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Compendio di procedura penale Conso, Grevi, Bargis, Appunti di Diritto Processuale Penale

Riassunto del secondo capitolo del libro "Compendio di procedura penale" (autori: Conso, Grevi, Bargis)

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 14/01/2019

Antonietta.M
Antonietta.M 🇮🇹

4.2

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Scarica Compendio di procedura penale Conso, Grevi, Bargis e più Appunti in PDF di Diritto Processuale Penale solo su Docsity! 1 CAPITOLO II - ATTI 1. Premessa. Il libro II contiene le regole che si applicano agli atti che si formano nel medesimo procedimento, mentre la normativa sui documenti, che sono il prodotto di un'attività svoltasi fuori del procedimento (o in un procedimento penale diverso), è stata collocata nel libro III dedicato alle prove. In assenza di una esplicita definizione legislativa, è necessario dire cosa si intende per atto processuale penale. Sul piano soggettivo, sono tali quelli posti in essere dai soggetti (sia pubblici che privati (es. impugnazione dell’imputato) del procedimento. Sul piano oggettivo, secondo l'opinione in passato prevalente, due sarebbero le caratteristiche essenziali dell'atto processuale penale: la sua attitudine a produrre effetti giuridici dotati di rilevanza processuale penale ed il suo realizzarsi nel contesto del processo penale, ossia all'interno di una fattispecie a formazione progressiva. Una simile impostazione, però, non appare più oggi accoglibile stante la scelta del codice di definire due distinte sequenze denominate, rispettivamente «procedimento» e «processo». La distinzione tra i due concetti si ritrova nel compimento, da parte del PM, di uno dei vari possibili atti di esercizio dell'azione penale, che il legislatore si preoccupa di tipicizzare nell'art. 405, con riguardo sia al processo ordinario sia ai processi speciali. Ciò che precede l'esercizio dell'azione penale - e, dunque, l'intera fase delle indagini preliminari - compone già la sequenza degli atti del procedimento, mentre ciò che segue fa parte anche del processo: ivi compresa la fase dell’udienza preliminare, fino alla sentenza definitiva. Al riguardo ciò che più conta è il dato strutturale: nella fase delle indagini preliminari difetta un giudice investito del procedimento in senso proprio, dato che l’intervento del giudice per le indagini preliminari si configura come meramente eventuale. Solo nel contesto del processo opera un giudice investito della pienezza delle proprie funzioni giurisdizionali ed abilitato, pertanto, a pronunciare sentenze à quindi, la nozione di “processo” si caratterizza per un rapporto di specie a genere rispetto a quella di “procedimento” per una nota ulteriore, ovvero la giurisdizionalità piena degli atti relativi. Ciò spiega perchè il legislatore, in numerose disposizioni del libro II, ma anche fuori di esso, abbia designato con la formula “atti del procedimento” tanto gli atti anteriori all’esercizio dell’azione penale quanto quelli ad essa successivi. Semmai desta perplessità l’impiego del termine “procedimento” quando, in effetti, si sarebbe dovuto usare solamente il termine “processo”. L’esempio più vistoso è offerto dall’intitolazione del libro VI: si sarebbe dovuto parlare di “processi” speciali e non di “procedimenti”, poiché essi sono instaurati da un atto di promuovimento dell’azione penale o si innestano nella sequenza procedimentale a seguito dell’avvenuto esercizio della medesima. Premesso che la mancanza nel titolo del libro II dell’aggettivo “processuali” accanto al sostantivo “atti” comporta l’operatività delle relative disposizioni anche con riguardo agli atti del procedimento, restano da individuare l'atto iniziale e quello finale del procedimento medesimo, ai fini dell'applicabilità delle norme di cui agli artt. 109 ss. Esigenze sistematiche, connesse alla coincidenza tra avvio della fase delle indagini preliminari ed inizio del procedimento, inducono a far coincidere il primo atto del procedimento è, quindi, quello immediatamente successivo alla ricezione della notizia di reato da parte della PG o del PM istituito presso il tribunale. Ne segue che gli atti nei quali la notizia medesima si sostanzia (denuncia, 2 referto, come pure querela, istanza o richiesta, allorquando rivestano una siffatta attitudine) si collocano al di fuori della sequenza del procedimento penale. Quando le notizie vengono apprese di propria iniziativa dalla PG o dal PM, la notizia di reato non trova mai consacrazione originaria in un atto tipico, ma è sempre frutto di un giudizio operato dall’organo procedente circa l’attitudine indiziante di informazioni comunque conosciute. Se la notizia è stata acquisita dal PM, poiché scatta l'immediato obbligo di iscriverla nell'apposito registro, è da tale iscrizione che ha inizio il procedimento. Se invece la notizia di reato viene formata dalla PG, va escluso che la successiva informativa al PM ex 347 valga allo scopo, almeno tutte le volte in cui la polizia compia, nel frattempo, un qualche atto di indagine preliminare. In mancanza di un atto tipico, si deve concludere che il primo atto del procedimento sarà costituito da quello cronologicamente anteriore tra gli atti compiuti dopo l'acquisizione della notizia di reato. Anche per l'individuazione dell'atto finale occorre distinguere. Se le indagini preliminari sfociano in un provvedimento di archiviazione, questo sarà l’ultimo atto del procedimento, benché si debba considerare l’eventualità di una riapertura delle indagini. Se, invece, l'azione penale è stata esercitata, l’art. 650 co.2 individua nell’esecutività il momento finale relativamente alle sentenze di non luogo a procedere, così come l’art. 648 individua nell’irrevocabilità il momento finale relativamente alle sentenze pronunciate in giudizio ed al decreto penale di condanna. Anche qui si deve mettere in conto che le sentenze di non luogo a procedere sono passibili di revoca, con effetti diversi sulla sequenza procedimentale a seconda che ne segua la riapertura delle indagini o l’udienza preliminare, così come le sentenze di condanna, le sentenze che applicano la pena su richiesta delle parti ed i decreti penali sono suscettibili di revisione. Infine, debbono essere considerati, a tutti gli effetti, atti processuali penali quelli relativi al procedimento di esecuzione ed al procedimento di sorveglianza. Non rileva, invero, la circostanza che entrambe le sequenze siano poste in essere dopo il passaggio in giudicato della sentenza o del decreto di condanna. 4. Il divieto di pubblicazione. In tema di conoscenza pubblica degli atti, l'art. 114 c.p.p.1 sancisce un divieto di pubblicazione di atti e immagini; assegna una limitata durata al divieto incondizionato di pubblicazione. Art. 114_Divieto di pubblicazione di atti e di immagini. 1. E' vietata la pubblicazione, anche parziale o per riassunto, con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, degli atti coperti dal segreto o anche solo del loro contenuto. 2. E' vietata la pubblicazione, anche parziale, degli atti non più coperti dal segreto fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell'udienza preliminare, fatta eccezione per l'ordinanza indicata dall'articolo 292. 3. Se si procede al dibattimento, non è consentita la pubblicazione, anche parziale, degli atti del fascicolo per il dibattimento, se non dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, e di quelli del fascicolo del pubblico ministero , se non dopo la pronuncia della sentenza in grado di appello. E' sempre consentita la pubblicazione degli atti utilizzati per le contestazioni. 4. E' vietata la pubblicazione, anche parziale, degli atti del dibattimento celebrato a porte chiuse nei casi previsti dall'articolo 472 commi 1 e 2. In tali casi il giudice, sentite le parti, può disporre il divieto di pubblicazione anche degli atti o di parte degli atti utilizzati per le contestazioni. Il divieto di pubblicazione cessa comunque quando sono trascorsi i termini stabiliti dalla legge sugli archivi di Stato ovvero è trascorso 5 I commi 4 e 5 introducono altri due divieti, di pubblicazione di un atto o di una sua parte, che si caratterizzano per essere disposti dal giudice sentite le parti. Il primo concerne gli atti già utilizzati per le contestazioni nel corso del dibattimento svoltosi a porte chiuse. Il secondo divieto investe la riproduzione pubblica, anche parziale, degli atti non segreti dei procedimenti speciali privi della fase dibattimentale, che sarebbero risultati di per sé pubblicabili con la chiusura delle indagini preliminari o al termine dell’udienza preliminare. Anche qui, si vuole evitare offese al buon costume ovvero la diffusione di notizie che per legge devono rimanere segrete nell’interesse dello Stato, ed inoltre si tutela la privacy dei testimoni e delle parti private, interdicendo la pubblicazione di atti che potrebbe “causare pregiudizio” alla loro riservatezza. Il comma 6-bis prevede poi un divieto posto a tutela della dignità della persona à qui il divieto di pubblicazione riguarda l'immagine di chi si trova sottoposto a restrizione della libertà personale, ripresa mentre si trova sottoposta all’uso di manette ai polsi ovvero ad altro mezzo di coercizione fisica. Il divieto cade se è la stessa persona che consenta la ripresa.. Infine, il comma 6 soddisfa l’esigenza di impedire la pubblicazione di dati che potrebbero cagionare pregiudizio alla personalità del minore, perché ne consentirebbero l’identificazione à il divieto si riferisce alla sola pubblicazione delle generalità o dell'immagine del minore che assuma la qualità di testimone, persona offesa o danneggiato. In tema di sanzioni, la pubblicazione di atti di un procedimento per i quali vige il relativo divieto configura una fattispecie contravvenzionale per la quale è prevista una pena molto blanda (in base all’art. 684 c.p. arresto fino a trenta giorni o ammenda da 51 a 258 euro). Successivamente all'entrata in vigore del c.p.p, è stata introdotta nel codice penale un'altra fattispecie contravvenzionale per chi divulghi, senza il suo consenso, le generalità o l'immagine di persona offesa da atti di violenza sessuale (734-bis). Il codice di rito, invece, ha previsto all’art. 115 una specifica responsabilità disciplinare a carico degli impiegati dello Stato o di altri enti pubblici, ovvero degli esercenti una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato: sono inclusi non solo i giornalisti professionisti e pubblicisti, ma pure i c.d. operatori della giustizia come magistrati, gli appartenenti alla polizia giudiziaria, il personale di segreteria e di cancelleria, i difensori e, spesso, pure i periti ed i consulenti tecnici perché scritti in un albo professionale. Di regola, la sanzione disciplinare è destinata a concorrere con quella penale. Vi sono, tuttavia, ipotesi in cui la prima assume carattere esclusivo. La norma sanzionatoria – l'art. 684 c.p – pone, infatti, una riserva assoluta di legge, dato il necessario bilanciamento con l’altro diritto costituzionalmente tutelato della libertà di manifestazione del pensiero sotto forma di cronaca giudiziaria. 8. Le forme dei provvedimenti e le classificazioni delle sentenze. Il codice contrappone gli atti compiuti nel procedimento, inteso come fase delle indagini preliminari, agli atti posti in essere nel contesto del processo. I primi sarebbero caratterizzati da forme libere, nelle quali, cioè, non è descritto analiticamente il modo di procedere, ma prevale la tensione al raggiungimento dello scopo, fino a contemplare atti privi di forma e quindi innominati. I secondi si atteggerebbero sulla base di forme vincolate (o tassative, ovvero tipiche) in quanto non ammettono 6 equivalenti à per questi ultimi viene minuziosamente prescritta sia la struttura che la modalità di documentazione. Tuttavia, anche per gli atti della fase delle indagini preliminari è necessario osservare determinate prescrizioni, in vista di un loro eventuale utilizzo a fini decisori sia nel dibattimento, a seguito della loro lettura, sia nei giudizi speciali in cui manca la fase dibattimentale à da qui un irrigidimento delle forme che anticipa quelle prescritte per i corrispondenti atti probatori del giudizio. Valga, per tutti, l'esempio delle informazioni che il PM assume dalle persone che possono riferire circostanze utili ai fini delle indagini, assoggettate a forme analoghe a quelle della testimonianza. Possiamo quindi concludere che benché all'interno del codice non manchino atti a forma libera, - come, ad es. le notificazioni - si può affermare che comunque nell'intero sistema predominano gli atti a forma vincolata. Riguardo agli atti a forma vincolata, una disciplina unitaria è prevista solo per gli atti del giudice che si traducono in provvedimenti, perché compiuti da un organo dello Stato nell’esercizio di un potere. A tal proposito, l'art. 125 prevede tre modelli: sentenza, ordinanza, decreto. A. Le sentenze si caratterizzano per l'idoneità a chiudere uno stato o un grado del procedimento, in quanto contengono una decisione sulla regiudicanda; quale massima espressione dell'attività giurisdizionale, esse sono pronunciate in nome del popolo italiano. Numerose sono le classificazioni proposte in tema di sentenze. In merito al contenuto decisorio, fondamentale è la contrapposizione tra sentenze di condanna e sentenze di proscioglimento. Le sentenze di condanna sono considerate dall'art. 533 come uno degli esiti tipici del dibattimento, ma sentenze di condanna sono pronunciabili anche al termine del giudizio abbreviato. Vale come sentenza di condanna il decreto penale, mentre la sentenza che applica la pena su richiesta delle parti è solo equiparata ad una sentenza di condanna. Le sentenze di proscioglimento costituiscono una categoria assai ampia che include, anzitutto, le sentenze di assoluzione pronunciate all'esito del dibattimento con le formule (indicate nel dispositivo) per cui: il fatto non sussiste, l'imputato non l'ha commesso, il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, il reato è stato commesso da persona non imputabile o non punibile per un'altra ragione. Con ciò il giudice si limita a dichiarare l’infondatezza dell’accusa elevata contro l’imputato che è il tema del processo. Le sentenze di assoluzione, allorché diventano irrevocabili, acquistano l'autorità di cosa giudicata, godendo della particolare efficacia loro attribuita. Sentenze di assoluzione sono pronunciabili anche a seguito del giudizio abbreviato, ma dalla loro irrevocabilità non deriva l'efficacia nel giudizio di danno, a meno che la parte civile non abbia accettato il rito abbreviato. Dalle sentenze di assoluzione si distinguono tutte le altre sentenze di proscioglimento, non fornite della particolare efficacia sopra accennata. Cadono sotto l'attenzione le sentenze di non luogo a procedere, pronunciate, al termine dell'udienza preliminare. Esse, ove non siano più soggette ad impugnazione, acquistano forza esecutiva, ma non godono dell'irrevocabilità, potendo, a certe condizioni, essere revocate. Residuano, infine, le sentenze di non doversi procedere emesse nei restanti stati e gradi del procedimento: qui si collocano le sentenze predibattimentali pronunciate con le formule per cui l'azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita, ovvero il reato è estinto; le sentenze dibattimentali fondate sulle stesse formule, nonché quelle pronunciate, sempre 7 con le medesime formule, al termine del giudizio abbreviato. In questa classe devono, infine, essere annoverate anche le sentenze che riconoscono non doversi procedere per l'esistenza di un segreto di Stato ovvero per violazione del divieto di bis in idem. Trattandosi di sentenze meramente processuali esse non implicano un completo approfondimento di merito: sicché, pur divenendo irrevocabili, sono sempre prive di efficacia in sede extrapenale. Vi sono poi altre figure non riconducibili alla contrapposizione sentenze di condanna e sentenze di proscioglimento à le sentenze c.d. dichiarative verificano l'esistenza di determinate fattispecie, caratterizzate per la loro natura processuale, ma sfornite della portata liberatoria propria delle sentenze di non luogo a procedere e di proscioglimento. Tali sono, ad esempio, le sentenze di annullamento e, soprattutto, le sentenze che pronunciano sulla giurisdizione e sulla competenza. Queste due ultime, in particolare, non sono, per definizione, impugnabili. Poi abbiamo le sentenze c.d. costitutive, creative di effetti giuridici à tali sono, ad esempio, le sentenze emesse dal tribunale per i minorenni che concedono il perdono giudiziale, le sentenze di riabilitazione, nonché le sentenze che riconoscono efficacia alle sentenze penali straniere. Altra distinzione è quella tra sentenze di merito e sentenze processuali, posto che essa è ricavata dall'efficacia della decisione in sede extrapenale. Le prime risolvono la questione relativa al dovere di punire e, pertanto, a tale categoria si ascrivono le sentenze di condanna di assoluzione, nonché, su un piano diverso, le sentenze che dichiarano l’estinzione del reato. Le sentenze processuali, al contrario, sciolgono meri nodi processuali, come le sentenze di annullamento, quelle sulla competenza, quelle che dichiarano l’improcedibilità dell’azione. In una posizione particolare si collocano le sentenze di proscioglimento per la particolare tenuta del fatto immesse nel sistema dal d.lgs. 28/2015. Tale istituto non è del tutto nuovo perché ve ne sono di contigui come la sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto prevista dall’art. 27 del d.p.r. 448/1988 con riguardo al procedimento minorile e come l’esclusione della procedibilità nei casi di particolare tenuità del fatto ai sensi dell’art. 34 del d.lgs. 274/2000 per i reati di competenza del giudice di pace. Si è dato vita ad una causa, in senso stretto, di non punibilità, avente natura soggettiva, ed intesa a produrre una sorta di depenalizzazione in concreto. L’art. 131-bis c.p., atteggiandosi a norma penale più favorevole ai fini dell’art. 2 co.4 c.p., può scattare in tutti i procedimenti già in corso anche per i fatti commessi prima dell’entrata in vigore del d.lgs. in parola. Quanto alla ratio della riforma, l’istituto ambisce a realizzare consistenti economie processuali per effetto di un anticipato epilogo del procedimento. Le sentenze che dichiarano la particolare gravità del fatto sono subordinate ex art. 131-bis c.p. all’avveramento di quattro condizioni sostanziali: a) deve accertarsi che l’imputato abbia posto in essere un fatto storico rientrante in una fattispecie incriminatrice à la condotta dell’imputato deve rivelarsi offensiva di un bene giuridico, ancorché di “particolare tenuità”; b) la pena prevista, se detentiva, non deve superare nel massimo i 5 annià il calcolo deve farsi senza tenere conto delle circostanze salvo di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale, precisandosi che l’istituto opera “anche quando la legge prevede la particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante”; c) il legislatore individua sia una serie di parametri in presenza dei quali il fatto possa ritenersi di particolare tenuità à contano le modalità della condotta, l’esiguità del danno o del pericolo; sia i 10 L'attuazione del contraddittorio è scandita dall'obbligo, a pena di nullità, di dare avviso alle parti private (nonché al PM), alle altre persone interessate ed ai difensori – avviso da notificarsi (o da comunicarsi al PM) almeno 10 gg prima della data fissata per l'udienza – e di provvedere a nominare un difensore d'ufficio all'imputato che ne sia privo. L’espressa combinatoria di nullità per la mancata notificazione dell’avviso opera a favore della persona offesa dal reato ed è circoscritta all’inosservanza delle sole disposizioni concernenti la citazione a giudizio della persona offesa. Fino a 5 gg prima dell'udienza possono presentarsi memorie in cancelleria. Il procedimento si svolge nel contesto spaziale e temporale dell’udienza nella quale, a differenza del dibattimento, non è ammessa in aula la presenza del pubblico ex 127,6. Il verbale dell’udienza può essere redatto tanto in forma integrale quanto in forma riassuntiva. Accertata la regolare costituzione delle parti, nei procedimenti davanti ad organi collegiali la relazione orale è svolta da uno dei componenti il collegio, previa designazione del presidente. Il PM, gli altri destinatari dell'avviso ed i difensori sono sentiti, a pena di nullità, se compaiono, donde si ricava che non è prescritta la partecipazione necessaria del PM e del difensore della persona sottoposta alle indagini, dell'imputato o dell'interessato, eccettuati i soli casi richiamati dianzi. L'interessato detenuto o internato in luogo situato fuori della circoscrizione del giudice procedente, se ne fa richiesta, deve, sempre a pena di nullità, essere sentito prima del giorno dell'udienza dal magistrato di sorveglianza del luogo in cui è ristretto. Per il procedimento di riesame di una misura coercitiva, tuttavia, la Corte Costituzionale ha precisato come quest’ultima norma non vieti di disporre “la comparizione dell’imputato se questi ne abbia fatto richiesta oppure se il giudice competente lo ritenga ex officio opportuno”. Per il solo imputato o condannato - che abbia chiesto di essere sentito personalmente e che non sia detenuto o internato in luogo diverso da quello in cui ha sede il giudice - se sussiste un legittimo impedimento, altro non resta che disporre, a pena di nullità il rinvio dell'udienza. Anche nei procedimenti in camera di consiglio la violazione del principio di immutabilità del giudice nel corso della trattazione o nella deliberazione è causa di nullità assoluta, perché investe la capacità del giudice. L’art. 127 si occupa poi della fase successiva alla decisione. Si prevedono la forma del provvedimento finale (ordinanza, in genere), la sua comunicazione al PM e la correlativa notificazione alle parti private, alle persone interessate ed ai difensori, la ricorribilità per Cassazione, nonché l'esclusione dell'effetto sospensivo del ricorso stesso: impregiudicato, peraltro, il potere del giudice di disporre diversamente con decreto motivato. In ordine, invece, ai provvedimenti deliberati in camera di consiglio senza far luogo al procedimento descritto, l'art. 127 co.9 prende in considerazione unicamente quelli conseguenti all'inammissibilità dell'atto introduttivo, le cui cause sono individuate, in linea generale, dall’art. 591. Ex art. 128, tramite il deposito da effettuarsi entro 5 gg dalla deliberazione, i provvedimenti emessi a seguito di procedimento in camera di consiglio o de plano entrano a far parte dell'ordinamento, ad eccezione dei provvedimenti emessi nell'udienza preliminare e quelli emessi nel dibattimento: gli uni e gli altri sono accomunati dalla tendenziale pronuncia dello stesso nel contesto dell’udienza. Nell'ipotesi in cui il provvedimento sia suscettibile di impugnazione, l'avviso di deposito - nel quale è contenuto il solo dispositivo - dev'essere comunicato al PM e a tutti i titolari del diritto di impugnazione. 11 10. L'immediata declaratoria di cause di non punibilità e la correzione degli errori materiali. L'immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità (art. 129 c.p.p.) e la procedura per la correzione di errori materiali (130) integrano entrambe manifestazioni di un potere di iniziativa ufficiosa conferito al giudice. Per quanto riguarda la declaratoria di cause di non punibilità, esigenze di economia processuale e di attuazione del p. del favor rei, impongono di arrestare lo svolgimento del processo e di far cadere la qualità di imputato non appena maturi la possibilità di pronunciare una sentenza di proscioglimento. Estesa è la gamma delle formule terminative considerate dall'art. 129 e disposte secondo un ordine di priorità improntato alla tutela dell'innocenza dell'imputato: autonomia è conferita alle formule per cui «il fatto non costituisce reato» ovvero «non è previsto dalla legge come reato». Nondimeno, il riferimento alla mancanza di una condizione di procedibilità va interpretato in senso estensivo, così da comprendervi anche la mancanza di una causa di proseguibilità. La stessa conclusione vale, poi, per le ipotesi di violazione del divieto del bis in idem. Poiché nella fase delle indagini preliminari non esiste un giudice che proceda, si è dovuto prevedere che la immediata declaratoria operi solo nel contesto del processo: nella fase (preprocessuale) delle indagini preliminari, un compito equivalente è svolto dall'istituto dell'archiviazione: l'art. 408 disciplina l'archiviazione della notizia infondata, mentre l'art. 411 contempla la mancanza di una condizione di procedibilità, l'estinzione del reato o l'essere il fatto non previsto dalla legge come reato. Si aggiunga che la norma non viene in gioco neppure nel corso dei procedimenti incidentali, in quanto vi manca un giudice investito della cognizione del fatto per il quale la causa di non punibilità dovrebbe operare. L’articolo 129 co.1 subisce limiti applicativi dipendenti dalla struttura del processo. In particolare, per quanto riguarda le sentenze di non luogo a procedere emesse all’esito dell’udienza preliminare va, anzitutto, osservato che le relative formule non coincidono con quelle qui in discorso. Residuano, infatti, nell’art. 425 le sentenze che dichiarano trattarsi di persona non punibile per qualsiasi causa. Inoltre l’art. 425 co.3 abilita poi il giudice ad emettere sentenza di non luogo a procedere "anche quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l'accusa in giudizio". Dopodiché, il potere del giudice di pronunciare, ex ufficio, la declaratoria di non punibilità per le formule indicate dall’art. 129 co.1 (e per le altre considerate dall’art. 425) trova i suoi limiti nella funzione adempiuta dall’udienza preliminare. Stando infatti alla Corte costituzionale (sen. 71/1996) nell’ipotesi in cui in tale sede la prova risulti insufficiente o contraddittoria, la sentenza di non luogo a procedere verrà pronunciata “nelle sole ipotesi in cui è fondato prevedere che l’eventuale istruzione dibattimentale non possa fornire utili apporti per superare il quadro di insufficienza o contraddittorietà probatorio”, diversamente, dovrà emettersi il provvedimento di rinvio a giudizio. Nei confronti dei procedimenti speciali, l’incidenza dell’articolo 129, impedisce l’accoglimento della richiesta, rispettivamente, di applicazione della pena, di emissione del decreto penale e, da ultimo, di richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova. Il silenzio serbato per il giudizio abbreviato e per il giudizio direttissimo non pone tuttavia ostacoli applicativi, ma lo stesso non può dirsi per la richiesta di giudizio immediato à infatti, in tal caso, al giudice è demandata solo una delibazione sulla scelta del rito e ciò sembrerebbe escludere l’operatività dell’art. 129. 12 Negli atti preliminari al dibattimento, in ragione degli scopi prettamente organizzativi adempiuti da tale fase e dalla scarsa consistenza del fascicolo trasmesso al collegio, il proscioglimento anticipato è oggetto di un’apposita regolamentazione nell’articolo 469. Era ammessa, pertanto la declaratoria con le sole formule relative all'improcedibilità dell'azione ed all'estinzione del reato, sempre che per accertarne l'esistenza non fosse necessario procedere a dibattimento: diversamente, il giudizio prosegue. Oggi, come già accennato, è operante in questa fase anche la sentenza di non doversi procedere per la particolare tenuità del fatto. Nei gradi di impugnazione, l'applicabilità ex officio dell'art. 129 co.1 configura una deroga all'effetto parzialmente devolutivo dell'appello ed al carattere del giudizio di Cassazione quale controllo di legittimità vincolato ai motivi. In quest'ultima sede, la declaratoria che il fatto non è previsto dalla legge come reato, che il reato è estinto o che l'azione penale non doveva essere iniziata o proseguita si risolve in un annullamento senza rinvio. Pure le formule per cui il fatto non sussiste e l'imputato non lo ha commesso sono adottabili dalla Corte di cassazioneà tutte le volte in cui dalla motivazione della sentenza impugnata risultassero gli estremi di una assoluzione. L'«obbligo del proscioglimento nel merito, quando ne ricorrano gli estremi, anche in presenza di una causa estintiva del reato» è disciplinato nell'art.129 co.2 con esclusivo riferimento alle sentenze di assoluzione o di non luogo a procedere. La norma contiene una regola di giudizio, nel senso della prevalenza (c.d. «priorità») della formula di merito su quella estintiva, ed una regola istruttoria, per cui tale prevalenza deve risultare evidente dagli atti. Per le sentenze di assoluzione, la prevalenza del merito vale anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussista o che l'imputato l'abbia commesso, che il fatto costituisca reato o che il reato sia stato commesso da persona non imputabile. Per le sentenze di non luogo a procedere, dovrebbe ormai valere la stessa conclusione. L’applicabilità del 2° comma dell’art. 129, al pari di quella del 1° comma, si atteggia diversamente in relazione alla struttura del rito, ma non subisce compressioni in ragione della causa estintiva. In particolare, la morte dell’imputato non impedisce l’emissione di una sentenza assolutoria o di non luogo a procedere nel merito. Nella fase degli atti preliminari al dibattimento non si pongono questioni perché il proscioglimento anticipato nel merito non vi trova spazio, non potendosi in quella sede pronunciare sentenze di assoluzione: la clausola di salvezza dell’art. 129 co.2 contenuta nell’art. 469, impone, in tal caso, il passaggio a giudizio, vale a dire, anche se dagli atti già risulti evidente la prova dell’innocenza dell’imputato. Nel dibattimento, si delinea un contrasto tra la regola di giudizio improntata al riconoscimento dell'innocenza dell'imputato e la regola istruttoria in tema di evidenza ex actis tutte le volte in cui l'imputato voglia esercitare il suo diritto alla prova. Poiché il giudice, di fronte alla causa estintiva, altro non potrebbe fare che dichiararla, l'imputato si vedrebbe sottratta la possibilità di ottenere, tramite l'acquisizione probatoria dibattimentale, la pronuncia di una formula assolutoria. Per chi ritenga l'art. 129 co.2 applicabile in tale sede, residua, tuttavia, la considerazione che l'imputato ha diritto a rinunciare all'amnistia sopravvenuta, nonché alla prescrizione nel frattempo maturate, rendendo così inoperante l’obbligo dell’immediata declaratoria delle corrispondenti causa estintive. Per quanto concerne il giudizio di cassazione è da ritenere che possa pronunciarsi la formula di merito allorquando il giudice di primo o di secondo grado abbia applicato una causa estintiva. 15 notificata per intero (non per estratto) e che la medesima è ricorribile per Cassazione pure quando sia stata rigettata o dichiarata inammissibile la richiesta di correzione. L'ordinanza che dispone la correzione è annotata poi sull'originale dell'atto. Numerose sono le ipotesi alle quali è resa esplicitamente applicabile la procedura in discorso à così in tema di erronea attribuzione delle generalità all’imputato; di omessa condanna alle spese; di correzione della sentenza se occorre completare la motivazione ovvero se mancano o sono incompleti altri requisiti previsti dall’art. 546, escluse la mancanza di motivazione, la mancanza o l’incompletezza del dispositivo, la mancata sottoscrizione del giudice, trattandosi di cause di nullità; di condanna di una persona in luogo di un’altra per errore di nome, allorché essa sia stata citata per il giudizio come imputato anche sotto altro nome. In forza di un’esclusione espressa, tale procedura non è, invece, applicabile allorché la Corte di cassazione abbia omesso di dichiarare nel dispositivo di annullamento parziale quali parti della sentenza diventino irrevocabili à in tal caso, all’omissione pone rimedio una procedura de plano, tramite ordinanza pronunciata ex officio, ovvero a seguito di domanda presentata senza formalità, del giudice competente per il rinvio, del PM presso quel giudice o della parte privata interessata. Le SS.UU. hanno ritenuto che il procedimento di correzione degli errori materiali operi pure nel giudizio di cassazione, benché spesso si dia dell’istituto una lettura piuttosto lata alla luce dell’inoppugnabilità delle decisioni ivi prese, salva restando l’operatività dell’articolo 625bis (Ricorso straordinario per errore materiale o di fatto)à così si è ritenuta riparabile l’omessa sottoscrizione della sentenza da parte del giudice estensore, purché involontaria e magari accompagnata dalla sottoscrizione del presidente del collegio, o l’omessa trascrizione del dispositivo in calce all’originale della sentenza deliberata in camera di consiglio. Rispetto alla correzione ex art. 130 assume una più spiccata autonomia la rettificazione della sentenza impugnata, a cui provvede la Corte di cassazione in forza dell'art 619. [La riforma Orlando - l. 103/2017 – inserito all’art. 130 il nuovo comma 1-bis, specificamente dedicato alla sentenza di patteggiamento: vi si prevede che, quando in tale sentenza si devono rettificare solo la specie e la quantità della pena per errore di denominazione o di computo, la correzione è disposta, anche ex officio, dal giudice che ha emesso il provvedimento e, se questo è impugnato, alla rettificazione provvede la Corte di cassazione a norma dell’art. 619 co.2. Si è di fronte, in altre parole, all’introduzione di un più agile meccanismo di correzione degli errori materiali, per porre rimedio a vizi non essenziali della sentenza di patteggiamento, che dovrebbe venire ricondotta, appunto mediante la correzione, a quanto stabilito nell’accordo tra le parti. La circostanza che possa provvedere il giudice il quale ha emesso il provvedimento può inoltre contribuire utilmente ad alleggerire il carico di lavoro della Corte di cassazione. Alla medesima finalità di sgravare la corte di cassazione risponde, come si dirà, l’espressa delimitazione dei casi in cui il PM e l’imputato possono proporre ricorso avverso la sentenza di patteggiamento (448 co.2-bis, inserito dalla l. 103 del 2017)]. 11. I poteri coercitivi. Art. 131 c.p.p. à “Il giudice, nell'esercizio delle sue funzioni, può chiedere l'intervento della polizia giudiziaria e, se necessario, della forza pubblica, prescrivendo tutto ciò che occorre per il sicuro 16 e ordinato compimento degli atti ai quali procede” à si tratta dei cd. poteri coercitivi del giudice, che assumono natura tipicamente amministrativa (c.d. polizia processuale). In una posizione particolare tra i poteri coercitivi del giudice, si colloca l'accompagnamento coattivo, disciplinato dagli artt. 132 e 133: si tratta di una restrizione della libertà personale resa necessaria dall'indispensabile acquisizione di un contributo probatorio; la relativa disciplina non poteva trovar posto tra le misure coercitive personali, perché oggetto di una rigida predeterminazione finalistica. Pertanto, l’accompagnamento coattivo è stato collocato tra i provvedimenti del giudice e tra le attività espletabili dal pubblico ministero. L’accompagnamento coattivo può essere adottato anche per reati di minima entità per i quali non è consentita l'emissione di una misura coercitiva personale. L’articolo 132 prevede che l’accompagnamento coattivo dell’imputato sia disposto, nei casi previsti dalla legge, con decreto motivato, con il quale il giudice ordina di condurre l’imputato alla sua presenza, se occorre anche con la forza (ex art. 376, l'accompagnamento può essere disposto anche dal PM, sebbene a seguito di un'autorizzazione del giudice, per procedere ad atti di interrogatorio o confronto). In sintesi, possiamo dire che l'accompagnamento coattivo dovrebbe essere preceduto, a seconda dei casi, da un avviso notificato o da un decreto di citazione rimasti senza effetto; può essere disposto in sede di incidente probatorio o nel dibattimento, con esclusione, pertanto, in forza della riserva assoluta di legge vigente in tema di restrizioni della libertà personale, dell’udienza preliminare, dove, per regola derogata dal solo art. 422 non si assumono prove; suoi destinatari sono la persona sottoposta alle indagini, l'imputato (tanto assente quanto contumace) e gli imputati in un procedimento connesso; suo scopo è l'assunzione di prove diverse dall'esame, eccezion fatta per l'esame di persona imputata in un procedimento connesso. Il decreto motivato di accompagnamento è atto dall'efficacia temporale predeterminata, al fine di evitare che diventi una sorta di criptocustodia cautelare à non solo non è consentito protrarre la messa a disposizione davanti al giudice oltre il compimento dell’atto previsto e di quelli conseguenziali, ma se ne è stabilita la durata massima pari a 24 ore. La formula dell'art. 133, concernente l'accompagnamento coattivo dei testimoni, periti, persone sottoposte all’esame del perito diverse dall’imputato, consulenti tecnici, interpreti e dei custodi di cose sequestrate, contiene una specifica indicazione dei presupposti: i soggetti indicati sono, infatti, passibili di accompagnamento solo se, regolarmente citati o convocati, omettano di comparire nel luogo e nel tempo stabiliti senza addurre un legittimo impedimento: la medesima condizione vale pure per l'accompagnamento coattivo disposto dal pubblico ministero. Data la qualità rivestita, le persone in discorso possono essere condannate ad una sanzione pecuniaria, nonché alle spese causate dalla mancata comparizione, ma la condanna è revocata con ordinanza ove il giudice ritenga fondate le giustificazioni addotte in seguito dall'interessato. Le forme e le garanzie procedimentali sono uguali a quelle stabilite per l’accompagnamento coattivo dell’imputato (rinvio all’art. 132). 12. I princìpi in materia di documentazione degli atti. La documentazione può definirsi come l’attività attraverso cui un atto viene inserito e conservato nella sequenza procedimentale, affinché giudice e parti possano controllarne la regolarità ed averne memoria ai fini delle decisioni che si dovranno adottare in primo grado e nei giudizi di impugnazione. 17 Anche se con l’espressione “documentazione” si può fare riferimento a tutti gli atti processuali, essa è usata per antonomasia per quelli la cui esternazione si realizza mediante dichiarazioni verbali e per quelli consistenti in operazioni. Solo in tali casi, infatti, assume autonoma rilevanza l'attività intesa a documentarne l'avvenuta confezione dell’atto rispetto all’attività propria di confezionamento dell’atto. La distinzione si avverte già sul piano soggettivo, considerando come l'autore dell'atto documentato non coincida – di regola – con l'autore della documentazione. Ancor meglio sul piano oggettivo: l'attività di documentazione produce come risultato un documento (atto riferito al medesimo procedimento) avente natura rappresentativa di un'entità distinta dalla propria materialità, consistente in un supporto cartaceo, magnetico, etc.. L'attuale codice ha cercato di innalzare il livello qualitativo della documentazione, ricorrendo a strumenti di pronto impiego e di resa fedele, oggi resi disponibili dall'evoluzione tecnologica. Si è così costruito un sistema di documentazione articolato in relazione alla funzione processuale dell'atto nonché allo sviluppo del procedimento. Il codice si è preoccupato principalmente di disciplinare la sola documentazione degli atti del giudice, ad eccezione per le richieste e le dichiarazioni orali delle parti, nonché per l’interrogatorio di persona in stato di detenzione (che è atto anche del PM oltreché del giudice). Per gli atti del PM si rinvia alle modalità di quelli del giudice; per gli atti della PG il rinvio è mediato, facendosi riferimento alla disciplina predisposta per quelli del PM. L'impianto della documentazione è stato modulato in rapporto alle caratteristiche di ciascuna fase del procedimento: sono state così introdotte disposizioni specifiche per l'incidente probatorio, per l'udienza preliminare, per l'udienza dibattimentale ordinaria e per quella davanti al tribunale in composizione monocratica. 13. Le modalità della documentazione. L'art. 134 è dedicato alle singole modalità di documentazione. Il 1° comma enuncia il principio generale per cui alla documentazione degli atti del giudice si procede «mediante verbale» à la formula esclude, anzitutto, che per tali atti valga quella modalità documentativa che si sostanzia nella semplice annotazione: essa è praticabile solo per gli atti del PM o della PG, ancorché in maniera circoscritta, essendosi, col passare del tempo, incrementati gli atti oggetto di verbalizzazione. II codice non fornisce una definizione di «verbale», ma ciò non rileva particolarmente dal momento che al verbale non è più riconosciuta, all'interno del processo penale, quella fede privilegiata che gli era conferita in passato e che poteva essere superata solo tramite l'apposito incidente di falso. Adesso al giudice penale toccherebbe valutare liberamente la corrispondenza al vero di quanto il pubblico ufficiale attesta di essere avvenuto o essere stato dichiarato in sua presenza, così come per ogni altro documento pubblico. Al riguardo, può solo discutersi se il giudice, una volta ritenuto falso il verbale, debba attendere la definizione del procedimento per informare il PM trasmettendogli copia del documento, in analogia con ciò che l’art. 241 prescrive per i documenti, oppure possa procedervi non appena ravvisati gli indizi della falsità. Al di fuori del processo penale, il verbale quale atto pubblico, continua a godere della presunzione di veridicità attribuita ai documenti dalla fede privilegiata. Le forme ed i mezzi della documentazione sono delineati dall’articolo 134 co.2, dal quale si ricava innanzitutto che il verbale può essere redatto sia in forma integrale che riassuntiva. Al riguardo, a parte alcune fattispecie particolari, per le quali si esige la riproduzione integrale dell’atto, la scelta tra le due forme è rimessa di regola al giudice. Inoltre, la scelta del giudice è indirizzata dallo 20 Le registrazioni fonografiche o audiovisive e le relative trascrizioni – se effettuate – sono poi accluse al fascicolo del procedimento. Per quanto riguarda i rapporti tra riproduzione e verbale, questi sono affrontati con riguardo esclusivo alla fonoregistrazione, stante l’efficacia meramente aggiuntiva della riproduzione audiovisiva. Dall’art. 139 co.2 si ricava che, tutte le volte in cui è effettuata la riproduzione fonografica, nel verbale è indicato il momento di inizio e di cessazione delle operazioni di riproduzione. Se, poi, una parte della riproduzione, per qualsiasi causa, non abbia avuto esito o non sia chiaramente intelligibile, fa prova il verbale redatto in forma riassuntiva à in tal modo si conferisce alla fonoregistrazione non solo un’autonoma rilevanza, ma anche una funzione probatoria in senso proprio. L’art. 140. recante “modalità di documentazione in casi particolari” prevede che “il giudice dispone che si effettui soltanto la redazione contestuale del verbale in forma riassuntiva quando gli atti da verbalizzare hanno contenuto semplice o limitata rilevanza ovvero quando si verifica una contingente indisponibilità di strumenti di riproduzione o di ausiliari tecnici”. Il 2° comma stabilisce, poi, che, se è redatto solo il verbale in forma riassuntiva, al giudice spetta uno specifico obbligo di vigilare affinché sia riprodotta nell'originaria genuina espressione la parte essenziale delle dichiarazioni e siano descritte le circostanze nelle quali esse sono rese, sempre che ciò serva a valutarne la credibilità. Le cause di nullità (relativa) del verbale, salve le particolari disposizioni di legge, riguardano ex art. 142 l'incertezza assoluta sulle persone intervenute e la mancata sottoscrizione da parte del pubblico ufficiale che lo ha redatto; sono irrilevanti, pertanto, l’omessa sottoscrizione del verbale da parte del giudice, la mancata sottoscrizione in calce ad ogni singolo foglio, ed anche la mancata trascrizione delle registrazioni. Essendo il verbale un atto del procedimento, pure l'inosservanza delle prescrizioni relative alla lingua degli atti produce nullità. Di recente le SS.UU. hanno precisato che per integrare l’incertezza assoluta in ordine alle persone intervenute è necessario che l’identità del soggetto partecipante non solo non sia documentata nella parte del verbale specificatamente destinata a tale attestazione, ma neppure sia desumibile da altri dati contenuti nello stesso, né da altri atti processuali ivi richiamati o ad esso comunque riconducibili. La clausola di salvezza posta all’art. 142 - relativa a particolari disposizioni derogatorie - va riferita alla disciplina delle ricognizioni, da cui si apprende che la mancata menzione nel verbale di determinati adempimenti e dichiarazioni, nonché delle relative modalità di svolgimento, determina la nullità del mezzo di prova. In tal caso,la documentazione dell’atto funge da condizione di validità del suo contenuto. 15. La documentazione dell'interrogatorio del detenuto. Il legislatore ha introdotto una disciplina speciale con l'art. 141-bis il quale prevede che “ogni interrogatorio di persona che si trovi, a qualsiasi titolo, in stato di detenzione, e che non si svolga in udienza, deve essere documentato integralmente, a pena di inutilizzabilità, con mezzi di riproduzione fonografica o audiovisiva”. Tre sono le condizioni perché scatti la disciplina speciale. 1. Il riferimento all'interrogatorio include varie ipotesi: sia l'interrogatorio della persona sottoposta alle indagini o, meno di frequente, dell'imputato, sia quello dell'imputato o della persona sottoposta alle indagini in un procedimento per reato connesso o collegato a quello per cui si procede. 21 2. L'interrogato deve essere «a qualsiasi titolo, in stato di detenzione» à la formula opera anche nei confronti di chi sia sottoposto a custodia cautelare per un altro procedimento o stia espiando una pena detentiva per un altro reato. Secondo le SS.UU la norma non vale per la persona soggetta agli arresti domiciliari o per il minorenne obbligato alla permanenza in casa, o per l'affidato in prova al servizio sociale, o per il semilibero o per il condannato in licenza o permesso premio. 3. La norma non vale per gli interrogatori assunti nel contesto spaziale e temporale dell'udienza: sono esclusi, pertanto, quelli svoltisi in sede di convalida dell'arresto in flagranza o del fermo o nell'udienza preliminare. Sussistendo gli indicati presupposti, nasce il vincolo a disporre la riproduzione fonografica o audiovisiva integrale (per intero e senza interruzioni). Essendo la scelta tra le due tecniche rimessa all’organo procedente, risulta superato il canone circa la mera funzione aggiuntiva della riproduzione audiovisiva. Nell’intento poi di rendere effettuabile la riproduzione anche quando siano indisponibili gli appositi strumenti o il personale tecnico, al giudice o al PM è dato provvedere tramite, rispettivamente, le forme della perizia (nominando un perito) ovvero della consulenza tecnica (nominando un consulente tecnico): pertanto, l’organo procedente è direttamente abilitato a liquidare i compensi relativi. Si aggiunga che dell’interrogatorio è anche redatto verbale in forma riassuntiva e che la trascrizione non è obbligatoria, ma avviene solo su richiesta di (ciascuna) parte à si deve ipotizzare che la trascrizione rientri nei poteri ufficiosi del giudice. Per il suo indubbio carattere oggettivo ed assoluto, l'inutilizzabilità prevista dall'art. 141-bis copre ogni impiego dell'interrogatorio: non solo in sede dibattimentale, ma, pure, nei riti alternativi al processo ordinario, ovvero ai fini dell’adozione di una misura cautelare, sia nei confronti della persona che rende le dichiarazioni, sia nei confronti di terzi, attinti da eventuali dichiarazioni accusatorie, così come hanno, di recente, ribadito le SS.UU. Secondo alcuni interpreti, tuttavia, l’inutilizzabilità in discorso non sarebbe riferibile ad usi di natura diversa, come gli interrogatori a fini contestativi o quello diretto a verificare la sussistenza delle esigenze cautelari, sicché non ne scaturirebbe la caducazione della custodia cautelare per omesso interrogatorio. Tuttavia la risposta al quesito che ne deriva non dipende dall’oggetto su cui cade il divieto, ma nel modo di operare della sanzione collegata. Essa scatta ogni qualvolta in motivazione si faccia significativo impiego probatorio dell'atto viziato e non, invece, quando il medesimo funga da mero antecedente storico di un altro atto del procedimento. Ben lo dimostra, tra tutte, la fattispecie di cui all'art. 63: la regola di inutilizzabilità ivi stabilita implica, addirittura, che le dichiarazioni precedentemente rese siano impiegate come materiale indiziante così da fornire la notizia di reato. Quale che fosse l'intentio legis, il meccanismo di cui al combinato disposto degli artt. 294 e 302, prescindendo da ogni obbligo motivazionale, non impedisce all'interrogatorio documentato in difformità dall'art. 141-bis di valere alla stregua di fatto giuridicamente rilevante, talché non si determina l'effetto estintivo della custodia cautelare. Se il legislatore avesse voluto davvero ricollegare la mancata redazione rafforzata del verbale dell’interrogatorio ex art. 294 la caducazione della custodia cautelare, avrebbe dovuto ricorrere allo schema della nullità, magari introducendone una speciale a regime assoluto. Come la giurisprudenza prevalente ormai riconosce, infatti, solo l’eventuale previsione di nullità dell’interrogatorio assunto ex art. 294, perché svoltosi in violazione dell’art. 141-bis, determinando un effetto equivalente alla omissione dell’atto, sarebbe stata idonea a provocare la caducazione 22 della custodia cautelare. Invero, la declaratoria di tale ultima specie di invalidità opera, per sua natura, con effetto ex tunc, di talché l’interrogatorio dovrebbero ritenersi come mai avvenuto. 28. L'invalidità degli atti. A differenza del processo civile dove vige, entro certi limiti, il principio della libertà delle forme (121 c.p.c.), nel processo penale gli atti sono, in stragrande maggioranza, a forma vincolata. Ciò comporta che la perfezione dell’atto (ossia conformità allo schema tipico) e sua efficacia (ossia attitudine a produrre effetti giuridici) si implicano reciprocamente. In linea di principio, la mancanza anche di un solo elemento della fattispecie non dovrebbe consentire la produzione dei relativi effetti. Tuttavia, l'ordinamento non decreta l'invalidità e quindi l'inefficacia di ogni difformità, dato che per alcune di esse si delinea una mera irregolarità. Ma l’atto, anche nelle ipotesi in cui lo stesso si configuri come invalido quasi mai può dirsi del tutto inefficace, giocando al riguardo forti ragioni di economia e di speditezza processuale che inducono il legislatore ad avvalersi del c.d. principio di conservazione degli atti imperfetti. Infatti l’atto rimane comunque idoneo a produrre effetti di carattere precario, in attesa di trovare uno dei seguenti sbocchi: o la sanatoria del vizio o la declaratoria di invalidità dell’atto. La prima dà vita ad un’altra fattispecie, equivalente, dal punto di vista degli effetti, a quella viziata, ma integrata da uno o più fatti ulteriori, ai quali si attribuisce il nome di cause di sanatoria, perché, verificandosi, consolidano ex tunc gli effetti dell’atto. Invece, la frattura nell’equivalenza tra imperfezione ed inefficacia viene, per così dire, ricomposta tutte le volte in cui l’invalidità è dichiarata dal giudice à in tal caso l’attività del giudice, avente natura costitutiva, provoca, sempre di regola ex tunc, l’eliminazione degli effetti dell’atto. Detto tutto ciò e premesso che l'inesistenza, la nullità, l'inammissibilità e l'inutilizzabilità, ma non la decadenza, sono ritenute tutte specie di invalidità, il Titolo VII del Libro II si è limitato a disciplinare esclusivamente la nullità, salvo un unico riferimento, peraltro in negativo, all'inammissibilità. La ragione della mancata inclusione di quest’ultima figura può addebitarsi al fatto che essa riguardi gli atti (o meglio le domande) di parte o di chi si fa parte, come il giudice che sollevi un conflitto di competenza. La disciplina di tale specie di invalidità non vede enunciato nei suoi confronti il principio di tassatività, il quale però si ritiene estensibile all’inammissibilità, giacché nei casi in cui essa è menzionata senza indicarne le cause, questa va rintracciata con riferimento a tutte le condizioni della domanda richieste dalla legge. I requisiti la cui assenza produce l'inammissibilità sono alquanto disparati: oltre alla scadenza del termine perentorio previsto per il compimento dell’atto, spesso il vizio riguarda la titolarità o la forma della domanda o l'omissione di taluni contenuti della stessa, ovvero la sussistenza di un certo rapporto con un altro atto. Quanto al trattamento, l'inammissibilità, oggetto di autonomo motivo di ricorso per cassazione, è dichiarabile d'ufficio, in ogni stato e grado del procedimento, senza altra causa di sanatoria se non quella del giudicato, a meno che non siano espressamente previsti limiti temporali alla sua rilevazione à ad es. in ordine alla costituzione di parte civile, le relative cause d’inammissibilità non possono essere rilevate dopo la dichiarazione di apertura del dibattimento. Nemmeno l'inutilizzabilità è inclusa nella disciplina del libro II, nonostante si tratti di una sanzione processuale autonoma, sia pure nel quadro definito dall’art. 191, come dimostra la sua elevazione a motivo di ricorso per cassazione (606,1 lett. c), a fianco della nullità e dell'inammissibilità. 25 così la differente terminologia adottata nel linguaggio civilistico e dal linguaggio processualpenalistico à il primo definisce nulli gli atti inidonei a produrre effetti e annullabili quelli che producono effetti suscettibili di cadere tramite l’instaurazione di apposite azioni; il secondo li chiama, rispettivamente, inesistenti e nulli. Su un piano diverso dall’inesistenza si colloca l'abnormità dei provvedimenti del giudice. Qui l'atto è idoneo ad integrare lo schema normativo minimo, ma il suo contenuto è del tutto estemporaneo, vuoi sul piano strutturale vuoi sul piano funzionale à si pensi alla trasmissione degli atti al PM motivata dall’esigenza di rinnovare il decreto di citazione a giudizio, il che spetta, invece, allo stesso giudice del tribunale in composizione monocratica. Ma analoga è l’esigenza pratica sottostante alle rispettive elaborazioni: l’inesistenza pone rimedio alla tassatività delle cause di nullità, l’abnormità alla tassatività oggettiva delle impugnazioni, rendendo ammissibile un autonomo ricorso per cassazione o la rilevazione ufficiosa da parte del giudice dell’impugnazione ritualmente investito. Tuttavia, l’abnormità è assoggettata agli ordinari termini ad impugnandum, talché, a differenza, ancora, dell’inesistenza, perde rilevanza a seguito della formazione del giudicato. Non contrasta con il principio di tassatività il fatto che talune nullità, in luogo di essere di volta in volta stabilite, siano ricavabili da una disposizione generale che rinvia ad una serie di fattispecie altrove disciplinate. Tale tecnica, infatti, oltre alle ragioni di economia processuale risponde al proposito di colmare eventuali dimenticanze, che, data la struttura del sistema delle nullità, comporterebbero l’inquadramento dell’imperfezione nell’ambito della mera irregolarità. A tale ambito va collegato l'art. 178, dedicato nella rubrica alle nullità di ordine generale secondo cui è sempre prescritta a pena di nullità l'osservanza delle disposizioni concernenti: a) le condizioni di capacità del giudice e il numero dei giudici necessario per costituire i collegi stabilito dalle leggi di ordinamento giudiziario; b) l'iniziativa del pubblico ministero nell'esercizio dell'azione penale e la sua partecipazione al procedimento; c) l'intervento, l'assistenza (difensori) e la rappresentanza (rappresentanti) dell'imputato — espressione comprensiva della persona sottoposta alle indagini — e delle altre parti private nonché la citazione in giudizio della persona offesa dal reato e del querelante. Alle nullità di ordine generale si contrappongono quelle speciali, perché stabilite da un’apposita previsione legislativa. Trattandosi di una categoria costruita in via residuale, il legislatore non può, per definizione, occuparsene in sede di previsione generale, ma solo in sede di trattamento. Tuttavia, ad evitare che le reciproche interferenze tra tecniche di previsione e regole di trattamento ingenerino difficoltà negli interpreti, si è avvertita l’esigenza di precisare che non sempre la previsione in maniera specifica comporta, di per sé, il regime consueto delle nullità speciali, come lascia chiaramente intendere il dettato dall’art. 179,2. In sintesi, quando si parla, nel linguaggio corrente, di nullità “generali” e di nullità “speciali”, si allude essenzialmente alla differente tecnica di previsione adottata dal legislatore. Quando, invece, si parla di nullità “assolute”, ovvero di nullità “intermedie”, ed ancora di nullità “relative”, si allude a regime di trattamento previsto dalla legge per le diverse specie di nullità. 30. Le nullità assolute. 26 Le nullità assolute, di cui all’art. 179, si caratterizzano per essere insanabili. Dall’ambito di tale insanabilità deve però escludersi la forza preclusiva del giudicato e quindi dell’irrevocabilità della sentenza, nonché dell’immutabilità dell’ordinanza o del decreto che chiude il procedimento. Ciò che distingue le nullità assolute da tutte le altre è il normale regime di insanabilità fino all'irrevocabilità del giudicato. Le nullità assolute sono rilevabili ex officio da parte del giudice in ogni stato e grado del procedimento (tuttavia tale attributo è comune anche alle nullità intermedie nonché ad una sottoclasse di nullità relative). Con riguardo al contenuto e per quanto riguarda la figura del giudice, l'area delle nullità assolute si sovrappone per intero all'area delle nullità di ordine generale dato il rinvio all’art. 178 co.1 lett. A. E’, pertanto, causa di nullità assoluta l'inosservanza delle disposizioni concernenti le condizioni di capacità del giudice ed il numero dei giudici necessario a costituire i collegi giudicanti. Al contrario, non sono riconducibili a tale ambito i vizi concernenti la nomina del giudice, ove non rientranti nell'ambito della capacità. Il legislatore nega l’attinenza al numero dei giudici necessario per costituire i collegi delle “disposizioni sulla destinazione del giudice agli uffici giudiziari e alle sezioni, sulla formazione dei collegi e sull’assegnazione dei processi a sezioni, collegi e giudici”, nonché “le disposizioni sull’attribuzione degli affari penali al tribunale collegiale o monocratico”. Per quanto riguarda la figura del PM, tra le nullità di ordine generale sono assolute solo quelle relative all'iniziativa del medesimo nell'esercizio dell'azione penale. à Sono così riconducibili al regime delle nullità assolute: le violazioni delle disposizioni concernenti l'atto di promuovimento dell'azione penale, facendo riferimento sia alla sua mancanza che alla sua invalidità; si configura una nullità assoluta quando il giudice decide sul fatto nuovo emerso nell’udienza preliminare o nel corso dell’istruzione dibattimentale senza che lo stesso sia stato formalmente contestato dal PM, oppure quando il fatto storico descritto nell’imputazione viene sostituito con un altro fatto. Stando l’incompatibilità costruita dal sistema fra esercizio dell’azione penale e richiesta di archiviazione, l’inosservanza delle disposizioni dettate al riguardo resta al di fuori della portata della norma in questione. Nell'ambito delle nullità assolute si collocano le violazioni delle disposizioni sulla capacità e sulla legittimazione del rappresentante del pubblico ministero, purché si riflettano sulla sua iniziativa nell'esercizio dell'azione penale. Al primo proposito, possono richiamarsi le norme sulla delega nominativa a svolgere le funzioni di PM nell'udienza dibattimentale davanti al tribunale in composizione monocratica a favore di un uditore giudiziario, di un vice procuratore onorario addetto all’ufficio o di laureati in giurisprudenza che frequentino il secondo anno della scuola biennale di specializzazione, sempre che uno di costoro abbia compiuto un atto di esercizio dell’azione penale. Al secondo proposito, ci si può riferire al promuovimento dell'azione davanti ad un giudice diverso da quello presso cui l'ufficio del pubblico ministero è istituito. Per quanto riguarda l’imputato e il suo difensore (gli unici soggetti privati a favore dei quali operi il regime delle nullità assolute) la disciplina codicistica mira a presidiare le numerose sedi del contraddittorio indefettibile. L’intervento dell’imputato è garantito nei confronti delle nullità che derivano dall’omessa (o dall’invalida) citazione al dibattimento di primo grado, ancorché tenuto a seguito di giudizio direttissimo instaurato nei confronti di imputato libero o di giudizio immediato, e al dibattimento di secondo grado. Le SS. UU. hanno ravvisato una nullità assoluta nell’omesso “avviso” per l’udienza preliminare. Quanto al difensore dell’imputato, è presidiata da nullità assoluta non solo 27 l’assenza dal dibattimento di primo e di secondo grado, ma pure ogni altra ipotesi rispetto alla quale ne sia dichiarata obbligatoria la presenza à in tale ambito si collocano, pertanto, l’assenza del difensore dall’interrogatorio di persona sottoposta a misura cautelare personale; dalle sommarie informazioni che la PG assume dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini; dall’interrogatorio e dal confronto, delegati dal PM alla PG, cui partecipi la persona sottoposta alle indagini che si trovi in stato di libertà; dall’udienza di convalida dell’arresto in flagranza o del fermo di indiziati; dell’udienza destinata allo svolgimento dell’incidente probatorio; dall’udienza preliminare, nonché, tramite il rinvio operato dall’articolo 441,1, da quella in cui è celebrato il giudizio abbreviato; dall’udienza tenuta ai fini del proscioglimento prima del dibattimento; dall’udienza nel procedimento di esecuzione (666,4) e nel procedimento di sorveglianza; dall’udienza dinanzi alla corte d’appello nel procedimento di estradizione passiva; ecc.. Rispetto a tali ipotesi, pure l’incapacità o la incompatibilità del difensore dell’imputato genera una nullità assoluta. L’articolo 179 co.2, riconosce esplicitamente l’esistenza di nullità a previsione speciale definite come assolute à l’esempio è fornito dall’art. 525 co.2, dove è stabilito, con riguardo al principio di immediatezza del giudizio, che alla deliberazione della sentenza devono concorrere, a pena di nullità assoluta, gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento à comunque sia la precisazione appare superflua. In tal caso, tuttavia, non si potrebbe fare riferimento alla previsione relativa all’inosservanza delle disposizioni circa il numero dei componenti il collegio giudicante, essendo qui in gioco la loro identità fisica; potrebbe però utilizzarsi la formula imperniata sulle condizioni di capacità del giudice che, in ogni caso, determinerebbe la riconduzione dell’ipotesi nell’alveo delle nullità assolute. 31. Le nullità intermedie. Il regime delle nullità generali, diverse da quelle assolute, è dettato dall'art. 180 à si parla di «nullità intermedie» dato che il relativo trattamento si situa in posizione mediana tra quello delle nullità assolute e quello delle nullità relative. Le nullità in discorso, infatti, sono: rilevabili ex officio, come quelle assolute; risultano sanabili in un momento anteriore all'irrevocabilità della sentenza, seppur in forza di termini meno contenuti e operano nei loro confronti le cause generali di sanatoria come quelle relative. Le nullità a regime intermedio non possono essere né rilevate (dal giudice), né dedotte (dalle parti), se verificatesi prima del giudizio, dopo la deliberazione della sentenza di primo grado ovvero, se si sono verificate nel giudizio, dopo la deliberazione della sentenza del grado successivo. Ciò fa sì che, per tali nullità, i tempi di rilevazione risultino distinti e più ampi rispetto a quelli di deduzione. In camera di consiglio, infatti, al momento della deliberazione, il giudice può rilevare una nullità la cui deduzione, invece, non è più consentita alle parti; un limite di maggior portata per la deduzione delle nullità intermedie deriva, poi , dalla lettura coordinata con l’art. 182 commi 1 e 2. Le Sezioni Unite di Cassazione hanno espresso il principio di diritto secondo cui il termine ultimo per dedurre la nullità a regime intermedio, conseguente all’omessa notifica dell’avviso dell’udienza camerale d’appello ad uno dei due difensori dell’imputato, coincide con la deliberazione della sentenza nel medesimo grado anche nell’ipotesi in cui fossero assenti dall’udienza sia l’imputato sia l’altro difensore pur ritualmente avvisati. Inoltre, stante il silenzio legislativo a riguardo, si ritiene che nel caso di appello anche per le nullità in discorso valga il principio per il quale una nullità — ove sia stata tempestivamente dedotta, ma non dichiarata dal giudice — risulta in via automatica devoluta 30 Per le nullità che afferiscono alle generalità dell'imputato, all'indicazione del fatto e delle norme violate, nonché alla data ed alla sottoscrizione dell'atto, la rilevabilità anche d'ufficio sembra dotata di una qualche maggiore efficacia. In sede d’appello avverso le ordinanze applicative di misure cautelari non coercitive, la rilevabilità anche d’ufficio, sempre per i vizi in discorso, rafforza sicuramente il controllo di legalità sul provvedimento, abilitando il giudice a travalicare l’ambito dei motivi proposti. Scenari analoghi si dischiudono per il giudizio di cassazione. 33. La deducibilità e le sanatorie. Il codice tiene separati i limiti alla deducibilità delle nullità dalle cause di sanatoria. Ex 182 co.1 la deducibilità delle nullità relative e delle nullità a regime intermedio – ma non di quelle assolute, al pari delle seconde rilevabili ex officio – trova un duplice limite soggettivo: la nullità non può essere dedotta o eccepita né da chi vi ha dato causa o ha concorso a darvi causa (secondo un canone di responsabilità individuale), né da chi non ha interesse all'osservanza della disposizione violata. Ad esempio, la giurisprudenza esclude che l'imputato possa eccepire la nullità del decreto di citazione della persona offesa. L’art. 182 co.2, ponendo un limite temporale, prevede che “quando la parte vi assiste, la nullità di un atto deve essere eccepita prima del suo compimento (in questo modo la parte previene il verificarsi della nullità) ovvero, se ciò non è possibile, immediatamente dopo (impedendo tempestivamente il ripercuotersi del vizio sugli atti successivi)”. Negli altri casi (ovvero quelli in cui la parte non vi ha assistito) la nullità deve essere eccepita entro i termini previsti dagli articoli 180 e 181 commi 2, 3 e 4 previsti rispettivamente per la sanatoria delle nullità relative ed intermedie. Ex 182 co.3 tali termini per rilevare o eccepire le nullità sono stabiliti a pena di decadenza. La disciplina delle sanatorie generali (183), ispirata al principio della conservazione degli effetti precari prodotti dall'atto imperfetto, si incentra su due figure. Alla prima – c.d. acquiescenza (lett. a) – si ascrivono la rinuncia espressa della parte interessata ad eccepire la nullità e l'accettazione (a sua volta, espressa o tacita) degli effetti dell'atto, ossia del suo risultato pratico. Alla seconda figura di sanatoria (lett. b) si riferiscono, invece, i casi in cui la parte si sia «avvalsa della facoltà al cui esercizio l’atto omesso o nullo è preordinato», formula che ha inteso disegnare con maggior concretezza la tradizionale sanatoria per il raggiungimento dello scopo rispetto a tutti gli interessati. La clausola di salvezza posta all'inizio dell'art. 183 (“salvo che sia diversamente stabilito”) esclude che le sanatorie generali operino nei confronti delle nullità assolute che l'art. 179 co.1 dichiara espressamente insanabili. Per contro, esse valgono, oltre che per le nullità relative, anche per quelle a regime intermedio. Ex 184 la nullità di una citazione o di un avviso ovvero delle relative comunicazioni e notificazioni è sanata se la parte interessata è comparsa o ha rinunciato a comparire à tale sanatoria speciale scatta quindi nei confronti del PM, delle parti private (compresa, in questo caso, la persona offesa), nonché dei loro difensori. La comparizione deve essere personale, sicché quella del difensore non funge da sanatoria rispetto all'imputato, né valgono presunzioni di alcun genere; inoltre, deve essere volontaria, sicché non opera come causa di sanatoria l'accompagnamento coattivo. In ogni caso, la comparizione opera come sanatoria, ancorché la parte non abbia 31 consapevolezza del vizio o non sia intenzionata a sanarlo. Si ritiene inapplicabile la sanatoria della comparizione alla nullità assoluta conseguente all’omessa citazione dell’imputato. La parte (compreso il PM) che compare con il solo intento di far rilevare l'irregolarità non impedisce il verificarsi della sanatoria, ma ha diritto ad un termine a difesa non inferiore a 5 giorni e, se la nullità riguarda la citazione a comparire al dibattimento, il termine non può essere inferiore a 20 giorni. 34. Gli effetti della dichiarazione di nullità. Una volta escluso che ricorrano limiti all’eccezione o alla deduzione della nullità ovvero che si siano verificate cause di sanatoria, il giudice deve dichiarare la nullità dell’atto. Gli effetti della dichiarazione di nullità sono disciplinati dall’art. 185 che li colloca in successione logica. La nullità di un atto comporta, anzitutto, l'invalidità di quelli consecutivi che dipendono da esso à di qui il concetto di nullità derivata. Il riferimento alla consecutività si riferisce solo ad un rapporto di successione cronologica, tale da tradursi in un nesso di causalità necessaria o sul piano logico (la sentenza è viziata da nullità perché fondata in via esclusiva su una prova nulla, mentre tra le singole prove esiste soltanto un nesso a livello psicologico), ovvero sul piano giuridico (l’atto successivo è nullo perché è nullo quello che ne costituisce presupposto). È poi esclusa l’eventualità di una propagazione a ritroso degli effetti della dichiarazione di nullità ad un atto anteriore o contemporaneo. Il giudice che dichiara la nullità dispone la rinnovazione dell'atto soltanto qualora essa sia necessaria (il che non accade, ad es. allorché l'atto viziato di nullità assoluta e, quindi, insanabile, abbia egualmente raggiunto il suo scopo) e possibile (il che non si verifica nei confronti di atti ab origine non reiterabili). Naturalmente, la rinnovazione diviene, invece, sempre obbligatoria per gli atti aventi natura propulsiva. Quando si procede alla rinnovazione, il giudice ne pone le spese a carico di chi ha dato causa alla nullità per dolo o colpa grave. Se la nullità è dichiarata in uno stato o grado diverso da quello in cui la stessa si è verificata, il codice opera una distinzione, già da tempo elaborata dalla dottrina. La dichiarazione di nullità comporta, indipendentemente dalla tipologia della nullità medesima, la regressione del procedimento allo stato e grado in cui è stato compiuto l'atto nullo, purché si tratti di un atto di natura non probatoria (si pensi all’annullamento del decreto di citazione a giudizio come tipico atto di natura propulsiva). Peraltro, l’obiettivo di reintegrare le parti nella posizione in cui si trovavano al verificarsi della causa di nullità non è sempre perseguito per ragioni di economia processuale, come dimostra la clausola di salvezza posta dall’articolo 185 co.3: a tale proposito le ipotesi derogatorie più cospicue sono delineate nell’art. 604 in rapporto ai poteri del giudice d’appello, sensibilmente ampliati in materia. Ispirandosi anch’esse a ragioni di economia processuale, le SS. UU. hanno precisato che la mancata sottoscrizione della sentenza di appello da parte del presidente del collegio, generando una nullità relativa, comporta l’annullamento della sentenza-documento con la regressione del processo in grado di appello, nella fase successiva alla deliberazione, affinché sia redatto un nuovo documento-sentenza, sottoscritto dal presidente e dall’estensore, e fatto, poi, oggetto di un nuovo deposito. 32 Se, invece, si tratta di nullità concernenti le prove, il giudice non può avvalersi della regressione (185,4), ma deve provvedere alla rinnovazione, sempreché ciò sia necessario ai fini della decisione e la prova sia ripetibile. Naturalmente, il disegno di realizzare una consistente economia processuale non può mai operare nel giudizio di cassazione: i limiti istituzionali propri del giudizio di legittimità impongono di far luogo all'annullamento con rinvio (623). Infine l’art. 186 si occupa dell’inosservanza delle norme tributarie. Al riguardo prevede che, quando la legge assoggetta un atto a una imposta o a una tassa, l'inosservanza della norma tributaria non rende inammissibile l'atto né impedisce il suo compimento, salve le sanzioni finanziarie previste dalla legge.
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