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Compendio di procedura penale Conso Grevi 2023, Dispense di Diritto Processuale Penale

Vendo riassunto del compendio di procedura penale Conso grevi, edizione 11, anno 2023. Aggiornato alla riforma Cartabia. Riassunto dei capitoli: da 1 a 10

Tipologia: Dispense

2023/2024

In vendita dal 27/03/2024

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Scarica Compendio di procedura penale Conso Grevi 2023 e più Dispense in PDF di Diritto Processuale Penale solo su Docsity! RIASSUNTO DEL COMPENDIO DI PROCEDURA PENALE CONSO GREVI EDIZIONE 11, ANNO 2023. AGGIORNATO ALLA RIFORMA CARTABIA. CAPITOLI DA 1 A 10 CAPITOLO 1 La giurisdizione penale: In conformità con il disposto dell'art 102 co 1 cost, l'art 1 cpp riserva ai giudici istituiti e regolati dalle norme sull'ordinamento giudiziario la titolarità di funzioni giurisdizionali penali (non a tutti i magistrati ordinari, quindi no pm). L'art 178 co 1 lett. a) codifica uno stretto raccordo tra la normativa codicistica e le leggi dell'ordinamento giudiziario. A norma dell'art 178 "è sempre prescritta a pena di nullità assoluta l'osservanza delle disposizioni concernenti: a) le condizioni di capacità del giudice e il numero dei giudici necessario per costituire i collegi stabilito dalle leggi di ordinamento giudiziario. L'art 33 cpp al co 1 prevede che le "condizioni di capacità del giudice ed il numero dei giudici necessario per costituire i collegi giudicanti sono stabiliti dalle leggi di ordinamento giudiziario". La portata del comma di apertura è però fortemente limitata dalle previsioni successive. Al co 2 l'art 33 dispone che "Non si considerano attinenti alla capacità del giudice le disposizioni sulla destinazione del giudice agli uffici giudiziari e alle sezioni, sulla formazione dei collegi e sulla assegnazione dei processi a sezioni, collegi e giudici". Detta le limitazioni si giustificano con la necessità di limitare le complicazioni che graverebbero sulla vicenda processuale qualora si prevedesse la sanzione della nullità assoluta anche per questioni sottoponibili al sindacato degli organi amministrativi (in particolare, ai tribunali amministrativi regionali). Con riguardo all'assegnazione dei processi a sezioni, collegi e giudici, va menzionato l'art 7 ter ord. Giud., il quale dispone che l'assegnazione degli affari è operata dal dirigente dell'ufficio alle singole sezioni e dal presidente della sezione ai singoli collegi o giudici sulla base di criteri obiettivi e predeterminati, indicati in via generale dal consiglio superiore della magistratura. Consequenziale è la previsione secondo cui, in caso di revoca di una precedente assegnazione, copia del relativo provvedimento motivato deve essere comunicata al presidente della sezione e dal magistrato interessato. Per quanto concerne le disposizioni relative alla formazione dei collegi, escluso che rientrino in tale categoria le disposizioni inerenti al numero dei giudici necessari per costituire il collegio, la cui violazione è sanzionata con nullità assoluta (art 179 co 1), si ritiene che la locuzione in esame riguardi: a) le disposizioni che regolano la composizione dell'organo giudicante nel caso di assegnazione di un numero di giudici superiore a quello necessario per la costituzione dell'ufficio (in pratica disposizioni che contemplano i provvedimenti del capo dell'ufficio diretti a stabilire i turni di servizio di giudici già assegnati all'ufficio stesso); b) le disposizioni relative alle supplenze e alle applicazioni (la cui esclusione dall'ambito delle condizioni di capacità del giudice è da imputare a ragioni pratiche, considerando l'impossibilità di controllare le valutazione di carattere discrezionale operate dai capi dell'ufficio). Per quanto attiene infine alle disposizioni sulla destinazione del giudice all'ufficio (es trasferimento o assegnazione di nuove funzioni giudicanti), esse sono sicuramente riconducibili al concetto di capacità sicché la loro esclusione fa sorgere l'interrogativo di cosa residui una volta operata la sottrazione. Prescindendo dal caso limite del soggetto non iudex (ipotesi patologica in ordine alla quale si prevede l'inesistenza degli atti posti in essere dal soggetto non investito del potere giurisdizionale), l'unico attributo rilevante ai fini di un'eventuale incapacità del giudice sembra essere quello della qualifica richiesta per l'esercizio delle funzioni giudiziarie che è chiamato a svolgere (es la Corte d'assise deve essere presieduta da un magistrato avente qualifica non inferiore a magistrato di appello). Non essendo neutralizzato dall'art 33 co 2, il vizio consistente in un difetto di dell'art 178 co 1 lett a), dando origine ad una nullità assoluta. Il co 3 dell'art 33 è collegato alla riforma relativa all'istituzione del giudice unico in primo grado. Con la riforma del 97 si è avuta la soppressione dell'ufficio del pretore, compensata con la possibilità per il tribunale di giudicare in composizione collegiale (3 giudici) o monocratica. Si è stabilito contestualmente che l'attribuzione degli affari al giudice in composizione monocratica o collegiale non attiene alla capacità del giudice né al numero dei giudici necessario per costituire l'organo giudicante. In quest'ottica, il co 3 dell'art 33 colloca dette vicende nell'ambito dell'organizzazione interna dell'ufficio (escludendole dall'ambito di applicazione dell'art 178 co 1 lett a), in quanto attengono piuttosto all'inosservanza dei criteri di attribuzione all'interno dello stesso tribunale di cui alle norme 33 quinquies c.p.p. e ss). Profili ordinamentali: Di primaria importanza risulta la distinzione tra giudici straordinari (istituiti successivamente al fatto da giudicare), giudici speciali (figure estranee alla legge di ordinamento giudiziario) e giudici ordinari, i quali traggono la loro legittimazione dell'ordinamento giudiziario. La costituzione vieta di istituire giudici straordinari o speciali, mentre ammette l'istituzione di giudici specializzati (es tribunale per i minorenni). Restano esclusi dal divieto, conformemente a quanto desumibile dagli artt 103 co 3 e 134 cost, solo due giudici speciali: i tribunali militari (in relazione ai reati militari commessi da appartenenti alle forze armate); la Corte costituzionale, nella particolare composizione risultante dall'art 135 co 7 cost, con riferimento alle accuse promosse contro il presidente della Repubblica per alto tradimento o per attentato alla costituzione (e non più in relazione ai reati ministeriali, che il nuovo testo dell'art 96 cost attribuisce alla magistratura ordinaria). La categoria del giudice ordinario, dopo la soppressione dell'ufficio del pretore e l'entrata in vigore del d.lgs. 274/2000, ricomprende i seguenti organi giudicanti: a) Giudice di pace: giudice onorario e monocratico. (Con il d.lgs. 116/2017 si è raggiunto il risultato di uno statuto unico della magistratura onoraria, riguardante tanto i giudici onorari di tribunale e i giudici di pace, quanto ai viceprocuratori onorari: in tale provvedimento viene ribadita la temporaneità dell'incarico, la cui durata massima è circoscritta a due quadrienni, ferma restando invalicabilità del tetto di 65 anni di età; si dettano le regole inerenti al tirocinio semestrale; si precisa che spetta al presidente del tribunale coordinare l'ufficio del giudice di pace ti ha sede nel circondario, nonché distribuire il lavoro tra i vari giudici; si disciplinano in dettaglio le funzioni e i compiti dei giudici onorari di pace; ci si occupa della formazione permanente dei giudici onorari, prevedendosi, in particolare, la partecipazione alle riunioni trimestrali organizzate dal presidente del tribunale o da un suo delegato e finalizzate sia alla discussione delle più importanti questioni giuridiche affrontate dai magistrati onorari, sia allo scambio di esperienze giurisprudenziali prassi innovative). b) Giudice per le indagini preliminari: monocratico c) Giudice dell'udienza preliminare: monocratico. Relativamente al giudice per le indagini preliminari e al giudice dell'udienza preliminare, bisogna menzionare alcune disposizioni di carattere ordinamentale. L'art 7 ter co 1 ord. Giud., in relazione alle varie situazioni di incompatibilità, per evitare possibili condizionamenti derivanti dalle attività compiute nel corso delle indagini preliminari, stabilisce che il giudice dell'udienza preliminare debba essere diverso da quello che, nel medesimo procedimento, ha svolto le funzioni di giudice per le indagini preliminari. I commi 2bis e 2ter dell'art 7 bis sono volti a garantire una elevata qualificazione professionale dei giudici, esigendo a tal fine che essi abbiano precedentemente svolto per almeno due anni la funzione di giudice del dibattimento o quella di giudice per l'udienza preliminare; nonché a creare le migliori premesse per la terzietà di questi giudici: a tal fine è fissata la regola della temporaneità delle funzioni (il CSM ha fissato il limite massimo di 10 anni), vista come correttivo rispetto all'instaurarsi di inopportuni affiatamento tra soggetti (giudice e pm) che nella dialettica processuale sono chiamati a svolgere ruoli profondamente diversi. II comma due ter consente tuttavia che, qualora alla scadenza del termine sia in corso il compimento di un atto, l'esercizio delle funzioni venga prorogato, limitatamente a quel singolo procedimento, sino al compimento dell'attività in questione. Al di fuori di questa ipotesi, le disposizioni di cui all'art 7 bis co 2 bis e 2 ter possono essere derogate solo per imprescindibili e prevalenti esigenze di servizio. d) Tribunale ordinario: a seconda della gravità del reato o delle caratteristiche dello stesso tale organo giudica in composizione monocratica oppure in composizione collegiale (in quest'ultimo caso con il numero invariabile di 3 componenti). e) Corte d'assise: giudice collegiale composto da 8 magistrati, di cui due togati e sei laici (c.d. giudici popolari, che solo temporaneamente fanno parte dell'ordine giudiziario e sono scelti tra i cittadini in possesso di determinati requisiti) la cui partecipazione all'amministrazione della giustizia va ricollegata al disposto dell'art 106 co 2 cost. f) La corte d'appello: giudice collegiale composto da 3 magistrati g)Corte d'assise d'appello: giudice collegiale a composizione mista (2 giudici togati e 6 giudici popolari h) Magistrato di sorveglianza: monocratico i) Tribunale di sorveglianza: giudice collegiale composto da 4 magistrati, 2 togati e 2 laici. Al vertice di questo organigramma si colloca la Corte di Cassazione alla quale, in corrispondenza con le funzioni attribuitele dall'art 65 ord. Giud. viene riservato l'appellativo di giudice di legittimità. La Corte di Cassazione divisa in 7 sezioni, ciascuna delle quali giudica con 5 componenti, che diventano 9 quando tale organo è chiamato a pronunciarsi nella composizione a sezioni unite. Anche i giudici minorili sono regolati dalla legge di ordinamento giudiziario (art 49 ss): rispetto ad essi è quindi corretta la definizione di giudici ordinari specializzati. Questioni pregiudiziali e sospensione del processo: La giurisdizione penale è autosufficiente, nel senso che ha cognizione autonoma su tutte le questioni strumentali alla pronuncia finale. L'art 2 co 1 cpp stabilisce il dovere del giudice penale di risolvere ogni questione che si ponga come antecedente logico-giuridico della decisione di cui è investito (es ricettazione art 648 cp: il giudice non può decidere se prima non accerta la provenienza delittuosa del denaro o della cosa che si assumono ricettati). La questione viene decisa con pronuncia incidentale che può avere natura civile, amministrativa o penale, e che ha rilevanza esclusivamente all'interno del procedimento in cui è inserita (cognitio incidenter tantum) senza alcuna efficacia vincolante in nessun altro processo (art 2 co 2 cpp). Il meccanismo di cui all'art 2 co 2 è finalizzato a scongiurare un'interruzione del processo. Sono tuttavia previste delle eccezioni alla regola, come si ricava dalla clausola di salvezza contenuta nell'inciso finale del comma in esame. Prescindendo dalla sospensione del processo penale conseguente alla devoluzione di una questione di legittimità alla Corte costituzionale e dalla pregiudiziale comunitaria ex art 267 TFUE, che implica l'investitura della Corte di giustizia dell'unione europea, le deroghe alla regola della cognizione incidentale possono essere suddivise in due categorie: •Disposizioni che, in caso di controversia sulla proprietà di cose sequestrate (art 263 co 3 e 324 co 8) o confiscate (art 676 co s) si limitano a devolvere la relativa risoluzione al giudice civile. Disposizioni che, occupandosi specificamente di questioni da cui dipende la decisione - Qualora in un determinato procedimento un magistrato assuma il ruolo di imputato o persona offesa e risulti competente un ufficio giudiziario ricompreso nel distretto di corte d’appello in cui egli esercita la propria funzione, per garantire l’imparzialità dell’organo giudicante si prevede che la competenza spetta al giudice, ugualmente competente per materia, che ha sede nel capoluogo del distretto di corte d’appello determinato dalla legge, sulla base di una tabella incentrata sul criterio della circolarità (finalità: evitare le competenze incrociate). COMPETENZA PER CONNESSIONE La connessione costituisce un criterio autonomo di attribuzione di competenza → in questi casi – in cui deve sussistere un vincolo tra autori o fatti commessi – il legislatore agevola e favorisce la celebrazione simultanea dei vari procedimenti innanzi al medesimo giudice, anche a discapito degli ordinari criteri di competenza per materia o per territorio. La connessione però si pone, per sua natura, in contrasto con le esigenze di accelerazione e semplificazione processuale (in quanto è inevitabile che l’instaurazione di maxiprocessi provochi un intasamento della macchina giudiziaria e un allungamento dei tempi processuali). Secondo quanto disposto dall’art. 12 (=ipotesi tassative), si ha connessione di procedimenti: (a) se il reato per il quale si procede è stato (1) commesso da più persone in concorso o in cooperazione (qualora si tratti di delitti colposi) ovvero se (2) più persone con condotte indipendenti hanno determinato l’evento [in questo caso si registra la presenza di una pluralità di imputazioni tra loro connesse in ordine soggetti cui viene attribuito il medesimo fatto-reato, per cui si suole parlare di connessione soggettiva]; (b) se una persona è imputata di più reati commessi con una sola azione o omissione (concorso formale) ovvero con più azioni o omissioni esecutive del medesimo disegno criminoso (reato continuato); (c) se dei reati per cui si procede taluni sono stati commessi per eseguirne o occultarne altri [in queste ultime due ipotesi si registra pluralità di reati addebitati al medesimo soggetto e si suole dunque parlare di connessione oggettiva]. Secondo le Sezioni Unite, per la configurabilità di questo tipo di connessione NON occorre che l’autore/i del “reato-mezzo” siano i medesimi del “reato-fine” (no identità soggettiva). Con riferimento alla competenza per materia, si attribuirà la cognizione di tutti i reati al giudice di cognizione superiore. Per quanto riguarda, invece, la competenza per territorio, tra tutti i giudici ugualmente competenti per materia, la cognizione spetterà al giudice territorialmente competente per il reato più grave: nel caso in cui i reati siano di pari gravità, soccorrerà il criterio cronologico, il quale vuole che la cognizione sia attribuita al giudice territorialmente competente per il primo reato. In caso di ipotesi di connessione tra procedimenti di competenza del giudice ordinario e del giudice speciale → ① quanto riguarda i rapporti tra giudice ordinario e giudice militare, prevarrà sempre il giudice ordinario, il quale attrarrà nella propria giurisdizione i reati militari; con riferimento, invece, alla ② competenza concorrente tra giudice ordinario e Corte costituzionale, prevarrà sempre la Corte Costituzionale. Per i reati di ③ competenza del tribunale per i minorenni, perché commessi da imputati che al momento del fatto erano minorenni, la connessione NON opera. La competenza funzionale La c.d. competenza funzionale indica il frazionamento dell’attività giurisdizionale in “scansioni” del procedimento che hanno come protagoniste diverse figure di giudici in ragione delle funzioni che i giudici stessi svolgono nel medesimo procedimento – si tratta di una categoria dottrinale. In relazione ai gradi del processo è possibile distinguere: (a) giudici di primo grado – giudice di pace, tribunale ordinario e corte d’assise; (b) giudici di secondo grado – tribunale monocratico, corte d’appello e corte d’assise d’appello; (c) corte di cassazione, cui è demandato il controllo di legittimità sulle decisioni assunte nei precedenti gradi di giudizio. A sua volta ogni grado si articola in tre fasi: (1) fase anteriore al giudizio, nella quale si collocano l’attività del giudice per le indagini preliminari e, successivamente, quella del giudice dell’udienza preliminare; (b) fase del giudizio, dove sono competenti il tribunale, la corte d’appello, la corte d’assise, la corte d’assise d’appello e la corte di cassazione; (c) fase dell’esecuzione, dove sono distinte le funzioni del giudice di esecuzione da quelle della magistratura di sorveglianza. Le attribuzioni del tribunale: Una volta incardinata la competenza del giudice ordinario, si deve stabilire se questo debba giudicare in composizione monocratica o collegiale. Il criterio di riparto è stato indicato dal legislatore con il termine "attribuzione". Si tratta di una sottocategoria della competenza. Alla soppressione dell'ufficio del pretore ed alla contestuale introduzione della possibilità per il tribunale di giudicare in composizione monocratica ha fatto seguito una decisa valorizzazione di questa seconda dimensione, eletta a regola. L'obiettivo di una più rigorosa utilizzazione delle risorse, visto in stretta connessione con i vantaggi che ne possono derivare sul piano dell'efficienza processuale, ha indotto a ridimensionare l'importanza attribuita al principio della collegialità, ed ha spinto verso una dilatazione dello spettro di reati in precedenza attribuiti al pretore. Tale orientamento, significativamente ristretto successivamente, emerge con chiarezza se si riflette sull'ampiezza dell'assegnazione incentrata sul criterio quantitativo: mentre con riferimento al pretore l'art 7 co 1 poneva il limite della pena detentiva non superiore nel massimo a 4 anni, dall'art 1 co 1 della legge delega in materia di giudice è scaturita la direttiva implicante l'attribuzione al tribunale in composizione monocratica dei delitti puniti con pena uguale o inferiore nel massimo a 20 anni. Essendo stati di molto oltrepassati i confini che delimitavano l'originaria competenza del pretore, si è reso necessario l'abbandono del rito pretorile, estremamente semplificato. La legge 479 del 99. la quale ha dettato una nuova regolamentazione del procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, hai indicato un determinato numero di casi nei quali l'imputato può essere rinviato direttamente a giudizio dal pubblico ministero (art 50). Si menziona inoltre l'art 10 della citata legge, con il quale si è proceduto ad un nuovo riparto delle attribuzioni riservate alle due composizioni del tribunale. La riformulazione degli artt 33 bis e 33 ter è stata determinata dal proposito di ridimensionare le attribuzioni originariamente previste per il giudice monocratico, come si ricava dalla correzione apportata al criterio quantitativo, che attualmente consente di devolvere al tribunale collegiale i delitti puniti con la reclusione superiore nel massimo a 10 anni, anche nell'ipotesi del tentativo (inciso aggiunto successivamente onde evitare che una fattispecie delittuosa devoluta al tribunale collegiale in forma consumata, fosse giudicata dal monocratico se rimasta allo stadio del tentativo). Il limite di 10 anni va calcolato applicando le regole dettate dall'art 4. Il criterio quantitativo va tuttavia coordinato con quello qualitativo, che implica deroghe di non trascurabile portata: risultano sottratti al tribunale collegiale taluni delitti puniti con la reclusione superiore a 10 anni, quali i delitti in materia di sostanze stupefacenti, fermo restando che su di essi giudica comunque il tribunale in composizione collegiale quando siano contestate le aggravanti di cui all'art 80 del testo unico in materia di sostanze stupefacenti. Gli vengono attribuiti reati che, in base al suddetto criterio quantitativo, dovrebbero essere giudicati dal tribunale in composizione monocratica. Bisogna far capo all'elenco contenuto al co 1 dell'art 33 bis. Quanto è l'attribuzione del tribunale in composizione monocratica, vale la regola della complementarietà il tribunale monocratico giudica sui reati non attribuiti al tribunale collegiale o da altri disposizioni di legge (es reati di guida in stato di ebrezza). Bisogna ora stabilire l'incidenza di un eventuale vincolo connettivo. In tema, l'art 33 quater dispone che, quando il vincolo riconducibile a taluna delle ipotesi previste all'art 12 intercorre tra procedimenti dei quali alcuni appartengono alla cognizione del tribunale collegiale e altri a quella del tribunale monocratico, si applicano le disposizioni relative al procedimento davanti al giudice collegiale, a cui sono attribuiti tutti i procedimenti connessi. Non è casuale che il legislatore abbia sancito l'applicabilità delle disposizioni relative al procedimento davanti al giudice collegiale: l'incidenza della connessione non è circoscritta alla fase dibattimentale, ma opera anche in rapporto alle indagini preliminari, per le quali si impone l'osservanza delle disposizioni contenute nel libro V del codice (con la non trascurabile conseguenza della celebrazione dell'udienza preliminare anche per l'eventuale reato riconducibile a uno dei casi di citazione diretta previsti dall'articolo 550). La disciplina della riunione e della separazione dei processi: Diversamente dalla connessione, che in quanto criterio attributivo di competenza produce i suoi effetti sin dal procedimento, la riunione e la separazione sono istituti che operano (non solo in primo grado) a partire dal momento in cui, in seguito all'esercizio dell'azione penale, il procedimento si è evoluto in processo. La riunione dei processi produce come risultato della trattazione congiunta di processi in precedenza pendenti innanzi a diversi giudici, sezioni dello stesso ufficio giudiziario, preventivamente individuato in base a normali criteri di competenza. Il rischio di decisioni logicamente contrastanti, alla cui neutralizzazione finalizzata alla connessione, risulta scongiurato solo a condizione che i procedimenti confluiti presso lo stesso ufficio giudiziario siano successivamente riuniti in capo ad un unico giudice. Non è sempre consentita la riunione di processi connessi. Dall'art 17 comma uno si ricava che per la riunione dei processi devono sussistere i seguenti presupposti: 1. la pendenza innanzi al medesimo ufficio giudiziario dei processi da riunire 2. uno sviluppo omogeneo di questi ultimi, che devono trovarsi nello stesso stato e grado una prognosi negativa circa un possibile ritardo nella definizione delle singole vicende processuale 4. . la sussistenza di uno dei casi tassativamente indicati dalla legge (la riunione può essere disposta quando I processi pendenti siano connessi ai sensi dell'art 12, nonche nei casi previst dall'art 371 co 2 lett b) quando siano relativi ai reati dei quali taluni siano stati commessi in occasione di altri, o per conseguirne o assicurarne al colpevole o ad altri il profitto, il prezzo, il prodotto o rimounita o che sono stan commessi da piu persone in danno recioroco le une delle altre ovvero se la prova di un reato o di una sua circostanza influisce sulla prova di un altro reato o di un'altra circostanza). Nonostante il tenore letterale della previsione in esame, si deve ritenere che, ferma restando la necessaria integrazione degli altri presupposti, qualora venga esclusa la sussistenza di un pregiudizio in termini di ritardo nella definizione, la riunione costituisca un atto dovuto. Negli stessi casi e alle stesse condizioni risultanti dall'art 17 comma uno si procede alla riunione configurata dal comma successivo, in cui si stabilisce che se alcuni dei processi pendono davanti alle due diverse composizioni di un medesimo tribunale, viene disposto l'accorpamento in capo al tribunale in composizione collegiale, il quale si pronuncerà su tutte le anche nell'eventualità in cui esse siano oggetto di un successivo provvedimento di separazione. Qualora siano più di uno i processi in grado di attrarre il processo pendente davanti al tribunale in composizione monocratica, dovrà essere designato il giudice o la sezione collegiale cui è stato assegnato per primo uno dei processi (art 2 co 1 bis disp att). La separazione è disciplinata all'art 18, il quale al co 1 elenca una serie di ipotesi in cui il giudice deve scindere un processo cumulativo dalla nascita. Es il delitto addebitato a più soggetti che abbiano agito in concorso tra loro, oppure in seguito alla riunione disposta a norma dell'art 17. si tratta di ipotesi accomunate dal fatto che per taluni imputati o talune imputazioni si versa in una situazione di attesa, mentre per altri imputati o per altri imputazioni è possibile l'immediata trattazione. Ciò può accadere con riferimento alla decisione conclusiva del dibattimento (art 18 co 1 lett e o dell'udienza preliminare (art 18 co 1 lett a). Per un difetto di coordinamento, l'art 18 non risulta adeguato rispetto alla formulazione dell'art 422. Si prospetta inoltre l’opportunità di estendere in via interpretativa l’applicazione all’ipotesi di integrazione delle indagini. Si deve inoltre procedere alla separazione allorché sia stata disposta, ad esempio per le particolari condizioni di infermità psicofisica di un imputato, la sospensione del procedimento: oppure quando, in seguito all'incolpevole assenza in sede dibattimentale di un imputato o del suo difensore, bisogna rinnovare a favore dell'uno o dell'altro la citazione o l'avviso. La legge 4 del 2001 ha introdotto un'ulteriore ipotesi di separazione, da disporre quando il processo abbia come protagonisti uno o più imputati chiamati a rispondere di reati di elevata gravità, ovvero quelli previsti dall'art 407 co 2 lett a, sempre che tali imputati siano prossimi ad essere rimessi in libertà per scadenza dei termini massimi di custodia cautelare, data la mancanza di altri titoli di detenzione. Alla base della separazione vi sono quindi esigenze di celerità che, tuttavia, soccombono di fronte alle esigenze di accertamento. La separazione infatti è esclusa qualora il giudice ritenga che la riunione sia assolutamente necessaria per l'accertamento dei fatti (art 18 co 1). La separazione dei processi può essere altresì disposta sulla base di un accordo tra le parti, sempre che il giudice la reputi utile sotto il profilo della speditezza (art 18 co 2). Per i provvedimenti in tema di riunione e separazione prescritta alla forma dell'ordinanza, che può essere messa anche d'ufficio, sentite le parti e con l'osservanza, per quanto riguarda l'individuazione del giudice del processo riunito, dei criteri indicati all'art 2 co 1 disp att. Procedimenti di verifica della giurisdizione e della competenza: Gli artt 20 e 21 disciplinano le ipotesi di difetto di giurisdizione e competenza. Quanto al difetto di giurisdizione, questo può aversi sia quando un giudice ordinario si ritiene competente in luogo di un giudice speciale (o viceversa), sia quando nessun giudice penale, ordinario o speciale, è fornito della potestà giurisdizionale relativamente ad una determinata fattispecie (difetto relativo o assoluto di giurisdizione). Il co 1 dell'art 20 dispone che il difetto può essere rilevato, anche d'ufficio, in ogni stato e grado del procedimento (quindi a cominciare dalla fase delle indagini preliminari). Se il difetto di giurisdizione è rilevato nel corso delle indagini preliminari, il giudice provede con ordinanza e dispone la restituzione degli atti al pubblico ministero, fermo restando che la sua ordinanza non risolve definitivamente la questione: qualora dovesse mutare la situazione processuale, di fronte ad una successiva richiesta del PM, il giudice potrebbe pronunciarsi sulla stessa riconoscendo implicitamente la propria giurisdizione. A norma del co 2 art 20, dopo la chiusura delle indagini preliminari, e in ogni Stato e grado del processo, il giudice pronuncia sentenza e ordina, eccettuata l'ipotesi di un difetto assoluto di giurisdizione, che gli atti vengano trasmessi all'autorità competente. Quanto al difetto di competenza, occorre preliminarmente distinguere tra l'incompetenza per materia e quelle per territorio e per connessione. La prima, considerata piu grave, puo essere rilevata, a norma dell'art 21 co 1, in ogni stato e grado del processo (quindi non prima che sia stata esercitata l'azione penale): mentre quella per territorio e per connessione deve essere rilevata o eccepita, a pena decadenza, prima della conclusione dell'udienza preliminare, ovvero, se questa manchi o l'eccezione venga respinta in sede di udienza preliminare, entro il termine di cui all'art 491 co 1 per la trattazione delle questioni preliminari. L'art 24 bis disciplina il rinvio pregiudiziale alla corte di cassazione per la decisione sulla competenza per territorio: la corte può essere investita della richiesta purché essa venga sollevata prima della conclusione dell'udienza preliminare o, se questa manchi, entro il termine di cui all'art 491 co 1. La questione può essere sollevata anche d'ufficio. La corte di Cassazione decide con le forme di cui all'art 127 (procedimento in camera di consiglio, pronuncia però con sentenza). Entro il termine di cui all'art 491 co 1, deve essere riproposta la questione relativa alla competenza per territorio formulata in sede di udienza preliminare, fermo restando che, secondo il disposto dell'art 24 bis co 6, l'eccezione di incompetenza per territorio, formulata dalla parte senza la contestuale richiesta di rimettere la decisione alla Corte Cass, non può essere riproposta nel corso del procedimento. Affinchè sia possibile rimettere la questione alla Corte è quindi necessario che l'eccezione, corredata dalla richiesta di rimettere la decisione alla Corte, sia stata ritualmente formulata e respinta dal giudice del merito, senza che quest'ultimo abbia disposto rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione. La decisione della Corte è immediatamente comunicata al giudice che ha rimesso la questione e, se diverso, a quello ritenuto competente, nonché ai relativi uffici del pm e alle parti private. A norma dell'art 438 co 6 bis, in caso di giudizio abbreviato richiesto in sede di udienza preliminare, è preclusa ogni questione sulla competenza territoriale del giudice. VI sono due situazioni che comportano una deroga all'ordinario regime dell'incompetenza per materia: 1) Incompetenza per eccesso › il giudice conosce di un reato che appartene alla cognizione di un giudice di competenza inferiore. In tal caso l'incompetenza può essere rilevata entro il termine di cui all'art 491 co 1 (art 23 co 2). 2) Incompetenza per materia derivante dalla connessione » in base all'art 21 co 3 deve essere rilevata o eccepita entro gli stessi termini previsti per l'incompetenza per territorio. La previsione deve tuttavia ritenersi applicabile soltanto quando la questione venga erroneamente rimessa ad un giudice superiore, mentre per il caso inverso, in cui un giudice inferiore sia investito di una questione per la quale non è competente. si applica il co 1 dell'art 21. Gli artt 22-25 definiscono la forma e gli effetti del provvedimento con cui viene dichiarata l'incompetenza in rapporto ai vari stati e gradi del giudizio di rinvio dopo l'annullamento da parte della Corte di Cassazione o al giudizio per revisione b) art 34 co 2-> non può partecipare al giudizio (termine che si riferisce sia al giudizio abbreviato che all'udienza preliminare) né il giudice che ha pronunciato il provvedimento conclusivo dell'udienza preliminare o ha disposto il giudizio immediato o emesso decreto penale di condanna, né quello che ha deciso sull'impugnazione avverso la sentenza di non luogo a procedere, pronunciata dal giudice dell'udienza preliminare. La Corte Cost è intervenuta numerose volte sull'articolo ampliandone la portata c) Il giudice che in un determinato procedimento ha esercitato le funzioni di giudice per le indagini preliminari non può in quello stesso procedimento emettere il decreto penale di condanna, nè partecipare al giudizio; inoltre, è incompatibile la funzione di giudice dell'udienza preliminare. Il comma 2 ter ha successivamente precisato la portata della disposizione, escludendo la ricorrenza di una situazione di incompatibilità allorché il giudice per le indagini preliminari si sia limitato ad adottare, nell'ambito del medesimo procedimento, tale uno dei seguenti provvedimenti, ritenuti inidonei a determinare una situazione di pregiudizio: il provvedimento con cui si autorizza il trasferimento in un luogo esterno di cura dell'indagato sottoposto a custodia cautelare in carcere è quello con cui si autorizza il medesimo ad essere visitato, a sue spese, all'interno della casa circondariale da un sanitario di fiducia o a sottoporsi, sempre a sue spese, agli interventi medici, chirurgici, terapeutici effettuati nello stesso luogo da parte di personale medico privato. - i provvedimenti relativi ai permessi di colloquio, alla corrispondenza telefonica e al visto di controllo sulla corrispondenza, concernenti di indagato sottoposto a custodia cautelare in carcere - il provvedimento con cui si accoglie o si rigetta la richiesta di un permesso di uscita dal carcere, in presenza dell'imminente pericolo di vita di un familiare o del convivente della persona sottoposta alle indagini, ovvero in presenza di altri eventi di particolare gravità inerenti alla sua famiglia - il provvedimento con cui una parte o un difensore vengono restituiti in un termine stabilito a pena di decadenza - il provvedimento con cui viene dichiarata latitanza dell’indagato. Il co 2 quater specifica poi che il fatto che il giudice abbia provveduto all'assunzione dell'incidente probatorio o comunque adottato uno dei provvedimenti previsti dal titolo settimo del libro non basta a configurare a suo carico una situazione di incompatibilità. il disposto di cui all'art 34 co 2 bis risulta innovativo sotto due diversi profili: da un lato, sancendo un incondizionata incompatibilità al giudizio, assorbe e supera sia quella parte dell'art 34 co 2 bis in cui si fa riferimento al giudice che "ha disposto il giudizio immediato o emesso il decreto penale di condanna", sia quell'ampio ventaglio delle succitate sentenze della Corte costituzionale che hanno ricollegato l'incompatibilità al giudizio del giudice per le indagini preliminari a specifiche situazioni pregiudicanti; dall'altro, escludendo che il giudice per le indagini preliminari possa "tenere l'udienza preliminare' capovolge l'originaria impostazione. d) Infine, non puoi esercitare l'ufficio di giudice in un determinato procedimento chi, in quello stesso procedimento, ha esercitato funzioni di pubblico ministero o ha svolto atti di polizia giudiziaria ovvero un altro ruolo difensore o procuratore speciale di una parte, testimone perito, consulente tecnico) idoneo a comprometterne l'imparzialità. Per la stessa ragione, è altresì incompatibile all'ufficio di giudice che ha proposto alla notizia di reato e che ha deliberato ha concorso a deliberare l'autorizzazione a procedere (art 34 co 3). Le ipotesi di astensione ricusazione sono disciplinate unitariamente all'art 36. Non si può però parlare di una totale coincidenza: non costituisce motivo di ricusazione l'ipotesi, non richiamata dall'art 37, in cui sussistono non meglio specificati e gravi ragioni di convenienza (art 36 lett h), e, viceversa, non costituisce motivo di astensione la manifestazione indebita da parte del giudice, nell'esercizio delle sue funzioni prima che sia pronunciata sentenza, del proprio convincimento sui fatti oggetto dell'imputazione, essendo tale ipotesi contemplata soltanto all'art 37 relativo alla ricusazione (Secondo la Corte Cass si può parlare di indebita manifestazione del convincimento giudiziale ove vi sia un'anticipazione sul merito della imputazione, operata sia all'interno del procedimento che in un procedimento diverso, è sempre che l'anticipazione sia da ritenersi gratuita, ovvero priva di qualsiasi nesso funzionale con l'atto che ha occasionato la presa di posizione del giudice). Per il resto tutti i motivi sono comuni. Ex art 39, concorrendo la dichiarazione di astensione con quella di ricusazione, quest'ultima si considera come non proposta, ove l'astensione venga accolta. Il catalogo risultante dagli artt 36 e 37 è tassativo. Ha l'obbligo di astenersi, può essere ricusata dalle parti, il giudice che abbia interesse nel procedimento; Che sia tutore, curatore, procuratore o datore di lavoro di una delle parti private ovvero che sia prossimo congiunto del difensore, procuratore o curatore di una delle parti; Che abbia dato consiglio manifestate il suo parere sull'oggetto del procedimento fuori dell'esercizio delle funzioni giudiziarie; che sia in rapporto di grave inimicizia con una delle parti private. E ulteriormente previsto l'obbligo di astensione quando alcuno dei prossimi congiunti del giudice o del coniuge è offeso, danneggiato dal reato parte privata; quando un prossimo congiunto, suo o del coniuge, svolga o ha svolto nello stesso procedimento funzioni di pubblico ministero; Ed infine, quando, il giudice si trova in taluna delle situazioni di incompatibilità stabilite dagli art 34 e 35 e dalle leggi di ordinamento giudiziario. Dal punto di vista del procedimento, la divaricazione tra astensione e ricusazione è marcata: per l'astensione è prevista la procedura semplificata di cui articolo 36: la dichiarazione di estensione è presentata al presidente della corte o del tribunale che decide con decreto senza formalità: • per la ricusazione si è in presenza di un impianto normativo che persegue un triplice obiettivo: * accentuare il carattere giurisdizionale della procedura incidentale; " escludere un'automatica sospensione dell'attività processuale in seguito alla semplice presentazione della domanda di ricusazione; • assicurare criteri oggettivi per l'individuazione del giudice che sostituisce quello ricusato. Il procedimento di ricusazione inizia con la presentazione della dichiarazione nella cancelleria del giudice competente e con il deposito di una copia di questa nella cancelleria del giudice ricusato. Dalla presentazione della dichiarazione scatta il divieto per il giudice ricusato di pronunciare sentenza fino a che non sia intervenuta l'ordinanza 'inammissibilità o di rigetto della dichiarazione stessa. L'articolo 38 fissa i termini entro cui va presentata la domanda di ricusazione e le modalità con le quali essa va proposta: si tratta di termini e di modalità sanciti a pena di inammissibilità (art 41). L'articolo 40 indica gli organi competente a decidere sull'istanza di ricusazione (la corte d'appello per la ricusazione di un giudice del tribunale, corte d'assise e corte d'assise d'appello; per la ricusazione di un giudice della corte d'appello o della corte di cassazione, una sezione diversa della medesima corte cui appartiene il giudice). Nell'intento di scoraggiare un uso dilatorio dell'istituto, il legislatore ha potenziato la funzione di filtro della dichiarazione di inammissibilità: la corte, competente a decidere sulla ricusazione, pronuncia ordinanza di inammissibilità, oltre che per mancanza di legittimazione soggettiva e per inosservanza di forme e termini, anche per manifesta infondatezza dei motivi addotti. Si tratta di una scelta non indolore sul piano delle garanzie, dato che la decisione consegue ad una procedura de plano senza avvisi alle parti e nell'assenza di contraddittorio. E previsto però un controllo successivo, realizzabile mediante ricorso per cassazione. Superata la fase dell'ammissibilità, la corte (d'appello o di cassazione) decide, in camera di consiglio, sul merito della ricusazione, con le forme previste, dopo aver assunto le opportune informazioni. Quanto agli effetti della dichiarazione di ricusazione, e pacifico che la semplice presentazione di tale dichiarazione non comporta per il giudice ricusato alcuna limitazione di poteri nello svolgimento dei compiti istituzionali, né tanto meno l'insorgere di un obbligo di astensione (l'unico divieto imposto dalla legge è quello di cui all'art 37 co 2, divieto di pronunciare sentenza). L'accoglimento della dichiarazione di astensione o di ricusazione segna un importante punto di svolta. A tale momento si ricollega il potere del giudice decidente di disporre la conservazione di efficacia degli atti compiuti dal giudice astenutosi o ricusato e, per altro verso, un effetto automatico di divieto assoluto, per tale giudice, di compiere qualsiasi atto del procedimento. Secondo le sezioni unite della corte di cassazione, qualora nel provvedimento che accoglie la richiesta di astensione o di ricusazione manchi una espressa dichiarazione di conservazione di efficacia, gli atti precedentemente compiuti dal giudice astenutosi o ricusato devono essere inefficaci. Tutte le ordinanze che si pronunciano sul merito, emesse dal giudice competente a decidere sulla ricusazione, sono immediatamente eseguibili. È prevista una deroga: effetto sospensivo dell'impugnazione per tutti i provvedimenti emessi in camera di consiglio, a meno che il giudice non disponga diversamente. Diversamente dal codice abrogato che imponeva la condanna a pena pecuniaria come contenuto necessario dell'ordinanza 'inammissibilità o di rigetto dell'istanza di ricusazione, l'articolo 44 prevede tale condanna come facoltativa. Ciò significa che la funzione deterrente svolta dalla condanna non si appunta più su una presunzione assoluta di strumentalità dell'istanza di ricusazione, insita nella pronuncia 'inammissibilità o di rigetto, ma su una valutazione che il giudice della ricusazione deve esprimere caso per caso. Mentre soggetto passivo della condanna può essere solo la parte privata che ha proposto la dichiarazione di ricusazione, è da escludere che la pronuncia ex articolo 44 abbia una qualsiasi rilevanza ai fini dell'eventuale azione civile o penale esercitata per i fatti oggetto del giudizio di ricusazione. La rimessione del processo: Gli articoli 45-49 disciplinano la rimessione del processo, cioè il suo spostamento da una sede all'altra in presenza di turbative ambientali che possono compromettere il suo regolare svolgimento. Anche in questo caso si vuole salvaguardare l'imparzialità di chi giudica: ma ad essere messa in dubbio non è L'imparzialità del magistrato in quanto persona fisica, quanto quella dell'organo giudicante nel suo complesso. La rimessione del processo, seppur perseguendo lo scopo di dare attuazione al dettato costituzionale di cui all'art 111 co 2, interferisce con il principio del giudice naturale garantito dall'art 25 co1 cost. Da qui l'esigenza di una tassativa indicazione delle situazioni idonee a provocare lo spostamento del processo, in maniera che non vi siano margini di discrezionalità nel meccanismo di assegnazione del medesimo al giudice della nuova sede. In base all'originaria versione dell'articolo 45, la translatio iudicii era consentita quando la sicurezza o l'incolumità pubblica, ovvero la libertà di determinazione delle persone partecipanti al processo, risultassero pregiudicate in conseguenza di gravi situazioni locali non altrimenti eliminabili. In un secondo tempo, ha raccolto consensi la diversa tesi secondo cui, nel formulare l'articolo 45, il legislatore delegato avrebbe in realtà indebitamente escluso dai casi di rimessione l’ipotesi del legittimo sospetto, determinando una lacuna da colmare sollecitamente, al fine di garantire una più completa copertura del principio dell'imparzialità del giudice. Questa impostazione si è tradotta in legge: L.7 novembre 2002 n. 248 che ha avuto come obiettivo prioritario quello di ampliare i casi di rimessione. È rimasta pressoché invariata la previgente normativa incentrata sul nesso causale che deve intercorrere tra le gravi situazioni locali, tali da turbare lo svolgimento del processo e non altrimenti eliminabili, e il conseguente pregiudizio alla "libera determinazione delle persone che partecipano al processo" (giudice. parti, difensori, testimoni) ovvero alla "sicurezza" o "all'incolumità pubblica". Il riferimento al carattere locale del fattore inquinante sta ad indicare che il medesimo non deve essere di dimensioni estese (in tal caso risulterebbe inutile lo spostamento), inoltre deve trattarsi di un agente esterno al processo; si richiede infine che la turbativa non sia eliminabile altrimenti (ovvero ricorrendo ad interventi adeguati, anche di carattere amministrativo). Per un altro verso si è ampliata la precedente casistica, essendosi ammessa la rimessione del processo anche nell'ipotesi in cui le suddette gravi situazioni locali determinino motivi di legittimo sospetto. Quest'ultima formula, essendo indeterminata, è suscettibile di dilatare l'ambito di operatività dell'istituto, prima ancorato al criterio del pregiudizio alla "libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo", quindi ad un fatto suscettibile di coartare la volontà del soggetto imponendogli una determinata scelta. Venendo meno il carattere eccezionale dell'istituto, non più ancorato a presupporti tassativi, emergono non poche perplessità circa la conformità del testo del novellato art 45 al canone del giudice naturale precostituito per legge (art 25 co 1), che risulta svilito nel suo ruolo di principio equi ordinato rispetto alle direttive costituzionali inerenti all'imparzialità del giudice. Dall'articolo 45 si ricava anche che la rimessione può essere richiesta in ogni stato e grado del processo di merito dall'imputato, dal procuratore generale presso la corte d'appello e dal PM presso il giudice procedente (la scelta di escludere la parte civile è stata ritenuta legittima dalla Corte Cost, in considerazione sia dell'eccezionalità della fattispecie che del fatto che la parte civile può neutralizzare le implicazioni negative dell'anomala situazione ambientale esercitando l'azione riparatoria in sede civile). Ai sensi dell'articolo 46, la richiesta di rimessione proveniente dall'imputato deve essere, a pena di inammissibilità, sottoscritta da lui personalmente o da un suo procuratore speciale e, sempre a pena di inammissibilità, dopo essere stata depositata nella cancelleria del giudice unitamente ai documenti che la giustificano, notificata, entro 7 giorni, a cura del richiedente alle altre parti. Una volta depositate, la richiesta e la relativa documentazione sono immediatamente trasmesse alla corte di cassazione ad opera del giudice procedente, al quale è consentito formulare proprie osservazioni aggiuntive. Prima dell'intervento legislativo la richiesta di rimessione non produceva di per sé alcun effetto sospensivo, ferma restando la raccolta della corte di cassazione di decretare nel caso concreto la sospensione del processo. In base all'odierna formulazione dell'art 47 co 1 è lo stesso giudice procedente che, in seguito alla presentazione della richiesta, può disporre con ordinanza (inoppugnabile) la sospensione del processo fino a che non sia intervenuta l'ordinanza di inammissibilità o di rigetto. Analogamente, dopo essere stata investita della richiesta, la corte di cassazione può disporre la sospensione. Nel silenzio del legislatore, si deve ritenere che le due ipotesi di sospensione facoltativa appena menzionate debbano ancorarsi ai presupposti del fumus boni iuris e del periculum in mora. Nell'eventualità in cui l'iter del processo non sia stato interrotto, è prevista comunque la sua sospensione obbligatoria, rispetto alla quale funge da necessaria premessa la comunicazione, da parte della corte di cassazione che non avendo | presidente della medesima corte rilevato, nell'ambito del suo esame preliminare alcuna causa di inammissibilità tale da giustifica l'investitura della sezione - filtro, è avvenuta l'assegnazione della richiesta a duna delle altre sezioni della corte oppure alle sezioni unite In seguito a tale comunicazione, il giudice procedente deve sospendere il processo prima dello svolgimento delle conclusioni o della discussione, e resta preclusa la pronuncia sia del decreto che dispone il giudizio, sia della sentenza. Anche in questo caso, la sospensione dura fino a che non venga pronunciata l'ordinanza della corte che dichiari inammissibile o rigetti la richiesta (art 47 co 2 e 3). È esclusa la sospensione quando la richiesta non è fondata su elementi nuovi rispetto a quelli di una precedente richiesta rigettata o dichiarata inammissibile (art 47 co 2). Finché dura la sospensione, restano sospesi i termini della prescrizione del reato e, se la richiesta di rimessione proviene dall'imputato, anche i termini di durata massima della custodia cautelare previsti all'art 303 co 1. È consentito, nonostante la sospensione, il compimento degli atti urgenti (art 47 co 3). La decisione della corte di cassazione, che procede in camera di consiglio, assume la forma dell'ordinanza che potrà essere di inammissibilità, di rigetto o di accoglimento. In quest'ultima ipotesi l'ordinanza (contenete l'indicazione del nuovo giudice) è immediatamente comunicata al giudice designato e al giudice originariamente competente, il quale è tenuto a trasmettere al primo gli atti del processo e a disporre che l'ordinanza della corte venga comunicata al PM notificata alle parti private. Quando rigetta o dichiara inammissibile la richiesta, la corte di cassazione può condannare l'imputato al pagamento di una somma a favore della cassa delle ammende. Quanto alla conservazione degli atti del processo oggetto di rimessione, viene abbandonata la regola originaria che affidava al giudice subentrante il compito di decidere se in che misura gli atti compiuti rimanessero efficaci. Grazie alla nuova formulazione vale ora la regola secondo cui iL giudice designato procede alla rinnovazione degli atti quando qualsiasi delle parti ne faccia richiesta. Con due sole eccezioni: •l'ipotesi che si tratti di atti di cui è divenuta impossibile la ripetizione; •l'eventualità che si versi in una delle due situazioni contemplata all'articolo 190-bis: nel qual caso bisogna tenere conto delle limitazioni sancite dalla disposizione. L'ipotesi di una nuova richiesta di rimessione è regolata dall'articolo 49 che consente l'iterazione sia nel caso in cui la richiesta sia diretta ad ottenere un ulteriore spostamento del processo, sia nel caso in cui essa miri ad ottenere per la prima volta il relativo provvedimento, già negato da un'ordinanza di rigetto o di inammissibilità ulteriore spostamento de processo no essere richiesto quando nella sede designata si ripresenta una situazione riconducibile al disposto dell'articolo 45 ovvero quando, essendo venute meno nella sede originaria le ragioni che avevano indotto a sollecitare l'intervento della corte di cassazione, si creano le premesse per una revoca del provvedimento di rimessione. In presenza di un'ordinanza che abbia rigettato la precedente richiesta o abbia dichiarato l'inammissibilità della stessa per manifesta infondatezza, l'ulteriore richiesta deve essere fondata su fatti nuovi. La richiesta dichiarata inammissibile per motivi diversi dalla manifesta infondatezza può essere sempre riproposta. procuratore generale presso la corte d'appello di riunire i procuratori della Repubblica che procedono ad indagini collegate. Espressione del potere di sorveglianza che il procuratore esercita su tutti gli uffici requirenti appartenenti al proprio distretto sono anche le analitiche comunicazioni dell'elenco delle notizie di reato contro persone note, trasmesse settimanalmente alla segreteria del pubblico ministero. L'unico istituto mediante il quale il procuratore generale presso la corte d'appello subentra, nella titolarità delle indagini preliminari, al procuratore della Repubblica del suo distretto è L'avocazione. Il relativo potere non è generalizzato, ma sempre subordinato a tassative previsioni legislative così da caratterizzarsi come istituto di natura eccezionale. L'avocazione scatta in maniera, per così dire, automatica quando ricorrano le situazioni qui di seguito descritte: a) In primo luogo, nel caso di impossibilità di provvedere, nell'ambito dell'ufficio della procura della Repubblica, alla tempestiva sostituzione del magistrato designato a seguito di astensione o di incompatibilità; b) In secondo luogo, nel caso di omessa tempestiva sostituzione del magistrato da parte del capo dell'ufficio, ricorrendo alcune tra le fattispecie che avrebbero imposto al giudice di astenersi e consentito alle parti di ricusarlo; c) In terzo luogo, nel caso di cui all'art 372 co 1 bis, ove il procuratore generale dispone, sempre con decreto motivato, la vocazione delle indagini preliminari per una serie di delitti di criminalità organizzata, diversi da quelli elencati all'art 51 co 3 bis (nel qual caso è prevista la speciale figura di avocazione esercitabile dal procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo ex art 371 bis co 3 lett h). Ciò accade allorquando, trattandosi di indagini collegate, non risulti effettivo il coordinamento prescritto dall'art 371 co 1 e non abbiano dato esito le riunioni disposte o promosse da procuratore generale. Per dare effettività alla previsione circa la durata delle indagini preliminari, la riforma Cartabia ha previsto un'ipotesi di avocazione facoltativa in caso di mancato esercizio dell'azione penale. Questa può essere disposta dal procuratore generale della Corte d'Appello. È disposto il termine ordinatorio di 30 gg per concludere le indagini avocate. Infine, in un diverso contesto, l'art 412 co 1 prevede l'avocazione facoltativa nel caso di omessa presentazione, nei termini prefissati, della richiesta di archiviazione ovvero di omesso esercizio, sempre nei medesimi termini, dell'azione penale. II c 2 prevede l'applicabilità dell'istituto anche a seguito delle comunicazioni inviate al procuratore generale da parte del giudice per le indagini preliminari allorquando fissa l'udienza in camera di consiglio, non avendo accolto in prima battuta la richiesta di archiviazione ex art 409 co 3, oppure ordina al pm di assumere le sue determinazioni in ordine all'esercizio dell'azione penale ex art 415 bis co 5 quarer. Sempre nell'ambito della discrezionalità si pone la vicenda in cui il procuratore generale, ritenuta ammissibile la richiesta di evocazione formulata dalla persona sottoposta alle indagini o dalla persona offesa, procede di conseguenza. Discrezionale ancora l'ipotesi che si configura a seguito della comunicazione data al procuratore generale da parte del giudice dell'udienza preliminare di aver indicato al pubblico ministero le ulteriori indagini da compiere di integrazione di quelle già svolte, ma ritenute incomplete. Similari sono, in quanto applicabili, i meccanismi previsti per le corrispondenti figure di evocazione nel procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica. In aggiunta al vincolo del decreto motivato, si prevede, inoltre, che copia del provvedimento con cui il procuratore generale presso la corte appello (al pari del procuratore nazionale antimafia nelle ipotesi appena ricordate) dispone l'avocazione delle indagini preliminari è sempre trasmessa al CSM ed ai procuratori della Repubblica interessati. Ciò consente a questi ultimi di proporre reclamo al procuratore generale presso la corte di cassazione. Gli effetti dell'avocazione disposta nel corso delle indagini preliminari perdurano nell'udienza preliminare e durante l'intero processo di primo grado. Per quanto concerne gli altri criteri di distribuzione del lavoro tra i diversi uffici del pm, sebbene il codice riserva l'utilizzo del termine "competenza" alla sola attività giurisdizionale, il criterio è il medesimo, posto che II PM trae la propria titolarità alle funzioni (c.d. legittimazione) in modo riflesso dalla competenza del giudice del dibattimento presso il quale è istituito. Nel corso delle indagini preliminari e nell'intero processo di primo grado la legittimazione spetta al procuratore della Repubblica territorialmente «competente» secondo i criteri stabiliti dagli agli art. 8, 9, 10 e 16, sebbene nel relativo circondario non abbia sede la corte d'assise. Gli art 54 e 54 bis disciplinano i contrasti negativi e positivi tra diversi uffici del pm (assumento il pm il ruolo di parte, è esclusa l'ipotizzabilità di un conflitto tra questi e il giudice). Se il pubblico ministero ritiene che la competenza a conoscere il reato spetti ad un giudice diverso da quello presso cui esercita le sue funzioni, trasmette tempestivamente gli atti all'ufficio del pubblico ministero presso il giudice competente. L'ufficio che ha ricevuto gli atti, ove dissenta, demanda la risoluzione di tale contrasto negativo al procuratore generale presso la corte d'appello o a quello presso la corte di cassazione, qualora appartenga ad un diverso distretto. Il procuratore della Repubblica dissenziente trasmette all'organo risolutore del contrasto tutti gli atti del procedimento in originale o in copia (si noti la differenza con la disciplina dei conflitti di competenza tra giudici, ove la trasmissione riguarda soltanto copia degli atti necessari alla risoluzione del conflitto, per esigenze di segretezza, le quali non hanno ragione di porsi nei confronti di un contrasto che è risolto esclusivamente all'interno degli uffici del pm, senza dare alcuno spazio al contraddittorio). Si noti poi che al procuratore generale non è interdetto di designare un ufficio diverso da quelli tra loro in contrasto. La statuizione del procuratore generale estrinseca la sua portata solo all'interno della fase delle indagini preliminari ed unicamente nei confronti degli appartenenti all'ufficio del pubblico ministero, sicchè la sua portata non è vincolante come quella del provvedimento con cui la Corte Cass risolve un conflitto di competenza. Quanto alla sorte degli atti, II carattere tendenzialmente investigativo degli atti effettuati dalla polizia giudiziaria e dal PM, insieme ai ritmi accelerati impressi alla fase delle indagini preliminari, hanno suggerito di conservare agli atti compiuti prima della trasmissione o della designazione l'efficacia che è loro propria. Pure le misure cautelari non cessano di avere ettetto. non trovando applicazione l'art 27 In parte analoghe sono le cadenze del contrasto positivo. In questo caso, tuttavia, il presupposto è duplice, poiché non basta che le indagini preliminari abbiano ad oggetto il medesimo fatto storico, seppure, magari, diversamente qualificato, ma occorre, al pari di quanto è contemplato per i conflitti di competenza tra giudici, che esse siano a carico della stessa persona: allorquando il PM procedente riceva notizia che presso un altro ufficio sono in corso indagini preliminari così caratterizzate, ne informa senza ritardo il PM presso quest'ufficio, richiedendogli la trasmissione degli atti. A sua volta, il PM che ha ricevuto la richiesta, ove non ritenga di aderirvi, ne informa il procuratore generale presso la corte d'appello ovvero, qualora appartenga ad un diverso distretto, il procuratore generale presso la corte di cassazione. Assunte le necessarie informazioni, il procuratore generale determina con decreto motivato, secondo le regole dettate per la competenza del giudice, quale ufficio debba procedere, dandone comunicazione agli uffici interessati. Il legislatore ha previsto anche una possibile risoluzione anticipata, ricorrente quando, prima della designazione operata dal procuratore generale, uno degli uffici procedenti desista, trasmettendo gli atti all'altro. Quando, invece, due GIP siano investiti contemporaneamente di una richiesta relativa al medesimo fatto, si verifica un conflitto positivo di competenza che sarà risolto dalla corte di cassazione (art 25). Parte della giurisprudenza, considerando che l'art 28 co 3 esclude la possibilità di un conflitto di competenza per territorio generato da connessione in fase di indagini preliminari, aveva ipotizzato che contrasti del genere non sarebbero ipotizzabili, a priori, neanche tra pm. La giurisprudenza maggioritaria tuttavia sconfessa questa tesi. L'art. 54-quater prevede poi un controllo sulla legittimazione del PM a svolgere le indagini preliminari con riguardo ai parametri della competenza per territorio e per connessione. Titolari del potere di promuovere l'incidente sono la persona sottoposta alle indagini, che abbia avuto conoscenza delle indagini a suo carico mediante la comunicazione dell'iscrizione del suo nominativo nel registro delle notizie di reato o l'invio dell'informazione di garanzia, e la persona offesa, nonché i rispettivi difensori. L'elenco dei presupposti può dirsi tassativo, tuttavia non appare dubbio, ad esempio, che la procedura in discorso sia innescabile a seguito di un decreto di perquisizione del pubblico ministero (atto equipollente all'informazione di garanzia). La richiesta di trasmettere gli atti al corrispondente ufficio istituito presso il giudice competente è depositata presso la segreteria del PM procedente, a pena di inammissibilità, corredata delle ragioni poste a sostegno e dell'indicazione del diverso giudice ritenuto competente. II PM, nel termine non perentorio di 10 giorni, è posto di fronte all'alternativa di accogliere la richiesta, trasmettendo gli atti al PM istituito presso il giudice ritenuto competente (anche diverso da quello indicato) o di rigettarla. In tale ultimo caso, e così pure quando non ottenga risposta nel termine prescritto, al richiedente - a cui la decisione deve essere comunicata, resta il potere di investire (nei successivi 10 gg) della questione il procuratore generale presso la Corte di appello o quello presso la Corte di cassazione, qualora il giudice ritenuto competente appartenga ad un diverso distretto. Nel termine non perentorio di 20 giorni dal deposito della richiesta, il procuratore generale, assunte le necessarie informazioni e, se del caso, ottenuta la trasmissione di copia degli atti del procedimento, provvede con decreto motivato dandone comunicazione al richiedente e agli uffici interessati. La richiesta non può essere riproposta, a pena di inammissibilità, salvo che si fondi su «fatti nuovi e diversi». La formula legislativa si limita qui ad esplicitare un principio generale: la decisione, almeno per l'organizzazione degli uffici del pubblico ministero, è resa rebus sic stantibus sicché a superare la clausola non vale, di per sé, la mera indicazione di un diverso giudice ritenuto competente. Chiarito che i termini di durata delle indagini preliminari continuano a decorrere dal momento che non si profila alcuna paralisi nel relativo svolgimento, il legislatore si preoccupa di precisare che gli atti compiuti anteriormente alla trasmissione degli atti sulla base della prima richiesta o della comunicazione del decreto del procuratore generale possono essere utilizzati nei casi e nei modi previsti dalla legge. L'astensione (art 52). L'astensione non è obbligatoria sotto il profilo processuale (mentre può essere doverosa sotto quello disciplinare), si fonda genericamente su «gravi ragioni di convenienza», presuppone una dichiarazione motivata, è decisa dal capo dell'ufficio o dal procuratore generale presso la corte d'appello o presso la corte di cassazione, se riguarda i capi degli uffici. La sostituzione è effettuata con un magistrato appartenente al medesimo ufficio, ma la regola è derogabile allorché si tratti del capo dell'ufficio. In quest'ultimo caso può essere designata alla sostituzione un'altro magistrato del pubblico ministero appartenente ad un diverso ufficio, egualmente legittimato per materia, ma individuato secondo i parametri indicati nell'art 11. Stante la sua qualità di parte, il PM non può essere ricusato. Per quanto riguarda i viceprocuratori onorari, i quali non appartengono all'ordine giudiziario, la disciplina della loro astensione, in termini di obbligatorietà, si rinviene nell'art 19 co 5 d.lgs. 116/2017. La norma si limita ad operare un rinvio a tutti i casi di astensione del giudice onorario di pace regolamentati nei commi precedenti. I rapporti all'interno dell'ufficio: Ciascun ufficio del PM si compone del titolare (procuratore generale presso la corte di cassazione o presso la corte d'appello; procuratore della Repubblica presso il tribunale ordinario) e di uno o più magistrati addetti all'ufficio (sostituti procuratori). Negli uffici delle procure della Repubblica presso i tribunali ordinari possono essere istituiti posti di procuratore aggiunto in proporzione all'organico dell'ufficio. Alle procure collocate presso le sezioni distaccate delle corti d'appello sono preposti avvocati generali alla dipendenza del procuratore generale. I titolari dirigono l'ufficio a cui sono preposti e ne organizzano l'attività, secondo quei criteri di buon andamento ed imparzialità che ispirano il funzionamento della pubblica amministrazione. I titolari esercitano essi stessi le funzioni di pm, allorché non designano uno o più tra gli altri magistrati dell'ufficio. Il titolare può procedere anche ad una designazione congiunta (c.d. pool investigativo) in considerazione del numero degli imputati o della complessità delle indagini o del dibattimento. La piena autonomia del magistrato del PM, rispetto al titolare dell'ufficio, è tutelata dagli artt. 70 comma 4 ord.giud. e 53 comma 1, che attuano la legge delega là dove prescrive che «le funzioni di PM in udienza siano esercitate in piena autonomia». Il riferimento al termine «udienza» consente, pertanto, di assicurare l'autonomia del pubblico ministero nell'udienza preliminare oppure nell'udienza per l'applicazione della pena nella fase delle indagini preliminari o per il giudizio abbreviato, investendolo, addirittura, del potere di rinunciare all'impugnazione, anche se la stessa è stata proposta da altro PM. Tuttavia, considerato il dato letterale, e il sovrapporsi degli istituti di cui agli artt 53 co 3 e 372 co 1 lett b in caso di interpretazione contraria, si deve ritenere che, nell'intera fase delle indagini, la sostituzione operata dal titolare dell'ufficio non incontri i limiti rigorosi stabil iti dall'art. 53 comma 2. La ratio sottostante al riconoscimento codicistico dell'autonomia sta nel consentire che la condotta del magistrato possa adeguarsi all'oralità dell'udienza. Ciò non toglie che il capo dell'ufficio possa impartire direttive sulle premesse dell'udienza (es formulazione dell'imputazione per l'udienza preliminare o consenso da prestare ai fini dell'applicazione della pena richiesta all'imputato). L'autonomia del magistrato del PM nell'udienza comporta che le cause di sostituzione restino circoscritte perché non si risolvano in un espediente volto ad aggirare quel principio. L'art. 53 commi 2 e 3 fornisce, al riguardo, un elenco assai articolato. a) Un primo gruppo si riferisce a cause che consentono una valutazione discrezionale da parte del capo dell'ufficio come il «grave impedimento» e «le rilevanti esigenze di servizio». b) Un secondo - definibile in termini di obbligatorietà - concerne alcune fra le situazioni in presenzadelle quali il giudice sarebbe obbligato ad astenersi: nel rinvio all'art. 36 comma 1 sono state escluse e «eravi ragioni di convenienza». C) Un terzo gruppo riguarda la sostituzione effettuata con il consenso del magistrato interessato: le cause possono essere le più disparate, perché la tutela dell'obiettività della parte pubblica è assicurata dal consenso. Qui possono trovare spazio anche quelle «gravi ragioni di convenienza » che avrebbero potuto sorreggere una richiesta di astensione.Spetterà al capo dell'ufficio scegliere tra le due vie. Nel caso in cui il capo dell'ufficio non abbia proveduto alla sostituzione in presenza di uno dei presupposti considerati nel secondo gruppo: essendo la sostituzione demandata al procuratore generale, con designazione di un magistrato del suo ufficio, si avrà qui una figura simile all'avocazione (efficacia meramente temporanea) Per quanto riguarda la fase delle indagini preliminari, in forza di una lettura a contrario dell'art. 53, parrebbe che il magistrato del PM goda di un certo grado di autonomia. Tuttavia, il capo dell'ufficio può fissare regole generali nonché dettare singole direttive. Il magistrato che contravvenga a simili disposizioni può essere legittimamente sostituito, tramite un provvedimento motivato che revochi l'ordinaria designazione. La disciplina interna all'ufficio va integrata con quella contenuta nel D.Igs. 106/2006 con il quale, il Governo, ha riorganizzato l'ufficio del PM secondo un'impostazione maggiormente verticistica. • L'art 1 del decreto conferisce al procuratore della repubblica, "quale preposto all'ufficio del pubblico ministero", la titolarità esclusiva dell'azione penale. Il relativo precitato Pinto mediante in azione a uno o più magistrati dell'ufficio, e concerne tanto la globale trattazione di uno o più procedimenti, quanto il solo compimento dei singoli atti del procedimento. L'impiego del termine assegnazione Wall segnalare che, a fronte della titolarità formale dell'azione al capo dell'ufficio, ai singoli sostituti è conferito un esercizio della stessa In maniera un intermediata. Il nuovo assetto gerarchico, sempre per quanto concerne le procure della Repubblica presso i tribunali, si coglie poi nel potere del capo dell'ufficio di stabilire i criteri ai quali il magistrato deve attenersi nell'esercizio dell'attività assegnata, e di revocare, con decreto motivato, l'assegnazione in tutti i casi in cui il magistrato non si attenga ai criteri fissati. Il magistrato dell'ufficio può entro 10 giorni dalla comunicazione della revoca presentare osservazioni scritte al procuratore della Repubblica. • II decreto legislativo garantisce al procuratore della Repubblica alcune prerogative allorquando occorre disporre il fermo di indiziato di delitto o richiedere una misura cautelare personale, ovvero una misura cautelare reale: in tali casi, l'atto deve essere oggetto di previo assenso scritto del procuratore della Repubblica, fatte salve le ipotesi in cui la richiesta del provvedimento cautelare sia contestuale alla richiesta di convalida dell'arresto in flagranza o del fimo ovvero a quella di collida del sequestro preventivo disposta in caso di urgenza. Ragioni di efficienza hanno portato ad escludere che, a seguito di una direttiva generale del procuratore della Repubblica, la scritto sia necessario per le richieste di misure cautelari reali. Il proposito legislativo era animato dalla volontà di scongiurare strumentalizzazioni del potere di domanda cautelare da parte di singoli appartenenti all'ufficio del pubblico ministero. • Al solo procuratore della Repubblica è dato intrattenere rapporti con gli organi di informazione (mass media), mentre è fatto espresso divieto ai magistrati dell'ufficio di rilasciare dichiarazioni o notizie ad organi di informazione circa l'attività giudiziaria dell'ufficio. La prassi giudiziaria non si è adeguata al disegno riformatore UFFICI DEL PM DISTRETTUALE: II proposito di accrescere l'efficienza degli apparati giudiziari nei confronti di taluni gravissimi reati di criminalità organizzata di stampo maroso aveva, a suo tempo, suggerito di introdurre una serie di deroghe destinare ad incidere Per far si che i funzionari dei gradi più elevati non dipendano, neppure funzionalmente, dall'autorità giudiziaria, i questori, i vice questori vicari e i generali dell'arma dei carabinieri e della guardia di finanza non rivesto la qualifica di polizia giudiziaria. Tra gli agenti che svolgono funzioni di polizia giudiziaria in via generale vanno annoverati: il personale della polizia di stato, gli appartenenti ai ruoli degli appuntati e dei carabinieri, nonché degli appuntati e delle guardie di finanza e gli appartenenti al ruolo degli assistenti e degli agenti del corpo di polizia penitenziaria. Per quanto concerne le guardie delle province e dei comuni si è inteso armonizzare il dettato codicistico che ha provveduto ad inquadrare l'ordinamento della polizia municipale. In una posizione del tutto particolare si situano coloro che fanno parte della direzione investigativa antimafia. Il relativo personale è investito, oltre che delle funzioni di investigazione preventiva attinente alla criminalità organizzata, anche del compito di effettuare indagini di polizia giudiziaria relative esclusivamente a delitti di associazione di tipo mafioso o ricollegabili all'associazione medesima. L'organizzazione della polizia giudiziaria e la sua dipendenza funzionale dall'autorità giudiziaria: L'attribuzione dei compiti di polizia giudiziaria a funzionari appartenenti alla PA presenta l'inconveniente di consentire ad organi estranei all'attività giudiziaria di condizionare lo svolgimento dei compiti giudiziari. L'esiguità del personale in servizio o la modestia delle attrezzature tecniche fornite alla polizia giudiziaria finirebbero per compromettere così sia l'indipendenza esterna dell'ordine giudiziaria, sia la stessa garanzia di eguaglianza di fronte alla legge. Il costituente dopo aver approvato un ordine che auspicava l'istituzione di un vero e proprio corpo di polizia giudiziaria, all'esclusiva dipendenza della magistratura, si limitò a dettare, nell'articolo 109 Cost., una norma alquanto debole. La corte costituzionale, investita della questione, ha ritenuto che la istituzione di un corpo di polizia alle esclusive dipendenze della magistratura non discenda in maniera ineluttabile dal dettato della costituzione, giacché occorre distinguere la dipendenza funzionale dell'autorità giudiziaria dalla dipendenza burocratica della PA. II codice ha rafforzato più la dipendenza funzionale dell'autorità giudiziaria, specie dal PM, che quella gerarchica, senza mai troncare del tutto la relazione burocratica che lega la polizia giudiziaria all'esecutivo, ossia al ministero presso cui e strutturato il relativo corpo di appartenenza. Benché tutte le funzioni di polizia giudiziaria siano sempre svolte alla dipendenza e sotto la direzione dell'autorità giudiziaria, il legame che si instaura con la medesima è variabile perché costruito in relazione ai diversi apparati amministrativi. L'articolo 56 individua una triplice struttura: -La prima concerne i servizi di polizia giudiziaria: che prevede l'istituzione e l'organizzazione di simili unita da parte del dipartimento di pubblica sicurezza, nei contingenti necessari, determinati dal ministro dell'interno, di concerto con il ministro della giustizia; Servizi centrali ed interprovinciali: costituite dalle amministrazioni interessate; Servizi interforze: in determinate regioni e per particolari esigenze le predette strutture possono costituire i servizi interforze per i delitti di sequestro di persona a scopo di estorsione. Nella stessa prospettiva si colloca l'introduzione di unità antiterrorismo operata, per le esigenze derivanti da indagini su delitti di terrorismo di rilevanti gravità. In sede attuativa è stata collocata la regola secondo la quale fanno parte dei servizi tutti gli uffici e le unità cui, dalle rispettive amministrazioni o dagli organi previsti dalla legge, sono affidate, in via prioritaria e continuativa, le funzioni di polizia giudiziaria. Essendo la destinazione dei capi dei servizi demandata in via esclusiva ai dirigenti degli enti di appartenenza, anche da questo punto di vista si avverte il permanere di uno sbilanciamento tra i poteri di gestione conferiti all'autorità amministrativa rispetto a quelli propri dell'autorità giudiziaria. -Il grado massimo di dipendenza organizzativa e funzionale dell'autorità giudiziaria si coglie in rapporto alla seconda struttura: sezioni di polizia giudiziaria. Esse sono istituite unicamente presso ogni procura della Repubblica, al fine di garantire uno stretto rapporto con l'organo che dirige le indagini preliminari e di scongiurare una proliferazione che avrebbe finito per compromettere il livello di efficienza. Le sezioni sono composte da ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, all'arma dei carabinieri e alla guardia di finanza. Il personale non deve essere inferiore al doppio dei magistrati della procura della Repubblica presso il tribunale ed è stabilito in 2/3 il rapporto numerico tra ufficiali ed agenti di polizia. • Al grado minimo di dipendenza organizzativa e funzionale sono posti (terza struttura) i restanti ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria tenuti per legge a compiere indagini a seguito di una notizia di reato. Trattandosi di una categoria assai eterogenea i profili organizzativi sono demandati per intero agli enti di appartenenza. La regola per cui ogni procura della repubblica dispone della relativa sezione evidenzia la natura privilegiata del legame instaurato tra chi dirige le indagini ed il personale di polizia giudiziaria appartenente alla rispettiva sezione. Pertanto, in questa sola fattispecie la disponibilità da parte del singolo magistrato, oltre che diretta può dirsi anche immediata, non essendo sottoposta né al filtro dei capi dell'organizzazione della polizia giudiziaria, né a quello del dirigente dell'ufficio del PM. Le attività di polizia giudiziaria per i giudici del distretto, ivi compreso il g iudice per le indagini preliminari, sono svolte dalle sezioni istituite presso le corrispondenti procure della Repubblica: qui la disponibilità non è immediata laddove prevede che il giudice ancorché ai fini dell'esercizio dei poteri coercitivi, possa chiedere l'intervento della polizia giudiziaria. Una disponibilità di natura meno intesa è attribuita a qualsiasi autorità giudiziaria nei confronti delle sezioni, dei servizi e dei restanti organi di polizia giudiziaria. I rapporti di subordinazione: Benché gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria restino sempre subordinati, in via di principio, agli enti amministrativi di appartenenza. l'autorità giudiziaria risulta anch'essa investita di una serie di poteri di natura gerarchica. L'articolo 59 costruisce il rapporto di subordinazione con riguardo alla tipologia dell'organizzazione: Le sezioni, considerate quali unità organiche, si pongono in un rapporto di subordinazione nei confronti del procuratore della Repubblica che dirige l'ufficio presso cui esse sono istituite. Vi è il divieto di distogliere gli ufficiali e gli agenti di polizia dalla loro attività se non per disposizione del magistrato dal quale dispendono. Il riferimento all'attività di polizia giudiziaria dimostra come destinatari di un simile divieto siano le singole amministrazioni e non i magistrati che possono avvalersi del personale delle sezioni, tanto che ne abbiano già una propria, quanto che non l'abbiano. L'esclusiva destinazione a compiti di polizia giudiziaria può essere derogata solo in casi eccezionali: • per necessita di istruzione • di addestramento. Ciò nonostante, è sempre necessario il previo consenso del capo dell’ufficio: Nei confronti dei servizi, il rapporto di subordinazione si attenua nel senso che gli ordini dell'autorità giudiziaria sono mediati dalle gerarchie amministrative. La responsabilità personale investe unicamente l'ufficiale preposto al servizio. Dal punto di vista del potere disciplinare, la relativa responsabilità si pone nei soli confronti del procuratore della repubblica presso il tribunale. Il rapporto di subordinazione è ulteriormente rafforzato dall'obbligo, in capo alle singole amministrazioni, di ottenere i consenso del procuratore della repubblica o del procuratore generale presso la corte d'appello per allontanare, anche provvisoriamente, dalla sede o assegnare ad altri uffici i dirigenti dei servizi e di vincolare altresì le promozioni dei dirigenti degli uffici al parere favorevole dei magistrati predetti. In ordine al profilo disciplinare, in sede attuativa si sono individuate le singole fattispecie di illecito con le relative sanzioni, tra cui la grave infrazione consistente nel dare consigli sulla scelta del difensore di fiducia. L'imputato e la persona sottoposta alle indagini: L'individuazione del momento in cui taluno assume la qualità di imputato discende da considerazioni di ordine sistematico ancorate alla volontà di creare un rigido spartiacque tra la fase delle indagini preliminari (il procedimento) e quella successiva all'esercizio dell'azione penale (il processo). Nella prima fase, l'attribuzione di un reato (c.d. imputazione preliminare) presenta un carattere precario connaturato allo stato fluido delle indagini. In sede processuale, invece, superato il dubbio circa la non infondatezza della notizia di reato, l'addebito si cristallizza nella formulazione dell'imputazione che, a sua volta, si risolve nella richiesta dell'indefettibile accertamento giurisdizionale. Facendo coincidere l’assunzione della qualità di imputato con l'atto che contiene la formale individuazione della persona a cui un determinato fatto storico penalmente rilevante è attribuito, e quindi con l'avvenuto esercizio dell'azione penale ex art 407 bis (sicché senza imputato non c'è processo) l'articolo 60 enumera gli atti tipici dai quali tale assunzione scaturisce. Alcuni si configurano quali domande dell'organo dell'accusa, come le richieste di rinvio a giudizio, di giudizio immediato e di decreto penale di condanna. Altri assumono la veste di atti di impulso: il decreto di citazione diretta nel giudizio davanti al tribunale monocratico emesso dal pm (art 550 co 1); la contestazione orale dell'imputazione o il decreto di citazione a giudizio (se l'imputato è libero) nel giudizio direttissimo. Altri sono il prodotto di un incontro di volontà tra le parti, come la richiesta di applicazione della pena formulata o con il consenso prestato dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari. Va aggiunta la contestazione del reato connesso o del fatto nuovo nell'udienza preliminare o nel dibattimento: nonché la formulazione coatta dell'imputazione allorquando la richiesta di archiviazione non sia stata accolta, neppure in seconda battuta, dal giudice per le indagini preliminari. Da ultimo, va considerata la messa alla prova: si pensi all'ipotesi di cui all'art 464 ter co 1 allorché il pm formula l'imputazione avendo la persona sottoposta alle indagini aderito alla proposta di sospensione del procedimento con messa alla prova, nonché a quella di cui all'art 464 ter co 2 e 3, ove il consenso prestato dal pm alla richiesta presentata nel corso delle indagini preliminari concreta un atto di esercizio dell'azione penale. La soluzione qui adottata non è priva di effetti negativi, poiché spesso l'assunzione della qualità di imputato avviene in uno stato del processo assai inoltrato. In particolare, l'averla fatta collimare con l'inizio del processo determina la conseguenza che le indagini anteriori possono ben chiudersi con la semplice emissione del provvedimento di applicazione, anziché con la consueta sentenza di non luogo a procedere, la quale è dotata di una specifica efficacia preclusiva (art 434) nonché di un regime di conoscenza cui è assoggettata. In un sistema dove l'azione penale è irretrattabile, la perdita della qualità di imputato può derivare solo da una sentenza o da un provvedimento ad essa assimilabile. L'articolo 60 2° comma fornisce la relativa casistica (sentenza di non luogo a procedere non più soggetta ad impugnazione, sentenza di proscioglimento o di condanna irrevocabili, decreto penale divenuto esecutivo), da integrarsi con l'ordinanza che dichiara 'inammissibilità dell'impugnazione, nonché con le sentenze che dichiarano il difetto di giurisdizione o di competenza in quanto importano la trasmissione degli atti al PM presso il giudice ritenuto competente. Ai sensi dell'articolo 60 3° comma, la qualità di imputato risorge per effetto: -della revoca della sentenza di non luogo a procedere -> II prosciolto riacquista la qualità di imputato con l'ordinanza che fissa l'udienza preliminare quando il PM abbia richiesto il rinvio a giudizio, essendo già state acquisite le nuove fonti di prova; se, invece, le nuove fonti debbano essere ancora acquisite, l'ordinanza di riapertura delle indagini non produce il medesimo effetto formale. Il prosciolto riassumerà, in tal caso, la qualità di imputato unicamente quando, a seguito delle indagini espletate il PM provveda a formulare l'imputazione. -dell'emissione del decreto di citazione a dibattimento per il giudizio di revisione, essendo la relativa richiesta apparsa inammissibile e non manifestamente infondata. La casistica codicistica contempla ora altre 3 ipotesi di riacquisto dello status di imputato: -art 420 sexies co 4: il Giudice revoca, con decreto, la sentenza di non luogo a procedere per mancata conoscenza del processo allorquando la polizia giudiziaria abbia rintracciato il già imputato e abbia notificato alla persona rintracciata al predetta sentenza • art 629 bis rescissione del giudicato: mezzo straordinario di impugnazione che scatta nel caso in cui sia stata emessa una sentenza di condanna ovvero applicativa di una misura di sicurezza, passata in giudicato e pronunciata all'esito di un processo celebratosi, per tutta la sua durata, in assenza del già imputato. Se il soggetto dimostra che l'assenza è stata causata da una incolpevole mancata conoscenza del processo, la corte di appello dispone la revoca della sentenza e la trasmissione degli atti al giudice del grado in cui la nullità si è verificata. -Istituto dell'eliminazione degli effetti pregiudizievoli delle decisioni adottate in violazione della Convenzione europea de diritti dell'uomo e relativi protocolli addizionali: la reviviscenza dello status di imputato scaturisce dalla sentenza della Corte di Cassazione modulata sulla tipologia della violazione e sull'incidenza effettiva della decisione censurata. Se è statuita la revoca della sentenza o del decreto penale di condanna, avendosi soltanto l'eliminazione degli effetti pregiudizievoli o la trasmissione degli atti al giudice dell’esecuzione, la questione non si pone. Rileva invece il caso in cui è ordinata la riapertura del processo nel grado o nella fase nei quali si procedeva allorquando si è verificata la violazione. In quest'ultimo caso la qualità di imputato viene immediatamente riassunta. In ordine all'estensione alla persona sottoposta alle indagini preliminari delle garanzie e dei diritti attribuiti a chi ha assunto la qualità di imputato, l'articolo 61 ha evitato una costruzione in chiave di riscontri formali: e sufficiente la semplice sottoposizione della persona alle indagini preliminari. Si deve ritenere che l'estensione dei diritti e delle garanzie dell'imputato operi anche in rapporto ad atti non documentabili, quali le notizie o le indicazioni assunte dagli ufficiali di polizia giudiziaria sul luogo o nell'immediatezza del fatto e, data la natura oggettiva del presupposto, anche indipendentemente dall'effettiva iscrizione nel registro delle notizie di reato o dall'invio dell'informazione di garanzia (attività che si pongono in un momento successivo a quello individuabile ex art 61). Taluno diviene persona sottoposta alle indagini a seguito della ricezione da parte della polizia giudiziaria o del PM di una notizia qualificata di reato (denuncia, referto; querela, istanza richiesta allorché forniscano anche la notizia di reato). La riforma Cartabia ha fornito una definizione tanto sul piano oggettivo: -Rappresentazione di un fatto, determinato e non inverosimile, riconducibile in ipotesi ad una fattispecie incriminatrice Quanto su quello soggettivo: - II pm provvede all'iscrizione del nome della persona al quale il reato è attribuito non appena risultino. contestualmente all'iscrizione della notizia di reato o successivamente, inizi a suo carico (per quanto concerne gli indizi di colpevolezza, non si richiede che assurgano al rango di gravi, ma non possono risolversi in meri sospetti). L'impostazione codicistica trae origine dalla nozione di indizio, la quale va distinta dalla nozione di prova indiziaria scaturente dall'art 192. Indizio —>risultato conoscitivo indispensabile per adottare alcune misure, anche ad opera del giudice, nel corso delle indagini preliminari o per farne scaturire determinati effetti diversi dalla decisione sul dovere di punire. Prova indiziaria —> prove critiche (o quantomeno alla parte di esse che si fonda su una massima tratta dall'esperienza umana) assoggettate ad una apposita regola di giudizio al momento della valutazione probatoria. Se trattasi di notizie non qualificate (es voci correnti nel pubblico), la persona può dirsi sottoposta alle indagini a seguito di una valutazione di attendibilità delle medesime espressa dall'ufficiale od agente di polizia giudiziaria o dal PM. Nella prospettiva in esame, conta il fatto obiettivo dell'esecuzione dell'arresto in flagranza, mentre non rileva. né quella del fermo né la richiesta di una misura cautelare personale. Le dichiarazioni rese dall'imputato: L'art 62 dispone che le dichiarazioni comunque rese nel corso del procedimento dall'imputato e dalla persona sottoposta alle indagini non possono formare oggetto di testimonianza. La norma investe non solo le dichiarazioni sollecitate ma pure quelle che il soggetto rilasci di propria iniziativa. In secondo luogo, essa vale, per evidenti ragioni di (denominate "informazioni'" se rese innanzi all'ufficiale di polizia giudiziaria; "interrogatorio" se rese davanti al pm o al giudice in sede di di udienza preliminare) -le dichiarazioni spontanee rese dalla persona sottoposta alle indagini a seguito della presentazione spontanea al pm ex art 374. L'articolo 64 1° comma, stabilendo che la persona assoggettata al regime di custodia cautelare o detenuta per altra causa, intervenga libera nell'interrogatorio, salve le cautele necessarie per prevenire il pericolo di fuga o di violenze, pone una regola di protezione della personalità correlata anche ad una esigenza di economia processuale allorché una persona in stato di arresto o di detenzione domiciliare debba comparire davanti all'autorità giudiziaria. L'articolo 64 2° comma esplicita il principio per cui nel corso dell'interrogatorio non possono essere impiegati metodi o tecniche idonei ad influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare le capacità mnemoniche o valutative. Il riferimento alle "tecniche" impedisce l'utilizzo di strumenti quali l'ipnosi o i lie-detector, prescindendo dall'interesse che il soggetto potrebbe avere a sottoporvisi. Il riferimento ai metodi si pone invec in un rapporto imprescindibile con la concezione dell'interrogatorio come sede di dichiarazioni liberamente prestate in assenza di ogni condizionamento psicologico. In questo quadro si colloca il nucleo essenziale della disciplina del diritto al silenzio della persona sottoposta ad interrogatorio, con i suoi corollari diretti a restringere l'area di quel diritto in rapporto alle eventuali dichiarazioni rese da tale persona con riferimento alla altrui responsabilità. Prima che inizi l'interrogatorio vero e proprio, scatta per l'organo procedente l'obbligo di rivolgere alla persona interrogata un triplice avvertimento (ex art 64 co 3): -in primo luogo, il soggetto deve essere edotto che le dichiarazioni che renderà potranno sempre essere utilizzate nei suoi confronti: -in secondo luogo, deve essere avverto che, termo restando l'obbligo di fornire le proprie generalità, gli compete la facoltà di non rispondere ad alcuna domanda, ma che in ogni caso, il procedimento proseguirà il corso; (i primi due a pena inutilizzabilità delle dichiarazioni eventualmente rese) -in terzo luogo, la persona interrogata deve essere avvertita che se renderà dichiarazioni su fatti che concernano la responsabilità di altri, assumerà in ordine a tali fatti, l'ufficio di testimone. La disciplina alla quale è sottoposto l'indagato investito della qualifica di testimone non è del tutto analoga a quella del testimone non indagato: a tutela del diritto di difesa e della presunzione di non colpevolezza la norma fa salve le incompatibilità a testimoniare sancite dall'art 197, nonché le "garanzie" inerenti alla conduzione dell'esame testimoniale e il regime di non utilizzabilità delle dichiarazioni contro chi le ha rese di cui all'art 197 bis. Questa rete di tutele è stata predisposta al fine di bilanciare il diritto di difesa dell'indagato con il diritto della persona da lui accusata di poter procedere, in dibattimento, al controesame del dichiarante ex art 111 co 4 cost. Per dette ragioni, nel caso in cui queste prescrizioni informative non vengano rispettate, l'indagato non potrà assumere la qualifica di testimone e le dichiarazioni da lui rese non potranno essere utilizzate contro altri (ferma restando la c.d. inutilizzabilità relativa, contra se). L'articolo 64 comma 3-bis, oltre ad imporre un dovere informativo, assolve anche il compito di dettare i presupposti da cui scaturiscono gli obblighi testimoniali in capo all'imputato. L'art 197 bis co 2 subordina infatti 'ammissibilità della testimonianza assistita dell'imputato alla circostanza che si sia verificato il caso previsto dall'art 64 co 3 lett c. Il d.lgs. 101/2014 (in attuazione ad una direttiva europea) impone di somministrare l'avviso della facoltà di non rispondere subito dopo l'esecuzione delle più severe restrizioni della libertà personale. Bisogna tener conto delle condizioni di stress in cui versa il soggetto al momento dell'arresto o del fermo, tali da spingerlo a rendere dichiarazioni avventate, specie con l’intento subito di discolparsi, ma che potrebbero poi essere usate contro di lui nel prosieguo del processo. Infatti, le dichiarazioni che la polizia giudiziaria riceve spontaneamente dall'indagato possono essere usate sia a fini contestativi in sede dibattimentale sia in chiave probatoria nei riti alternativi al dibattimento. Dall'esercizio del diritto di non rispondere l'organo procedente non può ricavare conseguenza alcuna. La regola è stata esplicitata dal legislatore all'art 274 lett. a. Una volta somministrati gli avvertimenti preliminari entrano in gioco le prescrizioni dettate per l'interrogatorio nel merito dall'art 65. Esse presentano un carattere più specifico, operando esclusivamente per l'atto assunto dall'autorità giudiziaria e si risolvono in puntuali obblighi: contestare in forma chiara e precisa alla persona sottoposta alle indagini il fatto attribuitole. ma non farle conoscere già nella fase delle indagini preliminari il titolo del reato addebitato, renderle noti gli elementi di prova esistenti a suo carico e, se non può derivarne pregiudizio per le indagini, comunicargliene le fonti. L'invito a presentarsi deve già contenere l'inserzione della sommaria enunciazione del fatto quale risulta dalle indagini fino a quel momento compiute, nonché se il PM vuol presentare richiesta di giudizio immediata, pure l'indicazione degli elementi e delle fonti di prova insieme all'avvertimento circa il rito prescelto. La dimensione dell'interrogatorio come strumento difensivo emerge appieno dall'invito ad esporre quanto la persona ritenga utile per discolparsi e dalla mancata riproduzione dell'invito ad indicare le fonti di prova a proprio favore, nonché dall'assenza dell'obbligo di dire la verità, salvi i limiti scaturenti dalle norme che incriminano l'autocalunnia, la calunnia o il favoreggiamento personale. La tecnica adottata è quella delle domande poste in via diretta dal solo organo procedente. L'identificazione e l'esistenza in vita dell'imputato: Le questioni relative all'identificazione dell'imputato (contrassegni che caratterizzano l'individuo nella vita di relazione) ed alla sua esistenza in vita sono affrontate con una tecnica legislativa assai semplificata. Per quanto concerne il profilo dell'identità personale o anagrafica (art 66), nel primo atto del procedimento in cui è presente l'imputato, l'autorità giudiziaria lo invita a dichiarare le proprie generalità o quant'altro può valere ad identificarlo. L'impossibilità di attribuire all'imputato le sue esatte generalità è irrilevante in quanto non pregiudica il compimento di alcun atto da parte della polizia giudiziaria o dell'autorità giudiziaria, purché sia certa l'identità fisica della persona. L'attribuzione di generalità erronee è trattata alla stregua di un mero errore materiale, così da far luogo alla rettificazione mediante il relativo procedimento in camera di consiglio. Allo scopo di ridurre il margine dei possibili errori nell'applicazione dei c.d. benefici penali, a causa dell'incompleta identificazione del soggetto e dei suoi precedenti penali, si prevede che l'autorità giudiziaria debba, in ogni stato e grado del procedimento comunicare a quella competente ai fini dell'applicazione della legge penale la circostanza che l'indagato o l'imputato è già stato segnalato, magari sotto diverso nome, all'autorità giudiziaria quale autore di un reato commesso antecedentemente o successivamente a quello per il quale si procede. Dal profilo dell'identità personale si distingue quello dell'identità fisica che, per l'imputato, si sostanzia nella coincidenza tra la persona nei cui confronti è esercitata l'azione penale e quella che in effetti è assoggettata a processo. Tocca al PM, nella fase delle indagini preliminari, disporre gli accertamenti del caso, sulla base dei quali saranno formulate le conseguenti richieste al giudice. Se il dubbio insorge nel processo, le determinazioni saranno tratte dal giudice dell'udienza preliminare o del dibattimento. Il codice non affronta il tema dell'errore sull'identità fisica che risulti nel corso della fase delle indagini preliminari: soccorre in proposito l'ampiezza delle formule per le quali è consentito al PM richiedere il decreto di archiviazione (art 411). Se l'errore di persona risulta evidente, l'arrestato in flagranza o il fermato deve essere immediatamente liberato. Se l'errore di persona risulta invece nel processo, il giudice, ai sensi dell'art 68, sentiti obbligatoriamente il pm e l'imputato, pronuncia sentenza ex art 129. Premesso che la norma va coordinata con l'art 620 lett g (annullamento senza rinvio disposto dalla corte di cassazione, a seguito di condanna pronunciata per errore di persona), va circoscritta la portata dell'art 129, il quale comprende sia le pronunce di rito che quelle di merito. Nell'ambito dell'errore di cui si discorre la conclusione dà luogo ad una pronuncia nel merito. Per converso, l'errore di persona continua a sfociare in una sentenza meramente processuale: per cui la sentenza resa ex art 68, pur se irrevocabile, è sprovvista dell'efficacia del ne bis in idem, sicché la persona erroneamente estromessa dal processo torna ad esservi assoggettata allorquando. in seguito, risulti essere il vero imputato. L'incertezza circa l'età minore dell'imputato è sciolta dal giudice minorile con le forme caratteristiche del rito. La soluzione è coerente ad un sistema che demanda al giudice specializzati la cognizione di tutti i reati commessi da minori degli anni 18 e risponde, al tempo stesso, all'intento garantistico di evitare che durante il tempo occorrente per l'espletamento della relativa perizia. la persona della cui età minore si dubita possa rimanere a contatto, se sottoposto a custodia cautelare in carcere, con imputati maggiorenni. In coerenza con queste premesse, quando l'autorità giudiziaria abbia ragione di ritenere che l'imputato o la persona sottoposta alle indagini sia minorenne, trasmette gli atti al procuratore della Repubblica presso il tribunale minorile (ora denominato "tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie"). L'incertezza sull'esistenza in vita dell'imputato non è più disciplinata dal codice. Se il dubbio è risolto nel senso della morte, il PM nel corso delle indagini preliminari chiede l'archiviazione per estinzione del reato. Mentre, nel corso del giudizio, il giudice proscioglie. Posto che la morte dell'imputato si risolve in una causa estintiva del reato, la relativa declaratoria rimane subordinata in modo esplicito alla gerarchia delle formule scaturente dall'art 129 co 2. Pertanto, l'accertamento della morte non impedisce, ove risulti palese che il fatto non sussiste, che il giudice adotti la relativa formula. L'esito rileva ai fini dell'efficacia esecutiva conferita alla sentenza di assoluzione nel giudizio civile o amministrativo di danno intentabile contro gli eredi (art 652). La sentenza erroneamente dichiarativa dell'estinzione del reato per morte dell'imputato non impedisce un nuovo esercizio dell'azione penale per il medesimo ratto a carico della medesima persona. Infermità psicofisica e partecipazione cosciente: Ogni persona fisica è legittimata ad assumere la qualità di imputato, ossia è titolare della capacità ad essere parte nel processo penale. Tale capacità difetta negli infanti e negli immuni, da distinguersi in "assoluti o relativi", a seconda che l'esenzione dalla giurisdizione valga per tutte le imputazioni o solo per alcune. Ma, a proposito dell'immunità relativa, il processo può ben instaurarsi al solo fine di verificare se il fatto è coperto dal privilegio. Nozione distinta è quella di capacità processuale dell'imputato, che si risolve nell'idoneità ad esercitare, all'interno del processo. i diritti e le facoltà ricollegati all'assunzione di tale qualità, in genere. la capacità processuale dell'imputato (quale profilo della capacità di agire) coincide con la sua capacità di essere parte (quale profilo della capacità giuridica), in quanto i requisiti della seconda sono sufficienti al compimento degli atti propri dell'imputato. Esistono tuttavia alcune situazioni di frattura: ad esempio, l'imputato nel giudizio di cassazione è privo della capacità processuale, dovendo stare in giudizio a mezzo di difensore, che assume la veste di suo rappresentante. L'eccezione più vistosa è rappresentata dall'ipotesi dell'infermità mentale dell'imputato sia antecedente che sopravvenuta al fatto costituente reato. La relativa tematica è oggetto di una trattazione assai articolata, essendosi voluta costruire una disciplina che garantisse nella maggior misura possibile l'esercizio della difesa personale nella logica del modello accusatorio. II presupposto dell'infermità mentale dell'imputato è commisurato non più sul parametro penalistico della non imputabilità, ossia sulla mancanza della capacità di intendere e di volere, bensì sulla idoneità del soggetto a partecipare coscientemente al processo. L'elasticità della formula di cui all'art 70 permette di ricomprendere situazioni in cui l'infermità e solo diminuita, senza che sia scomparsa, purché produca l'effetto di impedirne una consapevole partecipazione. Restano irrilevanti, ai fini della disciplina in discorso, le situazioni nelle quali l'esercizio dell'autodifesa è ostacolato da altre cause, prime fra tutte le infermità fisiche sopravvenute. Ad esse pongono un rimedio, sia pure parziale, istituti quali la sospensione o il rinvio dell'udienza. Parte della dottrina aveva già sottolineato l'esigenza di tener conto anche delle malattie fisiche, qualora queste impedissero all'imputato di partecipare attivamente e consapevolmente al processo. L'interpretazione evolutiva è stata accolta dalla Corte Cost, la quale nella sentenza 39/2004 ha affermato che "quando uno stato di infermità renda non utilizzabili le facoltà mentali dell'imputato, in modo tale da impedirne un'effettiva partecipazione al processo, questo non può svolgersi". La valutazione sull'esistenza dell'infermità di mente dell'imputato non è necessariamente subordinata, stando alla giurisprudenza prevalente, all'esito di un'indagine peritale, disponibile anche d'ufficio. Il giudice può persuadersene anche sulla base di elementi ricavabili da perizie appena espletate o da manifestazioni conclamate. Qualora la perizia psichiatrica venga disposta, nel lasso di tempo occorrente per il suo svolgimento l'attività giudicante subisce una "paralisi parziale": il giudice può assumere solo le prove che possono condurre al proscioglimento dell'imputato e, sempre su richiesta delle parti, anche altre prove unicamente nel caso di pericolo nel ritardo (art 70 co 2). Qualora la necessità di provvedere sorga durante la fase delle indagini preliminari, la perizia è disposta dal giudice solo su richiesta delle parti nelle forme dell'incidente probatorio (art 70 co 3), restando nel frattempo sospesi i termini per le indagini preliminari. Accertato che lo stato psichico dell'imputato ne impedisce la cosciente partecipazione, pur manifestando allo stato carattere reversibile, qualora il giudice non debba pronunciare sentenza di non luogo a procedere o proscioglimento, egli emette ordinanza di sospensione. L'ordinanza produce una pluralità di effetti: -il più rilevante tra di essi è costituito dall'obbligo di nominare un curatore speciale a favore dell'imputato. Al curatore è consentito sia di ricorrere per cassazione avverso l'ordinanza di sospensione, sia di assistere agli atti disposti sulla persona dell'imputato, nonché a quelli rispetto ai quali tale potere è riconosciuto all'imputato stesso: -obbligatoria separazione del processo (art 18 co 1 lett b); -inoperatività della regola posta dall'articolo 75 3° comma circa la sospensione obbligatoria del processo civile. Sul piano sostanziale l'articolo 159 1° comma prevedeva che il corso della prescrizione rimanesse sospeso, facendo però salve le esigenze di cui all'art 71 co 1 e 3 cpc. Il tentativo di contemperare il diritto di difesa con le esigenze della repressione penale è suscettibile però di dare vita alla figura dell'eterno giudicabile, vale a dire dell'imputato che, affetto da infermità psichica irreversibile, resta assoggettato alla giurisdizione penale per tutto il resto della vita. Facendo propria una proposta dottrinale la I. 103/2017 ha introdotto l'articolo 72-bis con l'intento di definire il procedimento in tempi ragionevoli. Pertanto, se dagli accertamenti, svolti immediatamente o anche successivamente, risulta che lo stato mentale dell'imputato è tale da impedirne la cosciente partecipazione al procedimento in modo irreversibile. il giudice, revocata, ove necessario, l'ordinanza sospensiva, emette sentenza di non luogo a procedere o di non doversi procedere. La costruzione di una condizione di improcedibilità si armonizza con la tendenza legislativa ad incrementare i relativi casi alla luca dei vantaggi che ne discendono su terreno dell'economia processuale. La costruzione dell'incapacità a partecipare coscientemente al procedimento alla stregua di una causa di improcedibilità consente di procedere nuovamente ove si scopra che il soggetto ha fraudolentemente simulato l'infermità di mente. L'articolo 72-bis eccettua dalla pronuncia della sentenza di non doversi procedere per incapacità irreversibile le fattispecie in cui si debba applicare una misura di sicurezza dalla confisca. Premesso che nel sistema penale vigente l'applicazione di misure di sicurezza personali presuppone la pericolosità sociale del soggetto al momento del fatto, è indubbio che la misura di sicurezza potrà scattare solo in via provvisoria, non potendovi essere, per definizione, alcuna condanna per il reato addebitato. Merita poi ancora rammentare che l'applicazione provvisoria di simili misure impone lo svolgimento di accertamenti periodici sulla permanenza della pericolosità sociale, ai sensi dell'art 313 co 2. Tuttavia, al fine di scongiurare la formazione di ergastoli bianchi e stato introdotto un termine di durata massima per le misure di sicurezza detentive, siano esse applicate in via provvisoria oppure in via definitiva, pur escludendo dalla portata della regola garantista i soli reati puniti con la pena dell'ergastolo. Inizialmente si riteneva che il vizio di mente dovesse sussistere a momento del compimento del ratto, ora la clausola penale dell'articolo 72-bis vale a coprire anche l'ipotesi in cui l'imputato, divenuto dopo la commissione del reato incapace di partecipare irreversibilmente al procedimento, risulti, allo stesso tempo, socialmente pericoloso. Dubbi interpretativi derivano dal mancato coordinamento tra le ipotesi di sospensione ex art 71 co 1 e quella ex art 72 bis ultima parte. Tra i casi di sospensione del procedimento, sine de e, andrebbe collocato anche quello in cui, pur rimanendo sempre irreversibile lo stato di incapacità, difettano le condizioni per pronunciare sentenza di improcedibilità proprio perché sussistono i presupposti per applicare in via provvisoria una misura di sicurezza diversa dalla confisca. Un'interpretazione sistemica costituzionalmente orientata II 2 comma deve essere coordinato con gli articoli 651 e 652, dai quali emerge una regolamentazione che può essere sintetizzata nei seguenti termini: nell'ipotesi in cui il processo penale sì concluda con una sentenza irrevocabile di condanna, il danneggiato può sfruttare nel giudizio civile l'efficacia di giudicato ad essa riconosciuta dall'art 651 co 1, mentre non può accadere il contrario (è esclusa l'efficacia di giudicato della sentenza assolutoria). II 3° comma dispone, in via di eccezione, che il processo civile rimane sospeso in attesa del giudicato penale qualora l'azione sia stata proposta in sede civile dopo la sentenza di primo grado o dopo la precedente costituzione di parte civile nel processo penale. II 3° comma fa salve le eccezioni previste dalla legge, poste per evitare il pregiudizio di una simile previsione nelle ipotesi in cui l'esodo dal processo penale sia il risultato di una situazione subita dal danneggiato, anziché di una sua libera scelta, con la conseguenza che il giudizio civile prosegue senza interruzioni quando: -il processo penale è stato sospeso per incapacità dell'imputato; -vi è stata esclusione della parte civile: sebbene ricorrano i presupposti stabiliti dalla legge per tale adempimento, non risulta possibile notificare personalmente all'imputato assente l'avviso dell'udienza preliminare; -la parte civile ha abbandonato il processo penale in seguito alla sua mancata accettazione del rito abbreviato; -l'esodo della parte civile consegue alla pronuncia di una sentenza che applica la pena su richiesta delle parti; -viene accolta dal giudice la richiesta di sospensione del processo con messa alla prova; -il danneggiato, già costituitosi parte civile, esercita l'azione civile in sede propria, dopo che il giudice penale ha dichiarato estinto il reato per intervenuta oblazione. Il responsabile civile: Oltre che nei confronti dell'imputato, il soggetto danneggiato dal reato può agire per le restituzioni e il risarcimento del danno nei confronti della persona fisica o dell'ente plurisoggettivo (anche non personificato), che ex art 185 co 2 cp, a norma delle leggi civili, a rispondere per il fatto dell'imputato. Voi tra le ipotesi nelle quali la legge civile configura una responsabilità per fatto altrui vi sono: l'art 1784 responsabili tà dell'albergatore per le cose consegnate dai clienti; l'art 2047 responsabilità della persona tenuta alla sorveglianza per il danno cagionato; l'art 2047 responsabilità dei genitori e dei tutori per i danni cagionati dal fatto illecito dei figli minori non emancipati o delle persone soggette a tutela; l'art 2049 responsabilità dei padroni o committenti per i danni arrecati dal fatto illecito dei domestici e commessi; L'art 2054 co 3 responsabilità del proprietario di un edificio per i danni provocati dalla sua rovina). A questo soggetto, obbligato in solido con il protagonista del processo penale, il codice di rito riserva il nome di responsabile civile. La presenza del responsabile civile è strettamente collegata all’inserimento o al mantenimento, da parte del danneggiato, della pretesa restitutoria o risarcitoria all'interno del processo penale. Si è previsto che il responsabile civile venga citato su richiesta di parte e che possa, altresì, intervenire volontariamente nel processo penale. Non è ipotizzabile un intervento del responsabile civile antecedente alla costituzione di una parte civile. Per converso, al recesso o all'esclusione di quest'ultima consegue l'estromissione del responsabile civile (art 83 co 6 e 85 co 4). Legittimati a richiedere la citazione sono esclusivamente: -la parte civile, che ha un trasparente interesse a fare intervenire il coobbligato solidale: -il PM, limitatamente all'ipotesi in cui, sul presupposto di una assoluta urgenza, abbia esercitato l'azione civile a favore dell'infermo di mente o del minore art 77 co 4). Ferma restando l'incompatibilità tra il ruolo di imputato e quello di responsabile civile (in quanto l'imputato, se condannato, e comunque civilmente responsabile in solido anche per il fatto dei coimputati), è tuttavia consentito chiedere la citazione di un imputato come responsabile civile per il fatto dei coimputati, giocando d'anticipo rispetto all'eventualità che nei suoi confronti venga pronunciata sentenza di proscioglimento o non luogo a procedere. Quanto ai termini, l'art 83 co 2 stabilisce solo il termine finale: ovverosia che venga proposta al più tardi per il dibattimento, formula che evidentemente non osta ad una citazione del responsabile civile per l'udienza preliminare. Verificato il fumus boni iuris della richiesta, il giudice procedente ordina la citazione con decreto, La citazione è nulla qualora, per omissione o per erronea indicazione di qualche elemento essenziale, il responsabile civile non sia stato in grado di esercitare i suoi diritti nell'udienza preliminare o nel giudizio, ovvero qualora risulti nulla la relativa notificazione. È importante sottolineare che il responsabile civile, regolarmente citato, non è tenuto ad intervenire nel processo. Può optare per una scelta rinunciataria, che peraltro non neutralizza il potere del giudice di addebitargli, in sentenza, la responsabilità per il fatto dell'imputato; viceversa può decidere di costituirsi, ferma restando che solo in questa seconda ipotesi assume la qualità di parte e si può avvalere delle relative facoltà. A pari della parte civile, il responsabile civile sta in giudizio col ministero di un difensore, e può costituirsi in ogni stato e grado del processo, anche per mezzo di procuratore speciale, depositando nella cancelleria del giudice procedente o presentando in udienza una dichiarazione che deve contenere, a pena inammissibilità, gli elementi di cui all'art 84 co 2. Se la citazione è regolare, l'assenza del responsabile civile non determina la sospensione o il rinvio del dibattimento, né una nuova fissazione dell'udienza preliminare ex art 420 bis e 420 ter. Anche se non è stato citato, il responsabile civile può intervenire volontariamente nel processo penale sempre che vi sia stata una costituzione di parte civile o il PM abbia agito come supplente. Sebbene, qualora il responsabile civile non venga citato, non potrebbe essere pronunciata condanna nei suoi confronti, e non subirebbe l'efficacia extrapenale di un'eventuale giudicato di condanna, è facile comprendere il pregiudizio che gli deriverebbe, come convenuto nell'eventuale giudizio civile, dall'esistenza di una pronuncia che sancisce la responsabilità dell'imputato, sicché questi potrebbe intervenire volontariamente ad esempio per contribuire alla dimostrazione di non colpevolezza dell'imputato o per contestare l'elemento fondante della sua obbligazione solidale. Dal punto di vista temporale, esiste un termine finale, stabilito a pena di decadenza, che coincide con l'effettuazione, del dibattimento di primo grado, degli accertamenti relativi alla costituzione delle parti ex art 484. L'art 85 co 2 esclude la facoltà di presentare la lista dei testimoni, periti e consulenti tecnici qualora l'intervento volontario sia avvenuto al di la del termine fissato dall'art 468 co 1. Tanto la citazione quanto l'intervento del responsabile civile perdono efficacia in caso di revoca della costituzione di parte civile o di esclusione di quest'ultima ai sensi degli articoli 80 e 81. Oltre a queste ipotesi di estromissione del responsabile civile, va tenuta presente la possibilità di una sua esclusione su richiesta di parte o di ufficio. Le parti legittimate a proporre l'esclusione sono l'imputato, la parte civile e il PM. Ad esse va aggiunto il responsabile civile, costituitosi a seguito di citazione, il quale può richiedere la propria esclusione, oltre che per ragioni attinenti alla legittimazione, anche qualora gli elementi di prova raccolti prima della citazione possano recare pregiudizio alla sua difesa, in relazione a quanto previsto dagli art 651 e 654: accolta la richiesta di esclusione, viene meno infatti il presupposto risultante dagli artt 651 co 1 e 654 per il riconoscimento dell'efficacia extrapenale del giudicato penale.. La richiesta motivata di esclusione, sulla quale il giudice decide, con ordinanza, senza ritardo, deve essere proposta, a pena di decadenza, non oltre il momento degli accertamenti relativi alla costituzione delle parti nella udienza preliminare o nel dibattimento. Consegue una coincidenza con il termine riservato al giudice per l'esclusione d'ufficio del responsabile civile. L'esclusione sarà disposta, con ordinanza inoppugnabile, sia qualora venga accertata la mancanza dei requisiti per la citazione o per l'intervento del responsabile, sia qualora venga accolta dal giudice la richiesta di giudizio abbreviato. Quanto alla ratio di questa seconda ipotesi di esclusione, oltre all'esigenza di semplificazione va tenuta presente la fisionomia del giudizio abbreviato che implica una decisione allo stato degli atti, sulla base cioè del materiale probatorio raccolto durante le indagini preliminari, alle quali il responsabile civile è estraneo. Se l'esclusione del responsabile civile e stata deliberata su richiesta della parte civile, viene meno, per il soggetto danneggiato dal reato, la possibilità di esercitare l'azione riparatoria in sede propria. II civilmente obbligato per la pena pecuniaria e l'ente responsabile per l'illecito amministrativo dipendente dal reato: Una persona (fisica o giuridica) può essere assoggettata in via sussidiaria ed eventuale, ad una obbligazione civile pecuniaria pari all'importo della multa o dell'ammenda inflitta al condannato: più esattamente si può affermare che la responsabilità della persona civilmente obbligata si concretizza nel momento in cui il condannato risulta insolvibile. Non è prevista la possibilità di un intervento volontario (non essendoci alcun interesse, poiché se estraneo al processo, il soggetto scongiura l'ipotesi di essere condannato), la persona civilmente obbligata può essere citata, per l'udienza preliminare o per il giudizio su richiesta del PM o dell'imputato (art 89 co 1). Per quanto concerne la citazione, la costituzione e l'esclusione della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria, l'articolo 89 2° comma rinvia alla normativa dettata per il responsabile civile, escludendo però l'applicabilità dell'art 87 co 3, sicché non viene disposta l'esclusione del civilmente obbligato qualora il giudice accolga la richiesta di giudizio abbreviato. La normativa attuale prevede inoltre l'irrogazione di sanzioni amministrative. consistenti nella sanzione pecuniaria, nelle sanzioni interdittive, nella confisca e nella pubblicazione della sentenza, a carico degli enti forniti di personalità giuridica, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, qualora vengano accertati reati commessi nel loro interesse o a loro vantaggio da parte di persone che rivestano funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente, nonché di persone che ne esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo, ed infine, di persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza dei soggetti precedentemente menzionati. La cognizione dell'illecito civile amministrativo addebitabile all'ente appartiene al giudice penale competente per il reato dal quale l'illecito amministrativo dipende. Se intende partecipare al procedimento penale con il proprio rappresentante legale, l'ente, al quale si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni processuali relative all'imputato, deve costituirsi depositando in cancelleria una dichiarazione contenete, a pena di inammissibilità, oltre alla denominazione e alle generalità del legale rappresentante, il nome del difensore, la sottoscrizione del medesimo, la dichiarazione o l'elezione di domicilio. La partecipazione dell'ente al processo penale è solo eventuale: nell'ipotesi di una sua mancata costituzione bisogna procedere alla dichiarazione di contumacia. La persona offesa dal reato: Alla persona offesa dal reato, definita quale titolare dell'interesse protetto dalla norma penale che si intende violata, spetta la qualità di soggetto, anziché quella di parte. Nel nostro ordinamento alla persona offesa dal reato è riservato un ruolo non particolarmente incisivo, che non può certo ritenersi compensato dalla scelta di dilatare la relativa nozione, e di riconoscere, quindi, lo status di persona offesa a soggetti che non sono titolari del bene giuridico tutelato dalla norma penale. Nelle fonti sovranazionali europee è stabilito a carico dei singoli stati il compito di assicurare un ruolo effettivo e appropriato alla vittima che intervenga nel processo penale. Va menzionata la direttiva 2012/29/UE del parlamento europeo e del consiglio, che detta norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato. È soprattutto grazie all'influenza delle direttive europee che il legislatore italiano ha integrato la normativa originariamente contenuta nel codice di procedura penale, considerando più attentamente le esigenze della persona offesa -d.l. 93/2013: mediante il quale sono state dettate disposizioni per il contrasto della violenza di genere. -d.lgs. 24/2014: emanato per dare attuazione di una direttiva europea, concernente non solo la prevenzione e la repressione della tratta degli esseri umani, ma anche la protezione delle vittime. -d.lgs. 9/2015: grazie al quale la persona offesa viene informata della facoltà di richiedere l'emissione di un ordine di protezione europeo, che consente di estendere le misure disposte per la sua tutela al territorio di un altro stato membro nel quale la medesima risiede o intende trasferirsi. -d.lgs. 212/2015: il quale mira a dare attuazione alla direttiva 2012/29/UE. In particolare, all'articolo 90-quater vengono indicati i criteri dai quali è desumibile che la persona offesa versa in una condizione di particolare vulnerabilità (età e il suo eventuale stato di infermità o di deficienza psichica, il tipo di reato, le modalità e le circostanze del fatto per il quale si procede). Qualora si pervenga alla conclusione che, in un determinato processo, la persona offesa può essere definita particolarmente vulnerabile, le devono essere assicurate varie forme di tutela. -viene stabilita l’attivazione nelle aziende sanitarie e ospedaliere di un protocollo di protezione denominato "percorso di tutela delle vittime di violenza" (c.d. codice rosa), finalizzato a garantire un supporto medico e psicologico alle persone vulnerabili che abbiano subito la altrui violenza, con particolare riferimento alle vittime di violenza sessuale, maltrattamento o atti persecutori. -L. 122/2016 (legge europea 2015/2016): mediante la quale si è voluto dare attuazione a una direttive europea finalizzata a garantire un indennizzo da parte dello stato alle vittime di un reato intenzionale violento, anche se commesso in uno stato membro diverso da quello in cui il richiedente l'indennizzo risiede abitualmente. A questi interventi legislativi va aggiunto il d.lgs. 150/2022, il quale agli art 42 ss ha disciplinato la giustizia riparativa, ai cui programmi, sussistendone le premesse, la persona offesa e posta in grado di accedere. La persona offesa deve essere limata circa di imboccare una strada collaterale, la quale ponga i riflettori sulle esigenze più profonde della persona che ha subito il reato, rendendola protagonista di uno scambio col suo autore, al fine di ottenere un risultato risarcitorio più appagante del semplice soddisfacimento di una richiesta di carattere monetario. Una volta avvenuta l'accesso a tale programma, se si guarda al soggetto contrapposto alla persona indicata come autore del reato, troneggia la figura della vittima. Tuttavia si deve ricordare che la nozione di vittima ricomprende quella di persona offesa, di tal che quest'ultima non subisce alcun declassamento punto a norma del comma due dell'art 42 i diritti e le facoltà attribuiti alla vittima del reato sono riconosciuti anche al soggetto giuridico offeso dal reato. Dalla trama complessiva del codice emerge il proposito del legislatore di tenere ben distinta la sua posizione da quella della parte civile, al fine di caratterizzare con chiarezza quest'ultima come la parte che interviene nel processo penale per fare valere la tua pretesa restitutoria o risarcitoria. Sul piano dei risultati, l'operazione si può dire riuscita per quanto concerne la fase delle indagini preliminari: alla maggiore incisività di poteri della persona offesa dal reato si contrappone la latenza della parte civile, legittimata alla relativa costituzione solo dopo l'esercizio dell'azione penale. A partire da tale momento l'organicità del disegno risulta affievolita visto che alla persona offesa dal reato in quanto tale vengono riconosciuti poteri assai ridotti. I diritti e le facoltà della persona offesa: L'articolo 90 comma 1° rinvia ai diritti e alle facoltà della persona offesa garantiti da specifiche previsioni legislative, e contestualmente puntualizza l'offeso dal reato, in via generale, a presentare memorie e, con esclusione del giudizio di cassazione, a indicare elementi di prova. I termini del binomio trovano giustificazione nella diversa robustezza delle posizioni soggettive, di cui è titolare la persona offesa, se all’iniziativa della persona offesa corrisponde una situazione di obbligo in capo al destinatario dell’iniziativa, sia esso il giudice o il pm. In caso di risposta affermativa, si potrà parlare di diritto (es art 335 co 3, 394 co 2); altrimenti, si dovrà ragionare in termini di facoltà (es art 367, 401 co 5 e 413 co 1). La persona offesa è legittimata a presentare, lungo l'intero arco del procedimento, memorie, vale a dire elaborati scritti di vario contenuto, mediante i quali possono essere avanzate istanze, illustrate questioni o toccati temi rilevanti per il processo in corso. Le memorie saranno indirizzate al PM o al giudice procedente; anche se è bene precisare che in entrambe le ipotesi non corrisponde, almeno di regola, un dovere di tali soggetti a deliberare sulle medesime. Alla persona offesa è riconosciuto, in ogni stato e grado del procedimento, escluso, il giudizio davanti alla corte di Sorvolando sia sulle formalità che devono essere rispettate per la proposizione della querela (cfr., oltre all'art. 337, i commi 1° e 2° dell'art. 153-bis - introdotto nel codice dall'art. 10 comma 1° lett. e d. Igs. 10 ottobre 2022, n. 150 - i quali prevedono che il querelante è tenuto, anche successivamente alla proposizione della querela, a dichiarare o eleggere domicilio per la comunicazione e la notificazione degli atti del procedimento), sia sulla regola secondo cui, quando si tratta di delitti perseguibili a querela, si può accedere ai programmi di giustizia riparativa anche prima della sua proposizione (art. 44 comma 3° d. Igs. cit.), è opportuno precisare che la querela non viene ad esistenza qualora da parte del soggetto legittimato a presentarla vi sia stata rinuncia, la quale opera automaticamente nei confronti di tutti gli autori del reato, e che può essere espressa o tacita, desumibile, cioè, da fatti incompatibili con la volontà di una posteriore iniziativa persecutoria (art. 124 commi 3° e 4° c.p.): circa le forme della rinuncia espressa, si rinvia all'art. 339, il cui 2° comma sancisce l'ineffi-cacia dell'atto abdicativo sottoposto a termini o condizioni. Un'ulteriore peculiarità, ricollegabile alla circostanza secondo cui il regime prevalente nel nostro sistema è quello della procedibilità di ufficio, è costituita dalla regola della c.d. indivisibilità della querela, che opera tanto dal lato attivo quanto da quello passivo: ne consegue che il reato commesso in danno di più soggetti è perseguibile anche quando la querela sia presentata da una sola delle persone offese (art. 122 c.p.) e, reciprocamente, che, nel caso di concorso di persone nel reato, la querela contro una di esse si estende di diritto agli altri concorrenti (art. 123 c.p.). A parte limitate eccezioni (artt. 597 comma 3° e 609-septies comma 2° c.p.), il diritto di querela si estingue in seguito alla morte della persona offesa che non lo abbia ancora esercitato, mentre, nel caso contrario, la morte è irrilevante ai fini dell'estinzione del reato (art. 126 c.p.). Alla rinuncia può essere accostata la remissione della querela, che produce l'importante effetto di estinguere il reato (art. 152 comma 1° c.p.), sempre che il querelato non l'abbia espressamente o tacitamente ricusata (art. 155 comma 1° c.p.), e fermo restando che, se la querela è stata proposta da più persone, affinché si produca l'effetto estintivo, è necessaria la remissione di tutti i querelanti (art. 154 comma 1° c.p.); analogamente, se tra più persone offese dal reato soltanto taluna ha proposto querela, la sua remissione non pregiudica il diritto di querela degli altri soggetti legittimati (art. 154 comma 2° c.p.). Si tratta, in sostanza, di una revoca, da effettuare, salvo che la stessa non sia espressamente esclusa dalla legge (art. 609-septies comma 3° c.p.; art. 612-bis comma 4° c.p.), l'ambito processuale o extraprocessuale (v. però nuovamente l'art. 612-bis comma 4° c.p., in base al quale la remissione della querela «può essere soltanto processuale»), prima che sia divenuta irrevocabile la sentenza di condanna (art. 152 comma 3° c.p.). Ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 152 c.p. il remittente non può apporre termini o a condizioni, pur essendogli consentita la contestuale rinuncia al suo diritto alle restituzioni o al risarcimento del danno, e deve sottostare alla regola, secondo cui, nell'ipotesi di concorso di persone nel reato, la revoca si estende a tutti i concorrenti fatta eccezione per chi l'abbia ricusata (art. 155 comma 2° c.p.). " Al pari della rinuncia, da cui si differenzia in quanto presuppone la rituale presentazione della querela, la remissione può avvenire sia in forma espressa che tacita, intendendosi per tale quella desumibile da fatti incompatibili con la volontà di persistere nella querela (art. 152 comma 3° c.p.). Sino all'entrata in vigore del d. Igs. n. 150 del 2022 era questa l'unica ipotesi di remissione tacita della querela prevista dal legi-slatore, che inoltre circoscriveva il suo raggio di azione alla categoria dei «delitti». Attualmente però, al fine di conseguire anche per questa via un effetto deflattivo del carico giudiziario, l'art. 1 comma 1° lett. h n. 2 del suddetto decreto legislativo ha modificato il 2° comma dell'art. 152 c.p., con conseguente aumento delle ipotesi in cui la querela deve intendersi revocata in base alla presunzione di una cessata voluntas persecutionis del querelante. E stato infatti previsto che si abbia revoca tacita sia quando costui ha partecipato a un programma di giustizia riparativa concluso con un esito riparativo (infra, cap. XV), sempre che, essendo stati posti a carico dell'imputato obblighi comportamentali, questi ultimi siano stati rispettati, sia - in conformità ad un consolidato orientamento giurisprudenziale - quando il querelante, senza giustificato motivo, cioè per sua libera scelta, non compaia all'udienza alla quale sia stato citato in qualità di testimone, malgrado la previa informativa di cui all'art. 90-bis comma 1° lett. n- bis circa le conseguenze della sua assenza (retro, § 31). Ciò ha implicato una modifica dell'art. 133, il cui comma 1-bis - inserito dall'art. 7 comma 1° lett. d d. Igs.n. 150 del 2022 - coerentemente esclude l'accompagnamento coattivo del querelante, citato come testimone e non comparso all'udienza, ogniqualvolta la sua mancata comparizione integri la remissione tacita della querela. Non poteva tuttavia essere trascurata l'esigenza di tutelare le persone cui potrebbe mancare una piena consapevolezza circa gli effetti del loro comportamento, e pertanto, riguardo all'ipotesi dell'assenza del querelante all'udienza, si è stabilito che la remissione tacita è esclusa, da un lato, quando il il medesimo «è persona incapace per ragioni, anche sopravvenute, di età o di infermità», nonché quando si tratta di persona vulnerabile ex art. 90-quater, dall'altro, allorché il diritto di presentare la querela risulti conferito ad un legale rappresentante - si pensi, ad esempio, agli esercenti la responsabilità genitoriale o al tutore - dato che l'eventuale negligenza di quest'ultimo provocherebbe un'ingiustificata penalizzazione del soggetto "fisiologicamente" legittimato ad esercitare il diritto di querela. Identica è la ragione che ha indotto ad escludere la remissione tacita nel caso di nomina di un curatore speciale ai sensi dell'art. 121 c.p. Resta da prendere in considerazione un'ultima ipotesi, sia pure sui generis, di remissione della querela, contemplata in precedenza nell'art. 555 comma 3°. Attualmente, pur essendo la disciplina identica, bisogna rifarsi all'art. 554-bis - introdotto dall'art. 32 comma 1° lett. d d. Igs. n. 150 del 2022 - il quale, nel 4° comma, stabilisce che, con riferimento ai reati per cui è prevista dall'art. 550 la citazione diretta davanti al tribunale in composizione monocratica, il giudice, in sede di udienza di comparizione predibattimentale, proceda ad un tentativo di conciliazione tra l'imputato e il querelante: tentativo che, se esperito con successo, comporta la remissione della querela. Per quanto concerne gli aspetti formali della remissione bisogna far capo all'art. 340 il cui 4° comma pone le spese a carico del querelato, salvo che sia diversamente convenuto. Spostando l'attenzione sui reati per i quali è stabilita la condizione di procedibilità in esame, emerge chiaramente che negli ultimi anni il loro numero è aumentato in modo considerevole. Senza andare troppo indietro nel tempo, ciò è accaduto in seguito al d. Igs. 10 aprile 2018, n. 36 che, in conformità a quanto disposto dal legislatore delegante nell'art. 1 comma 16° lett. a 1. 23 giugno 2017, n. 103, ha stabilito ex novo la perseguibilità a querela per un certo numero di reati previsti dal codice penale (artt. 612 comma 2°, limitatamente all'ipotesi della minaccia «grave», 615 ex officio quando sia stata contestata l'aggravante dell'avere agito per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico, sia sull'art. 416-bis.1 c.p., inserendo un nuovo comma in cui viene stabilita la procedibilità di ufficio ogniqualvolta si contesti l'aggravante dell'avere commesso il reato ricorrendo al c.d. metodo mafioso, in conformità alla definizione fornita dall'art. 416.1 comma 1° c.p. Vale la pena di osservare che, in teoria, sarebbe stata percorribile una strada diversa dall'opzione per una clausola di carattere generale: infatti le aggravanti di cui sopra avrebbero potuto essere stabilite, di volta in volta, per un singolo delitto o per una determinata categoria di delitti, fermo restando che tale scelta avrebbe comportato il serio rischio di incorrere in omissioni. In secondo luogo, viene integrato il 1° comma dell'art. 71 d. Igs. 6 settembre 2011, n. 159 (c.d. Codice delle leggi antimafia), che nell'elencare una serie di delitti - senza alcuna menzione, però, di quello previsto dall'art. 582 c.p. (lesioni personali) - prevede come circostanza aggravante la loro perpetrazione da parte di una persona sottoposta, con provvedimento definitivo, ad una misura di prevenzione personale: sempre che la consumazione del delitto si collochi nell'arco di tempo in cui il suo autore è soggetto ad una di tali misure e sino a tre anni da quando ne è cessata l'esecuzione. La pertinenza della modifica oggetto della proposta alla tematica della querela emerge immediatamente non appena si precisi che, in base al 2° comma dell'art. 71 d. lgs. n. 159 del 2011, qualora sia contestata l'aggravante prevista nel comma precedente con riferimento ai delitti ivi elencati, si deve procedere ex officio. L'obiettivo è quello di evitare che, in base al combinato disposto dei due commi iniziali del suddetto articolo, si pervenga all'inevitabile conclusione di escludere la perseguibilità ex officio per il delitto di lesioni personali (art. 582 c.p.), che può assumere connotati di elevata gravità: si tratterebbe di una regolamentazione irragionevole, perché, come si sottolineava nella relazione illustrativa al disegno di legge, sono invece inclusi nell'elenco previsto dall'art. 1 comma 1° del decreto legislativo del 2011 reati di minore gravità, quali la violenza privata e la minaccia. Per scongiurare tale irragionevolezza, si è quindi apportato un piccolo ritocco al 1° comma dell'art. 71 d. lgs. n. 159 del 2011, inserendo un esplicito riferimento all'art. 582 c.p. È logico che, ove si richieda la presentazione della querela per un reato in precedenza perseguibile d'ufficio, risulti indispensabile la predisposizione di una normativa transitoria, onde evitare che la persona offesa venga ad essere penalizzata dal cambiamento. L'art. 85 d. Igs. n. 150 del 2022 (modificato dall'art. 5-bis d.1. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con 1. 30 dicembre 2022, n. 199) si è fatto carico del problema, dettando apposite regole delle quali viene qui presa in considerazione solo quella di carattere generale contenuta nel 1° comma. I presupposti da cui muove il legislatore è che si tratti di un procedimento avente ad oggetto un reato inserito nel novero di quelli perseguibili a querela dal d. Igs. n. 150 del 2022, e che il reato sia stato commesso prima dell'entrata in vigore di quest'ultimo provvedimento, cioè prima del 30 dicembre 2022. Il 1° comma del succitato art. 85 dispone che, se la persona offesa era a conoscenza del fatto anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto legislativo, è da quest'ultima che decorre il termine stabilito dalla legge per proporre la querela. Nell'ipotesi opposta non può valere la stessa regola, che sacrificherebbe ingiustificatamente gli interessi della persona offesa. Affinché ciò non accada, bisogna rifarsi a quanto dispone, in via generale, l'art. 124 comma 1° c.p., che individua come dies a quo per l'esercizio del diritto di querela quello della «notizia del fatto che costituisce il reato». Il difensore di fiducia dell'imputato: L'articolo 24 2° comma della costituzione garantisce una adeguata copertura nei confronti non solo della difesa tecnica, ma anche dell'autodifesa: ossia di quel complesso di attività che l'imputato esplica personalmente per dimostrare 'inconsistenza o la minore gravità dell'accusa a suo carico. Il difensore dell'imputato, al quale l'art 99 co 1 attribuisce, di regola, le facoltà e i diritti che la legge riconosce all'imputato stesso, viene chiamato a svolgere un ruolo importante e più impegnativo, essendo tenuto non solo a dimostrare la scarsa significatività degli elementi di prova a valenza accusatoria, ma anche ad individuare e ad acquisire elementi probatori che scagionino l'imputato o alleggeriscano la sua posizione. A conferma dell'essenzialità del suo ruolo può essere altresi opportuno segnalare che, come emerge dall'articolo 97, si è negato qualsiasi spazio all'ipotesi di una esclusiva autodifesa dell'imputato. Regola che vale anche quando sia un avvocato ad avere assunto la veste di imputato. Inserito il difensore tra i soggetti processuali, il codice ha dedicato la disposizione di apertura del titolo VII al difensore di fiducia dell'imputato. Riconoscendo all'imputato, nonché alla persona sottoposta alle indagini, il diritto di nominare non più di 2 difensori di fiducia. Vi sono 3 modalità di nomina: -dichiarazione orale resa dall'interessato all'autorità procedente; -dichiarazione scritta consegnata all'autorità procedente dal difensore; -documento di nomina trasmessa mediante raccomandata. Non si tratta di ipotesi tassative, essendo da condividere l'opinione secondo la quale si è in presenza di un atto a forma libera, il cui fondamentale requisito e quello di esprimere chiaramente la scelta del suo autore. La nomina del difensore può essere fatta in via preventiva, cioè per l'eventualità che si instauri un procedimento penale. In tal caso, la nomina non può non adeguarsi alla specificità della situazione due punti il mandato difensivo, da rilasciare con sottoscrizione autenticata, deve contenere, oltre all'indicazione del difensore, quella dei fatti ai quali si riferisce. II difensore deve essere in possesso dei requisiti richiesti dalla legge professionale per assistere e rappresentare l’imputato. Può essere stilata una sorta di graduatoria che ricomprende 3 figure: -praticante avvocato: può patrocinare davanti al giudice di pace e al tribunale in composizione monocratica, nei soli processi aventi ad oggetto i reati per i quali si procede con citazione diretta a giudizio; -avvocato: che può svolgere il suo ruolo di difensore nei processi davanti ad ogni giudice penale, tranne per la corte di cassazione: -avvocato iscritto nello speciale albo: che può difendere anche davanti alla corte di cassazione. L'avvocato iscritto nell'albo professionale è sottoposto ad una verifica triennale onde accertare la sussistenza dell'esercizio della professione in modo effettivo, continuativo. abituale e prevalente. La prestazione del difensore di fiducia costituisce l'oggetto di un contratto per la cui conclusione è indispensabile l'accettazione sia pure implicita del nominato. Ciò premesso, va dato atto della possibilità per l'imputato di orientare liberamente la propria scelta, senza alcun limite derivante dall'appartenenza etnica o linguistica del difensore. Diversamente da quanto stabilisce l'art 100 comma tre in relazione alle parti private diverse dall'imputato, la nomina produce di regola i suoi effetti, salvo che intervengano cause risolutive del rapporto contrattuale (es art 106 e 107) per tutto l'arco del processo di cognizione. Non solo: ai fini dell'iniziativa di cui all'art 656 comma 6, dell'istanza finalizzata alla concessione di una misura extra carceraria al proprio assistito (ormai condannato con sentenza irrevocabile) è prevista una proroga automatica in executivis dell'investitura effettuata dall'imputato per il processo di cognizione. Non si può di libera scelta del difensore da parte dell'imputato quando questi è sottoposto alla più radicale restrizione della sua libertà personale. Alla luce di tale constatazione si deve riconoscere l'opportunità della regola che legittima i prossimi congiunti della persona arrestata, fermata o sottoposta a custodia cautelare in carcere ad attivarsi in sua vece. A costoro e consentito nominare, con le stesse forme previste per la nomina diretta, un difensore di fiducia che cessa di operare non appena l'interessato manifesti una diversa volontà. Per quanto concerne i poteri del difensore, bisogna tenere presente la regola di carattere generale in base alla quale vengono riconosciuti a tale soggetto i diritti e le facoltà spettanti all'imputato medesimo. L'estensione è esclusa non soltanto con riferimento all'esercizio di diritti e facoltà che presuppongono l'imputato come soggetto agente, quali le varie modalità di estrinsecazione dell'autodifesa, ma anche atti quali la richiesta di rimessione, di giudizio abbreviato o di pena concordata che, se non eseguiti personalmente, postulano il conferimento di una procura speciale. Resta salva la possibilità per l'imputato di togliere effetto con espressa dichiarazione contraria all'atto compiuto dal difensore, anche se tale iniziativa deve essere assunta anteriormente alla pronuncia del giudice inerente all'atto controverso. Nell'ipotesi in cui l'imputato possa assumere una determinata iniziativa rispetto alla quale sia nel contempo riconosciuta la legittimazione del difensore, come nel caso della richiesta di riesame ex art 309, è opportuno che quest'ultimo ne sia a conoscenza, onde poter valutare con piena consapevolezza le scelte da compiere. La previsione è volta a far sì che ci sia un coordinamento tra i due attori del binomio difensivo. Detta esigenza spiega anche la previsione per cui le impugnazioni, le dichiarazioni, compresa la dichiarazione di nomina del difensore, e le richieste provenienti dall'imputato ristretto in carcere o internato oppure sottoposto agli arresti domiciliari o alla detenzione domiciliare, oppure, ancora, custodito in un luogo di cura, oltre ad essere portate immediatamente a conoscenza dell'autorità giudiziaria, vengano contestualmente comunicate anche a difensore nominato. Il difensore d'ufficio: Qualora l'imputato non abbia nominato un difensore di fiducia o ne sia rimasto privo deve essere assistito da un difensore d'ufficio (articolo 97): • la sua presenza è da correlare all'imputato, anche se il carattere esclusivo di tale abbinamento risulta ora attenuato, prevedendo la designazione di un difensore d'ufficio al testimone c.d. assistito e all'ente responsabile per l'illecito amministrativo dipendente da reato, che si sia costituito nel relativo processo penale; • il suo ruolo è sussidiario rispetto a quello del difensore di fiducia, tant'è vero che cessa dalle funzioni non appena l'imputato proceda alla nomina di quest'ultimo: • mentre il difensore di fiducia è libero di non accettare la nomina, quello d'ufficio è ha l'obbligo di prestare il patrocinio salvo che in presenza di un giustificato motivo. Per quanto concerne la regolamentazione della difesa d'ufficio, bisogna segnalare che l'articolo 97 comma 2°, sia l'articolo 29 disp. att. sono stati recentemente modificati dal d.lgs. 6/2015 con l'intenzione di garantire alla difesa di ufficio un più alto livello qualitativo, Si è cercato di rendere più selettivi i requisiti necessari per l'iscrizione, su richiesta difensore: infatti, non è più richiesto che costui adduca di trovarsi «in [un] caso di impedimento» e, la supplenza del sostituto non è più circoscritta alla durata del suddetto evento impeditivo. L'innovazione è da mettere in relazione con l'ampliato ruolo del difensore conseguente alla legge sulle indagini difensive (1. 7 dicembre 2000, n. 397), la quale ha fatto emergere l'opportunità di consentire la nomina del sostituto anche per mere esigenze di organizzazione interna dell'ufficio della difesa. In altri termini, ciò significa che, caduti i limiti esterni, tutto dipende ormai dall'adeguamento del difensore titolare dell'ufficio ai canoni deontologici. Se per quanto riguarda la difesa di fiducia, la natura contrattuale del rapporto garantisce di per sé un adeguato controllo circa la loro osservanza, con riferimento alla difesa d'ufficio si potrebbero nutrire maggiori dubbi. Per cui sembra non essere ingiustificata la preoccupazione che una così ampia facoltà di sostituzione rischi di ripercuotersi negativamente su quel principio di effettività, rigorosamente perseguito dal legislatore nel dettare le linee guida della nuova regolamentazione. Il caso limite potrebbe essere rappresentato dal difensore d'ufficio che, dopo essere stato ritualmente investito ex art. 97, nomini un sostituto e si faccia "supplire" dal medesimo per tutta la durata del procedimento. Eppure lo stesso legislatore sembra aver dato spazio ad una simile eventualità: premesso che ai sensi dell'art. 97 comma 5° il difensore d'ufficio ha l'obbligo di prestare il patrocinio e che si può sottrarre a tale obbligo solo «per giustificato motivo», va tenuto in considerazione il disposto dell'art. 30 comma 3° disp. att. - modificato dall'art. 16 della legge n. 60 del 2001 - in base al quale, trovandosi il difensore d'ufficio nell'impossibilità di adempiere l'incarico, si attiva la procedura per una nuova investitura solo nell'ipotesi in cui il difensore impedito non abbia provveduto a nominare un sostituto. Quanto ai poteri del sostituto, è indubbio che la sostituzione non incide sulla titolarità dell'incarico difensivo, fermo restando tuttavia che il difensore sussidiario esercita i diritti e assume i doveri del difensore impedito (art. 101 comma 2°). Deve peraltro ritenersi che tale traslazione non coinvolga quelle situazioni soggettive processuali aventi come fonte una procura speciale conferita dalla parte al difensore sostituito, con la conseguenza che, ad esempio, è da considerare inammissibile la richiesta di patteggiamento formulata dal sostituto qualora la relativa procura speciale sia stata conferita solo al difensore che si è avvalso della sostituzione. A prescindere dalle varie situazioni che in concreto possono dare luogo ad un intervento del sostituto, è opportuno mettere in evidenza che dal punto di vista normativo - ci si riferisce, più precisamente, agli artt. 391-bis, 391-ter e 391-sexies - il suo ruolo trova una indubbia valorizzazione nel settore delle indagini difensive. Tuttavia, il sostituto ha il potere di sottoscrivere e depositare in cancelleria l'atto di costituzione di parte civile. Le garanzie di libertà del difensore: Le ispezioni e le perquisizioni, se effettuate negli uffici dei difensori, sono consentite in 2 sole ipotesi: • quando il difensore o altre persone che svolgono stabilmente la loro attività nel suo ufficio sono imputati, fermo restando che gli atti in questione devono essere esclusivamente finalizzati all'accertamento del reato attribuito a tali soggetti. • oppure quando si tratta, a prescindere da chi sia imputato, di rilevare tracce o altri effetti materiali del reato ovvero di ricercare cose o persone specificamente predeterminate. Questo primo nucleo di garanzie è completato dalla previsione che delimita in negativo il materiale sequestrabile preso i difensori, gli investigatori privati autorizzati e incaricati in relazione al procedimento, i consulenti tecnici, salvaguardando le carte e i documenti relativi all'oggetto della difesa, che sono sottoponibili a sequestro solo quando costituiscono corpo del reato. L’autorità deve comunicare l'avviso al locale consiglio dell'ordine per consentire al presidente o ad un suo delegato di presenziare alle operazioni. Devono agire in prima persona, senza possibilità di delegare l'atto alla polizia giudiziaria, il giudice o il PM. Anche la corrispondenza e le conversazioni del difensore sono oggetto di specifiche regole. Per quanto concerne la corrispondenza tra l'imputato e il proprio difensore. l'articolo 103 stabilisce il divieto di sequestro e di ogni altra forma di controllo: sempre che, da un lato, la corrispondenza sia riconoscibile grazie alle puntuali indicazioni da apporre sulla busta; dall'altro, l'autorità giudiziaria non abbia fondato motivo di ritenere che si tratti di corpo di reato. È vietata l'intercettazione delle conversazioni e delle comunicazioni che difensori, investigatori privati autorizzati e incaricati in relazione al procedimento, consulenti tecnici e loro ausiliari effettuino fra di loro. In caso di inosservanza delle disposizioni i risultati delle operazioni compiute non possono essere utilizzati. Il contenuto delle comunicazioni e delle conversazioni illecitamente intercettate non può essere trascritto neppure sommariamente, e nel relativo verbale ci si deve limitare a dare atto della data, dell'ora e del dispositivo su cui la registrazione è intervenuta. Le garanzie previste si estendono agli assistenti sociali, ai dipendenti del servizio pubblico per le tossicodipendenze e a coloro che operano presso gli enti, centri, associazioni o gruppi che hanno stipulato convenzioni con le unità sanitarie locali. Il colloquio del difensore con l’imputato privato della libertà personale: Rispetto alla previgente normativa, che consentiva all'imputato in vinculis il primo colloquio col difensore solo dopo la conclusione degli interrogatori (art. 135 c.p.p. abr.), la legge delega gli ha riconosciuto il diritto di conferire immediatamente o comunque non oltre sette giorni dal momento in cui è stato eseguito il provvedimento limitativo della libertà personale (art.2 n. 6). Di regola, il soggetto sottoposto a custodia cautelare, al pari della persona in stato di fermo o di arresto, ha diritto di conferire con il difensore subito dopo che è stato privato della libertà personale (art. 104 commi 1° e 2°) 34. È stato conseguentemente previsto che il difensore, di fiducia o di ufficio, venga immediatamente avvisato dell'avvenuta esecuzione della misura restrittiva (artt. 293 comma 1° e 386 comma 2°), e si è attribuito al difensore il diritto di accedere ai luoghi in cui la persona fermata, arrestata o sottoposta a custodia cautelare si trova detenuta (art. 36 disp. att.). Più di recente, in ossequio alla direttiva 2010/64/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, concernente il diritto all'interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali, l'art. 1 comma 1° lett. a d. 1gs. 4 marzo 2014, n. 32 ha inserito nel corpo dell'art. 104 il comma 4-bis. La sua introduzione va più precisamente collegata all'art. 2 della suddetta direttiva, laddove si prevede l'obbligatorio ricorso all'ausilio dell'interprete per le comunicazioni tra difensore e imputato «direttamente correlate a qualsiasi interrogatorio o audizione» di quest'ultimo. Deve pertanto ritenersi coerente la formulazione del "nuovo" art. 104 comma 4-bis, il quale stabilisce che, qualora non conoscano la lingua italiana, gli indagati in vinculis – sia perché arrestati in flagranza o fermati, sia perché appena entrati in carcere in seguito all'esecuzione della più grave delle misure coercitive - hanno diritto all'assistenza gratuita di un interprete per essere posti in grado di conferire proficuamente col proprio difensore. A prescindere dal tipo di reato addebitato al soggetto sottoposto alle indagini, consentiva, in presenza di specifiche ed eccezionali ragioni di cautela, di dilazionare il colloquio stesso per un termine non superiore a cinque giorni (dopo l'abbreviazione, ad opera dell'art. 1 1. 8 agosto 1995, n. 332, dell'originario termine di sette giorni, che era conforme all'indicazione del limite massimo previsto dall'art. 2 n. 6 legge delega). Attualmente, tuttavia, dopo l'intervento operato dall'art. 1 comma 25° I. 23 giugno 2017, n. 103, la regolamentazione è cambiata, essendosi stabilito che, fermi restando la necessaria presenza delle specifiche ed eccezionali ragioni di cautela nonché il termine massimo dei cinque giorni di dilazione, sia consentito rinviare il colloquio dell'indagato col difensore solo quando si proceda per i delitti di cui all'art. 51 commi 3-bis e 3-quater, vale a dire per quei delitti rispetto ai quali la direzione delle indagini è affidata alla c.d. procura distrettuale. La modifica apportata all'art. 104 comma 3° è riconducibile all'intento del legislatore italiano di adeguarsi ad una direttiva europea che mira, tra l'altro, a garantire una tempestiva presa di contatto di chi è sottoposto ad un processo penale col difensore. Si tratta della direttiva europea 2013/48/UE, concernente, in primis, il diritto di avvalersi di un difensore nel procedimento penale e nel procedimento di esecuzione del mandato d'arresto europeo: nell'art. 3 § 2 lett. c di tale direttiva si stabilisce che, dopo la privazione della libertà personale, agli indagati e agli imputati deve essere riconosciuto il diritto di avvalersi del difensore «senza indebito ritardo». Anche se è innegabile l'avanzamento rispetto alla previgente formulazione dell'art. 104 comma 3°, la soluzione adottata dal legislatore del 2017 non si sottrae ad una valutazione critica: se non altro perché basata su un compromesso che fa sorgere dubbi di compatibilità della normativa in esame con la direttiva europea precedentemente citata. Ci si riferisce non tanto alla previsione della fonte sovranazionale in cui si precisa che, in caso di privazione della libertà dell'indagato, il ritardato contatto col difensore non può basarsi esclusivamente «sul tipo o sulla gravità del reato contestato» (art. 8 lett. c) - da questo punto di vista l'art. 104 comma 3° ha le carte in regola, perché richiede anche la sussistenza di «specifiche ed eccezionali ragioni di cautela» - quanto, piuttosto, a quell'ulteriore disposizione della direttiva che, «in circostanze eccezionali», ammette come unica giustificazione di un ritardato contatto col difensore la «lontananza geografica» tra quest'ultimo e il suo assistito (art. 3 § 5). Dato atto dell'operatività dell'eccezione nella sola fase delle indagini preliminari, per quanto concerne il funzionamento del meccanismo dilatorio bisogna distinguere l'ipotesi in cui la privazione della libertà sia l'effetto di un'ordinanza cautelare da quella in cui consegua ad una misura precautelare (arresto in flagranza o fermo): nel primo caso la decisione circa l'eventuale differimento del colloquio spetta al giudice per le indagini preliminari che deve provvedere con decreto motivato - inoppugnabile - su richiesta del pubblico ministero (art. 104 comma 3°); nel secondo, non essendovi spazio per un immediato intervento del giudice, provvede direttamente il pubblico ministero che può dilazionare il colloquio fino al momento in cui l'arrestato o il fermato è posto a disposizione del giudice. Dopo tale periodo che, in base al disposto dell'art. 390 comma 1°, può estendersi per un massimo di quarantotto ore, non ci sono più ostacoli per l'esercizio del diritto al colloquio, salvo che intervenga un'eventuale proroga (fino al limite di cinque giorni, da calcolare tenendo conto anche della durata del divieto imposto dal pubblico ministero) da parte del giudice per le indagini preliminari (art. 104 comma 4°). Non si può valutare compiutamente l'incidenza sul diritto di difesa dell'eccezione alla regola dell'immediato colloquio con il difensore se non la si coordina con le varie ipotesi di interrogatorio previste dalla legge in relazione all'imputato privato della libertà personale (artt. 294, 364, 388 e 391 comma 3°), e se non si tiene altresì presente la diversa natura dell'interrogatorio - corrispondente alla diversità dei rispettivi ruoli processuali - a seconda che il medesimo sia condotto dal pubblico ministero o dal giudice. Ciò premesso, ci si limita in questa sede a segnalare che il punto di maggiore frizione tra esigenze investigative e diritto di difesa coincide con l'interrogatorio dell'arrestato o del fermato - escluso dal colloquio col difensore - che il pubblico ministero può effettuare ai sensi dell'art. 388. Quanto appena osservato offre lo spunto per una considerazione di carattere più generale incentrata sul significato che assume la motivazione del decreto in cui si esplicitano le specifiche ed eccezionali ragioni di cautela poste a fondamento dell'opzione dilatoria. In particolare va qui sottolineato che, anche se il provvedimento è da ritenere inoppugnabile alla luce del principio di tassatività delle impugnazioni, al difetto o all'insufficienza di motivazione è ricollegabile una nullità (intermedia) suscettibile di estendersi agli atti successivi secondo quanto dispone l'art. 185 comma 1°. L’abbandono della difesa e il rifiuto della difesa d’ufficio: Con riferimento all'abbandono della difesa - configurabile sia nell'ambito della difesa d'ufficio che in quello della difesa di fiducia (qualunque sia il soggetto assistito) - e al rifiuto dell'incarico difensivo da parte del difensore d'ufficio (compreso quello chiamato ad operare come sostituto), si dispone che il relativo procedimento disciplinare sia di competenza esclusiva del consiglio dell'ordine forense (art. 105 comma 1°), e si esclude altresì che il procedimento penale nel cui contesto è avvenuto l'abbandono o il rifiuto sia pregiudiziale rispetto al procedimento disciplinare (art. 105 comma 2°). Trattandosi di abbandono o rifiuto motivati dalla ritenuta violazione dei diritti della difesa, il consiglio dell'ordine, qualora ritenga giustificato il comportamento del difensore, non applica la sanzione disciplinare neppure in presenza di una sentenza irrevocabile che escluda la violazione dei diritti della difesa (art. 105 comma 3°). Perso l'indebito ruolo di protagonista riservatole dal codice previgente (art. 131 c.p.p. abr.), l'autorità giudiziaria si limita a svolgere compiti di informativa. Ai sensi dell'art. 105 comma 4° essa è tenuta, infatti, a comunicare al consiglio professionale sia i casi di abbandono e di rifiuto della difesa d'ufficio, sia i comportamenti integranti violazione da parte dei difensori dei doveri di lealtà e di probità, sia la violazione del disposto dell'art. 106 comma 4-bis, concernente il divieto, per uno stesso difensore, di assumere la difesa di più imputati che abbiano reso dichiarazioni accusatorie nei confronti di altro imputato A seguito dell'abbandono della difesa da parte del difensore di fiducia dell'imputato si determina una stasi processuale, finché non si proceda alla nomina di un nuovo difensore di fiducia ovvero, in mancanza, alla designazione di un difensore d'ufficio. Quest'ultima deve essere, a sua volta, rinnovata ogniqualvolta ci si trovi in presenza di un rifiuto della difesa d'ufficio. Tutt'altro discorso invece nell'ipotesi di abbandono della difesa delle altre parti private, della persona offesa e degli enti o associazioni di cui all'art. 91, in quanto non risulta ostacolata l'immediata prosecuzione del procedimento (art. 105 comma 5°). In seguito all'abbandono del difensore, tali soggetti - fatta eccezione per la persona offesa - ove non provvedano ad una nuova nomina, perdono la possibilità di essere attivi in sede processuale, potendo essi stare in giudizio solo col ministero di un difensore (artt. 100 comma 1° e 101 comma 2°). Incompatibilità, non accettazione, rinuncia e revoca del difensore: Mancando una definizione legislativa del concetto di incompatibilità, ci si basa sull'elaborazione giurisprudenziale che indica che l’incompatibilità non è semplicemente una diversità di posizione tra gli imputati, ma richiede un’assoluta inconciliabilità, dove uno deve avere interesse a sostenere tesi pregiudizievoli per l'altro. L'incompatibilità può essere rimossa qualora l'imputato o gli imputati interessati revochino la nomina del difensore oppure quest'ultimo rinunci alla difesa. Nell'ipotesi in cui ciò non avvenga, è previsto un intervento del giudice - o, nel corso delle indagini preliminari, del pubblico ministero - il quale, indicata la situazione di incompatibilità ed esposti i motivi che ne stanno alla base, stabilisce un termine per la sua rimozione da parte dei diretti interessati (art. 106 commi 2° e 4°). Se gli interessati non agiscono per risolvere l’incompatibilità, il giudice può emettere un’ordinanza dichiarando l’incompatibilità e nominando difensori d’ufficio. È preclusa la difesa da parte dello stesso difensore per più imputati, che abbiano reso dichiarazioni accusatorie nei confronti di un altro soggetto, imputato nello stesso procedimento o in un procedimento connesso ai sensi dell'art. 12 o in un procedimento collegato ex art. 371 comma 2° lett. b. Questo divieto si applica solo se gli imputati si avvalgono dello stesso avvocato nello stesso processo. L’obiettivo di questa restrizione non è tanto proteggere il diritto di difesa degli imputati in conflitto di interessi, ma piuttosto evitare di sacrificare il diritto di difesa del soggetto accusato, poiché la presenza di un avvocato comune potrebbe favorire la convergenza delle prove contro di lui. Nonostante ciò, la violazione di questa regola non comporta nullità o inutilizzabilità delle dichiarazioni, ma richiede una valutazione attenta della loro affidabilità. Inoltre, il meccanismo previsto dall’art. 106, presuppone che ci sia un avvocato di fiducia per gli imputati. Questo principio si applica anche nei casi di non accettazione, rinuncia e revoca del difensore (art. 107). La revoca è un’azione intrapresa dall’assistito, mentre la non accettazione e la rinuncia sono azioni intraprese dall’avvocato. Questi ultimi due si configurano come atti alternativi (essendo ipotizzabile la rinuncia solo se in precedenza vi è stata l'accettazione dall’avvocato della proposta di nomina) che, al pari della revoca, non necessitano di una motivazione. La non accettazione ha effetto dal momento in cui perviene la relativa comunicazione all'autorità procedente (art. 107 comma 2°), con l'eventualità di possibili vuoti di copertura difensiva medio tempore, la rinuncia e la revoca non hanno effetto fino a che la parte non risulti assistita da un nuovo difensore (art. 107 comma 4°). E se ai fini di una difesa informata il nuovo difensore si avvale, ex art. 108, del diritto di ottenere un termine a difesa, la rinuncia e la revoca diventano efficaci solo a partire dalla scadenza di tale termine. A proposito del suddetto termine a difesa - termine che il nuovo difensore può richiedere anche nel caso di incompatibilità e di abbandono - va ricordato che l'originaria regolamentazione prevedeva la concessione di «un termine congruo, di norma non inferiore a tre giorni». Il che aveva non di rado portato alla concessione di termini ad horas, ritenuti legittimi dalla Corte di cassazione qualora fossero state adeguatamente motivate le ragioni che avevano indotto a ritenere «congruo» quel termine nel caso concreto. Attualmente, in seguito alle modifiche apportate dall'art.5 L. 6 marzo 2001, n. 60, il difensore «ha diritto» ad un termine che, di regola, non può essere inferiore a sette giorni (art. 108 comma 1°). Si può scendere al di sotto di tale termine, fermo restando il limite minimo invalicabile delle ventiquattro ore, solo se ricorre una delle tre situazioni considerate nel 2° comma dell'art. 108: se vi è il consenso dell'imputato o del suo difensore (in caso di divergenza, troverà applicazione il criterio di cui all'art. 99 comma 2°); se vi sono «specifiche esigenze processuali che possono determinare la scarcerazione dell'imputato», circonlocuzione alquanto generica con la quale il legislatore ha voluto dell'autorità giudiziaria e non è condizionato dal consenso delle parti. Un assetto innovativo mostra la documentazione degli atti, specie perché la videoregistrazione viene elevata a mezzo documentativo ordinario, talora da disporsi obbligatoriamente in funzione di garanzia. Sono consentite nella misura più ampia possibile l'esecuzione di notificazioni e comunicazioni con modalità telematiche, motivo per il quale e stato necessario istituire il domicilio digitale. Dato il tempo necessario per l'addestramento del personale amministrativo e per l'approntamento delle apparecchiature tecniche, l'applicazione di parte della disciplina in discorso è stata rimandata. La regola basilare del sistema processuale starà nell'art 110 comma 1: ogni atto scritto e redatto e conservato in forma di documento informatico, viene quindi all'esistenza quello che ormai è correntemente chiamato atto nativo digitale. Agli atti nativi digitali si contrappongono gli atti redatti in forma di documento analogico, i quali risultano aboliti incorporano un supporto cartaceo. Nascono obiezioni sulla nomenclatura adottata: la formula atti in forma di documento mette in crisi la salvezza della scelta legislativa che prevedeva di tracciare una netta linea distintiva tra gli atti e documenti. Stando alle impostazioni adottata dal codice sarebbe documento informatico la rappresentazione di un fatto che è incorporata su una base materiale con metodo digitale, ossia usando i numeri binari. Sarebbe invece documento analogico la rappresentazione di un fatto che incorporata su un supporto materiale con metodo analogico, ossia con grandezze fisiche variabili. Secondo un più moderno indirizzo però a rilevare non è la rappresentazione di un fatto, ma la stessa incorporazione su adeguato supporto che si avvale di un metodo digitale oppure di un metodo analogico. L'autenticità è garantita dalla firma digitale o elettronica certificata. Devono poi essere garantite l'integrità dell'atto, la leggibilità (parrebbe comportare che l'atto possa essere consultato gratuitamente), la reperibilità (accesso diretto o, dove imposta, segretezza protetta dall'impiego di determinate tecnologie). Si precisa poi che gli atti redatti in forma di documento informatico rispettano la normativa circa la redazione, la sottoscrizione, la conservazione, l'accesso, la trasmissione e la ricezione degli atti documenti informatici. Tuttavia, la disposizione di cui al primo comma, riguardante la redazione e la conservazione, non opera nei confronti degli atti che per loro natura o per specifiche esigenze processuali non possono essere redatti in forma di documento informatico. Data, sottoscrizione e deposito degli atti: Gli artt. 110 e 111 sono stati profondamente modificati dalla riforma Cartabia → nuova disciplina del processo penale telematico (ppt) → Il nuovo art.110, ora rubricato “forma degli atti” individua come regola la forma digitale dell’atto penale, sin dalla sua formazione. Vale, in questa ottica, una libertà di forme condizionata: ogni soluzione digitale percorribile è accettata, purché assicuri i requisiti della autenticità, integrità, leggibilità, reperibilità, interoperabilità e, ove previsto dalla legge, segretezza, caratteristiche che sono diretto precipitato della normativa sovranazionale e, in particolare, europea in materia di documenti informatici. Vengono poi disciplinati i casi di deroga alla regola della formazione degli atti penali in formato digitale: è stata prevista una formula volutamente ampia così da consentire il ricorso alle modalità tradizionali anche nelle ipotesi – diverse dai casi di malfunzionamento disciplinati dall’art. 175-bis c.p.p. – in cui contingenti e specifiche esigenze o caratteristiche proprie dell’atto non consentano la formazione dell’atto nativo digitale. Gli atti redatti in forma di documento analogico siano convertiti, senza ritardo, in copia informatica ad opera dell’ufficio che li ha formati o ricevuti. Il termine “senza ritardo” comporta che trattasi di termine ordinatorio non soggetto ad alcuna nullità. Per le definizioni di documento informatico e documento analogico, nonché per la disciplina della conversione del documento analogico in informatico e viceversa, la relazione illustrativa fa espresso richiamo al CAD (Codice Amministrazione Digitale). In conclusione, possiamo affermare che dall’entrata in vigore delle nuove norme, la regola sarà la forma digitale degli atti penali, mentre gli atti prodotti e depositati in formato analogico devono essere convertiti in copia informatica, così da rendere il fascicolo penale digitale completo. Nel linguaggio del codice la data è comprensiva pure del luogo di formazione dell'atto (c.d. data topica) → è sufficiente, accanto all'indicazione spaziale, quella temporale sotto forma di menzione del giorno del mese e dell'anno (art. 111); talvolta è prevista anche l'indicazione dell'ora. Per espresso disposto dell'art. 111, l'invalidità sussiste solo nell'ipotesi cui la data non possa stabilirsi con certezza sulla base di elementi tratti dall'atto medesimo o da atti a questo connessi. All'art. 111 sono stati aggiunti altri commi per adattarne la disciplina anche al documento informatico. Articoli di nuova introduzione [Cart.]: - 111-bis [Deposito telematico] → esso prevede come regola l'obbligatorietà e la esclusività del deposito telematico di atti e documenti; prevede altresì due casi di deroga alla regola generale: (1) il deposito telematico non è obbligatorio per gli atti e documenti che, per loro natura o per specifiche esigenze processuali, non possono essere acquisiti in copia informatica, e.g. documenti aventi contenuto dichiarativo preformati rispetto al processo penale (una scrittura privata, un testamento olografo) di cui si contesti l’autenticità o documenti, quali ad esempio planimetrie, estratti di mappa, fotografie aeree e satellitari, per i quali appare indispensabile il deposito in forma di documento analogico; (2) le parti possono depositare in forma analogica gli atti che compiono personalmente → l’utilizzo del termine “parti” appare inesatto in quanto certamente da questa facoltà è esclusa la “parte pubblica” e in ogni caso pare rivolgersi ai soli soggetti privati. - 111-ter [Fascicolo informatico e accesso agli atti] → prevede che i fascicoli informatici del procedimento penale siano formati, conservati, aggiornati e trasmessi in modalità digitale, tale da assicurarne l’autenticità, l’integrità, la accessibilità, la leggibilità, l’interoperabilità nonché un’efficace e agevole consultazione telematica. Ratio: garantire una maggiore effettività del diritto di difendersi, attraverso un accesso alle informazioni nel fascicolo veloce, completo, di facile lettura. Per gli atti depositati in modalità analogica (modalità che, come detto, è sempre possibile per il deposito operato personalmente dalle parti), si prescrive una pronta conversione in copia informatica ai fini del loro inserimento nel fascicolo informatico; eccezione: atti e i documenti formati e depositati in forma di documento analogico che per loro natura o per specifiche esigenze processuali non possano essere acquisiti o convertiti in copia informatica. Si è precisato che nel fascicolo informatico debba essere inserito un elenco dettagliato di tutti gli atti e documenti che, per qualsiasi ragione, siano acquisiti in forma di documento analogico e non siano stati convertiti in copia informatica. Tale disposizione vale a preservare completezza e continuità del fascicolo processuale anche laddove parte dello stesso fascicolo sia in forma di documento analogico, al contempo offrendo alle parti uno strumento utile per comprendere, consultando telematicamente il fascicolo, quali e quanti degli atti e documenti che compongono quel fascicolo siano presenti solo in cartaceo. Le copie informatiche, anche per immagine, degli atti e documenti processuali, redatti come documento analogico, presenti nei fascicoli informatici, equivalgono all'originale anche se prive della firma digitale di attestazione di conformità all'originale. In conclusione, il fascicolo penale è e rimarrà unico e non vi sarà un regime di duplicazione (uno in formato digitale e uno in formato cartaceo). Il fascicolo, però, seppure unico, potrà essere in composizione mista: ferma, difatti, la regola del fascicolo digitale (che diventa il formato ordinario), sarà possibile che alcuni atti (e in particolare i documenti analogici che per loro natura o per specifiche esigenze processuali non possono essere acquisiti o convertiti in copia informatica) siano conservati in formato cartaceo. Se la documentazione di un atto, per qualsiasi causa è stata distrutta, smarrita o sottratta, né è possibile recuperarla, ma di tale atto occorre tuttavia fare uso, il codice prevede l'impiego di più rimedi, collocati secondo un ordine successivo che tiene conto della rispettiva complessità. 1- Surrogazione all'originale di una copia autentica (art. 112): la competenza funzionale in materia è affidata al presidente della Corte o del tribunale, i quali provvedono – anche d'ufficio – con l'emissione di un decreto, con cui al soggetto che detiene la copia viene impartito l'ordine di consegnarla in cancelleria. 2- Ricostituzione dell’atto (art. 113): esiste un potere di iniziativa ex officio, ma non viene indicato l'organo incaricato a provvedere. Al pari di quanto dottrina e giurisprudenza hanno sostenuto in passato, tale organo si individua nel giudice avanti al quale pende il procedimento o nel giudice dell'esecuzione. 3- Rinnovazione dell’atto: data la sua natura antieconomica, la rinnovazione è un'extrema ratio. Previo un giudizio di necessità e di possibilità, essa è disposta con ordinanza — da ritenersi inoppugnabile, ma non irrevocabile — che ne prescrive le modalità, non anche le forme, essendo queste predeterminate dalla legge. Spetta al giudice in caso indicare gli altri atti che debbono al pari rinnovarsi, in quanto presupposto di validità dell'atto mancante Il divieto di pubblicazione degli atti L'art. 114 si inserisce nell'ambito della più ampia disciplina prevista in materia di conoscenza pubblica degli atti del procedimento e del processo penale, regolata anche dall’art. 329. Dal combinato disposto di questi due articoli, si evince che il legislatore ha inteso introdurre due ipotesi di divieto di pubblicazione con mezzo stampa o altro mezzo di diffusione, distinti a seconda della categoria di atti a cui si riferiscono: (1) divieto di pubblicazione assoluto avente ad oggetto il contenuto dell'atto = divieto di riproduzione totale o parziale dell'atto o del suo contenuto [anche in modo meramente riassuntivo]; tale regime riguarda gli atti coperti dal segreto investigativo (art. 329) o singoli atti o notizie relative determinate operazioni oggetto di apposito decreto di segretazione ad opera del PM (art. 329). (2) divieto di pubblicazione dell'atto = divieto relativo; riguarda gli atti di indagine non più coperti da segreto. Rispetto agli atti coperti da segreto, il divieto di pubblicazione è assoluto, investendo sia la riproduzione pubblica dell'atto, parziale o totale, sia il contenuto dell'atto. Il divieto di pubblicazione opera per tutta la durata delle indagini preliminari, finché restano ignoti i potenziali autori del reato. Dal momento nel quale è individuata la persona sottoposta alle indagini, il divieto si modella in funzione del regime di conoscenza di ogni singolo atto. Tale divieto viene meno con i depositi [cfr. discovery] previsti dagli artt. 366 (per gli atti ai quali avrebbero avuto diritto di assistere i difensori), 409 comma 2° (nel caso di richiesta di archiviazione seguita da fissazione dell'udienza in camera di consiglio) e 415-bis comma 2° (nel caso in cui il pubblico ministero intenda richiedere il rinvio a giudizio). Tuttavia, esistono atti, come l'informazione di garanzia, che – non rientrando nell'ambito degli «atti di indagine» cui allude l'art. 329 comma 1° – sorgono senza il presidio del divieto assoluto di pubblicazione ex art. 114 comma 1°. L'area del divieto di pubblicazione subisce, poi, una concreta variazione per effetto dei decreti motivati del pubblico ministero relativi alla «desegretazione», ovvero alla «segretazione» di singoli atti, nonché all'imposizione di un autonomo divieto di pubblicazione riguardo ad atti o notizie non più coperti da segreto. Ratio del divieto di pubblicazione e privacy: era in origine riconducibile all'esclusiva protezione dell'attività investigativa, mentre la tutela della riservatezza della persona sottoposta alle indagini non assumeva alcuno specifico rilievo. Significativo a questo proposito è stato il problema della pubblicazione di intercettazioni di comunicazioni e conversazioni: esse offrono gli inquirenti una massa di informazioni processualmente non pertinenti o irrilevanti, ma invitanti per i mezzi di comunicazione di massa specialmente quando si riferiscono a personaggi pubblici. A proposito, si è presto sentita l'esigenza di operare un bilanciamento: nel 2016 il CSM aveva emesso delle “linee guida”, richiedendo ai pubblici ministeri di espungere dal materiale sottoposto al giudice le intercettazioni non utilizzabili e irrilevanti per l'accertamento dei reati, specialmente se rientranti nella tipologia dei “dati sensibili” secondo il codice della privacy. La l. n° 103 del 2017 ha toccato la materia delle intercettazioni e della tutela della riservatezza → essa ha voluto impedire che le intercettazioni di comunicazioni e conversazioni processualmente irrilevanti confluissero tra gli atti del procedimento e da qui transitassero, in modo formalmente legittimo, sui mezzi di comunicazione di massa, erigendo barriere a protezione della privacy dei partecipanti del procedimento. In realtà la manovra legislativa ha però toccato in maniera marginale il divieto di pubblicazione, operando piuttosto “a monte” mutamento della sistematica del codice. La durata dei divieti è modulata con riguardo alla funzione dell'atto. ➔ Se NON si procede a dibattimento, il divieto cade con la conclusione delle indagini preliminari o con il termine dell'udienza preliminare. ➔ Se SI PROCEDE a dibattimento, è necessario distinguere tre categorie di atti. 1. Gli atti inseriti nel fascicolo per il dibattimento, senza che ne fosse stata data lettura in udienza; erano oggetto di un divieto di pubblicazione destinato a cadere con la pronuncia della sentenza di primo grado; una declaratoria di illegittimità ha accorciato la durata del divieto: ora gli atti inseriti nel fascicolo per il dibattimento sono pubblicabili immediatamente, sin dalla relativa formazione (art. 431). Se, però, l'atto viene trasferito dal fascicolo per il dibattimento a quello del pubblico ministero, essendosi accolta la relativa questione preliminare, il divieto di pubblicazione si ripristina automaticamente; lo stesso vale nel caso in cui l'atto sia poi letto in una porzione di dibattimento tenuto a porte chiuse. 2. Gli atti inseriti nel fascicolo del pubblico ministero, sono pubblicabili solo dopo la pronuncia della sentenza di secondo grado. Tali atti sono tuttavia immediatamente pubblicabili se sono stati utilizzati per le contestazioni. L'art. 114 introduce due ulteriori divieti di pubblicazione di un atto/sua parte, che si caratterizzano per essere disposti dal giudice sentite le parti: 1. Divieto di pubblicazione degli atti già utilizzati per le contestazioni: se il dibattimento viene svolto a porte chiuse [divieto generale] 2. Divieto di pubblicazione, anche parziale, degli atti non segreti dei procedimenti speciali privi della fase dibattimentale, che sarebbero risultati di per sé pubblicabili con la chiusura delle indagini preliminari o al termine dell'udienza preliminare. Ratio: preoccupazione di evitare offese al buoncostume e diffusione di notizie che devono rimanere segrete nell'interesse dello Stato, esigenza della tutela della privacy di testimoni e parti private. Le SENTENZE si caratterizzano per l’idoneità a chiudere uno stato o un grado del procedimento, in quanto contengono una decisione sulla regiudicande; esse sono pronunciate in nome del popolo italiano (art. 101 Cost.). Per quanto riguarda il loro contenuto decisorio, fondamentale è la distinzione tra sentenze di condanna e sentenze di proscioglimento. - Sentenza di condanna (art. 533); essa costituisce uno degli esiti tipici del dibattimento, ma queste sentenze sono pronunciabili anche al termine del giudizio abbreviato; vale come sentenza di condanna anche il decreto penale, mentre la sentenza che applica la pena su richiesta delle parti è solo equiparata a una sentenza di condanna. - Sentenze di proscioglimento → costituiscono una categoria molto ampia che comprende: o le sentenze di assoluzione pronunciate all’esito del dibattimento con le formule per cui: il fatto non sussiste, l’imputato non l’ha commesso, il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, il reato è stato commesso da persona non imputabile o non punibile per altra ragione (art. 530). Tali sentenze acquistano l’autorità di cosa giudicata: godono di particolare efficacia nel giudizio civile e amministrativo di danno e nel giudizio per responsabilità disciplinare (artt. 652 e 653). Sentenze di assoluzione sono pronunciabili anche al termine del giudizio abbreviato, o le sentenze di non luogo a procedere, pronunciate al termine dell’udienza preliminare, con le formule di merito e di rito ex art. 425. Esse, ove non più soggette ad impugnazione, acquistano forza esecutiva, ma non di cosa giudicata, potendo essere revocate. o le sentenze di non doversi procedere emesse nei successivi gradi e stati del procedimento; ne fanno parte le sentenze predibattimentali pronunciate con le formule per cui l'azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita ovvero il reato è estinto (art. 469) [proscioglimento prima del dibattimento]; le sentenze dibattimentali fondate sulle stesse formule (art. 529 e 531), nonché le sentenze pronunciate sempre con le stesse formule al termine del giudizio abbreviato. A questa categoria sono ricondotte anche le sentenze che non riconoscono un doversi procedere per esistenza di segreto di Stato ovvero di una violazione del divieto di bis in idem. Esse sono sentenze meramente processuali che non implicano un completo approfondimento del merito = prive di efficacia in sede extrapenale. Altre figure: o le sentenze dichiarative, che verificano l’esistenza di determinate fattispecie di natura processuale; sono sfornite della portata liberatoria propria delle sentenze di non luogo a procedere e di proscioglimento: ad es. le sentenze di annullamento, le sentenze che pronunciano sulla giurisdizione e sulla competenza; o le sentenze costitutive, creative di effetti giuridici: ad es. le sentenze emesse dal tribunale per i minorenni che concedono il perdono giudiziale (art. 169 c.p.), le sentenze di riabilitazione (art. 683), le sentenze che riconoscono efficacia alle sentenze penali straniere (art. 730). A tal punto, meglio si comprende la classica distinzione tra: a. sentenze di merito: risolvono la questione relativa al dovere di punire (es. sentenze di condanna, assoluzione); b. sentenze processuali: sciolgono meri nodi processuali (es. sentenze di annullamento, sulla competenza). ➔ Sentenze di proscioglimento per la particolare tenuità del fatto (2015). Con l'introduzione di questa fattispecie si è dato vita ad una causa di non punibilità di natura soggettiva, al fine di produrre una sorta di depenalizzazione in concreto (favor alla natura sostanziale del fatto). Ratio dell’istituto: realizzare economie processuali creando un epilogo anticipato del procedimento (deflazione processuale). Le sentenze che dichiarano la particolare tenuità del fatto sono subordinate all'avveramento di quattro condizioni sostanziali (art. 131-bis c.p.). a. accertamento che l'imputato abbia realizzato il fatto storico rientrante in una fattispecie incriminatrice (=offesa del bene giuridico) b. la pena prevista, se detentiva, non deve superare nel massimo i 5 anni (senza tener conto delle circostanze/senza bilanciamento) c. sussistenza di uno dei parametri legislativamente individuati per cui il fatto possa ritenersi “di particolare tenuità” (modalità della condotta, esiguità del danno o del pericolo, non aver agito per motivi abietti o futili o con crudeltà) d. il comportamento tenuto dal soggetto non deve essere di carattere abituale, con specificazione dei relativi parametri Effetti di questo tipo di sentenza: essa è idonea, se pronunciata in seguito a giudizio, a divenire irrevocabile; è inoltre munita di efficacia extrapenale → il cpp stabilisce infatti che tali sentenze, una volta divenute irrevocabili in seguito a dibattimento o giudizio abbreviato, vengano trattate come se fossero sentenze di condanna, avendo efficacia di giudicato quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e dell'affermazione che l'imputato lo ha commesso ai fini del giudizio civile per le restituzioni o il risarcimento del danno (art. 651-bis). Le ORDINANZE servono a governare l’andamento del processo, e di regola sono revocabili: ad es. quelle applicative di una misura cautelare personale. I DECRETI esprimono un comando dell’autorità procedente, assumendo natura prevalentemente amministrativa (ciò spiega il perché possono essere emessi anche dal PM). Essi sono revocabili e, se non è diversamente disposto; Motivazione → si tratta dell’esposizione concisa delle ragioni di fatto e di diritto che stanno a fondamento del dispositivo del provvedimento, vale a dire del comando dell’autorità giudiziaria. Necessaria per sentenze e ordinanze, normalmente NON per i decreti. È prevista la nullità relativa (art. 125.3), per la mancanza di motivazione nelle sentenze, nelle ordinanze e, ove prescritta, nei decreti. Tale nullità investe la motivazione intesa in senso grafico/strutturale, ma non i relativi vizi logici. La motivazione per relationem, ossia quella che si riporti al contenuto di un altro atto, non è causa di nullità tutte le volte in cui il secondo sia conosciuto o facilmente conoscibile dalla parte (ad es. per effetto del deposito in cancelleria) → solo in tal modo è dato alla parte – tramite l’esame dell’atto richiamato – il potere di controllare l’adeguatezza e la congruità del ragionamento giustificativo del giudice. È tuttavia possibile irrigidire l'obbligo motivazionale mettendo fuori gioco espressamente la motivazione per relationem. La giurisprudenza ammette anche l’uso di moduli prestampati. Art.125 Deliberazione in camera di consiglio dei provvedimenti: la deliberazione si caratterizza per l'immediatezza rispetto alla chiusura della trattazione, per l'immutabilità dei giudici rispetto alla trattazione medesima e per la continuità delle operazioni. Dalla fase deliberativa sono esclusi sia le parti sia gli ausiliari. Il segreto sulla deliberazione è penalmente tutelato. Nel caso di provvedimenti collegiali e purché lo richieda un componente del collegio che non abbia espresso voto conforme alla decisione, è compilato sommario verbale contente l’indicazione del dissenziente, della questione o delle questioni alle quali si riferisce il dissenso ed i motivi dello stesso. Il verbale, redatto dal meno anziano tra i componenti togati del collegio e sottoscritto da tutti gli altri, viene conservato in plico sigillato nella cancelleria dell’ufficio: potrà servire a chi ha dissentito, liberandolo da ogni eventuale responsabilità, se i componenti del collegio saranno chiamati a rispondere del loro operato in sede civile. Il procedimento in camera di consiglio – art. 127 L’art. 127 del codice di rito delinea un modello valido per tutti i procedimenti che si svolgono in camera di consiglio (c.d. riti camerali) così adempiendo ad una duplice funzione: (a) realizza economia normativa (evitando che per ogni singola ipotesi di procedimento camerale debbano esser predisposte le relative forme); (b) assicura il contraddittorio tra le parti e, più in generale, il diritto di difesa dei soggetti interessati. In molti casi il rinvio alle norme dell'art. 127 è integrale, mentre in altri la norma speciale introduce adattamenti. Deviazioni dal modello base ex art. 127 → realizzazione del contraddittorio: - Modello “forte”: vale nei procedimenti in cui la legge impone la partecipazione necessaria del difensore della persona sottoposta alle indagini o dell’indagato, nonché del pubblico ministero, si faccia riferimento a: (a) udienza per l’espletamento di incidente probatorio (401); (b) udienza preliminare (420); (c) udienza di proscioglimento predibattimentale (469). - Modello “debole”: vale nei procedimenti in cui non è richiesta la partecipazione necessaria di tali soggetti – il contraddittorio è assicurato in forma meramente cartolare; esempio: procedimento con cui il giudice autorizza la proroga del termine delle indagini preliminari (406). Al ricorrere di una delle ipotesi in cui si debba procedere in camera di consiglio, il giudice o il presidente del collegio, fissata la data dell’udienza, ne fa dare avviso al pubblico ministero, alle parti private e ai difensori almeno 10 giorni prima della data fissata; al fine di non lasciare l'imputato privo di assistenza e l'avviso è notificato anche al suo difensore d'ufficio. Fino a 5 giorni prima dell’udienza, le parti possono depositare memorie in cancelleria. Il procedimento in camera di consiglio si caratterizza per un contraddittorio “eventuale”. Infatti, la partecipazione delle parti, degli interessati e dei loro difensori non è obbligatoria, ma solo facoltativa: se queste compaiono, dovranno essere sentita dal giudice, a pena di nullità. Dopo le modifiche intervenute con la riforma [Cartabia], il detenuto o internato in luogo posto fuori dalla circoscrizione del giudice può chiedere di essere sentito: se l’imputato dà il proprio consenso, si procede all’ascolto mediante collegamento a distanza in tutti i casi previsti dalla legge; se l’imputato non dà il proprio consenso, egli è sentito prima del giorno dell’udienza dal magistrato di sorveglianza del luogo, in modo da permettere lo scambio di informazioni con il giudice procedente. Il procedimento si svolge in udienza, senza la presenza del pubblico. Innanzitutto, si compiono gli atti introduttivi volti ad accertare la regolare costituzione delle parti → qualora vi sia un legittimo impedimento dell'imputato o del condannato che hanno chiesto di essere sentiti personalmente, l'udienza è rinviata, a meno che non sia già stato sentito dal magistrato di sorveglianza nelle ipotesi di detenuto o internato al di fuori della circoscrizione del giudice procedente. Non appena compiuti gli atti introduttivi si procede oralmente tramite un membro del collegio, su designazione del presidente. L'udienza si conclude con ordinanza ricorribile per cassazione, dopo esser stata comunicata o notificata alle parti, alle altre persone ed ai difensori. Il ricorso avverso l'ordinanza non sospende l'esecuzione della medesima, a meno che il giudice disponga diversamente con decreto motivato. Tra i provvedimenti deliberati in camera di consiglio senza il procedimento formale (“de plano”), l'art 127 considera solo quelli conseguenti l'inammissibilità dell'atto introduttivo (art. 591) → l’inammissibilità è dichiarata dal giudice con ordinanza, anche senza formalità di procedura, salvo che sia altrimenti stabilito. Tramite il deposito, i provvedimenti emessi a seguito del procedimento in camera di consiglio o de plano entrano a far parte. Nell'ipotesi in cui il provvedimento sia suscettibile di impugnazione, l'avviso del deposito (in cui è contenuto il solo dispositivo) deve essere comunicato al pubblico ministero e a tutti i titolari del diritto di impugnazione. Il verbale dell'udienza può essere redatto sia in forma integrale, sia in forma riassuntiva. L'immediata declaratoria di cause di non punibilità e la correzione degli errori materiali L'immediata declaratoria di cause di non punibilità e la procedura di correzione di errori materiali → potere di iniziativa ex officio del giudice. L’immediata declaratoria di cause di non punibilità [sentenza di proscioglimento] (art. 129) consiste nell’obbligo di arrestare il processo e di far cadere la qualità di imputato appena maturi la possibilità di pronunciare una sentenza di proscioglimento (in ogni stato e grado del processo). Ratio: economia processuale e attuazione del principio di favor rei. L’art. 129.1 comprende una gamma di formule terminative disposte secondo un ordine di priorità informato alla tutela dell'innocenza dell'imputato → (a) il fatto non sussiste, (b) l'imputato non ha commesso il fatto; (c) “il fatto non costituisce reato” (d) “il fatto non è previsto dalla legge come reato”; (e) il reato è estinto; (f) manca una condizione di procedibilità: tale ultimo riferimento va interpretato in senso estensivo ed include: (g) causa di non proseguibilità (cfr. art. 68 [errore sull'identità fisica dell'imputato]), (h) ipotesi di violazione del ne bis in idem. Nella fase delle indagini preliminari non esiste un giudice che proceda; perciò, si è dovuto prevedere che la immediata declaratoria operi solo nel contesto del processo. Nella fase delle indagini preliminari un compito equivalente è svolto dall’archiviazione → formule in facto [art. 408: archiviazione della notizia infondata]; formule in iure [art. 411: archiviazione per mancanza di una condizione di procedibilità, per estinzione del reato o per l'essere il fatto non previsto dalla legge come reato]. L'art. 129 subisce tuttavia limitazioni dipendenti dalla struttura del processo → le formule relative alle sentenze di non luogo a procedere emesse all'esito dell'udienza preliminare [sentenza di non luogo a procedere] (art. 425) non coincidono perfettamente con quelle relative all'immediata declaratoria di cause di non punibilità. L’art. 425 include ANCHE le sentenze che dichiarano la non punibilità di “persona non punibile per qualsiasi causa”. Inoltre, il potere del giudice di pronunciare ex officio la declaratoria di non punibilità ex art. 129 (e per le altre cause considerate ex art. 425) trova limiti nella funzione adempiuta dall'udienza preliminare1 >> secondo la Corte costituzionale: nell'ipotesi in cui in sede di udienza preliminare la prova risulta insufficiente o contraddittoria, la sentenza di non luogo a procedere verrà pronunciata nelle sole ipotesi in cui è fondato prevedere che l'eventuale istruzione dibattimentale NON possa fornire utili apporti per superare il quadro di insufficienza o contraddittorietà probatoria”, diversamente dovrà emettersi il provvedimento di rinvio a giudizio. [Proscioglimento prima del dibattimento, art. 469]: anche nella fase degli atti preliminari al dibattimento è possibile procedere a proscioglimento anticipato. Tale articolo – fatto salvo quanto stabilito dall’art. 129.2 – ammette la declaratoria di improcedibilità con le sole formule relative a (a) improcedibilità dell'azione (“l’azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita”) e (b) estinzione del reato, sempre che per accertarne l’estinzione non sia necessario procedere a dibattimento → pronuncia di [sentenza di non doversi procedere]. Art. 129 comma 2 >> dispone il proscioglimento nel merito, anche in presenza di una causa estintiva del reato, tramite sentenze di assoluzione o non luogo a procedere. Regola di giudizio: prevalenza della formula di merito su quella estintiva. Regola istruttoria: la prevalenza della formula di merito deve risultare evidente dagli atti → In pratica, la prova per pronunciare la formula di merito deve essere già stata acquisita nel momento in cui si profili una causa di estinzione del reato, in termini tali da poter essere semplicemente constatata. 1 Funzioni dell’udienza preliminare: verificare se l’accusa è fondata o meno, ai fini procedurali, sostenendo pertanto la scelta tra una sentenza di non luogo a procedere, o rinvio a giudizio. Non solo: essa consente di acquisire nuove prove, oppure sancire il ricorso ai riti alternativi a quello ordinario, previsti dal nostro ordinamento, come il patteggiamento o il rito abbreviato. interruzioni. Qualora siano indisponibili gli appositi strumenti o il personale tecnico idoneo, il giudice o il PM possono porvi rimedio mediante la nomina di un perito o di un consulente tecnico, a cui devono essere liquidati i relativi compensi. La trascrizione non è obbligatoria in quanto è disposta solo su richiesta di parte. La documentazione non integrale è inutilizzabile e, in caso contrario, è prevista una sanzione. La partecipazione a distanza Le innovazioni tecnologiche consentono oggi la partecipazione a distanza all’udienza, attraverso una connessione video con una postazione remota. In origine, l’introduzione della partecipazione a distanza [teleconferenza] voleva realizzare obiettivi di economia processuale riducendo le traduzioni di detenuti e i tempi del dibattimento, mentre l'esame a distanza [telesame] intendeva garantire la sicurezza personale del dichiarante. All'inizio ci si è avvalsi di un collegamento via rete telefonica Isdn (Integrated Services Digital Network) ma i limiti intrinseci alla tecnologia trasmissiva Isdn – come la qualità non perfetta del segnale video o l'apprezzabile intervallo temporale tra il momento in cui la domanda è formulata e quello in cui viene percepita dal destinatario – sono ora superati dall'impiego di reti IP per la realizzazione sia della multi-conferenza, sia del collegamento fonico riservato. L’art. 146-bis disp. att. (“Partecipazione al dibattimento a distanza”, aggiornato dalla l. n. 103/2017), sancisce che: ❖ La persona che si trova in stato di detenzione per taluno dei delitti indicati negli artt. 51 comma 3-bis (es. reati di associazione a delinquere o di stampo mafioso) e 407 comma 2°, lett. a) n° 4 (es. delitti con finalità di terrorismo), «partecipa a distanza alle udienze dibattimentali dei processi nei quali è imputata, anche relativi a reati per i quali sia in libertà», nonché «alle udienze penali e alle udienze civili nelle quali deve essere esaminata quale testimone». Nella nuova versione dell’art. non sussistono condizioni alle quali subordinare la partecipazione a distanza dell’imputato al dibattimento, che dunque diventa obbligatoria. Il nuovo testo del comma 1- bis aggiunge poi che anche la persona ammessa a programmi o misure di protezione, comprese quelle di tipo provvisorio, partecipa a distanza alle udienze dibattimentali dei processi nei quali è imputata; ❖ Per temperare l’automatismo dell’esame a distanza, il nuovo comma 1-ter prevede che, al di fuori del caso in cui siano state applicate le misure stabilite nell’art. 41-bis ord. penit. (c.d. carcere duro), il giudice «può disporre con decreto motivato, anche su istanza di parte, la presenza alle udienze delle persone indicate nei commi 1° e 1-bis qualora lo ritenga necessario»; ❖ Ex comma 1-quater, fuori dei casi previsti dai commi 1° e 1-bis, il giudice può disporre con decreto motivato la partecipazione a distanza di qualsiasi imputato; ciò è possibile quando sussistono ragioni di sicurezza, qualora il dibattimento sia di particolare complessità e sia necessario evitare ritardi nel suo svolgimento, ovvero quando si deve assumere la testimonianza di persona a qualunque titolo in stato di detenzione presso un istituto penitenziario. ❖ Ex comma 3, quando è disposta la partecipazione a distanza, è attivato un collegamento audiovisivo tra l'aula di udienza e il luogo della custodia, con modalità tali da assicurare la contestuale, effettiva e reciproca visibilità delle persone presenti in entrambi i luoghi e la possibilità di udire quanto vi viene detto [=standard tecnico elevato]. L'equiparazione della postazione remota all'aula di udienza costituisce una fictio iuris → al presidente del collegio resta infatti affidato, anche rispetto alla postazione remota, il potere di direzione del dibattimento, compreso quello di decidere senza formalità sulle questioni relative alle modalità del collegamento è il potere di disciplina dell'udienza. Lo scopo precipuo della fictio rileva a proposito delle garanzie difensive: serve ad escludere la necessità che l'imputato debba essere assistito da due difensori, uno nell'aula di udienza l'altro nella postazione remota; da qui la creazione di una figura anomala di sostituto, non conseguente al legittimo impedimento. ❖ Ex comma 4, è sempre consentito al difensore o a un suo sostituto di essere presente nel luogo dove si trova l'imputato. Il difensore o il suo sostituto presenti nell'aula di udienza e l'imputato possono consultarsi riservatamente, per mezzo di strumenti tecnici idonei (art. 146-bis disp. att. comma 4°). Il luogo dove l'imputato si collega in audiovisione è equiparato all'aula di udienza. Viene in tal modo garantita la libertà e la segretezza del flusso di informazioni tra assistito e difensore. ❖ Ex comma 4-bis, in caso sia stato già attivato il collegamento audiovisivo, con il consenso del giudice, ANCHE le parti e i loro difensori possono intervenire a distanza assumendosi l'onere dei costi del collegamento; ratio: incremento dell'uso del processo virtuale. ❖ Ex comma 6, un ausiliario abilitato, designato dal giudice o, in caso di urgenza, dal presidente del collegio è presente nel luogo ove si trova l'imputato e ne attesta l'identità dando atto che non sono posti impedimenti o limitazioni all'esercizio dei diritti e delle facoltà a lui spettanti. Egli dà atto altresì della osservanza delle disposizioni relative alle modalità del collegamento a distanza e della riservatezza delle consultazioni tra l'imputato e i suoi difensori, nonché, se ha luogo l'esame, delle cautele adottate per assicurarne la regolarità con riferimento al luogo ove si trova. A tal fine interpella, ove occorra, l'imputato ed il suo difensore. Documentazione plurima: accanto al verbale del dibattimento redatto del giudice che siede nell'aula di udienza, si avranno tanti altri verbali quante sono le postazioni remote. Essi investono solo gli aspetti presi direttamente in considerazione dal comma sei punto la documentazione delle dichiarazioni e quant'altro provenga dalle persone presenti nella postazione remota confluirà necessariamente nel verbale tenuto dalla del giudice che siede nell'aula di udienza. ❖ Ex comma 7, la videoconferenza può interrompersi con il conseguente ripristino della partecipazione fisica dell'imputato ciò accade se serve procedere a confronto o ricognizione dell'imputato o ad altro atto che implica l'osservazione della sua persona, sempre che il giudice sentite le ritengo indispensabile la presenza dell'imputato, naturalmente per il solo tempo del compimento dell'atto. La partecipazione a distanza va disposta anteriormente all'inizio della prima udienza dibattimentale per evitare che essa si tenga con l'imputato presente e allo stesso tempo per rendere più agevole l'organizzazione della difesa. Il provvedimento che dispone la partecipazione a distanza è preso in assenza di contraddittorio e assume la forma del decreto motivato, che deve essere comunicato alle autorità competenti, alle parti e ai loro difensori. L’art. 45-bis disp. att. (“Partecipazione al procedimento in camera di consiglio a distanza) opera un rinvio diretto al disposto dell'art 146-bis.) L’esame a distanza L’attuale art. 147-bis disp. att. è stato anch’esso riformato nel 2017 ed è oggi rubricato “Esame degli operatori sotto copertura, delle persone che collaborano con la giustizia e degli imputati di reato connesso”. Al comma1° si occupa dell’esame di persone ammesse a programmi o a misure di protezione, anche di tipo urgente e provvisorio, riferendosi alle sole udienze dibattimentali, ma tale disciplina può ben essere estesa anche all’incidente probatorio. Chi dispone l'esame a distanza in questo caso è giudice o presidente del tribunale (di propria iniziativa o su richiesta delle parti o dell'autorità che ha disposto il programma o la misura di protezione). Per quanto riguarda il telesame vi sono ipotesi in cui la sua adozione è discrezionale, ed altre in cui essa è tendenzialmente obbligatoria: - discrezionale → (comma 2°) disposta anche d'ufficio dal giudice del presidente del tribunale, sentite le parti. - obbligatorio → (comma 3°) non può dirsi davvero tale poiché è comunque fatto salvo il caso in cui il giudice ritenga assolutamente necessaria la presenza della persona da esaminare (tale ipotesi è riferita essenzialmente alla mancata disponibilità o al cattivo funzionamento momentaneo delle apparecchiature tecniche). Tutte le ipotesi sono costruite in chiave soggettiva: e.g. (a) persone ammesse ai piani provvisori di protezione o a speciali misure di protezione, (a-bis) testimoni di giustizia. La lettera (b) introduce due regole speciali che valgono nel caso in cui nei confronti della persona sottoposta ad esame è stato emesso il provvedimento di cambiamento delle generalità: ① il telesame deve essere condotto sotto le precedenti generalità quando si procede per fatti anteriori al provvedimento che le ha cambiate; ②devono essere disposte le cautele idonee ad evitare che il volto della persona sia visibile → ciò permette di dedurre che negli altri casi di telesame la visibilità delle fattezze del dichiarante debba essere sempre assicurata. Per quanto attiene alle modalità di conduzione del telesame, il collegamento audiovisivo deve garantire la contestuale visibilità delle persone presenti nel luogo dove la persona sottoposta ad esame si trova. L’ausiliare del giudice ha il compito di documentare le operazioni effettuate, tra le quali spicca quella di dare atto delle cautele adottate per assicurare la regolarità dell’esame. Il telesame si converte in videoconferenza se la persona da esaminare deve essere assistita da un difensore ma, si tratta di ipotesi residuali rispetto alla partecipazione a distanza dell’imputato detenuto, per il quale resta ferma la disciplina più garantista. La partecipazione all’udienza dell’imputato detenuto all’estero, sempreché non possa essere trasferito in Italia, avviene tramite collegamento audiovisivo, in quanto previsto da accordi internazionali; inoltre, la partecipazione all’udienza di un testimone o di un perito che si trova all’estero, può avvenire a distanza secondo le modalità e i presupposti stabiliti in fonti internazionali. La traduzione degli atti Il cpp pone la disciplina della traduzione tra gli atti del procedimento, tale scelta si giustifica poiché la traduzione non integra un mezzo di prova, ma una semplice mediazione linguistica tra i soggetti del procedimento. Per interprete, si intende la persona che riproduce in lingua italiana o in lingua diversa dichiarazioni orali, e per traduttore, la persona che svolge il medesimo compito nei confronti di atti o documenti scritti. Le ipotesi in cui bisogna ricorrere ad un interprete sono tipizzate dall’art. 143 (riscritto quasi completamente dal d.lgs. n. 32/2014): 1) Comma 1 – interpretariato: l’imputato (e la persona sottoposta alle indagini) che non conosce, perché non parla o non comprende, la lingua italiana ha il diritto di farsi assistere gratuitamente da un interprete per comprendere l’accusa formulata contro di lui, in modo tale da essere messo nelle condizioni di seguire il compimento degli atti cui partecipa [=atti fondamentali]. Il diritto all'assistenza linguistica investe, oltre alla conoscenza del tema del processo (e delle indagini preliminari) da parte dell'imputato o dell'indagato, il compimento di singoli atti procedimentali o processuali, ma anche lo svolgimento delle udienze a quali egli partecipi. Il diritto all'assistenza, sempre gratuita, dell'interprete è stata poi estesa ai colloqui con il difensore (cfr. art. 104, c.4-bis). 2) Comma 2 – traduzione: negli stessi casi l'autorità procedente dispone la traduzione scritta, entro un termine congruo tale da consentire l'esercizio dei diritti e della facoltà della difesa, dell'informazione di garanzia, dell'informazione sul diritto di difesa, dei provvedimenti che dispongono misure cautelari personali, dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, dei decreti che dispongono l'udienza preliminare e la citazione a giudizio, delle sentenze e dei decreti penali di condanna [=obiettivo esercizio delle facoltà difensive]. L'attività di traduzione non investe la validità dell'atto, ma la sua efficacia temporale in funzione dell'esercizio del diritto di difesa. 3) Comma 3 e 4: la traduzione gratuita di altri atti [integrale] o anche solo di parte di essi [parziale], ritenuti essenziali per consentire all'imputato di conoscere le accuse a suo carico, può essere disposta dal giudice, anche su richiesta di parte, con atto motivato, impugnabile unitamente alla sentenza. L'accertamento sulla conoscenza della lingua italiana è compiuto dall'autorità giudiziaria. La conoscenza della lingua italiana è presunta fino a prova contraria per chi sia cittadino italiano. Conta a proposito non la comprensione del significato tecnico degli atti processuali, ma la padronanza media della lingua. Tale garanzia deve essere coordinata con quelle predisposte per gli appartenenti a una minoranza linguistica riconosciuta → al cittadino italiano (appartenente ad una minoranza linguistica) imputato che non parla o non comprende la lingua italiana è assicurata una posizione di parità con l’imputato straniero, anche se a suo carico è posta una presunzione relativa di conoscenza della lingua italiana. Ai sensi dell’art. 143-bis “altri casi di nomina dell'interprete” (inserito nel 2015): 1) L’autorità procedente nomina un interprete quando occorre tradurre uno scritto in lingua straniera o in un dialetto non facilmente intellegibile ovvero quando la persona che vuole o deve fare una dichiarazione non conosce la lingua italiana. La dichiarazione può anche essere fatta per iscritto e in tale caso è inserita nel verbale con la traduzione eseguita dall'interprete. L’interprete deve essere nominato anche quando il giudice, il PM o l’ufficiale di PG hanno personale conoscenza della lingua o del dialetto da interpretare. Cfr. art- 90-bis, la persona offesa deve essere informata in una lingua a lei comprensibile, tra l'altro, delle modalità di esercizio del diritto all’interpretariato e alla traduzione; ex 143-bis, infatti, l'autorità procedente nomina un interprete anche d'ufficio quando occorre procedere all'audizione della persona offesa che non conosca la lingua italiana oppure la stessa persona offesa voglia partecipare ad un'udienza e abbia richiesto l'assistenza di un interprete. 2) L'assistenza dell'interprete può essere assicurata, ove possibile, anche mediante l'utilizzo delle tecnologie di comunicazione a distanza, sempreché la presenza fisica dell'interprete non sia necessaria per consentire alla persona offesa di esercitare correttamente i suoi diritti o di comprendere compiutamente lo svolgimento del procedimento → obiettivo = contenere i costi. La persona offesa che non conosce la lingua italiana ha diritto alla traduzione gratuita di atti, o parti degli stessi, che contengono informazioni utili all'esercizio dei suoi diritti. La traduzione può essere disposta sia in forma orale che per riassunto se l'autorità procedente ritiene che non ne derivi pregiudizio ai diritti della persona offesa. Nell'intento di elevare le qualità professionali dell'interprete e dei traduttori, il legislatore li ha collocati nell'elenco dei periti istituito presso ogni tribunale. Viene quindi istituito un elenco nazionale dell'interprete dei traduttori in formato elettronico: l'autorità giudiziaria deve avvalersi di tale elenco, potendo nominare interpreti e traduttori diversi solo “in presenza di specifiche particolari esigenze”. Capacità e incompatibilità dell’interprete: sono incapaci a fungere da interprete il minorenne, l’interdetto, l’inabilitato, l’affetto da infermità mentale, l’interdetto da uffici pubblici, l’interdetto o il sospeso da una professione o da un’arte e il sottoposto a misure di sicurezza personali o a misure di prevenzione. È poi incompatibile la persona esclusa dalla testimonianza o che gode della facoltà di astenersi, nonché chi è chiamato all’ufficio di testimone o di perito, ovvero chi è nominato consulente tecnico nello stesso procedimento o in un procedimento connesso. L’interprete incapace o incompatibile è ricusabile dalle parti private e, per i soli atti compiuti o disposti (es. le prove) dal giudice, è ricusabile anche dal PM. Se esiste un motivo di ricusazione oppure gravi ragioni di convenienza per astenersi, l’interprete deve dichiararle, e sulla dichiarazione di ricusazione o di astensione decide il giudice con ordinanza inoppugnabile. Con il provvedimento di nomina, l’interprete (o il traduttore) è citato a comparire con notificazione e, in situazioni di urgenza, anche oralmente attraverso l’ufficiale giudiziario o la PG. Il conferimento dell'incarico avviene conforme che non contemplano la prestazione del giuramento, ma che mantengono l'obbligo di serbare il segreto. Se le traduzioni scritte richiedono un lavoro di lunga durata, l’autorità procedente può prorogare, per giusta causa, il termine fissato per una sola volta. L’interprete che non ha presentato la traduzione nel termine può essere sostituito; in quest’ultimo caso, dopo essere stato citato a comparire per discolparsi, può essere condannato al pagamento di una somma a favore della cassa delle ammende. Se non è possibile consegnare personalmente la copia, la notificazione viene eseguita nell’abitazione o nel luogo in cui il soggetto esercita abitualmente la professione, consegnando la copia ad un convivente o al portiere. Qualora tali luoghi non siano conosciuti, la notificazione è eseguita dove l’imputato ha temporanea dimora o recapito. Il portiere sottoscrive l’originale dell’atto notificato, mentre l’ufficiale giudiziario dà notizia al destinatario dell’avvenuta notifica mediante raccomandata con ricevuta di ritorno → gli effetti della notificazione decorrono dal ricevimento della raccomandata. Copia dell’atto non può essere consegnata ad un minore di 14 anni o ad un incapace di intendere o di volere. Per tutelare la riservatezza, si prevede che, se la consegna è fatta nelle mani di persona diversa dal destinatario, avviene tramite consegna di plico chiuso. Se la prima notificazione non va a buon fine (e.g. le persone indicate mancano o non sono idonee o si rifiutano di ricevere la copia) occorre procedere nuovamente alla ricerca dell'imputato. Se neppure in tal modo è possibile eseguire la notificazione, come estrema ratio, l’atto viene depositato nella casa comunale dove abita l’imputato o, in subordine, dove esercita abitualmente la sua attività lavorativa; allo stesso tempo, un avviso di deposito viene affisso sulla porta dell’abitazione o del luogo in cui esercita la professione. Del deposito, l’ufficiale giudiziario dà comunicazione all’imputato mediante raccomandata con ricevuta di ritorno (gli effetti della notificazione decorrono dal ricevimento della raccomandata). Tali disposizioni si coordinano con l'art. 157-ter, che statuisce la prevalenza in ogni caso del domicilio dichiarato o eletto (8-ter) Con la notifica del primo atto, anche quando effettuata con le modalità telematiche, l'autorità giudiziaria avverte l'imputato del contenuto ex art. 157-bis. NOTIFICAZIONI ALL’IMPUTATO LIBERO SUCCESSIVE ALLA PRIMA (NO ELEZIONE DI DOMICILIO) (art. 157-bis) In ogni stato e grado del procedimento, le notificazioni all'imputato non detenuto successive alla prima, diverse dalla notificazione dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare, della citazione in giudizio ex artt. 450, comma 2 [giudizio direttissimo], 456 [giudizio immediato], 552 [decreto di citazione diretta a giudizio] e 601 [citazione in appello], e del decreto penale di condanna, sono eseguite con consegna al difensore di fiducia o di ufficio. La regola generale è che tutte le notifiche successive alla prima all’imputato non detenuto sono eseguite mediante consegna di copia al difensore di fiducia o d’ufficio: infatti si precisa all’art. 164 che la dichiarazione o l’elezione di domicilio valgono solo per la notifica dell’atto introduttivo. Art. 161 [nuova introduzione con Riforma Cartabia] → la polizia giudiziaria, nel primo atto compiuto con l'intervento della persona sottoposta alle indagini, se è nelle condizioni di indicare: (a) le norme di legge che si presumono violate, (b) la data e il luogo del fatto, (c) l'autorità giudiziaria procedente, ne dà comunicazione alla persona sottoposta alle indagini e le avverte che le successive notificazioni, diverse da quelle riguardanti l'avviso di fissazione dell'udienza preliminare, e la citazione in giudizio [ex art. 405.2, 456, 552, 601] e il decreto penale di condanna, saranno effettuate mediante consegna al difensore di fiducia o a quello nominato d'ufficio. Contestualmente, la persona sottoposta alle indagini è avvertita anche dell'onere di indicare al difensore ogni recapito, anche telefonico, o indirizzo di posta elettronica nella sua disponibilità, ove il difensore possa effettuare le comunicazioni. La nuova disciplina delle notifiche successive alla prima può essere così schematizzata: se si tratta di difensore di fiducia le notifiche degli atti successivi al primo sono sempre eseguite mediante consegna di copia a quest’ultimo; se si tratta di difensore d’ufficio e (1) l’atto introduttivo non è stato ricevuto dall’imputato personalmente (o da convivente o dal portiere) e (2) l’imputato NON ha ricevuto gli avvertimenti ex art. 161 comma 01 c.p.p., le notifiche successive alla prima NON possono essere eseguite con consegna di copia al difensore ma andranno effettuate ai sensi dell’art. 157 (come se fosse la prima notifica) (art. 157-bis, comma 2) se l’imputato è detenuto, le notifiche successive alla prima andranno sempre effettuate con consegna nel luogo di detenzione. L’IMPUTATO LATITANTE O EVASO (art. 165) → consegna di copia al difensore. L'IMPUTATO INTERDETTO O INFERMO DI MENTE (art. 166) → notificazione a soggetto e a tutore/curatore. L’IMPUTATO RESIDENTE O DIMORANTE ALL’ESTERO (art. 169) → vi sono 2 ipotesi: o se dagli atti risulta il luogo di residenza o di dimora all’estero [ma non si può procedere con modalità telematiche] occorre inviare una raccomandata con ricevuta di ritorno contenente una sorta di informazione di garanzia, nonché l’invito a dichiarare o eleggere domicilio nel territorio dello Stato, oppure a dichiarare un indirizzo PEC. Se entro 30 gg. il soggetto non risponde all’invito, le notificazioni sono eseguite mediante consegna al difensore. o se, invece, il giudice o il PM non conoscono il luogo di residenza all’estero, devono disporre ricerche sia nel territorio dello Stato sia all’estero, nei limiti consentiti dalle Convenzioni internazionali. La questione dell’irreperibilità e i suoi effetti (art. 159) Il novellato art. 159 stabilisce che, se (A) è impossibile procedere con le modalità telematiche e (B) non è possibile eseguire la notificazione nei modi previsti dall'art 157, l'autorità giudiziaria dispone nuove ricerche dell'imputato, in particolare nel luogo di nascita, nell'ultima residenza anagrafica, nell'ultima dimora, in quello dove egli abitualmente esercita la sua attività lavorativa e presso l'amministrazione carceraria centrale (tale elenco non è tuttavia tassativo). Quando le ricerche non diano esito positivo, l'autorità giudiziaria emette un decreto di irreperibilità con cui, dopo aver designato un difensore all'imputato che ne sia privo, ordina che le notificazioni siano eseguite mediante consegna di copia al difensore; le notificazioni eseguite in tal modo sono valide ad ogni effetto Con l'art. 160 [efficacia del decreto di reperibilità] il legislatore individua una serie di limiti temporali all'efficacia del decreto di irreperibilità: - Indagini preliminari: il decreto di irreperibilità emesso dal giudice o dal PM nel corso delle indagini preliminari cessa di avere efficacia con la notificazione dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari ovvero, quando questo manchi, con la chiusura delle indagini preliminari. - Udienza preliminare: il decreto di irreperibilità emesso dal giudice per la notificazione degli atti introduttivi dell'udienza preliminare nonché il decreto di irreperibilità emesso dal giudice o dal PM per la notificazione del provvedimento che dispone il giudizio cessano di avere efficacia con la pronuncia della sentenza di primo grado. - Impugnazioni: il decreto di reperibilità emesso dal giudice di secondo grado da quello di rinvio cessano di avere efficacia con la pronuncia della sentenza. In tutti casi, comunque, ogni decreto di irreperibilità deve essere preceduto da nuove ricerche nei luoghi indicati. Rispetto alla condizione dell’irreperibile, la legge n. 67 del 2014 (con cui è avvenuta l’abolizione del processo in contumacia) ha riconosciuto che la rituale notificazione presso il difensore sottende una totale ignoranza dell'esistenza del procedimento da parte del soggetto che vi è sottoposto. Pertanto, solo laddove si riscontri la sussistenza di atti o fatti inseriti nella sequenza procedimentale o, meno spesso, in quella processuale, che dimostrino, invece, la consapevolezza dell'esistenza del procedimento, il processo potrà proseguire. Al contrario, se nessun atto o fatto – assunto dall'art. 420-bis c. 2° tassativamente ad indice di conoscenza del procedimento – sia stato compiuto, o se non risulta, comunque, con certezza che l'imputato è a conoscenza del procedimento o si è volontariamente sottratto alla conoscenza dello stesso o di qualche atto del medesimo, la previa ritualità della notifica con il rito degli irreperibili non risulterà più efficace ai fini della prosecuzione del processo. A tal punto, il giudice dovrà ordinare che, tramite la PG, l'avviso di udienza o la citazione a giudizio siano notificati personalmente all'imputato e, in caso di insuccesso, disporre la sospensione del processo. L’elezione di domicilio (art. 161) Per rendere più efficace il risultato conoscitivo cui sono finalizzate le notificazioni, l’imputato ha l’onere di determinare il luogo in cui dovranno essergli notificati gli atti, attraverso un’apposita dichiarazione o elezione di domicilio → il giudice, il PM o la polizia giudiziaria, nel primo atto compiuto con l'intervento della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato non detenuti o internati, li invitano a dichiarare o eleggere domicilio. La dichiarazione di domicilio consiste in una manifestazione di scienza intesa ad indicare un luogo che può essere solo la propria abitazione o la sede del proprio lavoro, il soggetto può indicare a tal fini anche un indirizzo PEC; l’elezione di domicilio, invece, consiste in una manifestazione di volontà che comporta la designazione di un luogo e di un destinatario (c.d. domiciliatario): nella prassi lo studio professionale del proprio difensore. Ai sensi del comma 4-bis dell’art. 162, l’elezione di domicilio presso il difensore di ufficio «non ha effetto se l’autorità che procede non riceve, unitamente alla dichiarazione di elezione, l’assenso del difensore domiciliatario»: l’interpolazione mira a realizzare un più alto grado di effettività della difesa di ufficio. L’imputato, o la persona sottoposta alle indagini, ha l’obbligo di comunicare ogni mutamento del domicilio eletto o dichiarato, mentre, in mancanza di tale comunicazione oppure in caso di rifiuto di dichiarare o eleggere domicilio, le notificazioni vengono eseguite mediante consegna al difensore (c.d. domicilio legale). Nel verbale dovrà essere menzionata la scelta dell’imputato o della persona sottoposta alle indagini. Forma: la dichiarazione o elezione devono essere effettuate mediante una comunicazione all’autorità che procede, con dichiarazione raccolta a verbale, ovvero mediante telegramma o lettera raccomandata muniti di sottoscrizione autenticata. L’elezione, la dichiarazione o il mutamento di domicilio esplicano i loro effetti nel momento in cui giungono a conoscenza dell’autorità giudiziaria procedente. ➔ NB! L’elezione di domicilio vale solo per gli ATTI INTRODUTTIVI, Le notificazioni a soggetti diversi dall’imputato PUBBLICO MINISTERO (art. 153) Le parti ed i difensori sono ammessi ad eseguire direttamente le notificazioni al PM mediante la semplice consegna di copia dell’atto nella segreteria del PM. Per le comunicazioni, alla consegna della copia nella relativa segreteria è equiparata la diretta presa visione dell’atto ad opera del PM, seguita dalla sua sottoscrizione. ALTRE PARTI CIVILI (art. 154 e 153-bis) ➔ persona offesa: il riformato art. 154 prevede che le notificazioni alla persona offesa che NON ha proposto querela e NON ha nominato un difensore sono eseguite secondo le disposizioni dell'art- 153-bis e, quando anche la dichiarazione o elezione di domicilio mancano o sono insufficienti o inidonee, secondo le disposizioni dell'art. 157. In caso la persona offesa abbia proposto querela, l'art 153-bis stabilisce l'obbligo per il querelante, in sede di querela, di dichiarare o eleggere domicilio specificando che a tal fine può dichiarare un indirizzo PEC; Se non lo fa in sede di presentazione della querela, ha comunque la facoltà di dichiarare o eleggere domicilio in un secondo momento con (a) deposito telematico, (b) con dichiarazione orale presso la segreteria o cancelleria, ovvero (c) mediante telegramma o lettera raccomandata. ➔ parte civile, responsabile civile e civilmente obbligato per la pena pecuniaria seguono – in caso di impossibilità di procedere con le modalità telematiche – le forme prescritte per la prima notificazione all’imputato non detenuto. Se i destinatari sono pubbliche amministrazioni, persone giuridiche o enti privi di personalità giuridica, le notificazioni seguono le regole del rito civile. Le notificazioni sono eseguite presso il difensore nominato all’atto della costituzione. Il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria, se non si sono costituiti e quando non dispongono di un domicilio digitale, devono dichiarare o eleggere il proprio domicilio nel luogo in cui si procede o dichiarare un indirizzo PEC con atto depositato nella cancelleria del giudice competente; in mancanza di tale dichiarazione o elezione o se essa è insufficiente o idonea, le notificazioni sono eseguite mediante deposito in cancelleria o segreteria. Quando, per il numero elevato delle persone offese ovvero per l’impossibilità di identificarne alcune, questo tipo di notificazione risulta difficile, l’autorità giudiziaria può disporre, con decreto esteso in calce all’atto, la notificazione per pubblici annunzi. Copia dell’atto è depositato nella casa comunale del luogo ove si trova l’autorità procedente ed un estratto del medesimo è inserito nella Gazzetta Ufficiale. La notificazione si ha per avvenuta dal momento in cui l’ufficiale giudiziario deposita una copia dell’atto nella segreteria o nella cancelleria dell’autorità procedente, insieme con la relazione di notifica ed i documenti giustificativi. la relazione di notificazione e le relative cause di nullità (art. 168) La relazione di notificazione e il momento documentale finale del procedimento di notificazione. Al fine di adeguare la fase di documentazione del procedimento di notificazione all'ipotesi che essa avvenga per via telematica, è previsto che per le notificazioni effettuate con modalità telematiche la ricevuta di avvenuta consegna, generata dal sistema, assume valore di relazione. Quando la notificazione non è eseguita con modalità telematiche l'ufficiale giudiziario che procede alla notificazione scrive, in calce all'originale e alla copia notificata, la relazione, in cui indica: il richiedente, le ricerche effettuate, le generalità della persona a cui è stata consegnata la copia e, se la notificazione non è avvenuta a mani proprie, i rapporti tra destinatario e consegnatario, le funzioni svolte da quest’ultimo, il luogo e la data della consegna; infine, appone la propria sottoscrizione per attestare la paternità dell’atto. La relazione NON fa fede [analogamente al verbale], sino a querela di falso, di quanto l’ufficiale attesti di aver fatto o di essere avvenuto in sua presenza: il giudice ne valuta liberamente il contenuto. Qualora vi sia un contrasto tra la relazione scritta sulla copia consegnata e quella sull’originale, per ciascun interessato valgono le attestazioni contenute nella copia notificata. La notificazione produce effetto dal giorno della sua esecuzione, ma vi sono eccezioni: se il termine per impugnare decorre diversamente per l’imputato e per il suo difensore, vale per entrambi quello che scade per ultimo (il termine per un soggetto decorre da un evento che investe un altro soggetto).Sono cause di nullità delle notificazioni → normalmente seguono la nullità dell'atto da notificare [178], ma all’art. 171 sono previste ulteriori cause: 1. l’atto è notificato in modo incompleto, salvo che sia consentito l’estratto; 2. vi è incertezza assoluta circa il richiedente e il destinatario; 3. se, in caso di notificazione eseguita con modalità telematiche, non siano rispettati i requisiti ex art.148 4. c’è difetto della sottoscrizione di chi ha eseguito la notificazione; 5. c’è violazione delle disposizioni sulla persona a cui la copia deve essere consegnata; 6. manca l’avvertimento ex art. 157 comma 8-ter e art. 161 comma 1 e 3 e la notificazione è stata eseguita mediante consegna al difensore 7. dopo il deposito nella casa comunale, è omessa l’affissione sulla porta dell’imputato o manca l’avviso di avvenuta notificazione con raccomandata con ricevuta di ritorno; 8. manca, sull’originale dell’atto notificato, la sottoscrizione del portiere o di chi ne fa le veci; fattispecie oggetto della previsione normativa. Siccome le nullità formano un sistema chiuso e autosufficiente, fuori dalle ipotesi esplicitamente definite non vi sono spazi residui per questo tipo di invalidità → a proposito, la dottrina afferma che i vizi della volontà considerati dal codice civile non sono riferibili agli atti processuali penali = un atto, anche se inficiato da violenza o minaccia è comunque processualmente valido; al massimo, gli interrogatori dell’imputato e le prove affette da vizi della volontà rientrano nell’ambito dell’inutilizzabilità. A proposito, rileva solo la coazione fisica. Per la stessa ragione, tra le nullità NON sono inquadrabili gli errores in iudicando, vale a dire quei vizi sostanziali dei provvedimenti del giudice [essi però fanno parte della teoria dell’invalidità]. Le restanti difformità dallo schema tipico [escluse le ipotesi di inammissibilità e inutilizzabilità] rientrano in: - Categoria della irregolarità: è produttiva al massimo di conseguenze di natura disciplinare ex art. 124 o ricavabili da altri rami dell'ordinamento come quello penale, civile o tributario [salvo ipotesi di errore materiale, cui si pone rimedio con correzione, art. 130]. - Categoria dell’inesistenza: si tratta della specie più grave di invalidità, ricostruibile in via interpretativa; essa comprende quei vizi così macroscopici da non essere neppure ipotizzati dal legislatore, atti affetti da tali vizi non sono neppure collocati dagli interpreti tra gli atti giuridici. Essa genera un vizio non solo rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, ma anche oltre, in quanto la gravità del vizio è tale da impedire la formazione del giudicato. - Categoria dell’abnormità dei provvedimenti del giudice: l’atto è idoneo ad integrare lo schema normativo minimo, ma si caratterizza per il suo contenuto del tutto estemporaneo, sia sul piano strutturale che su quello funzionale. È soggetta agli ordinari termini di impugnazione e perde rilevanza a seguito della formazione del giudicato. Alcune nullità, al posto di essere stabilite di volta in volta, sono ricavabili da una disposizione generale, che rinvia a una serie di fattispecie disciplinate altrove nel codice; tale tecnica si ispira a ragioni di economia normativa ma anche al proposito di colmare eventuali dimenticanze. Nullità di ordine generale (o generali): ex art. 178: è sempre prescritta a pena di nullità l'osservanza delle disposizioni concernenti: - le condizioni di capacità del giudice e il numero dei giudici necessario per costituire i collegi - l'iniziativa del PM nell'esercizio dell'azione penale e la sua partecipazione al procedimento; - l'intervento, l'assistenza e la rappresentanza dell'imputato e delle altre parti private - la citazione in giudizio della persona offesa dal reato e del querelante. Vi sono poi le nullità speciali, stabilite da un’apposita previsione legislativa [che può essere contenuta tanto nel corpo di una stessa fattispecie quanto in altre]; si tratta di una categoria costruita in via residuale. In sintesi, quando si parla, nel linguaggio corrente, di nullità generali e di nullità speciali, si allude essenzialmente alla differente tecnica di previsione (cioè di comminatoria) adottata dal legislatore. Quando, invece, si parla di nullità assolute, di nullità intermedie e di nullità relative, si allude al regime giuridico di trattamento previsto dalla legge per le diverse specie di nullità. Le nullità assolute (art. 179) Le nullità assolute si caratterizzano per insanabilità fino all’irrevocabilità del giudicato. Inoltre, sono suscettibili di essere rilevate d’ufficio in ognistato e grado del procedimento (art. 179). NULLITÀ ASSOLUTE DI CARATTERE GENERALE ◼ Per quanto riguarda il giudice, è causa di nullità assoluta l’inosservanza delle disposizioni riguardanti le condizioni di capacità del giudice ed il numero dei giudici del collegio giudicante [l'area delle nullità assolute si sovrappone in questo caso per intero a quella delle corrispondenti nullità di ordine generale, data o il rinvio integrale all'art. 178-1 a)]; NON i vizi riguardanti unicamente la nomina. ◼ Per quanto riguarda il PM, sono assolute le nullità concernenti l’iniziativa del medesimo nell’esercizio dell’azione penale = atti di promovimento dell'azione penale = manca o è invalido l’atto di esercizio dell’azione penale (art. 407- bis); a ciò si aggiungono le norme sull’imputazione coatta, sulla contestazione in udienza di reato connesso o di fatto nuovo e sulla citazione diretta a giudizio → pertanto, si ha una nullità assoluta quando il giudice decide sul fatto nuovo emerso nell’udienza preliminare o nel corso dell’istruzione dibattimentale senza che lo stesso sia stato formalmente contestato dal PM, oppure quando il fatto descritto nell’imputazione viene sostituito con un altro fatto. Tra le nullità assolute si collocano anche le violazioni delle disposizioni sulla capacità e sulla legittimazione del rappresentante del PM, purché si riflettano sulla sua iniziativa nell’esercizio dell’azione penale; si tratta di: (A) norme sulla delega nominativa a svolgere le funzioni di PM nell'udienza dibattimentale davanti al tribunale in composizione monocratica a favore di un uditore giudiziario, di un vice procuratore onorario addetto all'ufficio o di “personale in quiescenza da non più di 2 anni che nei 5 anni precedenti abbia svolto le funzioni di PG”, o, ancora, di laureati in giurisprudenza che frequentino il secondo anno della scuola biennale di specializzazione, sempre che uno di costoro abbia compiuto un atto di esercizio dell'azione penale: ad es. contestando un reato connesso (art. 559 comma 1° in relazione all'art. 517 c. 1°); (B) norme sul promovimento dell'azione davanti ad un giudice diverso da quello presso cui l'ufficio del PM è istituito. ◼ Per quanto riguarda l’imputato: è causa di nullità assoluta l’omessa (o invalida) citazione al dibattimento di primo grado, sebbene tenuto a seguito di giudizio direttissimo instaurato nei confronti di imputato libero o di giudizio immediato, e al dibattimento di secondo grado → protezione della vocatio in iudicium dell’imputato. ◼ Per quanto riguarda il difensore dell’imputato: è causa di nullità assoluta non solo la sua assenza dal dibattimento di primo e secondo grado, ma pure in ogni altro caso in cui è obbligatoria la sua presenza. In tale ambito si collocano, pertanto, l'assenza del difensore: • dall'interrogatorio di persona sottoposta a misura cautelare personale (art. 294 comma 4°); • dalle sommarie informazioni che la PG assume dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini (art. 350 comma 3°); • dall'interrogatorio e dal confronto, delegati dal PM alla PG, cui partecipi la persona sottoposta alle indagini che si trovi in stato di libertà (art. 370 c 1°); • dall'udienza di convalida dell'arresto in flagranza o del fermo di indiziati (art. 391 comma 1°); • dall'udienza destinata allo svolgimento dell'incidente probatorio (art. 401 comma 1°); • dall'udienza preliminare (art. 420 comma 1°). NULLITÀ ASSOLUTE DI CARATTERE SPECIALE L'art. 179 comma 2°, riconosce l'esistenza di nullità a previsione speciale definite espressamente come assolute da specifiche disposizioni di legge. L'esempio è fornito (non ché finora l’unica ipotesi di norma di questo tipo) dall'art. 525 comma 2°, dov'è stabilito, con riguardo al principio di immediatezza del giudizio, che alla deliberazione della sentenza debbono concorrere gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento. Le nullità intermedie (art. 180) NULLITÀ INTERMEDIE: TUTTE DI CARATTERE GENERALE Le nullità intermedie sono, al pari di quelle assolute, rilevabili anche d’ufficio, e, al pari di quelle relative, sanabili in un momento anteriore all’irrevocabilità della sentenza. Tali nullità non possono essere né rilevate (dal giudice) né dedotte (dalle parti): (1) se si sono verificate prima del giudizio, dopo la deliberazione della sentenza di primo grado; (2) se si sono verificate nel giudizio, dopo la deliberazione della sentenza del grado successivo; per tale nullità, i tempi di rilevazione risultano più ampi rispetto a quelli di deduzione: infatti il giudice, in camera di consiglio al momento della deliberazione, può rilevare una nullità la cui deduzione invece non è più consentita alle parti. Limiti alla deduzione delle nullità relative: il limite è costituto dal termine di chiusura del dibattimento o da quello di chiusura della discussione (se si procede in camera di consiglio). Un'ulteriore limite è posto dalla lettura coordinata con l'art. 182 [=la nullità non può infatti essere dedotta da chi vi ha dato o concorso a darvi causa, né da chi non ha interesse all'osservanza della norma violata]. Per le nullità relative vale il principio per cui la nullità, ove sia stata tempestivamente dedotta ma non dichiarata dal giudice, risulta in via automatica devoluta al giudice dell'impugnazione, senza che debba formare oggetto dei relativi motivi (perpetuatio nullitatis) → ciò vale in appello e in Cassazione. L'area delle nullità intermedie si ricava per sottrazione dall'area delle nullità assolute [vi sono nullità intermedie solo generali e non speciali]. Riguarda: ◼ l’inosservanza delle disposizioni sulla partecipazione del PM al procedimento, sempre che tale attività non riguardi l’iniziativa ad esercitare l’azione penale ◼ l’inosservanza delle disposizioni su intervento, assistenza e rappresentanza dell'imputato: ① intervento = ipotesi di diretta e personale partecipazione dell’imputato al procedimento; ②assistenza = attività svolte dal difensore per far valere i diritti e gli interessi dell’imputato; ③rappresentanza (ipotesi eterogenee). ◼ l’inosservanza delle disposizioni riguardanti l'intervento, l'assistenza e la rappresentanza delle altre parti private. ◼ l'inosservanza delle disposizioni che concernono la citazione a giudizio della persona offesa e del Querelante. Le nullità relative (art. 181) NULLITÀ RELATIVE: TUTTE DI CARATTERE SPECIALE Le nullità relative sono ricavabili per esclusione: sono quelle non generali (art. 178), oppure non definite come assolute da specifiche disposizioni di legge (art. 179, comma 2°) = si tratta dunque di nullità speciali, in quanto la loro esistenza dipende da un’espressa comminatoria. La peculiarità delle nullità relative sta poi nel fatto che esse devono essere dichiarate dal giudice solo su eccezione della parte interessata, vanno proposte (=dedotte) entro un certo limite e sono sanabili. Le nullità riguardanti le indagini preliminari o l’incidente probatorio o gli atti dell’udienza preliminare devono essere eccepite in termini brevi, distinti a seconda che si tenga o meno l’udienza preliminare: (A) SI TIENE UP: le nullità devono essere eccepite prima della pronuncia del provvedimento conclusivo dell’udienza preliminare (art. 424); (B) NON SI TIENE UP: le nullità devono essere eccepite subito dopo aver compiuto per la prima volta l’accertamento della costituzione delle parti in giudizio (art. 491); quest’ultimo termine vale anche per le nullità riguardanti il decreto che dispone il giudizio o per gli atti preliminari al dibattimento. • Le nullità verificatesi nel giudizio devono essere eccepite tramite impugnazione della sentenza [= principio di conversione in motivi di impugnazione delle cause di nullità relativa verificatesi in giudizio]. La deducibilità e le sanatorie (art. 182 e 183) Il codice tiene separati limiti alla deducibilità delle nullità dalle cause di sanatoria. L'istituto della sanatoria, infatti , si risolve in un fatto successivo che, combinandosi con la fattispecie imperfetta, determina un'equivalenza di effetti rispetto al corrispondente atto perfetto; esso non deve essere riferito alle ipotesi in cui sussiste un difetto di legittimazione a far valere la nullità. La deducibilità delle nullità relative e delle nullità intermedie trova un duplice limite soggettivo (art. 182): a. La nullità non può essere dedotta o eccepita né da chi l’ha causata, né da chi non ha interesse all’osservanza della disposizione violata (ad es. la giurisprudenza esclude che l’imputato abbia interesse ad eccepire la nullità del decreto di citazione della persona offesa). b. La nullità deve essere eccepita prima del compimento dell’atto oppure, se ciò non è possibile, immediatamente dopo. Nel primo caso la parte addirittura previene il verificarsi della nullità, nel secondo la nullità si è verificata, ma la tempestiva deduzione impedisce che il vizio si ripercuota sugli atti successivi e dipendenti a quello nullo. Qualora la parte non abbia assistito al compimento dell’atto, il termine per dedurre la nullità coincide con quelli di sanatoria stabiliti per le nullità relative ed intermedie. La sanatoria consiste in un fatto successivo che determina un’equivalenza di effetti rispetto al corrispondente atto perfetto (art. 183). La disciplina delle sanatorie generali si incentra su 2 figure: ➔ acquiescenza: è la rinuncia espressa della parte interessata ad eccepire la nullità con conseguente accettazione (espressa o tacita) degli effetti dell’atto o del suo risultato pratico. L'accettazione tacita consiste in un comportamento per fatti concludenti in cui, però, è insita una manifestazione di volontà della parte, il che presuppone la consapevolezza del vizio in capo ad essa. ➔ raggiungimento dello scopo: si tratta dei casi in cui l’atto ha raggiunto lo scopo al quale era preordinato rispetto a tutti gli interessati. Le sanatorie generali NON operano nei confronti delle nullità assolute che l’art. 179 comma 1° dichiara espressamente insanabili. Le sanatorie generali operano nei confronti sia delle nullità relative che di quelle intermedie, perché collocate in una disposizione autonoma (art. 180). Sanatoria speciale ex art. 184: la nullità di una citazione o di un avviso, ovvero delle relative comunicazioni e notificazioni, è sanata se la parte interessata (PM, parte privata, difensori) è comparsa o ha rinunciato a comparire. La comparizione dev’essere personale, sicché quella del difensore non funge da sanatoria rispetto all’imputato, né valgono presunzioni di alcun genere; inoltre, dev’essere volontaria, sicché non opera come causa di sanatoria l’accompagnamento coattivo. La parte (anche il PM) che invece dichiari di essere comparsa solo per far rilevare l’irregolarità (e non per sanarla) non impedisce il verificarsi della sanatoria, ma ha diritto ad un termine a difesa non inferiore a 5 gg; solo per la citazione a comparire al dibattimento, il termine a difesa non può essere inferiore a 20 gg. Effetti della dichiarazione di nullità La nullità di un atto comporta innanzitutto l’invalidità di quelli consecutivi che dipendono da esso = nullità derivata →la propagazione della nullità si riferisce solo a un rapporto di successione cronologica tale da tradursi in un nesso di causalità necessaria o sul piano logico o sul piano giuridico. Il giudice che dichiara la nullità dispone la rinnovazione dell’atto solo qualora essa sia necessaria (il che non accade, ad es. allorché l’atto viziato di nullità assoluta e, quindi insanabile, abbia egualmente raggiunto il suo scopo) e possibile (il che non si verifica nei confronti di atti ab origine non reiterabili). In tal caso, le spese sono a carico di chi ha dato causa alla nullità per dolo o colpa grave. Se la nullità è dichiarata in uno stato o grado diverso da quello in cui la stessa si è verificata, vi è una distinzione (dottrina): o la dichiarazione di nullità comporta la regressione del procedimento allo stato e grado in cui è stato compiuto l’atto nullo, purché si tratti di un atto di natura non probatoria. o la dichiarazione di nullità comporta la rinnovazione se tratta di nullità riguardanti le prove; CAPITOLO 3 – PROVE Le scelte sistematiche nella disciplina delle prove: L'intero III libro è dedicato alle prove. La tematica delle prove comprende la disciplina delle disposizioni generali della materia (titolo I); dei "mezzi di prova" (titolo II); quella dei "mezzi di ricerca della prova" (titolo III). Prove atipiche e garanzie per la libertà morale della persona (art. 189) Quando si ha a che fare con una prova atipica (o innominata), cioè non riconducibile a nessuna delle figure probatorie legislativamente predeterminate, spetta al giudice decidere, di volta in volta, se la medesima può essere ammessa a processo, in base ad una verifica subordinata a 2 distinte valutazioni: -la prova atipica deve essere idonea ad assicurare l’accertamento dei fatti; -la prova atipica non deve pregiudicare la libertà morale della persona, in quanto non possono essere utilizzati, neppure col consenso dell’interessato, tecniche o metodi probatori idonei ad influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti (art. 188) → la tutela della libertà morale della persona è prioritaria rispetto all'accertamento processuale. Qualora tale tipo di prova venga ammessa, sarà ancora compito del giudice definire le modalità della sua assunzione, dopo aver sentito le parti. Diritto alla prova e criteri di ammissione (art. 190) L’art. 190 afferma il principio per cui le prove sono ammesse a richiesta di parte, imponendo al giudice di provvedere senza ritardo con ordinanza alla delibazione di ammissibilità → viene configurato così un diritto alla prova riconosciuto alle parti (a sua volta tipica manifestazione del diritto di difesa); si tratta di un principio a impronta tipicamente accusatoria. Il diritto alla prova delle parti si articola su due livelli: 1. in primo luogo, come diritto a richiedere l’ammissione di talune prove, salve le ipotesi in cui è consentito al giudice un intervento d’ufficio (es. art. 70 comma 1°: “quando non deve essere pronunciata sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere e vi è ragione di ritenere che, per infermità mentale sopravvenuta al fatto, l'imputato non è in grado di partecipare coscientemente al processo, il giudice, se occorre, dispone anche di ufficio, perizia”); 2. in secondo luogo, una volta adempiuto l’onere di richiesta, come diritto ad ottenere la prova richiesta o, comunque, ad ottenere una tempestiva pronuncia sulla richiesta formulata. Tra le specificazioni del diritto alla prova, occorre ricordare il diritto dell’imputato ad ottenere l’ammissione delle prove a discarico sui fatti costituenti oggetto delle prove a carico, nonché quello del PM di ottenere l’ammissione delle prove a carico sui fatti costituenti oggetto delle prove a discarico (c.d. diritto di controprova, art. 495). Per quanto poi riguarda i criteri della pronuncia sull’ammissibilità della prova, il giudice è vincolato a due parametri: 1) valutazione di diritto: il giudice deve escludere le prove vietate dalla legge, cioè quelle per le quali esiste un espresso divieto in ordine all’oggetto o al soggetto della prova, ovvero in ordine alla procedura di acquisizione probatoria (c.d. rilevanza o pertinenza); 2) valutazione di fatto: lo stesso giudice, dopo aver riscontrato l’insussistenza di divieti legislativi, deve escludere le prove che risultano superflue o irrilevanti. Mentre la verifica sulla rilevanza della prova si risolve in un giudizio sulla sua riconducibilità all'ambito oggettivo ex art 187 (= pertinenza al thema probandum), la successiva verifica della non superfluità comporta un giudizio sulla potenziale utilità della prova stessa e quindi sulla sua attitudine a contribuire all'arricchimento della piattaforma su cui dovrà formarsi il convincimento del giudice. L’art. 190-bis costituisce una deroga rispetto all’art. 190 → esso opera nei procedimenti per i delitti di criminalità organizzata: essa dispone che, nel corso di tali procedimenti, quando è richiesto l’esame di un testimone o di un imputato in un procedimento connesso, che abbiano già reso dichiarazioni in sede di incidente probatorio o in dibattimento, l’esame di tali soggetti è ammesso solo se riguarda fatti o circostanze diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni, ovvero quando il giudice o una delle parti lo ritengono necessario sulla base di specifiche esigenze. Tale disciplina è estesa all’esame di un testimone minore di 16 anni nei processi per i delitti di pornografia e di prostituzione minorile e – in ogni caso – quando l'esame testimoniale è richiesto riguardo una persona offesa in condizioni di particolare vulnerabilità. Ratio: esigenza di tutelare le persone da esaminare a fronte di un pericolo di “usura psicologica” collegata all'eventualità di reiterare deposizioni sugli stessi temi, a cui si aggiunge anche l'esigenza di evitarne l’esposizione a ripetuti rischi o disagi personali. Tale disciplina da un lato assicura l’osservanza della garanzia del contraddittorio, dall’altro subordina il potere del giudice di ammettere o meno la rinnovazione dell’esame di tali soggetti ad una valutazione di necessità. I principi espressi nell’art. 190, ovviamente, sono applicabili nell’intero arco del procedimento, e quindi anche nelle fasi anteriori al dibattimento, sempre entro i limiti di compatibilità con tali fasi. È indubbio che i princìpi in questione debbano applicarsi in sede di incidente probatorio, dove è innegabile che possa parlarsi di un diritto alla prova in capo ai soggetti legittimati (artt. 392 e 393) e del correlativo potere-dovere del giudice di pronunciarsi sull'ammissibilità delle corrispondenti richieste (artt. 396, 398 e 402); i medesimi princìpi debbano trovare applicazione pure in sede di udienza preliminare – nei limiti della attività di “integrazione probatoria” prevista dall’art. 422 – ovviamente tenendo conto delle modalità di “assunzione delle prove” che vi sono stabilite (sotto la conduzione del giudice, ed anche a seguito di iniziativa ex officio da parte del medesimo, a norma dell'art. 422 commi 1° e 3°). Resta fermo, in ogni caso, che la fase dibattimentale è quella in cui con maggiore ampiezza ed intensità sono destinati a trovare applicazione i principi generali riguardanti il diritto alla prova – quali risultano consacrati, in termini espliciti, nel nuovo art. 111 Cost. – a cominciare dalla già ricordata disciplina del diritto di “controprova” (artt. 468 comma 4° e 495 comma 2°) e all'articolazione dialettica dell'esame diretto ed incrociato (artt. 490-504). Prove illegittimamente acquisite e sanzione di inutilizzabilità: All'interno della garanzia per il rispetto del principio di legalità in materia di prova, si colloca la regola che sancisce la non utilizzabilità delle «prove illegittimamente acquisite», cioè ammesse o assunte «in violazione dei divieti stabiliti dalla legge». Assume in tal modo risalto formale la categoria della inutilizzabilità, intesa come vizio e, per altro aspetto, come sanzione processuale predisposta in via generale nel caso di violazione dei divieti probatori risultanti ex lege. La sanzione ivi prevista si differenzia dalla nullità (riservata ai viri di forma per i quali sia espressamente comminata art 177) soprattutto quanto al regime della rilevabilità: l'inutilizzabilità della prova è rilevabile «anche di ufficio in ogni stato e grado del procedimento» (art 191 co 2), quindi pure nell'ambito del giudizio in cassazione (non ammette sanatorie, come nullità assolute ex art 179) Quanto alla sfera di operatività della sanzione prevista dall'art. 191, essa va individuata avendo riguardo ad ogni ipotesi di inosservanza di un divieto sancito dalla legge processuale - per via diretta o indiretta - in materia di ammissione ovvero di acquisizione probatoria, ivi comprese le ipotesi in cui il divieto, per sua natura, possa emergere soltanto ex post rispetto al momento acquisitivo, e quindi si concreti esclusivamente nel momento di valutazione della prova. In altri termini, il disposto dell'art. 191 si configura, da un lato (comma 1), come norma generale di previsione della sanzione dell'inutilizzabilità, destinata a combinarsi con tutte le svariate disposizioni che, pur sancendo un divieto probatorio - da intendersi come vero e proprio divieto all'ingresso della prova nel processo - non prevedono alcun riflesso sanzionatorio per l'ipotesi della sua trasgressione. Dall'altro (comma 2), come norma generale di riferimento per il regime normativo del vizio della inutilizzabilità, destinata a trovare applicazione tutte le volte in cui singole disposizioni dichiarino inutilizzabili determinati atti probatori. La sanzione della inutilizzabilità opera in via generale nei confronti di tutte le prove acquisite contra legem, cioè nella inosservanza di un divieto di ammissione o di acquisizione stabilito per legge. II co 2 bis dell'art 191 prevede uno specifico caso di inutilizzabilità per le dichiarazioni o le informazioni ottenute mediante il delitto di tortura di cui all'art 613 bis cp (questo tipo di prova sarebbe comunque inammissibile, poiché contrastante con il divieto di cui all'art 188 e con quelli ad esso correlati, che tutelano la libertà morale della persona). Valutazione della prova e regole di convincimento del giudice: Quanto al regime di valutazione della prova, risulta anzitutto ribadito il principio del «libero convincimento» del giudice. Tale principio viene affermato con esclusivo riferimento al momento della valutazione della prova, non anche a momenti anteriori del procedimento probatorio (ammissione e acquisizione). La valutazione potrà quindi avere ad oggetto solo le prove legittimamente ammesse ed acquisite (in caso contrario si consentirebbe al giudice di fare uso di prove per legge non utilizzabili). Questa esigenza di legalità circa il momento valutativo della prova trova la sua conferma nella previsione del necessario raccordo tra le valutazioni operate dal giudice - ai fini del proprio convincimento - e la motivazione dei provvedimenti che ne siano derivati, nella quale dovrà essere dato conto sia dei «risultati acquisiti», sia dei «criteri adottati» [obbligo di motivazione dei provvedimenti]. Il giudice dovrà in concreto ricostruire il percorso logico- conoscitivo che lo abbia condotto ad apprezzare in un certo modo le prove disponibili ed a trarne determinate conclusioni: come risulta tra i requisiti della sentenza dibattimentale, all'interno della motivazione non solo dovranno essere indicate le «prove poste a base della decisione», ma dovranno essere altresì enunciate le ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie. Oltre al limite razionale derivante dall'obbligo della motivazione, il principio del libero convincimento del giudice incontra anche alcuni limiti di tipo normativo, a parte la dichiarata irrilevanza degli sbarramenti probatori «stabiliti dalle leggi civili» (rectius, non penali), con l'unica eccezione per quelli concernenti lo stato di famiglia e di cittadinanza. In primo luogo, su un piano generale, si esclude che a tale fine possano venire utilizzati elementi di natura soltanto indiziaria (prove critiche indirette), a meno che i medesimi possano qualificarsi come «gravi, precisi e concordanti». Quando si accerti una simile caratterizzazione degli indizi entrati nella sfera conoscitiva del giudice, infatti, la regola probatoria risulta ribaltata: gli indizi, così intesi nel loro organico complesso, assumono valenza di prova, e diventano idonei ad integrare la piattaforma di convincimento, da cui può essere desunta «l'esistenza di un fatto». In secondo luogo, con riferimento alla peculiare situazione dei coimputati del medesimo reato, ovvero degli imputati in un procedimento connesso a norma dell'art. 12 (al cui esame, qualora si proceda separatamente, devono applicarsi le disposizioni di cui all'art 210, trattandosi di soggetti ex art 197 incompatibili con l'ufficio di testimone), si stabilisce che le dichiarazioni, di natura sostanzialmente testimoniale, provenienti da una di tali persone non possano venire valutate ex se, ma debbano sempre esserlo «unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità». E lo stesso vale anche nei confronti delle dichiarazioni rese dall'imputato di un «reato collegato» a quello per cui si procede, nell'ipotesi di collegamento probatorio ai sensi dell'art. 371 comma 2 lett. b; nonché nei confronti delle dichiarazioni rese dall'imputato che abbia assunto l'ufficio di testimone, per effetto del disposto dell'art. 197-bis ultimo comma. si pone così un limite al principio del libero convincimento del giudice, richiedendosi un riscontro probatorio estrinseco (il quale può consistere anche in dichiarazioni di un diverso coimputato) seppur rimesso sempre all'apprezzamento del giudice. Detta soluzione, permette di non escludere ex lege questa tipologia di prove, imponendo al contempo al giudice un preciso impegno in ordine alla corroboration di dichiarazioni particolarmente delicate per la loro provenienza. Il giudice dovrà dar conto nella motivazione della sufficienza degli "altri elementi" ad attestare l'attendibilità della prova così confermata. Infine, una ulteriore ipotesi di limite al principio del libero convincimento del giudice - sia pure circoscritto alla prova della «colpevolezza dell'imputato» - è quella che si esprime nel divieto di valutazione sancito dall'art. 526 comma 1-bis, con l'escludere che tale prova possa essere ottenuta sulla base di «dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'esame da parte dell'imputato o del suo difensore» (non anche nelle ipotesi in cui il soggetto si sia sottoposto all'esame, pur rendendo dichiarazioni diverse da quelle rilasciate al di fuori del contraddittorio). Dove evidentemente si è operata una trasposizione nel tessuto codicistico della regola enunciata nella seconda parte dell'art. 111 comma 4 Cost. La testimonianza: Il codice colloca in due titoli separato la disciplina dei singoli mezzi di prova (art 194-243) e dei mezzi di ricerca della prova (art 244-271). La ragione sta nella diversa incidenza di tali mezzi sui meccanismi di formazione del convincimento del giudice. Mentre i mezzi di prova (testimonianze, esami delle parti, confronti, ricognizioni, esperimenti giudiziali, perizie, documenti) si caratterizzano per la loro attitudine ad offrire al giudice dei risultati direttamente utilizzabili ai fini della decisione, lo stesso non può dirsi invece per i mezzi di ricerca della prova (ispezioni, perquisizioni, sequestri, intercettazioni telefoniche), che non integrano di per sé una fonte del convincimento giudiziale, ma risultano funzionalmente diretti a permettere l'acquisizione di cose, tracce, notizie o dichiarazioni idonee ad assumere rilevanza probatoria. I mezzi di ricerca della prova si caratterizzano in quanto diretti a propiziare l'acquisizione al processo (per lo più attraverso atti fondati sulla sorpresa) di elementi probatori precostituiti rispetto al medesimo, laddove i mezzi di prova si qualificano, al contrario, per la loro funzionalità ad assicurare la formazione della prova in sede processuale. Conseguentemente, se con riguardo ai mezzi di prova l'attenzione legislativa si concentra sulle modalità di assunzione in iudicio, nel caso dei mezzi di ricerca della prova, assume prioritaria importanza il regime delle modalità di individuazione e di ingresso nel processo di elementi preesistenti rispetto allo svolgimento processuale. Quanto alla tematica della testimonianza (art 194-207), il cui oggetto ed i cui limiti risultano definiti con sufficiente chiarezza dall'art. 194, merita d'essere posta in luce la articolata normativa dettata per il fenomeno della c.d. testimonianza indiretta (art 195). Più precisamente, da un lato, viene sancita (art 195 co 7), in termini generali, la inutilizzabilità della deposizione di chi non possa o non voglia indicare la persona o la fonte da cui abbia appreso la notizia al centro dell'esame testimoniale. E di qui deriva il corollario rappresentato dal divieto di acquisizione e di impiego delle notizie provenienti dagli informatori confidenziali, dei quali gli organi di polizia e dei servizi di sicurezza non abbiano rivelato i nomi, essendo espressamente facoltizzati a tacerli anche di fronte al giudice. D'altro lato, viene previsto che, allorquando il testimone riferisce fatti o circostanze, la cui conoscenza dichiari di aver appreso da persone diverse, queste ultime non solo possano essere chiamate a deporre d'ufficio dal giudice, ma debbano comunque esserlo su richiesta di parte, a pena di inutilizzabilità delle dichiarazioni indirette laddove tale richiesta venga disattesa (salvo che l'esame del testimone direttamente a conoscenza dei fatti risulti impossibile a causa di morte, di infermità o di irreperibilità). Le dichiarazioni rese dal testimone indiretto saranno utilizzabili qualora nessuna richiesta venga avanzata, potendo ciò intendersi come tacito consenso delle parti alla utilizzabilità dei contenuti della deposizione resa dal testimone "per sentito dire". In questo quadro, il 4° comma dell'art. 195 aveva stabilito il divieto - nei confronti di ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria - di deporre sul contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni (rectius, da persone che successivamente potessero assumere la veste di testimoni), configurando così una deroga piuttosto rigida rispetto alla ordinaria disciplina della testimonianza indiretta. Sebbene questa disposizione derogatoria fosse stata dichiarata costituzionalmente illegittima, in quanto ritenuta «sfornita di ragionevole giustificazione», essa è stata tuttavia di recente riproposta nello stesso 4° comma, in versione più circoscritta, nell'ambito della legislazione attuativa dei principi di garanzia del contraddittorio affermati nel testo novellato dell'art. 111 Cost.. Più precisamente, è stato ripristinato in capo ad ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria i l divieto di deporre sul contenuto di dichiarazioni rese da testimoni, ma limitatamente alle dichiarazioni acquisite «con le modalità di cui agli artt. 351 e 357 comma 2 lett. a e b». Questo divieto non opera, invece, negli « altri casi» nei quali si applicano le disposizioni dettate nei primi tre commi dell'art. 195. L'ordinaria disciplina della testimonianza indiretta. Si applicherà quindi anche nei confronti di ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria non soltanto con riferimento ad ogni dichiarazione proveniente da soggetti terzi ed appresa da tali organi, più o meno occasionalmente, al di fuori di qualunque rapporto dialettico formale interno al procedimento, bensì anche con riferimento alle dichiarazioni rese da tali soggetti, e tuttavia correttamente acquisite e documentate secondo modalità diverse da quelle di cui all'art 195 comma 4: si pensi ad affermazioni rilasciate nel corso di attività investigative dirette ad altri scopi, o comunque non formalizzate, di cui gli organi di polizia si siano limitati a redigere le annotazioni previste all'art 357 co 1. Il divieto dovrà invece ritenersi operante nelle ipotesi in cui, pur ricorrendo le condizioni, gli organi di polizia non abbiano provveduto provvedimento di rigetto venga data comunicazione al presidente del Consiglio, evidentemente allo scopo di consentirgli le opportune iniziative («confermare» il segreto con «atto motivato», quando ritenga che il fatto, la notizia o il documento coperto dal segreto di Stato «non concerne il reato per cui si procede»). Riveste notevole importanza il trattamento processuale della testimonianza falsa o reticente: a cominciare dall'esclusione di qualunque rapporto di pregiudizialità del relativo procedimento rispetto al procedimento principale e, in ogni caso, dal divieto della possibilità di arresto in udienza per il testimone, sancito dall'art. 476 comma 2. La situazione risulta regolata dall'art. 207 all'insegna di una netta distinzione tra il profilo della iniziativa penale contro il testimone per il delitto di «falsa testimonianza» previsto dall'art. 372 c.p. ed il profilo della valutazione della testimonianza da parte del giudice del processo. A quest'ultimo, infatti, è imposto di informare il PM, trasmettendogli gli atti, ove ne ricorrano gli estremi, soltanto con la decisione conclusiva della fase processuale in cui il testimone ha deposto (la informativa della notitia criminis sarà immediata, invece, nel caso di rifiuto della testimonianza). Analoga disciplina è stata successivamente dettata nell'art. 371 bis comma 2 c.p., a proposito del delitto di «false informazioni al pubblico ministero», precisandosi peraltro che il relativo procedimento - ferma l'immediata procedibilità nel caso di rifiuto di informazioni - debba rimanere sospeso finché il procedimento principale, nel corso del quale le informazioni siano state assunte, si sia concluso con sentenza di primo grado, ovvero sia stato anteriormente definito. E quest'ultima previsione è stata ribadita anche nell'art. 371-ter comma 2 c.p., a proposito del delitto di «false dichiarazioni al difensore», nelle ipotesi previste dall'art. 391- bis commi 1 e 2. L'esame delle parti: Circa il nuovo istituto dell'esame delle parti private (art. 208-210), destinato a prender luogo della figura dell'interrogatorio in sede dibattimentale (art. 503) - e, ricorrendo determinate ipotesi, anche in sede di incidente probatorio (art. 392) - va anzitutto sottolineato come si tratti, diversamente dall'interrogatorio, di un vero e proprio mezzo di prova, sia pure di natura eventuale, essendo la sua esperibilità subordinata alla volontà delle parti stesse. Le quali, in realtà, sono sottoposte all'esame soltanto qualora ne facciano richiesta, o consentano alla richiesta formulata da altra parte (salva, nel caso della parte civile, l'esigenza del suo esame come testimone), compreso il PM (art 208). Entro questi limiti, una volta manifestata la propria volontà favorevole all'esame, la parte che vi è stata sottoposta - quindi, anzitutto, l'imputato - perde la possibilità di esercitare senza pregiudizio la strategia del silenzio. Anche se bisogna aggiungere che, per quanto concerne l'imputato, la scelta del rifiuto all'esame non appare del tutto libera (ci si riferisce all'esame sul fatto proprio, in quanto nel caso di esame sul fatto altrui anche all'imputato deve applicarsi la disciplina ex art. 210, sempreché il medesimo non abbia assunto la figura di «testimone assistito» ai sensi dell'art. 197-bis), ma deve inquadrarsi nella particolare prospettiva dell'onere, come risulta dalle conseguenze per lui potenzialmente svantaggiose che ne fa discendere l'art. 513 comma 1. Sebbene non si parli, al contrario di quel che accade per il testimone, di un obbligo di «rispondere secondo verità alle domande che gli sono rivolte», non è in realtà prevista alcuna formale attribuzione alla parte esaminata della facoltà di non rispondere, né, tanto meno, è previsto un avvertimento analogo a quello prescritto dall'art. 64 comma 3 in sede di interrogatorio, sebbene tale mancata previsione possa venire superata sul piano interpretativo. Si stabilisce, semmai, che dell'eventuale rifiuto di rispondere venga fatta menzione nel verbale. Rimane fermo l'esplicito riconoscimento, anche per la parte esaminata, della facoltà di non rispondere, tutte le volte in cui dalla risposta potrebbe «emergere una sua responsabilità penale» (art 198 co 2 e 209 co 1). Per quanto concerne, invece, le regole di esclusione dettate in materia di testimonianza indiretta, esse risultano richiamate solo con riguardo all'esame delle parti diverse dall'imputato (art 195 e 209 co 1). Un'apposita regolamentazione risulta prevista, infine, dall'art. 210 con riferimento all'esame dibattimentale delle persone imputate in un procedimento connesso (salva l'ulteriore precisazione per cui, come si dirà tra breve, deve trattarsi di procedimenti connessi a norma dell'art. 12 comma 1 lett. a), nei confronti delle quali si proceda, o si sia proceduto, separatamente, e che comunque non possano assumere l'ufficio di testimone. Riguardo a tali soggetti si stabilisce che nei dibattimenti relativi a processi diversi da quello in cui rivestano formalmente la qualità di imputati (ma anche nei processi in cui rivestano tale qualità, ove l'esame si riferisca al fatto altrui, secondo quanto aveva insegnato la giurisprudenza costituzionale), essi vengano di regola esaminati a richiesta di parte, ma possano, o meglio debbano, esserlo anche d'ufficio, quando ai medesimi sia stato fatto riferimento nell'ambito di una testimonianza, o di un esame, di natura indiretta. Si applicano le disposizioni dettate per la testimonianza indiretta e per quanto riguarda le forme di svolgimento dell'esame si assume come modello di base quello dell'esame dei testimoni, sia pure con le peculiarità necessariamente imposte dalla atipica posizione processuale delle persone che devono esservi assoggettate (ad esempio in rapporto alle previsioni di partecipazione del proprio difensore). Per il resto, la disciplina dell'esame dei soggetti in questione risulta costruita sulla base di un assetto intermedio tra quello del testimone e quello dell'imputato: da un lato sotto il profilo del richiamo delle norme concernenti la citazione, l'obbligo di presentazione e l'eventuale accompagnamento coattivo dei testimoni; dall'altro sotto il profilo della necessaria assistenza difensiva; nonché sotto il profilo dell'esplicito riconoscimento a tali soggetti del diritto al silenzio, del resto coessenziale alla qualità di imputato in altro processo, allo scopo di tutelarli rispetto al rischio di dichiarazioni contra se. Diversamente da quanto previsto nell'ipotesi del procedimento cumulativo - al cui interno, in forza dell'art. 208, il coimputato può comunque sottrarsi all'esame diretto - quando si proceda in via separata il medesimo coimputato potrà essere sempre costretto a soggiacervi, salvo il diritto ad essere avvertito della facoltà di non rispondere, come se si trattasse di un interrogatorio. I soggetti cui dovrà applicarsi la particolare disciplina dell'esame attualmente prevista dall'art. 210 non sono più, come era in passato, tutte «le persone imputate in un procedimento connesso a norma dell'art. 12, nei confronti delle quali si procede o si è proceduto separatamente», bensi soltanto quelle non ricomprese nell'area degli imputati che a norma dell'art. 197-bis «assumono l'ufficio di testimone». Più precisamente, dispone il 6° comma dell'art. 210 che la disciplina contenuta nell'intero articolo debba applicarsi anche ai soggetti in questione, ma solo quando i medesimi «non hanno reso, in precedenza dichiarazioni concernenti la responsabilità dell'imputato». Attraverso una simile precisazione ci si riferisce sia all'ipotesi in cui tali persone non siano mai state sentite da alcuna autorità interrogante, sia all'ipotesi in cui, pur essendo state interrogate, non abbiano reso in tale sede alcuna dichiarazione sull'altrui responsabilità Tuttavia si prevede che a tali soggetti, pur chiamati per essere esaminati a norma dell'art. 210, venga comunque dato l'avvertimento previsto dall'art. 64 comma 3 lett. c, nel qual caso, ove non si avvalgano della facoltà di non rispondere, gli stessi assumeranno l'ufficio di testimone. Confronti, ricognizioni ed esperimenti giudiziali: confronti (art 211-212) sono ammessi «esclusivamente» fra persone «già esaminate o interrogate», nel caso di dichiarazioni in contrasto «su fatti e circostanze importanti», e si tratta di un mezzo che dovrebbe trovare largo impiego anche, se non soprattutto, nel corso delle indagini preliminari (non a caso il relativo potere viene testualmente riconosciuto al PM ex art 364 co 1). Circa le modalità dell'atto, ne risulta evidenziata la funzione propulsiva attribuita al giudice nel richiamare le precedenti dichiarazioni - sulle quali i soggetti ammessi al confronto siano risultati in disaccordo - nonché nell'invitarli alle «reciproche contestazioni». Anche la disciplina delle ricognizioni (art 213-217) ricalca, nelle sue grandi linee, i modelli tradizionali di questo mezzo probatorio, caratterizzandosi in particolare per l'accuratezza e l'analiticità della descrizione degli adempimenti preliminari e, quindi, dei modi di svolgimento dell'atto, evidentemente a causa di una certa diffidenza legislativa verso l'attendibilità dei risultati di questo delicato mezzo di prova. Addirittura si prevede che sia causa di nullità anche soltanto la mancata menzione, in sede di verbale, dell'osservanza delle forme prescritte per scandire la relativa procedura, dai suoi preliminari alla vera e propria attività ricognitiva. Per impedire che la persona che effettua la ricognizione possa subire intimidazioni da parte di quella sottoposta, si può disporre che l'atto sia compiuto senza che quest'ultima possa vedere la prima (art 214) Merita di essere ricordata l'apertura contenuta nell'art. 216 a proposito della ricognizione di voci, di suoni o «di quanto altro può essere oggetto di percezione sensoriale». II codice, limitandosi a richiamare soltanto alcune delle disposizioni sancite per le fattispecie regolate dalla legge «in quanto applicabili», delinea qui una figura probatoria riconducibile all'ambito delle prove «non (del tutto) disciplinate dalla legge», per la quale dovranno quindi valere, anche in rapporto alle modalità di assunzione, i principi dettati nell'art. 189. Sia nel caso dei confronti, sia nel caso delle ricognizioni, è innegabile che la persona chiamata a compiere l'atto viene a trovarsi nella condizione di dover rilasciare dichiarazioni che - a seconda della sua posizione processuale - sono assimilabili per il loro contenuto informativo a quelle rese dall'imputato in sede di interrogatorio ovvero di esame ai sensi dell'art. 503, o dal testimone in sede di sommarie informazioni ovvero di esame ex art 503. Per questa ragione, nei loro riguardi operano le garanzie ispirate al principio "nemo tenetur se detegere": il diritto di non collaborare allo svolgimento dell'atto nonché la facoltà di non rispondere alle domande che gli vengano rivolte. Le garanzie trovano applicazione anche nei riguardi del coimputato dello stesso reato ovvero dell'imputato in un procedimento diverso, anche nel caso in cui vengano sentiti separatamente ex art 210. Quanto agli esperimenti giudiziali (art 218-219), mezzo di prova tipicamente finalizzato ad accertare se un fatto «sia o possa essere avvenuto in un determinato modo», attraverso la riproduzione della situazione e la ripetizione delle modalità relative al suo presumibile svolgimento (art. 218), la preoccupazione del legislatore si è appuntata soprattutto sull'esigenza di una maggiore specificazione in ordine alle forme da osservarsi per fare luogo alla relativa procedura, come risulta dal disposto dell'art. 219. Di qui la dettagliata descrizione sia dei contenuti dell'ordinanza che abbia disposto l'esperimento, sia dei poteri del giudice finalizzati ad assicurare un efticace e corretto svolgimento dell'atto. II giudice ha l'obbligo di provedere affinché l'esperimento possa regolarmente svolgersi senza offendere «sentimenti di coscienza», e senza esporre a pericolo «l'incolumità delle persone o la sicurezza pubblica». La perizia: La perizia è un mezzo di prova ammesso quando occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni, le quali richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche (art. 220). Quando il giudice accerta la sussistenza di una delle necessità indicate nell’art. 220, egli è obbligato ad ammettere e disporre la perizia anche d’ufficio e prevedere il contenuto della relativa ordinanza; essa contiene: (1) nomina del perito, (2) sommaria enunciazione dell’oggetto dell’indagine. Limiti oggettivi: non sono ammesse le perizie concernenti il carattere e la personalità dell’imputato, le forme di pericolosità sociale e le sue qualità psichiche indipendenti da cause patologiche: non è consentita, cioè, la perizia psicologica e criminologica, al di fuori della fase esecutiva. Nomina del perito: può essere nominato perito solo il soggetto iscritto in appositi albi professionali, anche se non è escluso il ricorso ad altri esperti di particolare competenza; inoltre, il giudice può disporre una perizia collegiale quando le indagini e le valutazioni risultano di particolare complessità, ovvero quando le medesime richiedono distinte conoscenze in diverse discipline. Il giudice svolge i necessari adempimenti relativi alla citazione del perito e alla comparizione delle persone sottoposte all'esame peritale. ATTI IDONEI E INCIDERE SULLA LIBERTÀ PERSONALE (art. 224-bis). Ex art. 224-bis, quando si procede per delitto non colposo, consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni, per omicidio stradale e lesioni personali stradali gravi o gravissime e negli altri casi espressamente previsti dalla legge, se per l’esecuzione della perizia è necessario compiere atti idonei ad incidere sulla libertà personale, quali il prelievo di capelli, di peli o di mucosa del cavo orale su persone viventi ai fini della determinazione del profilo del DNA o accertamenti medici, e non vi è il consenso della persona da sottoporre all’esame del perito, il giudice, anche d’ufficio, ne dispone con ordinanza motivata l’esecuzione coattiva, se essa risulta assolutamente indispensabile per la prova deli fatti. Contenuto dell'ordinanza: generalità della persona da sottoporre all'esame peritale, indicazione delle ragioni che rendono assolutamente indispensabile l'effettuazione del prelievo, avviso della facoltà di farsi assistere da un difensore o da una persona di fiducia [la perizia è nulla quando la persona che vi si è sottoposta non sia assistita dal difensore, se nominato = ipotesi di assistenza difensiva obbligatoria]. Svolgimento delle operazioni peritali: le operazioni non possono contrastare con espressi divieti di legge né possono mettere in pericolo la vita, l'integrità fisica o la salute della persona del nascituro, e nemmeno essere tali da provocare sofferenze di non lieve entità; è fatta comunque salvo il rispetto della dignità del pudore di chi è sottoposto. Una volta che il giudice abbia conferito l’incarico al perito, con la formulazione dei relativi quesiti, per espletare il suo compito il perito può essere autorizzato ad assistere all’esame delle parti e all’assunzione di altre prove, nonché prendere visione degli atti e delle cose prodotti dalle parti nei limiti in cui i medesimi siano acquisibili al fascicolo dibattimentale. Il perito può poi raccogliere notizie dall’imputato, dall’offeso o anche da altre persone. Per quanto attiene alla relazione finale della perizia, il perito deve rispondere immediatamente ai quesiti propostigli in forma orale, mediante parere raccolto nel verbale, salvo quando il giudice autorizzi la presentazione di una relazione scritta, quando la stessa risulta indispensabile ad illustrare tale parere. Qualora il perito non sia in grado di fornire una risposta immediata, e sempreché il giudice non ritenga di sostituirlo, è prevista la concessione di un termine, non superiore a 90 gg. (ma prorogabile fino a 6 mesi nei casi di accertamenti di particolare complessità) entro il quale dovrà essere fornito il prescritto parere. Tutela delle parti rispetto alle perizie: sia il PM che le parti private possono poi nominare, in numero non superiore a quello dei periti, dei consulenti tecnici, che sono autorizzati a partecipare a tutte le operazioni peritali, non solo formulando osservazioni e riserve, ma anche proponendo al perito lo svolgimento di specifiche indagini. Essi possono sempre prendere visione delle relazioni ed essere autorizzati ad esaminare le persone, le cose o i luoghi oggetto della perizia, purché non ne derivi ritardo all’esecuzione della perizia. I consulenti possono essere nominati anche qualora non sia stata disposta perizia, nel qual caso essi possono esporre al giudice il proprio parere su singole questioni, eventualmente attraverso al presentazione di memorie ex art. 121. La prova documentale: Per documento si intende qualsiasi scritto idoneo a rappresentare o raffigurare un fatto per trasmettere la conoscenza a chi lo osserva. Si tratta di un mezzo di prova formato in sede extra-processuale ed avente una consistenza reale (es. scritti, fotografie etc.). All'interno del processo, il documento costituisce la rappresentazione (più o meno forte) di fatti giuridicamente rilevanti: insieme agli altri mezzi di prova, contribuisce a determinare il convincimento del giudice. È esclusa la possibilità di acquisire documenti concernenti le voci correnti nel pubblico intorno ai fatti, ovvero la moralità delle parti e dei testimoni, è invece ammessa l’acquisizione dei documenti necessari al giudizio sulla personalità dell’imputato e della persona offesa dal reato, compresi quelli esistenti presso gli uffici pubblici di servizio sociale e gli uffici di sorveglianza (i certificati del casellario giudiziale le sentenze divenuti irrevocabili possono venire acquisite anche al fine di valutare la credibilità dei testimoni). Si differenzia tra documenti costituenti ordinario mezzo di prova e documenti costituenti corpo del reato→essi hanno una disciplina particolare, devono essere acquisiti qualunque sia la persona che li ha formati o li detiene (anche d’ufficio). Normativa ad hoc è dettata anche per i documenti provenienti dall’imputato: possono sempre essere acquisiti anche d’ufficio, anche se si tratta di documenti sequestrati presso altri o da altri prodotti. Provenienza dei documenti: deve essere verificata sottoponendoli per il riconoscimento alle parti private e ai testimoni, mentre i documenti contenenti dichiarazioni anonime non possono essere acquisiti né in alcun modo utilizzati, a meno che non si tratti di corpo del reato o provenienti dall’imputato. I documenti concernenti dati e contenuti di conversazioni o comunicazioni, relativi al traffico telefonico e telematico, illegalmente formati o acquisiti, nonché i documenti formati attraverso la raccolta illegale di informazioni, devono essere secretati e custoditi in un luogo protetto dal PM, e il loro contenuto non può essere utilizzato se non come notizia di reato. Inoltre, il PM deve chiedere al GIP, in termini molto brevi, la distruzione di tale materiale. non poter procedere senza le corrispondenti acquisizioni), la medesima autorità potrà disporre i necessari accertamenti, a conclusione dei quali il sequestro dovrà essere ordinato, nel caso di accertata infondatezza dell'opposizione di quei segreti. Sebbene l’articolo in esame non dica nulla a riguardo, in caso di opposizione del segreto giornalistico il sequestro dovrà essere ordinato anche prescindendo dalla fondatezza o meno della relativa dichiarazione, allorché le notizie fornite dalla fonte fiduciaria del giornalista risultino indispensabili ai fini della prova del reato e la loro veridicità possa essere accertato solo attraverso l'identificazione di tale fonte. Allo stesso modo da escludere che possano comunque venire sottoposti a sequestro i documenti contenenti i nomi degli informatori confidenziali, dei quali gli organi di polizia giudiziaria o dei servizi di sicurezza dichiarano di non voler rivelare l'identità. Infine, nell'ipotesi di opposizione del segreto di Stato, rispetto agli atti o documenti in questione, l'autorità giudiziaria deve effettuare adempimenti corrispondenti a quelli determinati in ordine alla prova testimoniale: si avrà sentenza di non doversi procedere nel caso di conferma il segreto da parte del Consiglio dei ministri, in caso di prova ritenuta dal giudice essenziale per la definizione del processo; mentre quando tale conferma non venga tempestivamente fornita, l'autorità giudiziaria potrà senz'altro disporre il sequestro degli stessi atti o documenti. Art 256-bis: acquisizione di documenti presso le sedi dei servizi d’informazione per la sicurezza, nel caso in cui dai responsabili dei relativi uffici NON venga eccepito il segreto di Stato. In tal caso si prevede che l’autorità giudiziaria, dopo aver proceduto – mediante uno specifico ordine di esibizione – all’esame sul posto dei suddetti documenti, e dopo aver acquisito solo quelli indispensabili alle indagini, possa rivolgersi al presidente del Consiglio dei ministri ove ritenga che i documenti esibiti non siano quelli richiesti, o siano incompleti. Qualora, invece, il responsabile dell ’ufficio eccepisca il segreto di Stato, l’esame e la consegna dei documenti deve essere sospesa, affinché gli stessi siano trasmessi al presidente del Consiglio dei ministri; quest’ultimo potrà poi autorizzare l’acquisizione dei documenti ovvero confermare il segreto. Qualora il presidente non si pronunci entro 30 gg. dalla trasmissione, l’autorità giudiziaria potrà procedere all’acquisizione. Sempre al presidente del Consiglio dei ministri dovrà invece necessariamente rivolgersi l’autorità giudiziaria quando intende acquisire un documento originato da un organismo informativo estero e trasmesso con vincolo di non divulgazione, nell’attesa che il presidente del Consiglio autorizzi l’acquisizione del documento, ovvero opponga il segreto di Stato, entro 60 gg. Vicende che estinguono il processo: Il decreto di sequestro è impugnabile tramite riesame [cfr. norme sul sequestro conservativo e preventivo]. L’estinzione del vincolo imposto col sequestro e, quindi, la restituzione delle cose ad esso assoggettate, dipendono dal venir meno delle esigenze probatorie che avevano determinato il provvedimento. In particolare, quando non è più necessario mantenere il sequestro ai fini della prova, le cose devono essere restituite a chi ne abbia il diritto, anche prima della sentenza. Tuttavia, il giudice può disporre il mantenimento del vincolo a titolo di sequestro conservativo o di sequestro preventivo, qualora sussistano i presupposti cautelari richiesti per l’una o per l’altra misura (conversione del sequestro). Il provvedimento per la restituzione delle cose sottoposte a sequestro penale può essere pronunciato d’ufficio quando non ci sono dubbi sull’appartenenza delle cose (ma nel caso di sequestro presso una terza persona si dovrà sempre instaurare il contraddittorio, secondo le forme del rito camerale ex art. 127), mentre quando sorga controversia sulla proprietà, la risoluzione dovrà essere rimessa al competente giudice civile, fermo restando il vincolo del sequestro. La competenza è del giudice procedente; tuttavia, nel corso delle indagini preliminari, sulla restituzione delle cose sequestrate deve provvedere il PM con decreto motivato → contro il decreto che abbia disposto la restituzione, ovvero abbia respinto la relativa richiesta, le persone interessate potranno proporre opposizione, sulla quale sarà chiamato a decidere il GIP, ai sensi dell'art. 127. Le intercettazioni di conversazioni o di comunicazioni (art 266-271): Il risalto e la delicatezza della disciplina delle intercettazioni di conversazioni e di comunicazioni, anche alla luce del dettato dell'art. 15 Cost. - dov'è precisato che la libertà e la segretezza delle comunicazioni, definite «inviolabili», possono venire limitate soltanto «per atto motivato dell'autorità giudiziaria, con le garanzie stabilite dalla legge» - sono testimoniati dal largo spazio che vi ha dedicato la legge delega. La disciplina è stata più volte riformata, con l'obiettivo dichiarato di tutelare la riservatezza dei soggetti intercettati, riconosciuta non soltanto ai terzi occasionalmente coinvolti, ma anche alle persone sottoposte alle indagini, almeno per quanto riguarda le notizie non rilevanti per il procedimento. La nuova normativa sarà però applicabile soltanto per i procedimenti iscritti in data successiva al 31 agosto 2020. Fino a che i procedimenti iscritti anteriormente non saranno completamente esauriti resteranno percio contemporaneamente vigenti due diversi regimi normativi. Si esamina in questa sede il testo risultante dalla riforma del 2017. L'art. 266 definisce anzitutto, con riferimento alla natura ed alla gravità dei reati per i quali si stia procedendo, il cui elenco deve ritenersi tassativo, i limiti oggettivi entro i quali soltanto deve ritenersi ammissibile l'intercettazione di conversazioni, ovvero di comunicazioni, ivi compresi i colloqui tra presenti (intercettazioni ambientali, se del caso previa introduzione di appositi strumenti di ascolto, da autorizzarsi specificamente, ed anche nei luoghi di domicilio, purché vi risulti in corso di svolgimento l'attività criminosa), ovvero di comunicazioni di qualunque specie. Per effetto dell'art. 266-bis deve ritenersi sempre consentita anche l'intercettazione del flusso di «comunicazioni relativo a sistemi informatici o telematici» tutte le volte in cui si proceda per uno dei reati indicati nell'art. 266, nonché per i reati «commessi mediante l'impiego di tecnologie informatiche o telematiche». Una delle principali novità introdotte dalla riforma riguarda l'impiego a questi fini dei captatori informatici che, installati occultamente in un dispositivo connesso ad Internet, consentono di acquisire in tempo reale ogni sorta di dati nei sono presenti, inclusa la registrazione di suoni ed immagini dell'ambiente circostante, mediante l'attivazione a distanza del microfono o della videocamera. L'uso risulta espressamente consentito, in base ai presupposti ordinari, nelle intercettazioni ambientali, per le conversazioni tra presenti che si svolgono fuori dal domicilio. Sorge però un problema, poiché si prevede che il trojan virus si è installato in un dispositivo portatile, che per sua natura può venire in qualsiasi momento a trovarsi in ambiente domiciliare. dove le intercettazioni tra presenti è possibile solo se vi si stia svolgendo l'attività criminosa. II Miscelatore ne ha consentito espressamente l'impiego nei procedimenti per i delitti di cui all'art 51 commi tre bis e tre quater, per i quali dunque l'uso del captatore informatico è sempre consentito, senza limitazioni legate al luogo; Sono inoltre stati inclusi, con modifiche successive, i delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione puniti con pena non inferiore nel massimo a 5 anni di reclusione, previa indicazione, per questi reati, delle ragioni che giustificano l'impiego del captatore nel domicilio. In tutti gli altri casi occorre che nel decreto autorizzativo siano indicati i luoghi e il tempo in relazione ai quali è consentita l'attivazione del microfono, in modo da escludere l’intercettazione ambientale domiciliare se non motivata da un'attività criminosa in atto. Inoltre, il decreto che autorizza l'intercettazione tra presenti, ancorché fuori del domicilio, mediante inserimento di captatore informatico sul dispositivo elettronico portatile, deve sempre indicare le specifiche ragioni che rendono necessarie a tale modalità per lo svolgimento delle indagini. In ogni caso è prevista l'inutilizzabilità dei dati acquisiti nel corso delle operazioni preliminari all'inserimento del captatore informatico nel dispositivo portatile e di quelli acquisiti al di fuori dei limiti di tempo e di luogo indicati nel decreto autorizzativo. Prima della riforma, nel silenzio della legge, era frequente nella prassi l'impiego dei captatori informatici per le intercettazioni di conversazioni tra presenti le sezioni unite della Corte di Cassazione avevano peraltro chiarito che per i delitti di criminalità organizzata l'intercettazione mediante il captatore informatico si legittima anche nel domicilio, a prescindere dallo svolgersi dell'attività criminosa. Per i procedimenti precedenti al 31 agosto 2020, non essendo applicabile la nuova normativa, si deve ritenere che sia ancora questa la disciplina vigente. La nuova normativa concerne esclusivamente l'impiego del captatore informatico su dispositivi portatili per l’intercettazione tra presenti, mentre le altre possibili forme di interferenza, con questo mezzo, nelle comunicazioni private, non sono nemmeno menzionate. La previsione specifica si giustifica per il carattere estremamente insidioso ed invasivo di questo tipo di intercettazione: tuttavia la suddetta delimitazione dovrebbe essere intesa in senso tassativo, come divieto di qualsiasi diversa utilizzazione del captatore informatico, perché altrimenti si rischia di lasciare uno spazio non espressamente disciplinato, a fronte delle enormi potenzialità dello strumento che in pratica è in grado di prendere il controllo a distanza di ogni dispositivo, portatile non, e quindi di tutte le informazioni riguardanti l'attività e la vita privata della persona. Per quanto concerne i presupposti le forme del provvedimento relativo alle operazioni di intercettazione, l'art 267 prevede che, di regola, l'intercettazione possa venire disposta dal PM solo a seguito di autorizzazione da parte del GIP, il quale vi provvederà con decreto motivato quando in presenza di «gravi indizi» di reato, non necessariamente già orientati a carico di una determinata persona, la intercettazione stessa risulti «assolutamente indispensabile» per la prosecuzione delle indagini (ovvero necessaria, in forza dell'art 295 co 3 e 3 bis, al fine di agevolare le ricerche del latitante). Quando ad essere autorizzato è il captatore informatico, nel decreto autorizzativo devono esplicitarsi le specifiche ragioni che lo rendono necessario. Tuttavia, nei casi di urgenza, qualora cioè vi siano valide ragioni per ritenere che il ritardo provocherebbe gravi pregiudizi alle indagini, si ammette che l'iniziativa di disporre l'intercettazione possa venire direttamente assunta dal PM con decreto motivato, peraltro da convalidarsi entro 48 ore ad opera del medesimo giudice mediante un proprio decreto. In caso di mancata tempestiva convalida le intercettazioni non potranno essere utilizzate. Sempre avvalendosi dei suoi poteri di urgenza, il pm, per i delitti di cui all'art 51 co 3 bis e 3 quater e per i delitti contro la pubblica amministrazione contemplati dalla norma, può anche disporre l'intercettazione tra presenti mediante inserimento del captatore informatico su dispositivo portatile. In tal caso il decreto motivato deve indicare anche le ragioni di urgenza che rendono impossibile attendere il provvedimento del giudice. Le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno escluso la necessità di estendere all'acquisizione dei tabulati telefonici le garanzie dettate in tema di intercettazioni telefoniche. Circa la disciplina dell'acquisizione dei tabulati relativi al traffico telefonico, l'art. 132 d.lgs. 196/2003 stabilisce che, i dati relativi al suddetto traffico debbano essere conservati dal fornitore del servizio per 24 mesi dalla data della comunicazione «per finalità accertamento e repressione dei reati», mentre, in rapporto alle medesime finalità, il termine di conservazione è fissato in 12 mesi rispetto ai dati concernenti traffico telematico, e soltanto in 30 giorni rispetto ai dati concernenti le «chiamate senza risposta», Entro tali termini di conservazione, i dati in questione possono venire acquisiti dal PM, anche su istanza dei difensori delle parti private, previa autorizzazione del giudice o in caso di urgenza, di convalida del provvedimento del pm). Resta salvo il potere del difensore dell'imputato, in sede di indagini difensive, di richiedere direttamente al fornitore i dati relativi alle utenze del proprio assistito. Per quanto riguarda gli aspetti esecutivi delle intercettazioni, si prescrive che il decreto del PM stabilisca «le modalità» e «la durata» delle corrispondenti operazioni. A quest'ultimo proposito l'art. 267 comma 3 prevede che esse non possano prolungarsi, in forza di tale decreto, oltre il termine di 15 giorni (peraltro prorogabili dal giudice, con decreto motivato, ed in permanenza dei presupposti richiesti ab origine, per periodi successivi di 15 giorni), e debbano venire eseguite dal pubblico ministero personalmente, o tramite un ufficiale di polizia giudiziaria. Una disciplina particolare è stata dettata con riferimento alle indagini relative a delitti di «criminalità organizzata», ovvero al delitto di «minaccia col mezzo del telefono», ed ancora ai delitti di natura terroristica od eversiva. Più precisamente, da un canto si è stabilito che, quando l'intercettazione risulti «necessaria» per lo svolgimento di tali indagini, essa possa venire autorizzata dal giudice anche soltanto in presenza di «sufficienti indizi» di reato, nella valutazione dei quali dovrà applicarsi, così come in rapporto ai «gravi indizi» previsti dall'art. 267 commi 1 e 1-bis, il disposto dell'art. 203. D'altro canto, si è prescritto che la durata delle operazioni cosi autorizzate non possa di regola superare I 40 giorni, ma che la stessa possa venire prorogata con decreto motivato, dal giudice (ovvero, nei casi di urgenza, direttamente dal pubblico ministero), previa verifica della permanenza dei presupposti richiesti dalla legge, per periodi successivi di 20 giorni. Quando poi si tratti di una intercettazione di conversazioni tra persone presenti (c.d. intercettazione ambientale), sempre nell'ambito di procedimenti per delitti di criminalità organizzata, nonché per gli altri gravi delitti, si è ulteriormente precisato, in deroga al limite fissato ex art. 266 comma 2, che la relativa operazione possa venire autorizzata e disposta - anche nei luoghi di domicilio, con l'impiego del captatore informatico - pur quando «non vi è motivo di ritenere che nei luoghi predetti si stia svolgendo l'attività criminosa». Tornando alla normativa ordinaria, si ricollega alla sfera delle garanzie la previsione che impone al PM di annotare in un apposito registro riservato, secondo il loro ordine cronologico, tutti i decreti che abbiano disposto, autorizzalo, convalidato ovvero prorogato le intercettazioni, nonché, in rapporto a ciascuna di esse, i tempi di inizio e di conclusione delle operazioni. La conservazione consente di effettuare un controllo, pur se meramente interno, poiché non sembra consentito agli interessati l'accesso al registro. Si prevede, inoltre, che queste ultime vengano compiute «esclusivamente» per mezzo degli impianti installati nella procura della Repubblica presso il tribunale, salvo consentire subito dopo che, nel caso di insufficienza o inidoneità dei medesimi, lo stesso pubblico ministero possa autorizzare con decreto motivato l’uso degli impianti di pubblico servizio, ovvero di quelli in dotazione alla polizia giudiziaria. Quanto alle ulteriori forme di svolgimento delle operazioni, dopo avere stabilito espressamente che le comunicazioni intercettate siano sempre registrate, e che nel relativo verbale venga trascritto, anche in maniera sommaria, il loro contenuto. Può accadere e accade di frequente in caso di richiesta di una misura cautelare, richiesta alla quale il pm deve allegare ex art 291 co 1 gli elementi che dimostrano la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari) che le intercettazioni debbano essere utilizzate prima della conclusione delle operazioni e comunque senza che sia stata avviata la procedura di trascrizione e acquisizione avanti al giudice. A questi fini, possono essere utilizzate le trascrizioni sommarie contenute nei verbali della polizia (c.d. brogliacci). Una volta eseguita la misura cautelare, l'ordinanza va depositata in cancelleria ex art 293 co 3, insieme alla richiesta del pm e agli atti presentati con la stessa: tra questi sono inclusi i verbali delle intercettazioni. Viene riconosciuto il dritto della difesa di estrarre copia dei verbali e di ottenere la trasposizione delle registrazioni su supporto idoneo, per prendere conoscenza della comunicazione originale in vista dell'impugnazione del provvedimento cautelare. Uno dei maggiori inconvenienti legato alle intercettazioni, con grave pregiudizio per la tutela della vita privata, è da sempre rappresentato dalla indebita divulgazione del loro contenuto. La riforma del 2017 ha introdotto alcune disposizioni volte a garantire il diritto fondamentale alla riservatezza (nei confronti dell'imputato nonché di altri soggetti eventualmente anche non coinvolti nel procedimento): si prevede che nel corso delle operazioni il pm debba vigilare "affinchè nei verbali non siano riportate espressioni lesive della reputazione delle persone o riguardanti "dati definiti sensibili dalla legge", salvo che siano "rilevanti ai fini delle indagini". Per quanto concerne le comunicazioni dei difensori, fermo il divieto di utilizzazione, il loro contenuto non può nemmeno sommariamente essere trascritto nel verbale. Inoltre, per quanto riguarda l'impiego delle intercettazioni nel procedimento cautelare eventualmente instaurato nel corso delle indagini preliminari, sono state adottate alcune precauzioni: spetta al pm selezionare, per allegarli alla richiesta di misura cautelare, i soli verbali rilevanti, si da evitare che la produzione indifferenziata di tutte le intercettazioni possa comportare la diffusione di notizie o dati personali riservati. Il giudice dovrà restituire al pm gli atti che reputi non rilevanti o inutilizzabili. Nella richiesta vanno inoltre riprodotti solo i brani essenziali delle comunicazioni e conversazioni intercettate, e lo stesso è prescritto per la motivazione dell'ordinanza. Per quanto concerne la conservazione delle intercettazioni, sempre a tutela della loro segretezza, è previsto che queste siano conservate in un apposito archivio anziché nella segreteria del pm. L'archivio è posto sotto la sorveglianza del procuratore della repubblica, il quale ha il compito di assicurare la segretezza delle intercettazioni non necessarie per il procedimento, irrilevanti o inutilizzabili, ovvero riguardanti la categoria dei dati personali. All'archivio potranno accedere, oltre al giudice, al pm e alla polizia giudiziaria, in un momento successivo, anche i difensori delle parti, per consultare gli atti ed ascoltare le registrazioni, ma senza diritto di estrarre copia fino a quando non siano acquisiti al procedimento. Il deposito degli atti deve avvenire entro 5 gg dalla conclusione delle operazioni, salvo che il giudice non conceda una proroga. Ogni accesso e ogni rilascio di copia deve essere annotato, allo scopo di poter risalire alla responsabilità di eventuali violazioni del segreto. Un diverso profilo di segretezza è quello imposto dall'art 329 co 1, avente ad oggetto "le richieste del pm di autorizzazione al compimento di atti di indagine e gli atti del giudice che provvedono su tali richieste" (riferimento Tra le disposizioni generali relative alle misure cautelari personali il codice include quelle concernenti i presupposti delle misure stesse, sia con riferimento al profilo del fumus commissi delicti (in senso soggettivo), sia con riferimento alla sfera del periculum libertatis. • L'art. 273 comma 1 individua quali «condizioni generali» di applicabilità delle misure in questione la sussistenza a carico del destinatario di «gravi indizi di colpevolezza», con l'evidente proposito di accentuare la consistenza della piattaforma indiziaria. Il 2° comma dell’articolo 273 pone alla componente autorità un sommario accertamento negativo circa la sussistenza di una delle cause di giustificazione o di non punibilita. ovvero di estinzione del reato o della pena Venendo ai criteri di valutazione dei suddetti «gravi indizi», il richiamo all'art 271 co 1 precisa che il regime di inutilizzabilità sancito in tema di intercettazioni telefoniche deve ritenersi esteso in toto all'ambito di valutazione dei "gravi indizi di colpevolezza" ex art 273. Va inoltre segnalato il nuovo comma 1-bis dell'art. 273, nel quale vengono richiamate allo scopo alcune specifiche previsioni, descrivendo un ventaglio piuttosto ampio di disposizioni di cui il giudice dovrà necessariamente tener conto nel valutare il presupposto del fumus commissi delicti a fronte di una richiesta di misura cautelare. E' disposta l'applicazione delle regole di valutazione probatoria sancite dall'art. 192, commi 3 e 4, anche nell'ambito del procedimento applicativo delle misure cautelari. Ne deriva che, ai fini della valutazione circa la sussistenza dei «gravi indizi» necessari per l'adozione di una misura cautelare, il giudice potrà tener conto delle dichiarazioni provenienti da persone che siano imputate dello stesso reato, o in un procedimento connesso, o di un reato collegato ex art. 371 comma 2 lett. b, quando le medesime dichiarazioni risultino corredate da altri elementi probatori idonei a confermarne l'attendibilità (riscontri estrinseci individualizzanti). Mentre, come emerge dal mancato richiamo anche al 2° comma dell'art. 192, il medesimo giudice non dovrà ritenersi vincolato dalla regola ivi prevista, per cui « l 'esistenza di un fatto» non può essere desunta sulla base di indizi (qui da intendersi come prova critica indiziaria), salvo che gli stessi risultino «gravi. precisi e concordanti». Appare palese la scelta legislativa di anticipare sul terreno cautelare l'operatività di alcune specifiche regole dettate in tema di inutilizzabilità probatoria, ma anche di una regola prevista per la valutazione della prova (art 192 co 3 e 4). Per un verso, infatti, ne risulta notevolmente irrigidito il criterio di apprezzamento dei gravi indizi. Per altro verso, non si può nascondere il rischio che, per questa via, il provvedimento applicativo di una misura cautelare (tanto più se passato indenne al vaglio del tribunale del riesame e della corte di cassazione) finisca per caricarsi di un peso assai gravoso sulla sorte processuale dell'imputato, poiché si risolve in un anticipato giudizio di colpevolezza, essendo imposto al giudice di valutare la piattaforma indiziaria necessaria ai fini cautelari sulla base della stessa regola valutativa dettata per la prova della colpevolezza. • Quanto al versante del periculum libertatis, l'art. 274, affrontando e risolvendo con chiarezza sistematica il problema del «vuoto dei fini», si preoccupa di predeterminare le « esigenze cautelari» che, concorrendo con il presupposto dei gravi indizi di colpevolezza, sono idonee a giustificare l'adozione delle misure cautelari personali. Al riguardo la previsione normativa è esplicita non soltanto nel sottolineare come si tratti di esigenze ciascuna autonomamente sufficiente a legittimare il ricorso allo strumento cautelare; ma anche come nessuna misura possa venire disposta se non in base al concreto accertamento della sussistenza di una delle suddette esigenze. Ne discende un duplice corollario: da un lato, la esclusione di qualsiasi automatismo nell'adozione delle misure in parola; dall'altro, il rituto di qualunque meccanismo imperniato sull'obbligo del giudice di "giustificare", motivandone in positivo le ragioni, la mancata adozione della custodia cautelare con riferimento a determinate imputazioni (salvo quanto previsto dall'art. 275 comma 3, sia pure con esclusivo riguardo agli indiziati di alcuni delitti particolarmente gravi di criminalità organizzata), imponendosi anzi un onere motivazionale circa l'adozione della misura carceraria (e circa l'inidoneità in concreto della detenzione domiciliare controllata, arresti domiciliari con braccialetto elettronico). Le diverse esigenze cautelari: Con riferimento alla sussistenza di «specifiche ed inderogabili» esigenze attinenti alle indagini (com'è ovvio relative ai soli «fatti per i quali si procede»), queste vengono finalisticamente circoscritte in rapporto a «situazioni di concreto ed attuale pericolo per l'acquisizione o la genuinità della prova». Il proposito legislativo è evidentemente quello di consentire il ricorso alle misure cautelari per fronteggiare il c.d. pericolo di «inquinamento» delle prove, cui si affianca, però, un altrettanto preciso intento di escludere qualunque possibilità di impiego delle misure in questione allo scopo di assicurare il «compimento di atti determinati», per i quali non si possa prescindere dalla presenza dell'imputato (per questi fini è previsto l’accompagnamento coattivo ex art 132 e 376). Circa l'ipotesi della fuga o del «concreto» pericolo di fuga dell'imputato, essa trova un limite alla sua rilevanza sul terreno cautelare nel collegamento alle sole imputazioni per le quali il giudice preveda che possa venire irrogata «una pena superiore a 2 anni di reclusione». Si richiede inoltre che il pericolo sia "concreto ed attuale", circoscrivendo l'esigenza cautelare alle sole situazioni di pericolo imminente, il quale non può essere desunto esclusivamente dalla gravità del reato per il quale si procede. Più delicato era il problema della specificazione, nel codice, dell'esigenza cautelare di natura sostanziale evidenziata dalla delega attraverso il non meglio precisato richiamo alle « esigenze di tutela della collettività». problema, comunque, è stato risolto assumendo quale parametro di valutazione dell'esigenza cautelare in questione gli elementi ricavabili da specifiche modalità e circostanze del fatto», nonché dalla «personalità» dell'imputato (desunta da «comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali»), e riconoscendole rilevanza ogniqualvolta ne risulti il «concreto ed attuale pericolo» che il medesimo imputato - ove non assoggettato ad alcuna cautela - possa commettere «gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale, o diretti contro l'ordine costituzionale, ovvero delitti di criminalità organizzata», od ancora delitti «della stessa specie di quello per cui si procede». Con riguardo a quest'ultima ipotesi si è tuttavia precisato, per coerenza con la regola generale dettata nell'art. 280 comma 2, che la misura della custodia cautelare potrà essere disposta solo quando il suddetto pericolo si riferisca alla commissione di delitti per i quali sia comminata una pena detentiva «non inferiore nel massimo a 4 anni» (mentre per la custodia in carcere si esige un massimo edittale più alto, non inferiore a 5 anni). La lett b. chiarisce che le situazioni di concreto ed attuale pericolo non possono essere desunte esclusivamente dalla gravità del titolo di reato per cui si procede. L'art. 274 lett. a, stabilisce che «le situazioni di concreto ed attuale pericolo» ivi previste « non possono essere individuate nel rifiuto della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato di rendere dichiarazioni né nella mancata ammissione degli addebiti». In nessun caso l'esercizio del diritto al silenzio, da parte dell'imputato, puo essere posto a fondamento, sul terreno del periculum libertatis, di una misura cautelare disposta a suo carico e quindi, a maggior ragione, che nessuna misura cautelare (a cominciare da quella carceraria possa venire legittimamente adottata allo scopo di indurre l'imputato stesso a collaborare con l'autorità giudiziaria. La disposizione in parola si eleva a regola generale, sebbene sia posta alla lett. a), per cui si applica anche alle ipotesi di cui alle lett b) e c). principi di adeguatezza e di proporzionalità nella scelta delle misure. I principi di adeguatezza e di proporzionalità nella scelta delle misure: Per quanto riguarda l'esercizio della discrezionalità del giudice, una volta accertata la sussistenza di (almeno) una delle esigenze cautelari descritte dall'art. 274, in ordine alla «scelta delle misure» da adottarsi nel caso concreto - sia in via originaria, sia in via sostitutiva - l'art. 275 detta alcuni «criteri» fondamentali, ispirati alla logica della adeguatezza e della proporzionalità. Viene anzitutto enunciato il principio di adeguatezza. In forza di tale principio il giudice, nell'individuare «quale» misura debba venire disposta, sarà obbligato a tener conto della «specifica idoneità di ciascuna». rapportandola «alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto» Dovrà venire scelta la misura meno gravosa per l'imputato, tra quelle di per sé idonee a fronteggiare le suddette esigenze. Al principio di adeguatezza, così enunciato in termini generali, si raccorda poi, con funzione integrativa, il principio di proporzionalità, stando al quale ogni misura «deve essere proporzionata all'entità del fatto e alla sanzione che sia stata o si ritiene possa essere irrogata». Il giudice, nel determinare la misura meglio idonea ad essere adottata nella singola fattispecie, dovrà tener conto dell' attitudine della misura stessa a soddisfare le esigenze cautelari verificate caso per caso, ma anche della sua congruità, sotto il profilo della deminutio libertatis che ne deriva all'imputato: sia rispetto alla gravità del fatto addebitatogli, sia rispetto al quantum di pena che in concreto possa essergli irrogata. II comma 2-bis dell'art. 275, detta in capo al giudice un esplicito divieto di disporre la custodia cautelare quando il medesimo ritenga che «con la sentenza possa essere concessa la sospensione condizionale della pena». Il divieto opera anche quando "il giudice ritiene che, all'esito del giudizio, la pena detentiva irrogata non sarà superiore a 3 anni". La preclusione subisce però alcuni limiti: la custodia in carcere può essere disposta in sostituzione della misura non carceraria quando siano state violate le connesse prescrizioni; può farsi ricorso alla carcerazione se, rilevata l'inadeguatezza di ogni altra misura, gli arresti domiciliari non possono essere disposti per mancanza di un luogo idoneo per l'esecuzione; il divieto non opera inoltre quando si procede per una serie assai eterogenea di delitti indicati dalla norma. Il comma 1-bis ed il comma 2-ter dell'art. 275 si occupano dei criteri relativi alla scelta delle misure cautelari da disporre contestualmente ad una sentenza di condanna. A norma del comma 1-bis è previsto anzitutto che, contestualmente ad una sentenza di condanna, resame delle esigenze cautelari debba essere « condotto tenendo conto anche dell'esito del procedimento, delle modalità del fatto e degli elementi sopravvenuti, dai quali possa emergere che, a seguito della sentenza, risulta taluna delle esigenze indicate nell'art. 274, comma 1, lett. b e c». II comma 2-ter dello stesso art. 275 stabilisce che qualora la condanna sia stata pronunciata in grado di appello, è previsto che le misure cautelari personali debbano essere «sempre disposte, contestualmente alla sentenza, quando, all'esito dell'esame risultano sussistere esigenze cautelari previste dall’art. 274 e la condanna riguarda uno dei delitti previsti dall’articolo 380 comma 1, e questo risulta commesso da soggetto condannato nei 5 anni precedenti per delitti della stessa indole». Ciò significa che in deroga alla regola generale per cui il giudice procedente applica le misure cautelari su richiesta del PM, nel caso di sentenza di condanna pronunciata in secondo grado, contestualmente alla sentenza il medesimo giudice dovrà obbligatoriamente, anche in assenza di quest'ultima richiesta, valutare la sussistenza delle esigenze cautelari e degli altri presupposti indicati nel suddetto comma 2-ter, ed applicare «sempre» la misura cautelare personale più adeguata, ogni qualvolta tale valutazione abbia dato esito positivo Quanto agli ulteriori sviluppi del principio di adeguatezza, il 3° comma dell'art. 275, con riferimento alla misura della custodia cautelare in carcere stabilisce che la medesima « può essere disposta soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata». Questa regola subisce, tuttavia, una cospicua eccezione a seguito delle modifiche introdotte nel 3° comma dell'art. 275, nel quale è oggi stabilito che, quando sussistano gravi indizi di colpevolezza in ordine ad uno dei delitti ivi elencati (delitti di associazione sovversiva, terroristica o di tipo mafioso di cui agli artt 270, 270 bis e 416 bis cp), debba venire sempre disposta la custodia carceraria, a meno che siano acquisiti «elementi» dai quali risulti «che non sussistono esigenze cautelari». Sebbene non venga meno il dovere del giudice di provvedere soltanto su richiesta del pm ex art 291 co 1, si configura così in capo all'indiziato dei suddetti delitti una forte presunzione relativa di periculum libertatis. Ne deriva, con riguardo al medesimo giudice, un vero e proprio onere di motivazione negativa, circa la (non) sussistenza in concreto di esigenze cautelari. Ed è questa una situazione che, dal punto di vista del giudice, dovrebbe concretare una sorta di «scudo normativo» di fronte al rischio delle minacce o dei condizionamenti cui lo stesso potrebbe venire sottoposto, soprattutto nei procedimenti per delitti di criminalità organizzata. Ci si rende conto che tale meccanismo normativo, risolvendosi in chiave di tendenziale obbligatorietà della misura carceraria, si colloca ai limiti della compatibilità con il disposto dell'art 13 co 2 cost, nel quale "l'atto motivato dall'autorità giudiziaria" è richiesto come garanzia ai fini dell'applicazione (non del diniego) delle misure restrittive della libertà personale. Poiché questa regola è destinata ad operare anche dopo l'applicazione della custodia carceraria, è naturale che, con riguardo alla disciplina della sostituzione in melius delle misure cautelari, la disposizione di cui all'art 299 co 2 preveda l'inciso "salvo quanto previsto dall'art 275 co 3). Altre applicazioni del principio di adeguatezza: Per quanto riguarda l'impiego della custodia in carcere, una sorta di presunzione di «non necessità» della misura carceraria risulta sancita nel 4° comma dell'art. 275, con riferimento ad una serie di ipotesi, rispetto alle quali si delinea un divieto della suddetta misura. Così è stabilito, in particolare, quando siano imputati una donna incinta, o una madre di prole di età non superiore ai 6 anni con la stessa convivente, ovvero un padre (sembrerebbe senza ulteriori condizioni) qualora «la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole», od ancora una persona che abbia superato i 70 anni. Nei confronti dei suddetti imputati si prevede che debba venire di regola applicata una misura diversa dalla custodia in carcere, salva l'eccezione rappresentata dall'eventualità che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. Solo in tale ipotesi, risultando in concreto rovesciata la presunzione posta dalla legge a favore dei medesimi imputati, potrà (anzi, dovrà) disporsi anche a loro carico la misura della custodia in carcere (eseguita, ex art 285 bis, negli istituti a custodia attenuata per detenute madri). Analogamente, qualora ricorrano i presupposti per la custodia in carcere, ma non sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, e si tratti di imputati tossicodipendenti o alcoldipendenti sottoposti a programma terapeutico di recupero, è stabilito che nei confronti di tali imputati debba essere disposta la misura degli arresti domiciliari, allorché l'interruzione del programma in atto possa pregiudicare il loro recupero (resta al giudice l'obbligo di definire i controlli necessari a verificare la prosecuzione del programma da parte dell'imputato, nonché fissare i giorni e gli orari nei quali quest'ultimo può assentarsi per l'attuazione del programma). La medesima disciplina si applica altresì nei confronti dell'imputato tossicodipendente o alcoldipendente, già assoggettato a custodia cautelare, il quale intenda sottoporsi ad un programma terapeutico di recupero. In questi ultimi casi tuttavia, quando si proceda per i delitti di rapina aggravata o estorsione aggravata, o sussistano "particolari esigenze cautelari", il provvedimento applicativo degli arresti domiciliari è subordinato all'individuazione di una struttura residenziale per lo svolgimento del programma di recupero. Un esplicito, ed anzi più rigido, «divieto di custodia cautelare» è stabilito, infine, dall'art. 275 comma 4-bis nei riguardi degli imputati che siano affetti «da Aids conclamata o da grave deficienza immunitaria», ovvero «da altra malattia particolarmente grave», a causa della quale le loro condizioni di salute risultino incompatibili con lo stato di detenzione. Quando venga verificata la sussistenza di condizioni di salute di tale tipo si prevede che, con riferimento a tali soggetti, la custodia cautelare in carcere «non può essere disposta ne mantenuta». In via derogatoria, se «sussistono esigenze cautelari di eccezionale rilevanza», dovrà farsi regolarmente luogo a custodia cautelare presso «idonee strutture sanitarie penitenziarie», a meno che l'adozione di tale misura non risulti possibile «senza pregiudizio per la salute dell'imputato» o per quella «degli altri detenuti» (in questi casi il giudice disporrà la misura degli arresti domiciliari presso un luogo di cura o di assistenza, ovvero presso le unità operative o gli altri luoghi indicati al co 4 ter). Più in generale, infine, pur ricorrendo le situazioni appena descritte, allorché il soggetto risulti imputato, o sia stato sottoposto ad altra misura cautelare, per uno dei delitti previsti dall'art. 380 (arresto obbligatorio in flagranza), il giudice potrà comunque disporne la custodia cautelare in carcere, evidentemente allo scopo di evitare gli inconvenienti altrimenti derivanti, soprattutto in rapporto al pericolo di reiterazione di determinati reati, dal sostanziale riconoscimento a tali soggetti di una sorta di «immunità» rispetto alla custodia carceraria. I co 4 quinquies prevede intine che la custodia carceraria e in ogni caso esclusa se gia disposta deve essere revocata) allorché la malattia da cui è affetto l'imputato si trovi in una fase cose avanzata da non rispondere più ai trattamenti ed alle terapie. Ancora alla sfera del principio di adeguatezza, con riferimento all'ipotesi di condotte dell'imputato contrastanti con le prescrizioni inerenti alle singole misure cautelari deve ricondursi la disposizione dell'art. 276 comma 1. Dove, in termini generali, viene enunciato il principio per cui, nel caso di inosservanza delle suddette prescrizioni, il giudice può ordinare la sostituzione della misura già disposta, ovvero il suo cumulo con altra più grave: sempre, di regola, dietro custodia cautelare subita all’estero a seguito di una domanda di estradizione, ovvero nel caso di rinnovamento del giudizio. La tipologia delle misure interdittive: Art. 287 → le condizioni di applicabilità delle misure interdittive [procedimenti per delitti per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a 3 anni] subiscono svariate deroghe in rapporto quanto previsto da disposizioni particolari, cioè dalle singole disposizioni riguardanti le specifiche misure: ciascuna di esse stabilisce ipotesi derogatorie in riferimento a determinati delitti. Vengono disciplinate, in particolare: 1 la sospensione dall’esercizio della potestà dei genitori (art. 288); 2 la sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio, peraltro non applicabile agli uffici elettivi ricoperti per diretta investitura popolare (art. 289); 3 il divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali o imprenditoriali, ovvero determinati uffici direttivi delle persone giuridiche o delle imprese (art. 290). Criteri di scelta delle misure interdittive, per le quali valgono i principi di adeguatezza e di proporzionalità (art. 275), va ricordata la possibilità per il giudice di applicare anche solo parzialmente la misura prescelta→cfr. cfr. artt. 288-290 “applicazione in tutto o in parte”. Profili formali dei provvedimenti cautelari e procedimento applicativo (art. 291-292): PM = organo richiedente Giudice= organo decidente Art. 291.1→La competenza a disporre misure cautelari personali spetta al giudice su richiesta del PM (un’iniziativa d’ufficio del giudice è prevista solo in materia di revoca o di sostituzione di misure già applicate, art. 299.3). In particolare, il PM deve fornire al giudice: 1) elementi su cui la richiesta di fonda, compresi i verbali delle operazioni compiute in relazione a intercettazioni di conversazioni e comunicazioni telefoniche, ambientali e telematiche, limitatamente alle conversioni e comunicazioni rilevanti; anche ex c. 1-ter, la riproduzione dei brani essenziali. 2) tutti gli altri elementi a favore dell’imputato, tra cui rientrano sia quelli acquisiti dallo stesso PM ex art. 358 (attività di indagine del PM) sia quelli pervenutigli in seguito all'attività investigativa ex art. 327-bis (attività investigativa compiuta dal difensore). 3) eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate. Art. 291.2 [Giudice incompetente], tale art. detta una particolare disciplina in caso il giudice destinatario della richiesta riconosca la propria incompetenza, ma accerti l’urgenza di provvedere sotto il profilo cautelare: egli stesso deve disporre la misura richiesta, mediante lo stesso provvedimento declinatorio di competenza, salva la caducazione della misura così applicata qualora, entro 20 gg. dalla trasmissione degli atti al giudice competente, questi non la “confermi” con proprio autonomo provvedimento. Tuttavia, la richiesta formulata dal PM non è vincolante per quanto riguarda la tipologia della misura oggetto della stessa, in quanto il giudice può disporre anche una misura cautelare meno grave e NON, invece, una misura più grave, per la quale mancherebbe qualunque iniziativa del PM. Tale disposizione ha lo scopo di rafforzare la posizione del giudice. Art. 291.2-bis→il PM – in casi di necessità e urgenza – nell’interesse della persona offesa, può chiedere al giudice l’applicazione di una misura patrimoniale provvisoria ex art. 282-bis, comma 3. In questo modo è estesa l'applicabilità di tali misure in chiave accessoria rispetto ad ogni altra misura cautelare applicata in via principale, allo scopo di configurare uno strumento di tutela anticipata, a livello patrimoniale, per le vittime di reato. Provvedimento cautelare e procedimento applicativo: Il procedimento di adozione del provvedimento cautelare non prevede l'instaurazione del contraddittorio con l'imputato: il giudice provvede sulla richiesta del PM inaudita altera parte. Unica eccezione: sospensione dall'esercizio di un pubblico servizio o ufficio, per la quale il codice prescrive al giudice di procedere, prima di provvedere, all'interrogatorio dell'indagato del delitto contro la pubblica amministrazione [a riguardo, la Corte costituzionale, chiamata a valutare la ragionevolezza del trattamento maggiormente garantito, ha escluso la sussistenza di violazione di articoli 3 e 24 Cost., ritenendo che l'ampliamento delle tutele è giustificato dall'esigenza di verificare anticipatamente che la sospensione non rechi pregiudizio alla continuità della funzione del servizio pubblico]. ➔ Il giudice provvede tramite ordinanza (art. 292)→essa deve contenere (comma 2): a) le generalità dell’imputato e quanto valga a identificarlo; b) la descrizione sommaria del fatto con l’indicazione delle norme di legge che si assumono violate = ipotesi di imputazione c)l'esposizione e l'autonoma valutazione delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi che giustificano in concreto la misura disposta, con l'indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti e dei motivi per i quali essi assumono rilevanza, tenuto conto anche del tempo trascorso dalla commissione del reato = motivazione: essa va espressa con formula analitica e stringente, al fine di responsabilizzare al massimo il giudice nell'esposizione delle ragioni che lo abbiano indotto ad adottare la misura. Tale esposizione va modellata in modo da coprire l'intera gamma dei presupposti stabiliti dagli artt. 273 e 274 per l'applicazione delle misure cautelari, sia sotto il profilo del fumus commissi delicti (gravi indizi di colpevolezza), anche in rapporto il grado della sua consistenza, sia sotto il profilo del periculum libertatis (specifiche esigenze cautelari). c-bis) l'esposizione e l'autonoma valutazione dei motivi per i quali sono stati ritenuti non rilevanti gli elementi forniti dalla difesa, nonché, in caso di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, l'esposizione delle concrete e specifiche ragioni per le quali le esigenze di cui all'art. 274 non possono essere soddisfatte con altre misure = ulteriori adempimenti: essi sono desumibili in via interpretativa dall'obbligo di motivazione imposto al giudice in base alla lett. c), tuttavia il loro richiamo può offrire spazio ad interpretazioni formalistiche, dirette ad appesantire troppo il compito del giudice. In ogni caso, nel rapportare le esigenze cautelari riscontrate in concreto alla specifica idoneità della misura applicata, il giudice deve sempre dar conto dell'osservanza dei criteri di scelta ex art. 275, con particolare riguardo ai canoni di adeguatezza e proporzionalità. d) la fissazione della data di scadenza della misura, quando la stessa è stata disposta al fine di garantire l ’acquisizione o la genuinità della prova [SOLO nel caso ex. art. 274 lett. a)] = durata della misura; tale prescrizione funzionale alla disciplina dell'estinzione delle misure disposte e della loro eventuale rinnovazione. e) la data e la sottoscrizione del giudice. Il giudice, per motivare l'ordinanza, non deve limitarsi all'esposizione degli elementi ex art. 292, ma deve esplicitare anche una propria . Tale richiamo è finalizzato a evitare che il giudice eluda l'obbligo di compiere un effettivo apprezzamento delle ragioni della cautela espresse dal PM in sede di richiesta: la motivazione del provvedimento deve dare conto, anche nel caso in cui il giudice convalidi le valutazioni del PM, del percorso argomentativo eseguito autonomamente dal giudice per giungere alla decisione. Rimane consentito al giudice ricorrere comunque a una motivazione per relazione, alle condizioni chiarite dalle sezioni unite: la richiesta cautelare del PM potrà essere richiamata o trasfusa nell'ordinanza, quando il giudice dimostri di aver preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni poste nell'atto di riferimento, di aver meditato quelle ragioni di averle ritenute coerenti con la propria decisione. I requisiti ex comma 2 sono stabiliti a pena di nullità, rilevabile anche d’ufficio; tale nullità è assoggettata alle regole generali di deducibilità e sanatoria ex artt. 181-183. Il comma 2-ter individua un'ulteriore nullità in riferimento al caso in cui l'ordinanza non contenga la valutazione degli elementi a carico e a favore dell’imputato: si tratta a ben vedere di una previsione che nulla aggiunge a quanto prescritto dal c. 2 lett. c) e c-bis), e la nullità qui sancita non prevede rilevabilità d'ufficio. Gli adempimenti esecutivi e le garanzie difensive: Art. 293→esecuzione delle ordinanze recanti misura cautelare [ex art. 92 disp. att. esse sono immediatamente tramesse agli organi competenti]; l'ordinanza applicativa della misura di custodia cautelare viene materialmente eseguita con la consegna all'imputato di copia del provvedimento e con il suo immediato trasferimento, anche manu militari (cfr. “cattura” ex art. 285) in un istituto di custodia a disposizione dell'autorità giudiziaria. Il d.lgs. n. 101/2014 (in ottemperanza alla direttiva UE sul diritto all'informazione nei procedimenti penali) ha modificato il 1° comma del 293: l'ufficiale o l'agente incaricato di eseguire l'ordinanza che ha disposto la custodia cautelare ha obbligo di consegnare all'imputato (a meno che questi non sia già detenuto in forza di altro titolo) copia del provvedimento e una comunicazione scritta, redatta in forma chiara e precisa tradotta, se l'imputato non conosce la lingua italiana, in una lingua a lui comprensibile – con cui lo informa dei suoi diritti difensivi: ll co 1 bis, qualora la comunicazione scritta non sia prontamente disponibile in una lingua comprensibile all'imputato, prevede che le informazioni siano fornite oralmente, salvo l'obbligo di darne comunque comunicazione scritta all'imputato. Si prevede inoltre l'obbligo di informare immediatamente il difensore e di redigere il verbale di tutte le operazioni compiute (da trasmettere immediatamente al giudice e al pm). Se la misura di custodia in carcere riguarda una madre con figli minori, compia dell'ordinanza va comunicata al procuratore della repubblica presso il tribunale per i minorenni del luogo id esecuzione della misura, per consentire l'adozione dei provvedimenti necessari alla tutela del minore. Tutte le suddette ordinanze, una volta notificate od eseguite, sono depositate in cancelleria, e del deposito si dà avviso al difensore dell'imputato. Insieme all'ordinanza cautelare deve essere depositata anche la richiesta del PM, e con essa gli atti presentati da quest'ultimo a norma dell'art. 291 comma 1. Si prevede il diritto per il difensore non soltanto di prendere visione della richiesta presentata dal pm, ma anche di estrarre copia dell'ordinanza, della richiesta del pm e degli atti presentati a corredo della medesima (compresi i verbali delle comunicazioni e conversazioni intercettate). Mentre le ordinanze applicative della custodia cautelare vengono materialmente eseguite con la consegna all'imputato di copia del provvedimento e con il suo immediato trasferimento, se del caso manu militari, in un istituto di custodia a disposizione dell'autorità giudiziaria, le ordinanze applicative delle misure cautelari non custodiali sono semplicemente notificate all'imputato secondo i modi ordinari. Per quanto concerne, in particolare, le ordinanze relative alla custodia cautelare viene inoltre espressamente stabilito che l'organo di polizia incaricato dell'esecuzione avverta l'imputato della facoltà di nominare un difensore di fiducia, e quindi ne informi immediatamente il difensore così nominato, ovvero quello designato d'ufficio ai sensi dell'art. 97. Circa la procedura da seguire nel caso in cui il destinatario della misura non venga rintracciato, l'art. 295 prevede la redazione del verbale di vane ricerche da parte del competente organo di polizia, e la successiva dichiarazione dello stato di latitanza dell'imputato, ad opera del giudice che tali ricerche abbia ritenuto esaurienti. Quanto alla disciplina della latitanza (da intendersi quale volontaria sottrazione non solo ad un ordine di carcerazione ovvero ad una misura di custodia cautelare, ma anche agli arresti domiciliari, all'obbligo di dimora ed al divieto di espatrio) nell'art. 296 enuncia la regola volta a circoscrivere l'operatività dei suoi effetti al solo «procedimento penale nel quale essa è stata dichiarata». La previsione di maggiore risalto, tuttavia, è quella che autorizza il giudice o il PM ad utilizzare lo strumento della intercettazione di conversazioni o di comunicazioni telefoniche, nonché di altre forme di telecomunicazione, nei limiti degli artt. 266 e 267, anche allo scopo di «agevolare le ricerche del latitante». Può farsi luogo ex art. 295 comma 3-bis anche alla intercettazione di comunicazioni tra persone presenti, quando si tratti di latitanti in relazione ad uno dei delitti di criminalità mafiosa previsti, ovvero ad uno dei gravi delitti di natura terroristica od eversiva; e, in questo caso, si deve ritenere, senza il limite previsto per le intercettazioni ambientali nel domicilio dall'art. 266 comma 2, trattandosi di limite già derogato in via generale con riguardo ai procedimenti per delitti di criminalità organizzata. Allo stesso scopo, d'altro lato, si può procedere, anche ad iniziativa di ufficiali di polizia giudiziaria, alla perquisizione locale di interi edifici o di blocchi di edifici, dove vi sia fondato motivo di ritenere che vi siano rifugiati dei latitanti in relazione ad uno dei suddetti delitti di criminalità mafiosa o di terrorismo, salvo in ogni caso il successivo intervento di controllo da parte dell'autorità giudiziaria, che dovrà esserne informata al più tardi entro 12 ore dall'operazione. Con riguardo alle operazioni sotto copertura, l'autorità giudiziaria può, con decreto motivato, ritardare l'esecuzione dei provvedimenti applicativi di una misura cautelare quando ciò sia necessario per acquisire rilevanti elementi probatori, ovvero per l'individuazione o la cattura dei responsabili dei delitti tipici della criminalità organizzata. Per quanto riguarda la c.d. traduzione di persone in stato detentivo è disposto che debba essere adottata ogni opportuna cautela per «proteggere» tali persone «dalla curiosità del pubblico e da ogni specie di pubblicità», nonché per «evitare ad esse inutili disagi»; l'uso delle manette ai polsi è obbligatorio soltanto quando lo richiedano «la pericolosità del soggetto, o il pericolo di fuga, o circostanze di ambiente che rendono difficile la traduzione». In ogni diverso caso, l'uso delle manette o di ogni altro mezzo di coercizione fisica è vietato. Alla tematica degli adempimenti necessariamente successivi all'esecuzione della misura della custodia cautelare in carcere appartiene anche l'istituto dell'interrogatorio dell'indiziato. Interrogatorio che l'art. 294 comma 1 affida «fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento», al giudice che ha deciso sull'applicazione della misura cautelare - sempreché il medesimo giudice non vi abbia proceduto ex art. 391 comma 3 nel corso dell'udienza di convalida dell'arresto in flagranza o del fermo - prescrivendone l'effettuazione «immediatamente e comunque non oltre 5 giorni dall'inizio dell'esecuzione della custodia», a meno che l'indiziato stesso sia assolutamente impedito. L'istituto è dettato per ragioni di garanzia della persona colpita dal provvedimento di custodia, il che spiega perché l'interrogatorio sia affidato al gip (il quale si pone come organo di controllo e garanzia riguardo ai provvedimenti incidenti sulla libertà personale) anziché al pm (il quale ha compiti di natura eminentemente investigativa). In virtù del comma 1-bis dell'art. 294 un analogo interrogatorio di garanzia è inoltre previsto nei confronti di qualunque persona sottoposta a «misura cautelare, sia coercitiva che interdittiva», diversa dalla custodia in carcere, con l'ulteriore precisazione che il predetto adempimento debba venire assolto «non oltre 10 giorni dall'esecuzione del provvedimento o dalla sua notificazione. L’eventuale inosservanza del termine produce la perdita di efficacia della corrispondente misura. L'interrogatorio della persona in stato di custodia: Con riguardo alle modalità di compimento dell'interrogatorio ex art 294 da parte del giudice, esso dovrà svolgersi secondo le regole generali dettate in materia (art 64 e 65). Ad esse si aggiunge la prevista obbligatorietà, ex co 6 bis art 294, della documentazione integrale dell'interrogatorio stesso, mediante appositi strumenti di riproduzione audiovisiva o con mezzi di riproduzione fonografica. La nuova previsione garantisce un particolare standard di documentazione anche quando si proceda ad interrogatorio di garanzia di un soggetto al quale non sia stata applicata una misura detentiva. Qualora si tratti di interrogatorio di persona in stato di detenzione, l'art. 141-bis prevede l'obbligatorietà della video registrazione, consentendo l'audio registrazione solo ove sia impossibile ricorrere alla prima, ed imponendo comunque in questo caso il ricorso alla perizia o consulenza tecnica, data la particolare delicatezza di un atto compiuto fuori udienza e nei confronti di persona in condizioni di particolare soggezione. La prescrizione è stabilita a pena "inutilizzabilità probatoria" dei risultati dell'atto, con la conseguenza che, nel caso di sua inosservanza, l'avvenuto interrogatorio, se per il resto valido, dovrà ritenersi comunque idoneo ad integrare tutte quelle fattispecie che lo configurano come presupposto necessario per il prodursi di determinati effetti: ad es per evitare il verificarsi della caducazione della misura custodiale, altrimenti sancita dall'art 302. Quanto alla cornice soggettiva dell'interrogatorio in questione, che verrà condotto dal giudice, essa è definita dal imposte dal giudice il «luogo dell'arresto individuato a norma dell'art. 284», sempreché non risulti necessario disporne «l'accompagnamento per salvaguardare comprovate esigenze processuali o di sicurezza». Durante le indagini preliminare, il giudice deve provvedere in ordine alla revoca ed alla sostituzione delle misure cautelari soltanto dietro richiesta del pm o dell'imputato, en entro 5 gg dal deposito di tale richiesta. Assumendo in questa fase il giudice il ruolo di organo di garanzia ad acta, è parso coerente non attribuirgli il relativo potere d'ufficio, il quale gli spetta invece quando risulti già investito del procedimento per l'esercizio di uno dei poteri appartenenti alla sua competenza funzionale: in particolare, quando assuma l'interrogatorio dell'indiziato in stato di custodia cautelare ex art 294, o quando sia richiesto della proroga del termine per le indagini preliminari ex art 406, ovvero quando proceda all'assunzione di un incidente probatorio ex art 392 ss. il giudice comunque, prima di provvedere sulla revoca o sulla sostituzione delle misure, d'ufficio o su richiesta dell'imputato, deve sempre sentire il pm, il quale dovrà esprimere il proprio parere entro i 2 gg successivi. La stessa regola vale per l'ipotesi in cui la revoca o la sostituzione della misura applicata venga richiesta dall'imputato dopo la chiusura delle indagini preliminari (art 299 co 4 bis). II co 3 ter dell'art 299 dispone che il giudice, dopo aver valutato gli elementi addotti a fondamento della richiesta, prima di provvedere possa procedere ad interrogatorio della persona sottoposta alla misura, il quale diventa doveroso per il giudice ove l'imputato l'abbia specificamente richiesto e l'istanza sia basata su elementi nuovi o diversi rispetto a quelli già valutati. Ciò significa che, ogniqualvolta l'imputato abbia l'accortezza di fondare la propria istanza su elementi non ancora esaminati dal giudice, sarà sufficiente una specifica richiesta in tal senso affinché il giudice sia tenuto a procedere all'interrogatorio. I provvedimenti di revoca e sostituzione delle misure cautelari applicate nei procedimenti aventi ad oggetto "delitti commessi con violenza alla persona", devono essere immediatamente comunicati, a cura della polizia giudiziaria, ai servizi socio-assistenziali e al difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa. Quanto ai profili procedurali, si stabilisce che, durante le indagini preliminari il giudice debba provvedere in ordine alla revoca ed alla sostituzione delle misure, di regola, soltanto dietro richiesta del PM o dell'imputato, ed entro 5 giorni dal deposito di tale richiesta. La richiesta di revoca o di sostituzione delle misure applicate nei procedimenti relativi ai "delitti commessi con violenza alla persona" che non sia stata proposta in sede di interrogatorio di garanzia, deve essere contestualmente notificata, a cura della parte richiedente, al difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa, che nei 2 giorni successivi alla notifica può presentare memorie. Per quanto riguarda l'ipotesi in cui si accerti che le esigenze cautelari si sono accresciute rispetto a quelle individuate alla base della misura applicata, è previsto che il giudice, su richiesta del PM, debba sempre, ricorrendone i presupposti, sostituire la misura originaria con altra più rigida, ovvero disporne l'applicazione con modalità più gravose o applica congiuntamente altra misura coercitiva o interdittiva. Con riferimento a tutti i provvedimenti previsti dall'art. 299 è stabilito, infine, che il giudice - quando si trovi nell'impossibilità di decidere «allo stato degli atti» sulla richiesta di una parte - possa «in ogni stato e grado del procedimento» disporre anche d'ufficio, e prescindendo da particolari formalità, i necessari «accertamenti sulle condizioni di salute o su altre condizioni o qualità personali dell'imputato» (art. 299 comma 4-ter). Con riguardo alle ipotesi che si verificano quando la richiesta di revoca o di sostituzione della misura della custodia carceraria sia fondata sulle «condizioni di salute particolarmente gravi» previste dall'art. 275 comma 4-bis (ovvero quando tali condizioni vengano segnalate dal servizio sanitario penitenziario, o risultino in altro modo al giudice), qualora il giudice non ritenga di accogliere tale richiesta sulla base degli atti prodotti, o comunque disponibili, è prescritto che debbano essere disposti «con immediatezza» gli accertamenti medici del caso, attraverso la nomina di un perito ad hoc. il quale dovrà tener conto del parere del medico penitenziario e riferire al giudice entro il termine di 5 giorni ovvero, nel caso di rilevata urgenza, non oltre 2 giorni dall'accertamento. Nelle ipotesi di cui all'art 299 co 4 ter, durante il periodo compreso tra il provvedimento che dispone gli accertamenti e la scadenza del termine per il loro espletamento, il termine di 5 gg sancito per la pronuncia del giudice ex art 299 co 3 è sospeso. Nelle situazioni appena elencate, ove ne ricorrano i presupposti, trova applicazione l'art 286 bis co 3: quando occorra accertare la sussistenza delle condizioni di salute previste dall'art 275 co 4 bis, e le relative esigenze diagnostiche non possono venire soddisfatte nell'ambito penitenziario, il giudice potrà disporre il ricovero provvisorio dell'imputato in idonea struttura del servizio sanitario nazionale per il tempo necessario. Particolari fattispecie di estinzione automatica delle misure: A parte la già ricordata ipotesi di estinzione della custodia cautelare ex art. 302, a causa dell'omesso interrogatorio dell'indiziato entro il termine previsto dall'art. 294, qui viene in evidenza anzitutto la prevista estinzione ipso iure di tutte le suddette misure in conseguenza della pronuncia di determinati provvedimenti, sulla base delle disposizioni emergenti dall'art. 300. Vi si stabilisce, anzitutto, nei commi 1 e 2, la immediata perdita di efficacia delle misure applicate con riferimento ad un certo fatto allorquando, per lo stesso fatto e nei confronti della medesima persona, venga disposta l'archiviazione, ovvero venga pronunciata una sentenza di non luogo a procedere o di proscioglimento. Gli artt. 131-bis e 154-bis disp.att. dispongono che l'imputato detenuto, nei cui confronti sia stata pronunciata una sentenza di non luogo a procedere o di proscioglimento. venga immediatamente posto in libertà dopo la lettura del dispositivo (mentre per il disbrigo delle relative formalità viene riaccompagnato presso l'istituto carcerario separatamente dai detenuti e senza alcun uso di mezzi di coercizione). Laddove, invece, la sentenza sia stata di condanna, l'art. 300 commi 3 e 4 stabilisce - in evidente applicazione del principio di proporzionalità ex art. 275 comma 2 - che le misure già in atto perdano efficacia ogni qualvolta la pena irrogata venga dichiarata estinta, ovvero condizionatamente sospesa; e che la custodia cautelare perda altresì efficacia quando la durata della custodia pre- sofferta sia uguale o superiore all'entità della pena irrogata, indipendentemente dalla circostanza che contro la sentenza sia stata proposta impugnazione. II d.Igs. 150/2022 ha inserito una ulteriore ipotesi di estinzione al co 4 bis dell'art 300: la custodia cautelare non può essere mantenuta ogniqualvolta venga pronunciata, in qualsiasi grado del processo, una sentenza di condanna o di applicazione della pena ex art 444 (anche se soggette ad impugnazione), alla pena pecuniaria sostitutiva o al lavoro di pubblica utilità sostitutivo, o ancora alla pena della detenzione domiciliare sostitutiva. Il giudice in questi casi può però sostituire la misura in essere con un'altra meno gravosa, ove ricorrano i presupposti di cui all'art 299. In tutte queste ipotesi l'effetto estintivo si produce di diritto, sicché al giudice non resterà che adottare con ordinanza i provvedimenti necessari per far immediatamente cessare l'esecuzione delle misure ormai estinte. Quando, poi, la cessazione della misura consegua ad una sentenza della Corte di cassazione, si applica il disposto dell'art. 626. Per quanto riguarda la peculiare situazione dell'imputato prima destinatario di una sentenza di proscioglimento, o di non luogo a procedere, e successivamente condannato per il medesimo fatto, dispone l’ultimo comma dell'art. 300 che nei suoi confronti possano venire adottate una o più misure coercitive soltanto quando ricorrano le esigenze cautelari previste dall'art. 274 comma 1 lett. b (fuga o concreto pericolo di fuga, essendo stata irrogata una pena superiore a 2 anni di reclusione), ovvero lett. c (concreto pericolo di commissione dei gravi delitti ivi indicati). Ad analogo meccanismo estintivo deve ricondursi l'ipotesi di caducazione contemplata dall'art. 301, col prevedere la perdita di efficacia delle misure applicate per esigenze cautelari di natura probatoria allorquando alla scadenza del termine fissato nel provvedimento applicativo, a norma dell'art. 292 comma 2 lett. d, non ne venga ordinata la rinnovazione. È questa una previsione generale che, in assenza di espresse deroghe, si applica a tutte le misure cautelari adottate per la finalità probatoria. La rinnovazione potrà essere disposta dal giudice, su richiesta del PM (e dopo aver sentito il difensore della persona destinataria della misura), anche per più di una volta, purché entro i limiti di durata massima. I commi 2-bis e 2-ter dell'art. 301 prevedono un particolare regime per quanto concerne la durata della misura della custodia cautelare in carcere, quando questa sia stata disposta per esigenze probatorie e, quindi, ne sia stata prefissata la «data di scadenza» a norma dell'art. 292 comma 2 lett. d. La disciplina ordinaria dettata dall'art. 301 comma 2bis è nel senso che, per tutte le altre ipotesi, la custodia carceraria motivata da esigenze probatorie non possa avere «durata superiore a 30 giorni». L’art 301 comma 2 ter prevede la possibilità di una proroga del termine, ad opera del giudice, dietro richiesta del pm e previo interrogatorio dell’imputato sulla base di un’ordinanza, che dovrà valutare le ragioni che hanno impedito il compimento delle indagini per le cui esigenze la misura era stata disposta». Attraverso questa procedura il termine della misura inizialmente stabilito potrà essere prorogato «per non più di due volte» e, comunque, entro «il limite complessivo di 90 giorni». Nulla esclude, tuttavia, che, alla scadenza di questo termine, il PM possa chiedere, ed il giudice possa disporre, la rinnovazione della custodia in carcere nei confronti dello stesso imputato, e sempre per esigenze di natura probatoria (anche riconducibili a quelle per le quali era stata disposta la misura da rinnovarsi). Naturalmente tale rinnovazione dovrà essere disposta mediante la pronuncia di un provvedimento idoneo a fungere da nuovo titolo di custodia, in conformità a quanto previsto in via generale dall'art. 301 commi 1 e 2, e nell'ovvio rispetto dei limiti legali di durata sanciti dal codice per le ipotesi in discorso. I termini di durata massima della custodia cautelare: Tra le figure di estinzione automatica delle misure cautelari personali assumono un particolare risalto quelle collegate alla disciplina dei termini di durata massima di dette misure. L'art. 303 individua tutte le varie ipotesi in cui si realizza il fenomeno della caducazione della misura custodiale per decorso dei termini massimi della stessa salva la proroga dei termini ex art 305 e i meccanismi di "neutralizzazione" e "sospensione" disciplinati agli artt 297 co 4 e 304). Nel 1° comma dell'art. 303 è stata prevista una serie di termini «autonomi» di durata massima della custodia cautelare in relazione ai diversi stati o gradi del procedimento, (dalle indagini preliminari al giudizio di primo grado, al giudizio di appello e ai successivi gradi fino alla sentenza irrevocabile). e con riferimento a ciascuna di tali fasi i suddetti termini «intermedi» sono stati quantitativamente differenziati: ora in funzione della gravità dell'imputazione, ora in funzione della pena applicata in concreto, quando vi sia già stata sentenza di condanna. Più precisamente, ai sensi dell'art. 303 comma 1, per quanto riguarda la fase preliminare, la custodia è destinata a perdere efficacia quando, dall'inizio della sua esecuzione, e senza che sia stato emesso il decreto che dispone il giudizio o l'ordinanza di giudizio abbreviato ex art. 438 (ovvero sia stata pronunciata sentenza di applicazione della pena su richiesta), siano decorsi i seguenti termini: -Tre mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a 6 anni. -Sei mesi, quando si procede per un delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione superiore nel massimo a 6 anni. -Un anno, quando si procede per un delitto per il quale è stabilita la pena dell'ergastolo o della reclusione non interiore nel massimo a 20 anni, oppure per uno dei delitti indicati nell'art. 407 comma 2 lett. a sempre che per questi ultimi sia prevista la pena della reclusione superiore nel massimo a 6 anni. Per quanto riguarda la fase del giudizio di primo grado, secondo il rito ordinario, la custodia è destinata a perdere efficacia allorché dal provvedimento che dispone il giudizio o dalla sopravvenuta esecuzione della custodia stessa), e senza che sia stata pronunciata sentenza di condanna di primo grado, la sua durata abbia superato il termine di: -Sei mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a 6 anni; -Un anno, quando si procede per un delitto per il quale risulta stabilita la pena della reclusione non superiore nel massimo a 20 anni; -Un anno e sei mesi quando si procede per un delitto per il quale risulta stabilita la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a 20 anni. Occorre aggiungere, peraltro, che qualora si proceda per uno dei delitti di cui all'art. 407 comma 2 lett. a i termini appena menzionati «sono aumentati fino a 6 mesi», con la precisazione che quest'ultimo termine dev'essere imputato al termine previsto per la fase precedente (ove non completamente utilizzato), ovvero ai termini previsti per le fasi successive alla sentenza di condanna in appello, che saranno perciò corrispondentemente ridotti. Per quanto riguarda, infine, la fase del giudizio abbreviato, la custodia è destinata a perdere efficacia allorché dall'ordinanza con cui sia stato disposto tale giudizio (o dalla sopravvenuta esecuzione della custodia stessa), e senza che sia stata pronunciata sentenza di condanna ex. 442. la sua durata abbia superato il termine di: a) Tre mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a 6 anni; b)Sei mesi, quando si procede per un delitto per il quale risulta stabilita la pena della reclusione non superiore nel massimo a 20 anni; c)Nove mesi quando si procede per un delitto per il quale risulta stabilita la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a 20 anni. Termini dimezzati rispetto a quelli previsti per le medesime fasce di procedimenti in rapporto all’ordinario giudizio in 1 grado. Il criterio è diverso, invece, relativamente alle ulteriori fasi di giudizio, dal momento che, rispetto ad esse, la definizione dei termini massimi intermedi è stata operata facendo riferimento non più alla pena legislativamente prevista per il delitto di cui all'imputazione, bensì alla pena concretamente irrogata in sede di condanna. Così, per quanto riguarda la fase del giudizio di secondo grado, la custodia cautelare è destinata a perdere efficacia allorché dalla pronuncia della sentenza di condanna in primo grado (o dalla sopravvenuta esecuzione della custodia stessa), e senza che sia stata pronunciata sentenza di condanna in appello, sia decorso il termine di: -Nove mesi. se vi e stata condanna alla pena della reclusione non superiore a 3 anni; -Un anno, se vi è stata condanna alla pena della reclusione non superiore a 10 anni; -Un anno e sei mesi se vi e stata condanna alla pena dell'ergastolo o della reclusione superiore a 10 anni. Nel caso di condanna per più reati, ai fini dell'individuazione dei termini, nei casi di cui all'art 303 co 1 lett c) e d) deve farsi riferimento alla pena complessiva inflitta per tutti i reati per i quali è in corso la misura custodiale, come accade quando si tratta di condanna per diversi reati unificati dal vincolo della continuazione, e non già alle pene relative ai singoli reati. La stessa disciplina si applica, inoltre, nelle fasi di giudizio successive alla pronuncia della sentenza di condanna in grado di appello, e finché la condanna non sia diventata irrevocabile, salva però una importante precisazione, nella quale si riflette un palese affievolimento della presunzione costituzionale di non colpevolezza dell'imputato: quando vi sia già stata condanna anche in primo grado, ovvero quando l'impugnazione sia stata proposta esclusivamente dal pubblico ministero, si stabilisce che non debba più farsi riferimento ai termini intermedi di fase, ma che si applichi «soltanto» la disposizione dell'art. 303 comma 4, concernente i termini di durata complessiva della custodia cautelare. Ex art 303 co 2, il quale fa riferimento all'annullamento con rinvio da parte della Corte Cass, nell'eventualità di regresso del procedimento ad una diversa fase, o di rinvio dinanzi ad un diverso giudice, a partire dalla data del correlativo provvedimento ovvero dalla contravvenuta esecuzione della misura di custodia. Riprendono a decorrere ex novo i termini stabiliti con riguardo a ciascuno stato e grado del procedimento (salvo il rispetto dei limiti di cui agli artt 303 co 4 e 304 co 6). In relazione alla disciplina cosi integrata si spiega altresi la successiva previsione di un termine massimo di «durata complessiva» della custodia che il 4° comma dell'art. 303 individua a tre diversi livelli, così definiti a seconda della gravità dell'imputazione, sulla base della seguente scansione: a) Due anni, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a 6 anni; b)Quattro anni, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore
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