Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Compendio di procedura penale Conso, Grevi, Bargis, Appunti di Diritto Processuale Penale

Riassunto del quarto capitolo del libro "Compendio di procedura penale" (autori: Conso, Grevi, Bargis)

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 14/01/2019

Antonietta.M
Antonietta.M 🇮🇹

4.2

(30)

19 documenti

1 / 39

Toggle sidebar

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Compendio di procedura penale Conso, Grevi, Bargis e più Appunti in PDF di Diritto Processuale Penale solo su Docsity! 1 CAPITOLO IV – MISURE CAUTELARI 1. Premessa. Il sistema delle misure cautelari. Alla disciplina delle misure restrittive per esigenze cautelari il codice dedica l’intero libro IV, il quale si compone di due titoli: uno riferito alle misure cautelari personali, l’altro alle misure cautelari reali. Non rientrano in questo libro, per evidenti ragioni di connessione con il regime delle attività di PG, la disciplina relativa all’arresto in flagranza e del fermo, cui è riservata apposito titolo nel libro relativo ad “indagini preliminari e udienza preliminare”. Non vi trova inoltre la disciplina dell’accompagnamento coattivo che viene costruito nel codice non come atto rivolto a finalità cautelari bensì come atto strumentalmente diretto a soddisfare determinate esigenze di indagine di e accertamento in rapporto allo svolgimento di attività per le quali sia necessaria la presenza di determianti soggeti. Si deve poi notare che nel codice le disposizioni relative alle misure cautelari risultano, di regola, dettate facendo riferimento all’imputato, pur essendo indubbio che la qualifica di imputato può riconosci soltanto alla persona che, essendo destinatario di una formale imputazione, si trova in una delle situazioni descritte dall’art. 60,1. Nel corso delle indagini preliminari, invece, la persona a carico della quale venga disposta la misura cautelare è una persona gravemente indiziata ex art. 273, nei cui confronti si stanno svolgendo indagini preliminari, ed a vantaggio della quale opera l’estensione dei diritti e delle garanzie previsti per l’imputato ex art. 60. 2. Riserva di legge e riserva di giurisdizione in materia di misure cautelari personali. Il sistema delle misure cautelari è basato e modellato sul principio di legalità sancito dall’art. 272, il quale stabilisce che «le libertà della persona possono essere limitate con misure cautelari soltanto (principio di tassatività) a norma delle disposizioni del presente titolo”. Alle disposizioni dell’art. 272, ed alla garanzia che se ne ricava sotto il profilo della riserva di legge nel settore delle misure cautelari personali, fa riscontro la disposizione dell’art. 279, che è norma generale attributiva della competenza funzionale, nella quale si riflette la garanzia della riserva di giurisdizione in ordine al medesimo settore. Stabilendo che sia sull’applicazione, sia sulla revoca, sia sulle vicende modificative delle misure cautelari personali la competenza a provvedere spetta sempre al giudice che procede, l’art. 279 si riferisce al giudice competente all’esercizio della giurisdizione nelle diverse fasi del procedimento (prima dell'esercizio dell'azione penale provvede il giudice per le indagini preliminari). In tal modo viene riservata all’organo giurisdizionale la titolarità esclusiva dei poteri in materia di restrizioni della libertà personale, riconoscendo al PM unicamente il potere di disporre il fermo di indiziati (384,1). 3. I presupposti del fumus commissi delicti e del periculum libertatis. In tema di presupposti concernenti le misure cautelari personali occore far riferimento sia al profilo del fumus commissi delicti (inteso anche in senso soggettivo) sia alla sfera del periculum libertatis. A proposito del fumusu commissi delicti l’art. 273,1 individua quale “condizione generale” per l’applicabilità delle misure in questione la sussistenza a carico del destinatario di «gravi indizi di colpevolezza». Tale previsione si raccorda – sul terreno della concreta valutazione circa la “gravità” degli indizi – al comma 2 dell’art. 273 che impone alla competente autorità un sommario 2 accertamente negativo circa la sussistenza di una delle cause di giustificazione o di non punibilità, ovvero di estinzione del reato o della pena. Venendo invece ai criteri di valutazione dei suddetti “gravi indizi”, va segnalato il comma 1bis dell’art. 273 secondo cui devono essere applicati a tali fini le disposizioni degli artt:. - 195,7à non possono essere utilizzate le testimonianze indirette anonime; - 192 commi 3 e 4 àil giudice potrà tener conto delle dichiarazioni provenienti da persone che siano imputate dello stesso reato, o in un procedimento connesso, o di un reato collegato ex 371,2 lett. b, solo se le medesime dichiarazioni risultino corredate da altri elementi probatori idonei a confermarne l'attendibilitàà secondo le SS.UU. oltre ad essere intrinsecamente attendibili, devono essere corroborate da riscontri estrinseci individualizzati circa l’ipotesi di attribuzione del fatto reato al medesimo soggetto. Dal mancato richiamo anche al comma 2 del suddetto art. 192 si ricava che il medesimo giudice non dovrà ritenersi necessariamente vincolato dalla regola ivi prevista, per cui “l’esistenza di un fatto” non può essere desunta sulla base di indizi salvo che gli stessi risultino “gravi, precisi e concordanti”. - 271,1à non possono essere utilizzate le intercettazioni telefoniche acquisite contra legem o qualora non siano state osservate le disposizioni previste dagli artt. 267 e 268 commi 1 e 3; - 203à divieto di testimonianza indiretta da parte della PG e dei servizi di sicurezza. Dal disposto dell’art. 273,1bis appare palese come la scelta legislativa si sia indirizzata nel senso di anticipare sul terreno cautelare l'operatività di alcune regole dettate in tema di inutilizzazione probatoria e di valutazione della prova quale risulta in particolare dal richiamo all’ert. 192 commi 3 e 4. Questo comporta due conseguenzeà per un verso l'apprezzamento dei gravi indizi di colpevolezza nel contesto cautelare viene irrigidito al punto da essere equiparato a quello previsto per la prova della colpevolezza, con l’ulteriore conseguenza di restringere senza dubbio la possibilità di adozione delle misure cautelari. Per altro verso non si può sottacere il rischio che, in tal modo, il provvedimento applicativo di una misura cautelare assuma un peso assai gravoso sulla sorte processuale dell'imputato, rispetto al quale sarà d’ora in poi difficile escludere l’incidenza negativa di quello che, almeno allo stato degli atti, sembrerebbe ormai configurarsi nella sostanza come un anticipato giudizio di colpevolezza. Quanto al versante del periculum libertatis, l'art. 274 si preoccupa di predeterminare le «esigenze cautelari» che, concorrendo con il presupposto rappresentato dai gravi indizi di colpevolezza, devono considerarsi di per sé idonee a giustificare l'adozione delle misure cautelari personali. Al riguardo per l'adozione delle misure cautelari da un lato è sufficiente la sussistenza di almeno una delle esigenze cautelari previste dall'art 274; dall’altro tali esigenze devono risultare da elementi concreti che devono essere specificamente indicati nel provvedimento a pena di nullità e non devono essere desunte (esclusione di qualsiasi automatismo) dalla sola gravità del reato o dalla circostanza che la persona sottoposta alle indagini si sia avvalsa della facoltà di non rispondere. 4. Le diverse esigenze cautelari. L’art. 274 dispone che le misure cautelari sono disposte: a) “Quando sussistono specifiche ed inderogabili esigenze attinenti alle indagini relative ai fatti per i quali si procede, in relazione a situazioni di concreto ed attuale pericolo per l'acquisizione o la genuinità della prova (cd. pericolo di inquinamento delle prove), fondate su circostanze di fatto 5 procedimento, delle modalità del fatto e degli elementi sopravvenuti, dai quali possa emergere che, a seguito della sentenza, risulta sussistente o il pericolo di fuga o la commissione di gravi reati o di reati della stessa specie di quello per cui si procedeà è evidente la preoccupazione legislativa di vincolare il giudice – una volta intervenuta la sentenza di condanna – a tener conto anche dei risultati del relativo accertamento, nonché di ogni altro elemento sopravvenuto, quali fattori rilevanti per la valutazione delle suddette esigenze cautelari. Il comma 2-ter dello stesso art. 275 stabilisce che qualora la condanna sia stata pronunciata in grado di appello, è previsto che le misure cautelari personali debbano essere «sempre disposte, contestualmente alla sentenza, quando, all'esito dell'esame condotto a norma del comma 1bis, risultano sussistere esigenze cautelari previste dall'art. 274 e la condanna riguarda uno dei delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza ex 380,1 e questo risulta commesso da soggetto condannato nei cinque anni precedenti per delitti della stessa indole»à Ciò significa, in altri termini, che in deroga alla regola generale secondo la quale il giudice procedente applica le misure cautelari su richiesta del PM (279 e 291,1), nel caso di sentenza di condanna pronunciata in secondo grado, contestualmente alla sentenza, il medesimo giudice dovrà obbligatoriamente, anche in assenza di quest'ultima richiesta, valutare la sussistenza delle esigenze cautelari e degli altri presupposti indicati nel suddetto comma 2ter, ed applicare «sempre» la misura cautelare personale più adeguata, ogni qualvolta tale valutazione abbia dato esito positivo (questa norma nasce per rispondere alle pressanti istanze di esecuzione anticipata delle sentenze di condanna, peraltro non consentita dall’art. 27,2 Cost.). Quanrto agli ulteriori sviluppi del principio di adeguatezza, una sua particolare specificazione è prevista dal comma 3 dell'art. 275, con riferimento alla misura della custodia cautelare in carcere, con cui si stabilisce che la medesima «può essere disposta soltanto quando le altre misure coercitive ed interdittive, anche applicate cumulativamente, risultino inadeguate»à carcerazione come extrema ratio. Questa regola subisce, tuttavia, una cospicua eccezione nello stesso comma 3 dell’art. 275, il quale stabilisce che, quando sussistano gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui agli artt. 270 (associazioni sovversive), 270bis (associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico) e 416bis cp (associazione di tipo mafioso), la misura applicabile è sempre quella carceraria, salvo che siano acquisiti «elementi dai quali risulti che non sussistano esigenze cautelari»à si configura così in capo all'indiziato dei suddetti delitti una forte presunzione relativa del periculum libertatis ed una vera e propria presunzione assoluta di adeguatezza della misura carceraria (si presume la custodia cautelare come unica misura adeguata a neutralizzare la pericolosità dell'imputato). Ne deriva, inoltre, in capo al giudice un vero e proprio onere di motivazione negativa nel caso non ritenga la sussistenza in concreto di esigenze cautelari. In tal modo si viene creare per il giudice una sorta di scudo normativo di fronte al rischio delle minacce o dei condizionamenti cui lo stesso potrebbe venire sottopostio, soprattutto nei procedimenti per delitti di criminalità organizzata. Tuttavia non è difficile rendersi conto che un meccanismo normativo del genere – risolvendosi in chiave di tendenziale obbligatorietà della misura carceraria – si collochi ai limiti della compatibilità con il disposto dell’art. 13,2 Cost., nel quale l’atto motivato dall’AG è richiesto come garanzia ai fini dell’applicazione (non del diniego) delle misure restrittive della libertà personale. 6 Questa presunzione assoluta di adeguatezza della custodia in carcere risultava applicabile anche ai procedimenti relativi ad un elenco assai ampio di fattispecie: ovvero tutti delitti di cui all’art. 51 commi 3bis e 3quater, nonché agli artt. 575, 600bis,1, 600ter, escluso il comma 4 e 600 quinquies cp, ed ancora ai delitti di cui agli artt. 609bis, 609quater e 609octies, salvo che ricorressero le circostanze attenuanti dagli stessi articoli contemplate. Tuttavia, dapprima con una dichiarazione di illegittimità costituzionale da parte della Corte costituzionale e poi con la riforma del 2015 la presunzione da assoluta si è trasformata in relativa dato che, per tali ultimi delitti, si ha l’applicazione della custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari (rimane ferma la presunzione relativa del periculum libertatis) o che, in relazione al caso concreto, le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure. Si aggiunga che ex 275,3bis, lo stesso giudice, nel caso applichi la custodia cautelare in carcere, dovrà indicare le ragioni per cui non ritiene idonea (quando possibile) nel caso concreto, la misura degli arresti domiciliari con l’utilizzo dei dispositivi di controllo di cui all’art. 275bis. 6. Altre applicazioni del principio di adeguatezza. A parte quelle già enunciata, vi sono altre possibili applicazioni del principio di adeguatezza: - 275,4à non può essere disposta o mantenuta la custodia cautelare in carcere nei confronti di una donna incinta, di una madre con figli minori di 6 anni, di un padre qualora «la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole» o di una persona che abbia superato i 70 anni, salvo (eccezione) che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza (in tal caso, a parte l’ipotesi dell’ultra settantenne, si disporrà la custodia attenuata ex 285bis). - 89 commi 1 e 2 DPR 309/1990à qualora ricorrano i presupposti per la custodia in carcere, ma non sussistono esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, e si tratti di imputati tossicodipendenti o alcooldipedenti sottoposti a programma terapeutico di recupero, deve essere disposta la misura degli arresti domiciliari, allorché l’interruzione del programma in atto potrebbe pregiudicare il loro recupero. La stessa disciplina vale nei confronti dell’imputato tossicodipendente o alcooldipendente, già assoggettato a custodia cautelare, il quale intenda sottoporsi ad un programma terapeutico di recupero, essendo in tale ipotesi prevista la sostituzione della misura carceraria con quella degli arresti domiciliari. Nelle situazioni descritte, tuttavia, quando si procede per i delitti di rapina aggravata o di estorsione aggravata (628,3 e 629,2 cp), o comunque quando sussistono “particolari esigenze cautelari”, il provvedimento applicativo degli arresti domiciliari è subordinato all’individuazione di una struttura residenziale per lo svolgimento del programma di recupero. In ogni caso, l’applicabilità delle disposizioni appena richiamate è esclusa con riferimento all’imputato per uno dei delitti di cui all’art. 4bis ord. pen., ad eccezione di quelli previsti dagli articoli 628,3 e 629,2 cp, sempreché non siano ravvisabili “elementi di collegamento con la criminalità organizzata o eversiva”. - 275,4bisà non può essere disposta o mantenuta la custodia carceraria per gli imputati affetti da Aids conclamata, da grave deficienza immunitaria o «da altra malattia particolarmente grave, a causa della quale le loro condizioni di salute sono incompatibili con lo stato di detenzione o comunque tali da non consentire cure adeguate in carcere»à anche in tali i potesi vi sono delle eccezioni: infatti il comma 4ter dell’art. 275 qualora sussistano “esigenze cautelari di eccezionale rilevanza”, dovrà farsi regolarmente luogo a cutodia cautelare presso strutture sanitarie penitenziarie, ameno che l’adozione di tal misura non risulti possibile “senza pregiudizio per la salute dell'imputato” 7 o per quella “degli altri detenuti,” (in quete ultime eventualità, il giudice dovrà disporre gli arresti domiciliari presso una casa di cura o , ovvero, trattandosi di imputati affetti da Aids conclamata o da grave deficienza immunitaria, presso le unità operative o gli altri luoghi indicati nello stesso comma 4ter) - 275,4quaterà in generale, pur ricorrendo le situazioni appena descritte, allorchè il soggetto risulti imputato o sia stato sottoposto ad altra misura cautelare per uno dei delitti previsti dall'articolo 380 (delitti per il quale sia obbligatorio l’arresto in flagranza), relativamente a fatti commessi dopo l'applicazione delle misure disposte ai sensi dei commi 4bis e 4ter il giudice potrà comunque disporre la custodia cautelare in carcere, evidentemente allo scopo di evitare gli inconvenienti altrimenti derivanti, soprattutto in rapporto al pericolo di reiterazione di determinati reati, dal sostanziale riconoscimento a tali soggetti di una sorta di “immunità” rispetto alla custodia carceraria. Quando così avvenga il comma 4quater specifica anche che l'imputato debba essere condotto in un istituto dotato di reparto attrezzato per la cura e l'assistenza necessarie. - 275,4quinquiesà (tuttavia anche nei casi di cui sopra) quando la malattia si trova in uno stato così avanzato da non rispondere più ai trattamenti disponibili ed alle terapie curative, la custodia cautelare in carcere non può più essere disposta o mantenuta. - 276,1à in caso di trasgressione alle prescrizioni inerenti a una misura cautelare, il giudice può disporre (potere disrezionale e non automatico) la sostituzione o il cumulo con altra più grave, tenuto conto dell'entità, dei motivi e delle circostanze della violazioneà ciò significa che non ogni trasgressione dell’imputato alle prescrizioni ipostegli dovrà necessariamente dare luogo ad un nuovo provvedimento in chiave sostitutiva o cumulativa, ma soltanto le trasgressioni che, per le loro caratteristiche oggettive e soggettive, siano tali da far ritenere non più sufficiente l’originaria misura a fronteggiare la mutata situazione cautelare.in questo quadro l’art. 276,1 precisa che ove la trasgressione riguardi le prescrizioni inerenti a una misura interdittiva, il giudice possa disporre la sostituzione o il cumulo anche con una misura coercitiva (compresa, se del caso, la custodia cautelare). Si aggiunga che il comma 1ter dell’art. 276 prevede che in caso di trasgressione alle prescrizioni degli arresti domiciliari concernenti il divieto di allontanarsi dalla propria abitazione o da altro luogo di privata dimora, il giudice disponga la revoca della misura e la sostituzione con la custodia cautelare in carcere, salvo che il fatto sia di lieve entitàà valutazione caso per caso (in modo da evitare automat). Altra ipotesi particolare di applicazione del principio enunciato al comma 1 dell’art. 276 viene disciplinata, infine, nel comma 1bis con riguardo al caso dell'imputato che, trovandosi nelle condizioni di salute di cui all'art. 275,4bis, sia stata disposta una misura diversa dalla custodia cautelare in carcereà infatti in tali ipotesi ed in caso di trasgressione delle prescrizioni inerenti alla diversa misura cautelare si prevede che il giudice possa disporre – in deroga al suddetto divieto – anche la misura della custodia cautelare in carcere, salva la prescrizione che il medesimo venga condotto in un istituto dotato di reparto attrezzato per la cura e l'assistenza necessarie. 7. La salvaguardia dei diritti della persona sottoposta a misura cautelare. 10 avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, ovvero suoi congiunti o conviventi (282ter), le misure del divieto e dell'obbligo di dimora (283) ed infine gli arresti domiciliari (284). L’art. 282quater prevede che le decisioni relative all’allontanamento dalla casa familiare e al divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa siano comunicate all’autorità di pubblica sicurezza competente nonché alle persone offesa e ai servizi socioassistenziali del territorio. Per contro, è altresì previsto che il responsabile del servizio comunichi agli organi del procedimento cautelare (PM e giudice) l’esito positivo del programma di prevenzione della violenza cui l’imputato si sia sottoposto, e ciò al fine di consentire la valutazione della sussistenza delle condizioni per la sostituzione della misura ai sensi dell’art. 299,2. Con una previsione, poi, di raccordo con la nuova disciplina dell’ordine di protezione europeo di cui al d.lgs. 9/2015, il comma 1bis dello stesso articolo prevede che la persona offesa, con la comunicazione del provvedimento, sia informata della facoltà di richiedere al giudice della cautela l’adozione di una decisione di estendere gli effetti della misura preventiva al territorio di altro Stato dell’UE in cui la persona protetta risiede o soggiorni. Con riguardo, invece, all'obbligo di dimora va sottolineata l’attribuzione al giudice del potere di imporre all'imputato - oltre alla prescrizione tradizionale di non allontanarsi, senza la prevista autorizzazione, dal territorio del Comune di dimora abituale, o di un comune di viciniore, ovvero da una frazione di tali comuni – anche quella di «non allontanarsi dall'abitazione in alcune ore del giorno, senza pregiudizio per le normali esigenze di lavoro. Quest’ultima prescrizione risulta analoga, seppur circoscritta entro limiti temporali piuttosto rigidi, a quella in cui si sostanzia la misura degli arresti domiciliari (284), ripetto alla quale l'obbligo dell'imputato «di non allontanarsi dalla propria abitazione», o dagli altri luoghi consentiti (ovvero un altro luogo di privata dimora, un luogo pubblico di cura o assistenza ovvero, ove istituita, una casa famiglia protetta), può risultare attenuato soltanto dalla autorizzazione del giudice «ad assentarsi nel corso della giornata dal luogo di arresto, per il tempo strettamente necessario» a provvedere ad «indispensabili esigenze di vita», ovvero per esercitare una attività lavorativa, nel caso di «assoluta indigenza». Nonostante le analogie con l’obbligo di dimora ed il relativo obbligo di non allontanarsi, solamente l'imputato agli arresti domiciliari «si considera in stato di custodia cautelare» (284,5)à soltanto quest'ultimo soggetto, costretto a rimanere nella propria abitazione, potrà usufruire dei vantaggi derivanti dalla suddetta equiparazione: in particolare con riferimento alla disciplina dei termini massimi di custodia, nonché al meccanismo di scomputo della durata della misura domiciliare dalla durata della pena. Si noti, poi, che nell’attuale codice gli arresti domiciliari vengono configurati quale autonoma misura di coercizione domiciliare alternativa alla custodia, anziché quale modalità esecutiva extracarceraria della custodia cautelare, come nel sistema previgente. Per quanto riguarda la concedibilità degli arresti domiciliari il comma 5bis dell'art. 284 prevede un limite soggettivo i termini di divieto nei confronti degli imputati già condannati (con sentenza irrevocabile) per il reato di evasione nei 5 anni precedenti al fatto per cui si procede, a meno che il giudice ritenga, sulla base di specifici elementi, che il fatto sia di lieve entità e che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con tale misura. Una recente disciplina, consacrata nell'art. 275bis, prevede la possibilità di subordinare la misura degli arresti domiciliari all'assoggettamento dell'imputato a particolari «procedure di controllo» da attuarsi mediante «mezzi elettronici o altri strumenti tecnici»: si allude al c.d. "braccialetto 11 elettronico". Più precisamente, il giudice, nel disporre la misura degli arresti domiciliari «anche in sostituzione della custodia cautelare in carcere», può prescrivere l‘adozione delle suddette «procedure di controllo» elettronico, salvo che le ritenga non necessarie in relazione alle esigenze cautelari del caso concreto e sempre che vi sia la disponibilità della strumentazione da parte della PG. Se l'imputato neghi il proprio consenso a sottoporsi ai relativi «mezzi e strumenti», il giudice applicherà la custodia cautelare in carcere. 11. Le forme della custodia cautelare. La custodia in carcere (285)non presenta grandi novità dal punto di vista dei contenuti, trovando base nel provvedimento con cui il giudice dispone che l'imputato «sia catturato ed immediatamente condotto in un istituto di custodia per rimanervi a disposizione dell'autorità giudiziaria» (285,1). A questo si aggiunge la garanzia per cui “prima del trasferimento nell'istituto la persona sottoposta a custodia cautelare non può subire limitazione della libertà, se non per il tempo e con le modalità strettamente necessarie alla sua traduzione” (285,2). Quando, poi, si tratti di un imputato in stato di infermità di mente tale da incidere gravemente sulla sua capacità di intendere e di volere, si prevede che il giudice possa disporne – in luogo della custodia carceraria – la custodia cautelare non carceraria mediante ricovero provvisorio in una idonea struttura del servizio psichiatrico ospedaliero, adottando ogni accorgimento necessario per prevenirne il pericolo di fuga (286) (una tale disciplina potrebbe soddisfare anche le esigenze dell’istituto dell’applicazione provvisoria delle misure di sicurezza per le quali attualmente è prevista una disciplina autonoma). L’articolo 285bis, riferendosi alla situazione descritta dall’articolo 275,4 (ossia la sussistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza che fanno venire meno il divieto, altrimenti operante, di disporre o mantenere la custodia cautelare in carcere dell’imputato che sia donna incinta o madre di prole di età non superiore a 6 anni con lei convivente, ovvero padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole), consente al giudice di disporre la custodia presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri, sempre che le esigenze cautelari accertate nello specifico caso lo consentano. Relativamente agli imputati che si trovino nelle gravi condizioni di salute descritte dall’art. 275,4bis, l’art. 286bis,3 stabilisce che il giudice può disporne il ricovero provvisorio in una adeguata struttura del SSN «per il tempo necessario», adottando nel contempo, ove occorra, i provvedimenti «idonei a evitare il pericolo di fuga». Dopo di che, una volta cessate le esigenze del ricovero, il giudice provvederà ex 275 a seconda dei casi, o ripristinando la custodia in carcere, o disponendo gli arresti domiciliari ex 275,4ter o pronunciando uno dei provvedimenti previsti dall’art. 299. Tornando alle disposizioni comuni alle misure di custodia cautelare, sia in carcere sia in luogo di cura, va ricordato, infine, il principio relativo alla computabilità per una sola volta della durata delle stesse (oltreché, in forza della ricordata equiparazione, del periodo trascorso dall'imputato agli arresti domiciliari) ai fini della determinazione della pena da eseguire ai sensi dell’art. 657. E lo stesso principio viene espressamente esteso anche alle ipotesi di custodia cautelare subita all’estero a seguito di una domanda di estradizione, ovvero nel caso di rinnovamento del giudizio previsto dall’art. 11 cp (285,3). Deve infine ricordarsi che quando viene esercitata l'azione penale o venga applicata una custodia cautelare nei confronti di pubblici impiegati o ecclesiastici o religiosi del culto cattolico, l'autorità 12 procedente deve darne apposita informazione alle autorità pubbliche, ovvero all'autorità ecclesiastica (129 disp. att.). 12. La tipologia delle misure interdittive. Anche le misure interdittive, come quelle coercitive, possono essere applicate solamente quando si procede per delitti per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a 3 anni. Tuttvia in tale ambito vi sono svariate deroghe in rapporto a quanto previsto da disposizioni particolari (287)à ovvero a quanto previsto dalle singole disposizioni concerneti le diverse misure, ovvero con riferimento a determinate figure delittuose. Circa la tipologia delle misure interdittive vengono disciplinate, in particolare, la sospensione dall'esercizio della potestà dei genitori (288); la sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio, peraltro non applicabile agli uffici elettivi ricoperti per diretta investitura popolare (289); ed infine il divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali o imprenditoriali, ovvero determinati uffici direttivi delle persone giuridiche o delle imprese (290)à si riecheggia il modello di alcune pene accessorie Quanto ai criteri di scelta delle misure interdittive, per le quali valgono, ovviamente, i soliti princìpi di adeguatezza e di proporzionalità enunciati in via generale nell'art. 275, e le esigenze cautelari di cui all'art 274, va ricordata l'ulteriore possibilità offerta al giudice di dare più specifica attuazione a tali principi – secondo la logica del «sacrificio minimo» – attraverso la applicazione soltanto parziale della misura prescelta. Infatti le diverse disposizioni dettate al riguardo, facendo leva sulla formula «in tutto o in parte» (288-290), consentono che l'incidenza della misura stessa possa essere in concreto limitata esclusivamente a una parte della potestà ovvero a un settore o a una parte della attività. In tale ambito va ricordato nella prospettiva di un opportuno collegamento tra l’iniziativa del giudice procedente e l’esercizio dei corrispondenti poteri attribuiti ad organi amministrativi, che ai sensi dell’art. 293,4 ogni ordinanza che applichi una misura interdittive dev’essere trasmessa in copia all’organo eventualmente competente a disporre l’interdizione in via ordinaria. 13. I profili formali dei provvedimenti cautelari. Nel comma 1 dell’art. 291 viene ribadita la regola per cui la competenza a disporre le misure cautelari appartiene al giudice (organo decidente), il quale provvede sempre su richiesta del PM (organo richiedente) (a parte quanto si è detto a proposito dell'art. 275,2ter, una iniziativa ex officio del giudice è prevista dall'art. 299,3 soltanto in materia di revoca o di sostituzione di misure già applicate). In particolare il PM dovrà fornire al giudice non solo «gli elementi su cui la richiesta si fonda», ma anche tutti gli altri «elementi a favore dell'imputato» (tra i quali rientrano sia quelli acquisiti dallo stesso PM, sia quelli pervenutigli a seguito dell'attività investigativa eseguita dal difensore), nonché le eventuali «deduzioni e memorie difensive già depositate». Al comma 2 viene poi previsto che nel caso in cui il giudice destinatario della suddetta richiesta riconosca per qualsiasi causa la propria incompetenza, ma accerti comunque l'urgenza di provvedere sotto il profilo cautelare, egli stesso dovrà disporre la misura richiesta con il medesimo provvedimento declinatorio di competenzaà la misura così applicata sarà caducata qualora, entro 15 (che non prescrive l’allegazione di motivi a pena di inammissibilità della richiesta di riesame, consentendone altresì l’enunciazione davanti allo stesso giudice del riesame), e, soprattutto, dell’art. 309,9 (secondo cui, tra l’altro, tribunale competente per il riesame può annullare il provvedimento impugnato anche sulla sola base degli elementi addotti dalle parti nel corso dell’udienza, e addirittura anche per motivi diversi da quelli enunciati). L’una e l’altra palesemente dirette, in coerenza con la configurazione del riesame come strumento di controllo a tutto campo dei provvedimenti de libertate, ad affrancare il tribunale da qualunque condizionamento nella declaratoria della nullità delle ordinanze sottoposte a riesame (sempreché non si tratti di nullità sanabili dallo stesso tribunale, ad esempio attraverso provvedimento di conferma dell’ordinanza impugnata, anche per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione della medesima). 14. Gli adempimenti esecutivi e le garanzie difensive. Una volta emessa, l'ordinanza che dispone una misura cautelare è trasmessa dalla cancelleria del giudice all'organo che ne deve dare esecuzione, ovvero, nella fase delle indagini preliminari, al PM, che ne curerà l'esecuzione. L'art.293 prevede tutti gli adempimenti diretti a dare esecuzione alle ordinanze in argomento e, in particolare, gli adempimenti che assicurino l'esercizio della difesa. Al riguardo per ottemperare alle prescrizioni della direttiva 2012/93/UE sul diritto all’informazione nei procedimenti penali, l’art. 1 d.lgs. 101/2014 ha modificato il comma 1 dell’art. 293, inserendovi l’obbligo per l'ufficiale o l'agente incaricato di eseguire l'ordinanza che ha disposto la custodia cautelare, di consegnare all'imputato (a meno che non sia già detenuto in forza di altro titolo e quindi si applicherà l’art. 156 relativo alle notificazioni all'imputato detenuto) copia del provvedimento unitamente a una comunicazione scritta, redatta in forma chiara e precisa e, per l'imputato che non conosce la lingua italiana, tradotta in una lingua a lui comprensibile, con cui lo informa dei suoi diritti difensivi, ovvero: a) della facoltà di nominare un difensore di fiducia e di essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato nei casi previsti dalla legge; b) del diritto di ottenere informazioni in merito all'accusa; c) del diritto all'interprete ed alla traduzione di atti fondamentali; d) del diritto di avvalersi della facoltà di non rispondere; e) del diritto di accedere agli atti sui quali si fonda il provvedimento; f) del diritto di informare le autorità consolari e di dare avviso ai familiari; g) del diritto di accedere all'assistenza medica di urgenza; h) del diritto di essere condotto davanti all'autorità giudiziaria non oltre 5 gg dall'inizio dell'esecuzione, se la misura applicata è quella della custodia cautelare in carcere ovvero non oltre 10 gg se la persona è sottoposta ad altra misura cautelare; i) del diritto di comparire dinanzi al giudice per rendere l'interrogatorio, di impugnare l'ordinanza che dispone la misura cautelare e di richiederne la sostituzione o la revoca. Aggiunge il comma 1bis che qualora la comunicazione scritta non sia prontamente disponibile in una lingua comprensibile all'imputato, le informazioni sono fornite oralmente, salvo l'obbligo di dare comunque, senza ritardo, comunicazione scritta all'imputato. Il comma 1ter prevede inoltre che l'ufficiale o l'agente incaricato di eseguire l'ordinanza informi immediatamente il difensore di fiducia eventualmente nominato ovvero quello di ufficio designato a norma dell'art. 97 e rediga verbale di tutte le operazioni compiute, facendo menzione della consegna della comunicazione scritta o dell'informazione orale. Verbale che sarà immediatamente trasmesso al giudice che ha emesso l'ordinanza e al PM. 16 Grande importanza assume altresì la disposizione contenuta nel comma 3 dell’art. 293, dove si prevede che le suddette ordinanze, una volta notificate o eseguite, siano depositate in cancelleria (sia ai fini di un più consapevole esercizio del diritto di difesa nell’interrogatorio previsto dall’art. 294, sia anche ai fini delle eventuali impugnazioni) – e di tale deposito sia notificato avviso al difensore dell’imputato – insieme alla richiesta del PM e agli atti presentati con la stessa a norma dell’art. 291,1 à in tal modo si è aperta una breccia, a favore della difesa, nella cortina di segretezza che in precedenza ricopriva, anche dopo l’adozione del provvedimento, il complesso degli elementi addotti dal PM a corredo della propria richiestaà di conseguenza, ne risulta ampliata anche l’area di potenziale esplicazione dell’attività difensiva a tutela dell’imputato sottoposto alla misura cautelare. Tanto più a fronte del diritto riconosciuto allo stesso difensore non solo di prendere visione, ma anche di estrarre copia oltreché dell’ordinanza applicativa della misura cautelare, anche della suddetta richiesta del PM e degli atti presentati a corredo della medesima; ed inoltre del diritto di ottenere copia delle registrazioni di conversazioni intercettate, le quali siano state poste alla base del provvedimento cautelare, sebbene in precedenza non depositate insieme alla relativa richiesta, e quindi nemmeno successivamente depositate a disposizione del difensore. Mentre le ordinanze applicative della custodia cautelare vengono materialmente eseguite con la consegna all'imputato di copia del provvedimento e con il suo immediato trasferimento, se del caso manu militari (“cattura”) in un istituto di custodia a disposizione dell'AG, le ordinanze applicative delle misure cautelari non custodiali sono ex art. 293,2 semplicemente notificate all'imputato secondo i modi ordinari. Per quanto concerne, in particolare, le ordinanze relative alla custodia cautelare viene inoltre espressamente stabilito che l'organo di polizia incaricato dell'esecuzione avverta l'imputato della facoltà di nominare un difensore di fiducia, e quindi informi immediatamente il difensore così nominato, ovvero quello designato d'ufficio ai sensi dell'art. 97. Circa la procedura da seguire nel caso in cui il destinatario della misura non venga rintracciato, l’art. 295 prevede la redazione del verbale di vane ricerche da parte del competente organo di polizia, e la successiva dichiarazione dello stato di latitanza dell'imputato ad opera del giudice che tali ricerche abbia ritenuto esaurienti. Quanto alla disciplina della latitanza (da intendersi quale volontaria sottrazione non solo ad un ordine di carcerazione ovvero ad una misura di custodia cautelare, ma anche agli arresti domiciliari, all’obbligo di dimora ed al divieto di espatrio), va ricordata nell’art. 296 la regola, di chiaro segno garantistico, volta a circoscrivere l’operatività dei suoi al solo “procedimento penale nella quale è stata dichiarata”. La previsione di maggiore risalto, tuttavia, è quella che autorizza il giudice o il PM ad utilizzare lo strumento della intercettazione di conversazioni o di comunicazioni telefoniche, nonché di altre forme di telecomunicazione, nei limiti degli artt. 266 e 267, anche allo scopo di «agevolare le ricerche del latitante» (295,3). Inoltre ex 295,3bis può farsi luogo anche alla intercettazione di comunicazioni tra persone presenti, quando si tratti di latitanti in relazione ad uno dei delitti di criminalità mafiosa previsti dall'art. 51,3bis, ovvero ad uno dei gravi delitti di natura terroristica od eversiva previsti dall'art. 407,2 lett. a n. 4; e in questo caso senza il limite previstio per le intercettazioni ambientali nel domicilio dall’art. 266,2, trattandosi di limite già derogato in via generale con riguardo ai delitti di criminalità organizzata. Allo stesso scopo, d'altro lato, si è stabilito che possa procedersi, anche ad iniziativa di ufficiali di PG, 17 alla perquisizione locale di interi edifici o di blocchi di edifici, dove vi sia fondato motivo di ritenere che siano rifugiati dei latitanti in relazione ad uno dei suddetti delitti di criminalità mafiosa o per un delitto commesso con finalità di terrorismo, salvo in ogni caso il successivo intervento di controllo da parte dell’AG, che dovrà esserne informata al più tardi entro 12 ore dall’operazione. Ancora in materia di adempimenti collegati alle misure di custodia cautelare deve tenersi presente la disciplina speciale relativa alle “operazioni sotto copertura” dettata nell’art. 9 l. 146/2006à in particolare stando al comma 7, l'AG può, con decreto motivato, ritardare l'esecuzione dei provvedimenti applicativi di una misura cautelare (oltreché del fermo di indiziati, dell’ordine di esecuzione di pene detentive o dei decreti di sequestro) quando ciò sia necessario per acquisire rilevanti elementi probatori in ordine a gravi delitti tipici della criminalità organizzata, eversivao terroristica, ovvero per l'individuazione o la cattura dei responsabili dei delitti concernenti sostanze stupefacenti previsti dagli artt. 73 e 74 dal DPR 309/1990. Quanto agli aspetti più propriamente operativi connessi all’esecuzione della misura di custodia, ed alla conseguente traduzione di persone in stato detentivo l’art. 42bis,4 ord. pen. dispone che debba essere adottata ogni opportuna cautela per proteggere tali persone dalla curiosità del pubblico e da ogni specie di pubblicità, nonché per evitare ad esse inutili disagi: ad es. riprese televisive. In analogo ordine di idee l’art. 42bis,5 ord. pen. Stabilisce che, almeno nelle traduzioni individuali, l’uso delle manette ai polsi sia obbligatorio soltanto quando lo richiedano la pericolosità del soggetto, o il pericolo di fuga, o circostanze di ambiente che rendono difficile la traduzione, mentre in ogni diverso caso l’uso delle manette o di qualsiasi altro mezzo di coercizione fisica è vietato. Alla tematica degli adempimenti necessariamente successivi all'esecuzione della misura della custodia cautelare in carcere appartiene anche l'istituto dell'interrogatorio dell'indiziato (cd. interrogatorio di garanzia). Interrogatorio che l’art. 294,2 affida, fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento, al giudice che ha deciso sull'applicazione della misura cautelare – sempreché il medesimo giudice non vi abbia già proceduto ex 391,3 nel corso dell'udienza di convalida dell'arresto in flagranza o del fermo – prescrivendone l’effettuazione «immediatamente e comunque non oltre 5 giorni dall'inizio dell'esecuzione della custodia», a meno che l'indiziato stesso sia assolutamente impedito (nel qual caso il giudice dovrà darne atto con decreto motivato, ed il termine decorrerà di nuovo dalla notizia di cessazione dell’impedimento). A parte il rilievo riduttivamente attribuito alle sole eventualità di “assoluto impedimento” relativo all’indiziato, l’istituto rappresenta un pilastro delle garanzie previste per la persona colpita dal provvedimento di custodia. E proprio questa peculiare funzionalità difensiva del corrispondente interrogatorio consente altresì di spiegare senza difficoltà l’attribuzione della relativa competenza, con riguardo ai provvedimenti emessi prima dell’esercizio dall’azione penale (279), al giudice delle indagini preliminari (in quanto, per l’appunto, organo di controllo e di garanzia riguardo ai provvedimenti incidenti sulla libertà personale), anziché al PM, cui nel corso delle stesse indagini sono conferiti compiti di natura eminentemente investigativa. Successivamente la medesima competenza spetterà, se del caso, al giudice dell’udienza preliminare; mentre, qualora la misura cautelare sia stata disposta dalla corte d’assise, ovvero dal tribunale (nelle ipotesi previste dall’art. 91 disp. att.), all’interrogatorio dovrà procedere, ex art. 294,4bis, il presidente del collegio o uno dei componenti da lui delegato. 20 che nel corso delle indagini, l’originaria imputazione sia stata modificata in melius, con ovvie possibili ripercussioni sui termini di durate della custodia e delle altre misure cautelari. Tale regola della simultanea decorrenza dei termini di durata delle distinte misure cautelati applicate attraverso successive ordinanze, è stata poi estesa anche all’ipotesi in cui le suddette ordinanze facciano riferimento a fatti diversi, purché ricorrano 2 condizioni: tra tali fatti vi deve essere un rapporto di connessione descritto dall’art. 12 lett. b (caso del concorso formale di reati e del reato continuato) o dall’art. 12 lett. c (limitatamente al caso di reati “commessi per eseguire gli altri”) e purchè si tratti di fatti commessi anteriormente all’emissione della prima ordinanza. In ipotesi del genere, l’unica deroga alla retrodatazione del dies a quo per il computo dei termini di durata della misura disposta con le ordinanze conseguenti alla prima è quella che si ricava dall’ultima parte del comma 3, stando alla quale non si applica in rapporto alle ordinanze emesse per fatti non desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio disposto per il fatto con il quale sussiste connessione a norma del medesimo comma 3. Ne consegue che , per l’operatività delle regola in questione, è sufficiente che i “fatti diversi”, contestati con le ordinanze ulteriori, applicative della medesima misura nei confronti dello stesso imputato, risultassero “desumibili dagli atti” nel momento del rinvio a giudizio per il fatto contestato con la successiva ordinanza cautelare.. e ciò prescindendo dalla circostanza che tali fatti ancora non fossero ex actis obiettivamente noti all’epoca dell’adozione (meglio richiesta) della suddetta ordinanza, o, cmq, che a quell’epoca non fossero ancora stati acquisiti tutti gli elementi necessari per l’applicazione della misura, poi soltanto in seguito applicata.à Con tale norma il legislatore ha cercato di contestare la prassi delle c.d. contestazioni a catena (prassi volta a dilazionare nel tempo l'adozione di misure cautelari attraverso un artificioso differimento “a cascata” dei provvedimenti, in modo da far decorrere da momenti diversi i corrispondenti termini di durata) spesso adottate in chiave elusiva dell’ordinaria disciplina dei termini delle misure cautelari soprattutto con riguardo ai fatti che fossero già noti, e sulla base di elementi tali da giustificare l’adozione dei provvedimenti cautelari contestuali fin dalla pronuncia della prima ordinanzaà una regola tuttavia che, andando ben al di là della mera repressione di tali fenomeni, ha correlato, in maniera poco ragionevole, la regola della retrodatazione ex 297,3 alla mera successione cronologica delle diverse ordinanze cautelari sulla base di una sorta di presunzione assoluta di “colpevole inerzia” o di “artificioso ritardo” del PM, travolgendo così anche i casi in cui obiettivamente non si registri un ritardo imputabile al PM. Per altro verso, secondo la Corte cost., la suddetta regola di retrodatazione del termine deve applicarsi anche nell’ipotesi di misure cautelari relative a fatti diversi non connessi, sempreché tuttavia gli elementi posti a base della successiva ordinanza risultassero “ già desumibili dagli atti al momento dell’emissione della precedente ordinanza”. Ove la pluralità di ordinanze emesse nei confronti dello stesso imputato riguardi fatti diversi (connessi o meno, nel senso appena chiarito) l’eventuale passaggio in giudicato della condanna per il fatto considerato nel primo provvedimento cautelare non fa venire meno l’operatività della regola di retrodatazione del termine inizale disposta con la successiva oridnanza cautelare, non potendo evidentemente il giudicato produrre l’effetto di azzerare il tempo della custodia già sofferta (vicevera, se la contestazione sequenziale fosse riferita allo stesso fatto, si proietterebbe sulla fase incidentale, inibendo l’azione cautelare, il divieto di bis in idem ex 649. Quanto all’ipotesi del cumulo tra un provvedimento cautelare ed uno di custodia per altro reato, ovvero di detenzione o di internamento a titolo definitivo, ex 297,5 gli effetti della misura cautelare 21 decorrono dal giorno della notifica della relativa ordinanza, ove si tratti di misura compatibile con lo stato di detenzione o di internamento, mentre nel caso contrario decorrono dalla cessazione di tale stato. Inoltre, ai soli effetti del computo dei termini di durarata massima, la custodia cautelare si considera compatibile con lo stato di detenzione per esecuzione di pena o di internamento per misura di sicurezza, e lo stesso deve ritenersi, pur nel silenzio della legge, nell’ipotesi di cumulo tra una misura cautelare detentiva ed un provvedimento di custodia già in atto a carico della medesima persona per un diverso fatto di reato (salvo restando a quanto si è precisato a proposito del cumulo dei provvedimenti di custodia per i “fatti diversi” contemplati dall’art. 297,3). Infine, secondo l’art. 298 l’esecuzione di un ordine di carcerazione nei confronti di un imputato sottoposto ad una misura cautelare personale per un diverso reato determina la sospensione dell’esecuzione di quest’ultima, a meno che gli effetti di tale misura risultino compatibili con l’espiazione della pena (anche qui si enuncia una presunzione di “compatibilità” stabilendosi senza le necessarie distinzioni che la “sospensione non opera quando la pena è espiata in regime di misure alternative alla detenzione”). 17. I provvedimenti di revoca e di sostituzione La revoca ex art . 299,1 è una fattispecie estintiva delle misure cautelari personali che opera tutte le volte in cui risultano carenti le condizioni di applicabilità delle stesse ex 273 ovvero le esigenze cautelari ex 274. Lo stesso principio, in armonia con i criteri di scelta ex 275, vale nel caso in cui le esigenze cautelari si sono attenuate tanto da far ritenere eccessivamente vessatoria la misura applicata, ovvero non più proporzionata all’entità del fatto o della sanzione irrogabile. In eventualità del genere, il giudice deve sostituire la misura originaria con un’altra meno grave, ovvero disporne l’applicazione con modalità meno gravose, salvo il limite dell’art. 275,3 (299,2). E, quando si tratti della sostituzione della custodia in carcere con gli arresti domiciliari, è possibile autorizzare l’imputato a raggiungere con i propri mezzi il luogo di esecuzione della misura, sempreché non risulti necessario disporne l’accompagnamento per salvaguardare comprovate esigenze processuali o di sicurezza. Quanto ai profili procedurali, si stabilisce che, durante le indagini preliminari, il giudice debba provvedere in ordine alla revoca e alla sostituzione delle misure, di regola, solo dietro richiesta del PM o dell’imputato, ed entro 5 gg dal deposito di tale richiesta. Un’iniziativa ex officio è invece riconosciuta al giudice in sede di udienza preliminare e in giudizio. Tuttavia, anche nel corso delle indagini preliminari si ammette che il giudice possa assumere tale iniziativa d’ufficio quando assuma l’interrogatorio dell’indiziato in stato di custodia cautelare ex 294, o quando sia richiesto della proroga del termine per le indagini preliminari ex 406, ovvero quando proceda all’assunzione di un incidente probatorio ex 392 e ss (299,3). In ogni modo, Il giudice, prima di provvedere in ordine alla revoca o alla sostituzione delle misure coercitive e interdittive, di ufficio o su richiesta dell'imputato, deve sentire il PM, il quale dovrà esprimere il proprio parere nei 2 gg successivi, altrimenti in caso contrario il giudice potrà senz’altro procedere alla decisione (299,3bis). E la stessa regola vale per l’ipotesi in cui la revoca o la sostituzione, o l’applicazione meno gravosa venga richiesta dall’imputato dopo la chiusura delle indagini preliminari (299,4bis). 22 In tutte queste ipotesi, il comma 3ter dell’art. 299 dispone che il giudice, dopo aver valutato gli elementi addotti a fondamento della richiesta di revoca o di sostituzione, prima di provvedere possa sempre procedere all’interrogatorio della persona sottoposta alla misura; interrogatorio che è, invece, obbligatorio, ove l’imputato lo abbia richiesto, quando l’istanza di revoca o di sostituzione è basata su elementi nuovi o diversi rispetto a quelli già valutati (non solo su elementi fino ad allora non acquisiti, ma anche quelli acquisiti ma non valutati). Una particolare attenzione è poi richiesta dal comma 2bis nel caso di revoca o sostituzionedi determinate misure coercitive applicate nei procedimenti aventi ad oggetto delitti commessi con violenza alla personaà il provvedimento deve essere immediatamente comunicato, a cura della PG, ai servizi socio-assistenziali e al difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa, salvo non abbia provveduto a dichiarare o eleggere domicilio; il difensore e la persona offesa potranno presentare nei 2 gg successivi alla notifica, delle memorie al giudice, il quale procede decorso il predetto termine (299,3). Analoga previsione di contestuale notifica della richiesta vale dopo la chiusura delle indagini preliminari, ai sensi dell’art. 299,4bis. Fermo restando quanto previsto dall’art. 276 (violazione delle prescrizioni) qualora, invece, le esigenze cautelari si siano accresciute, il giudice, su richiesta del PM, deve sempre, ove sussistano i presupposti, sostituire la misura originaria con un’altra più rigida, ovvero disporne l’applicazione con modalità più gravose (299,4); potendo altresì disporre, in alternativa alla sostituzione in peius, l’applicazione, congiunta, a quella in esecuzione, di altra misuta coercitiva o interdittiva. Con riferimento a tutti i provvedimenti ex 299 è stabilito, infine, che il giudice, quando si trovi nell’impossibilità di decidere allo stato degli atti sulla richiesta di una parte, possa, in ogni stato e grado del procedimento, disporre anche d’ufficio, e prescindendo da particolari formalità, i necessari accertamenti sulle condizioni di salute o sulle qualità personali dell’imputato (299,4ter). Accertamenti da svolgersi con la massima celerità possibile e al più tardi entro 15 gg dal deposito della richiesta. A quest’ultimo proposito, si prevede anche che nel caso in cui la richiesta di revoca o di sostituzione della misura carceraria sia fondata “sulle condizioni di salute particolarmente gravi dell’imputato ex 275,4bis, e qualora il giudice non ritenga di accogliere la richiesta sulla base degli atti disponibili, devono disporsi gli accertamenti medici del caso attraverso la nomina di un perito ad hoc, il quale dovrà tener conto del parere del medico penitenziario e riferire al giudice antro 5 gg, ovvero, nel caso di rilevata urgenza, entro 2 gg dall’accertamento. In tutte le ipotesi previste dall’art. 299,4ter, com’è ovvio, durante il il periodo compreso tra il provvedimento che dispone gli accertamenti e la scadenza del termine per il loro espletamento, il termine di 5 gg sancito per la pronuncia del giudice è sospeso. Si precisa infine che nelle situazioni appena viste, trova applicazione il disposto dell’art. 286bis,3 secondo il quale qualora le esigenze diagnostiche non possano essere soddisfatte nell’ambito penitenziario, il giudice potrà disporre il ricovero provvisorio dell’imputato in un’idonea struttura del SSN, adottando se del caso adeguate cautele (299,4quater). 18. Particolari fattispecie di estinzione automatica delle misure Mentre il fenomeno estintivo connesso agli istituti della revoca e della sostituzione presuppongono 25 medesime. Cominciando dalla custodia cautelare, l’art. 303 individua una serie di termini massimi di durata della stessa in relazione ai diversi stati o gradi del procedimento, e con riferimento a ciascuna di tali fasi i suddetti termini intermedi sono stati quantitativamente differenziati o in funzione della gravità dell’imputazione, o in funzione della pena applicata in concreto, quando già vi sia stata sentenza di condanna. Cominciando dalla fase preliminare, ex 303,1, la custodia perde efficacia allorché, dall’inizio della sua esecuzione, e senza che sia stato emesso il decreto che dispone il giudizio o l’ordinanza di giudizio abbreviato ex 438, ovvero senza che sia stata pronunciata la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, siano decorsi i seguenti termini: - 3 mesi, quando di procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a 6 anni; - 6 mesi, quando si procede per un delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione superiore nel massimo a 6 anni; - 1 anno, quando si procede per un delitto per il quale è stabilita la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a 20 anni, oppure per uno dei delitti indicati nell’art. 407.2 lett. a (sempreché per questi ultimi sia prevista la pena della reclusione superiore nel massimo a 6 anni). Per quanto riguarda la fase del giudizio di primo grado, secondo il rito ordinario, la custodia perde efficacia quando dal provvedimento che dispone il giudizio (o dalla sopravvenuta esecuzione della custodia stessa), e senza che sia stata pronunciata sentenza di condanna di primo grado, la sua durata ha superato il termine di: - 6 mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a 6 anni; - 1 anno, quando si procede per un delitto per il quale è prevista la pena della reclusione non superiore nel massimo a 20 anni; - 1 anno e 6 mesi, quando si procede per un delitto per il quale è prevista la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a 20 anni. Occorre poi aggiungere che, qualora si procede per uno dei delitti ex art. 407.2 lett. a, tali termini sono aumentati fino a 6 mesi, e tale termine deve essere imputato al termine previsto per la fase precedente (ove non completamente utilizzato), ovvero ai termini previsti per le fasi successive alla sentenza di condanna in appello, che saranno perciò corrispondentemente ridotti. Infine, per quanto riguarda la fase del giudizio abbreviato, la custodia perde efficacia allorché dall’ordinanza con cui è stato disposto tale giudizio o dalla sopravvenuta esecuzione della custodia, e senza che sia stata pronunciata sentenza di condanna, la sua durata ha superato il termine di: - 3 mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a 6 anni; - 6 mesi, quando si procede per un delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione non superiore nel massimo a 20 anni; - 9 mesi, quando si procede per un delitto per il quale è stabilita la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a 20 anni (sono termini dimezzati rispetto all’ordinario giudizio di primo grado). 26 Riguardo alle altre fasi del giudizio, la definizione dei termini massimi intermedi è stata operata facendo riferimento alla pena concretamente irrogata in sede di condanna. Così, per quando riguarda la fase del giudizio di secondo grado, la custodia cautelare perde efficacia quando dalla pronuncia della sentenza di condanna di secondo grado o dalla sopravvenuta esecuzione della custodia stessa, e senza che sia sta pronunciata sentenza di condanna in appello, è decorso il termine di: - 9 mesi, se vi è stata condanna alla pena della reclusione non superiore a 3 anni; - 1 anno, se vi è stata condanna alla pena della reclusione non superiore a 10 anni; - 1 anno e 6 mesi se vi è stata condanna alla pena dell’ergastolo o della reclusione superiore a 10 anni. Nel caso di condanna per più reati, per individuare i termini di fase inerenti alla durata della custodia cautelare, bisogna poi far riferimento alla pena complessiva inflitta per tutti i reati per i quali è in corso la misura custodiale, e non già alle pene relative ai singoli reati. La stessa disciplina si applica, inoltre, nelle fasi di giudizio successive alla pronuncia della sentenza di condanna in appello, e finché la condanna non sia diventata irrevocabile. Tuttavia, quando vi sia già stata condanna anche in primo grado (per lo stesso fatto storicoà doppia conforme), ovvero quando l’impugnazione sia stata proposta solo dal PM, non bisogna più far riferimento ai termini intermedi di fase, ma bisogna applicare i termini di durata complessiva della custodia. Si aggiunga che, ai fini del computo dei termini intermedi di fase della custodia cautelare, previsti dall’articolo 303 commi 1, 2 e 3 (oltre che ai fini dei termini di durata complessiva, previsti dall’articolo 303,4), occorrerà tener conto dei periodi di custodia subiti dall’imputato all’estero a seguito di domanda di estradizione (722), ovvero in esecuzione di mandato d’arresto europeo. Il quadro non sarebbe esauriente, tuttavia, se non si aggiungesse la previsione per cui, ex 303,2 nell’eventualità di regresso del procedimento ad una diversa fase, o di rinvio dinanzi ad un diverso giudice, a partire dalla data del correlativo provvedimento ovvero dalla sopravvenuta esecuzione della custodia, riprendono a decorrere ex novo i termini stabiliti con riguardo a ciascun stato e grado del procedimento (salvo, come si vedrà il rispetto dei limiti fissati negli artt. 303,4 e 304,6). Un termine massimo di durata complessiva della custodia è stato individuato, dall’art. 303,4, a 3 livelli, a seconda della gravità dell’imputazione: - 2 anni, quando si procede per un delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione non superiore nel massimo a 6 anni; - 4 anni, quando si procede per un delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione non superiore nel massimo a 20 anni; - 6 anni, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a 20 anni ovvero l’ergastolo. Tali limiti, di regola, non possono essere superati: né in forza del meccanismo di proroga dei termini di custodia ex 305, né in forza della particolare previsione di neutralizzazione, ex 297,4, dei giorni di udienza, nonché di quelli utilizzati per la deliberazione della sentenza nella fase del giudizio. Dove, infatti, nell’escludere per implicito che i corrispondenti periodi di tempo debbano valutarsi in vista del computo dei termini “intermedi”, 27 relativi alle diverse fasi processuali (è questa la regola del cd. congelamento), ci si preoccupa di specificare che di essi si dovrà tener conto “solo ai fini” della determinazione della durata complessiva della custodia a norma dell’art. 303,4, salvo l’eventualità in cui possa trovare applicazione il disposto dell’art. 304,2: nel qual caso non se ne dovrà tener conto nemmeno ai fini dei predetti termini complessivi. 20. Proroga e sospensione dei termini massimi di custodia Riguardo alla proroga, a prescindere dall’ipotesi connessa al compimento di una perizia psichiatrica, essa opera solo nella fase delle indagini preliminari. Infatti, è previsto che, dietro richiesta del PM, i termini di custodia prossimi a scadere in tale fase possono essere prorogati solo in presenza di gravi esigenze cautelari, le quali, rapportate ad accertamenti particolarmente complessi, ovvero a nuove indagini, rendono indispensabile la prosecuzione della custodia. Nel caso di proroga legata all’esigenza di nuove indagini, la competenza a provvedere sulla richiesta (con ordinanza appellabile) spetta al gip, il quale, dopo aver sentito il PM e il difensore della parte nell’ambito di un contraddittorio semplificato ma effettivo, ove ne ricorrano i presupposti, potrà concedere una proroga, ed anche rinnovarla una sola volta, fino al limite rappresentato dalla metà dei termini massimi di custodia previsti per la fase delle indagini preliminari. Alcuni problemi sorgono in rapporto alla disciplina della sospensione dei termini di durata della custodia cautelare, la quale può comportare, in alcuni casi, anche il supermento dei termini fissati per la durata complessiva della custodia cautelare. L’art. 304.1, dopo aver stabilito la competenza del giudice a provvedere, anche d’ufficio, con ordinanza appellabile, ha individuato le fattispecie di sospensione facendo riferimento ad una serie di situazioni tutte relative alla fase del giudizio, cioè con riguardo: Alle ipotesi di sospensione o di rinvio del dibattimento per impedimento dell’imputato o del suo difensore, ovvero dietro richiesta dei medesimi; Alle ipotesi di sospensione o rinvio del dibattimento a causa della mancata presentazione, dell’allontanamento o della mancata partecipazione di uno o più difensori, qualora ne rimangano privi di assistenza uno o più imputati; All’ipotesi di sospensione dei termini di custodia, nella fase del giudizio, durante la pendenza dei termini previsti per la redazione differita dei motivi della sentenza; All’ipotesi di sospensione prevista qualora le situazioni appena descritte si verifichino nell’ambito del giudizio abbreviato. Durante l’udienza preliminare, i termini sono sospesi, anche d’ufficio e sempre con ordinanza appellabile, tutte le volte in cui la stessa udienza viene sospesa o rinviata per impedimento dell’imputato o del suo difensore, ovvero a causa della mancata presentazione o dell’allontanamento di uno o più difensori (art. 304.4). Le ipotesi di sospensione non si applicano, all’interno del processo cumulativo, nei confronti dei coimputati cui le stesse non si riferiscono, sempreché questi ultimi chiedano che nei loro confronti si proceda previa separazione dei processi. Nelle ipotesi di particolare complessità dei dibattimenti o dei giudizi abbreviati relativi ai delitti indicati dall’art. 407.2 lett. a, il regime della sospensione può essere esteso anche ai periodi di tempo in cui sono tenute le udienze o si delibera la sentenza nella fase del giudizio. 30 proponente ha facoltà di enunciare nuovi motivi davanti al giudice del riesame facendone dare atto a verbale prima dell'inizio della discussione Titolare del diritto al riesame è soltanto l’imputato o il suo difensore, salva la previsione per l’uno e per l’altro di un diverso regime di decorrenza del termine di 10 gg fissato per la proposizione della relativa richiesta (a pena di decadenza) a norma dei primi tre commi dell’art. 309à per l’imputato entro 10 gg dall’esecuzione o notificazione del provvedimento; per il difensore entro 10 gg dalla notificazione dell'avviso di deposito dell'ordinanza che dispone la misura. Ex comma 3bis viene tuttavia precisato che dal computo di tale termine, devono escludersi i giorni per i quali sia stato disposto ex 104,3 il differimento del colloquio tra il difensore e l’imputato detenuto, data l’importanza che il legislatore attribuisce a tale colloquio, fondamentale per la strategia difensiva di fronte al provvedimento di custodia. Competente a decidere sul riesame è il tribunale in composizione collegiale del capoluogo del distretto di corte d’appello in cui ha sede l’ufficio del giudice che ha emesso l’ordinanza impugnata. Ex commi 4 e 5 la richiesta va direttamente proposta alla cancelleria del tribunale, ed una volta presentata, a seguito dell’immediato avviso proveniente dal presidente del tribunale, l’AG procedente (quindi nel corso delle indagini preliminari il PM) deve trasmettere al medesimo tribunale gli atti correlativi entro il giorno successivo a quello dell’avviso, e comunque non oltre il quinto giornoà quest’ultimo termine deve considerarsi decorrente dal giorno stesso della presentazione della richiesta di riesame. Quanto agli atti da trasmettere sono, anzitutto, quelli già presentati dal PM al giudice in vista dell’adozione del provvedimento a norma dell’art. 291 (che corrispondono agli atti già depositati e a disposizione del difensore ex 293,3), nonché tutti gli elementi sopravvenuti a favore della persona sottoposta alle indaginià quindi tutti gli elementi acquisiti dal PM , successivamente alla richiesta della misura oggetto di riesame, ex 358, ovvero pervenutigli in virtù dell’attività investigativa del difensore ex 327bis sempre nel corso delle indagini preliminari. Quanto al contenuto ex 309,6 la richiesta di riesame può recare anche l’enunciazione dei motivi, e al proponente è riconosciuta la possibilità di enunciare nuovi motivi dinanzi al tribunale competente per il riesame purché ne venga dato atto a verbale prima dell’inizio della discussione. Con la richiesta l’imputato può altresì chiedere di comparire personalmente e, ove abbia espresso questa intenzione, ha diritto di presenziare di persone all’udienza (comma 8bis). Le caratteristica di rapidità emerge, poi, dai commi 8 e 9, laddove si prescrive che il tribunale emette la sua decisione entro 10 gg. dalla ricezione degli atti trasmessigli ex comma 5à ne consegue che il procedimento di riesame dovrebbe sempre concludersi, al più tardi, entro 15 gg dal giorno in cui la richiesta è pervenuta alla cancelleria del tribunaleà l’art. 9bis tuttavia prevede una deroga nel disporre che su richiesta formulata personalmente dall'imputato entro 2 gg dalla notificazione dell'avviso, il tribunale differisca la data dell'udienza da un minimo di 5 ad un massimo di 10 gg se vi siano giustificati motivià in tal caso il termine per la decisione e quello per il deposito dell'ordinanza sono prorogati nella stessa misura. Quanto agli aspetti prettamente procedurali il tribunale provvede in camera di consiglio secondo il modello ex 127, salva una necessaria abbreviazione (da 10 a 3 gg prima della data dell’udienza) del termine stabilito per il corrispondente avviso al PM presso lo stesso tribunale, 31 all’imputato e al suo difensore, ai fini della loro eventuale comparizione. In ogni caso, in vista dell’esercizio del contradditorio, fino al giorno dell’udienza gli atti trasmessi al tribunale devono rimanere depositati in cancelleria, con facoltà per il difensore di esaminarli e di estrarne copia (309,8). In forza del richiamo all’art. 127 i destinatari dell’avviso hanno il diritto di essere sentiti, se compaiono in udienza. Come visto l’imputato ha diritto di partecipare all’udienza se ne ha fatto richiesta, e lo stesso vale anche per il caso in cui questi sia detenuto o internato in luogo posto fori della circoscrizione del tribunale. L’esigenza del rispetto dei termini previsti dall’art. 309 è ulteriormente sottolineata dal comma 10 in cui si prevede che la misura coercitiva disposta con l’ordinanza assoggettata a riesame perda efficacia (estinzion automatica) e, salve eccezionali esigenze cautelari specificamente motivate, non possa essere rinnovata, sia se la trasmissione degli atti da parte del PM non avviene al massimo entro 5 gg dal deposito dell’istanza di riesame, sia se la decisione sulla richiesta di riesame non avvenga entro il termine di 10 gg dal deposito di tali atti, o degli ulteriori giorni di differimento dell’udienza chiesti dall’imputato, sia se il deposito dell'ordinanza del tribunale in cancelleria non intervenga nei termini prescritti, ovvero entro 30 gg dalla decisione salvi i casi in cui la stesura della motivazione sia particolarmente complessa per il numero degli arrestati o la gravità delle imputazioni, situazione in cui il giudice può disporre per il deposito un termine più lungo, comunque non eccedente il 45° giorno da quello della decisione. In particolare con riguardo alla trasmissione degli atti da parte del PM le SS.UU. ritengono che questo effetto caducatorio si realizzi non già quando il termine in questione sia scaduto senza che gli atti siano stati inoltrati al tribunale del riesame, bensì, secondo un criterio assai più rigido, quando entro suddetto termine tali atti non siano ancora pervenuti al medesimo tribunaleà si tratta di una previsione molto drastica, che finisce per scaricare con esito radicale anche sulla sorte dela misura, anche gli eventuali ritardi di trasmissione dovuti ad una semplice disfunzione organizzativa. Una interpretazione ragionevole parrebbe quella di circoscrivere la sanzione all’ipotesi in cui non abbia avuto luogo nessuna tempestiva trasmissione di atti al tribunale, fermo restando il dovere di quest’ultimo di decidere comunque, entro il termine di legge, sulla base degli atti che siano stati trasmessi non oltre il quinto giorno, con ovvie ricadute sull’onere del PM e dell’imputato di produrre in udienza ex art. 309,9 gli altri elementi in loro possesso. Ad ogni modo quale che sia la causa della decadenza del titolo cautelare, come visto, l’art. 309,10 dispone che la misura caducata per il mancato tempestivo intervento di controllo non possa essere rinnovata a meno che sussistano eccezionali esigenze cautelari specificatamente motivateà se da un lato tali dovrebbero essere solo le situazioni caratterizzate da un elevatissimo livello di pericolosità cautelare, è però altrettanto evidente che il ricorso alla misura limitativa della libertà personale deve sempre ritenersi eccezionale e che il rischio di considerare fisiologica la rinnovazione è tutt’altro che remoto. Per quanto concerne, poi, l’esercizio dei poteri decisori da parte del tribunale investito della richiesta di riesame, premesso che al tribunale è attribuito il potere di provvedere, anche nel merito, senza particolari vincoli sul piano della condizione o della decisione, riconoscendo con ciò alla richiesta di riesame la natura di un mezzo totalmente devolutivo, l’art. 309,9 definisce anzitutto la tipologia dei provvedimenti adottabili, con la precisazione che la decisione potrà tener conto pure degli ulteriori elementi addotti dalle parti nel corso dell’udienza: 32 - declaratoria di inammissibilità della richiesta; - annullamento dell’ordinanza sottoposta a riesameà in senso senso favorevole all’imputato anche per motivi diversi da quelli enunciati nella richiesta, o successivamente ad essa; - riforma dell’ordinanza sottoposta a riesame (no riformata in peius)à in senso favorevole all’imputato anche per motivi diversi da quelli enunciati nella richiesta, o successivamente ad essa - conferma dell’ordinanza sottoposta a riesameà anche sulla base di ragioni diverse da quelle indicate nella sua motivazioneà funzione integratrice; - revoca. Importante poi aggiungere che il tribunale annulla il provvedimento impugnato se la motivazione manca o non contiene l'autonoma valutazione, a norma dell'art. 292, delle esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi forniti dalla difesaà passibile di censura sarebbe quindi solo l’ordinanza che “non contiene” alcuna valutazione dei dati rilevanti, mentre tutte le altre gravi (ben più frequenti) patologie della motivazione continuano ad essere assoggettate alla “sanatoria” del tribunale, visto che dal testo dell’art. 309,9 non è stato espunto il riferimento al potere del collegio de libertate di confermare il provvedimento impugnato “per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento stesso”àfunzione integratrice del tribunale, che anziché annullare, corregge. 24. La disciplina dell’appello e del ricorso per cassazione in materia di misure cautelari personali L’appello è uno strumento residuale in quanto utilizzabile solo contro le ordinanze in materia di misure cautelari personali diverse da quelle assoggettabili a riesame, e può essere utilizzato dall’imputato, dal suo difensore e dal PM (310,1)à per quest’ultimo è l’unica possibilità di impugnazione enl merito essendogli precluso il riesame. Per quanto attiene alla proposizione dell’appello, viene richiamata la disciplina del riesame, salva la necessità della contestuale enunciazione dei motivi. La competenza spetta anche qui (quale organo d’appello) al tribunale del capoluogo del distretto in cui risiede il giudice che abbia emesso l’ordinanza appellata, il quale decide con rito camerale ex art. 127 entro 20 gg dalla ricezione dell’ordinanza, nonché degli atti su cui la medesima si sia fondata. Ordinanza ed atti devono essere trasmessi al tribunale, da parte dell’autorità procedente, entro il giorno successivo all’avviso concernente la proposizione dell’appello, e devono rimanere depositati in cancelleria fino al giorno dell’udienza, con facoltà per il difensore di esaminarli e di estrarne copia. Anche per il deposito in cancelleria dell’ordinanza di appello il legislatore ha previsto un termine di 30 gg dalla data della decisione con la possibilità per il giudice di indicare nel dispositivo un termine maggiore, comunque non eccedente i 45 gg, in caso di motivazione particolarmente complesso (310,2), Per il resto, deve ritenersi implicito il rinvio alla disciplina generale dell’appello, a cominciare dalla regola dell’effetto limitatamente devolutivoà ne deriva che il tribunale vedrà circoscritta la sua cognizione (contrariamente al riesame) esclusivamente ai punti dell’ordinanza appellata cui si riferiscano i motivi tempestivamente proposti. Si prevede, poi, che quando il tribunale, accogliendo l’appello del PM, dispone una misura cautelare a carico dell’imputato, l’esecuzione di tale decisione rimane sospesa, finché la medesima non diventa definitiva (310,3). 35 di archiviazione (ciò vale anche con riferimento al caso dell’imputato condannato, nella misura in cui la durata della custodia alla quale sia stato sottoposto abbia ecceduto l’entità della pena successivamente applicatagli in via definitiva). Si tratta di ipotesi nelle quali il rapporto tra la natura della decisione liberatoria adottata e la restrizione sofferta dall’imputato risulta sufficiente ad attestare ex post l’”ingiustizia” di tale restrizione. Alla disciplina riparatoria si affianca, per coloro sottoposti a custodia carceraria o agli arresti domiciliari, il riconoscimento ex 102bis disp. att. del diritto di essere reintegrati nel posto di lavoro che occupavano prima dell’applicazione della misura e dal quale siano stati licenziari a causa di tale “ingiusta detenzione”. Le situazioni della seconda fascia sono definite ex 314,2, invece, con riguardo al caso dell’imputato già sottoposto a custodia cautelare nel corso del processo, con riferimento alle ipotesi in cui sia stato accertato con decisione irrevocabile che il relativo provvedimento era stato emesso, o mantenuto, senza che sussistessero le condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 e 280. In ipotesi del genere non viene necessariamente in evidenza un profilo di ingiustizia sostanziale della restrizione subita dall’imputato, ma risulta in re ipsa la sua illegittimità (per così dire la sua ingiustizia formale). Alla luce di una simile disciplina dei presupposti dell’Istituto ben si spiega anche la previsione contenuta nel comma 4 dell’art. 314 secondo cui il diritto alla riparazione è escluso per quella parte della custodia cautelare che sia stata computata ex 657ai fini della determinazione della misura di una pena, ovvero per il periodo in cui le limitazioni siano state sofferte ex 297 e 298 in forza di un altro titolo. Quanto ai profili procedurali ex 315 la domanda di riparazione (per un ammontare non superiore comunque a € 516.000 € ca) deve essere proposta, a pena di inammissibilità, entro 2 anni dal giorno in cui sono divenute irrevocabili le sentenze rispettivamente del 1° e del 2° comma dell’art. 314, ovvero sia divenuta inoppugnabile la sentenza di non luogo a procedere, ovvero dal giorno in cui il provvedimento di archiviazione è stato notificato al destinatario. Legittimato a proporre la domanda è il soggetto interessato ovvero, in casi particolari, anche i suoi eredi. Per il resto, viene fatto rinvio, nei limiti della loro compatibilità, alle norme sulla riparazione dell’errore giudiziario, previste dagli artt. 643-647. Circa l’individuazione della corte d’appello competente, si osservano i criteri indicati nell’art. 102 disp. att. 27. Le misure cautelari reali: a) il sequestro conservativo; b) il sequestro preventivo; c) i rimedi avverso i provedimenti di sequestro Il regime delle misure cautelari reali è contenuto in un apposito titolo in virtù della scelta sistematica diretta a sottolineare lo specifico finalismo di tali misure, così da distinguerle rispetto ad altre, nelle quali l’imposizione di un vincolo di indisponibilità sulla cosa non corrisponde ad un’esigenza cautelareà in particolare, ad un’esigenza di natura probatoria, come accade tipicamente nell’ipotesi del sequestro penale, non a caso disciplinato tre mezzi di ricerca della prova. Il codice individua due diverse specie di misure riconducibili a tale ambito, accomunate dalla finalità cautelare, ma differenziate sul terreno delle esigenze cui l’una e l’altra rispettivamente si riferiscono: da un lato la figura del sequestro conservativo, dall’altro la figura del sequestro preventivo, entrambi di regola affidati alla competenza del giudice di merito, dietro richiesta del PM, od anche della parte civile nel primo caso (317 e 321). A. La funzione del sequestro conservativo è quella di assicurare, attraverso il vincolo posto sui 36 beni mobili o immobili dell’imputato (si suppone già esercitata l’azione penale), nonché sulle somme o cose a lui dovute, l’esecuzione della sentenza che potrebbe essere emessa, tutte le volte in cui vi sia fondato motivo di ritenere che manchino o si disperdano le relative garanzie. Ciò sia sotto il profilo del pagamento della pena pecuniaria, delle spese processuali e delle altre somme dovute all’erario statale, nell’ipotesi di iniziativa del PM (316,1), sia sotto il profilo dell’adempimento delle obbligazioni civili da reato, nell’ipotesi di iniziativa della parte civile, estensibile anche ai beni del responsabile civile (316,2). Tra le novità si segnalano la possibilità di offrire una cauzione, in alternativa ex ante o in sostituzione ex post al sequestro (319), e la conversione del sequestro in pignoramento quale conseguenza del giudicato di condanna (320). A tal proposito si è avuto cura di precisare che l’estinzione della misura cautelare patrimoniale, ed il contestuale fenomeno della sua conversione in pignoramento, non estingue il carattere privilegiato dei crediti tutelati attraverso il sequestro, salva restando in ogni caso la priorità attribuita ai crediti della parte civile rispetto a quelli dello Stato (del resto in coerenza con la riconosciuta estensione alla stessa parte civile degli effetti del sequestro conservativo disposto a richiesta del PM, come emerge dall’articolo 316,3). B. Riguardo al sequestro preventivo si prescrive che, anche prima dell’esercizio dell’azione penale, il giudice, su richiesta del PM, deve disporre con decreto motivato il sequestro delle cose pertinenti al reato (comprese le cose suscettibili di confisca), tutte le volte in cui la libera disponibilità delle stesse possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato medesimo, ovvero agevolare la commissione di altri reati (321,1, osservandosi a proposito la normativa dettata per il sequestro probatorio (104 disp. att.). Al di fuori di questi presupposti,il sequestro delle cose di cui è consentita la confisca è di regola rimesso alla discrezionalità del giudice, mentre diventa obbligatorio nel corso dei procedimenti per i delitti dei pubblici ufficiali contro la PA (321 commi 2 e 2bis). Da notare che durante le indagini preliminari, quando per l’urgenza delle circostanze non è possibile attendere il provvedimento del GIP, il sequestro preventivo può essere disposto con proprio decreto dal PM, ed addirittura possono procedervi di loro iniziativa anche ufficiali di PG, salva la necessaria trasmissione allo stesso PM del relativo verbale entro 48 ore. In tali ipotesi il sequestro perde efficacia qualora entro le successive 48 ore (dal sequestro o, rispettivamente, dalla ricezione del verbale) il PM non ne ha richiesto la convalida al giudice, ovvero qualora il giudice non emetta il provvedimento di convalida entro 10 gg da tale richiesta (321 commi 3bis e 3ter). La misura viene invece revocata dal giudice, su richiesta del PM o dell’interessato, ovvero, durante le indagini preliminari, dallo stesso PM (321,3), quando viene accertata l’insussistenza delle esigenze di prevenzione che l’avevano giustificata. Con riguardo, infine, alla perdita d’efficacia del sequestro preventivo conseguente alla pronuncia di determinate sentenze (323),vanno sottolineate 2 specifiche previsioni relative al fenomeno della conversione del medesimo in altre figure di sequestro: 1) da un lato, ci si riferisce all’ipotesi di conversione del sequestro preventivo in sequestro probatorio, tutte le volte in cui il primo, avendo avuto per oggetto più esemplari identici della cosa sequestrata (c.d. sequestro di massa), abbia perso efficacia a seguito di una sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, poi impugnata dal PM: in tali casi, ove la cosa 37 presenti nondimeno interesse probatorio, il giudice ordinerà il mantenimento del sequestro a tale scopo probatorio su un solo esemplare della cosa, disponendo la restituzione degli altri esemplari (323,2); 2) d’altro lato, ci si riferisce all’ipotesi di conversione conseguente alla pronuncia di una sentenza di condanna, ovviamente quando non sia stata disposta la confisca delle cose sequestrate in via preventiva, nel qual caso dovranno rimanere fermi gli effetti del sequestro (323,3). All’infuori di tale caso, e sempreché non permanga l’esigenza cautelare ex 321, dovrà essere ordinata la restituzione di tali cose, ma il giudice potrà disporre la conversione del sequestro preventivo in sequestro conservativo, ove ne sussistano i presupposti – e naturalmente sulle cose appartenenti all’imputato o al responsabile civile - dietro richiesta del PM o della parte civile (323,4): sia nell’ipotesi di sentenza di condanna, sia nell’ipotesi di sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, in quanto soggette ad impugnazione. Si tenga presente, in ogni caso, il diverso fenomeno della conversione del sequestro penale in una delle due figure di sequestro cautelare, quale risulta dalla disciplina dettata in via ordinaria per la restituzione delle cose sequestrate a fini probatori, quando si profili una situazione idonea ad integrare i presupposti del sequestro conservativo o del sequestro preventivo (262 e 263). Più precisamente si prevede che, una volta maturate le premesse per tale restituzione, essa tuttavia non debba venire disposta, allorché sussistano ai sensi degli artt. 316 e 321 gli estremi per l’adozione di una misura cautelare reale: in ipotesi del genere giudice, anziché provvedere alle restituzione delle cose sequestrate, dovrà ordinare che il sequestro sia mantenuto a titolo di sequestro conservativo (262,2) ovvero, a seconda dei casi, di sequestro preventivo (262,3). C. Per quanto invece riguarda il sistema dei rimedi contro i provvedimenti di sequestro, esso fa perno anzitutto sullo strumento del riesame di fronte al tribunale in composizione collegiale sia contro l’ordinanza di sequestro conservativo (318), sia contro il decreto di sequestro preventivo (322), dopo che analoga previsione era già stata dettata con riferimento al decreto di sequestro per finalità probatorie (257 e 355 commi 3 e 4). Tuttavia, la richiesta di riesame non sospende l’esecuzione del provvedimento di sequestro. In tutti questi casi, il procedimento di riesame è delineato dall’art. 324 sulla falsariga di quello descritto nell’art. 309 in materia di misure di coercizione personale, ivi compresi i meccanismi del contraddittorio richiamati attraverso il rinvio alle forme dell’art. 127, e con l’ulteriore particolarità rappresentata dall’espressa previsione del deposito degli atti nella cancelleria del tribunale “in composizione collegiale” competente su base provinciale, ancorché senza esplicito riferimento al diritto del difensore (che comunque non dovrebbe essergli negato) di esaminarli e di estrarne copia. Da notare poi che, nel caso di contestazione sulla proprietà delle cose sequestrate, il giudice del riesame dovrà rimettere la decisione della controversia al giudice civile, mantenendo nel frattempo fermo il sequestro. Quanto agli aspetti procedurali, converrà sottolineare come tra le disposizioni richiamate dall’art. 324,7 vi siano anche quelle dell’art. 309 commi 9, 9bis e 10: donde l’interrogativo se il richiamo all’art. 309 vada riferito alla versione originaria della norma, ovvero se agli odierni commi 9 e 10 debbano ritenersi richiamati nella loro interezza, cioè anche con riferimento alle previsioni inserite nella norma in oggetto dopo il varo del codice (ci si riferisce, per un verso, alla previsione dell’annullamento dell’ordinanza per vizio di motivazione, e, per altro verso all’ipotesi di caducazione
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved