la natura reale della derrata alimentare è contrario al diritto UE. 3. Gli ingredienti. Ingrediente → qualunque sostanza o prodotto, compresi gli aromi, gli additivi e gli enzimi alimentari, e qualunque costituente di un ingrediente composto utilizzato nella fabbricazione o nella preparazione di un prodotto alimentare e ancora presente nel prodotto finito, anche se sotto forma modificata; i residui non sono considerati ingredienti. L’elenco degli ingredienti rientra nelle indicazioni obbligatorie sugli alimenti. ll reg. 1169/2011 consente l’omissione dell’elenco degli ingredienti per gli ortofrutticoli freschi che non abbiano subito trattamenti, le acque gassificate, gli aceti ottenuti da un solo prodotto; il burro e i formaggi e le bevande con contenuto alcolico superiore all’1,2% in volume. La mancata indicazione degli ingredienti per tali prodotti deriva dalla semplicità di composizione e dalle regole che sovrintendono ad essi, le quali impediscono aggiunte di ingredienti, pena la perdita del diritto al nomen. Non è richiesta l’indicazione dei costituenti di un ingrediente quando questi sono stati temporaneamente separati nella fase di fabbricazione e successivamente reintrodotti nella medesima quantità. Per quanto riguarda le sostanze allergeniche o suscettibili di provocare intolleranze, queste devono essere indicate nell’elenco degli ingredienti, evidenziate dagli altri ingredienti elencati. Non è richiesto quando la denominazione dell’alimento fa chiaramente riferimento alla sostanza in questione. L’indicazione della quantità di un alimento è richiesta quando tale ingrediente: ● figura nella denominazione dell’alimento; ● è evidenziato in rilievo nell’etichettatura; ● è essenziale per caratterizzare un prodotto alimentare e distinguerlo dai prodotti con cui potrebbe essere confuso. Questa norma è volta a evitare che si possa ingannare il consumatore usando componenti diversi da quelli indicati nel nome dell’alimento o associato generalmente dal consumatore ad una certa denominazione di vendita. Le modalità di indicazione degli ingredienti sono stabilite dall’allegato VII al regolamento, recante ​Indicazione e designazione degli ingredienti​, che contiene disposizioni specifiche relative a: ● l’indicazione degli ingredienti in ordine decrescente di peso; ● l’indicazione degli ingredienti con la denominazione di una categoria piuttosto che con una denominazione specifica; ● l’indicazione degli additivi e degli enzimi; ● la designazione degli aromi nell’elenco degli ingredienti, che deve avvenire mediante l’utilizzo di specifici termini; ● la designazione dell’ingrediente composto, che può figurare nell’elenco degli ingredienti sotto la sua designazione, nella misura in cui essa è prevista dalla regolamentazione o fissata dall’uso, in rapporto al suo peso globale, e deve essere immediatamente seguita dall’elenco dei suoi ingredienti. 4. La quantità, il titolo alcolometrico e il lotto. Il reg. 1169/2011 include tra le informazioni obbligatorie la quantità netta dell’alimento che deve essere espressa in unità di volume per i prodotti liquidi e in unità di massa per gli altri prodotti. L’indicazione della quantità netta non è obbligatoria per i prodotti generalmente venduti al pezzo, per i prodotti soggetti a notevoli perdite del loro volume o della loro massa venduti al pezzo o pesati davanti all’acquirente, per i prodotti la cui quantità sia inferiore a 5 grammi o 5 milligrammi, salvo per spezie e piante aromatiche. in prima battuta per la mancanza o non conformità delle informazioni obbligatorie sull’alimento, con gli altri operatori alimentari della catena e i relativi profili di responsabilità; 2. il diritto nazionale era libero di fissare le modalità secondo cui un distributore avrebbe potuto essere considerato responsabile di una violazione in materia di etichettatura e, in particolare, di disciplinare la ripartizione delle responsabilità rispettive dei vari operatori che fossero intervenuti nell’immissione in commercio del prodotto alimentare considerato. Nell’ambito delle imprese controllate, l’OSA dovrà non solo assicurare, ma anche verificare la conformità ai requisiti previsti dalla normativa in materia di informazioni sugli alimenti e dalle pertinenti disposizioni nazionali attinenti alle loro attività. 10. Il d.lgs. 231/2017: gli alimenti non preimballati e gli alimenti non destinati ai consumatori. Per i prodotti non preimballati, intesi come alimenti venduti senza imballaggio o imballati sul luogo di vendita su richiesta del consumatore o preimballati per la vendita diretta è obbligatoria la sola indicazione delle sostanze che provocano allergie o intolleranze. Viene lasciato spazio agli SM di adottare altre disposizioni. In Italia è stato adottato il d.lgs. 231/2017 che ha disciplinato le informazioni ai consumatori per la vendita di alimenti non preimballati e le informazioni da trasmettere tra operatori per alimenti non destinati ai consumatori. Per gli alimenti non preimballati vanno indicati la denominazione dell’alimento, gli ingredienti, le modalità di conservazione, ecc. Queste informazioni possono essere trasmesse con un cartello o un sistema equivalente, oppure attraverso i documenti commerciali. Esistono poi disposizioni specifiche per i vari alimenti: es. per i prodotti della panetteria, pasticceria, gelateria, pasta fresca, gastronomia, può essere usato un unico elenco di ingredienti in un unico cartello, oppure per i singoli prodotti. Per gli alimenti non preimballati serviti dalle comunità, il d.lgs. richiede solo l’indicazione delle sostanze che provocano allergie o intolleranze e dello stato “decongelato” degli ingredienti. Le informazioni sono fornite in modo da essere riconducibili a ciascun alimento attraverso il menù, un registro, un cartello o un sistema equivalente. In alternativa possono essere chieste al personale. In tutti i casi dovrà essere tenuta a disposizione delle autorità e dei consumatori che la richiedano, la documentazione da cui dette informazioni risultino. Nei distributori automatici, per ciascun prodotto dovranno essere indicati la denominazione, l’elenco degli ingredienti, le sostanze che provocano allergie o intolleranze, il nome o la ragione sociale del gestore dell’impianto. L’altro tema affrontato dal d.lgs. sono le informazioni obbligatorie da trasmettere tra operatori, quando gli alimenti sono destinati ad ed essere impiegati in un processo di produzione o ad essere lavorati o trasformati. Devono essere indicati la denominazione, le sostanze che provocano allergie o intolleranze, la quantità netta, il nome o la ragione sociale del responsabile commerciale e l’indicazione del lotto. Queste informazioni possono essere indicate sull’imballaggio, recipiente, confezione, etichetta o sui documenti commerciali. 11. I claims nutrizionali e salutistici. La disciplina generale sull’etichettatura ha sempre imposto molti limiti alla possibilità di usare l’etichetta anche come strumento di promozione commerciale dell’alimento. Il divieto di vantare caratteristiche in realtà comuni anche agli alimenti analoghi, che preclude di fare riferimento alla presenza/assenza di determinati ingredienti e/o sostanze quando detta presenza/assenza non sia tale da contraddistinguere in modo particolare il prodotto in questione, si aggiunge al divieto di attribuire al prodotto la capacità di prevenire, trattare o guarire una malattia umana. Nonostante queste previsioni c’è la tendenza ad usare l’etichetta anche per reclamizzare pregi nutrizionali del prodotto, o benefici da esso derivanti, scrivendo sull’etichetta parole o frasi che attirano l’attenzione del consumatore e lo invogliano all’acquisto. Tale strumento di marketing spesso fa leva proprio su caratteristiche nutrizionali del prodotto o su benefici per la salute. Il legislatore UE ha preferito chiarire le tipologie di indicazioni utilizzabili, condizionarne l’uso a requisiti di veridicità, stabilire criteri e procedure per valutare tale veridicità e fissare parametri possibilmente chiari e uguali per tutti. Da qui il Parlamento europeo e il Consiglio hanno adottato il reg. 1924/2006 relativo alle indicazioni nutrizionali e sulla salute. Il Legislatore ha così precisato che la fondatezza scientifica dei claims dovrebbe essere l’aspetto principale di cui tenere conto ai fini di consentirne l’utilizzo. Claim → qualsiasi messaggio o rappresentazione non obbligatorio in base alla legislazione comunitaria o nazionale, comprese le rappresentazioni figurative, grafiche o simboliche in qualsiasi forma, che affermi, suggerisca o sottintenda che un alimento abbia particolari caratteristiche. Indicazione nutrizionale → qualunque indicazione che affermi, suggerisca o sottintenda che un alimento abbia particolari proprietà nutrizionali benefiche, dovute o all’energia che esso apporta e/o dovute alle sostanze nutritive o di altro tipo che contiene. Le indicazioni sulla salute (o claims salutistici) vengono distinte dal regolamento in tre tipologie: ● indicazioni funzionali generiche; ● indicazioni funzionali nuove; ● indicazioni relative alla riduzione di un rischio di malattia o riferite a sviluppo o salute dei bambini. Tutti i claims (nutrizionali o salutistici) trovano principi comuni nel reg. 1924/2006: ad es. non possono essere falsi, ambigui, fuorvianti, dare adito a dubbi sulla sicurezza o sull'adeguatezza nutrizionale di altri alimenti, non possono incoraggiare o indurre a tollerare il consumo eccessivo di un elemento, ecc. Per entrambi i tipi di claims il regolamento demanda alla Commissione europea il compito di stabilire i profili nutrizionali specifici e le condizioni da rispettare, però essa non ha ancora provveduto a creare detti profili. Il Capo III e IV del regolamento dettano condizioni specifiche rispettivamente per i claims nutrizionali e per quelli salutistici. Per quanto riguarda i claims nutrizionali, una indicazione può essere usata solo se rientra tra quelle elencate nell’allegato al regolamento, e l’elenco può essere agilmente modificato con una procedura semplificata affidata alla Commissione. Per quanto riguarda le indicazioni sulla salute, esse devono essere conformi anche alle condizioni specifiche dettate dalle artt. 10 e segg. del regolamento. Devono essere autorizzati dall’UE ai sensi del reg. 1924/2006 e inserite in uno degli elenchi di claims salutistici consentiti, facenti parte del generale ​Registro europeo delle indicazioni nutrizionali e sulla salute​. L’autorizzazione della Commissione si ottiene solo dopo una complessa procedura. Una volta autorizzata, un’indicazione può essere usata da qualsiasi OSA purché in grado di rispettarne le condizioni. Il regolamento introduce una serie di altre condizioni, positive e negative, per l’autorizzazione: ● positive → la Commissione può autorizzare un claim salutistico solo se sono rispettati i requisiti indicati all’art. 10 del regolamento, es. la quantità di alimento e le modalità di consumo necessarie per ottenere l’effetto benefico, una dicitura rivolta alle eventuali persone che dovrebbero evitare di consumare l’alimento, ecc.; ● negative → non sono consentiti claims salutistici che suggeriscano l’idea che la salute potrebbe risultare compromessa dal mancato consumo di un alimento, né quelli che fanno riferimento a percentuali o entità precise di perdita di peso, né indicazioni che facciano riferimento al parere di un singolo medico o associazioni diverse da quelle contemplate dall’art. 11 del regolamento. Quella degli avalli e delle raccomandazioni è una pratica commerciale molto usata, che non trova per ora alcuna disciplina nell’ordinamento UE: vi si applicheranno norme nazionali, purché non in contrasto con il Trattato. In Italia, la prassi di accreditare sul mercato un prodotto alimentare ricorrendo alla raccomandazione di questa o quella associazione di medici o altri professionisti, è disciplinata dalla l. 283/1962, che vieta di offrire in vendita o propagandare a mezzo della stampa o in qualsiasi altro modo, sostanze alimentari adottando attestati di qualità o genuinità da chiunque rilasciati, tali da sorprendere la buona fede o da indurre in errore gli acquirenti circa la natura, sostanza, qualità o le proprietà nutritive delle sostanze alimentari stesse o vantando particolari azioni medicamentose. La ratio è quella di vietare solo le raccomandazioni false o fuorvianti. Il Codice di autodisciplina pubblicitaria stabilisce che la comunicazione commerciale deve evitare richiami a raccomandazioni o attestazioni di tipo medico, ma solo nel caso di integratori alimentari e prodotti dietetici. E’ invece consentito l’uso di cosiddetti descrittori generici, che pur contenendo qualche riferimento alla salute umana, non sono claims, ma sono considerati denominazioni di vendita (di tipo descrittivo), in quanto i benefici richiami rappresentano il vero e unico motivo del suo consumo. Sono infatti descrittori generici (denominazioni) tradizionalmente usati per indicare la peculiarità di una categoria di alimenti o bevande che potrebbero avere un effetto sulla salute umana. Possono essere utilizzati come denominazioni di prodotto senza l’obbligo di affiancarle ad un claim. Il loro uso richiede però una previa autorizzazione. L’uso illegittimo di claims è sanzionato anche dal d.lgs. 27/2017. CAPITOLO QUINTO - LE REGOLE DI COMMERCIALIZZAZIONE NEL MERCATO DELL’UNIONE EUROPEA PER “PARTICOLARI” ALIMENTI. 1. Additivi (coloranti, edulcoranti e altri), aromi, enzimi e solventi. Prima dell’armonizzazione europea, la disciplina in Italia era retta sulla l. 283/1962. L’attuale disciplina di additivi, aromi, enzimi è contenuta in: ● reg. 1331/2008 → istituisce una procedura uniforme di autorizzazione per gli additivi, aromi ed enzimi alimentari; ● reg. 1332/2008 → relativo agli enzimi alimentari; ● reg. 1333/2008 → relativo agli additivi alimentari; ● reg. 1334/2008 → relativo agli aromi e agli ingredienti aromatizzati. I “miglioratori alimentari” possono essere commercializzati e usati negli alimenti solo se inclusi in specifiche liste positive, secondo una procedura di autorizzazione unica e centralizzata a livello europeo. Il regolamento di attuazione della Commissione 234/2011 ha disciplinato la domanda di autorizzazione. Additivi → qualsiasi sostanza abitualmente non consumata come alimento in sé e non utilizzata come ingrediente caratteristico di alimenti, con o senza valore nutritivo, la cui aggiunta intenzionale ad alimenti per uno scopo tecnologico nella fabbricazione, trasformazione, preparazione, ecc. degli stessi, abbia o possa presumibilmente avere per effetto che la sostanza o i suoi sottoprodotti diventino componenti di tali alimenti. Solo gli additivi inclusi nell’elenco comunitario dell’Allegato II possono essere immessi sul mercato in quanto tali e utilizzati negli alimenti alle condizioni specificate. Fino alla effettiva implementazione dell’elenco UE era prevista l’applicazione del d.m. 209/1996 che, recependo la dir. 107/1989, elencava le categorie di additivi alimentari usati o destinati ad essere usati come ingredienti nella fase di produzione o preparazione dei prodotti alimentari e ancora presenti nel prodotto finale, anche se in forma modificata. Solo gli additivi elencati sarebbero potuti essere usati per la manifattura e la preparazione dei prodotti alimentari e solo alle condizioni di impiego specificate. Aromi → sostanze utilizzate nella preparazione degli alimenti in quanto conferiscono ad essi un odore o un gusto determinati. A livello UE, il settore degli aromi era stato armonizzato solo parzialmente con la dir. 388/1988 (recepita con d.lgs. 107/1992), oggi sostituita dal reg. 1334/2008. Enzima alimentare → prodotto ottenuto da vegetali, animali o microrganismi o prodotti derivati nonché un prodotto ottenuto mediante un processo di fermentazione tramite microrganismi: ● contenente uno o più enzimi in grado di catalizzare una specifica reazione biochimica e; ● aggiunto ad alimenti per uno scopo tecnologico in una qualsiasi fase di trasformazione, fabbricazione, ecc. degli stessi. Solo gli enzimi contenuti nell’elenco comunitario possono essere utilizzati. Il reg. 1332/2002 fissa anche regole di etichettatura. Solvente di estrazione → un solvente impiegato nel corso di un procedimento di estrazione durante la fase di lavorazione delle materie prime o dei prodotti alimentari, dei componenti o degli ingredienti dei prodotti alimentari medesimi il quale può comportare la presenza di residui o di derivati nel prodotto alimentare o nell’ingrediente. Solvente → qualsiasi sostanza idonea a dissolvere un prodotto alimentare o un suo componente. La disciplina è contenuta nella dir. 32/2009. La loro utilizzazione è ammessa se il tipo di solvente è elencato nell’Allegato 1 al d.lgs. 64/1993. 2. Gli alimenti “dietetici”. I prodotti alimentari “dietetici” sono disciplinati dal reg. 609/2013, che si applica a: ● formule per lattanti e formule di proseguimento; ● alimenti a base di cereali e altri alimenti per la prima infanzia; ● alimenti a fini medici speciali; ● sostituti dell’intera razione alimentare giornaliera per il controllo del peso. Tali prodotti si caratterizzano per la speciale ricetta di produzione in funzione dell’obiettivo nutrizionale cui il prodotto è mirato. L’immissione in commercio di tali prodotti è subordinata alla preventiva notifica alle autorità nazionali competenti da parte degli OSA. 3. Gli alimenti arricchiti con vitamine e minerali. Il reg. 1925/2006 armonizza la disciplina relativa all’arricchimento dei cibi con vitamine e minerali. La ratio del regolamento sta nella necessità di impedire ostacoli alla circolazione degli alimenti arricchiti con sostanze che potrebbero provocare danni al consumatore per il loro eccesso. Esso ammette unicamente l’aggiunta delle vitamine e dei minerali elencati nell’allegato al regolamento stesso, e nelle forme e quantità ivi previste. 4. Gli alimenti senza glutine. Fra i prodotti alimentari specificamente destinati a consumatori con problematiche sanitarie, sono importanti gli alimenti gluten free​. Mentre evidenziare la presenza di ingredienti contenenti glutine è obbligatorio (come per gli altri allergeni), l’indicazione dell’assenza di glutine, o della sua presenza in misura ridotta, è facoltativa. L’OSA potrà usare i claims “senza glutine”, “con contenuto di glutine molto basso”, “adatto alle persone intolleranti al glutine”, “specificatamente formulato per celiaci”, ecc. 2. Le DOP, le IGP (e le STG): il reg. 1151/2012 sui regimi di qualità degli alimenti. Le DOP e le IGP (e le STG) sono chiamate “denominazioni di origine” e possono essere considerate come segni di qualità e come segni del territorio. Sono regolate dal reg. 1151/2012 sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari. ● DOP → denominazione di origine protetta, identifica un prodotto: ○ originario di un luogo, regione o in casi eccezionali di un paese determinati; ○ la cui qualità o le cui caratteristiche sono dovute essenzialmente ad un particolare ambiente geografico e ai suoi intrinseci fattori naturali e umani; ○ le cui fasi di produzioni si svolgono nella zona geografica delimitata; ● IGP → indicazione geografica protetta, identifica un prodotto: ○ originario di un determinato luogo, regione o paese; ○ alla cui origine geografica sono essenzialmente attribuibili una data qualità, la reputazione o altro; ○ la cui produzione si svolge per almeno una delle sue fasi nella zona geografica delimitata. DOP e IGP sono dunque espressioni di una relazione tra il prodotto agroalimentare e il binomio territorio-qualità di diversa intensità: più stringente nel caso della DOP, più labile nel caso della IGP. Il sistema di registrazione di una DOP o IGP si concreta in un’articolata procedura: 1. richiesta di registrazione: presentazione alla competente autorità nazionale di una serie di documenti, tra cui il disciplinare di produzione (serie di informazioni dettagliate relative al prodotto e al metodo di produzione); 2. valutazione preliminare della richiesta da parte dell’autorità nazionale; 3. trasmissione della domanda e della documentazione alla Commissione, che verifica l’esistenza dei requisiti previsti dalla normativa e adotta la decisione finale in merito alla registrazione della DOP o IGP in questione. E’ prevista la possibilità che oggetto della registrazione e tutela come DOP o IGP sia anche un prodotto di Paesi terzi. I nomi registrati come DOP o IGP sono oggetto di un regime di tutela di ampia portata: sono tutelati contro qualsiasi prassi che possa indurre in errore il consumatore circa l’origine del prodotto, sia che ci si trovi di fronte a forme di contraffazione evidenti, sia che si tratti di pratiche di evocazione (impiego per un prodotto di termini ed espressioni tali da trarre in inganno il consumatore, o almeno da indurlo ad associare il prodotto ad una denominazione registrata). Il reg. 1151/2012 introduce l’obbligo per ogni SM di attivarsi allo scopo di proteggere qualsiasi prodotto, nazionale o meno, che si fregi di una DOP o IGP allorché lo stesso sia commercializzato sul suo territorio (c.d. protezione ex officio). La disciplina esclude espressamente la possibilità di registrare denominazioni generiche → nome di prodotti che, pur riferendosi al luogo, alla regione o al paese in cui il prodotto era originariamente ottenuto o commercializzato, sono diventati il nome comune di un prodotto. Es. caso Feta. Il sistema europeo di tutela di DOP e IGP è da considerarsi esaustivo: non consente agli SM di adottare o mantenere al proprio interno norme potenzialmente competitive o complementari con quelle europee. E’ legittima la disciplina da parte degli SM di indicazioni che non sono espressive di alcun particolare legame tra le caratteristiche del prodotto e la sua provenienza geografica, ponendosi perciò al di fuori delle ipotesi disciplinate dalla normativa UE su DOP e IGP (indicazioni geografiche semplici). Il reg. 1151/2012 disciplina e tutela anche le Specialità Tradizionali Garantite (STG) → prodotti agricoli o alimentari ottenuti con un metodo di produzione, trasformazione o una composizione che corrispondono ad una pratica tradizionale e ottenuti da materie prime o ingredienti utilizzati tradizionalmente. 3. Le nuove indicazioni geografiche dei vini: i vini DOP e IGP. Nell’originaria disciplina delle denominazioni dei vini, le indicazioni geografiche godevano anzitutto di una tutela nazionale, che in Italia si fondava sul riconoscimento di denominazioni di origine controllata (DOC), denominazioni di origine controllata e garantita (DOCG) e indicazioni geografiche tipiche (IGT), cui si affiancava anche una tutela comunitaria. Tale disciplina è stata superata nel 2008 dalle nome della “nuova Organizzazione Comune del Mercato dei prodotti vitivinicoli” → nuova OCM vino. Le varie disposizioni sono confluite nel reg. 1308/2013 sulla “OCM unica”. Le nuove regole UE sulle denominazioni dei vini non fanno più rinvio ad un riconoscimento da parte degli SM. Compaiono indicazioni nuove: ● denominazione di origine (DOP) di un vino; ● indicazione geografica (IGP) di un vino. Testo unico vitivinicolo stabilisce che le definizioni di “denominazione di origine” e di “indicazione geografica” dei prodotti vitivinicoli sono quelle stabilite dall’art. 93 del reg. 1308/2013. Le DOP si classificano in: a) denominazioni di origine controllata e garantita (DOCG); b) denominazioni d'origine controllata (DOC). Le IGP comprendono le indicazioni geografiche tipiche (IGT). 4. La giurisprudenza della CDG sul condizionamento dei prodotti a indicazione geografica e il reg. 1151/2012. Il problema per la CDG che si pose era per i vini a denominazione di origine, i quali potevano solitamente essere imbottigliati fuori del territorio di produzione, senza perdere il diritto di utilizzare la denominazione tutelata. La CDG afferma che una norma nazionale, la quale escluda il riconoscimento della denominazione di origine per il fatto che il vino è imbottigliato fuori dalla zona di produzione, può essere considerata compatibile con il TFUE. 5. Il metodo di produzione biologico. Il tema del “biologico” viene affrontato dai regg. 834/2007 (nucleo normativo di riferimento) , 889/2008 (norme specifiche e di dettaglio per i requisiti del metodo di produzione biologico, l’etichettatura e i controlli) e 1235/2008 (regime di importazione di prodotti biologici da Paesi terzi). Il reg. 848/2018 del Parlamento e del Consiglio sulla produzione biologica e sull’etichettatura dei prodotti biologici abrogherà il reg. 834/2007, ma troverà applicazione solo dal 1° gennaio 2021. Produzione biologica → sistema globale di gestione dell’azienda agricola e di produzione agroalimentare basato sull’interazione tra le migliori pratiche ambientali, un alto livello di biodiversità, la salvaguardia delle risorse naturali, l’applicazione di criteri rigorosi in materia di benessere degli animali e una produzione confacente alle preferenze di taluni consumatori per prodotti ottenuti con sostanze e procedimenti naturali. Di regola, l’azienda deve essere gestita interamente secondo i requisiti applicabili alla produzione biologica. E’ tuttavia ammesso che all’interno di un’azienda che aderisce al regime di produzione biologica vi siano anche delle unità non dedite alla produzione biologica (c.d. aziende miste). In tal caso, l’operatore ha l’obbligo di mantenere la terra, gli animali e i prodotti utilizzati per (o ottenuti da) unità biologiche separati da quelli utilizzati per (o ottenuti da) unità non biologiche. Il reg. 834/2007 ha portata orizzontale, si applica sia alla produzione e vendita di prodotti primari, che a quella di prodotti agricoli trasformati. Principi generali della produzione biologica: ● divieto di impiego di fattori produttivi ottenuti per sintesi chimica; ● limiti all’uso di additivi, coloranti e aromi; ● divieto di uso di radiazioni ionizzanti per il trattamento di alimenti o mangimi biologici, o di materie prime usate in alimenti o mangimi biologici; ● divieto di impiego di organismi geneticamente modificati. Stabilisce precisi requisiti in materia di etichettatura, che vanno ad accostarsi a quelli generali (es. è richiesta l’indicazione degli ingredienti che non sono biologici, possibilità di utilizzare il logo di produzione biologica UE). Per i prodotti trasformati, l’uso del termine “biologico” è subordinato al fatto che almeno il 95% degli ingredienti di origine agricola sia biologico. Il Legislatore UE ha previsto la possibilità per la Commissione di accordare deroghe temporanee (eccezioni) rispetto all’applicazione delle stringenti norme di produzione biologica, per tenere conto di eventuali limitazioni allo sviluppo dell’agricoltura biologica derivanti da fattori di diverso genere. L’importazione di prodotti biologici da Paesi extra-UE e la loro commercializzazione nel territorio UE può avvenire: ● in caso di conformità dei prodotti alle disposizioni del reg. 834/2007; ● nel caso in cui essi provengano da Paesi terzi il cui sistema di produzione e di controllo offra garanzie equivalenti a quelle dell’UE (lista di equivalenza redatta dalla Commissione). 6. Il reg. 848/2018. Riproduce una buona parte delle previsioni dettate dal reg. 834/2007 e dai successivi regolamenti. Il campo di applicazione si estende anche ad altri prodotti strettamente legati all’agricoltura, elencati all’Allegato I. Viene ridimensionato il sistema di deroghe (eccezioni) all’applicazione delle norme sulla produzione biologica. Sul fronte delle importazioni di prodotti biologici da parte di Paesi extra-UE, il regolamento determinerà il venir meno del sistema dell’equivalenza e l’applicazione di un sistema incentrato sul solo criterio di conformità. 7. Le certificazioni private nel settore alimentare. ● Certificazioni cogenti → costituite da previsioni normative nazionali o sovranazionali, che impongono il rispetto di determinati obblighi; ● certificazioni volontarie → requisiti previsti da norme tecniche-standards non vincolanti, sviluppati da appositi enti internazionali, sovranazionali o nazionali per quanto riguarda lo specifico settore considerato; ● certificazioni regolamentate → la disciplina è contenuta in previsioni normative cogenti, ma la cui applicazione è facoltativa (es. DOP, IGP, ecc.). Tanto per le certificazioni volontarie quanto per quelle regolamentate, la certificazione è rilasciata da organismi privati, operanti come soggetti terzi e indipendenti rispetto all’organizzazione dell’azienda certificata, delegati allo svolgimento di funzioni di controllo e certificazione da parte dell’autorità pubblica competente, in base alla normativa sui controlli ufficiali. Le certificazioni volontarie possono costituire per le imprese del settore agroalimentare un importante strumento di valorizzazione dei propri prodotti sia nell’ambito del rapporto business to consumer che di quello business to business. Fra le certificazioni volontarie più diffuse nel settore agroalimentare figurano quelle attestanti la rispondenza di un prodotto, servizio o attività a standard stabiliti dall’ISO (International Standard Organization). CAPITOLO SETTIMO - CONTROLLI UFFICIALI E REGIME SANZIONATORIO NEL SETTORE ALIMENTARE. 1. I controlli ufficiali: il reg. 854/2004 e il reg. 882/2004. Due ragioni di carattere sistematico impongono di trattare congiuntamente il reg. 854/2004 e il reg. 882/2004: 1. il reg. 854/2004, disciplinando i controlli ufficiali sui prodotti di origine animale destinati al consumo umano, costituisce una specificazione rispetto alla più generale disciplina dei controlli ufficiali contenuta nel reg. 882; 2. il nuovo reg. 625/2017 sui controlli ufficiali, da un lato ha abrogato entrambi gli atti, dall’altro, già aveva disposto dal 2018 la sostituzione degli artt. 32 e 33 del reg. 882/2004. Reg. 882/2004 → stabilisce una disciplina generale orizzontale (applicabile ad ogni settore) sull’esecuzione dei controlli da parte delle competenti autorità, per la prevenzione, eliminazione o riduzione a livelli accettabili dei rischi, diretti o propagati nell’ambiente, per gli esseri umani e gli animali, e per garantire pratiche commerciali leali nei settori degli alimenti e dei mangimi e tutelare gli interessi dei consumatori, anche in relazione alle informazioni a questi trasmessi. La portata del regolamento non è quindi limitata ai soli controlli in tema di igiene e sicurezza degli alimenti, ma si estende in generale a tutti i controlli ufficiali dell’UE e nazionali, inclusi i controlli su alimenti e mangimi provenienti da Paesi terzi. Si può suddividere il reg. 882/2004 in due blocchi principali: 1. disposizioni sui controlli compiuti dalle autorità nazionali → il regolamento conferma l’obbligo per gli SM di organizzare controlli ufficiali periodici. Essi devono designare le autorità competenti responsabili per i controlli, consentendo la delega di specifiche attività a uno o più organismi di controllo. L’autorità nazionale competente dovrà operare con la massima trasparenza, rendendo accessibili al pubblico le informazioni, assicurando però la riservatezza dei dati coperti da segreto professionale. Sarà anche tenuta a formare adeguatamente il personale incaricato dei controlli. Il regolamento individua i metodi e le tecniche di campionamento e di analisi da impiegare nei controlli; 2. disposizioni sui controlli svolti dall’UE → attribuisce ad esperti della Commissione lo svolgimento regolare di audit generali e specifici, negli SM, in cooperazione con questi, e di controlli ufficiali nei Paesi terzi. Il reg. 854/2004 costituisce una specificazione e un’integrazione del reg. 882/2004, disciplinando i controlli sui prodotti di origine animale destinati al consumo umano. Il legislatore UE ha individuato, negli alimenti di origine animale, una materia da disciplinare con peculiari cautele e tale da richiedere sistemi di norme di controllo dedicati. Sono gli allegati il vero “cuore” operativo del regolamento, vi sono stabilite disposizioni specifiche. 2. Il reg. 625/2017. E’ un insieme di norme orizzontali, applicabili non solo a tutti i controlli ufficiali, ma anche ad alcune attività ufficiali effettuate dalle competenti autorità in conformità al regolamento stesso. Porta diverse innovazioni: ● è istituita una disciplina uniforme sui controlli che include anche i settori della salute delle piante e dei sottoprodotti di origine animale, prima lasciati a norme settoriali. Amplia anche la definizione di rischio, che considera “una funzione della probabilità e della gravità di un effetto nocivo sulla salute umana, animale o vegetale, sul benessere degli animali o sull’ambiente, conseguente alla presenza di un pericolo”; ● le nuove norme accrescono i profili di trasparenza delle procedure dei controlli ufficiali, attraverso la previsione della pubblicazione dei risultati dei controlli ufficiali da parte delle autorità competenti e di relazioni annuali nazionali e dell’UE sulle attività condotte; ● istituzione di un centro di riferimento dell’Unione europea per il benessere degli animali, che dovrebbe sostenere le attività compiute dalla Commissione e dagli SM in relazione all’applicazione delle norme sulla protezione e il benessere degli animali, che può designare i centri di riferimento dell’UE per l’autenticità e l’integrità della catena agroalimentare; ● viene affidato agli SM il compito di applicare, in caso di pratiche ingannevoli o fraudolente, sanzioni pecuniarie; ● uniforma le norme sui controlli all’importazione;
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