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Compendio di procedura penale, Conso-Grevi, Dispense di Diritto Processuale Penale

Riassunto di 178 pagine che segue paragrafo per paragrafo il libro, edizione 2023 (INCLUSA RIFORMA CARTABIA), ad esclusione degli ultimi due capitoli XIV ("procedimento di accertamento della responsabilità amministrativa degli enti") e XV ("giustizia penale riparativa). Il libro è organizzato in modo da dividere in maniera chiara e precisa i vari capitoli, integrando le nuove disposizioni della riforma Cartabia.

Tipologia: Dispense

2022/2023

In vendita dal 29/06/2024

RobertaCalenda
RobertaCalenda 🇮🇹

4.5

(17)

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Scarica Compendio di procedura penale, Conso-Grevi e più Dispense in PDF di Diritto Processuale Penale solo su Docsity! 1 CAPITOLO I: SOGGETTI 1. LA GIURISDIZIONE PENALE L’art. 1 c.p.p. riserva l’esercizio della giurisdizione penale solo ai giudici previsti dalle leggi di ordinamento giudiziario, intendendo con ciò che soltanto i giudici (e non un qualsiasi magistrato come il pubblico ministero) possono essere titolari di funzioni giurisdizionali penali. Il giudice è una “creazione” delle norme dell’ordinamento giudiziario e gli elementi prescritti dall’art. 33 co. 1 (condizioni di capacità del giudice e numero dei giudici necessario per costituire i collegi) sono rilevanti ai fini della validità degli atti. Tra le capacità non rientrano le attività di cui all’art. 33 co. 2: - disposizioni sulla destinazione del giudice: l’unico attributo rilevante ai fini dell’incapacità del giudice è la qualifica richiesta per l’esercizio delle funzioni giudiziarie che è chiamato a svolgere; - formazione dei collegi: riguarda la composizione dell’organo giudicante nel caso di assegnazione di un numero di giudici superiore a quello necessario per la costituzione dell’ufficio e le disposizioni sulle supplenze e sulle applicazioni; - assegnazione dei processi a sezioni, collegi e giudici: riguarda perlopiù la distribuzione delle cause tra giudici egualmente legittimati all’esercizio della funzione. L’art. 33 co. 3, infine, parla della composizione dell’organo giudicante (collegiale o monocratico), che non attiene alle capacità del giudice di cui al comma 1. 2. PROFILI ORDINAMENTALI Ci sono diverse categorie di giudici ordinari: - giudice di pace: giudice ordinario e monocratico; - giudice per le indagini preliminari: monocratico; - giudice dell’udienza preliminare: monocratico. Deve essere diverso dal giudice per le indagini preliminari per garantire indipendenza e terzietà. È fissata inoltre anche la temporaneità delle funzioni per la quale si esclude che le stesse possano essere esercitate per un periodo superiore a 10 anni e il termine può essere prorogato se alla scadenza vi siano in corso il compimento di un atto oppure solo per “imprescindibili e prevalenti esigenze di servizio”; - tribunale ordinario: a seconda della gravità tale organo giudica in composizione monocratica oppure in composizione collegiale (3 componenti); - corte d’Assise: giudice collegiale composto da 8 componenti, 2 togati e 6 laici (giudici popolari); - corte d’Appello: giudice collegiale composto da 3 magistrati; - corte d’Assise d’appello: giudice collegiale la cui composizione è mista, 2 magistrati togati e 6 popolari; - magistrato di sorveglianza: monocratico; - tribunale di sorveglianza: giudice collegiale composto da 4 magistrati, 2 togati e 2 laici. Al vertice si colloca la Corte di Cassazione alla quale viene riservato l’appellativo di giudice di legittimità. È divisa in 7 sezioni ciascuna delle quali giudica con 5 componenti, che diventano 9 quando tale organo è chiamato a pronunciarsi a sezioni unite. 3. QUESTIONI PREGIUDIZIALI E SOSPENSIONE DEL PROCESSO La giurisdizione penale è una giurisdizione autosufficiente, infatti l’articolo 2 comma 1 stabilisce il dovere del giudice penale di risolvere ogni questione che si ponga come antecedente logico-giuridico della decisione di cui è investito: ad esempio nella ricettazione, il giudice non può decidere se prima non accerta la provenienza delittuosa del denaro o della cosa. La decisione del giudice penale che risolve incidentalmente una questione di qualsiasi natura (civile, penale ecc.) non ha efficacia vincolante in nessun altro processo. Tale comma risponde all’esigenza di accelerare i tempi necessari per pervenire alla decisione definitiva escludendo un’interruzione del processo, anche se è prevista una clausola di salvezza (“salvo che non sia diversamente stabilito”), facendo intendere la possibilità di eccezioni. Oltre alla sospensione del processo penale per devoluzione di una questione di legittimità alla Corte Costituzionale e dalla pregiudiziale c.d. comunitaria, che implica un’investitura della Corte di Giustizia dell’Ue, le deroghe all’art. 2 c.p.p. vanno 2 distinte in due categorie: - da un lato si pongono quelle disposizioni che nel caso di controversia sulla proprietà delle cose sequestrate o confiscate devolvono la risoluzione al giudice civile; - dall’altro lato quelle disposizioni che occupandosi specificatamente delle questioni da cui dipende la decisione definitiva, disciplinano i presupposti e il modo dell’eventuale sospensione. Tutto ciò vale particolarmente per le questioni pregiudiziali relative allo stato di famiglia o di cittadinanza (art. 3) perché in questi casi il giudice può sospendere il processo quando ricorrono tre condizioni: 1) la sussistenza di un rapporto di pregiudizialità tra la risoluzione della controversia sullo stato di famiglia e la decisione sul giudizio penale; 2) la serietà della questione, ossia la sua non manifesta infondatezza; 3) occorre che sia già stata proposta l’azione a norma delle leggi civili (tale aggettivo, in tale contesto, va interpretato come indicante genericamente l’area non penale). Se manca una di queste condizioni il giudice deve procedere in via incidentale senza sospendere il processo. Nel caso di sospensione il giudice pronuncia un’ordinanza impugnabile in cassazione (sono legittimate tutte le parti presenti nel processo) e finché dura la sospensione è ammesso il compimento di soli atti urgenti. Alla sentenza intervenuta in sede extra-penale viene riconosciuta efficacia in giudicato. Oltre all’articolo 3, la seconda ipotesi di sospensione del processo penale è quella prevista dall’art. 479 c.p.p. nel quale la controversia verte su una qualsiasi altra questione di competenza del giudice civile o amministrativo. La sospensione in questo caso è disposta nel corso del dibattimento. In questo caso i requisiti pregiudiziali sono: - la risoluzione della controversia deve condizionare la decisione sull’esistenza del reato; - l’attributo della serietà non è sufficiente, la controversia deve risultare di particolare complessità; - deve essere già in corso il relativo procedimento presso il giudice civile o amministrativo. La legge civile ed amministrativa non deve inoltre porre limitazioni alla prova della situazione soggettiva. Anche in questo caso, la sospensione del dibattimento è disposta con ordinanza impugnabile in cassazione da tutte le parti. È espressamente escluso che l’impugnazione abbia effetto sospensivo. Il giudice può revocare, anche d’ufficio, l’ordinanza di sospensione quando il giudizio civile o amministrativo non sia concluso entro 1 anno; la sentenza extra-penale non ha efficacia vincolante, entrando solo a far parte del materiale probatorio destinato a costituire la base per la formazione del libero convincimento del giudice (due differenze con articolo 3). Questo perché la sospensione in questo caso è a tempo indeterminato, quindi lo strumento della revoca evita che il protrarsi del giudizio rechi un notevole pregiudizio. 4. LA COMPETENZA: PER MATERIA, PER TERRITORIO E PER CONNESSIONE La disciplina della competenza consiste nell’insieme di regole giuridiche che consentono la distribuzione, orizzontale e verticale, delle questioni penali, in modo tale che risulti predeterminato il giudice legittimato a conoscere di ogni procedimento. Con riguardo alla competenza per materia, bisogna dire che il codice ha operato la suddivisione tenendo conto sia del tipo di reato (criterio qualitativo), sia del livello della pena edittale (criterio quantitativo). L’art. 4 dispone che bisogna tener conto del massimo della pena stabilito dalla legge per ogni reato consumato o tentato, mentre bisogna escludere l’incidenza della continuazione, della recidiva e delle circostanze del reato, salvo si tratti delle aggravanti per le quali la legge prevede una pena di specie diversa o di quelle ad effetto speciale. Alla Corte d’Assise sono affidati: - i delitti puniti con l’ergastolo o con la reclusione non inferiore nel massimo a 24 anni, ad eccezione per i delitti di tentato omicidio, di rapina e di estorsione, delitti di sequestro di persona a scopo di estorsione; - i delitti consumati di omicidio del consenziente, istigazione o aiuto al suicidio, omicidio preterintenzionale; - ogni delitto doloso da cui sia derivata la morte di una o più persone, escluse le ipotesi di morte come conseguenza non voluta di altro reato, di morte avvenuta in seguito a rissa e di morte derivante da omissione di soccorso; - delitti di riorganizzazione del partito fascista, genocidio, contro la personalità dello Stato; - delitti consumati o tentati di associazione a delinquere. Per quanto riguarda il Tribunale, la sua competenza si ricava per sottrazione rispetto ai reati di competenza della Corte d’Assise o del giudice di pace. 5 - viene disposta in base ad un accordo tra le parti, purché il giudice la reputi utile dal punto di vista della speditezza. La separazione è esclusa quando il giudice ritiene che la riunione sia assolutamente necessaria per l’accertamento dei fatti. 8. PROCEDIMENTI DI VERIFICA DELLA GIURISDIZIONE E DELLA COMPETENZA Il difetto di giurisdizione ricorre quando la cognizione sul procedimento spetta ad un giudice appartenente ad un diverso ordine giudiziario (es. reato militare giudicato dal giudice penale ordinario) e ai sensi dell’art. 20 può essere rilevato anche d’ufficio in qualsiasi momento del procedimento. Se viene rilevato nel corso delle indagini preliminari il giudice provvede con ordinanza e dispone la restituzione degli atti al pubblico ministero. Se rilevato dopo la chiusura delle indagini preliminari e in ogni stato del processo, il giudice pronuncia invece sentenza e ordina che gli atti vengano trasmessi all’autorità competente. Per quanto riguarda l’incompetenza, bisogna distinguere: - incompetenza per materia (più grave): può essere rilevata anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo (solo dopo che sia stata esercitata l’azione penale). - incompetenza per territorio e connessione: deve essere rilevata o eccepita a pena di decadenza, prima della conclusione dell’udienza preliminare o subito dopo il primo accertamento di costituzione delle parti (Art. 491). Vi sono due deroghe all’ordinario regime dell’incompetenza per materia: a) La prima ricorre quando il giudice conosce di un reato che appartiene alla cognizione di un giudice inferiore (incompetenza per eccesso); in questo caso l’incompetenza deve essere rilevata d’ufficio o eccepita entro il termine stabilito dall’art. 491. b) La seconda concerne l’ipotesi di incompetenza per materia derivante da connessione, che deve essere rilevata o eccepita, a pena di decadenza, entro gli stessi termini stabiliti per l’incompetenza per territorio. Gli artt. 22-25 definiscono la forma e gli effetti del provvedimento con cui viene dichiarata l’incompetenza: a) Nel corso delle indagini preliminari il giudice pronuncia un’ordinanza con la quale dispone la restituzione degli atti al PM; b) Dopo la chiusura delle indagini preliminari e in sede di dibattimento di primo grado, il giudice dichiara con sentenza la propria incompetenza e ordina la trasmissione degli atti; c) In grado di appello ad esempio il giudice rileva che su un reato di competenza della corte d’assise ha giudicato il tribunale, pronuncia sentenza di annullamento e ordina la trasmissione degli atti al PM presso il giudice di primo grado; d) Nel giudizio innanzi alla corte di cassazione, quest’ultima è tenuta a dichiarare, anche d’ufficio, l’incompetenza per materia derivante dall’avere un tribunale giudicato un reato di competenza della corte d’assise. Può essere eventualmente dichiarata anche l’incompetenza per territorio o per connessione, purché la relativa eccezione sia stata riproposta nei motivi del ricorso per cassazione. La decisione della corte di cassazione sulla giurisdizione o sulla competenza è vincolante nel corso del processo: può essere superata nella sola ipotesi in cui risultino nuovi fatti che modificano la giurisdizione o la competenza. L’art. 26 stabilisce che il mancato rispetto delle norme sulla competenza non determina l’inefficacia delle prove acquisite, con la sola eccezione delle dichiarazioni rese dal giudice incompetente per materia che potranno essere utilizzate solo in sede di udienza preliminare. L’art. 27 prevede invece che le misure cautelari disposte dal giudice incompetente cessano di avere efficacia se entro 20 giorni dall’ordinanza di trasmissione degli atti al giudice competente non siano da quest’ultimo confermate. Gli artt. 28-32 si occupano invece dei conflitti tra giudici. Il conflitto è la situazione che si determina quando in qualsiasi stato o grado del processo prendono cognizione o si rifiutano del medesimo fatto. Si può avere conflitto di giurisdizione che opera quando vi è contrasto tra giudice ordinario e giudice speciale, oppure conflitto di competenza quando sono coinvolti più giudici ordinari. Dinnanzi all’impossibilità di stabilire preventivamente un elenco esaustivo delle varie ipotesi di conflitto, il legislatore ha fatto ricorso alla categoria dei conflitti “analoghi”. Il procedimento di conflitto nasce in seguito ad una denuncia di parte, privata o pubblica, o ad una rilevazione d’ufficio del giudice. Esso non comporta la sospensione del processo in corso ed è risolto dalla corte di cassazione con sentenza in camera di consiglio. Quindi il conflitto cessa: - per effetto dell’iniziativa di uno dei giudici che dichiari la propria competenza (conflitto negativo dove tutti rifiutavano) o la propria incompetenza (conflitto positivo dove tutti volevano giudicare); - bisogna attendere la sentenza vincolate della corte di cassazione. 6 9. IL CONTROLLO SUL CORRERTO RIPARTO DI ATTRIBUZIONI TRA TRIBUNALE MONOCRATICO E TRIBUNALE COLLEGIALE L’inosservanza delle disposizioni concernenti l’attribuzione di un reato ad una determinata composizione del tribunale deve essere rilevata o eccepita, a pena di decadenza, prima della conclusione dell’udienza preliminare o nei processi in cui si prescinde da tale udienza, entro il termine previsto dall’art. 491 comma 1. La relativa regolamentazione ricalca quella sull’incompetenza per territorio e per connessione. La diversificazione riguarda la forma del provvedimento giudiziale con cui viene dichiarata l’erronea attribuzione del reato. In sede di udienza preliminare, bisogna prendere in considerazione l’ipotesi in cui il giudice ritenga che si debba prescindere dall’udienza in questione, in quanto il reato rientra tra quelli rispetto ai quali è prevista la citazione diretta a giudizio da parte del PM, affinché questi provveda ad emettere il decreto di citazione a giudizio. Se invece l’inosservanza delle regole sull’attribuzione del reato viene rilevata nel dibattimento di primo grado, il giudice procede diversamente a seconda che il dibattimento sia stata instaurato in seguito ad udienza preliminare oppure a decreto di citazione diretta a giudizio: a) nel primo caso è sufficiente trasmettere gli atti, con ordinanza, al giudice competente; b) nel secondo, essendo stato l’imputato indebitamente privato dell’udienza preliminare, occorre una regressione del processo; deve essere quindi disposta, con ordinanza, la trasmissione degli atti al PM, per consentirgli di esercitare l’azione penale tramite la richiesta di rinvio a giudizio. La questione sulla violazione delle regole sulle attribuzioni può essere affrontata anche nel giudizio d’appello e in quello di cassazione. La questione relativa alla violazione delle regole sulle attribuzioni può essere affrontata anche nel giudizio di appello e in quello di quello di cassazione. Quanto al giudizio di appello, qualora questi ritenga che dovesse giudicare il tribunale in composizione collegiale, pronuncia sentenza di annullamento e ordina la trasmissione degli atti al PM presso il giudice di primo grado. Pronuncia, invece, nel merito, qualora ritenga che il reato appartenesse alla cognizione del tribunale in composizione monocratica. Quanto alla corte di cassazione, bisogna distinguere tra attribuzione viziata per difetto o per eccesso: nel primo caso, pronuncia sentenza di annullamento e ordina la trasmissione degli atti al PM; nel secondo caso vale la stessa regola, purché il ricorso riguardi una sentenza inappellabile o si tratti di un ricorso immediato. Al di fuori di queste ipotesi, l’errore di attribuzione è irrilevante. 10. LE CAUSE PERSONALI DI ESTROMISSIONE DEL GIUDICE: INCOMPATIBILITÀ, ASTENSIONE E RICUSAZIONE Nel nostro ordinamento vi sono dei casi in cui il giudice non può esercitare la sua funzione giurisdizionale (astensione) e le parti hanno diritto di chiederne l’estromissione (ricusazione) al ricorrere di determinate condizioni, previste dalla legge, che rischiano di compromettere la credibilità del giudice nell'esercizio delle sue funzioni e la loro corretta esplicazione. Le cause di incompatibilità, oltre che nell’ordinamento giudiziario, sono previste dal codice di procedura penale agli artt.: - 35: sono elencate le ipotesi di incompatibilità per ragioni di parentela, affinità o coniugio: “nello stesso procedimento non possono esercitare funzioni, anche separate o diverse, giudici che sono tra loro coniugi, parenti o affini fino al secondo grado”; - 34: elenca le cause di incompatibilità da atti compiuti nel procedimento e vi sono 4 diversi gruppi di situazioni: a) il giudice che ha pronunciato o ha concorso a pronunciare sentenza in un grado del procedimento non può esercitare funzioni di giudice negli altri gradi, né partecipare al giudizio di rinvio dopo l’annullamento; b) Non può partecipare al giudizio né il giudice che ha pronunciato il provvedimento conclusivo dell’udienza preliminare o ha disposto il giudizio immediato o ha emesso decreto penale di condanna, né quello che ha deciso sull’impugnazione contro la sentenza di non luogo a procedere emessa dal GUP; c) Il comma 2bis aggiunge che non può emettere il decreto penale di condanna né partecipare al giudizio, il giudice che ha esercitato le funzioni di GIP. Deroga presente al comma 2ter, nel caso in cui il giudice in questione abbia adottato uno dei provvedimenti elencati dal comma 2ter come ad esempio le autorizzazioni sanitarie, i permessi relativi ai colloqui etc. Lo scopo dell’introduzione del 2bis era quello in parte di evitare ulteriori interventi della corte costituzionale sull'articolo in esame in materia di incompatibilità del giudice per le indagini preliminari e del giudice dell'udienza preliminare, in parte di 7 dettare una disciplina di carattere generale. In particolare, si è voluto evitare che uno stesso soggetto accumulasse situazioni astrattamente incompatibili; d) L’incompatibilità non opera nel caso in cui il giudice abbia adottato provvedimenti di scarsa rilevanza e non implicanti una valutazione di merito dell’imputazione (concessione di un permesso di colloquio ad un imputato detenuto). La violazione delle disposizioni sull’incompatibilità non è causa di nullità, ma si risolve in ipotesi di: 1) astensione (art. 36): Ha l’obbligo di astenersi il giudice che abbia interesse nel procedimento, che sia tutore, curatore o procuratore di una delle parti private. È poi previsto l’obbligo di astensione quando qualcuno dei congiunti prossimi del giudice è offeso da reato o da parte privata. Il giudice può essere invece ricusato dalle parti nei casi di violazione delle lettere dell’articolo 36 o se nell’esercizio delle funzioni prima che sia pronunciata sentenza, egli ha manifestato il proprio convincimento sui fatti oggetto dell’imputazione. L’astensione assicura la serenità e l’autorità del giudice necessarie per l’esercizio delle sue funzioni e garantisce assoluta estraneità ed imparzialità del giudice rispetto alle parti in causa. Per quanto riguarda il procedimento, per l’astensione è prevista una procedura semplificata: si procede con la dichiarazione al presidente della corte o del tribunale il quale decide con decreto senza formalità di procedura. 2) ricusazione (art. 37): per la ricusazione è previsto un impianto normativo. Il procedimento inizia con la presentazione della dichiarazione nella cancelleria del giudice competente con deposito di una copia di questa nella cancelleria del giudice ricusato. Dalla presentazione scatta il divieto per il giudice ricusato di pronunciare sentenza fino a che non venga emanata l’ordinanza di inammissibilità o di rigetto. I termini e le forme per la dichiarazione di ricusazione sono stabiliti all’art. 38 c.p.p. Vengono stabiliti sempre dal codice gli organi competenti: se giudice di tribunale o di corte d’assise decide la corte di appello. Se giudice della corte d’appello o della cassazione decide una sezione diversa da quella a cui appartiene il giudice. È previsto un controllo successivo realizzabile mediante ricorso per cassazione. Una volta ammessa, la corte decide sul merito della ricusazione con le forme previste dall’art. 127. La stessa corte può inoltre decidere che il giudice sospenda ogni attività processuale o si limiti al compimento degli atti urgenti. L’unico divieto imposto al giudice ricusato è quello di non pronunciare, concorrere a pronunciare sentenza fino a che non sia intervenuta l’ordinanza che dichiara inammissibile o rigetta la ricusazione. I casi considerati in questi due articoli riguardano in generale i rapporti del giudice con le parti o con la situazione dedotta in giudizio. Secondo le Sezioni Unite della cassazione, se nel provvedimento che accoglie la richiesta di astensione o di ricusazione manca una espressa dichiarazione di conservazione di efficacia, gli atti precedentemente compiuti dal giudice astenutosi o ricusato sono inefficaci. Tutte le ordinanze che si pronunciano sul merito, emesse dal giudice competente a decidere sulla ricusazione, sono immediatamente eseguibili. 11. LA RIMESSIONE DEL PROCESSO La rimessione del processo è lo spostamento dello stesso da una sede all’altra per salvaguardare l’imparzialità dell’intero organo giudicante. La rimessione può essere richiesta in ogni stato e grado del processo di merito quando vi sia in primis il nesso causale tra le gravi situazioni locali e il conseguente pregiudizio alla libera determinazione delle persone che partecipano al processo. Recentemente si è anche introdotta la possibilità di fare richiesta di remissione anche in caso di legittimo sospetto. La richiesta può essere avanzata dall’imputato, dal procuratore generale presso la corte d’appello e dal pm presso il giudice procedente. Se proveniente dell’imputato, la richiesta deve essere da lui sottoscritta (o da un suo procuratore speciale) e dopo essere depositata nella cancelleria del giudice, va notificata entro 7 giorni, a cura del richiedente alle altre parti. In base all’odierna formulazione dell’art. 47, è lo stesso giudice procedente che può disporre con ordinanza la sospensione del processo fino a che non sia intervenuta l’ordinanza di inammissibilità o di rigetto. Allo stesso modo, dopo essere stata investita della richiesta, la corte di cassazione può disporre la sospensione. Il giudice invece è obbligato a sospendere quando ha avuto notizia dalla Cassazione che la richiesta di rimessione è stata assegnata alle sezioni unite o a sezione diversa dall’apposita sezione designata dal codice (art. 47). Viene esclusa la sospensione invece quando la richiesta non è fondata su elementi nuovi rispetto a quelli di una precedente richiesta rigettata o dichiarata inammissibile. Finché dura la sospensione restano sospesi i termini di prescrizione del reato e se la richiesta proviene dall’imputato anche dei termini di durata massima della custodia cautelare. Se interviene la sospensione sono consentiti solo gli atti urgenti. La decisione della cassazione assume la forma dell’ordinanza (di rigetto, di accoglimento o di inammissibilità) e la stessa 10 15. I RAPPORTI ALL’INTERNO DELL’UFFICIO Ciascun ufficio del pm si compone del titolare (procuratore generale presso la cassazione o la corte d’appello o procuratore della repubblica nei Tribunali) e di uno o più magistrati addetti all’ufficio (sostituti procuratori). Alle procure delle sezioni distaccate delle corti di appello sono preposti avvocati generali. I titolari dirigono l’ufficio e ne organizzano l’attività esercitando poi essi stessi le funzioni di pm a meno che non abbiamo già designato uno o più magistrati dell’ufficio a svolgere questa funzione. Il titolare può anche procedere ad una designazione congiunta in considerazione del numero degli imputati o dalla complessità delle indagini o del dibattimento. Ci si chiede quali rapporti vi siano tra il titolare dell’ufficio e i magistrati. Al Pm è riconosciuta la piena autonomia ai sensi dell’art. 53 e questa deve essere estesa anche ai probabili magistrati designati da titolare dell’ufficio. L’autonomia del magistrato del pm nell’udienza comporta che le cause di sostituzione restio circoscritte ai casi specificati dallo stesso articolo 53 al comma 2 e al comma 3: - Grave impedimento e rilevanti esigenze di servizio; - situazioni nelle quali il giudice sarebbe obbligato ad astenersi (art. 36); - In altri casi la sostituzione è prevista solo con il consenso del magistrato stesso. Quando il capo dell’ufficio non provvede alla sostituzione del magistrato nei casi previsti dal 36, il procuratore generale presso la corte di appello designa per l’udienza un magistrato appartenente al suo ufficio. Nella fase delle indagini preliminari, il pm godrebbe di autonomia tuttavia il capo dell’ufficio può fissare regole generali per la miglior efficienza dell’ufficio. Se il magistrato non rispetta queste disposizioni può essere legittimamente sostituito. La disciplina interna all’ufficio va integrata con quella contenuta nel d.lgs 106/2006 con cui si sono attuate le disposizioni del governo con la quale si è riorganizzato l’ufficio del pm secondo un’impostazione più gerarchica. L’art. 1 di questo decreto conferisce al procuratore della repubblica la titolarità esclusiva dell’azione penale e questo potere è esercitato o personalmente o mediante assegnazione a uno o più magistrati dell’ufficio. Il procuratore quindi può stabilire i criteri ai quali il magistrato deve attenersi, può revocare l’assegnazione di questo. Il procuratore della repubblica può inoltre disporre il fermo di colui che è indiziato di delitto o richiederne una misura cautelare personale o reale. 16. UFFICI DEL PUBBLICO MINISTERO DISTRETTUALE Nel corso del tempo si sono introdotte una serie di deroghe destinate ad incidere sulla divisione del lavoro e sui rapporti tra gli uffici così da creare dei procedimenti speciali per alcuni tipi di reati. La disciplina speciale opera nei procedimenti di cui all’articolo 51 comma 3bis (es. associazione a delinquere aggravata) il quale stabilisce che in questi casi le funzioni di pubblico ministero sono attribuite all’ufficio del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente. Inoltre, per tutti i reati indicati dai commi 3bis, 3quater e 3 quinquies, se ne fa richiesta il procuratore distrettuale, le funzioni del PM nelle indagini preliminari e nei procedimenti di primo grado sono attribuite all’ufficio che ha sede presso il tribunale del capoluogo del distretto di corte d’appello. Il Procuratore della repubblica presso il tribunale del capoluogo distrettuale costituisce una Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) designando i magistrati che devono farne parte per la durata non inferiore a due anni per la trattazione dei soli procedimenti relativi ai reati indicati nell’art. 51 comma 3bis. Inoltre può essere istituito un posto di procuratore aggiunto per ragioni riguardanti lo svolgimento dei compiti della direzione distrettuale. Il procuratore distrettuale designa per l’esercizio delle funzioni di PM nei procedimenti in discorso, i magistrati addetti alla direzione, ma, su richiesta del procuratore distrettuale, il procuratore generale presso la corte di appello per giustificati motivi può disporre che le funzioni di PM per il dibattimento siano esercitate da un magistrato designato dal Procuratore della Repubblica presso il giudice competente. Nonostante tutto possono sorgere contrasti, positivi o negativi, tra i diversi uffici del PM sulla relativa legittimazione a procedere: se il contrasto si verifica tra diverse direzioni distrettuali la risoluzione al procuratore generale presso la corte di cassazione ma comunque al procuratore nazionale antimafia è demandata una funzione consultiva; se il contrasto insorge all’interno dello stesso distretto, il compito spetta al procuratore generale presso la corte di appello. La procura nazionale antimafia (Dna) è un ufficio del pubblico ministero specializzato. Alla sua direzione sono preposti un magistrato con funzioni di procuratore nazionale e due magistrati con funzioni di procuratori aggiunti. L’incarico di procuratore nazionale e di procuratore aggiunto ha durata di 4 anni rinnovabile una sola volta. Nei procedimenti relativi ai delitti di cui all’art. 51 comma egli si avvale della direzione investigativa antimafia (Dia) e dei servizi centrali e interprovinciali 11 delle forze di polizia. Per i delitti invece art. 51 comma 3 quater il procuratore nazionale può servirsi invece del solo personale dei servizi centrali ed interprovinciali. Il procuratore nazionale appare investito di due nuclei di funzione: 1) Impulso al coordinamento (art. 371bis): assicura il collegamento investigativo anche tramite magistrati della Dna. Il procuratore nazionale impartisce direttive alle quali i procuratori distrettuali direttive alle quali questi debbono attenersi per evitare contrasti riguardanti le modalità di indagine. Rimedio al mancato coordinamento può ricorrere allo strumento allo strumento dell’avocazione; 2) Impulso alle investigazioni: si risolve nell’acquisizione e nell’elaborazione di notizie, informazioni e dati attinenti alla criminalità organizzata e ai delitti di terrorismo. Il procuratore nazionale antimafia può oltre che ricevere anche ricercare informazioni. Al fine di soddisfare specifiche e contingenti esigenze investigative, è possibile l’applicazione temporanea dei magistrati della DNA e della DDA. Essa è disposta con decreto motivato del Procuratore Nazionale Antimafia, sentiti i procuratori generali e della Repubblica interessati. L’applicazione non può durare per più di un anno, ma in caso di necessità, può essere rinnovata per un altro anno. Il decreto di applicazione è quindi trasmesso senza ritardo al CSM per l’approvazione, nonché al ministro della giustizia. 17. LE FUNZIONI ED I SOGGETTI DI POLIZIA GIUDIZIARIA L’art. 55 comma 1 si occupa delle attività che la polizia svolge anche di propria iniziativa seguendo una classica ripartizione: 1) Attività informativa: si sostanzia nell’acquisire la notizia di reato e nel riferirla al pubblico ministero; 2) Attività investigativa: consiste nel ricercare l’autore del reato mediante il compimento di atti tipici ed atipici; 3) Attività assicurativa quale ideale perfezionamento della investigativa, è riferita alle fonti di prova in conformità al canone secondo cui la prova si forma tendenzialmente in sede dibattimentale. La norma menziona anche l’obbligo di raccogliere tutto ciò che possa servire all’applicazione della legge penale e l’obbligo di impedire che i reati siano portati a conseguenze ulteriori (compito tipico della polizia di sicurezza). Inoltre sono considerate le funzioni che la polizia giudiziaria adempie su ordine o su delega dell’autorità giudiziaria come quelle di eseguire le notificazioni richieste dal pm. Nei procedimenti con detenuti e nei procedimenti davanti al tribunale del riesame il giudice può disporre che le notificazioni siano eseguite dalla polizia penitenziaria del luogo in cui i destinatari sono detenuti. L’elenco di chi riveste la qualifica di ufficiale è fornito dall’art. 57. Tra gli ufficiali figurano in primo luogo i dirigenti, i commissari, gli ispettori, i sovrintendenti e gli altri soggetti ai quali l’ordinamento dell’amministrazione della pubblica sicurezza riconosce a qualità di ufficiali di polizia giudiziaria oltre che ufficiali, superiori ed inferiori dei carabinieri, guardia di finanza, polizia penitenziaria. Tra gli agenti che svolgono funzioni di polizia giudiziaria in via generale vanno annoverati: il personale della polizia di stato, carabinieri e guardia di finanza. In una situazione particolare si trovano coloro che fanno parte della DIA, il cui relativo personale è attinto in primis dai ruoli della polizia di stato, carabinieri e guardi di finanza: oltre che funzioni di investigazione preventiva attinente alla criminalità organizzata, ha anche il compito di effettuare indagini di polizia giudiziaria relative esclusivamente a delitti di associazione di tipo mafioso o comunque ricollegabili all’associazione stessa. 18. L’ORGANIZZAZIONE DELLA POLIZIA GIUDIZIARIA E LA SUA DIPENDENZA FUZIONALE DALL’AUTORITÀ GIUDIZ IARIA L’art. 56 afferma che le funzioni della polizia giudiziaria, dipendenti e sotto la direzione dell’autorità giudiziaria, sono svolte: - Dai servizi di polizia giudiziaria previsti dalla legge la quale prevede l’istituzione e l’organizzazione di unità dal parte del dipartimento di pubblica sicurezza (es. ROS o RIS); - Dalle sezioni di polizia giudiziaria istituite presso ogni procura della repubblica al fine di garantire uno stretto rapporto con l’organo che dirige, per regola, le indagini preliminari. Sono composte con personale dei servizi di polizia giudiziaria così da creare un efficiente rapporto collaborativo ossia da ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria. Il personale delle sezioni non deve essere inferiore al doppio dei magistrati della procura della Repubblica; - Dagli ufficiali e dagli agenti di polizia giudiziaria appartenenti agli altri organi cui la legge fa obbligo di compiere indagini a seguito di una notizia di reato. I profili organizzativi sono demandati agli enti di appartenenza. Ogni procura della repubblica dispone della relativa sezione di polizia giudiziaria. Queste dipendono quindi direttamente dai magistrati che dirigono gli uffici. Per i giudici invece le attività di polizia giudiziaria sono svolte dalle sezioni istituite presso le 12 corrispondenti procure della Repubblica. Qui la disponibilità non è immediata. Una disponibilità ancora meno intensa è attribuita a qualsiasi autorità giudiziaria nei confronti delle sezioni, dei servizi e dei restanti organi di polizia giudiziaria. 19. RAPPORTI DI SUBORDINAZIONE Le sezioni di polizia giudiziaria dipendono dai magistrati che dirigono gli uffici presso cui sono istituite, quindi sono in un rapporto di subordinazione nei confronti del procuratore della repubblica, il quale dirige i loro uffici. Gli ufficiali e gli agenti di polizia sono tenuti a eseguire i compiti a essi affidati inerenti alle funzioni di cui all’art. 55 e c’è il divieto di distogliere gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria dalla loro attività, se non per disposizione dal magistrato da cui dipendono. L’ufficiale preposto ai servizi è responsabile verso il procuratore della Repubblica presso il tribunale. Il rapporto di subordinazione è rafforzato dall’obbligo in capo alle singole amministrazioni di ottenere il consenso del procuratore della Repubblica o del procuratore generale per allontanare dalla sede o assegnare ad altri uffici i dirigenti dei servizi o di promuoverli. 20. L’IMPUTATO E LA PERSONA SOTTOPOSTA ALLE INDAGINI La persona assume la qualità di imputato a seguito dell’atto che contiene la formale individuazione della persona stessa a cui il reato è attribuito. L’art. 60 enumera una serie di atti tipici dai quali l’assunzione scaturisce (richiesta di rinvio a giudizio, di giudizio immediato, di decreto penale di condanna, del decreto di citazione in giudizio). La qualità di imputato si conserva in ogni stato e grado del processo fino a che questo è pendente e cessa nel momento della definizione del processo, quindi con una decisione diventata irrevocabile o comunque non più impugnabile. Persa la qualità di imputato egli diventa prosciolto o condannato. La qualità si riassume in caso di revoca della sentenza di non luogo a procedere o qualora sia disposta la revisione del processo. Il prosciolto riacquista la qualità con l’ordinanza che fissa l’udienza preliminare se il pm abbia richiesto il rinvio a giudizio essendo già state acquisite le nuove fonti di prova (se non fosse così non si produce l’effetto). La rescissione del giudicato è il messo straordinario di impugnazione che scatta nel caso in cui sia stata emessa una sentenza di condanna o applicativa di una misura di sicurezza, passata in giudicato pronunciata a seguito di un processo nel quale l’imputato era assente. Questo deve dimostrare che l’assenza è stata causate da un’incolpevole conoscenza del processo. L’articolo 61 estende all’indagato (colui che è sottoposto alle indagini prima dell’esercizio dell’azione penale) i diritti e le facoltà previsti a garanzia dell’imputato ed ogni altra disposizione a questi favorevole, ma non le previsioni in malam partem. 21. LE DICHIARAZIONI RESE DA PARTE DELL’IMPUTATO Le norme contenute negli artt. 62-65 riguardano le dichiarazioni rese dall’imputato. L’articolo 62 prescrive che le dichiarazioni rese nel corso del procedimento dall’imputato e dalla persona sottoposta alle indagini preliminari non possono formare oggetto della testimonianza: - in primo luogo, ciò non riguarda solo le dichiarazioni sollecitate, ma anche quelle che il soggetto rilascia di propria iniziativa; - in secondo luogo, il divieto vale nei confronti di coloro a carico dei quali, per effetto delle dichiarazioni rese emergono indizi di reità e di coloro che, fin dall’inizio, dovevano essere sentiti in qualità di imputato o di persona sottoposta alle indagini; - in terzo luogo, sono coperte dall’art. 62 le dichiarazioni rese dinnanzi all’autorità giudiziaria, alla polizia giudiziaria e ad altre persone abilitate a riceverle; - è inibito a testimoniare chi riferisca, anche avendolo appreso da altri, il contenuto delle dichiarazioni dell’imputato e dei soggetti a lui assimilati. L’acquisizione illegittima di tali testimonianze comporta la loro inutilizzabilità. La disciplina delle dichiarazioni indizianti nell’articolo 63 costituisce un’anticipazione del diritto al silenzio operante in sede di interrogatorio e completa la regola per cui nessuno può essere obbligato a deporre su fatti dai quali potrebbe emergere la propria responsabilità penale. Si profilano in campo all’autorità procedente 3 obblighi distinti: 1) Quello di interrompere l’esame come pure l’eventuale assunzione di informazioni; 2) Quello di avvertire la persona che potranno essere svolte indagini nei suoi confronti per effetto della mutata veste processuale; 15 25. LA PARTE CIVILE: LEGITTIMAZIONE, COSTITUZIONE ED ESODO DAL PROCESSO FINALE L’intervento della parte civile è mirato ad ottenere le restituzioni o il risarcimento del danno ricollegabili al reato oggetto di accertamento in sede penale, ed è effettuabile anche dal successore universale. Solo in casi di urgenza, cioè quando manca il rappresentante e c’è necessità di portare avanti il processo, il PM può chiedere al giudice di nominare un curatore speciale. Nell’ipotesi di esercizio dell’azione civile nel processo penale occorre distinguere la legittimazione ad causam che si identifica con la titolarità del diritto sostanziale in capo alla persona danneggiata e che è il presupposto per la costituzione della parte civile, dalla legittimazione a processo per la quale il titolare del diritto che non abbia la capacità di agire deve essere rappresentato, assistito o autorizzato nelle forme prescritte per le azioni civili. Diversa è la nozione di rappresentanza processuale, in virtù della quale la parte civile non può difendersi da sola ma deve stare in giudizio con il ministero di un difensore munito di procura speciale. L’art. 78 disciplina le formalità della costituzione della parte civile. Questa è depositata nella cancelleria del giudice che procede o è presentata in udienza e deve avere un determinato contenuto stabilito dallo stesso articolo. Se presentata fuori udienza ovviamente le parti devono riceverne notifica. L’azione civile ha comunque carattere accessorio rispetto a quella penale, la costituzione di parte civile segue e non può precedere la promozione dell’azione penale. Pertanto, la costituzione di parte civile avviene solo nella fase processuale ed incontra quale momento preclusivo iniziale quello dell’udienza preliminare e come termine finale la dichiarazione di apertura del dibattimento, immediatamente successiva all’accertamento della regolare costituzione delle parti. La parte civile può non avere permanenza stabile: può essere esclusa o può recedere. Il pm, l’imputato e il responsabile civile possono proporre richiesta motivata di esclusione. Il provvedimento che dispone l’esclusione (ad es. per difetto di legittimazione) ha un valore meramente processuale. Tale valenza implica che, come l’ammissione della parte civile non comporta l’automatico riconoscimento del diritto al risarcimento del danno, allo stesso modo la sua esclusione non preclude l’esercizio di un’azione autonoma in sede civile. Si procede tramite ordinanza (inoppugnabile). L’ipotesi di esclusione è anche quella prevista dall’art. 81. Si può però verificare anche un recesso spontaneo. Nel caos di revoca espressa occorre un’apposita dichiarazione resa personalmente o per mezzo di un procuratore speciale, la stessa dichiarazione può assumere forma orale se fatta in udienza. Le ipotesi di revoca tacita e presunta sono tassativamente previste dall’art. 82. 26. RAPPORTI TRA AZIONE CIVILE E AZIONE PENALE L’azione civile proposta davanti al giudice civile può essere trasferita (art. 75 co. 1) nel processo penale fino a quando in sede civile non sia stata pronunciata sentenza di merito anche non passata in giudicata. Il cambiamento di sede comporta l’estinzione del giudizio civile per rinuncia agli atti. L’azione civile continua però quando non è trasferita nel processo penale o è stata iniziata quando non è più ammessa la costituzione di parte civile. Ai sensi dell’art. 75 co.3 il giudizio civile prosegue senza interruzioni il suo corso quando: - il processo penale è stato sospeso per incapacità dell’imputato; - vi è stata esclusione della parte civile; - sebbene ricorrano i presupposti stabiliti dalla legge per la costituzione, non risulta possibile notificare personalmente all’imputato assente l’avviso dell’udienza preliminare; - quando la parte civile ha abbandonato il processo penale per una non accettazione del rito abbreviato. 27. RESPONSABILITÀ CIVILE Responsabile civilmente è colui che a norma delle leggi civili è tenuto a rispondere per il fatto dell’imputato e nei suoi confronti può agire per le restituzioni e il risarcimento del danno il soggetto danneggiato. Non è ipotizzabile un intervento del responsabile civile prima della costituzione di parte civile, ma nel momento in cui questa recede o viene esclusa, il responsabile viene estromesso. Il responsabile civile può o essere citato su richiesta delle parti o può intervenire volontariamente: alla base dell’intervento volontario del responsabile civile c’è l’interesse ad interloquire nel processo penale al fine di evitare pregiudizi. Anche se la sentenza penale non ha efficacia di giudicato nei confronti del responsabile civile non citato o non intervenuto, il giudice civile potrebbe essere influenzato dalla sentenza emessa dal giudice penale. Verificata la legittimazione di costituzione, il giudice procedente ordina la citazione con decreto il cui contenuto è specificato dall’art. 83. La citazione è nulla se il 16 responsabile civile non sia stato in grado di esercitare i suoi diritti nell’udienza preliminare o nel giudizio ad esempio per errore o per omessa indicazione di qualche elemento essenziale. Il RC non è tenuto ad intervenire nel processo: al pari della parte civile sta in giudizio col ministero di un difensore e può costituirsi in ogni stato e grado del processo depositando presso la cancelleria del giudice una dichiarazione a pena di inammissibilità. Esiste un termine finale a pena di decadenza, che coincide con l’effettuazione degli accertamenti relativi alla costituzione delle parti. Anche il RC può essere escluso o su richiesta motivata delle parti sulla quale il giudice deciderà con ordinanza. 28. CIVILMENTE OBBLIGATO PER LA PENA PECUNIARIA L’obbligazione a carico della persona o ente, civilmente obbligati, è una forma di responsabilità civile verso lo stato. Essa ha natura sussidiaria ed eventuale. La condanna del civilmente obbligato è ad esecutività condizionata all’insolvibilità dell’imputato, e non va iscritta nel casellario giudiziale. Il civilmente obbligato è, per effetto della condanna, assoggettato al pagamento non della sanzione pecuniaria penale, ma dell’equivalente importo. 29. LA PERSONA OFFESA DAL REATO La persona offesa versa in una situazione di particolare vulnerabilità. Diversi sono gli elementi da prendere in considerazione, come l’età e il suo eventuale stato di infermità. Bisogna inoltre accertare se il fatto che costituisce reato risulta commesso con violenza alla persona o con odio razziale, se è riconducibile ad ambiti di criminalità organizzata o di terrorismo. Nel momento in cui si accerta che la persona può essere definita particolarmente vulnerabile, le devono essere assicurate varie forme di tutela. Secondo una recente disposizione inoltre, lo Stato garantisce alle vittime di un reato intenzionale violento un indennizzo, il quale mira al rimborso delle spese mediche e assistenziali, mentre nel caso di violenza sessuale o omicidio questo viene elargito anche in assenza di tali spese. 30. I DIRITTI E LE FACOLTÀ DELLA PERSONA OFFESA L’art. 90 specifica che l’offeso dal reato è legittimato in via generale a presentare memorie e a indicare elementi di prova. Le memorie sono elaborati scritti di vario contenuto mediante i quali possono essere avanzate istanze. A seconda dei casi queste saranno indirizzate al pubblico ministero o al giudice procedente. Alla persona offesa è inoltre riconosciuto in ogni stato e grado del procedimento il potere di indicare elementi di prova. Per quanto riguarda la capacità processuale il minore di anni 14, l’interdetto o l’inabilitato devono essere rappresentati dai genitori o dal tutore mentre il minore ultraquattordicenne vi è il diritto di querela o possono esercitarlo in loro vece il genitore o il tutore o il curatore (Art. 120 c.p.) Quando vi è incertezza sulla minore età della persona offesa il giudice dispone una perizia la quale se non ha risultati positivi la minore età viene presunta. Inoltre si dispone che, in caso di decesso della persona offesa in conseguenza del reato, le facoltà e i diritti previsti in favore della stessa dalla legge possono essere esercitati sia dai prossimi congiunti che da persone che oltre ad avere una relazione affettiva convivevano stabilmente con esso. Infine, con l’ottica di dare piena attuazione alle direttive europee, sono stati stabiliti i diritti di informazione di cui gode la persona offesa in una lingua a lei comprensibile. Tra questi diritti è innanzitutto riconosciuto quello di chiedere all’autorità procedente informazioni relative allo stato del procedimento. Inoltre nello specifico per i delitti commessi con violenza alla persona, deve essere immediatamente data comunicazione alla persona offesa su sua richiesta dei provvedimenti di scarcerazione, cessazione della misura di sicurezza detentiva, evasione dell’imputato salvo caso di pericolo concreto di un danno per l’autore del reato. 31. GLI ENTI E LE ASSOCIAZIONI RAPPRESENTATIVI DI INTERESSI LESI DAL REATO È previsto che se risultano rispettati alcuni requisiti, gli enti e le associazioni aventi finalità di tutela degli interessi lesi dal reato possono esercitare diritti e facoltà attribuiti alla persona offesa dal reato. Qualora l’ente collettivo risulti direttamente danneggiato dal reato, nulla gli impedisce di inserire la sua pretesa civilistica all’interno del processo penale mediante costituzione di parte civile. Qualora non fosse direttamente danneggiato ma sono stati deli suoi interessi, può partecipare in veste di accusatore privato al fianco della persona offesa disposta ad accettare il suo intervento. È richiesto dal legislatore 17 che l’ente collettivo non abbia scopo di lucro e che gli siano riconosciute in forza di legge finalità di tutela degli interessi lesi dal reato. Il riconoscimento deve essere avvenuto anteriormente alla commissione del fatto per cui si procede. 32. IL QUERELANTE In relazione ad alcuni reati, l’esercizio dell’azione penale da parte del Pubblico Ministero è subordinata, quando non è prevista d’ufficio, alla volontà persecutoria dei soggetti offesi che viene espressa attraverso la querela. La querela deve essere presentata di regola entro 3 mesi dal giorno della notizia del fatto che costituisce il reato. Il reato commesso in danno di più soggetti è perseguibile anche quando la querela sia presentata da una sola delle persone offese. Eccetto in alcuni casi, l’estinzione del reato consegue alla remissione della querela sempre che il querelato non l’abbia espressamente o tacitamente ricusata. Se la querela è stata proposta da più persone, affinché si produca l’effetto estintivo è necessario che la remissione sia di tutti i querelanti. La remissione può avvenire sia in forma espressa che in forma tacita (quella desumibile da fatti incompatibili con la volontà di persistere nella querela). 33. IL DIFENSORE DI FIDUCIA DELL’IMPUTATO Il difensore dell’imputato viene chiamato a svolgere un ruolo importante ed impegnativo in quanto è tenuto non solo a dimostrare la scarsa significatività degli elementi di prova a valenza accusatoria manche ad individuare e acquisire elementi probatori che scagionino l’imputato o alleggeriscano la sua posizione. Ai sensi dell’art. 96 c.p.p. l’imputato ha diritto di nominare non più di due difensori di fiducia. La nomina può essere fatta: con dichiarazione resa all’autorità procedente dall’interessato, consegnata all’autorità procedente dal difensore stesso o trasmessa tramite raccomandata. Non sono però ipotesi tassative in quanto si è in presenza di un atto a forma libera. La nomina del difensore può essere fatta anche in via preventiva ossia per l’eventualità che si instauri un procedimento penale. Il difensore nominato deve essere in possesso di tutti i requisiti richiesti per lo svolgimento della professione. Oltre ai praticanti avvocati e agli avvocati ‘ordinari’ si distinguono i cassazionisti e gli avvocati specialisti, figure per la cui iscrizione all’albo apposito devono soddisfare determinati requisiti. La prestazione del difensore costituisce oggetto di un contratto per la cui conclusione è indispensabile l’accettazione sia anche implicita del nominato. La nomina produce i suoi effetti per tutto l’arco del processo di cognizione. La nomina del difensore di fiducia della persona fermata, arrestata o in custodia cautelare fino a che non vi provvede, può essere fatta da un prossimo congiunto. 34. IL DIFENSORE D’UFFICIO L’imputato che non ha nominato un difensore di fiducia o ne è rimasto privo è assistito da un difensore d’ufficio il quale è individuato nell’ambito degli iscritti all’elenco nazionale. Il ruolo del difensore d’ufficio però è sussidiario rispetto a quello del difensore di fiducia, infatti esso cessa dalle funzioni non appena l’imputato procede alla nomina di un suo difensore di fiducia. Mentre quest’ultimo è libero di non accettare la nomina, il difensore d’ufficio ha l’obbligo di prestare il patrocinio salvo che in presenza di un giustificato motivo. Per essere ammesso all’albo dei difensori d’ufficio, bisogna essere in possesso di almeno uno dei requisiti previsti che ricomprendono, la partecipazione ad un corso di formazione e aggiornamento professionale in materia penale, l’iscrizione all’albo da almeno 5 anni, conseguimento titolo di specialista in diritto penale. La difesa d’ufficio è precostituita (giacché la designazione scaturisce da un meccanismo basato sulla predisposizione degli elenchi formati dai consigli dell'ordine). Alla persona sottoposta alle indagini è posto l’obbligo di retribuire il difensore di ufficio ove non sussistano le condizioni necessarie per essere ammessa al patrocinio a spese dello stato. 35. PATROCINIO DEI NON ABBIENTI E POTERI DEL DIFENSORE L’imputato, la persona offesa dal reato, il danneggiato che intende costituirsi parte civile e il responsabile civile, possono chiedere di essere ammessi al patrocinio a spese dello stato. Il patrocinio si traduce nel diritto, garantito dalla Costituzione, alla difesa legale a spese dello Stato e all’esonero dal pagamento delle spese processuali, comprese quelle per la consulenza 20 CAPITOLO II: ATTI 1. PREMESSA Fatto giuridico è qualsiasi accadimento consistente in un fenomeno naturale o in un comportamento umano. L’atto giuridico si distingue dal fatto giuridico per la volontarietà. L’atto processuale penale non ha una definizione legislativa esplicita: - sul piano soggettivo, sono tali quelli posti in essere dai soggetti del procedimento; - sul piano oggettivo, due sarebbero le caratteristiche essenziali dell’atto processuale penale: l’attitudine a produrre effetti giuridici ed il suo realizzarsi nel contesto del processo penale. Ad oggi si distingue il procedimento dal processo perché il primo ricomprende il secondo. Ciò che precede l’esercizio dell’azione penale (indagini preliminari) compone la sequenza degli atti del procedimento mentre ciò che segue le indagini preliminari fa parte anche del processo. L’intervento del giudice nelle indagini preliminari è eventuale, solo nel contesto del processo opera un giudice investito della pienezza delle proprie funzioni giurisdizionali. Gli atti posti in essere prima che la notizia di reato venga ad esistenza non possono mai costituire atti del procedimento. Esigenze sistematiche fanno coincidere il primo atto del procedimento con quello immediatamente successivo alla ricezione della notizia di reato da parte della polizia giudiziaria o del PM presso il tribunale. Gli atti nei quali la notizia si sostanzia, come ad esempio la denuncia, il referto si collocano al di fuori della sequenza del procedimento penale. 2. LA LINGUA DEGLI ATTI La regola generale dispone che la lingua degli atti sia quella italiana. Il comma 2 dell’art. 109 c.p.p però prevede un’eccezione secondo quanto previsto dall’art. 6 Cost il quale tutela le minoranze linguistiche: nel territorio dove è insediata una minoranza linguistica infatti è previsto che dinnanzi all’autorità giudiziaria di primo e secondo grado il cittadino italiano appartenente a questa minoranza linguistica può a sua richiesta essere interrogato o esaminato nella madrelingua così come per il verbale. Ciò vale non solo per l’imputato e per le alti parti private ma anche per il testimone, i periti, i consulenti tecnici ecc. Ci sono due requisiti per utilizzare una determinata lingua: - il primo è il riconoscimento da parte della legge della qualità di lingua minoritaria (sono riconosciute come minoritarie ad esempio il francese, il tedesco, il ladino); - il secondo circoscrive la tutela ai soli procedimenti che si svolgono davanti ad un’autorità avente competenza di primo o secondo grado sul territorio dove è insediata la minoranza linguistica; - il terzo requisito si risolve nell’onere del soggetto di richiedere sempre l’uso della lingua minoritaria espressa in forma scritta od orale, l’opzione è comunque revocabile. Il verbale è redatto sia in forma italiana che nella lingua minoritaria. Per quanto riguarda i tipi di nullità conseguenti l’inosservanza delle regole: - Per l’inosservanza del primo comma “gli atti del procedimento sono redatti in lingua italiana” si avrà una nullità relativa; - Se il vizio riguarda quanto disposto dal secondo comma relativo alla redazione, all’interrogatorio ecc. nella lingua minoritaria comporta una nullità di tipo intermedio. Anche per i sordo-muti sono previste particolari modalità di comunicazione (come lo scritto), mentre per coloro che non sanno né leggere né scrivere è possibile avvalersi di uno o più interpreti scelti tra le persone abituate a comunicare con la persona. 3. IL PROCESSO TELEMATICO E LA FORMA DEGLI ATTI: INFORMATICA O ANALOGICA Il perno su cui ruota la riforma Cartabia è l’utilizzo del processo telematico, nato soprattutto per fronteggiare le esigenze nate dal Covid. La remotizzazione delle udienze è stata sì estesa, ma allo stesso tempo il collegamento a distanza è rimesso ad una scelta discrezionale dell’autorità giudiziaria e non è condizionato dal consenso delle parti. Inoltre, consentire l’esecuzione delle notificazioni e delle comunicazioni con modalità telematiche ha implicato l’istituzione del domicilio digitale. La regola basilare del sistema processuale è che ogni atto scritto va redatto e conservato in forma di documento 21 informatico, cioè viene ad esistere un atto nativo digitale, ai quali si contrappongono gli atti redatti in forma di documento analogico (incorporati in un supporto cartaceo). 4. DATA, SOTTOSCRIZIONE E DEPOSITO DEGLI ATTI Ai sensi dell’art. 110 c.p.p. per la sottoscrizione di un atto è sufficiente la scrittura di propria mano. Non è ammessa la sottoscrizione con mezzi meccanici o con segni diversi dalla scrittura. A volte il codice richiede un’attestazione dell’autenticità della firma (es. per i documenti informatici serve la firma digitale). Diverse figure sono abilitate ad autenticare la sottoscrizione degli atti, oltre al funzionario di cancelleria, il notaio, il difensore, il sindaco, giudice di pace ecc. L’indicazione della data resta comprensiva anche del luogo di formazione dell’atto e oltre all’indicazione spaziale è sufficiente di regola la menzione del giorno, mese e anno. Se l’indicazione della data di un atto è prescritta a pena di nullità, questa sussiste solo nel caso in cui la data non possa stabilirsi con certezza in base ad elementi contenuti nell’atto medesimo o ad atti a questo connessi. Il deposito telematico di atti, documenti e richieste è modalità vincolata per tutte le fasi del procedimento nel rispetto della normativa: l’unica deroga attiene al malfunzionamento dei sistemi informatici. La creazione del fascicolo informativo è disciplinata nel dettaglio, tanto che il fascicolo deve essere autenticato, accessibile, leggibile, interoperabile e facilmente consultabile. Se la documentazione di un atto è stata distrutta e questo atto è necessario il codice prevede una serie di rimedi in ordine successivo: - È prevista in primis la surrogazione all’originale con una copia autentica. La competenza è affidata al presidente della corte o tribunale i quali provvedono anche d’ufficio con l’emissione di un decreto con cui si impartisce al soggetto che detiene la copia di consegnarla in cancelleria; - Qualora non fosse possibile si ricorre alla ricostituzione attraverso la quale viene formato un documento nuovo identico a quello mancante. Per fare ciò il giudice deve innanzitutto accertare il contenuto avvalendosi di ogni elemento utile, desumibile da fonti di prova sia reali che personali. L’istituto della ricostituzione è diverso dalla rinnovazione che deve essere azionata solo qualora non sia possibile procedere alla surrogazione; - La rinnovazione è configurabile come estrema ratio ed è disposta con ordinanza attraverso la quale se ne prescrive le modalità. 5. DIVIETO DI PUBBLICAZIONE L’art. 114 prevede oltre al divieto assoluto di pubblicazione per gli atti coperti da segreto una circoscritta durata al divieto incondizionato. Il legislatore sembra aver concepito due tipi di divieto di pubblicazione: - Riproduzione dell’atto totale o parziale della che risulta dalla documentazione procedimentale - Il secondo parla della pubblicazione di quanto l’atto esprime dal punto di vista concettuale. Per quanto riguarda gli atti coperti da segreto, il divieto di pubblicazione sembrerebbe operare per tutta la durata delle indagini preliminari, finché restano ignoti i potenziali autori del reato. Dal momento in cui si conosce la persona sottoposta alle indagini, il divieto è modellato in funzione del regime di conoscenza di ogni singolo atto. Il divieto viene meno con il deposito degli atti cui hanno diritto di assistere i difensori, quando il PM richiede il rinvio a giudizio. Esistono comunque atti come l’informazione di garanzia che sorgono senza essere sottoposti al divieto di pubblicazione. Nel 2017 con la legge n.103 si è disciplinata la materia delle intercettazioni. La disciplina ha cercato di impedire che le intercettazioni di comunicazioni e di conversazioni processualmente irrilevanti confluissero tra gli atti del procedimento ed anche sui mezzi di comunicazione di massa. Gli atti delle indagini preliminari che non sono stati mai coperti dal segreto o per i quali è caduto, non sono o diventano pubblicabili. Se non si procede a dibattimento, il secondo comma del 114 fa cadere il divieto una volta che le indagini preliminari sono concluse. Se si procede a dibattimento invece, gli atti che alla fine del dibattimento (che in generale sono pubblicabili sin dalla loro formazione) risultavano inseriti nel relativo fascicolo che erano oggetto di divieto di pubblicazione, questo cade con la pronuncia della sentenza di primo grado. Se però l’atto viene trasferito dal fascicolo per il dibattimento a quello del PM il divieto di pubblicazione si ripristina. Gli atti che risultano nel fascicolo del PM, sono pubblicabili solo dopo la pronuncia della sentenza di secondo grado. 22 Il 4° comma ed il 5° introducono altri due divieti che si caratterizzano per essere disposti dal giudice. Il primo divieto riguarda gli atti già utilizzati per le contestazioni nel momento in cui sia scattato il divieto di pubblicazione degli atti del dibattimento svolto a porte chiuse. Il secondo divieto riguarda la facoltà del giudice di disporre il divieto di atti o parte di essi quando la loro pubblicazione può in qualche modo offendere il buon costume o comportare la diffusione di notizie sulle quali la legge prevede di mantenere il segreto nell’interesse dello stato. È fatto divieto inoltre di pubblicare le generalità o l’immagine dei minorenni testimoni, persone offese o danneggiate dal reato fino a che non sono diventate maggiorenni. È vietato pubblicare l’immagine della persona che è stata privata della libertà personale mentre la stessa indossa il braccialetto elettronico. L’art. 114 in sostanza tutela 3 situazioni giuridicamente rilevanti: - La libertà di informazione; - Il segreto istruttorio; - La riservatezza dei soggetti coinvolti. La violazione delle norme in tema del divieto di pubblicazione prevede reato secondo l’art. 684 c.p. e la punizione prevista è l’arresto o l’ammenda. L’art. 115 prevede la disposizione di un illecito disciplinare quando la violazione è posta in essere da impiegati dello Stato o da altre professioni per la quale è prevista una speciale abilitazione dello Stato. 6. LE NUOVE FRONTIERE DELLA PRESUNZIONE DI INNOCENZA E IL DIRITTO ALL’OBLIO Il rapporto tra il procedimento penale e i mezzi di comunicazione sono cambiati nel corso del tempo, tenendo conto soprattutto di come ad esempio i talk show siano diventati dei veri e propri processi mediatici nei quali i telespettatori diventano dei veri e propri giudici. Per evitare di attaccare l’imputato più del dovuto, è stata introdotta una direttiva 2016/343/UE che prescrive di “adottare tutte le misure necessarie per garantire che, fino a quando la colpevolezza di un indagato o imputato non sia stata legalmente provata, le dichiarazioni pubbliche rilasciate alle autorità giudiziarie non presentino la persona come colpevole”. Questo serve a proteggere l’imputato sia all’interno del procedimento, ma soprattutto dalle gogne mediatiche. Abbiamo quindi una presunzione di innocenza in vari ambiti. In quello amministrativo si vieta alle autorità pubbliche di indicare pubblicamente come colpevole l’indagato o l’imputato fino a quando la colpevolezza non sia accertata con sentenza o decreto. La violazione di tale divieto fa sorgere il diritto di richiedere la rettifica della dichiarazione: - se l’autorità che ha reso la dichiarazione ritiene la richiesta fondata, procede immediatamente alla rettifica (con le stesse modalità di resa della dichiarazione); - se la richiesta non viene accolta, l’indagato o l’imputato può chiedere al tribunale, tramite la procedura d’urgenza ex art. 700, che sia ordinata la pubblicazione della rettifica. Dal punto di vista processuale è stata introdotta la garanzia della presunzione di innocenza, la quale detta regole che operano sia all’interno che all’esterno del procedimento penale: - comma 1: parla dei provvedimenti diversi da quelli volti alla decisione in merito alla responsabilità penale dell’imputato, affermando che costui e la persona sottoposta alle indagini non possono essere considerati colpevoli fino a quando la colpevolezza non sia stata accertata con sentenza o decreto irrevocabili. Se viene violato tale comma, l’interessato può chiedere entro 10 giorni la correzione del provvedimento (le altre parti e il pubblico ministero possono opporsi); - comma 2: riguarda i provvedimenti diversi da quelli sul merito della responsabilità, i quali, se presuppongono la valutazione di prove, elementi di prova o indizi di colpevolezza, l’autorità giudiziaria deve limitare i riferimenti alla colpevolezza solo alle indicazioni necessarie a soddisfare i presupposti, i requisiti e le altre condizioni richieste dalla legge per adottare il provvedimento. Per quanto riguarda il diritto all’oblio, esso consiste nel diritto di un soggetto, precedentemente colpevole per un determinato reato, a non essere esposto per sempre ai danni arrecati al suo onore e alla sua reputazione tramite la pubblicazione di informazioni passate. Il diritto all’oblio va quindi bilanciato con il diritto di cronaca, dando prevalenza al primo nel momento in cui non c’è un reale interesse alla pubblicazione di determinate informazioni. Con l’avvento della digitalizzazione bisogna tutelare tale diritto ancora di più, tenendo conto che è molto più semplice reperire informazioni passate sul web: è stata introdotto un regolamento UE nel 2018 “Right to be erasure” che però appare ambiguo nella classificazione dei casi in cui è consentita la cancellazione e dei casi in cui essa non lo è. Il titolare di tale diritto è la persona nei cui confronti siano state pronunciate sentenze di proscioglimento, mentre il destinatario è il giudice, che non gode di spazi di discrezionalità. L’oggetto della richiesta è duplice: 25 Di regola prende forma di ordinanza il provvedimento emesso a seguito dell’instaurazione del contraddittorio tra le parti. È ordinanza quando l’archiviazione è pronunciata dopo il procedimento in camera di consiglio se invece è accolta senza alcuna difficoltà prende forma di decreto motivato. I decreti, a differenza delle ordinanze e delle sentenze, non hanno bisogno di motivazione se non espressamente prescritta. Per le prime è prevista la nullità ove questa manchi (anche per i decreti quando è prescritto). 11. IL PROCEDIMENTO IN CAMERA DI CONSIGLIO Il procedimento in camera di consiglio (art. 127) è un modello di svolgimento del procedimento penale che garantisce il contraddittorio tra le parti e il diritto di difesa dei soggetti interessati. Ci sono alcuni procedimenti per cui è necessaria la partecipazione del difensore, in particolare: - conflitti di competenze e di giurisdizione; - dichiarazione di ricusazione o rimessione; - procedimento di riesame delle ordinanze che dispongono una misura coercitiva o del decreto di sequestro; - udienza di convalida dell’arresto e di fermo. L’elenco sopra indicato è tassativo, ma non per forza il rito camerale va sempre adottato in questi casi se il giudice assume una deliberazione in camera di consiglio: in tal caso ci sono dei provvedimenti assunti de plano, cioè senza formalità Ci sono però delle ipotesi in cui il contraddittorio è assicurato ad un livello inferiore rispetto a quello previsto dall’art. 127, come ad esempio nel procedimento con cui il giudice autorizza la proroga del termine delle indagini preliminari senza l’intervento del pubblico ministero e dei difensori. L’attuazione del contraddittorio si ha con l’avviso alle parti private, alle altre persone interessate e ai difensori e con l’obbligo di provvedere a nominare un difensore d’ufficio all’imputato che non ne ha uno. Nei casi in cui la relazione orale viene svolta da uno dei componenti del collegio, la partecipazione all’udienza non è obbligatoria, quindi il contraddittorio è meramente facoltativo in quanto il pubblico ministero, i difensori e gli altri destinatari dell’avviso sono sentiti se compaiono. Fino a cinque giorni prima dell’udienza gli interessati possono presentare memorie presso la cancelleria del giudice. L’imputato e il condannato in stato di detenzione hanno diritto di essere sentiti, se ne fanno richiesta e purché siano detenuti nello stesso luogo ove ha sede il giudice; in caso di loro legittimo impedimento l’udienza deve essere rinviata a pena di nullità. Se, invece, l’imputato o il condannato sono detenuti in luogo diverso da quello in cui ha sede il giudice, alla loro audizione deve procedere, a pena di nullità, il magistrato di sorveglianza prima che abbia luogo l’udienza in camera di consiglio. Il giudice provvede con ordinanza comunicata o notificata alla parte, ai difensori e alle altre parti interessate. Avverso tale provvedimento le parti possono proporre ricorso per Cassazione. Salvo che il giudice non disponga diversamente, il ricorso non sospende l’esecuzione dell’ordinanza (Artt. 127-128 c.p.p.). 12. IMMEDIATA DECLARATORIA DI CAUSE DI NON PUNIBILITÀ E LA CORREZIONE DEGLI ERRORI MATERIALI Prevista dall’art. 129, l’immediata declaratoria di non punibilità mira a soddisfare le esigenze di economia processuale che impongono di arrestare il processo e di far cadere la qualità di imputato quando vi è la possibilità di pronunciare una sentenza di proscioglimento (ad esempio “il fatto non costituisce reato”, “il fatto non è previsto dalla legge come reato”). L’immediata declaratoria opera solo nel contesto del processo e non durante la fase delle indagini preliminari, in quanto le situazioni ivi previste determinano l'archiviazione per infondatezza della notizia di reato ovvero per gli altri casi previsti dall'art. 411, soluzione che può realizzarsi solo su impulso del pm. L’art. 129 subisce dei limiti interpretativi che dipendono dalla struttura del processo. Quando si tratta di sentenze di non luogo a procedere le formule tipiche dell’applicazione del 129 in questo caso non coincidono. Nell’art. 425 residuano le sentenze che dichiarano la non punibilità della persona per qualsiasi causa. Secondo la Corte Costituzionale, quando nell’udienza preliminare la prova risulta insufficiente o contraddittoria, la sentenza di non luogo a procedere viene pronunciata solo quando è fondato prevedere che l’eventuale istruzione dibattimentale non fornirebbe altri apporti per superare il quadro di insufficienza o contraddittorietà probatoria. Nei procedimenti speciali l’art. 129: - Impedisce l’accoglimento della richiesta di applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 (patteggiamento). Infatti ove 26 ricorrano le condizioni previste dall’art. 129, deve essere emessa a declaratoria di non punibilità; - Sembra non essere applicabile nel giudizio immediato in quanto ai sensi dell’art. 455 il giudice non ha ampia discrezionalità, egli deve solo verificare l’esistenza dei presupposti cui la legge subordina l’accoglibilità delle istanze (previste dall’art. 453); - Negli atti che precedono il dibattimento la disciplina di proscioglimento è invece prevista dall’art. 469. Infatti se emergono circostanze che rendono improcedibile il reato e sono evidenti, la celebrazione del dibattimento appare inutile. Nell’articolo viene fatto salva la previsione contenuta nell’art. 129 secondo il quale quando ricorre una causa di estinzione del reato (morte del reo, amnistia, oblazione, perdono ecc.) ma dagli atti risulta evidente che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere con la formula prescritta Viene quindi confermata la prevalenza del proscioglimento nel merito su quello per estinzione del reato. L’art. 129 al secondo comma dispone il proscioglimento nel merito anche se vi è una causa estintiva del reato. La prova della sussistenza dei presupposti per la pronuncia di merito deve essere già acquisita. L’applicazione del secondo comma così come quella del primo, si atteggia in diverso modo a seconda alla struttura del rito: - Negli atti preliminari al dibattimento il proscioglimento anticipato nel merito non trova spazio; - Nel dibattimento, alcuni sostengono il diritto dell’imputato a rinunciare all’amnistia sopravvenuta e alla prescrizione rendendo così inoperante l’obbligo della declaratoria delle corrispondenti cause estintive affinché possa operarsi l’art. 129 che invece che dichiarare l’estinzione del reato, produrrebbe una formula assolutoria. Prima di essere pronunciata sentenza di sospensione del processo per assenza dell’imputato, ai sensi dell’art. 129 il giudice deve valutare se esiste una causa di non punibilità con la conseguente emanazione della declaratoria. Se la sospensione viene disposta, questa può essere revocata. L’art. 129 può ricorrere anche laddove sussistano i requisiti quando il giudice viene investito della richiesta di messa alla prova ai sensi dell’art. 464quater. Non è infatti consentito assoggettare un soggetto ad un sanzione penale quando risulti integrata già una causa di non punibilità. Nella disciplina delle sentenza per particolare tenuità del fatto non menziona la causa di non punibilità soggettiva ai sensi dell’art. 129. Secondo l’opinione maggioritaria l’esclusione del richiamo ex art. 129 è dovuto al fatto che la sentenza che applica la particolare tenuità del fatto comporta il preventivo accertamento del reato implicando una serie di valutazioni in ordine alla sussistenza del fatto tipico, alla sua liceità penale e alla colpevolezza dell’imputato: un simile accertamento è incompatibile con l’immediatezza che caratterizza l’art. 129. Non sembra essere compatibile nemmeno con le sentenze di non luogo a procedere (Art. 469). L’art. 129-bis fa poi riferimento all’accesso alla giustizia riparativa. La correzione degli errori materiali mette riparo a deviazioni non gravi dell’atto dal suo schema tipico. La procedura opera in presenza di 3 presupposti: - Ne sono soggetto solamente gli atti del giudice quali le sentenze, le ordinanze e i decreti; - L’errore materiale non deve prevedere una nullità. L’errore si deve sostanziare in una difformità tra il pensiero del giudice e la sua formulazione, mentre per quanto riguarda l’omissione deve riguardare un comando che discende dalla legge. Vi sono comunque casi non riparabili ai sensi dell’art. 130; - L’eliminazione dell’errore o dell’emissione non deve comportare una modifica essenziale dell’atto. Competente a procedere alla correzione è il giudice autore dell’atto o se questo è stato impugnato la correzione è disposta dal giudice competente a conoscere dell’impugnazione. Il procedimento si svolge in camera di consiglio disciplinato dall’art. 127. L’ordinanza conclusiva deve essere notificata per intero ed è ricorribile per cassazione. Viene poi annotata nell’atto originale. Vi sono però casi in cui è resa in modo esplicito l’applicazione dell’art. 130 e in ragione del criterio di specialità, anche laddove le condizioni posto dall’art. 130 possono essere superate. Come disposto dal comma 1-bis, quando nella sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti (patteggiamento) si devono rettificare solo la specie e la quantità della pena per errore di denominazione o di computo, la correzione è disposta del giudice che ha emesso il provvedimento. Se questo è impugnato, alla rettificazione provvede la Corte di Cassazione ai sensi dell’art. 619, comma 2. 13. I POTERI COERCITIVI L’art. 131 attribuisce al giudice il potere di avvalersi della polizia giudiziaria per porre in essere atti di natura amministrativa come l’accompagnamento coattivo disciplinato dall’art 132. Esso viene collocato tra le misure coercitive del giudice e quelle del pubblico ministero. L’accompagnamento coattivo può essere adottato anche per reati di minima entità per i quali non è consentita l’emissione di una misura coercitiva personale. È disposto nei casi previsti dalla legge, con decreto motivato 27 attraverso il quale il giudice ordina di condurre l’imputato alla sua presenza. L’accompagnamento coattivo dovrebbe essere preceduto da un avviso notificato o da un decreto di citazione, può essere disposto in sede di incidente probatorio, nel dibattimento ma non nell’udienza preliminare. Il decreto ha una durata massima di 24ore. L’art. 133 disciplina invece l’accompagnamento coattivo di altri soggetti come i testimoni, i periti ecc. qualora questi omettano di comparire nel luogo e nel tempo stabiliti senza addurre un legittimo impedimento. 14. I PRINCIPI IN MATERIA DI DOCUMENTAZIONE DEGLI ATTI E MODERNIZZAZIONE La documentazione si definisce come l’attività tramite cui un atto viene inserito e conservato nella sequenza procedimentale, affinché il giudice e le parti possano controllarne la regolarità ed averne memoria ai fini delle decisioni che si dovranno adottare. L’attività di documentazione produce come risultato un documento avente natura rappresentativa di un’entità distinta dalla propria materialità consistente ad esempio in un supporto cartaceo. Un sistema processuale in cui la formazione della prova avviene di solito in sede dibattimentale impone di servirsi di tecniche documentative diverse dalla redazione del verbale con caratteri comuni. Col passare del tempo e con lo sviluppo tecnologico l’esigenza di documentare gli atti al passo coi tempi è sempre più importante: la riforma Cartabia si è quindi prefissata come obiettivo quello di garantire una corretta documentazione anche informatica, ma dovrebbero essere inserite più sanzioni da usare in caso di inosservanza delle regole in questo ambito. 15. LE MODALITÀ DELLA DOCUMENTAZIONE Ai sensi dell’art. 134 la documentazione si effettua mediante verbale. Viene esclusa la modalità documentativa che si sostanzia nella semplice annotazione, la quale è praticabile solo per gli atti del PM o della polizia giudiziaria. Il verbale è redatto in forma integrale o forma riassuntiva e la scelta tra le due forme è rimessa al giudice. Nell’udienza preliminare di regola il verbale è redatto in forma riassuntiva. Al secondo comma è stabilito che il verbale viene redatto con la stenotipia o altro strumento meccanico. Laddove l’utilizzo di questi mezzi sia impossibile si può ricorrere alla scrittura manuale. Per il verbale in forma riassuntiva è ammessa anche la riproduzione fonografica. Il comma 4 dispone che quando le modalità previste dai precedenti commi sono insufficienti, può essere aggiunta la riproduzione audiovisiva. La recente disciplina ha voluto estendere la riproduzione audiovisiva per le dichiarazioni rese dalla persona offesa che versi in condizioni di particolare vulnerabilità. Nel redigere il verbale con la stenotipia o con altri mezzi meccanici, come disciplinato dagli artt. 135, 136 e 137, l’ausiliare del giudice, se sfornito delle necessarie competenze, può essere autorizzato a farsi assistere. Il contenuto del verbale si sostanzia oltre che nei riferimenti cronologici, anche nelle generalità delle persone intervenute, nelle indicazioni delle cause, della mancata presenza di coloro che sarebbero potuti intervenire ecc. Le formalità della sottoscrizione sono disciplinate dall’art. 137 il quale prevede la firma su ogni foglio da parte del pubblico ufficiale che lo ha redatto, dal giudice e dalle parti che sono intervenute. Se qualcuno degli intervenuti non vuole o non è in grado di sottoscrivere deve esserne fatta menzione indicandone i motivi. 16. LE TRASCRIZIONI E LE RIPRODUZIONI Ai sensi dell’art. 138, i nastri impressi con i caratteri della stenotipia sono trascritti in caratteri comuni non oltre il giorno successivo a quello cui sono stati formati. Essi sono uniti a gli atti del processo, insieme con la trascrizione. Qualora la persona che ha impresso i nastri è impedita, il giudice dispone che la trascrizione sia affidata a persona idonea, anche estranea all’amministrazione. Anche la riproduzione fonografica o audiovisiva è effettuata da personale tecnico o da persona estranea all’amministrazione dello Stato. Quando si effettua la riproduzione fonografica nel verbale, ai sensi dell’art. 139, è indicato il momento di inizio e di cessazione delle operazioni di riproduzione. Per la parte in cui la riproduzione fonografica, per qualsiasi motivo, non ha avuto effetto o non è chiaramente intelligibile, fa prova il verbale redatto in forma riassuntiva. La trascrizione della riproduzione è effettuata da personale tecnico giudiziario. Il giudice può disporre che essa sia affidata a persona estranea all’amministrazione dello Stato. Quando le parti vi consentono, il giudice può disporre che non sia effettuata la trascrizione. Ai sensi dell’art. 140 il giudice dispone che si effettui solo la redazione in forma riassuntiva, quando gli atti da verbalizzare 30 - 1-quater. Fuori dei casi previsti dai commi 1 e 1-bis, il giudice può disporre con decreto motivato la partecipazione a distanza anche quando sussistano ragioni di sicurezza, qualora il dibattimento sia di particolare complessità e sia necessario evitare ritardi nel suo svolgimento, o quando si deve assumere la testimonianza di persona a qualunque titolo in stato di detenzione presso un istituto penitenziario. 2. Il presidente del tribunale o della corte di assise nella fase degli atti preliminari, oppure il giudice nel corso del dibattimento, dà comunicazione alle autorità competenti nonché alle parti e ai difensori della partecipazione al dibattimento a distanza. 3. Quando è disposta la partecipazione a distanza, è attivato un collegamento audiovisivo tra l'aula di udienza e il luogo della custodia, con modalità da assicurare la contestuale, effettiva e reciproca visibilità delle persone presenti in entrambi i luoghi e la possibilità di udire quanto vi viene detto. […] 4. È sempre consentito al difensore o a un suo sostituto di essere presente nel luogo dove si trova l'imputato. Il difensore o il suo sostituto presenti nell'aula di udienza e l'imputato possono consultarsi riservatamente, per mezzo di strumenti tecnici idonei. - 4-bis. In tutti i processi nei quali si procede con il collegamento audiovisivo ai sensi dei commi precedenti, il giudice, su istanza, può consentire alle altre parti e ai loro difensori di intervenire a distanza assumendosi l'onere dei costi del collegamento. 5. Il luogo dove l'imputato si collega in audiovisione è equiparato all'aula di udienza. 6. Un ausiliario abilitato ad assistere il giudice in udienza designato dal giudice o, in caso di urgenza, dal presidente è presente nel luogo ove si trova l'imputato e ne attesta l'identità dando atto che non sono posti impedimenti o limitazioni all'esercizio dei diritti e delle facoltà a lui spettanti. 7. Se nel dibattimento occorre procedere a confronto o ricognizione dell'imputato o ad altro atto che implica l'osservazione della sua persona, il giudice, ove lo ritenga indispensabile, sentite le parti, dispone la presenza dell'imputato nell'aula di udienza per il tempo necessario al compimento dell'atto. L’art. 147bis al primo comma si occupa dell’esame delle persone ammesse a programmi o a misure di protezione il quale si svolge con le cautele necessarie alla tutela della persona sottoposta all'esame, determinate, d'ufficio, su richiesta di parte o dell'autorità che ha disposto il programma o le misure di protezione, dal giudice o, nei casi di urgenza, dal presidente del tribunale o della corte di assise. Il giudice o il presidente, sentite le parti, può disporre, anche d'ufficio, che l'esame si svolga a distanza, mediante collegamento audiovisivo che assicuri la contestuale visibilità delle persone presenti nel luogo dove la persona sottoposta ad esame si trova. Ad eccezione dei casi in cui il giudice ritenga assolutamente necessaria la presenza fisica della persona da esaminare, l'esame si svolge a distanza nei casi specificatamente previsti dallo stesso articolo come ad esempio nel caso in cui la persona sia sottoposta ad un programma di protezione dei testimoni. L’esame a distanza può essere adottato anche quando vi siano gravi difficoltà per assicurare la comparizione della persona da sottoporre ad esame. Ai sensi dell’art. 147ter, quando nel dibattimento occorre procedere a ricognizione o altro atto che implica l’osservazione del corpo, sulla persona nei cui confronti è stato emesso il decreto di cambiamento delle generalità, il giudice se lo ritiene indispensabile ne autorizza o ne ordina la citazione o l’accompagnamento coattivo. Durante il tempo in cui la persona è presente in aula il dibattimento si svolge a porte chiuse. Tale articolo non è stato toccato dalla riforma Cartabia in quanto si occupa solo della ricognizione dibattimentale di persone nei cui confronti è stato emesso il decreto di cambiamento delle generalità. 21. LA TRADUZIONE DEGLI ATTI Garantendo il diritto di difesa (Art. 24 Cost.) si richiede che all’imputato siano dati gli strumenti per comprendere l’accusa dalla quale deve difendersi, senza dover patire quindi un trattamento differenziato rispetto al cittadino che conosce la lingua italiana. Come dispone l’art. 143 c.p.p. l’imputato che non conosce la lingua italiana ha diritto ad essere assistito gratuitamente da un interprete al fine da poter comprendere l’accusa contro di lui, di seguire il compimento degli atti e lo svolgimento delle udienze a cui partecipa e anche per le comunicazioni con il difensore prima di rendere un interrogatorio. L’autorità procedente per garantire l’esercizio dei diritti di difesa, di informazione, dispone la traduzione scritta entro un termine congruo dei provvedimenti che dispongono le misure cautelari, dei decreti che dispongono la conclusione dell’udienza preliminare, della citazione in giudizio ecc. 31 Ai sensi dell’art. 143bis, il cui scopo è quello di permettere anche alla vittima un’adeguata e consapevole partecipazione, l’autorità nomina inoltre un interprete quando occorre tradurre in lingua italiana uno scritto in lingua straniera o in un dialetto non facilmente comprensibile o anche quando vi è una persona che vuole o deve fare una dichiarazione non conosce la lingua italiana. L’assistenza dell’interprete può essere assicurata anche attraverso l’utilizzo di tecnologie di comunicazione a distanza, sempre che la presenza fisica dell’interprete non sia necessaria. Con lo scopo di garantire la fedeltà dell’interprete alle informazioni assunte per la traduzione, sono disposte alcune condizioni che delineano l’incapacità dell’interprete e la conseguente nullità: interprete minorenne, interdetto, inabilitato. Per questi motivi, l’interprete può essere ricusato, così come è l’interprete stesso qualora rilevi la presenza di una causa di incompatibilità ha il dovere di farlo presente e di astenersi. Sia sulla dichiarazione di ricusazione che di astensione decide il giudice con ordinanza. L’autorità procedente nomina l’interprete al quale chiede che non versi in una delle condizioni di incompatibilità. Il soggetto dovrà adempire al compito fedelmente mantenendo il segreto su tutti gli atti che si faranno per suo mezzo o in sua presenza. L’interprete può essere sostituito se non presenta entro il termine la traduzione scritta. 22. LE NOTIFICAZIONI Il procedimento di notificazione è di solito distinto in 3 fasi: - l’impulso, consistente nell’ordine o nella richiesta di eseguire la notificazione e nella consegna dell’atto all’organo esecutivo; - l’esecuzione di cui fanno parte la predisposizione dell’atto da notificare, l’attività di ricerca del destinatario e la consegna dell’atto alla persona abilitata a riceverlo; - la documentazione dell’attività svolta dall’organo esecutivo. L’art. 148 ha accomunato le notificazioni disposte dal giudice a quelle fatte da pubblico ministero: in particolare, le prime sono eseguite dalla cancelleria, le seconde dalla segreteria in modo che il personale assume la qualifica di organo ordinario delle notificazioni. Il cambiamento del ruolo soggettivo dipende dall’aumento della modalità telematica a mezzo ordinario delle notificazioni: tutto ciò è cambiato a causa dell’indirizzo digitale, anche se il passaggio deve avvenire nel rispetto della normativa che riguarda la trasmissione e la ricezione delle notificazioni. La modalità telematica dà dei risultati qualificanti: l’identità del mittente e del destinatario, la non modificabilità del documento trasmesso, la certezza dell’avvenuta trasmissione. Ci sono però ovviamente delle misure sussidiarie che vengono usate nel momento in cui non sia possibile, per impedimenti di natura tecnica o dalla rapidità degli esiti conoscitivi: - la lettura dei provvedimenti alle persone presenti (equiparata all’ordinaria lettura della motivazione); - avvisi dati verbalmente agli interessati in loro presenza; - consegna di copia dell’atto in forma di documento analogico da parte della cancelleria o segreteria. La notificazione degli atti, a meno che la legge disponga diversamente, viene eseguita dall’ufficiale giudiziario o da chi ne esercita le funzioni. Nei procedimenti con detenuti e in quelli davanti al tribunale del riesame il giudice può disporre che in caso di emergenza le notificazioni possono essere eseguite dalla Polizia penitenziaria nel luogo di detenzione dei destinatari. L’atto viene notificato per intero (eccetto casi tassativamente previsti) mediante consegna di copia al destinatario e quando la notifica non può essere eseguita in mani proprie del destinatario, l'ufficiale giudiziario o la polizia giudiziaria consegnano la copia dell'atto da notificare, dopo averla inserita in busta che provvedono a sigillare trascrivendovi il numero cronologico della notificazione e dandone atto nella relazione in calce all'originale e alla copia dell'atto. La consegna di copia dell'atto all'interessato da parte della cancelleria ha valore di notificazione. Il pubblico ufficiale addetto annota sull'originale dell'atto la eseguita consegna e la data in cui questa è avvenuta. Le comunicazioni e gli avvisi consegnati non in busta chiusa a persona diversa dal destinatario debbono recare le sole informazioni strettamente necessarie. Nei casi di urgenza il giudice può disporre anche su richiesta di parte che le persone diverse dall’imputato siano avvisate o convocate a mezzo telefono. Devono essere annotati sull’avviso cartaceo originale diverse informazioni quali il numero chiamato, il nome, le funzioni ecc della persona che riceve la comunicazione, che ha valore di notificazione con effetto dal momento in cui è avvenuta. Comunque, la notificazione per mezzo di telefono è esclusa per l’imputato in quanto lo stesso non può essere sottoposto a rischio di una notifica non efficace perché incerta relativamente ai soggetti soprattutto che la ricevono. Questa forma di 32 notifica ha carattere sussidiario per far fronte a situazioni di emergenza. Le notifiche di atti del pubblico ministero sono eseguite innanzitutto dall’ufficiale giudiziario, l’intervento della polizia giudiziaria è solo sussidiario. Per quanto riguarda le notifiche richieste dalle parti private è consentito sostituire alle forme ordinarie l’invio di copia dell’atto effettuato dal difensore mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento. 23. DOMICILIO DICHIARATO, ELETTO O DETERMINATO Nel primo atto compiuto con l’intervento della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato, si chiede a quest’ultimo determinare il luogo dove dovranno essergli notificati gli atti attraverso un’apposita dichiarazione o elezione di domicilio: la notificazione avverrà quindi non in un luogo astrattamente ritenuto idoneo alla conoscenza, ma in uno indicato dall’imputato stesso. Lo stesso ha poi l’obbligo di comunicare ogni mutamento del domicilio e che in mancanza di questa le notificazioni verranno eseguite mediante consegna al difensore (che, solitamente, è comunque il domiciliatario). L’imputato può indicare come domicilio un luogo virtuale, cioè il proprio indirizzo di posta anche se questo non risulta in pubblici elenchi: si parla di recapito digitale. In ambito residuale si colloca l’invito a dichiarare o ad eleggere domicilio, formulato con l’informazione di garanzia o con il primo atto notificato. Nel caso di impossibilità di procedere alla notifica presso il domicilio eletto o dichiarato, le notifiche vanno fatte al domicilio del difensore che diviene domiciliatario. Il domicilio dichiarato, il domicilio eletto e ogni mutamento sono comunicati con dichiarazione verbale o mediante telegramma o lettera raccomandata con sottoscrizione notarile. L’elezione, la dichiarazione o il mutamento esplicano i loro effetti dal momento nel quale giungono a conoscenza dell’autorità giudiziaria. L’elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio non ha effetto se unitamente alla relativa dichiarazione, l’autorità non riceve l’assenso del difensore domiciliatario. La determinazione del domicilio vale per ogni stato e grado del procedimento. 24. LE NOTIFICAZIONI ALL ’IMPUTATO Le notificazioni all’imputato detenuto sono eseguite nel luogo di detenzione mediante consegna di copia alla persona (in mani proprie). Nel caso il cui l’imputato dovesse rifiutare la ricezione, facendone menzione la copia viene consegnata al direttore dell’istituto o chi ne fa le veci; nello stesso modo si provvede quando non è possibile consegnare la copia direttamente all'imputato, perché legittimamente assente (es. regime di semilibertà). Quando invece si deve consegnare all’imputato libero, l’art. 157 in primis stabilisce la preferenza della consegna dell’atto a mani proprie dovunque l’imputato si trovi. Se non è possibile, la notificazione viene eseguita nella casa di abitazione o nel luogo in cui il soggetto esercita abitualmente l’attività lavorativa, consegnando la copia ad un convivente, anche temporaneo, al portiere o a chi ne fa le veci. La giurisprudenza ritiene valido consegnatario chi sia legato al destinatario da un rapporto di collaborazione, nell’espletamento di faccende di faccende in abito domestico. Qualora tali luoghi non siano conosciuti, la notificazione è eseguita nel luogo dove l’imputato a temporanea dimora o recapito: il portiere o chi ne fa le veci, provvede a sottoscrivere l’originale dell’atto notificato mentre l’ufficiale giudiziario deve dare notizia al destinatario, mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento. È fatto divieto di consegnare la copia ad un minore di 14 anni o chi versi in stato di manifesta incapacità di intendere e di volere. L’autorità giudiziaria deve disporre che si rinnovi la notificazione quando la copia sia stata consegnata alla persona offesa e risulti o appaia probabile che l’imputato non abbia avuto effettiva conoscenza dell’atto notificato. Inoltre se la consegna è fatta nelle mani di persona diversa dal destinatario, il plico deve consegnarsi chiuso, mentre la relazione della notifica deve essere effettuata secondo quanto disposto dall’art. 148 comma 3. Se la prima notificazione non è andata a buon fine ossia se le persone mancano, non sono idonee o si rifiutano, c’è l’obbligo per un secondo accesso per cercare l’imputato presso l’abitazione, o nella sede del lavoro abituale, i luoghi di dimora o di recapito. L’ora e il giorno del secondo accesso devono essere diversi dal primo. Se neanche il secondo accesso va a buon fine allora l’atto andrà depositato nel comune dove l’imputato ha l’abitazione o dove esercita abitualmente la sua attività lavorativa. Viene affisso sulla porta di casa o del luogo lavorativa l’avviso del deposito. L’ufficiale giudiziario invia inoltre una raccomandata con avviso di ricevimento. Dal giorno del ricevimento della raccomandata iniziano a decorrere gli effetti. 35 30. B) I CASI SPECIALI DELL’ASSENZA, DEL DECRETO PENALE E DEL MALFUNZIONAMENTO TELEMATICO Nel corso del processo, dopo che il giudice ha emesso l’ordinanza che dispone il proseguirsi in assenza dell’imputato, quest’ultimo comparendo in udienza preliminare o dibattimentale può fornire la prova che la sua assenza è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo. In questo caso il giudice rinvia quell’udienza e l’imputato può avvalersi dei suoi diritti difensivi. L’art. 629bis prevede la rescissione del giudicato che si sostituisce alla logica restitutoria una volta che il processo sia concluso. L’istituto opera nel caso in cui sia stata emessa una sentenza di condanna o applicativa di una misura di sicurezza, passata in giudicato o pronunciata all’esito di un processo celebratosi per tutta la sua durata, in assenza del già imputato. Se il soggetto dimostra che l’assenza è stata causata da un’incolpevole mancata conoscenza del processo, la corte d’appello, revoca la sentenza e dispone la trasmissione degli atti al giudice di primo grado. Per quanto riguarda l’organo competente, per la fase anteriore all’esercizio dell’azione penale ha competenza il giudice per le indagini preliminari mentre una volta esercitata l’azione penale decide il giudice procedente. L’ordinanza che concede la restituzione nel termine è inoppugnabile. Infine, è stata aggiunta l’ipotesi del malfunzionamento, che può comportare una restituzione nel termine. Ci sono due ipotesi: - la prima, di carattere generale o certificato, in quanto compete al direttore generale per i servizi informativi automatizzati certificare il malfunzionamento dei sistemi informatici dei domini del Ministero, il quale è attestato sul portale dei servizi telematici; - la seconda, di carattere locale, investe un malfunzionamento di un singolo ufficio giudiziario, attestata dal dirigente dell’ufficio giudiziario. Se durante un malfunzionamento scade un termine posto a pena di decadenza, tutti i soggetti sono restituiti nel termine quando provino di essersi trovati nell’impossibilità di redigere o depositare tempestivamente l’atto redatto in forma analogica. 31. L’INVALIDITÀ DEGLI ATTI La fattispecie è il complesso degli elementi necessari e sufficienti al prodursi di un determinato effetto giuridico. Nel processo penale gli atti sono nella maggior parte dei casi a forma vincolata: in linea di principio, alla mancanza anche solo di un elemento della fattispecie, non dovrebbe seguire la produzione dei relativi effetti. Tuttavia l’ordinamento non ne decreta l’invalidità e quindi nella maggior parte dei casi non ne segue l’inefficacia in ragione della preferenza del principio di conservazione degli atti imperfetti. L’atto diviene quindi idoneo a produrre effetti, anche se questi sono precari perché attendono: - la sanatoria del vizio: dà vita ad una fattispecie equivalente a quella viziata, ma integrata da cause di sanatoria che consolidano gli effetti dell’atto ex tunc; - la declaratoria di invalidità dell’atto: si provoca l’eliminazione ex tunc degli effetti dell’atto. Viene differenziata dalla nullità l’inammissibilità, che viene utilizzata in tanti casi disparati: la pronuncia di inammissibilità ha una natura dichiarativa perché investe un vizio generico dell’atto (tra l’altro, una volta riscontrato il vizio, il giudice non può entrare nel merito della domanda. Anche l’inutilizzabilità non rientra nella disciplina delle invalidità perché non concerne tutti gli atti del procedimento ma solo quelli probatori. Non è possibile creare una disciplina unitaria dell’inutilizzabilità in quanto viene utilizzata in numerose ipotesi ed è tendenzialmente un rimedio di natura assoluta. 36 32. IL PRINCIPIO DI TASSATIVITÀ DELLE NULLITÀ E LA TECNICA DI PREVISIONE Le disposizioni in tema di nullità sono dominate dal principio di tassatività. L’art. 177 dispone che la nullità degli atti del procedimento è prevista solo quando lo dispone la legge. All’interprete quindi non è consentito ricorrere all’integrazione analogica: il giudice non può ravvisare cause d’invalidità fuori dai casi espressamente previsti dalla legge. I vizi della volontà considerati dal codice civile non sono riferibili agli atti processuali penali, quindi anche un atto che è affetto, ad esempio, da vizio della volontà, è processualmente valido e al più rientra nell’ambito dell’inutilizzabilità. Tra le nullità non sono inquadrabili i vizi sostanziali dei provvedimenti del giudice. Le restanti difformità escluse le specifiche ipotesi di inammissibilità e di inutilizzabilità sono riportate alla tipologia della mera irregolarità, che ha delle conseguenze di valore disciplinare. L’art. 178 regola le nullità di ordine generale. L’articolo prevede una serie di disposizioni la cui inosservanza provoca nullità: sono disposizioni inerenti alla capacità del giudice, all’iniziativa del pubblico ministero e la sua partecipazione al processo, all’intervento, all’assistenza e alla rappresentanza dell’imputato e delle parti private. Alle nullità generali si contrappongono quelle speciali che stabiliscono un’apposita previsione legislativa. 33. LE NULLITÀ ASSOLUTE Le nullità previste dall’art. 179 si caratterizzano per l’insanabilità. Nell’ambito delle nullità generali di cui all’art. 178, l’art. 179 individua situazioni patologiche più gravi, in quanto afferenti a profili di rilievo essenziali nel procedimento. Queste nullità sono rilevabili anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento e sono insanabili. Tuttavia, al pari di ogni altra invalidità diversa dall’inesistenza, anche la nullità insanabile non ha più occasione di essere rilevata e dichiarata una volta pervenutasi all’irrevocabilità della sentenza (o del decreto penale di condanna). Costituiscono nullità assolute: - quelle concernenti le condizioni di capacità del giudice e il numero dei giudici necessario per costituire i collegi; - quelle relative all’iniziativa del P.M. nell’esercizio dell’azione penale; - quelle derivanti dalla omessa citazione dell’imputato; - si configura ad esempio una nullità assoluta quando il giudice decide sul fatto nuovo emerso nell’udienza preliminare senza che lo stesso sia stato contestato formalmente dal pm. (art. 518 e 522 c.p.p.); - quelle derivanti dall’assenza del difensore nei casi in cui ne è obbligatoria la presenza (art. 179); - quelle previste da specifiche disposizioni del codice e non riconducibili all’elencazione generale di cui all’art. 178, cd. nullità speciali (art. 179, c. 2). Ne sono esempi le previsioni di cui all’art. 292, c. 2 (in tema di misure cautelari); all’art. 142 (in tema di verbali); all’art. 525, c. 2 (sentenza deliberata non dagli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento). 34. LE NULLITÀ INTERMEDIE Il regime delle nullità generali, diverse da quelle previste da quelle assolute, è dettato dall’art. 180. Il relativo trattamento si situa infatti in posizione intermedia tra quello delle nullità assolute e quello delle nullità relative in quanto sanabili. Tali nullità sono soggette alle cause generali di sanatoria ex art. 183 c.p.p., oltre che a quelle dell'art. 184 c.p.p. Sono rilevabili d'ufficio, cioè debbono essere dichiarate dal giudice senza che sia necessaria una deduzione della parte. Anche se dichiarabili d'ufficio queste nullità devono essere dedotte entro limiti cronologici determinati, oltre i quali se non è intervenuta la declaratoria o la deduzione esse si sanano. La parte ha il potere quindi, deducendo la nullità tempestivamente, di rimediare ad un'eventuale inerzia del giudice, in modo da impedire che l'atto invalido possa sanarsi. Gli articoli 180 comma 1 c.p.p. e 182 comma 2 c.p.p. stabiliscono i limiti cronologici per la declaratoria del giudice e la deduzione delle parti delle nullità intermedie. Occorre a tale scopo distinguere il fatto che la parte non assista o assista al compimento dell'atto: - se la parte non assiste: il limite di dichiarabilità e di deducibilità sarà rappresentato dalla emissione della sentenza di primo grado per le nullità verificatesi nella fase delle indagini preliminari o dell'udienza preliminare. Per le nullità concretizzatesi nel giudizio, il limite è dato dalla sentenza del grado successivo; - se la parte assiste al compimento dell'atto, la nullità deve essere dedotta "prima del suo compimento o se ciò non è possibile, immediatamente dopo" (art. 182 comma 2 c.p.p.). La parte, se non deduce la nullità in tale periodo, decade dal 37 potere di farlo in un tempo successivo, peraltro permane la possibilità che sia il giudice a dichiarare la nullità fino allo spirare dei termini stabiliti dall'art. 180 comma 1 c.p.p. La partecipazione al procedimento da parte del p.m. comprende gli atti compiuti a seguito e in collegamento con il promovimento dell'azione penale. Rientrano nella previsione dell'art. 180 c.p.p., sia le ipotesi in cui difetti la partecipazione del p.m. quando questa è prescritta come necessaria (art. 420 c.p.p. per l'udienza preliminare e art. 480 c.p.p. per il dibattimento), sia i casi in cui il previsto intervento facoltativo (art. 127 c.p.p. per le udienze camerali) dell'attore pubblico non possa concretizzarsi. L'intervento dell'imputato o delle altre parti private concerne tutti quei casi, in cui la legge garantisce la partecipazione personale al processo in vista dell'esercizio dei poteri o facoltà che ad essa sono legati. Causa di nullità è, pertanto, l'inosservanza: "delle norme che prescrivono atti e cautele preordinate al fine di mettere il soggetto in condizione di intervenire utilmente". ESEMPI: l'informazione di garanzia (art. 369 c.p.p.); la notifica, ai sensi dell'art. 429 commi 2 e 4 c.p.p., del decreto che dispone il giudizio; l'inosservanza da parte del giudice del dibattimento delle regole concernenti la rinnovazione della citazione (art. 485 c.p.p.) oppure la sospensione o il rinvio del dibattimento ex art. 486 c.p.p.; l'omessa notifica alle parti private e ai difensori del decreto del presidente che anticipa o differisce l'udienza dibattimentale (art. 465 c.p.p.); la notifica alla persona sottoposta alle indagini dell'ordinanza con la quale il giudice accoglie la richiesta di incidente probatorio (artt. 398 c.p.p. e 401 c.p.p.); la citazione delle parti per il giudizio d'appello (art. 601 c.p.p.) . L'assistenza si riferisce al complesso delle attività svolte dal difensore per far valere i diritti e gli interessi dell'imputato. La presenza del difensore può essere necessaria (nei casi ex art. 179 c.p.p. visti in precedenza) o facoltativa. In questa seconda ipotesi la mancata partecipazione del difensore, dovuta ad invalida od omessa comunicazione dell'avviso (o della sua notificazione), comporta una nullità a regime intermedio. ESEMPI: l'udienza in camera di consiglio (art. 127 c.p.p. comma 1 e 3) e l'assistenza agli accertamenti tecnici non ripetibili del p.m. (art. 360 c.p.p.). In tutte queste circostanze è obbligatorio che l'avviso contenga il giorno, l'ora e il luogo in cui si procederà. 35. LE NULLITÀ RELATIVE Le nullità relative sono disciplinate dall’art. 181 c.p.p.: sono tutte le nullità speciali che non rientrano nelle ipotesi di nullità assoluta o intermedia, sono residuali agli artt. 179 e 180 c.p.p. Rientrano in questa tipologia tutte le nullità speciali, e cioè richiamate da singole norme, che non sono riconducibili ai regimi di nullità assoluta o intermedia: si ragiona per esclusione. Sono sanabili, carattere comune alle intermedie. Sono dichiarate dal giudice su eccezione di parte e, più precisamente, della parte interessata. Al giudice è precluso, di regola, il potere di rilevare tali nullità d’ufficio, salvo che tale facoltà sia lui espressamente concessa dalla norma che prevede la nullità relativa come pena per la sua violazione. I commi 2 e 4 dell’art. 181 stabiliscono diversi termini perentori per eccepire le nullità relative, a seconda della fase processuale in cui il vizio si è verificato: - le nullità concernenti gli atti delle indagini preliminari, l’incidente probatorio e l’udienza preliminare devono essere eccepite prima che sia pronunciato il provvedimento ex art. 424 c.p.p. (sentenza di non luogo a procedere o il decreto che dispone il giudizio. Ove, per qualunque motivo, il giudice non vi provveda prima del giudizio, le parti devono riproporre l’eccezione tra le questioni preliminari del giudizio stesso; - le nullità verificatesi nel giudizio devono essere eccepite con l’impugnazione della sentenza. 36. LA DEDUCIBILITÀ E LE SANATORIE L’art. 182 è rubricato deducibilità delle nullità. Al primo comma è disposto che le nullità relative e quelle di regime intermedio (escluse quelle assolute) non possono essere dedotte ne da chi vi ha dato o concorso a darvi causa ne da chi non ha interesse all’osservanza della disposizione violata. Al secondo comma invece è posto un limite temporale in quanto è previsto che la nullità deve essere eccepita prima del compimento dell’atto o se non è possibile, immediatamente dopo quando la parte vi assiste. 40 3. DIRITTO ALLA PROVA E CRITERI DI AMMISSIONE Alle parti è riconosciuto il diritto alla prova, che rappresenta un aspetto essenziale del diritto di difesa. Tale diritto compendia essenzialmente il potere positivamente riconosciuto a ciascuna delle parti di: a) ricercare le fonti di prova; b) chiedere l’ammissione del relativo mezzo; c) partecipare alla sua assunzione; d) proporre una valutazione del risultato al momento delle conclusioni. Il diritto alla prova si manifesta, innanzitutto, nel diritto di ricercare le fonti di prova e di ottenerne l’ammissione: l’art. 190 c. 1 c.p.p. prevede infatti che “le prove sono ammesse a richiesta di parte. Il giudice provvede senza ritardo con ordinanza escludendo le prove vietate dalla legge e quelle che manifestamente sono superflue o irrilevanti”. Il potere di ammissione della prova compete invece al giudice che, nel suo concreto esercizio, deve attenersi ai seguenti criteri: a) la prova deve essere pertinente, cioè riguardare l’esistenza del fatto storico indicato nell’imputazione, o comunque uno dei fatti indicati nell’art. 187 c.p.p.; b) la prova non deve essere vietata dalla legge (v. art. 220 c.p.p.); c) la prova non deve essere superflua, cioè sovrabbondante, ossia convergere verso l’acquisizione al processo di un medesimo risultato conoscitivo cui mirano una pluralità di altri mezzi di prova, in quanto, in siffatti casi, la sua assunzione sarebbe inutile; d) la prova deve essere rilevante, tale cioè che il suo probabile risultato sia idoneo a dimostrare l’esistenza del fatto da provare. Tale disposizione, dunque, plasma e limita in maniera decisa il potere che compete al giudice in ordine alla ammissione dei mezzi di prova: la prova pertinente deve fare ingresso nel processo, a meno che non sia manifestamente superflua o irrilevante, ovvero si ponga in contrasto con un esplicito divieto legale; la presenza dell’avverbio manifestamente sta dunque a significare che, in caso di dubbio sull’utilità o la rilevanza di una prova, il giudice ha il dovere di disporne l’ammissione, risolvendosi la sua valutazione in una mera verifica di segno negativo. Il giudizio di ammissibilità non investe pertanto l’attendibilità della prova, riservata al momento successivo della valutazione. Quegli stessi criteri di cui si è appena detto dovranno guidare il giudice anche nel provvedere sulla eventuale revoca delle ordinanze ammissive, laddove, in ragione delle sopravvenute acquisizioni probatorie, gli sviluppi dell’istruttoria rendano manifestamente inutile o irrilevante la prova precedentemente ammessa. In questi casi, tuttavia, la revoca del provvedimento è subordinata al fatto che siano state “sentite le parti in contraddittorio” (190 c. 3 c.p.p.). Il principio dispositivo, cui mostra di ispirarsi il codice di procedura penale con l’art. 190 c.p.p., risulta tuttavia temperato dal riconoscimento di poteri di iniziativa probatoria officiosi, a carattere integrativo, esercitabili dal giudice nelle ipotesi in cui il quadro probatorio introdotto dalle parti impedisca al processo di assolvere al meglio la sua funzione di accertamento (si vedano in particolare gli artt. 422 c. 1, 441 c. 5 e 507 c.p.p.). L’area di incidenza dei principi espressi nell’art. 190 risulta estendersi per tutto l’arco del procedimento. 4. PROVE ILLEGITTIMAMENTE ACQUISITE E SANZIONE DI INUTILIZZABILITÀ L’art. 191 mira a riaffermare il principio di legalità della prova: solo le prove acquisite in modo conforme alle previsioni di legge possono essere utilizzate ai fini della corretta formazione del convincimento del giudice. Tale nozione non riguarda solo le prove oggettivamente vietate dalla legge, ma anche quelle formate o acquisite in violazione di diritti soggettivi costituzionalmente garantiti. Non sono quindi ammesse le prove acquisite contra legem. Il comma 2bis dell’articolo stabilisce l’inutilizzabilità delle dichiarazioni o informazioni ottenute mediante il delitto di tortura: la norma fa eccezione a tale principio solo nel caso in cui tali dichiarazioni vengono utilizzate contro l’autore del fatto e solo al fine di provarne la responsabilità penale. 41 5. VALUTAZIONE DELLA PROVA E REGOLE DI CONVINCIMENTO DEL GIUDICE L’art. 192 è dedicato al regime di valutazione della prova e in esso è ribadito il principio del libero convincimento del giudice. La norma sancisce il principio secondo cui il giudice di merito, giustificando in motivazione la logica seguita, è libero di valutare le prove raccolte, organizzandole e dando a ciascuna di esse, come pure nel loro complesso, il peso e il significato ritenuti più opportuni. Oltre al limite razionale derivante dall’obbligo della motivazione, il principio del libero convincimento del giudice incontra anche limiti di tipo normativo: - si esclude che possano venire utilizzati elementi di natura soltanto indiziaria quindi gli indizi a meno che questi possano qualificarsi come gravi, precisi e concordanti; - le dichiarazioni di natura sostanzialmente testimoniale, provenienti da una dei coimputati del medesimo reato o da persona imputata in un procedimento connesso sono valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità. Una ulteriore ipotesi di limite al principio del libero convincimento del giudice è quella espressa nell’art. 526 comma 1bis il quale esclude la valutazione della prova ottenuta sulla base di dichiarazioni rese da chi si è sempre volontariamente sottratto all’esame da parte dell’imputato o del suo difensore. 6. LA TESTIMONIANZA I mezzi di prova si caratterizzano per la loro attitudine ad offrire al giudice risultati direttamente utilizzabili ai fini della decisione. I mezzi di ricerca della prova risultano funzionalmente diretti a permettere l’acquisizione di cose, tracce, notizie o dichiarazioni idonee ad assumere rilevanza probatoria. La testimonianza è la narrazione di un fatto da parte di chi è informato dell’avvenimento. Il fatto da rappresentare e credibilità di chi lo rappresenta diventano un tutto inscindibile che richiede una valutazione della rilevanza del fatto esposto e della attendibilità del testimone. La testimonianza utilizzabile ai fini del giudizio va acquisita in presenza delle parti del contradditorio, ma sono fatti salvi i casi di acquisizione dei verbali di prove di altro procedimento penale non seguita dall’ammissione del testimone. L’art. 194 dispone riguardo la componente relativa al fatto. Il testimone è esaminato sui fatti che costituiscono oggetti prova: non può deporre sulla moralità dell’imputato eccetto che si tratti di fatti specifici, idonei a qualificarne la personalità in relazione al reato e alla personalità sociale. Il testimone è esaminato su fatti determinati. Non può deporre sulle voce correnti nel pubblico ne esprimere apprezzamenti personali salvo che sia possibile scinderli dalla deposizione dei fatti. L’art. 195 disciplina la testimonianza indiretta. L’oralità si manifesta nella testimonianza e nel dibattimento che consentono immediata verifica del tema di prova; così si realizza nell’ipotesi della testimonianza diretta cioè resa da chi ha percepito di persona i fatti oggetto della prova. Più complesso è il caso della testimonianza indiretta poiché in questo caso il teste riferisce una narrazione altrui, filtra cioè un’esperienza che non gli è propria. L’art. fissa dei limiti riferiti non all’ammissibilità ma all’utilizzazione della testimonianza indiretta. Quanto il testimone si riferisce, per la conoscenza dei fatti, ad altre persone, il giudice, a richiesta di parte, dispone che queste siano chiamate a deporre. Il giudice può disporre anche d’ufficio l’esame delle persone indicate. Dunque, è possibile una richiesta di parte e in questo caso il secondo esame è un atto dovuto e una richiesta d’ufficio dove invece l’atto è discrezionale. L’inosservanza della disposizione del comma 1 rende inutilizzabili le dichiarazioni relative a fatti di cui il testimone abbia avuto conoscenza da altre persone, salvo che l’esame di queste risulti impossibile. Il giudice deve escludere la testimonianza indiretta su fatti appresi da persone vincolate dal segreto professionale o dal segreto d’ufficio. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria, inizialmente, non potevano rendere testimonianza indiretta con riguardo al contenuto di dichiarazioni acquisite dal testimone in qualsiasi forma. A seguito di una sentenza della Corte Costituzionale del 92, tale divieto venne rimodulato in quanto privo di ragionevole giustificazione e vale solo per le dichiarazioni documentate in un verbale (acquisite mediante un rapporto dialettico formale dentro un procedimento), le altre possono essere rese. Non può inoltre essere utilizzata la testimonianza di chi si rifiuta o non è in grado di indicare la persona o la fonte da cui ha appreso la notizia dei fatti oggetto dell’esame. Quanto alla capacità di testimoniare non esistono particolari preclusioni, chiunque portatore di conoscenze utili ai fini del processo è idoneo ad assumete il ruolo di teste. Il giudice ove necessario può disporre degli accertamenti per verificare 42 l’idoneità fisica e mentale. Il codice prevede inoltre delle incompatibilità con l’ufficio del testimone. La ratio va ricondotta all’applicazione del principio in base al quale nessuno può essere obbligato a rendere dichiarazioni che potrebbero risultare sfavorevoli al proprio interesse. L’incompatibilità varia in base alla categoria cui si fa riferimento: - per i coimputati nel medesimo reato o in un procedimento connesso (in concorso o condotte indipendenti che hanno determinato l’evento) questi possono essere sentiti solo dopo che per loro sia intervenuta una sentenza definitiva; - per gli imputati in un processo connesso per reati commessi per occultare o eseguirne altri (vedi art. 12 lett. a e c), non sussiste incompatibilità se all’atto dell’interrogatorio furono fatti gli avvertimenti disposti dall’art. 64 lett. c. L’incompatibilità non ha deroghe per il responsabile civile e il civilmente obbligato per la pena pecuniaria. Servente all’art. 197 è l’art. 197bis il quale disciplina la posizione delle persone richiamate dal 197 sono fatte salve dalle cause di inderogabilità quando assumo la qualità di testimoni. Questi debbono essere assistiti da un difensore d’ufficio o di fiducia il quale ha diritto di presenziare al momento dell’esame. Il testimone non può essere obbligato a deporre sui fatti per i quali è stata pronunciata in giudizio sentenza di condanna nei suoi confronti, se nel procedimento precedente aveva negato la sua responsabilità o comunque non si era espresso. In ogni caso le dichiarazioni rese non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese nel procedimento a suo carico, nel procedimento di revisione della sentenza di condanna. Il testimone è obbligato a presentarsi al giudice, di attenersi alle sue prescrizioni e di rispondere secondo verità alle domande che gli vengono rivolte. Il testimone al contrario non può essere obbligato a deporre su fatti dai quali potrebbe emergere una sua responsabilità penale. Anche i prossimi congiunti dell’imputato non sono obbligati a deporre se non quando hanno presentato denuncia, querela o istanza o se essi o un loro prossimo congiunto sono offesi dal reato. Altra deroga all’obbligo di testimoniare è prevista dall’art. 200 ai sensi del quale non possono essere obbligati a testimoniare su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero tutti coloro che svolgono uffici o professioni ai quali la legge riconosce la facoltà di astenersi dal deporre in ragione del segreto professionale. Il giudice se ha motivo di dubitare sulla dichiarazione resa può provvedere agli accertamenti necessari. All’art. 201 è previsto un vincolo più stringente rispetto alla disciplina del segreto professionale. Secondo l’art. 200 i professionisti non possono essere obbligati a deporre mentre il titolare del segreto d’ufficio ha un più radicale obbligo di astenersi. Sono fatti salvi i casi in cui tali soggetti hanno l’obbligo di riferirne all’autorità giudiziaria quindi si deve ritenere che in casi come ad esempio di denuncia obbligatoria, la prevalenza riconosciuta a quest’ultimo obbligo, funzionale alle esigenze di giustizia, ripristini gli ordinari doversi testimoniali. Un aspetto particolare del segreto d’ufficio è rappresentato dalla prerogativa riconosciuta agli ufficiali e agli agenti di polizia giudiziaria di non rivelare i nomi dei propri informatori confidenziali, senza alcuna possibilità per il giudice di obbligarli a fornire le relative indicazioni. Se questi non esaminati come testimoni, le informazioni da essi fornite non possono essere acquisite ne utilizzate. Qualora l’ufficiale di polizia giudiziaria invece decida di rivelare l’identità del confidente, l’utilizzabilità delle sue dichiarazioni sarà disciplinata dalle disposizioni dell’art. 195 (testimonianza indiretta). Nei casi in cui l’oggetto della testimonianza è coperto da segreto di Stato, l’autorità giudiziaria deve informare il Presidente del Consiglio dei ministri per chiedere la conferma dell’esistenza del segreto. Qualora il segreto sia confermato e per la definizione del processo risulti essenziale la conoscenza di quanto coperto dal segreto di stato, il giudice dichiara non doversi a procedere per l’esistenza del segreto di stato. Comunque, se entro 30 giorni dalla notificazione della richiesta non si riceve conferma dal Presidente del Consiglio dei ministri, l’autorità giudiziaria acquisisce la notizia e provvede per l’ulteriore corso del procedimento. Resta la possibilità per il giudice di ricorrere ad altri strumenti di prova, purché gli stessi non incidano sul medesimo oggetto. Nel caso sia stato confermato il Segreto di stato e l’autorità giudiziaria non condivida l’opposizione del segreto potrà decidere di sollevare il conflitto di attribuzioni nei confronti del Presidente del Consiglio dinnanzi la Corte Costituzionale. La procedura di controllo da parte della consulta sarà oggetto di specifica analisi ma è necessario evidenziare che in nessun caso il segreto di Stato è opponibile alla Corte Costituzionale. Se nel corso dell’esame un testimone rende dichiarazioni contraddittorie incomplete o contrastanti con le prove già acquisite, il presidente o il giudice glielo fa rilevare rinnovandogli l’obbligo di dire la verità. Possono verificarsi due casi: - il caso in cui il testimone si rifiuta di deporre, allora il giudice trasmette immediatamente gli atti al pm; - il caso in cui dichiara il falso dove il giudice trasmette gli atti al pm dopo la definizione della fase processuale dove è coinvolto il testimone. 45 della segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, limitabili solo per atto motivato dell’autorità giudiziaria e con le dovute garanzie stabilite dalla legge, ha inteso apprestare adeguate misure di contrasto alla acquisizione e detenzione illegale e alla indebita diffusione di contenuti e dati relativi ad intercettazioni illecitamente effettuate, in funzione di una più efficace tutela di beni aventi rilevanza costituzionale, quali la libertà, la segretezza delle comunicazioni e il diritto alla riservatezza. Quanto alla falsità dei documenti, è stabilito che il giudice dopo la definizione del procedimento debba informare il PM qualora ritenga falsi i documenti. Il nuovo codice non ha riproposto il vecchio istituto dell’incidente di falso. Coerentemente con quanto stabilito dall’art. 2 del c.p.p. si è conferito al giudice il potere di risolvere autonomamente la questione sulla falsità senza quindi interrompere il procedimento fino alla pronuncia della sentenza definitiva sul falso. È ammessa l’acquisizione dei verbali di prove di altri procedimenti penali solo quando si tratti di prove assunte nell’incidente probatorio o nel dibattimento. I verbali e le dichiarazioni possono essere utilizzate contro l’imputato solo se il suo difensore ha partecipato all’assunzione della prova. Possono essere acquisite le sentenze divenute irrevocabili in altri processi ai fini della prova di fatto in esse accertato. La rilevanza probatoria della sentenza deve però essere valutata anche in base ad elementi di riscontro. (art. 238bis). 11. ISPEZIONI E PERQUISIZIONI Sono mezzi di ricerca della prova di cui si serve l’autorità giudiziaria per individuare e assicurare al processo cose, tracce, documenti e ogni altro elemento utile per provare i fatti che si riferiscono a imputazione, alla punibilità e alla determinazione della pena. I mezzi di ricerca della prova incidono sui diritti costituzionalmente tutelati. Sono ipotizzabili addirittura mezzi di ricerca atipici purché vengano rispettate le condizioni di ammissibilità di prove atipiche e quelle specifiche previste per i mezzi di prova. La normativa sui mezzi di ricerca è dettata dagli artt. 244-271. Le ispezioni sono i mezzi attraverso i quali l’autorità giudiziaria percepisce direttamente elementi utili alla ricostruzione di un fatto. L’ispezione delle persone, dei luoghi e delle cose è disposta con decreto motivato quando occorre accertare le tracce e gli altri effetti materiali del reato. L’ispezione può avere ad oggetto persone, luoghi o cose: - Ispezione personale: serve a rilevare tracce o altri effetti materiali del reato sul corpo della persona. Prima di procedere all’ispezione personale, l’interessato è avvertito della facoltà di farsi assistere da persona di fiducia, purché questa sia prontamente reperibile e idonea a norma dell’art. 120. L’ispezione è eseguita nel rispetto della dignità e nei limiti del possibile del pudore di chi vi è sottoposto. - Ispezione locale: di luoghi o di cose, va sottolineata la garanzia rappresentata dalla consegna del decreto prima dell’inizio delle operazioni all’imputato e alla persona titolare della disponibilità dei luoghi. Per quanto riguarda le perquisizioni queste possono essere disposte quando vi è fondato motivo di ritenere che taluno occulti sulla persona il corpo del reato o cose pertinenti al reato (perquisizione personale), o che si trovino in un determinato luogo, o che in un determinato luogo possa eseguirsi l’arresto dell’imputato o dell’evaso. La perquisizione è disposta con decreto motivato e l’autorità giudiziaria può procedere personalmente o disporre che l’atto sia compiuto da ufficiali di polizia giudiziaria delegato con lo stesso decreto. Nel 247 si parla di fondati motivi e presuppongono l’esistenza di indizi di un certo rilievo. L’ispezione risponde a finalità descrittive mentre la perquisizione esprime in modo immediato una ricerca sulla persona o in un determinato luogo del corpo reato e cose pertinenti. Riguardo le forme e i modi, se attraverso la perquisizione si ricerca una cosa determinata l’autorità giudiziaria può invitare a consegnarla. Se la cosa è presentata, non si procede alla perquisizione salvo che si ritenga utile procedervi. Prima di procedere alla perquisizione personale è consegnata una copia del decreto all’interessato, con l’avviso delle facoltà di farsi assistere da persona di fiducia purché reperibile e idonea come testimone. I risultati delle ispezioni, delle perquisizioni, dei sequestri e delle intercettazioni eseguiti in violazione delle disposizioni, non possono essere utilizzati con l’eccezione rappresentata dall’ipotesi in cui essi costituiscano corpo del reato. 12. IL SEQUESTRO 46 Il sequestro come mezzo di ricerca della prova ha per oggetto il corpo del reato e le cose pertinenti. Il corpo del reato sono le cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso e le cose che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo (art. 253). Vi sono comunque altre due forme di sequestro le quali però non rientrano nei mezzi di ricerca della prova e sono il sequestro preventivo (misura cautelare) e il sequestro conservativo. Le cose sequestrate attraverso il sequestro probatorio devono poi essere restituite prima della sentenza, salvo la possibilità di essere sottoposte a sequestro preventivo o conservativo a seguito di una conversione. Solitamente si converte in sequestro preventivo quando il giudice ritiene che siano sorte esigenze preventive, o in sequestro conservativo quando il giudice ritiene siano sorte esigenze conservative. Il sequestro probatorio è disposto con decreto motivato, d’ufficio o su richiesta. Se è richiesto nel corso delle indagini preliminari e il PM è di contrario avviso si instaura un incidente: PM trasmette il suo parere al giudice delle indagini preliminari assieme alla richiesta della parte di sequestro e il giudice provvede o accogliendo o rigettando la richiesta. Il codice prevede diverse fattispecie di sequestro: - Sequestro di corrispondenza: è consentito procedere al sequestro di lettere, pieghi, pacchi, valori e altri oggetti di corrispondenza presso coloro che forniscono servizi postali, telegrafici o di telecomunicazioni, quando l’autorità giudiziaria ritiene possa esserci un fondato motivo che gli stessi sia diretti o provengano dall’imputato anche sotto nome diverso. Se al sequestro procede un ufficiale di polizia giudiziaria, questi deve consegnare all’autorità giudiziaria gli altri oggetti di corrispondenza sequestrati, senza aprirli o alterarli. Se vi sono carte o documenti che non rientrano fra la corrispondenza sequestrabile sono restituiti immediatamente all’avente diritto e non possono essere utilizzati. Una disciplina è dettata anche per i dati detenuti dai fornitori di servizi informatici, telematici o di telecomunicazioni ammettendo che l’acquisizione avvenga mediante copia su un adeguato supporto; - Sequestro presso istituti bancari: è ammesso che l’autorità giudiziaria proceda al sequestro presso banche di documenti, titoli, valori o di ogni altra cosa anche se contenuti in cassette di sicurezza. L’art. 256 prevede i limiti che incontra il mezzo di ricerca della prova del sequestro, in presenza di atti o documenti coperti dal segreto d’ufficio o di stato. È disposto che qualora le persone che rientrano nelle categorie sottoposte al segreto d’ufficio o professionale, devono consegnare all’autorità giudiziaria quanto richiesto a meno che dichiarino per iscritto che si tratti di documenti coperti da segreto di Stato o segreto inerente al loro ufficio o professione. Quando la dichiarazione concerne un segreto d’ufficio o professionale, l’autorità giudiziaria se ha motivo di dubitare provvede agli accertamenti necessari. Quando invece concerne il segreto di stato, viene fatta richiesta di accertamento al Presidente del Consiglio il quale sarà tenuto a rispondere entro 30 giorni. Il decreto di sequestro è impugnabile mediante richiesta di riesame ai sensi dell’art. 324. Per quanto riguarda l’estinzione del vincolo imposto attraverso il sequestro e quindi la restituzione delle cose assoggettate dipende dal venir meno delle esigenze probatorie che avevano determinato il provvedimento. Quando non è necessario mantenere il sequestro ai fini di prova, le cose sequestrate devono essere restituite a che ne ha diritto. La restituzione delle cose è disposta dal giudice con ordinanza se non vi è dubbio sulla loro appartenenza. In caso di controversia sulla proprietà delle cose, il giudice ne rimette la risoluzione al giudice civile mentendo nel frattempo il sequestro. Quanto alle competenze, la restituzione se avviene nelle indagini preliminari spetta al PM e contro questo decreto che abbia respinto o accolto la restituzione, le persone interessate potranno ricorrere presso il giudice delle indagini preliminari. 13. LE INTERCETTAZIONI DI CONVERSAZIONI O DI COMUNICAZIONE Disciplinata artt. 266-271. Le intercettazioni sono un mezzo di ricerca della prova consistente nell’apprensione occulta, in tempo reale del contenuto di una comunicazione o di una conversazione in corso tra presenti (intercettazioni ambientali). A norma dell’art. 266bis sono consentite le intercettazioni del flusso di comunicazioni relativo a sistemi informatici o telematici. In considerazione della particolare invasività di tale mezzo di prova, è consentito il suo utilizzo solo per reati di maggior rilevanza o per reati la cui prova può essere captata solo con l’intercettazione (Es. molestie telefoniche). L’art. 266 quindi definisce in primis i limiti oggettivi entro i quali deve ritenersi ammissibile l’intercettazione. Per quanto riguarda le intercettazioni ambientali, ossia quella tra presenti si può procedere attraverso appositi strumenti di ascolto. Tuttavia, in via generale, nei luoghi di domicilio tale intercettazione è consentita solo se vi risulti in corso di svolgimento l’attività criminosa. L’art. 267 disciplina i presupposti e le forme del provvedimento relativo alle operazioni di intercettazione. Di regola l’intercettazione può essere disposta dal PM a seguito dell’autorizzazione del giudice per le indagini preliminari il quale provvederà con decreto motivato quando in presenza di gravi indizi di reato le intercettazioni risultano 47 indispensabili. Nei casi di urgenza dove cioè il ritardo provocherebbe gravi pregiudizi alle indagini, si ammette che l’iniziativa di disporre l’intercettazione possa venire direttamente assunta dal PM con decreto il quale dovrò poi essere convalidato entro 48 ore. Il decreto del PM che dispone l’intercettazione indica le modalità e la durata delle operazioni la quale non può superare i 15 giorni prorogabile dal giudice per altri 15 giorni. Una disciplina particolare è dettata con riferimento alle indagini relative ai delitti di criminalità organizzata o al delitto di minaccia telefonica. Quando l’intercettazione risulta necessaria per lo svolgimento delle indagini, essa può essere autorizzata dal giudice anche solo in presenza di sufficienti indizi di reato. La durata è allungata rispetto ai termini ordinari a 40 giorni prorogabile per altri 20. Quando poi si tratta di conversazione tra presenti sempre nell’ambito di delitti di criminalità organizzata l’operazione può essere autorizzata e disposta anche quando non vi è motivo di ritenere che nei luoghi predetti si stia svolgendo attività criminosa. Solo l’uso del captatore informatico rimane circoscritto a quando previsto dal 266 comma 2bis. Il PM deve annotare in un apposito registro riservato tutti i decreti che abbiano disposto, autorizzato, convalidato o prorogato le intercettazioni, i tempi. Queste operazioni devono essere compiute per mezzo degli impianti installati nella procura eccetto in alcuni casi. L’art. 268 stabilisce che le comunicazioni intercettate siano sempre registrate e che nel verbale venga trascritto anche sommariamente il loro contenuto. È fatto divieto di trascrivere nel verbale le comunicazioni o conversazioni a diverso titolo irrilevanti. Dopo la scadenza del termine stabilito per lo svolgimento delle operazioni, i verbali e le registrazioni sono immediatamente trasmessi a PM che può anche disporre il differimento della loro trasmissione per il tempo occorrente all’ufficiale di polizia per consultarne le risultanze a fini investigativi, in caso di indagini complesse. I verbali e le registrazioni sono conservati in un apposito archivio riservato presso l’ufficio del PM che ha chiesto ed eseguito le intercettazioni e sono coperti da segreto. Al GIP e ai difensori dell’imputato è in ogni caso consentito l’accesso all’archivio e all’ascolto senza estrarne copia. Entro 5 giorni dalla conclusione delle operazioni, il PM deposita le annotazioni, i verbali e le registrazioni e l’elenco delle comunicazioni che reputa rilevanti, dandone avviso ai difensori affinché ne prendano cognizione. Entro i successivi 5 giorni il PM deve presentare al giudice la richiesta di acquisizione delle intercettazioni depositate e i difensori avranno la facoltà di chiedere l’acquisizione delle intercettazioni secondo loro rilavanti e l’eliminazione delle parti superflue o per cui è vietata la trascrizione. Ai sensi dell’art. 268quater, il giudice trascorsi 5 giorni dalla presentazione delle richieste, con ordinanza dispone l’acquisizione delle intercettazioni richieste. Egli filtra nuovamente le intercettazioni escludendo quelle manifestatamente irrilevanti. Con l’ordinanza di acquisizione viene meno il segreto: gli atti vengono inseriti nel fascicolo delle indagini e solo a questo punto i difensori possono estrarne copia mentre le intercettazioni escluse, quindi non acquisite tornano nell’archivio privato. Può verificarsi il caso in cui le intercettazioni debbano essere utilizzate prima della conclusione delle operazioni e comunque prima che vengano formalmente acquisite dal giudice e ciò accade a fronte di una richiesta di applicazione di una misura cautelare. A tutela della riservatezza soprattutto nell’ordinanza cautelare, siano riportati i brani essenziali delle comunicazioni o conversazioni intercettate. Una volta eseguita la misura cautelare, l’ordinanza va depositata in cancelleria La documentazione delle intercettazioni non acquisite deve essere di regola conservata nell’archivio riservato fino al passaggio in giudicato della sentenza in modo da consentirne l’eventuale recupero anche nei gradi di giudizio successivi. Tuttavia, gli interessati possono richiederne la distruzione. I risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza o comunque quando la conversazione o comunicazione costituisca essa stessa corpo del reato. La legge prevede dei divieti di utilizzazione dei risultati come nel caso in cui non siano stati rispettati i limiti di ammissibilità delle intercettazioni, nel caso in cui non siano rispettate regole circa la competenza a disporre le intercettazioni, le prescrizioni del decreto e le modalità previste. È fatto divieto inoltre nel caso in cui le intercettazioni riguardino conversazioni relative a persone vincolate dal segreto professionale e abbiano ad oggetto fatti conosciuti per ragioni del loro ministero, ufficio o professione. In tutti questi casi le intercettazioni sono distrutte. Nel caso in cui invece tutte le regole sono state rispettate ma la documentazione ottenuta da intercettazioni non è necessaria al procedimento, gli stessi soggetti interessati possono richiedere la distruzione e spetterà poi al giudice decidere. Per le intercettazioni casuali dei membri del parlamento, solo qualora il GIP le ritiene rilevanti viene chiesta l’autorizzazione alla camera di appartenenza. 50 indicati dalla norma quali ad esempio stalking, furto in abitazione ecc. Il comma 1 bis dell’art. 275 prevede che l’esame delle esigenze cautelari debba essere condotto tenendo conto anche dell’esito del procedimento, delle modalità del fatto e degli elementi sopravvenuti, dai quali possa emergere che, a seguito della sentenza risulta una delle esigenze indicate dal 274 lett. b e c. Secondo quanto disposto dal comma 2 ter il giudice d’appello deve anche d’ufficio adottare i provvedimenti previsti quindi in deroga alla regola generale per cui il giudice procedente applica le misure cautelari su richiesta del PM, nel caso di sentenza di condanna pronunciata in 2 grado, contestualmente alla sentenza il giudice dovrà obbligatoriamente anche senza la richiesta del PM valutare o meno la sussistenza delle esigenze cautelari e degli altri presupposti indicati dallo stesso comma, ed applicare sempre la misura cautelare personale più adeguata. In via generale la custodia in carcere può essere disposta solo quando le altre misure coercitive o interdittive, risultano inadeguate e quindi il ricordo alla carcerazione è una vera e propria extrema ratio. 6. ALTRE APPLICAZIONI DEL PRINCIPIO DI ADEGUATEZZA Il comma 4 dell’art. 275 delinea una serie di casi nei quali è vietata l’applicazione della misura carceraria. Ci si riferisce ai casi in cui siano imputati donne incinte, madri con prole inferiore a 6 anni, padre nel caso in cui la madre della prole sia impossibilitata a dare assistenza o persona che abbia età superiore a 70 anni. L’eccezione è rappresentata dall’eventualità che sussistano esigenza cautelari di eccezionale rilevanza. Deve essere disposta la misura degli arresti domiciliari quando si tratta di imputati tossicodipendenti o alcoldipendenti e quando non sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza nel momento in cui l’interruzione del programma in atto potrebbe pregiudicare il loro recupero. Un esplicito divieto di custodia cautelare è stabilito dal comma 4bis nei riguardi degli imputati che siano affetti da Aids o grave deficienza immunitaria. Anche in queste ipotesi si configurano alcune attenuazioni qualora sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. Nel momento in cui il soggetto risulta invece imputato o già sottoposto ad un’altra misura cautelare per uno dei delitti previsti dall’art. 380, il giudice potrà comunque disporne la custodia cautelare in carcere. Nell’art. 276 al comma 1 in termini generali viene enunciato il principio per cui, nel caso di inosservanza delle prescrizioni inerenti alle singole misure cautelari, il giudice può ordinare la sostituzione della misura già disposta o il cumulo con un'altra più grave. È specificato che non ogni trasgressione dell’imputato alle prescrizioni impostegli dovrà necessariamente dare luogo ad un nuovo provvedimento. Solo le trasgressioni che per le loro caratteristiche oggettive e soggettive sono tali da far ritenere non più sufficiente l’originaria misura. L’art. 277 è una norma di garanzia ai sensi del quale le modalità di esecuzione delle misure devono salvaguardare i diritti della persona ad esse sottoposta. È una norma diretta a garantire la personalità dell’indiziato dal punto di vista dell’esercizio dei diritti che gli competono come persona. 7. LA SALVAGUARDIA DEI DIRITTI DELLA PERSONA SOTTOPOSTA A MISURA CAUTELARE L’art. 277 detta una norma di garanzia per la posizione soggettiva dell’imputato: si detta una regola relativa ai rapporti tra l’esecuzione delle misure cautelari e la tutela dei diritti dell’imputato. In particolare si stabilisce che le modalità esecutive delle misure cautelari devono salvaguardare i diritti della persona ad esse sottoposta, e siccome è riferibile anche ai detenuti, si stabilisce che la persona sottoposta a custodia carceraria non può subire limitazione della libertà se non per il tempo e con le modalità strettamente necessarie alla sua tradizione. 8. CRITERI PER LA DETERMINAZIONE DELLA PENA AI FINI DELL’APPLICAZIONE DELLE MISURE Ai sensi dell’art. 278 per la determinazione della pena agli effetti dell’applicazione delle misure stesse si deve aver riguardo alla pena stabilita dalla legge per ciascun reato consumato o tentato, senza tener conto della continuazione, della recidiva. 9. MISURE COERCITIVE E MISURE INTERDITTIVE Le misure coercitive sono misure diverse che limitano o privano la libertà personale del soggetto e sono tra loro ordinate in termini di progressiva affinità, da misure di contenuto meramente obbligatorio come il divieto di espatrio, fino a vere e proprie misure detentive quali la custodia in carcere. Le misure coercitive vengono applicate ai sensi del 280 solo per i delitti per i quali la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o 51 della reclusione max a 3 anni. La custodia cautelare in carcere invece può essere disposta solo quando si procede per delitti per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore a 5 anni. Questo limite non si applica nei confronti di chi abbia trasgredito alle prescrizioni inerenti ad una misura cautelare. A carico di questi imputati potrà essere applicata la misura carceraria. Una seconda eccezione è contenuta nel 1 comma del 280 dove si richiama l’art. 391 nella disciplina della conversione dell’arresto in flagranza in una misura coercitiva. Si dispone che tale conversione può aversi anche al di fuori dei limiti di pena previsti dal 274 comma 1 lett. c e 280 quando l’arresto è stato eseguito per uno dei delitti indicati. 10. LA TIPOLOGIA DELLE MISURE COERCITIVE ED IL PRINCIPIO DI GRADUALITÀ Le misure coercitive sono tra loro ordinate in termini di progressiva afflittività. Si parte da misure di contenuto meramente obbligatorio fino a misure detentive vere e proprie. Si collocano all’interno di questa gerarchia le misure di divieto di espatrio, l’obbligo di presentazione periodica, la misura di allontanamento dalla casa familiare, divieto di avvicinamento a luoghi frequentati dalla persona offesa. L’art. 282quater prevede che le decisioni relative all’allontanamento dalla casa familiare e al divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, siano comunicate all’autorità di pubblica sicurezza competente, alla persona offesa e ai servizi socioassistenziali. Viene inoltre comunicato l’eventuale esito positivo del programma di prevenzione della violenza cui l’imputato è stato sottoposto al fine di consentire una valutazione della sussistenza delle condizioni per la sostituzione della misura. Un altro tipo di misura coercitiva è l’obbligo di dimora che oltre alla tradizionale prescrizione di non allontanarsi dal territorio del comune di abituale dimora senza autorizzazione, può comprendere anche quella di non allontanarsi dall’abitazione in alcune ore del giorno. Questa è una prescrizione analoga agli arresti domiciliari secondo la quale l’imputato non può allontanarsi dalla propria abitazione ma l’obbligo di dimora è attenuato dall’autorizzazione del giudice ad assentarsi nel corso della giornata dal luogo di arresto per il tempo strettamente necessario. L’imputato agli arresti domiciliari si considera in stato di custodia cautelare (art. 284 c. 5). Per quanto riguarda la concedibilità degli arresti domiciliari un limiti soggettivo è il divieto nei confronti degli imputati già condannati per il reato di evasione nei 5 anni precedenti al fatto per cui si procede. Il divieto non opera qualora il giudice possa pervenire ad una duplice valutazione positiva in ordine alla lieve entità del fatto e alla idoneità della misura. L’art. 275bis fa riferimento al braccialetto elettronico e al comma 1 è stabilito che il giudice nel disporre la misura degli arresti domiciliari prescriva le procedure di controllo elettronico salvo che non le ritenga necessarie. Andrà disposta la misura carceraria, qualora l’imputato neghi il proprio consenso a sottoporsi ai relativi mezzi e strumenti. 11. LE FORME DELLA CUSTODIA CAUTELARE Ai sensi del 285, con il provvedimento che dispone la custodia cautelare, il giudice ordina agli ufficiali e agli agenti di polizia giudiziaria che l’imputato sia catturato e immediatamente condotto in un istituto di custodia per rimanervi a disposizione dell’autorità giudiziaria. In conformità con i principi di gradualità, proporzionalità, personalizzazione delle misure cautelari, la custodia cautelare in carcere rappresenta la misura maggiormente limitativa della libertà personale e costituisce quindi la extrema ratio, applicabile solo quando ogni altra misura si riveli inidonea alla salvaguardia delle esigenze cautelari. Se l’imputato è un infermo di mente il giudice può disporre che la custodia cautelare sia non carceraria ma mediante ricovero provvisorio in una struttura idonea. Vi è un’apposita disciplina anche per le detenute madri o padri con prole la cui madre è deceduta o impossibilitata a darvi assistenza. Per questi soggetti è prevista la custodia presso un istituto a custodia attenuata. Così come è prevista una specifica norma per gli imputati che si trovino in gravi condizioni di salute. 12. LA TIPOLOGIA DELLE MISURE INTERDITTIVE Vengono disciplinate quali misure interdittive: - la sospensione dell’esercizio della responsabilità genitoriale; - la sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio; - divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali o imprenditoriali o determinati uffici direttivi delle persone giuridiche o delle imprese. Valgono come criteri di scelta ovviamente il principio di adeguatezza e di proporzionalità ed inoltre vi è l’ulteriore possibilità 52 per il giudice di dare più specifica attuazione a tali principi attraverso l’applicazione solo parziale della misura prescelta. L’incidenza della misura infatti può venire limitata a una parte della potestà o a una parte dell’attività inerente all’ufficio o alla professione. 55 in relazione ai quali sussiste connessione, i termini decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima ordinanza e sono determinati in base alla violazione più grave. Nel calcolo dei termini della custodia cautelare si tiene conto dei giorni in cui sono tenute le udienze e di quelli impiegati per la deliberazione della sentenza nei giudizi di primo grado e delle impugnazioni solo ai fini della determinazione della durata complessiva della custodia. Se l’imputato è detenuto per un altro reato o internato per misura di sicurezza, gli effetti decorrono dal giorno in cui è notificata l’ordinanza che la dispone, se sono compatibili con lo stato di detenzione o internamento; altrimenti decorrono dalla cessazione di questo. Il divieto della contestazione a catena è diretto ad evitare che venga dilatata la durata della misura cautelare con l’artificiosa emissione, in tempi diversi, di più ordinanza coercitive per lo stesso fatto o per fatti diversi o connessi, nonostante l’esistenza nel processo, al momento della emanazione del primo provvedimento, di indizi gravi e sufficienti per emanare un’unica ordinanza per tutti i reati. L’art. 298 prevede che l’ordine di carcerazione nei confronti di un imputato sottoposto ad una misura cautelare per un diverso reato, determini la sospensione dell’esecuzione della misura, a meno che gli effetti di questa sono compatibili con l’espiazione della pena. 17. I PROVVEDIMENTI DI REVOCA E DI SOSTITUZIONE L’istanza di revoca, mira a verificare la sussistenza attuale delle condizioni di applicabilità delle misure, in riferimento sia a fatti sopravvenuti che a fatti originari e contemporanei a seguito magari di una valutazione diversa. Allo stesso modo si ha una sostituzione quando la misura applicata non appare più proporzionata e idonea all’entità del fatto o alla sanzione che si ritiene possa essere irrogata. Sia del provvedimento di revoca che di sostituzione si dà comunicazione al difensore della persona offesa qualora hanno ad oggetto delitti commessi con violenza alla persona. Il giudice procede solo dietro richiesta del PM o dell’imputato e vi provvede entro 5 giorni dal deposito della richiesta. Il giudice può procedere d’ufficio in sede di udienza preliminare, o in giudizio. Anche nel corso delle indagini preliminari si ammette che il giudice possa assumere d’ufficio l’iniziativa della revoca o sostituzione quando risulta già investito del procedimento per l’esercizio di uno dei poteri appartenenti alla sua competenza funzionale: in particolare quando assume l’interrogatorio dell’indiziato in stato di custodia cautelare o quando sia richiesto della proroga del termine per le indagini preliminari (Art. 406). Prima di provvedere alla revoca o alla sostituzione, il giudice deve sempre sentire il PM, il quale dovrà esprimere il proprio parere nei giorni successivi. Il giudice prima di provvedere può sottoporre ad interrogatorio della persona sottoposta alla misura. L’interrogatorio diventa doveroso quando è lo stesso imputato a richiederlo e quando l’istanza di revoca o sostituzione è basata su elementi nuovi o diversi rispetto a quelli già valutati. 18. PARTICOLARE FATTISPECIE DI ESTINZIONE AUTOMATICA DELLE MISURE Il fenomeno estintivo della revoca e della sostituzione presuppone un provvedimento giurisdizionale di accertamento sulla carenza o sulla diversa intensità dei relativi presupposti, il codice prevede altre figure di estinzione caratterizzate dall’automatismo degli effetti: - le misure cautelari, in quanto atti inseriti incidentalmente in un altro procedimento, non possono non risentire dell’esito del giudizio. In caso di pronuncia favorevole all’imputato quale l’archiviazione, la sentenza di non luogo a procedere o di proscioglimento, cessano per il venir meno dei gravi indizi di colpevolezza; - le misure cautelari perdono efficacia anche quando la pena irrogata con una sentenza di condanna sia dichiarata estinta o condizionalmente sospesa, o quando la pena è di entità inferiore alla custodia cautelare pre-sofferta; - l’art. 300 all’ultimo comma disciplina il caso peculiare in cui un imputato venga prosciolto e successivamente venga condannato per lo stesso fatto. Nei suoi confronti possono venire adottate una o più misure coercitive solo quando ricorrono le esigenze cautelari previste dal 274 di pericolo di fuga e reiterazione del reato o commissione di altri; - altra ipotesi di estinzione è la caducazione secondo la quale si ha perdita di efficacia delle misure applicate per esigenze cautelari quando alla scadenza del termine fissato non ne venga ordinata la rinnovazione. La rinnovazione può essere disposta dal giudice, su richiesta del PM anche per più di una volta. La custodia carceraria per esigenze probatorie comunque non può avere durata superiore a 30 giorni con una possibilità di proroga per non più di due volte e comunque non oltre 90 giorni. 56 19. I TERMINI DI DURATA MASSIMA DELLA CUSTODIA CAUTELARE La necessità di bilanciare le esigenze cautelari con i diritti di libertà dell’indagato è realizzata attraverso la fissazione di limiti alla durata della custodia correlati allo stadio del procedimento e alla gravità del reato. Il codice prevede infatti la fissazione di una serie di termini autonomi di durata massima in relazione ai diversi stati o gradi del procedimento distinguendo fase preliminare, giudizio di primo grado, giudizio abbreviato ed ulteriori fasi del giudizio e nello specifico con riferimento a ciascuna di tali fasi dei termini intermedi differenziati a seconda della gravità dell’imputazione o in funzione della pena applicata in concreto. Nelle fasi di giudizio successiva al primo grado, la definizione dei termini massimi intermedi è stata operata facendo riferimento non alla pena legislativamente prevista ma alla pena concretamente irrogata in sede di condanna. Il 2 o 3 comma dell’art. 303 c.p.p. prevedono due specifiche ipotesi in cui i termini di fase riprendano a decorrere ab initio, ovvero quando: - l’imputato/indagato commetta evasione ai sensi dell’art. 385 c.p.: in tal caso il termine di fase ricomincia a decorrere dal momento in cui viene ripristinata la misura; - il procedimento regredisca a una fase o a un grado di giudizio diversi o sia rinviato ad altro giudice: in questo caso il termine di fase ricomincia a decorrere dalla data del provvedimento che dispone il regresso o il rinvio. I termini di durata complessiva della custodia cautelare (cioè calcolati sull’intero processo e non per fase), considerate anche eventuali proroghe (v. art. 305 c.p.p.), sono previsti al comma 4 dell’art. 303 c.p.p. I termini di durata massima complessiva li troviamo invece al comma 6 dell’art. 304 c.p.p., a tenore del quale la durata della custodia cautelare non può comunque superare il doppio dei termini previsti per ciascuna fase, mentre i termini complessivi stabiliti per l’intera durata del processo non possono essere aumentati di oltre la metà. 20. PROROGA E SOSPENSIONE DEI TERMINI MASSIMI DI CUSTODIA I termini di fase e complessivi possono essere, su richiesta del PM, prorogati dal Giudice con ordinanza ricorribile in Cassazione ex art. 311 c.p.p., per esigenze investigative (nel corso delle indagini preliminari) o quando debba farsi luogo a una perizia er la capacità di mente dell’imputato (art. 305 comma 1 c.p.p.). La proroga è rinnovabile una sola volta e può essere disposta in ogni stato e grado del processo. Oltre l’istituto della proroga, a incidere sulla durata della custodia cautelare vi è anche la sospensione dei termini. Il fenomeno della sospensione in certi casi è idoneo a determinare anche il superamento dei termini fissati dal 303 comma 4 per la durata complessiva della custodia cautelare. Da un lato vi sono le ipotesi di sospensione o di rinvio del dibattimento causate da impedimento dell’imputato o del suo difensore o su richiesta degli stessi a meno che la sospensione o il rinvio non siano stati disposti per esigenze di acquisizione della prova. Dall’altro lato vi sono le ipotesi di sospensione o rinvio del dibattimento a causa della mancata presentazione, dell’allontanamento o mancata partecipazione di uno dei difensori. La terza ipotesi sempre nella fase del giudizio, durante la pendenza dei termini previsti dall’articolo 544 commi 2 e 3. Nell’ambito dell’udienza preliminare i termini previsti dal 303 c. 1 lett. a) sono sospesi, tutte le volte in cui la stessa udienza viene sospesa o rinviata per il verificarsi di uno dei casi previsti nella fase del dibattimento (impedimento dell’imputato o difensore ecc.). All’interno di un processo cumulativo, le ipotesi di sospensione previste ovviamente non si applicano nei confronti degli imputati cui le stesse cause non si riferiscono. La sospensione può essere disposta unicamente dietro richiesta del PM al giudice. Nelle ipotesi di particolare complessità dei dibattimenti o dei giudizi abbreviati relativi a gravi delitti, il regime della sospensione può essere esteso anche ai periodi di tempo in cui sono tenute le udienze o si delibera la sentenza. Il 6° comma specifica che la durata della custodia cautelare non può superare il doppio dei termini previsti dall’art. 303 senza tener conto dell’ulteriore termine previsto dall’art. 303 comma 1. A causa di queste sospensioni, i termini di fase possono essere raddoppiati e può essere superato anche il termine complessivo, fermo restando, in ogni caso, che questo ultimo termine non può essere superato in misura superiore alla metà. (non bene approfondito). ART. 304 I termini previsti dall'articolo 303 sono sospesi, con ordinanza appellabile a norma dell'articolo 310, nei seguenti casi: a) nella fase del giudizio, durante il tempo in cui il dibattimento è sospeso o rinviato per impedimento dell'imputato o del suo difensore o su richiesta dell'imputato o del suo difensore, sempre che la sospensione o il rinvio non siano stati disposti per 57 esigenze di acquisizione della prova o a seguito di concessione di termini per la difesa (trattasi dei casi di rinuncia, revoca, incompatibilità, abbandono di precedente difensore o di nuove contestazioni effettuate durante il dibattimento, in cui il difensore può chiedere un termine al fine di organizzare una miglior difesa dell'assistito.); b) nella fase del giudizio, durante il tempo in cui il dibattimento è sospeso o rinviato a causa della mancata presentazione, dell'allontanamento o della mancata partecipazione di uno o più difensori che rendano privo di assistenza uno o più imputati; c) nella fase del giudizio, durante la pendenza dei termini previsti dall'articolo 544 commi 2 e 3; c-bis) nel giudizio abbreviato, durante il tempo in cui l'udienza è sospesa o rinviata per taluno dei casi indicati nelle lettere a) e b) e durante la pendenza dei termini previsti dall'articolo 544, commi 2 e 3. - I termini previsti dall'articolo 303 possono essere altresì sospesi quando si procede per taluno dei reati indicati nell'articolo 407, comma 2, lettera a), nel caso di dibattimenti o di giudizi abbreviati particolarmente complessi, durante il tempo in cui sono tenute le udienze o si delibera la sentenza nel giudizio di primo grado o nel giudizio sulle impugnazioni (Nelle ipotesi qui considerate sono ricompresi anche i delitti tipici della criminalità organizzata.). - Nei casi previsti dal comma 2, la sospensione è disposta dal giudice, su richiesta del pubblico ministero, con ordinanza appellabile a norma dell'articolo 310. (Sussistendo i requisiti del comma secondo, la sospensione non opera ex officio, ma solo su richiesta del P.M. e qualora questa manchi si verificherà ex lege il congelamento del corso dei termini di custodia ex art. 297, comma 4, parimenti al caso in cui non venga pronunciato il provvedimento di sospensione) - I termini previsti dall'articolo 303, comma 1, lettera a), sono sospesi, con ordinanza appellabile a norma dell'articolo 310, se l'udienza preliminare è sospesa o rinviata per taluno dei casi indicati nel comma 1, lettere a) e b), del presente articolo. - Le disposizioni di cui alle lettere a) e b) del comma 1, anche se riferite al giudizio abbreviato, e di cui al comma 4 non si applicano ai coimputati ai quali i casi di sospensione non si riferiscono e che chiedono che si proceda nei loro confronti previa separazione dei processi. - La durata della custodia cautelare non può comunque superare il doppio dei termini previsti dall'articolo 303, commi 1, 2 e 3 senza tenere conto dell'ulteriore termine previsto dall'articolo 303, comma 1, lettera b), numero 3bis) e i termini aumentati della metà previsti dall'articolo 303, comma 4, o, se più favorevole, i due terzi del massimo della pena temporanea prevista per il reato contestato o ritenuto in sentenza. A tal fine la pena dell'ergastolo è equiparata alla pena massima temporanea. - Nel computo dei termini di cui al comma 6, salvo che per il limite relativo alla durata complessiva della custodia cautelare, non si tiene conto dei periodi di sospensione di cui al comma 1, lettera b). Per quanto concerne la sospensione, la norma in esame, dopo aver stabilito la competenza del giudice a provvedere, anche d'ufficio, con ordinanza appellabile, vengono individuate varie situazioni atte a determinarla, tutte relative alla fase del giudizio. Da un lato, come risulta dalla lettera a), vi sono le ipotesi di sospensione o di rinvio del dibattimento per impedimento dell'imputato o del difensore, o dietro richiesta dei medesimi, dall'altro lato, alla lettera b), le ipotesi di sospensione o rinvio del dibattimento per via della mancata presentazione, allontanamento o della mancata partecipazione di uno o più difensori, qualora gli imputati ne rimangano privi di assistenza. A tali ipotesi va aggiunta quella di cui alla lettera c), ossia della sospensione dei termini di custodia, durante la pendenza dei termini di cui all'art. 544 commi 2 e 3 per la redazione differita dei motivi della sentenza. La lettera c) bis si occupa delle medesime situazioni, ma nell'ambito del giudizio abbreviato, mentre il comma 4 in relazione invece all'udienza preliminare. Il comma 5 stabilisce che le ipotesi di sospensione non si applicano all'interno del processo cumulativo, nei confronti dei coimputati cui le medesime ipotesi non si riferiscono, sempreché questi ultimi chiedano che nei loro confronti si proceda previa separazione dei processi. Nei casi di particolare complessità dei dibattimenti e dei giudizi abbreviati relativi ai gravi delitti di cui all'art. 407 comma 2 lett. a), il regime della sospensione può essere esteso anche ai periodi di tempo in cui sono tenute le udienze o si delibera la sentenza nella fase del giudizio. l comma 6 individua un limite, operante su due livelli. In particolare, da un lato, avendo riguardo alla durata della custodia nelle diverse fasi del procedimento, si stabilisce che, anche nelle ipotesi di sospensione dei termini, tale durata non possa in ogni caso superare il doppio dei termini intermedi di cui all'art. 303 commi 1, 2 e 3. Dall'altro lato, avendo riguardo alla durata complessiva della custodia, si stabilisce che la durata non possa comunque superare i termini di cui all'art. 303 comma 4 aumentati della metà, ovvero, quando risulti più favorevole, il tradizionale limite commisurato ai due terzi del massimo della pena temporanea prevista per il reato contestato o ritenuto in sentenza (salva l'equiparazione dell'ergastolo alla pena massima temporanea). Nel computo dei termini di cui sopra, non si tiene conto dei periodi di sospensione di cui al comma 1, salvo che per calcolare il limite della durata complessiva della custodia cautelare (v. art. 303). 60 essendo infatti giudice di merito, la Cassazione non può ricostruire i fatti, ma solo valutare la correttezza giuridica del provvedimento impugnato: ad es. se annulla una misura cautelare basata sulle dichiarazioni di un testimone, non può affermare che il testimone dice il falso; può invece affermare che laddove l’ordinanza cautelare dichiara il teste attendibile, non è sufficientemente motivata. 25. L’APPLICAZIONE PROVVISORIA DI MISURE DI SICUREZZA Le misure di sicurezza sono dei provvedimenti speciali la cui applicazione è prevista dal Codice Penale nei confronti degli autori del reato che sono considerati socialmente pericolosi. Le misure di sicurezza possono affiancarsi o sostituirsi alla pena principale (ai soggetti non imputabili). Il codice prevede che alcune misure di sicurezza possano essere applicate provvisoriamente a titolo di provvedimento cautelare. Trattasi, ad esempio, del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario per l’imputato affetto da vizio di mente totale, e del ricovero in casa di cura e custodia per l’imputato semi-infermo di mente. L’art. 312 prevede che queste misure vengano disposte dal giudice procedente in qualsiasi stato e grado del procedimento dal PM sulla base di alcuni presupposti che sono: gravi indizi di commissione del fatto, esclusione di una delle cause di non punibilità o estinzione e pericolosità del soggetto. La pronuncia del provvedimento applicativo della misura di sicurezza deve essere preceduta dall’interrogatorio dell’imputato o dove ciò non sia possibile in applicazione dell’art. 294 l’indiziato sarà sottoposto ad interrogatorio non oltre 5 giorni dall’inizio dell’esecuzione. Il giudice può procedere anche d’ufficio ad un periodico riesame. Ai fini delle impugnazioni dei relativi provvedimenti, le misure di sicurezza provvisoriamente applicate vengono equiparate alla custodia cautelare: le ordinanze applicative possono essere sottoposte a riesame mentre le ordinanze di diniego all’appello da parte del PM. 26. LA RIPARAZIONE PER L’INGIUSTA DETENZ IONE L’istituto della riparazione per l’ingiusta detenzione serve ad ottenere appunto la riparazione per aver sofferto una ingiusta detenzione sia nell’ipotesi di ingiustizia sostanziale, la quale si concretizza quando il procedimento termina con l’emissione di una sentenza irrevocabile di proscioglimento nel merito, sia nell’ipotesi di ingiustizia formale, la quale si concretizza invece indipendentemente dalla condanna dell’imputato, con l’accertamento della illegittimità del titolo costitutivo della custodia cautelare determinata dalla sua adozione pur in assenza di gravi indizi o in difetto dei limiti di pena che ne avrebbero consentito l’adozione. Il diritto alla riparazione però è escluso per quella parte di custodia cautelare che sia stata computata ai fini della determinazione della misura di una pena o per il periodo in cui le limitazioni conseguenti all’applicazione della misura siano state sofferte in forza di un altro titolo. La domanda di riparazione deve essere proposta entro due anni dal giorno in cui la sentenza di proscioglimento o di condanna è divenuta irrevocabile, la sentenza di non luogo a procedere inoppugnabile. La norma 315 pone un limite alla somma risarcitoria. Come precisato dall'art. 314 c. 1 c.p.p., la riparazione è esclusa qualora l'interessato abbia dato causa all'ingiusta detenzione con proprio comportamento doloso o gravemente colposo. L'indennizzo, inoltre, non è dovuto: - per la parte di misura custodiale computata ai fini della determinazione della pena (art. 314 c. 4 c.p.p); - per il periodo in cui la limitazione di libertà sia intervenuta anche in forza di altro titolo (art. 314 c. 4 c.p.p); - per la parte di misura sofferta precedentemente all'abrogazione della norma incriminatrice che ne aveva giustificato l'applicazione (art. 314 c. 5 c.p.p.). 27. MISURE CAUTELARI REALI Le misure cautelari reali richiedono per la loro applicazione il fumus del reato e il periculum in mora. Lo scopo di queste misure è di garantire il pagamento di importi ricollegabili al reato, prevenire l'aggravamento delle sue conseguenze del reato o la commissione di nuovi illeciti. A differenza delle misure cautelari personali quelle reali non richiedono, per la loro applicazione, la sussistenza di gravi indizi e particolari esigenze cautelari, essendo sufficienti il “fumus bonis iuris” e il “periculum in mora”. - Fumus del reato: per applicare le misure cautelari è necessario che si proceda per un fatto considerato astrattamente come reato; - Periculum in mora: deve cioè sussistere la concreta possibilità che la disponibilità del bene possa pregiudicare le esigenze 61 preventive o conservative che si vogliono realizzare con le misure cautelari reali previste dal c.p.p. Le misure cautelari reali sono provvedimenti che incidono sul patrimonio, realizzando un vincolo di indisponibilità su cose o beni per due principali finalità cautelari: per garantire il pagamento delle pene pecuniarie, delle spese di giustizia e di eventuali risarcimenti danni (sequestro conservativo); per impedire che “la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati”. Il sequestro conservativo è disposto dal Giudice con ordinanza nei seguenti casi: - su richiesta del PM: quando vi è una “fondata ragione di ritenere che manchino o si disperdano le garanzie per il pagamento della pena pecuniaria, delle spese di procedimento e di ogni altra somma dovuta all'erario dello Stato”. La misura cautelare reale si esegue sui “beni mobili o immobili dell'imputato o delle somme o cose a lui dovute, nei limiti in cui la legge ne consente il pignoramento”. - su richiesta della parte civile: “se vi è fondata ragione di ritenere che manchino o si disperdano le garanzie delle obbligazioni civili derivanti dal reato” il sequestro ha ad oggetto “ i beni dell'imputato o del responsabile civile”. Offrendo una cauzione è possibile evitare il sequestro o ottenerne la revoca (art. 319 c.p.p.). Dopo l'emanazione della sentenza di condanna irrevocabile il sequestro viene convertito in pignoramento (art. 320 c.p.p.). La misura cautelare reale del sequestro preventivo è disposto: - con decreto motivato del giudice su richiesta del PM: “Quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati. Prima dell'esercizio dell'azione penale provvede il giudice per le indagini preliminari. Il giudice può altresì disporre il sequestro delle cose di cui è consentita la confisca.” - Con decreto motivato del PM o della Polizia Giudiziaria che va convalidato dal Giudice entro 48 ore quando "nel corso delle indagini preliminari non è possibile, per la situazione di urgenza, attendere il provvedimento del giudice. Il sequestro perde efficacia se non sono osservati i termini previsti dal comma 3-bis (48 ore) ovvero se il giudice non emette l'ordinanza di convalida entro dieci giorni dalla ricezione della richiesta. Copia dell'ordinanza è immediatamente notificata alla persona alla quale le cose sono state sequestrate. Anche i provvedimenti che dispongono le misure cautelari reali sono suscettibili di impugnazione, così come i provvedimenti cautelari personali, mediante il riesame, l'appello e il ricorso per cassazione. Mediante il riesame si può chiedere un controllo del provvedimento di sequestro sia per quando concerne la legittimità sia per quanto concerne il merito ed al relativo procedimento si applicano le norme previste per il riesame delle misure cautelari. Mentre contro l'ordinanza di sequestro conservativo la richiesta di riesame può essere proposta da chiunque vi abbia interesse, contro il decreto di sequestro preventivo la richiesta di riesame può essere proposta dall'imputato e dal suo difensore, dalla persona alla quale le cose sono state sequestrate e da quelle che avrebbe diritto alla loro restituzione. Per quanto concerne l'appello si tratta di un mezzo di impugnazione previsto soltanto contro le ordinanze in materia di sequestro preventivo e contro il decreto di revoca del provvedimento di sequestro emesso dal p.m. L'appello è proponibile dal p.m., dall'imputato e dal suo difensore, dalla persona alla quale le cose sono state sequestrate e da quella che avrebbe diritto alla loro restituzione. Infine, il ricorso per cassazione è proponibile per violazione di legge nei confronti delle ordinanze emesse in sede di riesame e di appello dal p.m., dall'imputato e dal suo difensore, dalla persona alla quale le cose sono state sequestrate e da quella che avrebbe diritto alla loro restituzione. 62 CAPITOLO V: INDAGINI PRELIMINARI E UDIENZA PRELIMINARE 1. LE INDAGINI PRELIMINARI: FINALITÀ E CARATTERI ESSENZIALI La fase delle indagini preliminari allude ad una attività di individuazione e di raccolta di dati utili a stabilire se il processo debba o meno essere instaurato. Dal momento in cui riceve una notizia di reato, il PM è chiamato ad effettuare una scelta: deve decidere se esercitare l’azione penale o avanzare richiesta di archiviazione. Il PM dovrà verificare se la notizia è fondata e se sussistono gli elementi idonei a sostenere l’accusa in giudizio. A tale scopo svolge direttamente o a mezzo della polizia giudiziaria, le indagini preliminari le quali possono concretizzarsi in atti tipici, espressamente previsti e regolati dalle norme del c.p.p., o in presupposti o modalità di svolgimento ed in atti atipici, cioè non previsti dalle norme processuali purché utili per le determinazioni inerenti all’esercizio penale. 2. I PROTAGONISTI DELL’ATTIVITÀ INVESTIGATIVA Protagonisti di questa attività sono: 1. Pubblico ministero: ha il compito di direzione delle indagini, che compie personalmente, e di accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini; 2. Polizia giudiziaria: affianca il PM e viene disposto da quest’ultimo, creando un rapporto di subordinazione. Questo vincolo di dipendenza funzionale si è allentato leggermente, permettendo alla polizia di svolgere le attività di propria iniziativa secondo le modalità previste dall’art. 327. 3. IL SEGRETO SUGLI ATTI DI INDAGINE Per impedire la conoscenza degli atti investigativi compiuti dal PM e dalla polizia giudiziaria possa pregiudicare l’attività di individuazione e raccolta degli elementi necessari per l’esercizio dell’azione penale, si impone che i soggetti che partecipano e che concorrono alla formazione degli atti siano tenuti all’obbligo del segreto. Il segreto riguarda gli atti di indagine compiuti dal PM e dalla polizia giudiziaria, le richieste del PM di autorizzazione al compimento di atti di indagine e gli atti del giudice che provvedono su tali richieste. Il segreto cade ogni volta che l’imputato può o deve venire a conoscenza dell’atto e ciò avviene ad esempio quando per la formazione dell’atto è necessaria la sua presenza, o perché semplicemente per legge rientra tra gli atti che debbono essere conosciuti da lui e dal suo difensore. Lo stesso articolo 329 il quale al comma 1 dispone il segreto, nei commi successivi prevede delle possibilità di deroga al regime di segretezza. Quando è necessario per la prosecuzione delle indagini, il PM può consentire con decreto motivato la pubblicazione di singoli atti o parte di essi esempio è la pubblicazione di identikit per dare impulso alle indagini. Il 3 comma prevede una duplice ipotesi: sempre che sia necessario per la prosecuzione delle indagini, il PM può prorogare con decreto motivato, il segreto su singoli atti anche quando l’imputato lo consente o quando la conoscenza dell’atto può ostacolare le indagini riguardanti altre persone o può disporre un divieto di pubblicare il contenuto di singoli atti o notizia specifiche. Il segreto si mantiene comunque a norma del comma 1 fino alla chiusura delle indagini preliminari. 4. I DIRITTI DELLA DIFESA E IL RUOLO DELLE PARTI PRIVATE I difensori ai sensi dell’art. 327-bis, possono svolgere investigazioni per ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito fin dal momento dell’assunzione dell’incarico che può essere conferito in ogni stato e grado del procedimento. L’esigenza di dare attuazione ad uno dei fondamentali principi del cd. Giusto processo, ossia parità tra accusa e difesa nella vicenda processuale (Art. 111 Cost.) ha portato al legislatore a contrapporre ai tradizionali strumenti investigativi a disposizione del magistrato inquirente, finalizzati all’accertamento della responsabilità penale, la facoltà del difensore di svolgere indagini nell’interesse del proprio assistito. La stessa collocazione della norma (art. 327bis) sottolinea simbolicamente il ruolo da protagonista nelle indagini preliminari riconosciuto dal codice anche al difensore. Il difensore tramite mandato può essere abilitato a svolgere indagini anche prima che si insaturi un procedimento penale e per la mera eventualità che ciò avvenga (attività investigativa preventiva). Il difensore può procedere alle investigazioni personalmente o conferire un apposito incarico ad un sostituto o ad investigatori privati e ai soggetti chiamati a collaborare con il difensore 65 9. GLI OSTACOLI ALLA PROGRESSIONE: LE CONDIZIONI DI PROCEDIBILITÀ L’instaurazione del processo o il suo ulteriore proseguimento sono subordinati a determinati eventi riconducibili di regola a manifestazioni di volontà di un soggetto pubblico o privato. Dove non è necessaria la querela, la richiesta, l’istanza o l’autorizzazione a procedere (sono le 4 condizioni di procedibilità specificatamente disciplinate), l’organo d’accusa può procedere d’ufficio. Questi istituti sono specificatamente disciplinati ed insieme ad essi l’art. 345 prevede l’esistenza di condizioni di procedibilità diverse da quelle elencate. Ci sono poi dei casi di improcedibilità: - per particolare tenuità del fatto; - segreto di Stato: qualora il segreto sia confermato e sempre che la conoscenza di quanto coperto dal segreto sia essenziale per la definizione del processo, il giudice non prosegue per l’esistenza di tale segreto; - l’esistenza di un precedente giudicato 10. DIFETTO DI UNA CONDIZIONE DI PROCEDIBILITÀ E RIPROPONIBILITÀ DELL’AZIONE PENALE La mancanza di una condizione di procedibilità nella fase preliminare non impedisce ogni attività. Ovviamente laddove la condizione non potrà più sopravvenire si perverrà ad un’archiviazione. In altri casi, la mancanza provocherà un effetto paralizzante: il termine per le indagini comincerà a decorrere solo dal momento in cui l’ostacolo verrà rimosso e dal momento in cui querela, richiesta e istanza pervengono al PM. Inoltre, se necessaria l’autorizzazione a procedere, il decorso di quello stesso termine resta sospeso dalla richiesta al momento in cui l’autorizzazione viene concessa. In mancanza della condizione di procedibilità prima di quel momento possono essere compiuti gli atti di indagine preliminari necessari ad assicurare le fonti di prova e quando vi è pericolo nel ritardo, possono essere assunte le prove previste dall’art. 392. 11. QUERELA, ISTANZA E RICHIESTA DI PROCEDIMENTO La querela può essere definita come la dichiarazione facoltativa ed esplicita (differenza con la denuncia) con la quale la persona offesa da un reato manifesta la propria volontà che si proceda nei confronti del colpevole. Di essa si occupano gli articoli da 336 a 340 del codice di procedura penale. La querela può essere presentata dal titolare del relativo diritto sia personalmente che per mezzo di un procuratore speciale e sia oralmente che per iscritto. A tal fine è necessario rivolgersi al P.M., a un ufficiale di polizia giudiziaria o a un agente consolare all'estero, nel termine massimo di tre mesi dal giorno della notizia del fatto che costituisce il reato (ai sensi di quanto stabilito dall'articolo 124 del codice penale). Il diritto di querela, in quanto disponibile, può essere oggetto sia di rinuncia preventiva che, una volta esercitato, di remissione. L’autorità che riceve la querela deve attestare luogo e data della presentazione, deve identificare la persona che la propone ed infine procede alla trasmissione degli atti all’ufficio del PM. La rinuncia alla querela, che deve avvenire antecedentemente alla sua proposizione, può essere oltre che espressa anche tacita, ossia desumibile dal compimento da parte del soggetto legittimato a presentarla, di comportamenti incompatibili con la volontà di sporgere querela. Dopo la proposizione della querela non si potrà più rinunciare alla stessa ma si dovrà procedere alla sua remissione. La remissione contrariamente alla sua rinuncia, deve essere accettata anche tacitamente dall’indagato o dall’imputato, in quanto quest’ultimo potrebbe avere interesse a voler giungere ad un proscioglimento processuale che accerti l’infondatezza delle accuse mosse nei suoi confronti. Il diritto di querela di estingue per la decadenza derivante dal suo mancato esercizio entro il termine previsto, e per la morte della persona offesa ma se questa sopravviene e la querela è stata già proposta, il reato non è estinto. L'istanza di procedimento, della quale si occupa l'articolo 341 del codice di procedura penale, è la dichiarazione facoltativa con la quale la persona offesa da un reato commesso all'estero (da cittadini italiani o stranieri), che se commesso in Italia sarebbe stato procedibile d’ufficio, chiede che il P.M. proceda per il reato stesso. Si tratta di una condizione di procedibilità analoga alla querela, della quale segue quindi le forme, ma con una grande differenza: l'istanza di procedimento è irrevocabile. Così come la querela, anche l'istanza si estende di diritto a tutti gli autori del fatto, è valida anche se proposta da una sola delle persone offese, può essere diretta anche verso ignoti e prescinde dall'utilizzo di formule sacramentali. 66 La richiesta di procedimento, contemplata dall'articolo 342 del codice di rito, è la dichiarazione discrezionale irrevocabile con la quale un organo pubblico estraneo all'organizzazione giudiziaria (ad esempio il Ministro della giustizia) manifesta la volontà che il P.M. proceda per un determinato reato. Tale condizione di procedibilità è prevista per determinati reati, in ragione della loro natura o per opportunità politica (tornando all'esempio di prima, per poter procedere per delitti commessi in danno del Presidente della Repubblica occorre la richiesta di procedimento del Ministro della giustizia). Operativamente, la richiesta di procedimento va presentata al PM con atto sottoscritto dall'autorità competente; la polizia giudiziaria non è competente a riceverla. 12. AUTORIZZAZIONE A PROCEDERE E AUTORIZZAZIONE AD ACTA L'autorizzazione a procedere è la dichiarazione discrezionale irrevocabile con la quale un organo pubblico estraneo all'organizzazione giudiziaria, su richiesta del P.M., consente l'esercizio della giurisdizione penale nei confronti di una determinata persona (ad esempio un Ministro) o in rapporto ad un determinato reato (ad esempio i reati ministeriali). A seconda dei casi, è tesa a rimuovere un ostacolo iniziale o sopravvenuto all'esercizio dell'azione penale. Di essa si occupano gli articoli 343 e 344 del codice di procedura penale. L'autorizzazione a procedere può essere concessa solo: - da ciascuna delle Camere per i procedimenti a carico del Presidente del Consiglio o dai Ministri; - dalla Corte costituzionale per i procedimenti a carico dei suoi membri; - dal Ministro della giustizia per gli specifici reati per i quali è richiesta tale condizione di procedibilità. Se vi è stato arresto in flagranza l'autorizzazione va richiesta immediatamente dopo tale evento e prima dell’udienza di convalida; negli altri casi invece va chiesta entro 30 giorni dalla iscrizione della notizia di reato nel relativo registro. Nell'attesa che venga concessa, non è possibile procedere, in danno dell'indagato, al fermo di polizia giudiziaria, all'emissione di misure cautelari personali o a perquisizioni, intercettazioni, ispezioni, ricognizioni, confronti e individuazioni; se però vi è stata flagranza di un delitto per il quale è previsto l'arresto obbligatorio sono possibili, oltre all'arresto, le perquisizioni (domiciliari o personali). Se la necessità di autorizzazione emerge solo una volta esercitata l’azione penale, il processo deve essere sospeso. Qualora questo provochi pericolo, il giudice può provvedere lo stesso ad assumere le prove richieste dalle parti. Particolari autorizzazioni ad acta concorrono con la richiesta di autorizzazioni a procedere per i membri della Corte Costituzionale e per i ministri. Quanto ai membri della Corte, a questa viene rivolta un’apposita richiesta se un suo giudice deve essere arrestato. 13. ATTIVITÀ DI INDAGINE DELLA POLIZIA G IUDIZIARIA: L’OBBLIGO DI RIFERIRE LA NOTIZIA DI REATO Nel corso delle indagini preliminari, la polizia giudiziaria assume un ruolo di primo piano, compiendo attività sia formali che informali. Quando la notizia di reato è acquisita dalla polizia giudiziaria, quest'ultima è tenuta a riferirne senza ritardo al pubblico ministero, per iscritto. In particolare, la polizia giudiziaria deve comunicare gli elementi essenziali del fatto e gli altri elementi raccolti sino a quel momento e indicare le fonti di prova e le attività compiute, trasmettendone la relativa documentazione. L’articolo che prevede questo obbligo il 347 stabilisce inoltre due deroghe: - la comunicazione deve essere data entro 48 ore dal compimento di un atto per il quale sia prevista l’assistenza del difensore, salva diversa disposizione di legge in modo tale da garantire un controllo dell’autorità giudiziaria su atti suscettibili di incidere su i diritti della persona sottoposta ad indagini; - la comunicazione sia fatta immediatamente, è disposta nel momento in cui la notizia riguardi uno dei delitti di cui all’art. 407 c.2, lett. a nn. 1-6. 14. ATTIVITÀ INVESTIGATIVE TIPICHE E ATIPICHE Art. 55 c.p.p.: “La polizia giudiziaria deve, anche di propria iniziativa, prendere notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere hli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant'altro possa servire per l'applicazione della legge penale [347-357 c.p.p.]. Svolge ogni indagine e attività disposta o delegata[131, 370 c.p.p.; att. 77] dall'autorità giudiziaria. Le funzioni indicate nei commi 1 e 2 sono svolte dagli ufficiali e dagli agenti di polizia giudiziaria.” 67 Da quanto emerge dal primo comma, i compiti che debbono essere svolti dalla polizia giudiziaria dono molteplici: innanzitutto devono apprendere le notizie di reato e portarle a conoscenza del pubblico ministero (si veda l'art. 347 c.p.p.); evitare che i reati causino ulteriori conseguenze (funzione repressiva), svolgere attività investigativa per risalire agli autori del reato (si veda l'art. 348 c.p.p.) e assicurano le fonti di prova. Possono quindi provvedere, ove ne sussistono i presupposti ad effettuare arresti in flagranza o fermo di indiziato, nonché a compiere sequestro del corpo del reato e delle cose a questo pertinenti, accertamenti o rilievi sullo stato dei luoghi e delle cose. Sebbene la polizia giudiziaria abbia il dovere di far rispettare la legge impedendo che i reati e le loro conseguenza siano protratte o causino ulteriori danni, essa è comunque vincolata dalla legge circa le modalità e la tipologia di atti che può compiere nel rispetto di quest'ultima. Anche quando la polizia agisce dietro impulso del pubblico ministero o del giudice che li autorizza a compiere determinati atti, si tratta comunque di poteri che già spettano alla polizia giudiziaria, ma la cui esecuzione è ordinata dall'autorità giudiziaria. Art. 348: “Anche successivamente alla comunicazione della notizia di reato, la polizia giudiziaria continua a svolgere le funzioni indicate nell’art. 55 raccogliendo in specie ogni elemento utile alla ricostruzione del fatto e all’individuazione del colpevole. Al fine indicato nel comma 1, procede, fra l’altro: a) alla ricerca delle cose e delle tracce pertinenti al reato nonché alla conservazione di esse e dello stato dei luoghi; b) alla ricerca delle persone in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti; c) al compimento degli atti indicati negli articoli seguenti. Dopo l’intervento del pubblico ministero, la polizia giudiziaria compie gli atti a essa specificamente delegati a norma dell’art. 370, esegue le direttive del pubblico ministero e inoltre svolge di propria iniziativa, informandone prontamente il pubblico ministero, tutte le altre attività di indagine per accertare i reati o richieste da elementi successivi emersi e assicurare le nuove fonti di prova. La polizia giudiziaria, quando, di propria iniziativa o a seguito di delega del pubblico ministero, compie atti o operazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, può avvalersi di persone idonee le quali non possono rifiutare la propria opera.” L’attività di investigazione svolta dalla Polizia Giudiziaria di propria iniziativa si colloca all’inizio delle indagini preliminari, a decorrere dal momento in cui la Polizia Giudiziaria ha acquisito la notizia di reato e consiste nella raccolta di ogni elemento utile alla ricostruzione del fatto (c.d. fonti di prova) ed alla individuazione del colpevole (art. 348 comma 1 c.p.p.), procedendo sia alla ricerca e conservazione delle cose e delle tracce pertinenti al reato (c.d. fonti di prova reali) sia alla ricerca di persone in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti (c.d. fonti di prova personali) nonché al compimento di atti specificamente indicati (artt. 340-354 c.p.p.). L'attività di investigazione può consistere nel compimento di «atti tipici» di indagine, espressamente disciplinati dal Codice (ad esempio, le perquisizioni artt. 247 – 252, 352; le sommarie informazioni dall’indagato e da altre persone artt. 350 e 351), e di «atti atipici» (o informali) e cioè quella attività che, pur non essendo espressamente disciplinata dal codice, non è da questo vietata e anzi rientra nelle regole della buona tecnica di indagine. Dopo l’intervento del PM, la polizia deve compiere gli atti ad essa delegati ed eseguire le direttive. Comunque la polizia continua a svolgere di propria iniziativa tutte le altre attività di indagine per accertare i reati o le indagini richieste da elementi successivamente emersi e assicura le nuove fonti di prova. L’unico limite riguarda l’obbligo di informare prontamente il PM. 15. IDENTIFICAZIONE DELLA PERSONA SOTTOPOSTA ALLE INDAGINI E DELLE ALTRE PERSONE L’art. 349 disciplina la prima attività tipica della polizia giudiziaria, ossia quella di procedere alla identificazione delle persone indagate e di quelle in grado di riferire circa l'andamento dei fatti. Quando procede alla identificazione, la polizia giudiziaria deve osservare innanzitutto le disposizioni di cui all'art. 66, invitando cioè il soggetto a dichiarare le proprie generalità e quant'altro possa valere a identificarlo, ammonendo l'indagato circa le conseguenze per il rifiuto o per il mendacio; lo invita inoltre ad eleggere il proprio domicilio per le notificazioni ex art. 161. Alla identificazione dell'indagato può procedersi anche, ove occorra, tramite rilievi dattiloscopici, fotografici e antropometrici, nonché ad altri accertamenti. Tali atti devono ad ogni modo compiersi senza pregiudizi per la libertà personale diversi da quelli consistenti nella momentanea ed eventuale immobilizzazione dell'individuo al fine di fotografare o misurare. A tale regola fa eccezione il prelievo di materiale biologico finalizzato alla tipizzazione genetica dell'indagato. Se manca il consenso,, la p.g. Procede coattivamente, previa autorizzazione del pubblico ministero (oppure resa in forma orale e poi confermata per iscritto). Il comma 4 tratta del c.d. fermo identificativo. Se l'indagato o la persona a conoscenza di circostanze utili rifiuta di farsi identificare ovvero fornisce generalità o documenti di identificazione in relazione ai quali sussistono sufficienti elementi per ritenerne la falsità, la polizia giudiziaria 70 l’economia ed efficacia delle indagini medesime. Essi provvedono inoltre allo scambio di informazioni e di atti, nonché alla comunicazione delle direttive rispettivamente impartite alla polizia giudiziaria. Possono anche procedere congiuntamente al compimento di specifici atti di indagine. L'obbligo di coordinamento investigativo scatta nei casi di indagini collegate, ossia quando: - i procedimenti sono connessi ai sensi dell'art. 12; - se trattasi di reati dei quali gli uni sono stati commessi in occasione degli altri, o per conseguire o assicurarne al colpevole o ad altri il profitto, il prezzo o il prodotto o l'impunità, se trattasi di reati commessi reciprocamente in danno le une delle altre parti, o se la prova di un reato o di una sua circostanza influisce sulla prova di un altro reato o di un'altra circostanza; - se la prova di più reati derivi dalla stessa fonte. Anche se la norma è formulata in modo da far intendere che sui singoli magistrati gravi l’obbligo di collaborazione, la disciplina che regola i rapporti tra i singoli uffici nel caso di indagini collegate ha sempre trovato scarsa applicazione. 20. ATTIVITÀ DI INDAGINE TIPICA E ATIPICA Nell'esercizio delle sue funzioni investigative, il pubblico ministero svolge ogni attività necessaria al fine di decidere se esercitare o meno l'azione penale, ricomprendendo una serie di atti sia: - tipici: sono devi strumenti legislativamente previsti che sono caratterizzati da tendenziale fluidità delle forme, in funzione della natura preprocessuale delle indagini preliminari; - atipici: sono quelle attività non disciplinate dalla legge, ma limitati dai diritti fondamentali. 21. I CONSULENTI TECNICI DEL PUBBLICO MINISTERO E GLI ACCERTAMENTI TECNICI NON RIPETIBILI Gli articoli 359 e 360 concernono le ipotesi in cui il pubblico ministero intenda procedere ad accertamenti oppure a rilievi segnaletici, descrittivi o fotografici. In tali casi, e quando debba effettuare ogni altra operazione tecnica per cui siano necessarie specifiche competenze, il p.m. può avvalersi di consulenti, che non possono rifiutare la propria opera, e che possono essere autorizzati ad assistere a singoli atti di indagine. I consulenti tecnici sono chiamati ad offrire contributi di natura tecnico-scientifica, destinati a colmare le inevitabili lacune cognitive del magistrato, specializzato in tutt'altro ambito. Il pubblico ministero nomina il consulente tecnico scegliendo di regola una persona iscritta negli albi dei periti ai sensi dell'art. 73 disp. att. del presente codice. Nel momento in cui il pubblico ministero effettua gli ordinari accertamenti e rilievi di cui all'art. 359, egli non è tenuto a coinvolgere l'indagato e la persona offesa in quanto la consulenza tecnica non produce risultati probatori di regola spendibili in dibattimento. I rilievi tecnici sono utili all’attività investigativa. L’art. 360 si riferisce invece esclusivamente ad accertamenti che per le loro caratteristiche non possono essere rinviati o ripetuti in dibattimento: accertamenti irripetibili. L’articolo dispone che il Pubblico Ministero avvisi, senza ritardo, la persona sottoposta alle indagini, la persona offesa dal reato ed i rispettivi difensori del giorno, dell’ora e del luogo fissati per il conferimento dell’incarico e della facoltà di nominare consulenti tecnici, affinché si proceda in contraddittorio all’accertamento, esattamente come avviene in caso di perizia. Il difensore, nonché i consulenti tecnici eventualmente nominati, hanno diritto di assistere al conferimento dell’incarico, di partecipare agli accertamenti e di formulare osservazioni e riserve. L’irripetibilità dell’accertamento tecnica riguarda sia l’attività di accertamento fatta su cose, persone o luoghi soggetti a modificazione per il passaggio del tempo, sia quella attività che presenti carattere “distruttivo” in sé, proprio in ragione del tipo di accertamento che deve essere svolto sul reperto. Il verbale di accertamento tecnico irripetibile è destinato a confluire nel fascicolo per il dibattimento. L’indagato, dopo avere ricevuto l’avviso del conferimento dell’incarico al consulente e prima che lo stesso avvenga, può formulare riserva di promuovere incidente probatorio . In tal caso, il PM deve disporre che non si proceda agli accertamenti, salvo che questi, se differiti, non possano più essere utilmente compiuti. Se l’accertamento tecnico irripetibile è differibile e il PM, nonostante la riserva di incidente probatorio formulata dall’indagato, ugualmente procede all’accertamento, il relativo verbale è inutilizzabile nel dibattimento. Il comma 4 bis dell’art. 360 c.p.p. – aggiunto di recente con L. n. 103 del 23/06/2017, c.d. Riforma Orlando – dispone che “la riserva… perde efficacia e non può essere ulteriormente formulata se la richiesta di incidente probatorio non è proposta entro 10 giorni dalla formulazione della riserva stessa”, al chiaro fine di impedire un utilizzo strumentale di questa facoltà per finalità puramente dilatorie. Ne consegue che, nel caso in cui, entro il termine di 10 giorni non sia stata presentata la richiesta di incidente probatorio, il P.M. è libero di 71 procedere all’accertamento tecnico nelle forme previste dall’art. 360 c.p.p. e il relativo verbale sarà pienamente utilizzabile nel dibattimento. 22. IL PRELIEVO COATTIVO DI CAMPIONI BIOLOGICI E LE INDAGINI GENETICHE Nel caso in cui vi sia la necessità di procedere ad accertamenti che comportino il prelievo di capelli o di saliva e manchi il consenso dell'interessato, il comma 2bis dell'art. 349 dispone che la polizia giudiziaria provveda al prelievo in maniera coattiva, previa autorizzazione scritta o orale del pubblico ministero, nei soli casi in cui l'accertamento risulti assolutamente indispensabile per la prova dei fatti. Quando non vi è urgenza il p.m. deve preventivamente ottenere l'autorizzazione del giudice per le indagini preliminari, che dispone gli accertamenti tramite ordinanza, se ricorrono i presupposti. Qualora invece vi sia urgenza e quando vi è fondato motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare un pregiudizio grave ed irreparabile per le indagini, il p.m. può comunque procedere con decreto motivato provvedendo a disporre l’accompagnamento coattivo se la persona da sottoporre alle operazioni non si presenta senza addurre un legittimo impedimento o dispone l’esecuzione coattiva delle operazioni, se la persona rifiuta di sottoporvisi. In tal caso il p.m. deve richiedere entro quarantotto ore la convalida del decreto al giudice per le indagini preliminari, il quale a sua volta è tenuto a provvedere entro quarantotto ore tramite ordinanza. Il comma 3 bis, sorto per dare concreta attuazione ai nuovi reati di omicidio stradale e di lesioni stradali colpose (artt. 589 bis e 590 c.p.), le operazioni di accertamento dello stato di ebbrezza alcolica o di alterazione correlata all'uso di stupefacenti possono essere compiute ed autorizzate anche oralmente (ma poi comunque confermate per iscritto) qualora vi sia fondato motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare un grave ed irreparabile pregiudizio per le indagini. Appare chiaro come in questi casi vi sia una particolare urgenza, determinata dal fatto che con il passare del tempo scende il tasso alcolemico o il tasso di presenza di sostanza stupefacente nel sangue. Gli ufficiali di polizia giudiziaria procedono ad ogni modo all'accompagnamento dell'interessato presso il più vicino ospedale al fine di sottoporlo al necessario prelievo o accertamento e si procede all'esecuzione coattiva delle operazioni se la persona rifiuta di sottoporvisi. Del decreto e delle operazioni da compiersi è data tempestivamente notizia al difensore dell'interessato, che ha facoltà di assistervi, senza che ciò possa comportare pregiudizio nel compimento delle operazioni. Entro le quarantotto ore successive, il pubblico ministero richiede la convalida del decreto e degli eventuali ulteriori provvedimenti al giudice per le indagini preliminari, che provvede al più presto e comunque entro le quarantotto ore successive, dandone immediato avviso al pubblico ministero e al difensore. In ogni caso il dato conoscitivo ottenuto deve essere comparato con altro profilo da compiersi avvalendosi di elementi emersi nell’ambito dello stesso procedimento o ricorrendo alle risorse della banca dati. 23. L’ASSUNZIONE DI INFORMAZIONI E L’INDIVIDUAZIONE DI PERSONE E DI COSE Il pubblico ministero può assumere informazioni dalle persone in grado di riferire circostanze utili ai fini delle indagini attraverso le forme previste dall’art. 362. È un atto di indagine omologo alla testimonianza ma utilizzabile solo nelle indagini preliminari e solo nei casi di contestazione o di irripetibilità sopravvenuta anche nel dibattimento. Parallelamente alle dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria (v. art. 350), anche alle informazioni rese al p.m. si applicano le norme in materia di incompatibilità a testimoniare, testimonianza assistita, obblighi del testimone, facoltà di astensione dei prossimi congiunti e segreti (artt. rispettivamente da 197 sino a 203). Tuttavia, a differenza della ipotesi di false informazioni alla polizia giudiziaria, per cui non è previsto un autonomo titolo di reato, ma solamente la configurabilità del favoreggiamento personale o reale, il rifiuto di rispondere o il mendacio o la reticenza nei confronti del p.m. sono perseguibili penalmente ai sensi dell'art. 371 bis c.p. Da ultimo, il comma 1 bis, al fine di tutelare soggetti particolarmente deboli ed al fine di escludergli inutili patimenti, prevede che per i reati elencati il pubblico ministero si avvalga dell'ausilio di un esperto in psicologia o psichiatria infantile o comunque di un esperto qualificato, e che sia fatto il possibile per evitargli di rendere più volte sommarie informazioni. L’art. 362 disciplina in particolare l'interrogatorio di persone imputate in un procedimento connesso a norma dell'art. 12 e le persone imputate in un reato collegato a quello per cui si procede di cui all'art. 371 comma 2 lett. b). Tale interrogatorio segue la disciplina dell'art. 210, il che significa: - che del dichiarante può essere disposto l'accompagnamento coattivo; - che al dichiarante va garantita l'assistenza difensiva; 72 - che il dichiarante ha facoltà di non rispondere e di ciò deve essere avvertito; - che se il dichiarante è imputato o indagato di reato connesso ex art. 12lett. c) o di reato collegato ex art. 371 comma 2 lett. b) e non ha precedentemente reso dichiarazioni concernenti responsabilità dell'indagato, il p.m. lo deve avvertire che potrebbe assumere le vesti di testimone assistito ex art. 197 bis. Tra gli atti di natura dichiarativa rientra anche l’istituto dell’individuazione di persone o di cose disciplinato dall’art. 361. La norma disciplina l'individuazione di persone, di cose o di quanto altro possa essere oggetto di percezione sensoriale (ad es. odori o voci). Tale fonte di prova può essere utilizzata quando sia necessaria per l'ulteriore prosecuzione delle indagini, presentando o sottoponendo in immagine ciò che deve essere riconosciuto dal soggetto interpellato. Dal punto di vista strutturale l'atto investigativo in esame corrisponde ad una ricognizione (artt. 213 – 217), da cui tuttavia si differenzia perché può essere effettuata anche in assenza del difensore dell'indagato ed in maniera informale. In un'ottica di bilanciamento dell'assenza di particolari formalità, l'atto di individuazione presenta una valenza meramente investigativa e propulsiva delle indagini preliminari. Il parallelismo con la disciplina della ricognizione si scorge chiaramente anche dal terzo comma, tramite cui si prescrive che se vi è fondata ragione di ritenere che la persona chiamata alla ricognizione possa subire intimidazione o altra influenza dalla presenza di quella sottoposta a ricognizione, il giudice dispone che l'atto sia compiuto senza che quest'ultima possa vedere la prima. 24. INTERROGATORIO DELLA PERSONA SOTTOPOSTA ALLE INDAGINI Nella fase delle indagini preliminari, procede ad interrogatorio dell’indagato tanto il pubblico ministero, che il giudice per le indagini preliminari, nonché la polizia giudiziaria – su delega – nei confronti di chi si trovi a piede libero mediante invito a presentarsi (ove, poi, la persona non vi ottemperi, si noti che l’accompagnamento coattivo può essere disposto solo a seguito di autorizzazione del giudice). Il pubblico ministero è libero di scegliere il momento in cui procedere a interrogatorio, salvo che l’indagato sia sottoposto a custodia cautelare, poiché in tal caso l’interrogatorio del giudice deve precedere quello del pubblico ministero. Il pubblico ministero è anche libero di non procedervi nel corso delle indagini, potendo egli formulare richiesta di archiviazione senza sentire le parti. Ai sensi dell’art. 415 bis, se il pubblico ministero non intende presentare richiesta di archiviazione, deve notificare all’indagato e al suo difensore, alla scadenza del termine di durata delle indagini preliminari, un avviso di conclusione delle medesime, il quale deve contenere, tra altro, l’avvertimento che l’indagato ha la facoltà, entro 20 giorni, di presentarsi per rilasciare dichiarazioni o chiedere di essere interrogato. Il pubblico ministero deve, in tal caso, procedere all’interrogatorio e all’inosservanza di tale prescrizione, nonché di quella relativa alla notifica dell’avviso ex art. 415 bis, segue una nullità a regime intermedio della richiesta di rinvio a giudizio o del decreto di citazione diretta giudizio. L’indagato comunque ha facoltà di presentarsi al PM per rilasciare dichiarazioni spontanee e di fronte alla richiesta di essere sentito il PM potrà: o raccogliere quanto l’indagato dichiarerà oppure potrà contestare il fatto e convertire il colloqui in un atto equivalente per ogni effetto all’interrogatorio che dovrà svolgersi di conseguenza secondo quanto disposto dagli artt. 64 e 65 e con le garanzie difensive dettate dall’art. 364. Qualora invece è il PM a voler sentire di propria iniziativa l’indagato, dovrà inviare un invito a presentarsi e disporre su autorizzazione del giudice se necessario, l’accompagnamento coattivo. L’invito dovrà essere consegnato almeno 3 giorni prima di quello fissato per la comparizione e deve contenere: - le generalità personali che identificano la persona sottoposta alle indagini; - il giorno, l’ora e il luogo della presentazione; - il tipo di atto per il quale l’invito è predisposto; - l’avvertimento che il PM potrà disporre l’accompagnamento coattivo ex art. 376 in caso di mancata presentazione. 25. DOCUMENTAZIONE DEGLI ATTI DELLA POLIZIA GIUDIZIARIA E DEL PM Sia la polizia giudiziaria che il pubblico ministero sono tenuti a documentare la propria attività di indagine nel momento stessa in cui essa viene svolta ovvero al più tardi in un momento immediatamente successivo, qualora ricorrano insuperabili circostanze, da indicarsi nello specifico, che impediscano la documentazione contestuale. La documentazione dell'attività di polizia giudiziaria è demandata agli stessi ufficiali ed agli agenti di polizia, mentre la documentazione degli atti del pubblico ministero è attribuita all'ufficiale di polizia giudiziaria o all'ausiliario che assiste il magistrato. Ai sensi del comma 6 dell’art. 373, l'atto documentato è nullo qualora vi sia incertezza assoluta sulle persone intervenute o se manca la sottoscrizione del 75 29. L’ALLONTANAMENTO DI URGENZA DALLA CASA FAMILIARE L’art. 384 bis regola un’autonoma misura precautelare per i reati commessi in ambito familiare. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria hanno la facoltà di disporre l’allontanamento urgente dalla casa familiare della persona che sia colta in flagranza di uno dei delitti indicati dall’art. 282 bis comma 6, con divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa. Per procedere occorre la previa autorizzazione del pm, che può essere resa per iscritto o anche oralmente. Le condizioni affinché sia possibile proseguire all’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare sono due: la flagranza e i fondati motivi, per ritenere possibile la reiterazione della condotta ponendo in grave ed attuale pericolo la vita o l’integrità psicofisica della persona offesa. 30. IL PROCEDIMENTO DI CONVALIDA Disposte le misure precautelari gli agenti e gli ufficiali di polizia giudiziaria devono assicurare immediate garanzie al soggetto privato della libertà e compiere ogni atto dovuto per il passaggio di consegne al pm, il quale rivolge al giudice le richieste per l’esecuzione del provvedimento. All’arrestato o al fermato deve essere consegnata una comunicazione scritta contenetene: - la facoltà di nominare un difensore di fiducia e di essere ammesso al patrocinio a spese dello stato nei casi previsti dalla legge; - diritto di ottenere informazioni in merito all’accusa; - diritto all’interprete e alla traduzione degli atti fondamentali; - diritto di avvalersi della facoltà di non rispondere; - diritto ad accedere agli atti sui quali si fonda l’arresto o il fermo; - diritto di essere condotto davanti all’autorità giudiziaria per la convalida entro novantasei ore dall’avvenuto arresto o fermo; - diritto di comparire davanti al giudice per rendere l’interrogatorio e di proporre ricorso per cassazione contro l’ordinanza che decide sulla convalida dell’arresto o del fermo. La polizia giudiziaria con il consenso dell’arrestato o del fermato deve senza ritardo dare notizia ai familiari dell’arresto o del fermo, devono informare immediatamente il difensore di fiducia eventualmente nominato o quello d’ufficio designato dal pubblico ministero. L’arrestato viene posto a disposizione del PM, al più presto e non oltre le ventiquattro ore dall’arresto o dal fermo. Nel medesimo termine deve essere trasmesso il relativo verbale contenente l’eventuale nomina del difensore di fiducia, l’indicazione del giorno, dell’ora e del luogo in cui l’arresto o il fermo è stato eseguito, l’enunciazione delle ragioni che lo hanno determinato, la menzione dell'avvenuta consegna della comunicazione scritta o dell'informazione orale fornita al fermato o all'arrestato. Il comma 7 del 386 sancisce l'inefficacia della misura, e quindi il dovere di rilasciare immediatamente l'arrestato o il fermato (o di permettere il rientro nel proprio domicilio all'allontanato, anche se probabilmente il giudice emetterebbe subito un'ordinanza cautelare al fine di tutelare la persona offesa convivente), qualora non venga rispettato il tempo di cui al comma 3 (24 ore) per mettere il soggetto a disposizione del pubblico ministero. Una volta che sia stato eseguito l'arresto o il fermo, il P.M. è gravato di alcuni precisi poteri e doveri (artt. 388-390 c.p.p.), ovverosia: - interrogare l’arrestato o il fermato, dandone tempestivo avviso al difensore, informandolo del fatto per cui si procede e delle ragioni che hanno determinato il provvedimento e comunicandogli gli elementi a suo carico e, se non può derivarne pregiudizio per le indagini, le fonti; - disporre con decreto motivato la liberazione dell’arrestato o del fermato a) se risulta che l’arresto o il fermo sono stati eseguiti per errore di persona o fuori dei casi previsti dalla legge; b) se l’arresto o il fermo sono divenuti inefficaci perché l’arrestato o fermato non è stato messo a disposizione del P.M. e il verbale dell’atto non è stato trasmesso a costui entro 24 ore dall’arresto o fermo oppure perché lo stesso P.M. entro 48 ore dall’arresto o fermo non ha chiesto la convalida al giudice; c) se ritiene di non dover chieder al giudice l’applicazione all’arrestato o fermato di una misura coercitiva. Se non ne ordina la liberazione, Il PM entro quarantotto ore dall’arresto o dal fermo dovrà chiedere la convalida al giudice 76 per le indagini preliminari, competente in base al luogo dove l’arresto o il fermo è stato eseguito. Successivamente, nel caso in cui non partecipi all’udienza di convalida in quanto è una sua facoltà, potrà trasmettere al giudice le richieste in ordine alla libertà personale con gli elementi su cui le stesse si fondano. Il giudice (GIP) fissa l’udienza di convalida entro le 48 ore successive dandone avviso sia al PM che al difensore e all'arrestato o fermato già liberato. L’udienza si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria del difensore dell’arrestato o del fermato o di un suo sostituto nominato dal giudice se non reperito o non comparso. Il giudice provvede anche a dare o a completare la comunicazione o l'informazione al fermato o all'arrestato, laddove esse non siano state adeguatamente date in sede di arresto o fermo. Il P.M., se comparso (presenza facoltativa del P.M.), indica i motivi dell’arresto o del fermo e formula le richieste in ordine all’applicazione di misure cautelari. Il G.I.P. interroga l’arrestato o il fermato, se comparso, ed il suo difensore. A questo punto il G.I.P. può: - convalidare con ordinanza (c.d. ordinanza di convalida) l’arresto o il fermo quando risultino legittimamente eseguiti ed osservati i termini per mettere a disposizione del P.M. l’arrestato/fermato, trasmettere il verbale e richiedere la convalida delle misure adottate; - non convalidare l’arresto o il fermo. In entrambi i casi l’ordinanza è impugnabile con ricorso per cassazione sia dall’arrestato/fermato (nel caso di convalida) sia dal P.M. (nel caso di mancata convalida). In ogni caso l’arresto o il fermo cessano di avere efficacia se l’ordinanza di convalida non è pronunciata o depositata nelle 48 ore successive al momento in cui l’arrestato o il fermato sono stati posti a disposizione del giudice. Poiché l’ordinanza di convalida attiene solo al controllo giurisdizionale sull’atto privativo di libertà operato dalla P.G. o dal P.M. ma non vale a legittimare l’ulteriore protrazione dello stato di arresto o fermo, se il G.I.P. non dispone anche l’applicazione di una misura coercitiva deve in ogni caso ordinare l’immediata liberazione dell’arrestato/fermato. Pertanto, sia nell’ipotesi di mancata convalida che in quella di convalida non seguita dall’irrogazione di una misura coercitiva, il G.I.P. dovrà disporre la liberazione dell’arrestato/fermato. Ovviamente nel caso di mancata convalida potrebbe avere come conseguenza una eventuale riparazione per ingiusta detenzione. 31. IL DIRITTO DI DIFESA NELLE INDAGINI: LA CONOSCENZA DELL’ACCUSA E L’ACCESSO AL REGISTRO DELLE NOTIZIE DI REATO Secondo l’art. 111 Cost., la legge deve assicurare che la persona accusata di u reato sia informata riservatamente della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico. Diversi istituti, però, prevedono alcune ipotesi di indagini svolte senza che il diretto interessato ne sia a conoscenza, tant’è che se avviene l’archiviazione del caso il procedimento può anche chiudersi senza che il soggetto venga mai a conoscenza di essere stato sottoposto a delle indagini. Se il PM ritiene invece di non archiviare il caso, dovrà notificare la persona sottoposta alle indagini l’avviso della conclusione delle indagini preliminari, con l’enunciazione del fatto e delle norme che si assumono violate: è un’informazione tardiva in quanto il PM ha già svolto l’iter investigativo e ha raccolto elementi sufficienti per dare inizio al procedimento; la persona indagata può, a questo punto, difendersi tramite una documentazione volta a contraddire l’impianto accusatorio e anche a lucrare un supplemento investigativo. Prima di tale momento, la persona sottoposta alle indagini può venire a conoscenza di esse: - in via eventuale (es. tramite i mass-media); - nel corso di attività di indagine della polizia giudiziaria che si svolgono in sua presenza (es. perquisizioni); - quando è destinataria di un provvedimento cautelare o precautelare; - quando si debba svolgere un incidente probatorio richiesto dal PM; - quando vi sia una richiesta di proroga dei termini di indagine; - per iniziativa del diretto interessato che, per attivarsi, crede d i essere sottoposto ad un procedimento presso un ufficio giudiziario. La persona offesa può richiedere di essere informata dall’autorità che ha in carico il procedimento sullo stato dello stesso quando sono passati sei mesi dalla presentazione della denuncia. 77 32. LA NOMINA DEL DIFENSORE E IL RUOLO DELLA DIFESA TECNICA Il diritto alla difesa tecnica è irrinunciabile, tanto da indicare un difensore d’ufficio se l’imputato non ha già provveduto. La figura del difensore ha subito un’evoluzione nel corso del tempo, leggendo il suo ruolo con due prospettive diverse: - è un comprimario della scena investigativa pubblica a tutela dei diritti fondamentali della persona: dove la legge lo richiede, assiste al compimento degli atti altrui, presentando al PM richieste, osservazioni e riserve delle quali è fatta menzione nel verbale; - può compiere atti investigativi per la ricerca di elementi utili per la difesa del proprio assistito. 33. L’ASSISTENZA DEL DIFENSORE AGLI ATTI DI INDAGINE DEL PM E DELLA POLIZIA GIUDIZIARIA L’art. 364 offre una serie di garanzie difensive alla persona sottoposta alle indagini, operando un bilanciamento tra esigenze investigative ed il diritto ad usufruire della necessaria assistenza difensiva tecnica. Il difensore ha facoltà di assistere all’atto con il relativo diritto di essere preavvertito nel momento in cui la polizia giudiziaria procede alla raccolta di sommarie informazioni dell’indagato. Le sommarie informazioni sono assunte con la presenza del difensore. Per quanto riguarda invece l’attività condotta dal PM, il difensore deve essere avvisato senza ritardo degli accertamenti tecnici che dovranno svolgersi mentre nei casi in cui si dovrà procedere ad interrogatorio, ispezione, individuazione di persone o confronto l’avviso è dato almeno 24 ore prima del compimento degli atti. Il termine può essere non rispettato nei casi in cui vi sia assoluta urgenza, quando vi sia fondato motivo di ritenere che il ritardo possa pregiudicare il buon esito delle operazioni. In tali ipotesi, il p.m. può procedere anche prima del termine fissato, dandone tempestivo avviso al difensore. Qualora proceda ad ispezione e vi sia pericolo che le tracce o gli altri effetti materiali del reato possano venire alterati il legislatore ha stabilito una ulteriore deroga, prevedendo che il PM possa addirittura omettere l'avviso, specificando a pena di nullità i motivi della deroga e le modalità dell'avviso. Se si tratta di atti a sorpresa, il difensore può sempre assistere senza diritto di essere preavvisato: tra gli atti a iniziativa della polizia giudiziaria rientrano le perquisizioni, accertamenti urgenti su luoghi, cose e persone, sequestri e l’immediata apertura di plichi sigillati. Tra gli atti invece compiuti dal PM nel procedere ad esempio a perquisizione o a sequestro, è tenuto a chiedere alla persona sottoposta alle indagini se vuol essere assistita. La legge infine non prevede nessun diritto di assistere all’assunzione di informazioni da persone a conoscenza di notizie utili, all’interrogatorio dell’imputato in un procedimento connesso. Il difensore che non abbia assistito all’atto può comunque accedere alla sua documentazione e esaminarla e di estrarne copia. 34. LE INVESTIGAZIONI DIFENSIVE La figura del difensore-investigatore è dotata di minore autonomia rispetto al PM nel compimento di alcune attività, ma è più libero sulle modalità di svolgimento degli atti e di documentazione. Non ha poteri coercitivi, perché dovrà chiederli al giudice, e ha due finalità: - garantire l’oggettività; - individuare gli elementi di prova a favore del proprio assistito. Per questo ha libertà nell’individuazione e nell’approfondimento dei temi di prova, decidendo se documentare la propria attività e anche se e quando immettere i verbali nel procedimento. 35. L’ACQUISIZIONE D I NOTIZIE DALLE PERSONE INFORMATE SUI FATTI Il difensore, sin dal momento del conferimento dell'incarico professionale, ha facoltà di svolgere investigazioni al fine di ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito (art. 327 bis). L'indagine difensiva può inoltre essere svolta anche dal sostituto, da investigatori privati autorizzati e, quando siano necessarie specifiche competenze, da consulenti tecnici. Per quanto concerne più da vicino l'acquisizione di notizie da fonti dichiarative, il difensore ed il suo sostituto possono scegliere fra tre modalità operative: - possono limitarsi ad acquisire notizie utili a fini investigativi tramite un colloquio non documentato con le persone in grado di riferire notizie utili. Tale approccio informale è consentito anche agli investigatori ed ai consulenti tecnici; 80 principio di oralità ed immediatezza. L’incidente probatorio può essere instaurato per procedere: - a testimonianza, qualora vi sia motivo di ritenere che il testimone non potrà essere esaminato in dibattimento per infermità o altro grave impedimento (tale anche da metterne in pericolo la vita). Una volta acquisita la prova dichiarativa, il venir meno dell'infermità o dell'impedimento non impedisce una seconda testimonianza in dibattimento o quando vi sia fondato motivo di ritenere che il testimone venga esposto a violenza, minaccia o promessa di denaro o ad altre utilità al fine di non deporre o di deporre il falso, la cui valutazione in merito va fondata su elementi concreti e specifici; - all’esame dell’indagato su fatti concernenti la responsabilità di altri o all’esame delle persone imputate in procedimento connesso e testimoni di giustizia; - ad una perizia o un esperimento giudiziale se la prova riguarda una persona, cosa luogo il cui stato è soggetto a modificazione non evitabile;; - a una ricognizione, quando ragioni d’urgenza non consentono di rinviare l’atto al dibattimento; - la testimonianza di persona minorenne o della persona offesa maggiorenne nei procedimenti per i delitti elencati dal comma 1 bis, al fine di tutelare la riservatezza e l'equilibrio emotivo di tali soggetti, agevolando in tal modo la rimozione psicologica del fatto, senza che si debbano ripresentare in dibattimento per rendere la testimonianza. 40. IL PROCEDIMENTO La richiesta di assumere l'incidente probatorio può essere presentata sia dal pubblico ministero che dalla persona sottoposta alle indagini, entro i termini di cui agli articoli 405 e ss previsti per la conclusione delle indagini preliminari e comunque in tempo per l'assunzione della prova entro i medesimi termini. Va comunque precisato che, in seguito alla sentenza della Corte Costituzionale, la richiesta può in realtà essere presentata anche entro la chiusura dell'udienza preliminare. La richiesta deve contenere, a pena di inammissibilità, la prova da assumere, i fatti che ne costituiscono oggetto e la sua rilevanza; le persone nei confronti delle quali si rivolge la formazione della prova nonché, al fine di permettere al giudice una valutazione circa l'effettiva opportunità dell'incidente probatorio, le ragioni per le quali si ritiene la prova non rinviabile al dibattimento. Depositata la richiesta nella cancelleria del GIP, il richiedente deve notificare a tutte le parti interessate la richiesta stessa e la prova della notifica presso la cancelleria. Inizia a decorrere dalla data della notifica il termine di 2 giorni entro i quali il PM e l’indagato possono presentare deduzioni sull’ammissibilità della richiesta, depositare documenti, indicare fatti che possono essere oggetto di prova, persone interessate alla prova stessa. Se la richiesta è formulata dall’indagato il PM può richiedere il differimento dell’incidente probatorio quando la sua esecuzione pregiudicherebbe uno o più atti di indagine preliminare. Entro due giorni il giudice provvede con ordinanza a dichiarare: inammissibile la richiesta se mancano i requisiti formali, può rigettarla e in entrambi casi ne da comunicazione immediata al PM. Qualora invece accogliesse la richiesta fissa l’udienza per l’incidente probatorio. Scaduto il termine previsto per le deduzioni o quello conseguente la richiesta di differimento dell’incidente probatorio, il giudice quindi decide sulla richiesta con ordinanza non impugnabile. Con l’ordinanza che accoglie la richiesta, il giudice stabilisce: l’oggetto della prova, le persone interessate all’assunzione della prova, la data dell’udienza. Con un preavviso di due giorni, le parti hanno la facoltà di prendere cognizione ed estrarre copia delle dichiarazioni già rese dalle persone da esaminare. Per esigenze di concentrazione, qualora si debba procedere a più incidenti probatori per lo stesso procedimento, essi vanno eseguiti il medesimo giorno, a meno che ne derivi un ritardo, pregiudicando in qualche modo il buon esito dell'assunzione probatoria. Per quanto riguarda la documentazione, le dichiarazioni testimoniali devono essere documentate integralmente con mezzi di riproduzione fonografica e audiovisiva. Dell’interrogatorio è anche redatto verbale in forma riassuntiva mentre la trascrizione della riproduzione è disposta solo su richiesta delle parti. Quando è necessario procedere all’esame di una persona offesa che versa in condizione di particolare vulnerabilità, il giudice deve adottare modalità protette. L’udienza si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria del PM e del difensore dell’indagato (se manca quello di fiducia deve esserne disposto uno d’ufficio). La partecipazione del difensore della persona offesa è invece facoltativa. Per i particolari reati elencati dal comma 5 bis, i quali richiedono un'assunzione probatoria particolarmente attenta alla sfera psicologica della persona offesa o di altre persone informate sui fatti, il giudice stabilisce di volta in volta quale siano le modalità migliori di assunzione della prova. L'udienza può infatti svolgersi anche in luogo diverso dal tribunale, con l'ausilio di strutture specializzate di assistenza, assicurando comunque una adeguata documentazione dell'atto. L’indagato e la persona offesa hanno diritto di assistere all’incidente probatorio quando si deve esaminare un testimone o 81 un'altra persona, mentre negli altri casi è richiesta l’autorizzazione del giudice. Le prove vengono assunte con le forme stabilite per il dibattimento: il soggetto verrà sottoposto ad esame e controesame se si tratta di prove dichiarative. Il difensore della persona offesa però può solo chiedere al giudice di rivolgere domane alle persone sotto esame. Dopo l’assunzione i verbali, le cose e i documenti acquisiti nell’incidente probatorio sono trasmessi al PM e saranno inclusi nel suo fascicolo in attesa di transitare in quello del dibattimento. I difensori nel frattempo possono prendere visione ed estrarne copia. Una volta che le prove siano state assunte sono utilizzabili in dibattimento ma solo nei confronti degli imputati i cui difensori abbiano partecipato alla loro assunzione (art. 403 c.p.p.). 41. LA CHIUSURA DELLE INDAGINI PRELIMINARI: RAGIONEVOLE DURATA DEL PROCEDIMENTO E LIMITI AL POTERE INVESTIGATIVO L’art. 405 disciplina i termini di durata delle indagini preliminari, entro cui il pubblico ministero è tenuto ad esercitare l'azione penale. Le finalità della previsione di un termine massimo delle indagini preliminari sono quelle di assicurare ritmi accelerati alla fase investigativa e di tutelare l’interesse dell’indagato e della persona offesa ad una tempestiva definizione della vicenda processuale. Il termine inizia a decorrere dal momento in cui l’indagato viene iscritto nel registro delle notizie di reato. 42. I TERMINI DI DURATA MASSIMA DELLE INDAGINI E IL PROCEDIMENTO DI PROROGA Tranne nelle ipotesi in cui si proceda contro soggetti ignoti, le indagini preliminari devono concludersi di regola entro sei mesi dalla data in cui il nome della persona cui è attribuito il reato viene iscritto nell'apposito registro, a pena di inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti dopo la scadenza del termine. Il termine è pari ad un anno qualora si proceda per i gravi delitti di cui all'art. 407 comma 2 lett. a). Entro lo stesso termine deve essere richiesta l’archiviazione alla quale procede il PM attraverso l’invio di avviso di conclusione delle indagini. Prima che scada il termine previsto per la chiusura delle indagini però, il PM può chiedere al giudice una proroga di sei mesi purché ricorra una giusta causa, indicando la notizia di reato ed esponendo i motivi per i quali è necessario un tempo maggiore rispetto a quello ordinariamente previsto. Se poi le indagini sono particolarmente complesse o vi è un'oggettiva impossibilità di concluderle entro il termine prorogato, il pubblico ministero può chiedere ulteriori proroghe, ciascuna di durata massima pari a sei mesi. Se si procede per i reati di cui agli articoli 572, 589, 2° comma e 590, terzo comma e 612-bis c.p. la proroga può essere concessa una sola volta. A cura del giudice, la richiesta di proroga è notificata all'indagato e alla persona offesa dal reato che ha dichiarato di voler esserne informata. Tali soggetti vengono anche avvisati della possibilità di presentare memorie9 entro cinque giorni dalla notificazione. La proroga è autorizzata dal giudice con ordinanza emessa in camera di consiglio, senza l'intervento né del PM né dei difensori (quindi non fissa un’udienza). Se invece ritiene che la proroga non vada concessa allo stato degli atti, il giudice fissa la data dell'udienza in camera di consiglio e ne fa notificare avviso al p.m., all'indagato ed eventualmente alla persona offesa. Il giudice a seguito dell’udienza che deve essere fissata entro 10 giorni e la quale deve essere svolta secondo quanto previsto dall’art. 127 (presenza delle parti) può autorizzare il PM a proseguire le indagini o respingere definitivamente la proroga, fissando un termine non superiore a 10 giorni per la formulazione delle richieste conclusive delle indagini. Il contraddittorio invece non è concesso per i delitti specificatamente indicati dagli artt. 51 comma 3bis e 407 comma 2 lett. a nn. 4 e 7bis. Le proroghe, anche qualora ammesse, non possono in ogni caso protrarre la durata complessiva delle indagini preliminari troppo a lungo. L'articolo 407 del codice di procedura penale, infatti, stabilisce che la durata complessiva delle indagini può essere al massimo di diciotto mesi o due anni se si tratta di reati gravi ricompresi nell'elenco dettagliato di cui al secondo comma. Il rispetto dei predetti termini è molto importante posto che, secondo il disposto dell’articolo 407, comma 3, c.p.p., qualora il p.m. non eserciti l’azione penale e non richieda l’archiviazione nel termine stabilito dalla legge o prorogato dal giudice, gli atti di indagine preliminare compiuti dopo la scadenza del termine non possono essere utilizzati. Per quanto riguarda invece gli atti di indagine compiuti dopo la presentazione della richiesta di proroga e prima della comunicazione del provvedimento del giudice, gli stessi sono utilizzabili a meno che il provvedimento non sia negativo e gli atti non siano successivi alla data di scadenza del termine originariamente previsto per le indagini. 82 43. UN AUTONOMO TERMINE FINALE PER LA CHIUSURA DELLA FASE PRELIMINARE E I CONTROLLI SULLA STASI DEL PROCEDIMENTO Per rimodulare i meccanismi di chiusura della fase preliminare, il legislatore ha suddiviso tale fase con diversi limiti temporali. Il termine per esercitare l’azione o richiedere l’archiviazione è di tre mesi, ma ci sono casi complessi in cui il termine è di nove mesi (per i casi di cui all’art. 407 co.2). Il dies a quo coincide con la scadenza del termine di durata delle indagini di durata delle indagini, che può variare a seconda dei casi. Se il pubblico ministero vuole esercitare l’azione, egli è tenuto a inviare l’avviso di conclusione delle indagini ex art 415-bis, consentendo all’indagato di pretendere un supplemento delle indagini stesse, facendo decorrere il periodo di riflessione e quindi la chiusura della fase. Nel 2017 un nuovo intervento normativo ha affidato il rispetto dei termini rimodulati nell’art. 407-bis a procedure che coinvolgono soggetti privati, procuratore generale e giudice. Un primo strumento è usato per l’inquirente che risulta inerte al decorrere del tempo massimo: - vi è innanzitutto un deposito forzoso degli atti di indagine: i documenti con le indagini vanno depositati in cancelleria e la persona sottoposta alle indagini e la persona offesa possono esaminarli ed estrarne copia. A loro viene anche immediatamente notificato l’avviso dell’avvenuto deposito, indicando le loro facoltà; - intervento del procuratore generale che, scaduti 10 giorni, dovrà ordinare con decreto motivato al procuratore della Repubblica di provvedere alla notifica dell’avviso entro un tempo non superiore a 20 giorni; - se l’inerzia persiste vi è il potere di richiedere l’intervento del giudice per le indagini preliminari: se passa un mese dalla notifica, l’indagato e la persona offesa possono ordinare al PM di provvedere. 44. LE DETERMINAZION I INERNTI ALL’ESERCIZIO DELL’AZIONE PENALE E L’AVVISO DI CONCLUSIONE DELLE INDAGINI PRELIMINARI Quando il PM non deve richiedere l’archiviazione, esercita l’azione penale: essa va promossa nel momento in cui c’è una vera e propria tesi accusatoria supportata da elementi di prova adeguati per sostenere un contraddittorio dibattimentale. Spetta quindi al PM scegliere se seguire la strada dell’archiviazione o quella dell’azione penale: la sua valutazione è espressione di discrezionalità tecnica. Non è chiaro quali siano i criteri individuati dalla legge come premessa all’agire delle procure, ma si pensa che essi debbano allinearsi a quelli cui deve sottostare il giudice. È possibile tener conto anche del numero degli affari da trattare, della specifica realtà criminale e territoriale e dell’utilizzo efficiente delle risorse a disposizione; in più, il progetto organizzativo va adottato/modificato in base ai principi definiti dal Consiglio superiore della magistratura, e sentiti il dirigente dell’ufficio giudicante e il presidente del consiglio dell’ordine degli avvocati, valutando anche le osservazioni formulate dal Ministro della giustizia. La legge non istituisce tempi e procedure diversificati per le scelte, né chiarisce se il giudice debba o meno essere vincolato dalle richieste orientate dal progetto organizzativo. Per quanto riguarda le modalità dell’esercizio dell’azione, esse si individuano tramite un richiamo agli atti introduttivi dei riti speciali, ma il catalogo è incompleto in quanto non contempla la citazione diretta a giudizio. Infine, un altro punto che può influenzare la scelta è l’intervento della difesa. Il PM deve poi mandare un avviso di conclusione delle indagini alla persona indagata e al difensore: tale invio è doveroso sia per il diritto di informazione (sull’accusa e sulla difesa); sia perché contiene la documentazione relativa alle indagini (che può essere quindi visionata dall’indagato e il suo difensore); sia perché contiene l’avvertimento che l’indagato e il suo difensore hanno facoltà di esaminare per via telematica gli atti depositati relativi ad intercettazioni ed ascoltare le registrazioni (il difensore può depositare l’elenco delle ulteriori registrazioni ritenute rilevanti e di cui chiede copia); sia perché deve contenere le facoltà che ha la persona indagata (presentare memorie, documenti…). Al PM può essere richiesto il compimento di atti di indagine, che, quando vengono disposte, devono essere compiute entro 30 giorni. Può esserci il differimento dell’adempimento in alcuni casi: - ipotesi in cui è richiesta l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere o agli arresti domiciliari e il giudice non ha ancora provveduto; 85 giudice non avendo accettato la richiesta di archiviazione fissi l’udienza camerale. Il procuratore può avocare nel momento in cui ritiene negligente, insufficiente, o comunque malcondotta, l’azione investigativa o non concordi sulla richiesta di archiviazione del pubblico ministero. 51. LA RIAPERTURA DELLE INDAGINI Ben può accadere che uno notizia di reato precedentemente archiviata per vari motivi, quali ad esempio l'incompletezza del quadro probatorio, attivi nuovamente l'interesse della magistratura inquirente, per il sopraggiungere di nuovi elementi di indagine. Qualora infatti il pubblico ministero, di propria iniziativa o tramite qualsiasi fonte giunga a conoscenza della possibilità di riaprire un'indagine, deve farne richiesta al giudice pre le indagini preliminari, corredata dai motivi che esigono nuove investigazioni. Il giudice autorizza la riapertura delle indagini con decreto motivato. In tal caso, il pubblico ministero, al fine di far decorrere nuovamente i termini entro cui vanno concluse le indagini, procede ad una nuova iscrizione della notizia di reato nell'apposito registro. Gli atti di indagine compiuti in precedenza confluiscono nel nuovo fascicolo e sono utilizzabili. 52. L’ARCHIVIAZIONE PER ESSERE IGNOTO L’AUTORE DEL REATO Il pubblico ministero, anche nelle ipotesi in cui l'autore del reato sia rimasto ignoto, deve ottenere l'avallo del giudice per le indagini preliminari per poter archiviare l'indagine. La richiesta di archiviazione può essere presentata in qualsiasi momento ma entro sei mesi dall'iscrizione della notizia di reato, e la procedura si innesta su quella ordinaria di archiviazione ai sensi delle norme precedenti. Dunque, se il giudice dissente o la persona offesa si oppone, la decisione va pertanto adottata all'esito dell'udienza camerale ex art. 409. Il PM richiede l'archiviazione per essere rimasti ignoti gli autori del reato sia quando ritiene di non aver reperito alcun elemento di prova idoneo a condurre all'identificazione del colpevole, sia quando ritiene di aver svolto tutte le necessarie indagini al fine di pervenire a tale identificazione. Se il giudice non condivide la presa di posizione del pubblico ministero, agisce ai sensi del comma 4 art. 409, invitando il PM a svolgere nuove indagini. Invece, se ritiene che il reato sia attribuibile ad una persona già individuata, ordina al PM di iscrivere il suo nominativo nel registro delle notizie di reato. (Art. 415). 53. LA RICHIESTA DI RINVIO A GIUDIZIO E GLI ATTI INTRODUTTIVI All'esito delle indagini preliminari, il pubblico ministero, quando ritiene che vi siano elementi sufficienti a sostenere l'accusa nei confronti dell'indagato, deposita nella cancelleria del giudice per le indagini preliminari la richiesta di rinvio a giudizio. Si tratta, in sostanza, dell'atto propulsivo dell'azione penale, esercitato dal PM quando ritiene di scartare l'ipotesi alternativa dell'archiviazione. Secondo quanto disposto dall'articolo 417 del codice di procedura penale, la richiesta di rinvio a giudizio deve contenere: - le generalità dell'imputato e della persona offesa dal reato qualora ne sia possibile l'identificazione; - l'imputazione, ovverosia "l'enunciazione, in forma chiara e precisa, del fatto, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l'applicazione di misure di sicurezza, con l'indicazione dei relativi articoli di legge"; - l'indicazione delle fonti di prova acquisite; - la domanda al giudice di emissione del decreto che dispone il giudizio; - la data e la sottoscrizione del pubblico ministero. Inoltre elemento fondamentale è che l'imputazione, per espresso disposto dell'art. 417 c.p.p., sia chiara e precisa; essa, del resto, fissa l'oggetto della successiva udienza preliminare e garantisce all'imputato il pieno esercizio del proprio diritto di difesa. In vista del contraddittorio, il PM deve mettere a disposizione delle parti il corpo del reato e le cose pertinenti ad esso, trasmettere il fascicolo contenente la notizia di reato, la documentazione relativa alle indagini e i verbali degli atti compiuti davanti al giudice per indagini preliminari. Per quanto riguarda i tempi per il deposito della richiesta di rinvio a giudizio per alcuni tipi di reato deve essere presentata entro un termine ben preciso, ovverosia entro trenta giorni dalla chiusura delle indagini preliminari. Tale prescrizione vale, nel dettaglio, per l'omicidio colposo commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro e per l'omicidio stradale. Prima di presentare la richiesta di rinvio a giudizio, il pubblico ministero deve rispettare alcune specifiche prescrizioni. In particolare, deve notificare l'avviso della conclusione delle indagini preliminari 86 (con il contenuto stabilito dall'articolo 415-bis c.p.p.) all'indagato, al suo difensore e, se si procede per il reato di maltrattamenti contro familiari o conviventi o per il reato di atti persecutori, al difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa. Inoltre, se l'indagato ha chiesto nei termini di essere sottoposto a interrogatorio, il PM, prima di depositare la richiesta di rinvio a giudizio, deve invitarlo a rendere l'interrogatorio ai sensi dell'articolo 375, comma 3, del codice di rito. [ Il giudice, a pena di nullità, deve far notificare all'imputato ed alla persona offesa l'avviso del giorno, del luogo e dell'ora in cui avverrà l'udienza. Va precisato che l'omessa notifica dell'avviso all'imputato determina nullità assoluta ex art. 179, dovendosi riconoscere all'avviso la natura sostanziale e contenutistica di un atto di citazione. L'avviso è altresì comunicato al pubblico ministero ed al difensore dell'imputato, con l'avvertimento che essi possono prendere visione del fascicolo del pubblico ministero relativo agli atti di indagine, ed eventualmente degli atti di indagini compiuti dopo la richiesta di rinvio a giudizio.] In assenza di questi preliminari adempimenti, la richiesta di rinvio a giudizio è affetta da nullità. Il giudice, entro cinque giorni dal deposito della richiesta di rinvio a giudizio, fissa con decreto il giorno, l'ora e il luogo dell'udienza preliminare in camera di consiglio, tenendo conto che tra la data della richiesta e la data dell'udienza non possono trascorrere più di trenta giorni. La richiesta di rinvio a giudizio, quindi, segna il passaggio dalla fase procedimentale a quella processuale: nell'udienza preliminare l'indagato assume la qualità di imputato ed è possibile la costituzione di parte civile nonché l'accesso al processo delle altre parti quali il responsabile civile ed il civilmente obbligato per la pena pecuniaria. La celebrazione dell'udienza preliminare è un diritto cui l'imputato può rinunciare chiedendo il giudizio immediato, ovvero l'immediata celebrazione dell'udienza dibattimentale, con dichiarazione presentata in cancelleria almeno tre giorni prima della data prevista per l'udienza preliminare. Va precisato che il giudizio immediato può essere richiesto anche dal pubblico ministero, qualora ricorrano i presupposti di cui all'art. 453. 54. ACCERTAMENTI RELATIVI ALLA COSTITUZIONE DELLE PARTI L’udienza si svolge in camera di consiglio con la necessaria partecipazione del PM e del difensore dell’imputato. Al termine della discussione il giudice potrà pervenire a due distinti risultati: se il processo non dovrà essere instaurato il giudice emetterà sentenza di non luogo a procedere qualora invece ravvisi l’esistenza di elementi per il dibattimento dovrà pronunciare un decreto con il quale dispone il giudizio. Innanzitutto, come primo passo il giudice deve ai sensi dell’art. 420 comma 2, procedere a verificare la regolare costituzione delle parti e qualora ravvisi nullità degli avvisi, citazioni, comunicazione e delle notificazioni, deve provvedere a rinnovarli. Per quanto riguarda nello specifico l’imputato, la sua presenza non è necessaria, egli infatti ha la facoltà di assentarsi. Verificata la correttezza della notificazione è necessario accertare se l’assenza dell’imputato possa essere la conseguenza di un impedimento, di una mancata conoscenza dell’addebito o se derivi semplicemente da un suo disinteresse e solo in quest’ultimo caso il giudice potrà procedere. L’imputato ha la facoltà, tramite rinuncia espressa, di rinunciare ad assistere. Nel momento in cui non vi sia una rinuncia espressa, allora il giudice dovrà accertare se si versi nelle situazioni in cui si presume la conoscenza del processo. Questa si presume e quindi si procede in sua assenza quando, nel corso del procedimento abbia dichiarato o eletto domicilio, quando sia stato arrestato, fermato o sottoposto a custodia cautelare, o quando abbia nominato un difensore di fiducia e nel caso in cui l’imputato sia assente nonostante abbia ricevuto personalmente l’avviso dell’udienza. Non sarà possibile procedere quando l’imputato, anche se detenuto (e quindi secondo quanto sopra detto si dovrebbe procedere anche in sua assenza) non si presenta alla prima udienza e risulti che l’assenza è dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento. In tale ipotesi il giudice con ordinanza rinvia ad una nuova udienza e dispone il rinnovo dell’avviso. Allo stesso modo deve precedere il giudice quando appare probabile che l’assenza dell’imputato sia dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito o forza maggiore. Dato che la probabilità sia valutata dal giudice non è oggetto di discussione e ne motivo di impugnazione. L’imputato è ammesso a dimostrare che la prova dell’impedimento gli è pervenuta con ritardo senza sua colpa (art. 420bis c.4 quinto periodo). Il giudice è inoltre tenuto a rinviare le udienze successive alla prima, anche nel caso in cui l’imputato anche se detenuto, non si presenta all’udienza e risulta che l’assenza è dovuta ad assoluta impossibilità di comparire. Quando si procede in sua assenza, l’imputato viene rappresentato dal difensore così come accade per l’imputato che, dopo essere comparso si allontana dall’aula o che presente ad un’udienza non compare alle successive. Qualora in tutte le ipotesi di conoscenza presunta, l’imputato subentri in un secondo momento prima della decisione, l’ordinanza che ha disposto di procedere in sua assenza viene revocata. All’imputato spetta il diritto di provare che era a conoscenza del processo ma non 87 della sua celebrazione, senza sua colpa. Se l’imputato riesce a darne prova, il giudice rinvia l’udienza e l’imputato può chiedere l’acquisizione di atti e documenti che porterebbero alla formulazione e all’illustrazione delle conclusioni durante la discussione. Nel giudizio di primo grado l’imputato avrà diritto di formulare richiesta di prove ai sensi del 493 e restando comunque validi gli atti regolarmente compiuti in precedenza, l’imputato può chiedere la rinnovazione di prove già assunte e può formulare richieste per il giudizio abbreviato e per il patteggiamento. La tutela in questione si estende anche ai gradi di giudizio successivi ed inoltre quando l’imputato provi la sua incolpevole mancata conoscenza, dovrà essere investito nuovamente del processo il giudice di primo grado. Infine la presunzione che consente al giudice di procedere anche nei casi in cui non vi sia la certezza del disinteresse dell’imputato potrà essere ribaltata anche a seguito del passaggio in giudicato della senza pronunciata in absentia. Nel caso in cui, risulta la mancata conoscenza del processo solo una volta definito il processo, l’imputato può chiedere la rescissione del giudicato. Grava comunque sull’imputato/condannato l’onore della prova che l’assenza è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo ed è concesso solo al condannato al sottoposto a misura di sicurezza con sentenza passata in giudicato, nei cui confronti si sia proceduto in assenza. Oltre che alla mancata conoscenza della celebrazione del processo, la tutela si estende anche nei casi in cui l’imputato dimostri che versava nell’assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento e che la prova dell’impedimento è pervenuta con ritardo senza sua colpa. Il giudice revoca l’ordinanza quando risulta che il procedimento doveva essere sospeso ai sensi dell’art. 420quater, ossia quando è assente l’imputato e non ricorrano: nullità della notificazione, nessuna delle ipotesi come la conoscenza certa dell’udienza o la notificazione personale dell’atto, o impossibilità per caso fortuito, forza maggiore. Il giudice a questo punto rinvia il processo disponendo che l’avviso contenente la data della nuova udienza sia notificata personalmente all’imputato. Qualora anche in questo modo non sia stata ottenuta la presenza dell’imputato o nemmeno la sua espressa rinuncia o presunta, il giudice dovrà sospendere il processo. Durante la sospensione del processo il giudice acquisisce a richiesta di parte le prove non rinviabili e inoltre si è stabilito che si può procedere alla separazione di eventuali procedimenti connessi per gli imputati nei confronti dei quali la causa di sospensione non opera. Si procede quindi alla separazione dei processi e alla separazione tra azione penale e azione civile (diversamente da quanto stabilito dall’art. 75 comma 3). Almeno 1 volta l’anno il giudice dovrà disporre nuove ricerche dell’imputato per la notifica dell’avviso. Il giudice sarà tenuto a revocare l’ordinanza di sospensione in 4 casi: 1) se le ricerche dell’imputato hanno avuto esito positivo; 2) se l’imputato nel frattempo ha nominato un difensore di fiducia; 3) in ogni altro caso in cui vi sia la prova certa che l’imputato è a conoscenza del procedimento avviato nei suoi confronti; 4) qualora debba essere pronunciata sentenza ai sensi dell’art.129. Con l’ordinanza di revoca della sospensione, il giudice fissa la data per la nuova udienza disponendo le relative notifiche. La presenza del difensore è necessaria e qualora non sia presente il giudice deve provvedere a disporne uno d’ufficio. Il giudice tuttavia deve provvedere a rinviare l’udienza in caso in cui l’assenza del difensore sia dovuta ad un legittimo impedimento il quale oltre ad essere prontamente comunicato deve derivare da una impossibilità di comparire assoluta. L’adesione del difensore ad uno sciopero costituendo espressione di un diritto di libertà impone il rinvio anche delle udienze camerali. 55. SVOLGIMENTO DELL ’UDIENZA E LE INTEGRAZIONI PROBATORIE Una volta effettuati gli accertamenti se non sussistono particolari irregolarità (assenza, nullità dell'avviso di cui all'art. 419, sospensione del processo ecc.) il giudice dichiara aperta la discussione. Il pubblico ministero espone sinteticamente i risultati delle indagini preliminari e gli elementi di prova che giustificano la richiesta di rinvio a giudizio. Prendono poi la parola i difensori della parte civile, del responsabile civile, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria e da ultimo, dell'imputato. L'imputato può chiedere ed ottenere che gli sia consentito di essere interrogato. Il PM prende la parola due volte: la prima per esporre i fatti e gli elementi di prova; la seconda per replicare alle osservazioni delle parti, ma solo una volta. In seguito, il pubblico ministero ed i difensori formulano le rispettive conclusioni, basandosi su quanto introdotto nel fascicolo di cui all'art. 416. Se il giudice ritiene che quanto esposto dalle parti sia sufficiente e di essere già in grado di poter decidere allo stato degli atti, dichiara chiusa la discussione. Tuttavia anche durante la discussione le parti possono fare richiesta di incidente probatorio o addirittura può verificarsi il caso in cui sia il giudice stesso a fare richiesta di acquisizione di altre prove. 90 decreto all'imputato contumace, nonché all'imputato ed alla persona offesa comunque non presenti alla lettura del provvedimento all'esito dell'udienza preliminare, deve essere eseguita almeno venti giorni prima del giudizio. L’art. 431 disciplina il fascicolo per il dibattimento. In seguito all'emissione del decreto che dispone il giudizio, segue un'attività di estrema importanza per la fase dibattimentale, ossia la formazione, nel contraddittorio tra le parti, del fascicolo per il dibattimento, cui il giudice provvede immediatamente o, se una delle parti ne fa richiesta, in un'apposita udienza successiva, da svolgersi entro quindici giorni. I fascicoli sono due: - uno per il dibattimento, da trasmettere alla cancelleria del giudice competente per la fase dibattimentale unitamente al decreto che dispone il giudizio ed all'eventuale provvedimento di applicazione di misure cautelari (se ancora in esecuzione); - l'altro, il fascicolo del pubblico ministero, destinato ad essere conservato nella segreteria del p.m., con facoltà dei difensori di prenderne visione ed estrarne copia. Questo rappresenta uno dei momenti processuali più importanti del nostro sistema, avendo la funzione di garantire il principio secondo cui la formazione della prova deve avvenire nel contraddittorio delle parti e di evitare che il Giudice del dibattimento, nel decidere, sia influenzato dalle prove raccolte unilateralmente dalle parti durante le indagini. E così, gli atti raccolti nel contraddittorio delle parti o che sono nati fin dall’inizio come atti non ripetibili, verranno inseriti nel fascicolo per il dibattimento; essi potranno essere conosciuti dal Giudice di tale fase processuale e utilizzati ai fini della decisione (art. 431 c.p.p.). Tutti i rimanenti atti verranno invece inseriti nel fascicolo del Pubblico Ministero, compresi dunque quelli compiuti dalla Polizia giudiziaria e dalla difesa delle parti private. Tuttavia le parti possono tramite un accordo permettere l’acquisizione al fascicolo per il dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del PM. 59. L’ATTIVITÀ INTEGRATIVA DI INDAGINE La legge prevede un’attività integrativa di indagine sia da parte del PM che da parte del difensore successivamente all’emissione del decreto che dispone il giudizio ad eccezione però degli atti per i quali è prevista la partecipazione dell’imputato o del difensore di questo. La documentazione comunque viene immediatamente depositata nella segreteria del PM con facoltà per le parti di prenderne visione. L’art. 431bis pone un limite: è fatto divieto che le parti possano anticipare l’escussione di una persona che è in procinto di essere sentita da giudice con la possibilità di condizionare la genuinità dell’imminente esame. La predisposizione trova applicazione in sede predibattimentale e in udienza preliminare in caso di integrazione probatoria. 91 CAPITOLO VI: PROCEDIMENTI SPECIALI 1. CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE SULLA NOZIONE DI SPECIALITÀ Il concetto di procedimento speciale prevede la mancanza di almeno uno dei segmenti previsti per il rito ordinario (indagini preliminari, udienza preliminare e giudizio). L’uso dei procedimenti speciali va a scontrarsi con quelle che sono le garanzie a tutela dei diritti fondamentali dei cittadini, come il diritto alla difesa e al contraddittorio, che dovrebbero prevedere degli iter processuali uguali per tutti. Per questo motivo, siccome in alcuni casi ci sono delle esigenze economiche alla base dei procedimenti speciali, si deve tener conto di tali diritti per poter utilizzare un procedimento semplificato, quindi i casi sono espressamente previsti dalla legge e sono sei: - giudizio abbreviato; - applicazione di pena su richiesta delle parti; - giudizio direttissimo; - giudizio immediato; - procedimento per decreto; - sospensione del processo con messa alla prova. Oltre i sei casi principali, ne abbiamo anche altri come: - oblazione (manca la fase dibattimentale); - estinzione del reato per condotte riparatorie (manca il dibattito); - giudizio immediato richiesto dall’imputato (manca l’udienza preliminare); - contestazione suppletiva nell’udienza preliminare (manca l’indagine) o nel dibattimento (manca l’intera fase preliminare al giudizio); - procedimenti dinanzi al giudice monocratico (manca udienza preliminare). 2. RAGIONI DELLA SPECIALITÀ I procedimenti speciali possono essere divisi in tre gruppi a seconda dei requisiti posti alla loro base: 1. Requisito della soggettività Sono espressione di una giustizia consensuale, nel senso che è attribuita alle parti la facoltà di disporre di taluni stati o situazioni processuali. Tra questi rientrano il procedimento di oblazione, l’estinzione del reato per condotte riparatorie, la sospensione del processo con messa alla prova e il giudizio immediato richiesto dall’imputato. 2. Requisito dell’oggettività Questi istituti sono espressione del principio autoritativo, nel senso che sono situazioni connotate da una certa oggettività stabilita dall’autorità stessa. Tra questi abbiamo il giudizio direttissimo, l’immediato richiesto dal PM, contestazione suppletiva del reato concorrente o del reato continuato. 3. Gruppo misto Vi appartengono quei procedimenti caratterizzati da una scelta iniziale imperativa combinata con il consenso dell’imputato o l’accordo tra le parti. Ci sono il procedimento per decreto, il giudizio direttissimo esperibile col consenso delle parti e la contestazione suppletiva del fatto nuovo. 3. RAPPORTI FRA PROCEDIMENTI SPECIALI I procedimenti speciali sono compatibili tra loro, anche se con alcune limitazioni. Quando viene scelto un rito all’interno di un determinato gruppo, non è possibile sostituirlo con un altro; quando, invece, viene rigettato uno, le parti possono richiedere che ne venga utilizzato un altro alternativo. Non è consentito il passaggio da un rito consensuale ad uno autoritativo, ma è possibile l’inverso considerando anche la possibilità di “ridurre” la pena, in quanto la volontà delle parti va a sovrastare l’autorità (principio del diritto di difesa, che permette alla persona offesa di scegliere il modo più adeguato per difendersi). 92 4. GIUSTIZIA CONSENSUALE E CORRISPONDENTI FORME DI SPECIALITÀ La giustizia consensuale ha un ampio spazio nel nostro ordinamento a causa di un’opzione culturale e di politica legislativa che dilata il potere dispositivo delle parti. Nel corso degli anni lo spazio riservato dalla legge alla negoziabilità delle situazioni processuali è aumentato, permettendo alle parti di giovarsi dei vantaggi abbinati a determinate situazioni che caratterizzano il procedimento ordinario. Rinunciando al dibattimento, l’imputato si priva della facoltà di contrastare l’accusa, accorciando di molto lo svolgimento processuale e avvantaggiando l’accusa: chiaramente questi procedimenti hanno un carattere premiale, in quanto sono basati su uno scambio (l’imputato ammette di essere colpevole, ricevendo in cambio uno sconto di pena per aver collaborato). 5. PROCEDIMENTO DI OBLAZIONE L’oblazione consiste in una chiusura anticipata del processo, provocata da una richiesta dell’imputato di offrire denaro (allo Stato) in cambio dell’estinzione del reato, facendo cessare immediatamente il processo. Ci sono due tipi di oblazione: - obbligatoria: prevista per i reati contravvenzionali punibili con l’ammenda in astratto. In questo caso il giudice deve accogliere la richiesta, se presentata nei termini prescritti, tranne nel caso di reati permanenti (che non sono suscettibili di oblazione). La somma da pagare è 1/3 del massimo dell’ammenda prevista; - facoltativa: prevista per i reati contravvenzionali punibili con l’ammenda in concreto. In questo caso il giudice ha un margine di discrezionalità in quanto può anche scegliere la pena detentiva rispetto a quella pecuniaria, quando considera grave il fatto commesso o nei casi di recidiva. La somma da pagare è la metà dell’ammenda prevista. 6. OFFERTA RIPARATORIA FINALIZZATA ALLA DECLARATORIA DI ESTINZIONE DEL REATO L’offerta riparatoria è simile all’oblazione come concetto, ma consiste in una oblazione in favore della persona offesa. Di regola trova applicazione solo per i reati perseguibili a querela. Non è necessario che, per estinguere il reato, l’offerta debba essere accettata dalla persona offesa: è sufficiente solamente che il giudice consideri l’offerta congrua alla riparazione del danno cagionato. La richiesta può essere: - accolta: in tal caso si apre la declaratoria di estinzione del reato, sancita con provvedimento di archiviazione o con sentenza; - rigettata: si protende verso il giudizio, anche se il soggetto può reiterare la proposta fino a quando non sia aperto il dibattimento o, in alternativa, può attivarsi con la richiesta di un altro rito alternativo se c’è la possibilità. 7. APPLICAZIONE DELLA PENA SU RICHIESTA DELLE PARTI Il patteggiamento consiste in una rinuncia dell’imputato a contestare l’accusa. Esso è esperibile per una serie di reati che si identificano tramite il riferimento alla sanzione in concreto applicabile: pena pecuniaria, pena sostitutiva, pena detentiva non superiore a 5 anni. Ci sono due tipi di patteggiamento a seconda della gravità del reato: maius (reati più gravi, patteggiamento allargato); minus (reati meno gravi, patteggiamento ristretto). Parte fondamentale del rito è l’accordo tra le parti principali del processo, il quale però è solo condizione necessaria (e non sufficiente) per la semplificazione del rito, in quanto la legge impone comunque al giudice di verificare i presupposti di applicabilità dell’intesa, in base a dei parametri ben definiti. Dal punto di vista dell’imputato, ad esso spettano una serie di rinunce e vantaggi. Quanto alle rinunce: - rinuncia ad esercitare il diritto alla prova, accettando di essere giudicato sulla base degli atti probatori presenti nel fascicolo; - rinuncia a controvertere sul fatto e sulla qualifica giuridica; - rinuncia a controvertere sulla specie e sulla misura della pena. Quanto ai vantaggi: - sconto di pena fino ad un terzo; - assenza di effetti pregiudizievoli della sentenza; - assenza di pubblicità. 95 termini prescritti, se sia riconducibile ad una scelta volontaria dell’imputato, se la volontà di questo risulti espressa in forma inequivoca. Il vaglio si complica quando la richiesta riguardi un reato punibile con l’ergastolo o con l’interdizione perpetua dell’ente da ogni traffico giuridico. Il giudice è chiamato a una valutazione discrezionale circa la corretta qualificazione giuridica del fatto; - richiesta complessa: il vaglio è a sua volta complesso in quanto il giudice deve verificare se il giudizio realizzi un’economia processuale in relazione ai prevedibili tempi dell’istruzione dibattimentale. Va inoltre valutata la validità dei mezzi di prova adottati dall’imputato. Per questo c’è la discrezionalità del giudice, ma resta vago il criterio di esigenza economica perché non ci sono dei parametri oggettivi, ma ogni giudice valuta in base alle proprie esigenze (è quindi sindacabile il rigetto che, per ragioni di economia processuale, dovesse essere opposto alla richiesta completa). L’eventuale rigetto della domanda avanzata non ostacola la rinnovazione della richiesta, davanti allo stesso giudice, fino a che sia in corso l’udienza preliminare. La richiesta semplice implica una rinuncia totale al diritto alla prova: rigettata la richiesta, l’iter resta quello ordinario, verso il dibattito. L’ordinanza che rigetta il giudizio abbreviato influisce sul quantum della pena in quanto comporta l’impossibilità di applicare quella attenuazione del trattamento sanzionatorio. 13. SEGUE: SVOLGIMENTO PROCESSUALE Il rito si svolge in camera di consiglio, in un’udienza alla quale il pubblico non è ammesso (salvo che l’imputato non ne faccia richiesta), ma sono ammesse solo le parti principali del processo: imputato, difensore e pubblico ministero. Non è esclusa la presenza della parte civile che può non accettare il rito abbreviato, ma non può impedirne lo svolgimento: il rifiuto di tale rito comporta l’uscita dal processo penale del soggetto danneggiato, con la conseguenza di mettere in discussione l’effetto vincolante che la sentenza conclusiva del giudizio abbreviato sortirebbe altrimenti nel separato giudizio civile di danno. Quanto alle modalità procedurali, valgono le norme che riguardano l’udienza preliminare, anche se lo svolgimento cambia a seconda che la richiesta sia semplice o complessa. Nel caso di richiesta semplice, il giudice si avvia verso la decisione di merito, verificando se gli atti nel fascicolo siano sufficienti per risolvere la questione (perché in caso contrario può assumere anche d’ufficio tutti gli elementi probatori necessari). In caso di richiesta complessa, invece, il giudice deve necessariamente assumere i mezzi di prova richiesti dall’imputato, in quanto condizione d’efficacia della richiesta stessa. In questo caso, il pubblico ministero continua la propria attività di indagine suppletiva e può anche chiedere di ottenere l’ammissione di prove contrarie a quelle indicate dall’imputato: è un’attuazione rafforzata e particolare del diritto alla prova. Qualsiasi tipo di integrazione probatoria rende meno probabile un mutamento dell’imputazione contestata nella richiesta. Per quanto riguarda le nuove contestazioni, esse suppongono un’integrazione probatoria, sollecitata dalla parte con richiesta complessa o con iniziativa d’ufficio. Per quanto concerne le garanzie dell’imputato, egli può togliere effetto alla propria richiesta, provocando la prosecuzione del giudizio ordinario. Il giudice deve assegnare u termine non superiore a 10 giorni per consentire alla difesa di meditare sulle scelte da fare in caso di constatazioni e in attesa della possibile revoca, tutte le attività sono sospese e si apre una fase di duplice svolgimento: - la revoca dell’ordinanza ammissiva del rito alternativo è imposta per atto autoritativo, quando la nuova constatazione comporta un mutamento di qualifica giuridica tale da rendere il reato punibile con l’ergastolo; - diverso è lo svolgimento quando l’imputato faccia espressa richiesta (atto personalissimo) di trasformare il rito in ordinario subito dopo la nuova contestazione. Si determina così una regressione del processo alla fase in cui fu presentata la richiesta iniziale: il giudice fissa l’udienza preliminare o dispone la prosecuzione, anche se solitamente viene fissata l’udienza quando il cambio del riti è preceduto da una richiesta di sospensione del giudizio abbreviato, mentre si ordina la prosecuzione quando l’imputato abbia immediatamente chiesto il cambio dopo la contestazione. Diversa è la procedura quando si deve contestare un fatto nuovo: qui la contestazione è subordinata ad un provvedimento autorizzativo del giudice e ad un esplicito consenso dell’imputato. Il consenso va formulato come richiesta di definizione anticipata del processo, mentre l’autorizzazione ha per oggetto l’ammissibilità della richiesta di giudizio abbreviato. 96 Il giudizio abbreviato è suscettibile di articolarsi in più udienze per consentire le attività di integrazione probatoria necessarie ai fini della decisione e per garantire il contraddittorio in caso di contestazioni. L’udienza si chiude con le conclusioni delle parti. 14. SEGUE: LA SENTENZA Per quanto concerne la struttura e il contenuto della decisione finale, valgono le regole di giudizio: - si ha sentenza di proscioglimento nel caso in cui il giudice non fosse certo della colpevolezza dell’imputato o nei casi di dubbio di esistenza di una condizione di procedibilità; - si ha sentenza di condanna nei casi in cui la responsabilità penale dell’imputato sia dimostrata, al di là di ogni ragionevole dubbio. Le fonti che determinano il convincimento del giudice sono gli atti di indagine preliminare, gli esiti dell’indagine suppletiva del PM e del difensore e gli eventuali atti di indagine difensiva esibiti insieme alla richiesta di giudizio abbreviato. Nel condannare, il giudice diminuisce la pena di un terzo quando procede per un delitto, e della metà quando invece procede per un reato contravvenzionale. Un ulteriore sconto di un sesto è concesso all’imputato che accetta il giudicato di condanna promettendo di non impugnare la sentenza. La sentenza può anche contenere dei capi civili che riguardano il risarcimento del danno da reato: se la parte civile ha accettato il rito abbreviato, il giudice ha il potere di accertare e soddisfare la sua pretesa risarcitoria. La sentenza penale inoltre spiega effetti vincolanti nel giudizio civile di risarcimento, a condizione che la parte civile abbia accettato il giudizio abbreviato. La sentenza del giudizio abbreviato è impugnabile con l’appello: - le sentenze di proscioglimento sono appellabili dal PM ma non dall’imputato, tranne in caso di prosciogimento per vizio di mente; - le sentenze di condanna alla sola pena dell’ammenda o alla pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità sono sottratte al giudizio di secondo grado. Restano i limiti imposti al PM, che non può appellarsi contro le sentenze di condanna, salvo che il titolo di reato ritenuto in sentenza risulti diverso da quello a suo tempo specificato nell’imputazione. Caduta la necessità del consenso, il limite è sopravvissuto, perché trova senso nell’esigenza di scoraggiare imputazioni azzardate e indagini incomplete. Quando è appellata una sentenza emessa a seguito di rito abbreviato, il giudizio di impugnazione è destinato a svolgersi sempre in camera di consiglio. Nel corso dell’udienza possono assumersi nuove prove, condizionato però al tipo di richiesta all’origine del giudizio abbreviato. Ancora, la differenza tra le due richieste sopravvive quando il giudizio abbreviato sfocia in una condanna: l’imputato che vuole condizionare l’ammissione del rito speciale ad una determinata integrazione probatoria mantiene il diritto alla riassunzione del mezzo di prova già acquisito in primo grado, purché ciò sia necessario ai fini della decisione. Diverso è il caso dell’imputato che abbia proposto una richiesta semplice: avendo rinunciato al diritto alla prova, non può pretendere che tale diritto ci sia in appello, quindi l’eventuale integrazione è affidata al giudice che può assumere i mezzi di prova che ritiene necessari; le parti possono poi sollecitare un informale impulso (una semplice segnalazione sull’opportunità di integrazione probatoria), che però non costringe il giudice in quanto è solo un sollecito. 15. SOSPENSIONE DEL PROCEDIMENTO CON MESSA ALLA PROVA L’imputato può chiedere nel corso del procedimento penale l’affidamento in prova ai servizi sociali come mezzo per conseguire l’estinzione del reato: è un rito di tipo consensuale, introdotto nel 2014 e ampliato sempre di più nel corso degli anni. La sua esperibilità è soggetta a dei limiti: - oggettivi: è concesso solo per i reati di gravità medio-bassa (punibili solo con sanzione pecuniaria o con pena detentiva non superiore a 4 anni); - soggettivi: è precluso ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza. 97 Tale strumento è nato come metodo per “decarcerizzare”, ma ha prima avuto un lungo periodo di sperimentazione nell’ambito della giustizia minorile, considerando gli effetti gravi che un processo penale può avere sulla formazione o sulla crescita del minore-imputato. Successivamente è stato ampliato anche agli imputati adulti, perseguendo degli obiettivi: - bloccare il processo; - guadagnare l’estinzione del reato; - deflazione processuale: la ratio è, infatti, un’economia processuale che non prevede il dibattimento e permette quindi di diminuire di molto le tempistiche e il costo. Ci sono però dei dubbi: è lecito allentare la presunzione di innocenza per permettere all’imputato di sottoporsi volontariamente all’esecuzione della pena prima di essere dichiarato colpevole, andando contro l’art. 27 co. 2 Cost. (che parla del divieto radicale e irrinunciabile di trattare come colpevole chi non è ancora stato condannato in via definitiva)? Si deve quindi fare un bilanciamento tenendo conto, da un lato, di tale disposizione costituzionale, ma dall’altro del danno sulla persona che un processo lungo e incerto potrebbe produrre, andando quindi ad incidere sulla dignità umana. Questo discorso vale per i minori, mentre per gli adulti, in quanto la ratio dell’istituto è principalmente di economia processuale, sarebbe scorretto far leva su questo motivo per derogare al santo principio della presunzione di innocenza. Ci sono ancora dubbi e dibattiti in merito, per questo non è così semplice riuscire ad applicare tale rito speciale quando si entra in contrasto con l’art. 27 Cost. 16. SEGUE: FASE INTRODUTTIVA Essendo un rito consensuale, è necessaria una manifestazione di volontà dall’imputato condivisa dall’autorità pubblica. La richiesta è un atto personalissimo che l’imputato può compiere tramite difensore con procura ad hoc, ma può anche essere proposta dal PM (e va accettata dall’imputato). Quando la richiesta proviene dall’imputato, bisogna distinguere a seconda che essa: - sia presentata prima dell’esercizio dell’azione penale: può essere presentata durante le indagini preliminari e può essere accolta dal giudice solo se seguita dal consenso del PM; - sia presentata dopo dell’esercizio dell’azione penale: va presentata entro la conclusione dell’udienza preliminare o p rima che si chiuda l’udienza predibattimentale di comparizione. In caso di giudizio direttissimo, prima che sia stato aperto il dibattimento; in caso di giudizio immediato, entro 15 giorni dalla notifica del decreto; nel caso di condanna per decreto, con atto di eventuale opposizione. Si necessita poi di un’intesa con l’UEPE, che si occupa di elaborare un programma di trattamento con all’interno le modalità di reinserimento sociale. Quando la richiesta proviene dal pubblico ministero, la proposta va formulata contestualmente all’avviso di chiusura delle indagini (cioè quando ormai è esclusa l’archiviazione del caso): l’imputato ha 20 giorni di tempo per meditare sulla proposta. Sulla richiesta di sospensione o sulla proposta del PM il giudice decide in camera di consiglio. La richiesta va rigettata: - se la volontà dell’imputato risulta coartata; - se la presentazione avviene fuori dal termine; - se proviene da persona non legittimata a presentarla o se vengono violate le limitazioni soggettive; - se c’è il dissenso del PM (l’imputato può rinnovarla fino al dibattimento); - per ragioni sostanziali, come quando il giudice ritiene che il trattamento scelto è inidoneo al reinserimento sociale o se il fatto ricade fuori dall’ambito di applicabilità di tale rito. In particolare, si pone il problema della corretta qualificazione giuridica del fatto, perché è il giudice a decidere la gravità per accedere a tale rito; - se negli atti ci sono prove sufficienti a prosciogliere l’imputato: il giudice dovrebbe chiudere il processo. Il rigetto non impedisce all’imputato di reiterare la richiesta davanti al giudice del dibattimento, prima della dichiarazione di apertura. Resta poi aperta la via del ricorso per cassazione contro il rigetto della richiesta. Tale rito è precluso a chi avvia già ottenuto accesso ad altro rito speciale, alternativo al dibattimento, però l’imputato può chiedere il giudizio abbreviato, il patteggiamento o l’oblazione se la messa alla prova dovesse avere esito negativo: l’importante è non trasformare un rito consensuale in un altro tipo di rito consensuale.
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