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Compendio Procedura Penale - Conso, Grevi, Sintesi del corso di Diritto Processuale Penale

Compendio Procedura Penale - Conso, Grevi

Tipologia: Sintesi del corso

2013/2014

Caricato il 10/01/2014

tone86
tone86 🇮🇹

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Scarica Compendio Procedura Penale - Conso, Grevi e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Processuale Penale solo su Docsity! CAPITOLO 1 – SOGGETTI 1. PREMESSA Il libro I del codice, relativo ai “soggetti”, si apre con un titolo dedicato al giudice. Negli altri 6 titoli vengono presi in considerazione: il PM, la polizia giudiziaria, l’imputato, la parte civile con il responsabile civile e il civilmente obbligato per la pena pecuniaria, la persona offesa e il difensore. Si deve poi distinguere tra soggetto e parte, in quanto quest’ultima qualifica spetta solo a chi vanta il diritto ad una decisione giurisdizionale in relazione ad una pretesa fatta valere nel processo, e quindi solo al PM, l’imputato e la parte civile. 2. LA GIURISDIZIONE PENALE Solamente il giudice può essere titolare di funzioni giurisdizionali penali. Il valido esercizio della funzione giurisdizionale è condizionato dalla ritualità dell’investitura a giudice; infatti, l’art. 178 cpp stabilisce che, a pena di nullità, è sempre prescritta l’osservanza delle disposizioni riguardanti: a. Le condizioni di capacità del giudice; b. Il numero dei giudici necessario per costituire i collegi stabilito dalle leggi di ordinamento giudiziario. Non sono considerate attinenti alla capacità del giudice le disposizioni sulla sua destinazione agli uffici, sulla formazione dei collegi e sulla assegnazione dei processi a sezioni, collegi e giudici. L’ultima di queste 3 categorie tratta di una questione inerente alla distribuzione delle cause tra giudici parimenti legittimati all’esercizio della funzione giurisdizionale. L’assegnazione degli affari è operata dal dirigente dell’ufficio alle singole sezioni, e dal presidente della sezione ai singoli collegi o giudici sulla base di criteri predeterminati indicati dal CSM. Le disposizioni sulla formazione dei collegi riguardano: a. Le disposizioni che regolano la composizione dell’organo giudicante nel caso di assegnazione di un numero di giudici superiore a quello necessario per la costituzione dell’ufficio; b. Le disposizioni sulle supplenze e applicazioni. Infine, per quanto attiene alle disposizioni sulla destinazione del giudice all’ufficio, esse sono riconducibili al concetto di capacità. L’unico attributo rilevante ai fini di un’eventuale incapacità del giudice è quello della qualifica richiesto per l’esercizio delle funzioni giudiziarie che è chiamato a svolgere, la mancanza della quale da origine ad una nullità assoluta. La soppressione dell’ufficio del pretore è stata compensata dalla possibilità per il tribunale di giudicare in 2 diverse composizioni: collegiale (cioè con 3 componenti) oppure monocratica. 3. PROFILI ORDINAMENTALI Importante è la distinzione tra giudici ordinari, giudici speciali e giudici straordinari. La Cost. vieta l’istituzione di giudici straordinari o speciali, mentre ammette l’istituzione di giudici specializzati (ad es. il tribunale dei minorenni) in ragione dello specifico oggetto della loro giurisdizione. Sono esclusi dal divieto solo 2 giudici speciali: a. I tribunali militari, riguardo ai reati militari commessi da appartenenti alle forze armate; b. La Corte Costituzionale, nella particolare composizione che risulta dall’art. 135.7 Cost., riguardo alle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica per alto tradimento o per attentato alla Costituzione. La categoria dei giudici ordinari comprende: a. Giudice di pace: onorario e monocratico; b. Giudice per le indagini preliminari: monocratico; c. Giudice dell’udienza preliminare: monocratico. Con riguardo ad esso, per evitare condizionamenti derivanti dalle attività compiute nel corso delle indagini preliminari, è previsto che debba essere diverso da quello che ha svolto le funzioni di gip. Al fine di assicurare un’elevata qualificazione professionale dei gup e l’intento di creare le premesse per la loro terzietà, è stata fissata la regola della temporaneità delle funzioni. Qualora dopo 6 anni sia in corso il compimento di un atto, libero convincimento del giudice. Infine, i processi penali nei confronti del Presidente della Repubblica, del Presidente della Camera o del Senato e del Presidente del Consiglio sono sospesi dalla data di assunzione sino alla cessazione della carica o della funzione, anche se relativi a fatti antecedenti l’assunzione della carica o funzione. 5. LA COMPETENZA: PER MATERIA, PER TERRITORIO E PER CONNESSIONE La disciplina della competenza consiste nell’insieme di regole giuridiche che consentono la distribuzione, orizzontale e verticale, delle questioni penali, in modo tale che risulti predeterminato il giudice legittimato a conoscere di ogni procedimento. Con riguardo alla competenza per materia, bisogna anzitutto dire che il codice ha operato la suddivisione tenendo conto sia del tipo di reato (criterio qualitativo), sia del livello della pena edittale (criterio quantitativo). L’art. 4 dispone che bisogna tener conto del massimo della pena stabilito dalla legge per ogni reato consumato o tentato, mentre bisogna escludere l’incidenza della continuazione, della recidiva e delle circostanze del reato, salvo si tratti delle aggravanti per le quali la legge prevede una pena di specie diversa o di quelle ad effetto speciale. Alla corte d’assise sono affidati: a. I delitti puniti con l’ergastolo o con la reclusione non inferiore nel massimo a 24 anni, eccezion fatta per i delitti di tentato omicidio, di rapina e di estorsione, nonché i delitti di sequestro di persona a scopo di estorsione; b. I delitti consumati di omicidio del consenziente, istigazione o aiuto al suicidio, omicidio preterintenzionale; c. Ogni delitto doloso da cui sia derivata la morte di una o più persone, escluse le ipotesi di morte come conseguenza non voluta di altro reato, di morte avvenuta in seguito a rissa e di morte derivante da omissione di soccorso; d. I delitti di riorganizzazione del partito fascista, di genocidio e quelli contro la personalità dello Stato puniti con pena non inferiore nel massimo a 10 anni. Per quanto riguarda il tribunale, la sua competenza si ricava per sottrazione rispetto ai reati di competenza della corte d’assise o del giudice di pace. Nella competenza per territorio la regola fondamentale è quella del luogo in cui il reato è stato consumato. Ad essa il legislatore fa seguire: a. Altre regole di carattere generale che derogano al criterio del locus commissi delicti in ragione della particolare configurazione della fattispecie delittuosa. Tali ipotesi sono quelle del reato che abbia cagionato la morte di una o più persone, del reato permanente e del delitto tentato. Nel primo caso si è preferito radicare la competenza nel luogo in cui è avvenuta l’azione o omissione. Nelle altre 2 ipotesi si è optato, rispettivamente, per il criterio del luogo in cui ha avuto inizio la consumazione anche se dal fatto è derivata la morte di una o più persone, e per il criterio del luogo in cui è stato compiuto l’ultimo atto diretto a commettere il reato; b. Talune regole suppletive che consentono di individuare il giudice territorialmente competente quando non sia possibile ricorrere alle regole generali. Prioritario è il criterio del luogo in cui è avvenuta una parte dell’azione o omissione; seguono il criterio della residenza, della dimora e del domicilio dell’imputato; ed infine quello del luogo in cui ha sede l’ufficio del PM che ha provveduto per primo ad iscrivere la notizia di reato. In 2 casi il codice stesso ha creato regole ad hoc: a. Una prima deroga riguarda i procedimenti relativi ai delitti di mafia, schiavitù, tratta di persone e sequestro per estorsione. In tal caso le funzioni di gip, nonché quelle di gup, sono esercitate da un magistrato appartenente al tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente; b. La seconda deroga nasce dal presupposto dell’esistenza di un procedimento in cui un magistrato assuma il ruolo di imputato o di persona offesa, e che sia di competenza di un ufficio giudiziario ricompreso nel distretto di corte d’appello in cui lo stesso magistrato esercita le proprie funzione o le esercitava al momento del fatto. In questi casi la competenza spetta al giudice, ugualmente competente per materia, che ha sede nel capoluogo del distretto di corte d’appello determinato dalla legge, sulla base di una tabella incentrata sul criterio della circolarità. La competenza per connessione comporta il confluire davanti ad un unico giudice di procedimenti riservati a giudici diversi. La connessione si ha: a. Se il reato per il quale si procede è stato commesso da più persone in concorso o in cooperazione tra loro, ovvero se più persone, con condotte indipendenti, hanno determinato l’evento; b. Se una persona è imputata di più reati commessi con una sola azione od omissione (concorso formale) ovvero con più azioni od omissioni esecutive di uno stesso disegno criminoso (reato continuato); c. Se dei reati per cui si procede taluni sono stati commessi per eseguire o per occultare gli altri. Secondo la normativa vigente, la riunione può essere disposta quando i processi pendenti sono connessi ai sensi dell’art. 12, nonché quando sono relativi ai reati dei quali alcuni sono stati commessi in occasione di altri, o per conseguirne o assicurarne al colpevole o ad altri il profitto, o che sono stati commessi da più persone in danno reciproco le une dalle altre, ovvero se la prova di un reato influisce sulla prova di un altro reato. Se alcuni dei processi da riunire pendono innanzi alle due diverse composizioni di uno stesso tribunale, viene disposto l’accorpamento in capo al tribunale in composizione collegiale, che si pronuncerà su tutte le cause anche nell’eventualità in cui esse siano oggetto di un successivo provvedimento di separazione. La separazione è prevista per una serie di ipotesi accomunate dal fatto che per taluni imputati o talune imputazioni si versa in una situazione di attesa, mentre per altri imputati o per altre imputazioni è possibile l’immediata trattazione. Si deve procedere alla separazione anche quando viene disposta la sospensione del procedimento; oppure quando, in seguito all’incolpevole assenza in udienza preliminare o in dibattimento di un imputato o del suo difensore, bisogna rinnovare a favore dell’uno o dell’altro la citazione o l’avviso. Un’ultima ipotesi di separazione è stata introdotta nei casi in cui il processo abbia come protagonisti uno o più imputati chiamati a rispondere di reati di estrema gravità, e sempre che tali imputati siano prossimi ad essere rimessi in libertà per scadenza dei termini massimi di custodia cautelare. La separazione può essere altresì disposta in base ad un accordo tra le parti, purché il giudice la reputi utile dal punto di vista della speditezza. La separazione è esclusa quando il giudice ritiene che la riunione sia assolutamente necessaria per l’accertamento dei fatti. Riunione e separazione sono sempre disposte con ordinanza. 9. I PROCEDIMENTI DI VERIFICA DELLA GIURISDIZIONE E DELLA COMPETENZA Il difetto di giurisdizione è ravvisabile sia quando un giudice ordinario si ritiene competente in ordine ad un reato su cui dovrebbe pronunciarsi un giudice speciale, sia quando nessun giudice penale è fornito della potestà giurisdizionale relativamente ad una determinata fattispecie. Esso può essere rilevato, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del procedimento: a. Se è rilevato nel corso delle indagini preliminari, il giudice provvede con ordinanza e dispone la restituzione degli atti al PM; b. Dopo la chiusura delle indagini preliminari e in ogni stato e grado del processo, il giudice pronuncia sentenza e ordina, salva l’ipotesi di un difetto assoluto di giurisdizione, che gli atti vengano trasmetti all’autorità competente. Per quanto riguarda l’incompetenza, occorre distinguere tra: a. Incompetenza per materia, rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo; b. Incompetenza per territorio e per connessione, rilevabile o eccepibile, a pena di decadenza, prima della conclusione dell’udienza preliminare, ovvero subito dopo il primo accertamento di costituzione delle parti (ex art. 491.1). Vi sono 2 situazioni che comportano una deroga all’ordinario regime dell’incompetenza per materia: a. La prima ricorre quando il giudice conosce di un reato che appartiene alla cognizione di un giudice inferiore (incompetenza per eccesso); in questo caso l’incompetenza deve essere rilevata d’ufficio o eccepita entro il termine stabilito dall’art. 491.1; b. La seconda concerne l’ipotesi dell’incompetenza per materia derivante da connessione, che deve essere rilevata o eccepita, a pena di decadenza, entro gli stessi termini stabiliti per l’incompetenza per territorio. Gli artt. 22- ‐25 definiscono la forma e gli effetti del provvedimento con cui viene dichiarata l’incompetenza: a. Nel corso delle indagini preliminari, il giudice pronuncia ordinanza e dispone la restituzione degli atti al PM; b. Dopo la chiusura delle indagini preliminari e in sede di dibattimento di primo grado, il giudice pronuncia sentenza e ordina la trasmissione degli atti al PM presso il giudice competente; c. In grado d’appello, se il giudice rileva che su un reato di competenza della corte d’assise ha giudicato il tribunale, oppure che su un reato di competenza del tribunale ha giudicato il giudice di pace, pronuncia sentenza di annullamento e ordina la trasmissione degli atti al PM presso il giudice di primo grado; nell’ipotesi inversa, pronuncia invece nel merito, anche quando l’eccezione di incompetenza sia stata riproposta con i motivi d’appello. Con riferimento all’incompetenza per territorio o per connessione, è prevista la pronuncia di una sentenza di annullamento da parte del giudice d’appello e la trasmissione degli atti, rispettivamente, al PM presso il giudice di primo grado e direttamente a quest’ultimo; d. Nel giudizio innanzi alla corte di cassazione, quest’ultima è tenuta a dichiarare, anche d’ufficio, l’incompetenza per materia derivante dall’avere un tribunale giudicato un reato di competenza della corte d’assise; può essere eventualmente dichiarata anche l’incompetenza per territorio o per connessione, purché la relativa eccezione sia stata riproposta nei motivi del ricorso per cassazione. La decisione della corte di cassazione sulla giurisdizione o sulla competenza è vincolante nel corso del processo, ma può essere superata solo quando risultano nuovi fatti che implicano la modificazione della giurisdizione o della competenza del giudice superiore. Il mancato rispetto delle norme sulla competenza non determina l’inefficacia delle prove acquisite (principio della conservazione degli atti), con la sola parziale eccezione delle dichiarazioni rese al giudice incompetente per materia che, se ripetibili, possono essere usate solo in sede di udienza preliminare. Le misure cautelari disposte da un giudice incompetente cessano di avere efficacia se entro 20 gg. dall’ordinanza di trasmissione degli atti al giudice competente non sono confermate da quest’ultimo. Il conflitto tra giudici si determina quando 2 o più giudici contemporaneamente prendono (conflitto positivo) o rifiutano di prendere (conflitto negativo) cognizione del medesimo fatto attribuito alla stessa persona. Si può avere: a. Conflitto di giurisdizione, quando il contrasto intercorre tra uno o più giudici ordinari e uno o più giudici speciali; b. Oppure conflitto di competenza, quando sono coinvolti due o più giudici ordinari. Di fronte all’impossibilità di stabilire preventivamente un elenco esaustivo delle varie ipotesi di conflitto, il legislatore ha fatto ricorso alla categoria dei conflitti “analoghi”. Il procedimento di conflitto nasce in seguito ad una “denuncia” di parte, privata o pubblica, o ad una “rilevazione” d’ufficio del giudice. Esso non comporta la sospensione del processo in corso ed è risolto dalla corte di cassazione con sentenza in camera di consiglio. Quindi, il conflitto cessa: a. O per effetto dell’iniziativa di uno dei giudici che dichiari la propria competenza, in caso di conflitto negativo, o la propria incompetenza, in caso di conflitto positivo; b. Oppure bisogna attendere la sentenza vincolante della corte di cassazione. 10. IL CONTROLLO SUL CORRETTO RIPARTO DI “ATTRIBUZIONI” FRA TRIBUNALE MONOCRATICO E TRIBUNALE COLLEGIALE L’inosservanza delle disposizioni sull’attribuzioni di un reato ad una determinata composizione del tribunale deve essere rilevata o eccepita, a pena di decadenza, prima della conclusione dell’udienza preliminare ovvero, nei processi in cui si prescinde da tale udienza, entro il termine previsto dall’art. 491.1. la relativa regolamentazione ricalca quella sull’incompetenza per territorio e per connessione. convenienza; b. e, viceversa, non costituisce motivo di astensione la manifestazione indebita da parte del giudice, nell’esercizio delle sue funzioni e prima che sia pronunciata sentenza, del proprio convincimento sui fatti oggetto dell’imputazione. Oltre che nell’ipotesi sopra richiamata, ha l’obbligo di astenersi il giudice che abbia interesse nel procedimento; che sia tutore, curatore, procuratore o datore di lavoro di una delle parti private ovvero che sia prossimo congiunto del difensore, procuratore o curatore di una delle parti; che abbia dato consigli o manifestato il suo parere sull’oggetto del procedimento fuori dell’esercizio delle funzioni giudiziarie; che sia in rapporto di grave inimicizia con una delle parti private. È ulteriormente previsto l’obbligo di astensione (e la ricusabilità del giudice) quando alcuno dei prossimi congiunti del giudice o del coniuge è offeso, danneggiato dal reato o parte privata; quando un prossimo congiunto svolge o ha svolto nello stesso procedimento funzioni di PM. Dal punto di vista del procedimento: a. per l’astensione si prevede la presentazione di una dichiarazione di astensione al presidente della corte o del tribunale, il quale decide con decreto senza formalità di procedura; b. per la ricusazione, il procedimento inizia con la presentazione della dichiarazione nella cancelleria del giudice competente. Da tale presentazione scatta il divieto per il giudice ricusato di pronunciare sentenza fino a che non sia intervenuta l’ordinanza di inammissibilità o di rigetto della dichiarazione stessa. Il tribunale, o la corte, competente a decidere sulla ricusazione pronuncia ordinanza d’inammissibilità, oltre che per mancanza di legittimazione soggettiva e per inosservanza di forme e termini, anche per manifesta infondatezza dei motivi addotti. Su tale ordinanza è ammesso il ricorso per cassazione. Superata la fase dell’ammissibilità, la corte decide, in camera di consiglio, sul merito della ricusazione e può disporre che il giudice ricusato sospenda temporaneamente ogni attività processuale o si limiti al compimento degli atti urgenti. L’unico divieto posto a carico del giudice ricusato è quello di pronunciare sentenza. Il giudice chiamato a decidere sull’astensione o sulla ricusazione ha il potere di dichiarare quali atti precedentemente compiuti dal giudice astenutosi o ricusato conservino efficacia. Con l’ordinanza che dichiara inammissibile o rigetta la dichiarazione di ricusazione, la parte privata che l’ha proposta può essere condannata al pagamento di una pena pecuniaria a favore della cassa delle ammende. 12. LA RIMESSIONE DEL PROCESSO La rimessione del processo consiste nel suo spostamento da una sede ad un’altra in presenza di turbative ambientali che possono comprometterne il regolare svolgimento, al fine di salvaguardare l’imparzialità di chi giudica. La l. n. 248/2002 ha ampliato i casi di rimessione, infatti: a. Per un verso, è rimasta invariata la previgente normativa incentrata sul nesso causale che deve intercorrere tra le gravi turbative locali e il conseguente pregiudizio alla libera determinazione delle persone che partecipano al processo, ovvero alla sicurezza o all’incolumità pubblica; b. Per un altro verso, si è ampliata la precedente casistica, ammettendo la rimessione del processo anche nell’ipotesi in cui le gravi turbative determinino motivi di legittimo sospetto. Dall’art. 45 si ricava che la rimessione può essere richiesta in ogni stato e grado del processo di merito dall’imputato, dal procuratore generale presso la corte d’appello e dal PM presso il giudice procedente. La richiesta di rimessione proveniente dall’imputato deve essere, a pena di inammissibilità, sottoscritta da lui personalmente o da un suo procuratore speciale e, dopo essere stata depositata nella cancelleria del giudice unitamente ai documenti che la giustificano, va notificata, entro 7 gg., a cura del richiedente alle altre parti. Dopo il deposito, la richiesta e la relativa documentazione sono immediatamente trasmesse alla corte di cassazione ad opera del giudice procedente, il quale può anche formulare proprie osservazioni aggiuntive. In seguito alla presentazione della richiesta, il giudice procedente può disporre la sospensione del processo fino a che non sia intervenuta l’ordinanza di inammissibilità o di rigetto. Lo stesso può fare la corte di cassazione. Qualora l’iter del processo non sia stato interrotto, è prevista comunque la sua sospensione obbligatoria, rispetto alla quale funge da necessaria premessa la comunicazione, da parte della corte di cassazione, che, non avendo il presidente della corte rilevato alcuna causa di inammissibilità, è avvenuta l’assegnazione della richiesta ad una delle altre sezioni della corte, oppure alle sezioni unite. In seguito a tale comunicazione, il giudice procedente deve sospendere il processo prima delle conclusioni (in sede di udienza preliminare) o della discussione ( in sede dibattimentale), ed è preclusa sia la pronuncia del decreto che dispone il giudizio, sia della sentenza. Tale sospensione dura sino a quando non viene pronunciata l’ordinanza della corte che dichiara inammissibile o rigetta la richiesta. Durante la sospensione, restano sospesi i termini della prescrizione del reato e, se la richiesta proviene dall’imputato, anche i termini di durata massima della custodia cautelare. La corte di cassazione decide con ordinanza, che può essere di inammissibilità, di rigetto o di accoglimento: in quest’ultima ipotesi l’ordinanza, che contiene l’indicazione del nuovo giudice, è immediatamente comunicata al giudice designato e al giudice originariamente competente, il quale è tenuto a trasmettere al primo gli atti del processo. Inoltre, quando la corte rigetta, può condannare l’imputato al pagamento di una somma a favore della cassa ammende. Il giudice designato procede alla rinnovazione degli atti quando una delle parti ne faccia richiesta con due sole eccezioni: a. Da un lato, l’ipotesi che si tratti di atti irripetibili; c. Nel caso di omessa presentazione, nei termini prefissati, della richiesta di archiviazione ovvero di omesso esercizio dell’azione penale. Una particola ipotesi è quella del procuratore generale che, assunte le necessarie informazioni, dispone, con decreto motivato, l’avocazione delle indagini preliminari per una serie di delitti di criminalità organizzata quando, trattandosi di indagini collegate, non risulti effettivo il coordinamento tra i diversi uffici e non abbiano dato esito le riunioni disposte o promosse dal procuratore generale. In aggiunta al vincolo del decreto motivato, si prevede che copia del provvedimento con cui il procuratore generale presso la corte d’appello dispone l’avocazione delle indagini preliminari è sempre trasmessa al CSM ed ai procuratori della Repubblica interessati. Ciò consente a questi ultimi di proporre reclamo al procuratore generale presso la corte di cassazione, il quale, se accoglie il reclamo, revoca il decreto di avocazione e dispone la restituzione degli atti. Gli effetti dell’avocazione perdurano durante l’intero processo di primo grado. Se il PM ritiene che la competenza a conoscere il reato spetti ad un giudice diverso da quello presso cui esercita le sue funzioni, trasmette tempestivamente gli atti all’ufficio del PM presso il giudice competente. L’ufficio che ha ricevuto gli atti, ove dissenta, demanda la risoluzione del contrasto negativo al procuratore generale presso la corte d’appello o a quello presso la corte di cassazione, qualora appartenga ad un diverso distretto, trasmettendogli tutti gli atti del procedimento. Gli atti compiuti prima della trasmissione o della designazione conservano l’efficacia che è loro propria. Regole in parte analoghe valgono nel caso di contrasto positivo. Quando il PM procedente riceve notizia che presso un altro ufficio sono in corso indagini preliminari, ne informa il PM presso quest’ufficio, richiedendogli la trasmissione degli atti. A sua volta, il PM che ha ricevuto la richiesta, ove non ritiene di aderirvi, ne informa il procuratore generale presso la corte d’appello ovvero quello presso la corte di cassazione. Assunte le necessarie informazioni, il procuratore generale determina con decreto motivato quale ufficio debba procedere. Quando invece 2 gip sono investiti contemporaneamente di una richiesta relativa al medesimo fatto, si verifica un conflitto positivo di competenza che sarà risolto dalla corte di cassazione. È previsto poi un controllo sulla legittimazione del PM a svolgere le indagini preliminari con riguardo alla competenza per territorio e per connessione, proponibile dalla persona sottoposta alle indagini, dalla persona offesa, nonché dai rispettivi difensori. La richiesta di trasmettere gli atti al giudice competente è depositata presso la segreteria del PM procedente, a pena di inammissibilità, corredata delle ragioni poste a sostegno dell’indicazione del diverso ritenuto competente. Il PM, entro 10 gg., deve o accogliere la richiesta, trasmettendo gli atti al PM istituito presso il giudice ritenuto competente, o di rigettarla. In quest’ultimo caso, il richiedente può ancora investire della questione, nei successivi 10 gg., il procuratore generale presso la corte d’appello o presso la corte di cassazione. Nel termine di 20 gg. dal deposito della richiesta il procuratore generale provvede con decreto motivato dandone comunicazione al richiedente e agli uffici interessati. La richiesta non può essere riproposta salvo che si fondi su fatti nuovi e diversi. 15. L’ASTENSIONE L’astensione, non è obbligatoria sotto il profilo processuale, si fonda su gravi ragioni di convenienza, presuppone una dichiarazione motivata, ed è decisa dal capo dell’ufficio o dal procuratore generale presso la corte d’appello o presso la corte di cassazione, se riguarda i capi degli uffici. La sostituzione è effettuata con un magistrato appartenente al medesimo ufficio, ma tale regole è derogabile quando si tratta del capo dell’ufficio, nel qual caso può essere designato un altro magistrato del pubblico ministero appartenente ad un diverso ufficio, ugualmente legittimato per materia. 16. I RAPPORTI ALL’INTERNO DELL’UFFICIO Ogni ufficio del pubblico ministero si compone del titolare e di uno o più magistrati addetti all’ufficio (sostituti procuratori). Nelle procure della Repubblica presso i tribunali ordinari possono essere istituiti posti di procuratore aggiunto in proporzione all’organico dell’ufficio. Alle procure presso le sezioni distaccate delle corti d’appello sono poi preposti avvocati generali alla dipendenza del procuratore generale. I titolari dirigono gli uffici e ne organizzano l’attività, secondo i criteri di buon andamento ed imparzialità che ispirano il funzionamento della PA. Esercitano poi essi stessi le funzioni di PM, quando non designano uno o più tra gli altri magistrati dell’ufficio; inoltre può anche procedere ad una designazione congiunta in considerazione del numero degli imputati o della complessità delle indagini o del dibattimento. Il PM esercita le sue funzioni in piena autonomia nell’udienza, anche se ciò non toglie che il capo dell’ufficio può impartire direttive sulle premesse dell’udienza. Tale autonomia comporta che le cause di sostituzione sono circoscritte, le quali possono essere ricondotte a 3 distinti gruppi: a. Un primo gruppo comprende le cause che consentono una valutazione discrezionale da parte del capo dell’’ufficio; b. Un secondo concerne alcune situazioni in presenza delle quali il giudice sarebbe obbligato ad astenersi; c. Un terzo riguarda la sostituzione effettuata col consenso del magistrato interessato. nella fase delle indagini preliminari, il PM gode di una certa autonomia, tuttavia il capo dell’ufficio può fissare regole generali per la miglior efficienza dell’ufficio, nonché dettare singole direttive. Il magistrato che non si adegui a tale disposizioni può essere sostituito con un provvedimento motivato, salvo il potere dello stesso magistrato di chiedere di essere sostituito. Infine, solo il procuratore della Repubblica può intrattenere, personalmente o per il tramite di un magistrato dell’ufficio appositamente delegato, rapporti con i mass- ‐media. 17. UFFICI DEL PM DISTRETTUALE Sono stati introdotti una serie di deroghe alla divisione del lavoro e sui rapporti tra gli uffici del PM al fine di creare una sorta di procedimento speciale per i reati di associazione mafiosa, di sequestro di persona a scopo estorsivo e di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. Il proposito di potenziare l’ufficio del PM con riguardo a tali reati si è concretizzato nell’art. 3 d.l. n. 90/2008, contenente misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza rifiuti in Campania e ulteriori disposizioni di protezione civile. In particolare, il comma 1 di tale art. assegna le funzioni di PM nelle indagini preliminari e nei procedimenti di primo grado al procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli, con riferimento ai reati sulla gestione rifiuti e in materia ambientale in Campania, nonché a quelli ad essi connessi. Nei casi in cui tali procedimenti concernono la criminalità organizzata, il comma 3 attribuisce al procuratore generale presso la corte d’appello di Napoli poteri di designazione del PM per le udienze dibattimentali. Per tutti i reati indicati dall’art. 51 commi 3- ‐bis, 3- ‐quater e 3- ‐quinquies le funzioni di PM nelle indagini preliminari e nei procedimenti di primo grado sono attribuite all’ufficio sito presso il tribunale del capoluogo del distretto di corte d’appello. Il procuratore della Repubblica presso quest’ultimo costituisce una direzione distrettuale antimafia per la trattazione dei procedimenti relativi ai reati di associazione mafiosa, designando i magistrati che devono farne parte per almeno 2 anni, inoltre, può anche essere istituito un posto di procuratore aggiunto per ragioni riguardanti lo svolgimento dei compiti della direzione distrettuale. b. I carabinieri; c. Le guardie di finanza; d. Gli agenti di polizia penitenziaria; e. le guardie forestali; f. le guardie delle province e dei comuni, ma solo nell’ambito territoriale dell’ente di appartenenza e limitatamente al tempo nel quale sono in servizio. Il personale delle DIA è investito, oltre che delle funzioni di investigazione preventiva attinente alla criminalità organizzata, anche del compito di effettuare indagini di polizia giudiziaria relative esclusivamente a delitti di associazione mafiosa e comunque ricollegabili all’associazione stessa. 19. L’ORGANIZZAZIONE DELLA POLIZIA GIUDIZIARIA E LA SUA DIPENDENZA FUNZIONALE DALL’ATTIVITA’ GIUDIZIARIA Anche se tutte le funzioni di polizia giudiziaria sono sempre svolte alla dipendenza e sotto la direzione dell’autorità giudiziaria, il legame che si instaura con la medesima è variabile. L’art. 56 individua una triplice struttura: a. La prima concerne i servizi di polizia giudiziaria previsti dalla legge, la quale prevede la loro istituzione e organizzazione da parte del dipartimento di pubblica sicurezza. In determinate regioni e per particolari esigenze, tali strutture possono poi essere costituite in servizi interforze. Infine sono state introdotte unità antiterrorismo per le indagini sui delitti di terrorismo di rilevante gravità; b. La seconda riguarda le sezioni di polizia giudiziaria, istituite presso ogni procura della Repubblica per garantire uno stretto rapporto con l’organo che dirige le indagini preliminari. Le sezioni sono composte da ufficiali ed agenti della Polizia di Stato, dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza. Il personale delle sezioni non deve poi essere inferiore al doppio dei magistrati della procura della Repubblica presso il tribunale, ed il rapporto numerico tra ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria è stabilito in due terzi; c. La terza riguarda, infine, i restanti ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, tenuti per legge a compiere indagini a seguito di una notizia di reato. 20. I RAPPORTI DI SUBORDINAZIONE Anche l’autorità giudiziaria è investita di una serie di poteri di natura tipicamente gerarchica. Le sezioni si pongono in un rapporto di subordinazione nei confronti del procuratore della Repubblica che dirige l’ufficio presso cui sono istituite e, al fine di evitare interferenze con l’amministrazione di appartenenza, è fatto divieto di distogliere gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria dalla loro attività se non per disposizione del magistrato dal quale dipendono. L’esclusiva destinazione a compiti di polizia giudiziaria può essere derogata solo in casi eccezionali o per necessità di istruzione o di addestramento, e sempre previo consenso del capo dell’ufficio. Nei confronti dei servizi, gli ordini dell’autorità giudiziaria sono mediati dalle gerarchie amministrative; pertanto, la responsabilità personale investe unicamente l’ufficiale preposto al servizio. La condotta degli altri ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria appartenenti al servizio che contrasti con i rispettivi doveri funzionali è, invece, valutata in sede disciplinare e, se ne ricorrono gli estremi, in quella penale. Vi è, infine, l’obbligo di ottenere il consenso del procuratore della Repubblica presso il tribunale o del procuratore generale presso la corte d’appello per allontanare dalla sede o assegnare ad altri uffici i dirigenti dei servizi e di vincolare le promozioni dei dirigenti degli uffici al parere favorevole dei predetti magistrati. 21. L’IMPUTATO E LA PERSONA SOTTOPOSTA AD INDAGINI L’assunzione della qualità di imputato coincide con l’atto che contiene la formale individuazione della persona a cui un determinato fatto storico viene attribuito. L’art. 60 enumera difesa personale, l’interrogatorio è modellato in maniera idonea a garantire una partecipazione libera e cosciente da parte del soggetto. Assimilate all’interrogatorio sono infine le dichiarazioni rilasciate dalla persona sottoposta alle indagini a seguito della presentazione spontanea al PM. Nel corso dell’interrogatorio non possono essere usati metodi o tecniche idonei ad influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare le capacità mnemoniche o valutative. Prima che inizi l’interrogatorio, l’organo procedente ha l’obbligo di rivolgere alla persona interrogata un triplice avviso: a. Il soggetto deve essere edotto che le sue dichiarazioni potranno sempre essere usate nei suoi confronti; b. Deve essere avvertito che egli ha la facoltà di non rispondere ad alcuna domanda ma che, in ogni caso, il procedimento proseguirà il suo corso. Alla omissione di questi primi 2 avvisi la legge ricollega l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese; c. Infine, deve essere avvertito che se renderà dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri, in ordine a tali fatti assumerà l’ufficio di testimone. Al mancato avvertimento in discorso la legge ricollega una duplice sanzione: per un verso, la persona interrogata non potrà assumere, in ordine ai fatti riferiti riguardanti la responsabilità di altri, l’ufficio di testimone; per altro verso, le eventuali dichiarazioni contro altri non saranno utilizzabili nei confronti dei terzi coinvolti. Una volta che il soggetto abbia dichiarato di voler rispondere, vi è l’obbligo di contestargli in forma chiara e precisa il fatto attribuitogli, di rendergli noti gli elementi di prova a suo carico e di comunicargliene le fonti. Riguardo allo svolgimento dell’atto, la tecnica adottata è quella delle domande poste invia diretta dal solo organo procedente, il che vale anche per l’interrogatorio che l’imputato ha la facoltà di rendere in sede di udienza preliminare. 24. L’IDENTIFICAZIONE E L’ESISTENZA IN VITA DELL’IMPUTATO Nel primo atto del procedimento in cui è presente l’imputato, l’autorità giudiziaria lo invita a dichiarare le proprie generalità, ammonendolo sulle conseguenze nel caso di rifiuto o di generalità false; i medesimi inviti sono poi fatti dall’autorità giudiziaria alla persona sottoposta alle indagini. L’impossibilità di attribuire all’imputato le sue esatte generalità è irrilevante perché non pregiudica il compimento di alcun atto da parte della polizia giudiziaria o dell’autorità giudiziaria, purché sia certa l’identità fisica della persona. L’attribuzione di generalità erronee risulta essere alla stregua di un mero errore materiale, correggibile mediante il relativo procedimento in camera di consiglio. L’autorità giudiziaria, in ogni stato e grado del procedimento, deve comunicare a quella competente ai fini dell’applicazione della legge penale la circostanza che l’indagato è già stato segnalato come autore di reato commesso antecedentemente o successivamente a quello per il quale si procede, magari sotto diverso nome. Diverso è il profilo dell’identità fisica dell’imputato, che si sostanzia nella coincidenza tra la persona nei cui confronti è esercitata l’azione penale e quella che in effetti è assoggettata a processo. Tocca al PM, durante le indagini preliminari, disporre gli accertamenti del caso; se, invece, il dubbio sorge nel processo, le determinazioni saranno tratte dal gup o dal giudice del dibattimento. In caso di errore sull’identità fisica che risulti nel corso delle indagini preliminari, il PM può richiedere il decreto di archiviazione; se l’errore, invece, risulta nel processo, il giudice, sentiti il PM e l’imputato, pronuncia sentenza di non luogo a procedere. Quando l’autorità giudiziaria ritenga che l’imputato o la persona sottoposta alle indagini sia minorenne, trasmette gli atti al procuratore della Repubblica presso il tribunale minorile. In caso di incertezza sull’esistenza i vita dell’imputato, se il dubbio è risolto nel senso della morte, il PM nel corso delle indagini preliminari chiede l’archiviazione per estinzione del reato, mentre, nel corso del giudizio, il giudice proscioglie. La sentenza erroneamente dichiarativa dell’estinzione del reato per morte dell’imputato non impedisce un nuovo esercizio dell’azione penale per il medesimo fatto a carico della medesima persona. 25. INFERMITA’ MENTALE E PARTECIPAZIONE COSCIENTE Ogni persona fisica è titolare della capacità ad essere parte nel processo penale. Essa difetta negli infanti e negli immuni, da distinguersi in assoluti o relativi, a seconda che l’esenzione dalla giurisdizione valga per tutte le imputazioni o solo per alcune. Nozione distinta è quella della capacità processuale dell’imputato, ossia dell’idoneità ad esercitare i diritti e le facoltà ricollegati all’assunzione di tale qualità. In genere, la capacità processuale dell’imputato coincide con la sua capacità di essere parte, ma esistono alcune eccezioni, la più vistosa delle quali è rappresentata dall’ipotesi dell’infermità mentale dell’imputato sia antecedente che sopravvenuta al fatto costituente reato, il cui presupposto è commisurato sulla inidoneità del soggetto a partecipare coscientemente al processo. La valutazione sull’esistenza dell’infermità mentale dell’imputato non è necessariamente subordinata all’esito di un’indagine peritale disponibile anche d’ufficio, in quanto il giudice può convincersene anche sulla base di elementi ricavabili da perizie appena espletate o da manifestazioni conclamate. I termini per la presentazione della richiesta variano a seconda della fase processuale in cui è avvenuta la costituzione di parte civile: a. Se è avvenuta per l’udienza preliminare, va effettuata, in forma scritta fuori dell’udienza oppure oralmente in sede di udienza preliminare o dibattimentale, prima che siano terminati gli accertamenti di costituzione delle parti; b. Se, invece, è avvenuta nella fase degli atti preliminari al dibattimento o nel corso degli atti introduttivi del medesimo, la richiesta deve essere effettuata in sede di trattazione delle questioni preliminari. Una seconda ipotesi di esclusione della parte civile è quella disposta ex officio dal giudice, il quale può provvedervi fino all’apertura del dibattimento di primo grado. Si può anche verificare un recesso spontaneo del danneggiato che revoca la costituzione di parte civile: a. Nel caso di revoca espressa, che può avvenire in ogni stato e grado del procedimento e riguardare solo alcuni degli imputati, occorre una dichiarazione, resa personalmente o per mezzo di un procuratore speciale. Tale dichiarazione può avere forma orale, se fatta in udienza, o essere contenuta in un atto scritto; b. Le ipotesi di revoca tacita, o presunta, sono tassativamente previste dall’art. 82.2, che prevede, da un lato, la mancata presentazione, in sede di discussione dibattimentale, delle conclusioni e, dall’altro, la promozione dell’azione di danno davanti al giudice civile. c. La revoca della costituzione di parte civile non preclude il successivo esercizio dell’azione aquiliana nella sede propria. 27. I RAPPORTI TRA AZIONE CIVILE DA REATO E AZIONE PENALE L’art. 75.1 disciplina il trasferimento, nel processo penale, dell’azione civile. Il trasferimento è subordinato a 2 condizioni che riguardano, rispettivamente, lo stadio di progressione del giudizio a quo e quello del giudizio ad quem, per cui se, da un lato, l’attore è vincolato alla sua scelta iniziale dopo la pronuncia in sede civile di una sentenza di merito anche non definitiva, dall’altro, non è più consentito l’inserimento dell’azione civile nel processo penale dopo l’udienza preliminare e, successivamente, fino all’accertamento di costituzione delle parti. Niente, comunque, impedisce che l’azione di danno, esercitata in sede civile, proceda in assoluta autonomia rispetto al parallelo processo penale. Nell’ipotesi in cui il processo penale si concluda con una sentenza irrevocabile di condanna, il danneggiato può sfruttare nel giudizio civile l’efficacia di giudicato ad essa riconosciuto, mentre è esclusa l’efficacia di giudicato della sentenza assolutoria. Qualora l’azione in sede civile sia stata proposta dopo la sentenza penale di primo grado o dopo la precedente costituzione di parte civile nel processo penale, il processo civile rimane sospeso in attesa del giudicato penale, salve le eccezioni previste dalla legge, ossia quando: a. Il processo penale è stato sospeso per incapacità dell’imputato; b. Vi è stata esclusione della parte civile; c. La parte civile ha abbandonato il processo penale in seguito alla sua mancata accettazione del rito abbreviato; d. L’esodo della parte civile consegue alla pronuncia di una sentenza che applica la pena su richiesta delle parti; e. Il danneggiato, già costituitosi parte civile, esercitata l’azione civile in sede propria, dopo che il giudice penale ha dichiarato estinto il reato per intervenuta oblazione. 28. IL RESPONSABILE CIVILE Il danneggiato dal reato può agire per la restituzione e il risarcimento del danno anche nei confronti del responsabile civile, ossia dell’ente plurisoggettivo tenuto a rispondere per il fatto dell’imputato. Il responsabile civile può essere sia citato su richiesta della parte civile o del PM, sia intervenire volontariamente nel processo penale. La richiesta deve essere proposta al più tardi per il dibattimento. Il giudice procedente ordina la citazione con un decreto che deve contenere: a. Le generalità della parte civile; b. L’indicazione delle domande avanzate nei confronti del responsabile civile; c. l’invito a costituirsi; d. l’indicazione della data e del luogo dell’udienza; e. la data e le sottoscrizioni del giudice e dell’ausiliario. La citazione è nulla qualora, per omissione o erronea indicazione di qualche elemento essenziale, il responsabile civile non sia stato in grado di esercitare i suoi diritti nell’udienza preliminare o nel giudizio, ovvero qualora risulti nulla la relativa notificazione. Il responsabile civile può anche decidere di non costituirsi, il che peraltro non impedisce al giudice di addebitargli, in sentenza, la responsabilità per il fatto dell’imputato; viceversa, può costituirsi, assumendo la qualità di parte e avvalendosi delle relative facoltà. La costituzione può avvenire in ogni stato e grado del processo, anche per mezzo di procuratore speciale, depositando nella cancelleria del giudice procedente o presentando in udienza una dichiarazione che deve contenere, a pena di inammissibilità: a. Le generalità della persona fisica o la denominazione dell’associazione o dell’ente e le generalità del suo legale rappresentante; b. Il nome e cognome del difensore e l’indicazione ella procura; c. La sottoscrizione del difensore. Il responsabile civile può anche intervenire volontariamente nel processo penale, sempre che vi sia stata costituzione di parte civile o il PM abbia agito come supplente, entro l’effettuazione, nel dibattimento di primo grado, degli accertamenti di costituzione delle parti. La parte civile può essere esclusa su richiesta di parte o di ufficio: a. Nel primo caso, legittimati a chiedere l’esclusione sono l’imputato, la parte civile, il PM e lo stesso responsabile civile, il quale ultimo può chiedere quindi la propria esclusione, oltre che per ragioni attinenti alla legittimazione, anche qualora gli elementi di prova raccolti prima della citazione possano recare pregiudizio alla sua difesa. La richiesta di esclusione, sulla quale decide il giudice con ordinanza, deve essere proposta non oltre gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti nell’udienza preliminare o nel dibattimento; b. Nel secondo caso, l’esclusione è disposta, con ordinanza non impugnabile, sia qualora venga accertata la mancanza dei requisiti per la citazione o per l’intervento del responsabile, sia qualora venga accolta dal giudice la richiesta di giudizio abbreviato. 29. IL CIVILMENTE OBBLIGATO PER LA PENA PECUNIARIA E L’ENTE RESPONSABILE PER L’ILLECITO AMMINISTRATIVO DIPENDENTE DA REATO Una persona (fisica o giuridica) può essere assoggettata, in via sussidiaria ed eventuale, ad un’obbligazione civile pecuniaria pari all’importo della multa o dell’ammenda inflitta al condannato, qualora quest’ultimo risulti insolvibile. La persona civilmente obbligata può essere citata, per l’udienza preliminare o per il giudizio, su richiesta del PM o dell’imputato. Per quanto riguarda la citazione, la costituzione e l’esclusione della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria, si rinvia alla normativa prevista per il responsabile civile. Il d. lgs. n. 231/2001 prevede l’irrogazione di sanzioni amministrative a carico degli enti forniti di personalità giuridica, delle società e delle associazioni anche prive di personalità costituzione delle parti. Dopo l’intervento, può verificarsi un’estromissione dell’ente collettivo, disposta dal giudice con ordinanza inoppugnabile, in seguito ad un’opposizione di parte o d’ufficio, quando venga riscontrato un motivo di inammissibilità o un vizio riguardante la capacità processuale del soggetto intervenuto. Per quanto attiene, in particolare, all’opposizione, l’ipotesi più articolata è quella in cui vi sia stato un atto di intervento. L’opponente, entro 3 gg. dalla data di notificazione, deve far notificare la dichiarazione scritta di opposizione al rappresentante legale dell’ente, per consentire a quest’ultimo di presentare, entro 5 gg. dalla notifica, le sue controdeduzioni. Se l’intervento è avvenuto prima dell’esercizio dell’azione penale, la decisione è di competenza del gip, mentre sono competenti, rispettivamente, il gup e il giudice del dibattimento rispetto agli interventi verificatisi in tali fasi. 33. IL QUERELANTE Per una serie di reati espressamente indicati dal legislatore è previsto che l’esercizio dell’azione penale da parte del PM sia subordinato ad una esplicita voluntas persecutionis, che la persona offesa è tenuta ad esprimere attraverso la querela. La querela deve essere presentata entro 3 mesi dal giorno della notizia del fatto che costituisce il reato; tuttavia, qualora si debba procedere alla nomina di un curatore speciale tenuto a valutare l’opportunità di presentare querela, il termine decorre dal giorno in cui gli è notificato il decreto di nomina. Occorre poi che non vi sia stata rinuncia alla querela, la quale può essere espressa o tacita. Altra peculiarità è rappresentata dalla regola della indivisibilità della querela, secondo la quale il reato commesso in danno di più soggetti è perseguibile anche quando la querela sia presentata da una sola delle persone offese e, reciprocamente, che, nel caso di concorso di persone nel reato, la querela contro una di esse si estende di diritto anche agli altri concorrenti. Il diritto di querela si estingue in seguito alla morte della persona offesa che non lo abbia ancora esercitato, mentre, in caso contrario, la morte è irrilevante ai fini dell’estinzione del reato. L’estinzione, invece, consegue alla remissione della querela, sempre che il querelato non l’abbia espressamente o tacitamente ricusata, e fermo restando che, se la querela è stata proposta da più persone, affinché si produca l’effetto estintivo, è necessaria la remissione di tutti i querelanti. 34. IL DIFENSORE DI FIDUCIA DELL’IMPUTATO Il difensore dell’imputato (che potranno essere al massimo 2), cui spettano le facoltà ed i diritti riconosciuti all’imputato stesso, è tenuto a dimostrare non solo la scarsa significatività degli elementi di prova dell’accusa, ma anche ad individuare e ad acquisire elementi probatori che scagionino l’imputato o alleggeriscano la sua posizione. Vi sono 3 possibili modalità di nomina consistenti, rispettivamente, nella dichiarazione orale resa dall’interessato all’autorità procedente, in quella scritta consegnata alla medesima dal difensore e nel documento di nomina trasmessole con raccomandata. Ovviamente il difensore deve essere in possesso dei requisiti richiesti dalla legge professionale per assistere e rappresentare l’imputato; da questo punto di vista può essere stilata una sorta di graduatoria che ricomprende 3 figure: a. Il praticante avvocato, che può patrocinare davanti al giudice di pace e al tribunale in composizione monocratica, nei soli processi aventi ad oggetto i reati per i quali si procede con citazione diretta a giudizio; b. L’avvocato, che può svolgere il suo ruolo di difensore davanti ad ogni giudice penale, fatta eccezione per la corte di cassazione; c. L’avvocato iscritto nello speciale albo, il quale può difendere anche davanti alla cassazione. La prestazione del difensore costituisce l’oggetto di un contratto per la cui conclusione occorre l’accettazione, anche implicita, del nominato. La nomina produce i suoi effetti per tutto l’arco del processo di cognizione. La ridotta autonomia dell’imputato conseguente alla custodia carceraria legittima i suoi prossimi congiunti a nominare, con le stesse forme per la nomina diretta, un difensore di fiducia che cessa di operare non appena l’interessato manifesti una diversa volontà. 35. IL DIFENSORE D’UFFICIO Qualora l’imputato non abbia nominato un difensore di fiducia o ne sia rimasto privo, deve essere assistito da un difensore d’ufficio, la cui figura può essere tratteggiata sulla base delle seguenti coordinate: a. La sua presenza è da correlare all’imputato; b. Il suo ruolo è sussidiario rispetto a quello del difensore di fiducia, tant’è che cessa le sue funzioni non appena l’imputato procede alla nomina di quest’ultimo; c. Egli ha l’obbligo di prestare il patrocinio salvo che in presenza di un giustificato motivo. I requisiti necessari per poter essere iscritti nell’elenco alfabetico dei difensori d’ufficio, predisposto da ciascun consiglio dell’ordine forense, consistono: a. Nell’aver conseguito un’attestazione di idoneità, rilasciata dall’ordine forense di appartenenza; b. Nell’essere in grado di dimostrare, attraverso un’adeguata documentazione, di aver esercitato la professione nel settore penale per almeno 2 anni consecutivi. Il perno del nuovo sistema è rappresentato da un apposito ufficio, con recapito centralizzato, istituito presso l’ordine forense del capoluogo di ogni corte d’appello, il quale fornisce, sulla base di una selezione automatica, il nominativo del difensore d’ufficio, ogniqualvolta gli pervenga la relativa richiesta da parte dell’autorità giudiziaria o della polizia giudiziaria. I vari consigli dell’ordine forense sono tenuti a predisporre Tale normativa opera anche nei confronti degli enti rappresentativi degli interessi lesi dal reato, mentre lo stesso non vale per la persona offesa, rispetto al quale la nomina di un solo difensore è solo facoltativa. 38. IL SOSTITUTO DEL DIFENSORE Il difensore, sia di fiducia che d’ufficio, può nominare un sostituto. Affinché sia efficace, la designazione deve essere portata a conoscenza dell’autorità procedente con le stesse forme indicate per la nomina del difensore dell’imputato. Quindi, spetta al difensore nominare il sostituto, fatta eccezione per le ipotesi in cui è previsto che alla designazione provveda il giudice ovvero, ma solo nei casi di urgenza e previa adozione di un provvedimento motivato che indichi le ragioni dell’urgenza, il PM o la polizia giudiziaria. Il difensore sussidiario esercita i diritti e assume i doveri del difensore impedito. 39. LE GARANZIE DI LIBERTA’ DEL DIFENSORE Le ispezioni e le perquisizioni, se effettuate negli uffici dei difensori, sono consentite in sole 2 ipotesi: a. Quando il difensore o altre persone che svolgono stabilmente la loro attività nel suo ufficio sono imputati, o anche solo indagati; b. Quando si tratta di rilevare tracce o altri effetti materiali del reato, ovvero di ricercare cose o persone specificamente predeterminate. Questo primo nucleo di garanzie è completato dalla previsione che delimita in negativo il materiale sequestrabile presso i difensori, gli investigatori privati autorizzati, i consulenti tecnici, salvaguardando le carte e i documenti relativi all’oggetto della difesa, sottoponibili a sequestro solo quando costituiscano corpo di reato. Vanno poi evidenziate talune regole di carattere procedurale sempre in merito alle perquisizioni, ai sequestri e alle ispezioni negli uffici dei difensori. Innanzitutto, va ricordato l’avviso, che a pena di nullità l’autorità giudiziaria deve comunicare al locale consiglio dell’ordine per consentire al presidente o ad un suo delegato di presenziare alle operazioni; nel qual caso, su richiesta dell’intervenuto, deve essergli consegnata copia del provvedimento. Inoltre, devono agire in prima persona il giudice o, durante le indagini preliminari, il PM. È vietato il sequestro e ogni altra forma di controllo della corrispondenza tra l’imputato e il proprio difensore, sempre che, da un lato, la corrispondenza sia riconoscibile; dall’altro, l’autorità giudiziaria non abbia fondato motivo di ritenere che si tratti di corpo di reato. È altresì vietata l’intercettazione delle conversazioni e delle comunicazioni che difensori, investigatori privati autorizzati, consulenti tecnici e loro ausiliari effettuino tra di loro, al pari di quelle tra gli stessi e i loro assistiti. Nel caso di inosservanza di tali disposizioni, i risultati delle operazioni compiute non possono essere utilizzati. 40. IL COLLOQUIO DEL DIFENSORE CON L’IMPUTATO PRIVATO DELLA LIBERTA’ PERSONALE All’imputato è riconosciuto il diritto di conferire immediatamente col proprio difensore, o comunque non oltre 7 gg. dal momento in cui è stato eseguito il provvedimento limitativo della libertà personale. Il difensore deve essere immediatamente avvisato dell’esecuzione della misura restrittiva e deve poter accedere al luogo in cui la persona fermata, arrestata o sottoposta a custodia cautelare si trova detenuta. In presenza di specifiche ed eccezionali ragioni di cautela, il colloquio può essere dilazionato per un massimo di 5 gg., ma in tal caso occorre distinguere l’ipotesi in cui la privazione della libertà sia l’effetto di un’ordinanza cautelare da quella in cui consegua ad una misura pre- ‐cautelare: a. Nel primo caso la decisione sul differimento del colloquio spetta al gip, che deve provvedere con decreto motivato su richiesta del PM; b. Nel secondo provvede direttamente il PM, che può dilazionare il colloquio fino al momento in cui l’arrestato o il fermato è posto a disposizione del giudice. 41. L’ABBANDONO DELLA DIFESA E IL RIFIUTO DELLA DIFESA D’UFFICIO Trattandosi di abbandono o rifiuto motivati dalla violazione dei diritti della difesa, il consiglio dell’ordine forense, qualora ritenga giustificato il comportamento del difensore, non applica la sanzione disciplinare, neppure in presenza di una sentenza irrevocabile che escluda la violazione. L’autorità giudiziaria, invece, è tenuta a comunicare al consiglio dell’ordine sia i casi di abbandono e di rifiuto della difesa d’ufficio, sia i comportamenti integranti violazioni dei doveri di lealtà e probità, sia la violazione del divieto, per uno stesso difensore, di assumere la difesa di più imputati che abbiano reso dichiarazioni accusatorie nei confronti di un altro imputato. A seguito dell’abbandono della difesa da parte del difensore di fiducia si determina una stasi processuale, finché non si procede alla nomina di un nuovo difensore di fiducia, ovvero, in mancanza, di uno d’ufficio. L’abbandono della difesa delle altre parti private, della persona offesa e degli enti o associazioni non ostacola la prosecuzione del procedimento, in quanto tali soggetti, ove non provvedano ad una nuova nomina, perdono la possibilità di essere attivi in sede processuale. 42. INCOMPATIBILITA’, NON ACCETTAZIONE, RINUNCIA E REVOCA DEL DIFENSORE Il codice ammette che un difensore possa assistere una pluralità d’imputati, purché le diverse posizioni degli assistiti non siano tra loro incompatibili. Incompatibilità si ha quando siano inconciliabili le posizioni degli imputati, ossia l’uno deve avere interesse a sostenere tesi pregiudizievoli all’altro. Una spontanea rimozione dell’incompatibilità si può avere quando l’imputato o gli imputati interessati revochino la nomina del difensore, oppure quest’ultimo rinunci alla difesa. Qualora ciò non avvenga, è previsto un intervento del giudice o, nel corso delle indagini preliminari, del PM, con il quale viene fissato un termine per la sua rimozione da parte dei diretti interessati. L’extrema ratio è rappresentata da un’ordinanza del giudice con la quale viene dichiarata l’incompatibilità e, sentite le parti interessate, si procede alle designazioni dei difensori d’ufficio. Mentre nel caso della revoca il soggetto agente è l’assistito, la non accettazione e la rinuncia sono iniziative del difensore. Questi ultimi sono atti alternativi che, come la revoca, non necessitano di motivazione. Fermo l’obbligo per il difensore che non accetti l’incarico o vi rinunci di darne subito comunicazione all’autorità procedente e a chi lo ha nominato, occorre distinguere tra: a. Non accettazione, che ha effetto dal momento in cui perviene la relativa comunicazione all’autorità procedente; b. Rinuncia e revoca, che sono prive di effetto fino a che la parte non risulta assistita da un nuovo difensore. Anzi, se ai fini di una difesa informata il nuovo difensore si avvale del diritto di ottenere un termine a difesa, la rinuncia e la revoca diventano efficaci solo a partire dalla sua scadenza. A proposito di tale termine a difesa, il difensore ha diritto ad un termine che, di regola, non può essere inferiore a 7 gg. Al di sotto di tale termine si può scendere, fermo restando il limite minimo delle 24 ore, solo se ricorre una di queste 3 situazioni: a. Se vi è il consenso dell’imputato o del suo difensore; b. Se vi sono specifiche esigenze processuali che possono determinare la scarcerazione dell’imputato; c. Se ricorrono specifiche esigenze processuali che possono determinare la prescrizione. 43. GLI AUSILIARI DEL GIUDICE E DEL PM Gli ausiliari sono coloro che affiancano il giudice o il PM svolgendo vari un’attestazione relativa all’autenticità della firma, la quale può essere rilasciata, oltre che dal funzionario di cancelleria, dal notaio, difensore, sindaco, funzionario delegato dal sindaco, segretario comunale, giudice di pace, presidente del consiglio dell’ordine forense o da un consigliere da lui delegato. Nell’atto deve essere indicata, oltre al luogo di formazione, anche la data, e talvolta è prevista anche l’indicazione dell’ora. Alla mancata indicazione della data, quando essa è prescritta a pena di nullità, l’invalidità consegue solo se non è possibile stabilirla con certezza sulla base di elementi tratti dall’atto medesimo o da atti a questo connessi. Se la documentazione di un atto è stata distrutta, smarrita o sottratta, ne è possibile recuperarla, ma di tale atto occorre fare uso, il codice prevede l’impiego di vari rimedi: a. Il più semplice consiste nella surrogazione all’originale di una copia autentica; b. Se non è possibile procedere alla surrogazione, soccorre la ricostituzione, disposta con ordinanza che ne prescrive le modalità, previo giudizio di necessità e di possibilità, dal giudice innanzi al quale pende il procedimento o dal giudice dell’esecuzione. 4. IL DIVIETO DI PUBBLICAZIONE Il legislatore ha concepito 2 tipi di divieto di pubblicazione col mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione: a. Il primo riguarda la riproduzione totale o parziale dell’atto, ossia dell’atto quale risulta dalla documentazione procedimentale; b. Il secondo riguarda la pubblicazione di quanto l’atto esprime dal punto di vista concettuale, sicché risulta essere rilevante anche la pubblicazione fatta solo in modo riassuntivo o meramente informativo. Rispetto agli atti coperti dal segreto, il divieto di pubblicazione è assoluto, investendo sia la riproduzione pubblica dell’atto, sia il contenuto dell’atto. Tale divieto opera per tutta la durata delle indagini preliminari, finché restano ignoti i potenziali autori del reato. Ovviamente, il divieto non investe le indagini difensive. L’area del divieto di pubblicazione subisce una variazione a causa dei decreti motivati del PM relativi alla “desegretazione”, ovvero alla “segretazione” di singoli atti, nonché all’imposizione di un autonomo divieto di pubblicazione con riguardo ad atti o notizie non più coperti da segreto. Se non si procede a dibattimento, il divieto in discorso cade o con la conclusione delle indagini preliminari o col termine dell’udienza preliminare. Se invece si procede a dibattimento, bisogna distinguere 3 categorie di atti: a. Gli atti inseriti nel fascicolo del dibattimento sono pubblicabili sin dalla relativa formazione. Se, però, l’atto viene trasferito al fascicolo del PM, essendosi accolta la relativa questione preliminare, il divieto di pubblicazione si ripristina automaticamente, e lo stesso vale per il caso in cui l’atto viene letto in una porzione di dibattimento tenuto a porte chiuse; b. Gli atti che, terminato il dibattimento, sono collocati nel fascicolo del PM, sono pubblicabili solo dopo la pronuncia della sentenza di secondo grado; c. Infine, sono immediatamente pubblicabili gli atti già posti in quest’ultimo fascicolo, in quanto sono stati usati per le contestazioni. Vi sono poi 2 divieti di pubblicazione di un atto o di una sua parte, che si caratterizzano per essere disposti dal giudice sentite le parti: a. Il primo riguarda gli atti già utilizzati per le contestazioni, allorché sia scattato il divieto di pubblicazione degli atti del dibattimento, essendosi quest’ultimo svolto a porte chiuse; b. Il secondo investe la riproduzione pubblica, anche parziale, degli atti non segreti dei procedimenti speciali privi della fase dibattimentale, che sarebbero stati pubblicabili con la chiusura delle indagini preliminari o al termine dell’udienza preliminare. È vietata poi la pubblicazione dell’immagine di chi si trovi sottoposto a restrizioni della libertà personale, purché sia ripresa mentre si trova sottoposta all’uso di manette ai polsi ovvero ad altro mezzo di coercizione fisica. Tale divieto è esteso anche all’immagine della persona agli arresti domiciliari o di colui che è tenuto “a braccetto” da due agenti di polizia penitenziaria mentre è condotto all’udienza di convalida dell’arresto. Vietata è anche la pubblicazione delle generalità o dell’immagine del minore che assume la qualità di testimone, persona offesa o danneggiata. L’art. 734- ‐bis c.p. prevede una fattispecie contravvenzionale per chi divulghi, senza il suo consenso, le generalità o l’immagine di persona offesa da atti di violenza sessuale. L’art. 115 ha, perciò, previsto una responsabilità disciplinare a carico degli impiegati dello Stato o di altri enti pubblici, ovvero degli esercenti una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato. Normalmente, la sanzione disciplinare concorre con quella penale, ma vi sono ipotesi in cui la prima assume carattere esclusivo. 5. LA CIRCOLAZIONE DI COPIE E DI INFORMAZIONI Chiunque vi ha interesse, può ottenere, a proprie spese, il rilascio di copie, estratti o certificati di singoli atti, compresi quelli incorporati su supporti non cartacei. Il rilascio non può essere ottenuto se si tratta di atti ancora coperti dal segreto sulle indagini o diventati oggetto di un decreto di segretazione. Il diniego dell’autorizzazione non è impugnabile. Il difensore (o un suo sostituto) che presenti all’autorità giudiziaria atti o documenti ha il diritto al rilascio di attestazione dell’avvenuto deposito. Le disposizioni sulla trasmissione di copie e di informazioni da parte del PM o del Ministro dell’interno hanno il fine di agevolare l’attività di investigazione e l’attività di prevenzione dei reati. b. Le sentenze di non luogo a procedere, pronunciate al termine dell’udienza preliminare. Esse, ove non più soggette ad impugnazione, acquistano forza esecutiva, ma non di cosa giudicata, potendo essere revocate; c. Le sentenze di non doversi procedere emesse nei restanti gradi e stati, sempre prive di efficacia in sede extrapenale e di cosa giudicata; d. Le sentenze dichiarative, che verificano l’esistenza di determinate fattispecie, sfornite della portata liberatoria propria delle sentenze di non luogo a procedere e di proscioglimento; e. Le sentenze costitutive, creative di effetti giuridici. A tal punto, meglio si comprende la classica distinzione tra sentenze di merito e sentenze processuali: a. Le prime risolvono la questione relativa al dovere di punire; b. Le seconde sciolgono meri nodi processuali. Le ordinanze servono a governare l’andamento del processo, e di regola sono revocabili. Esso è emesso a seguito dell’instaurazione del contraddittorio tra le parti e deve essere motivato. I decreti esprimono un comando dell’autorità procedente, assumendo natura prevalentemente amministrativa. Essi sono assoggettati al regime della revoca e, se non è diversamente disposto, non abbisognano di motivazione. È prevista la nullità, relativa, per la mancanza di motivazione nelle sentenze, nelle ordinanze e, ove prescritta, nei decreti. La motivazione per relationem, ossia quella che si riporti al contenuto di un altro atto, non è causa di nullità tutte le volte in cui il secondo sia conosciuto o facilmente conoscibile dalla parte. È dato quindi alla parte di controllare l’adeguatezza e la congruità del ragionamento giustificativo del giudice. È ammesso inoltre l’uso di moduli prestampati. Nel caso di provvedimenti collegiali e purché lo richieda un componente del collegio che non abbia espresso voto conforme alla decisione, è compilato sommario verbale contente l’indicazione del dissenziente, della questione o delle questioni alle quali si riferisce il dissenso ed i motivi dello stesso. Il verbale, redatto dal meno anziano tra i componenti togati del collegio e sottoscritto da tutti gli altri, viene conservato in plico sigillato nella cancelleria dell’ufficio: potrà servire a chi ha dissentito, liberandolo da ogni eventuale responsabilità, se i componenti del collegio saranno chiamati a rispondere del loro operato in sede civile. 9. IL PROCEDIMENTO IN CAMERA DI CONSIGLIO Quando bisogna procedere in camera di consiglio, il giudice o il presidente del collegio fissa la data dell’udienza e ne dà avviso alle parti, alle altre persone interessate e ai difensori. Tale avviso deve essere comunicato o notificato almeno 10 gg. prima della data fissata e se l’imputato è privo di difensore, l’avviso è dato a quello di ufficio. Fino a 5 gg. prima dell’udienza possono essere presentate in cancellerie delle memorie. Il PM, gli altri destinatari dell’avviso e i difensori sono sentiti se compaiono; se l’interessato ne fa richiesta ed è detenuto o internato in un luogo fuori della circoscrizione, deve essere sentito prima del giorno dell’udienza dal magistrato di sorveglianza del luogo. L’udienza è rinviata se sussiste un legittimo impedimento dell’imputato o del condannato che ha chiesto di essere sentito, e purché non sia detenuto in un luogo diverso da quello in cui ha sede il giudice. Il procedimento si svolge in udienza, anche se non è ammessa la presenza del pubblico in aula. Compiuti gli atti introduttivi e accertata la regolare costituzione delle parti, nei procedimenti davanti ad organi collegiali la relazione orale è svolta da uno dei componenti del collegio, previa designazione del presidente. Il provvedimento finale ha la forma in genere dell’ordinanza, e deve essere comunicato al PM e notificato alle parti private, alle persone interessate e ai difensori, i quali possono proporre ricorso per cassazione. Tale ricorso non sospende l’esecuzione dell’ordinanza, salvo che il giudice disponga diversamente con decreto motivato. 10. L’IMMEDIATA DECLARATORIA DI CAUSE DI NON PUNIBILITA’ E LA CORREZIONE DEGLI ERRORI MATERIALI L’immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità consiste nell’obbligo di arrestare il processo e di far cadere la qualità di imputato appena maturi la possibilità di pronunciare una sentenza di proscioglimento. Nella fase delle indagini preliminari un compito equivalente è svolto dall’archiviazione. L’art. 129.2 sancisce l’obbligo del proscioglimento nel merito, quando ne ricorrono gli estremi, anche in presenza di una causa estintiva del reato, con esclusivo riferimento alle sentenze di assoluzione o di non luogo a procedere. Per le sentenze di assoluzione, la prevalenza della formula di merito vale anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussista o che l’imputato l’abbia commesso, che il fatto costituisca reato o che il reato sia stato commesso da persona non imputabile. Per le sentenze di non luogo a procedere, dovrebbe valere la stessa conclusione. La correzione degli errori materiali soccorre a deviazioni non gravi dell’atto dal suo schema tipico. La procedura opera in presenza di 3 presupposti: a. Anzitutto, ne sono oggetto solo le sentenze, le ordinanze e i decreti del giudice; b. L’errore deve consistere in una difformità tra il pensiero del giudice e la sua formulazione, mentre l’omissione deve riguardare un comando che discenda dalla legge; c. Infine, l’eliminazione dell’errore o dell’omissione non deve comportare una modificazione essenziale dell’atto. Competente a procedere alla correzione, anche d’ufficio, è il giudice autore dell’atto ma, quando viene proposta impugnazione, tocca al giudice ad quem, salvo dichiari inammissibile l’impugnazione stessa. Il procedimento si svolge in camera di consiglio, quindi l’ordinanza conclusiva del procedimento deve essere notificata per intero ed è ricorribile per cassazione, anche quando sia stata rigettata o dichiarata inammissibile la richiesta di correzione. L’ordinanza che dispone la correzione è poi annotata sull’originale dell’atto. Tale procedura non si applica quando la corte di cassazione omette di dichiarare nel dispositivo di annullamento parziale quali parti della sentenza diventano irrevocabili. In tal caso, all’omissione pone rimedio una ordinanza pronunciata d’ufficio, ovvero a seguito di domanda del giudice competente per il rinvio, del PM presso quel giudice o della parte privata interessata. La correzione degli errori materiali opera anche nel giudizio di cassazione. 11. I POTERI COERCITIVI Il giudice deve avvalersi innanzitutto della polizia giudiziaria e, solo se quest’ultima non sia in grado di provvedere, ricorrere alla forza pubblica. Tra gli atti che sono manifestazione del potere coercitivo, si colloca in una particolare posizione l’accompagnamento coattivo, che consiste in una restrizione della libertà personale ma che, allo stesso tempo, impone sempre una tempestiva restituzione della libertà personale medesima. L’accompagnamento coattivo deve essere preceduto, a seconda dei casi, da un avviso notificato o da un decreto di citazione rimasti senza effetto; esso può essere disposto in sede di incidente probatorio o nel dibattimento (con esclusione, pertanto, dell’udienza preliminare); suoi destinatari parti vi consentono, il giudice può disporne l’omissione. Le registrazioni fonografiche e audiovisive, nonché le relative trascrizioni, sono poi incluse nel fascicolo del procedimento. Tutte le volte in cui viene effettuata una tale riproduzione, nel verbale è indicato il momento di inizio o di cessazione delle operazioni di riproduzione; se una parte della riproduzione non ha avuto esito o non è intellegibile, fa prova il verbale redatto in forma riassuntiva. L’art. 140 introduce poi una documentazione che, quanto alla forma, è assimilabile al verbale riassuntivo, ma, quanto ai modi, si risolve nella redazione manuale, contestuale e sintetica del verbale, senza l’accompagnamento della riproduzione fonografica. Se viene redatto solo il verbale forma riassuntiva, al giudice spetta l’obbligo di vigilare affinché sia riprodotta genuinamente la parte essenziale delle dichiarazioni e siano descritte le circostanze nelle quali esse sono rese. Nella prassi, è lo stesso giudice che detta all’ausiliario il riassunto delle dichiarazioni rese davanti a lui. La nullità del verbale è prevista nel caso di: a. Incertezza assoluta sulle persone intervenute; b. Mancata sottoscrizione da parte del pubblico ufficiale che ha redatto il verbale; c. Inosservanza delle prescrizioni previste dall’art. 109 comma 1 e 2 (verbale redatto in lingua italiana o nella lingua della minoranza riconosciuta). La mancata menzione nel verbale di determinati adempimenti e dichiarazioni, nonché delle relative modalità di svolgimento, comporta la nullità del mezzo di prova. 15. LA DOCUMENTAZIONE DELL’INTERROGATORIO DEL DETENUTO La documentazione dell’interrogatorio del detenuto è stata fortemente irrigidita dal legislatore; l’art. 141- ‐ bis introduce una disciplina speciale che opera in presenza di 3 condizioni: a. Innanzitutto, per interrogatorio si intende sia quello della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato, sia quello dell’imputato in un procedimento per reato connesso o collegato a quello per cui si procede; b. L’interrogato deve essere, a qualsiasi titolo, in stato di detenzione. Ciò comporta che la disciplina speciale opera anche nei confronti di chi sia sottoposto a custodia cautelare per un altro procedimento o stia espiando una pena detentiva per un altro reato; c. La norma non vale per gli interrogatori assunti nel contesto spaziale e temporale dell’udienza. In presenza di tali presupposti, vi è il vincolo di disporre la riproduzione fonografica o audiovisiva integrale, ossia per intero e senza interruzioni. Qualora siano indisponibili gli appositi strumenti o il personale tecnico idoneo, il giudice o il PM possono porvi rimedio mediante la nomina di un perito o di un consulente tecnico, a cui devono essere liquidati i relativi compensi. La trascrizione non è obbligatoria in quanto è disposta solo su richiesta di parte. La documentazione non integrale è inutilizzabile e, in caso contrario, è prevista una sanzione. 16. LA PARTECIPAZIONE A DISTANZA Le innovazioni tecnologiche consentono oggi la partecipazione a distanza all’udienza (videoconferenza o teleconferenza), attraverso una connessione video con una postazione remota. Attualmente ci si avvale di un collegamento via rete telefonica ISDN, ampiamente diffusa sul territorio nazionale e dai costi contenuti. Tuttavia, nonostante i molti pregi, essa ancora non offre una perfetta qualità del segnale video e vi è un intervallo temporale apprezzabile tra il momento in cui la domanda è formulata e quello in cui essa viene percepita dal destinatario. In forza dell’art. 146- ‐bis.1 disp. att., la partecipazione a distanza è attivabile in presenza di alcuni presupposti: a. Innanzitutto, deve trattarsi di un dibattimento relativo a reati di associazione a delinquere o di stampo mafioso, di terrorismo, ecc… e devono sussistere gravi ragioni di sicurezza e di ordine pubblico; b. L’imputato deve trovarsi, a qualsiasi titolo, in stato di detenzione in carcere, per cui, attraverso la partecipazione a distanza, vengono evitati ritardi nello svolgimento dell’udienza. Essa non sarà attivata in dipendenza di semplici difficoltà organizzative, mentre, al contrario, valgono fattori quali il numero degli imputati o delle imputazioni e il numero e la natura delle prove da assumere; c. Una terza ipotesi di partecipazione a distanza si delinea con riferimento alla sottoposizione alle misure di cui all’art. 41- ‐bis comma 2 ord. pen., in modo tale da evitare che il turismo giudiziario sia sfruttato dall’imputato per mantenere contatti con le organizzazioni criminali. Se occorre procedere a confronto o ricognizione dell’imputato od altro atto che implichi l’osservazione della sua persona, la videoconferenza viene interrotta e ripristinata la partecipazione fisica dell’imputato, e sempreché il giudice, sentite le parti, lo ritenga opportuno. La partecipazione a distanza va disposta anteriormente all’inizio della prima udienza dibattimentale per evitare che essa si tenga con l’imputato presente e, al contempo, per rendere più agevole l’opera della difesa. In assenza del contraddittorio, il provvedimento assume forma di decreto motivato (non impugnabile) che deve essere comunicato al PM e notificato alle parti almeno 10 gg. prima della data fissata per l’udienza. Tale partecipazione può essere disposta anche nel corso dello svolgimento dell’udienza dibattimentale, ed in tal caso il provvedimento assume forma di ordinanza (impugnabile congiuntamente alla sentenza). L’equiparazione della postazione remota all’aula di udienza comporta che al presidente del collegio resta affidato il potere di direzione del dibattimento, ivi compreso quello di decidere sulle questioni relative alle modalità del collegamento audiovisivo, nonché il potere di disciplina dell’udienza. a. La prima riguarda solo l’imputato (e la persona sottoposta alle indagini) che non conosce, perché non parla o non comprende, la lingua italiana. L’imputato ha infatti il diritto di farsi assistere gratuitamente da un interprete per comprendere l’accusa formulata contro di lui, in modo tale da essere messo nelle condizioni di seguire il compimento degli atti cui partecipa. Al cittadino italiano imputato che non parla o non comprende la lingua italiana è assicurata una posizione di parità con l’imputato straniero, anche se a suo carico è posta una presunzione relativa di conoscenza della lingua italiana. Ai fini della tutela dell’imputato straniero che si trova all’estero è previsto l’obbligo, ove non risulti che conosca la lingua italiana, di redigere nella lingua dello Stato dove è nato l’invito a dichiarare o eleggere domicilio nel territorio dello Stato. b. La seconda ipotesi riguarda il sordo, il muto o il sordomuto che non sa leggere o scrivere. Qui la nomina dell’interprete soggiace a regole particolari; c. La terza ipotesi si riferisce all’esigenza di procedere alla nomina dell’interprete per tradurre uno scritto in lingua straniera o in dialetto non facilmente intellegibile, oppure per trasferire in lingua italiana una dichiarazione effettuata da chi non conosce la lingua italiana. Inoltre, l’interprete deve essere nominato anche quando il giudice, il PM o l’ufficiale di polizia giudiziaria hanno personale conoscenza della lingua o del dialetto da interpretare. Non possono fungere da interprete il minorenne, l’interdetto, l’inabilitato, l’affetto da infermità mentale, l’interdetto da uffici pubblici, l’interdetto o il sospeso da una professione o da un’arte e il sottoposto a misure di sicurezza personali o a misure di prevenzione. È poi incompatibile la persona esclusa dalla testimonianza o che gode della facoltà di astenersi , nonché chi è chiamato all’ufficio di testimone od i perito, ovvero chi è nominato consulente tecnico nello stesso procedimento o in un procedimento connesso. L’interprete incapace o incompatibile è ricusabile dalle parti private e, per i soli atti compiuti o disposti dal giudice, è ricusabile anche dal PM. Se esiste un motivo di ricusazione oppure gravi ragioni di convenienza per astenersi, l’interprete deve dichiararle, e sulla dichiarazione di ricusazione o di astensione decide il giudice con ordinanza inoppugnabile. Con la nomina, l’interprete è citato a comparire con notificazione e, in situazioni di urgenza, anche oralmente attraverso l’ufficiale giudiziario o la polizia giudiziaria. Se le traduzioni scritte richiedono un lavoro di lunga durata, l’autorità procedente può prorogare, per giusta causa, il termine fissato per una sola volta. L’interprete che non ha presentato la traduzione nel termine può essere sostituito; in quest’ultimo caso, dopo essere stato citato a comparire per discolparsi, può essere condannato al pagamento di una somma a favore della cassa delle ammende. 19. LE LINEE DI FONDO DEL REGIME DELLE NOTIFICAZIONI L’istituto delle notificazioni serve per portare a conoscenza degli atti processuali i soggetti diversi dal loro autore. Occorre osservare che la tradizionale dicotomia tra conoscenza legale, conseguente al solo rispetto delle forme stabilite dall’ordinamento, e conoscenza effettiva, per la quale è sufficiente la conoscenza effettiva anche procurata in assenza delle formalità prescritte, è stata erosa a favore della seconda. Dal punto di vista strutturale, il procedimento di notificazione è distinto in 3 fasi: a. L’impulso, consistente nell’ordine o nella richiesta di eseguire la notificazione e nella consegna materiale dell’atto all’organo esecutivo; b. L’esecuzione, cioè la predisposizione dell’atto da notificare, l’attività di ricerca del destinatario e la consegna dell’atto alla persona abilitata a riceverlo; c. La documentazione dell’attività svolta dall’organo esecutivo. 20. GLI ORGANI E LE FORME DELLE NOTIFICAZIONI DISPOSTE DAL GIUDICE O RICHIESTE DALLE PARTI L’organo investito in via principale dell’attività di notifica è l’ufficiale giudiziario, a cui si affiancano gli aiutanti ufficiali giudiziari e i messi di conciliazione. Inoltre, nei procedimenti con detenuti e in quelli dinanzi al tribunale del riesame, in presenza del requisito dell’urgenza, il giudice può disporre che le notificazione siano eseguite dagli organi di polizia penitenziaria del luogo in cui i destinatari sono detenuti. Infine, nei procedimenti per i delitti di strage, terrorismo e associazione mafiosa, al giudice è consentito avvalersi anche della polizia giudiziaria. Oggetto della notificazione è l’atto nella sua interezza, ma ragioni di economia, tempestività o riserbo hanno indotto, in casi tassativi, a prevedere la notificazione per estratto, cioè la riproduzione della sola parte essenziale dell’atto. L’ufficiale giudiziario provvede a formare un numero di copie dell’atto uguale a quello dei destinatari della notificazione. Stesso valore dell’originale hanno le copie dell’atto quando l’ufficio che lo ha emesso attesta, in calce ad esso, di aver trasmesso il testo originale. A tutela della riservatezza, se la notifica non può essere eseguita a mani proprie del destinatario, l’ufficiale giudiziario e la polizia giudiziaria consegnano la copia dell’atto dopo averla inserita in una busta sigillata; tale prescrizione non vale però per le notificazioni al difensore o al domiciliatario. Acquista valore di notificazione la consegna di copia dell’atto all’interessato da parte della cancelleria, purché sull’originale sia annotata l’avvenuta consegna e la relativa data. La lettura dei provvedimenti alle persone presenti e gli avvisi dati verbalmente dal giudice, o dal PM, agli interessati in loro presenza sostituiscono le notificazioni, purché ne venga fatta menzione nel verbale. Infine, sempre a protezione della riservatezza, le comunicazioni, gli avvisi ed ogni altro biglietto o invito consegnati non in busta chiusa ad una persona diversa dal destinatario devono recare solo le indicazioni strettamente necessarie. Nei casi d’urgenza, il giudice può disporre, anche su richiesta di parte, che le persone diverse dall’imputato siano convocate o avvisate a mezzo del telefono e a cura della cancelleria. Sull’originale dell’avviso o della convocazione sono annotati il numero telefonico chiamato, il nome, le funzioni o le mansioni svolte dalla persona che riceve la comunicazione, il suo rapporto col destinatario, il giorno e l’ora della telefonata. Alla comunicazione si procede poi chiamando il numero telefonico corrispondente all’abitazione, alla sede del lavoro abituale, alla dimora o al recapito della persona interessata; essa non ha effetto se non è ricevuta dal destinatario ovvero da persona che convive anche temporaneamente col medesimo (ha effetto invece se la comunicazione è rilasciata sulla segreteria telefonica). La successiva comunicazione telegrafica per estratto integra poi una forma costitutiva di questo procedimento di notifica: quando, per qualunque causa, non è possibile far luogo alla notificazione a mezzo del telefono, soccorre quella eseguita per telegramma. In presenza di particolari circostanze è poi possibile ricorrere alla forma notificativa innominata a persona diversa dall’imputato, che si realizza ricorrendo a mezzi di comunicazione non tradizionali, purché, nell’apposito decreto motivato posto in calce all’atto, siano indicati il mezzo tecnico prescelto e le modalità ritenute necessarie per far conoscere l’atto al destinatario. Le notifiche di atti del PM, nel corso delle indagini preliminari, sono anzitutto eseguite dall’ufficiale giudiziario, mentre la polizia giudiziaria può provvedere nei soli casi di atti d’indagine o provvedimenti che la stessa è delegata a compiere o è tenuta ad eseguire. in capo al giudice o al PM, l’obbligo di disporre nuove ricerche, a cui provvede la polizia giudiziaria, che investono il luogo di nascita, l’ultima residenza anagrafica, l’ultima dimora, il luogo in cui il soggetto esercita la sua professione, nonché l’amministrazione carceraria centrale (ma tale elenco non è tassativo). Se le ricerche non danno esito positivo, il giudice o il PM emettono l’apposito decreto col quale, ove l’imputato sia privo di difensore, si provvede a designarne uno d’ufficio, il quale assume la rappresentanza dell’irreperibile. L’irreperibilità dichiarata durante le indagini preliminari perde la sua efficacia con la pronuncia del provvedimento che definisce l’udienza preliminare ovvero, se questa manca, con la chiusura delle indagini preliminari. A loro volta, il decreto emesso dal giudice per la notificazione degli atti introduttivi dell’udienza preliminare, ovvero i decreti relativi alla notificazione del provvedimento che dispone il giudizio, perdono efficacia con la pronuncia di primo grado. Infine, l’efficacia del decreto emesso dal giudice di secondo grado o di rinvio cessa con la pronuncia della sentenza. In tutti casi, comunque, ogni decreto di irreperibilità deve essere preceduto da nuove ricerche nei luoghi indicati. 23. L’ELEZIONE DI DOMICILIO Per rendere più efficace il risultato conoscitivo cui sono finalizzate le notificazioni, l’imputato ha l’onere di determinare il luogo in cui dovranno essergli notificati gli atti, attraverso un’apposita dichiarazione o elezione di domicilio. La dichiarazione di domicilio consiste in una manifestazione di scienza intesa ad indicare un luogo che può essere solo la propria abitazione o la sede del proprio lavoro; l’elezione di domicilio, invece, consiste in una manifestazione di volontà che comporta la designazione di un luogo e di un destinatario: nella prassi lo studio del proprio difensore. Le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno recentemente affermato il principio per cui la dichiarazione di domicilio prevale sulla precedente elezione, ancorché non espressamente revocata. L’imputato, o la persona sottoposta alle indagini, ha l’obbligo di comunicare ogni mutamento del domicilio eletto o dichiarato, mentre, in mancanza di tale comunicazione oppure in caso di rifiuto di dichiarare o eleggere domicilio, le notificazioni vengono eseguite mediante consegna al difensore. Nel verbale dovrà essere menzionata la scelta dell’imputato o della persona sottoposta alle indagini. In un ambito residuale si colloca l’invito a eleggere o dichiarare domicilio formulato con l’informazione di garanzia o col primo atto notificato per disposizione dell’autorità giudiziaria. L’imputato è anche avvertito che deve comunicare ogni mutamento del domicilio e che, in caso di mancanza, insufficienza o inidoneità della dichiarazione o elezione, le successive notificazioni saranno eseguite nel luogo in cui il primo atto è stato notificato. La dichiarazione o elezione devono essere effettuate mediante una comunicazione all’autorità che procede, con dichiarazione raccolta a verbale, ovvero mediante telegramma o lettera raccomandata muniti di sottoscrizione autenticata. L’elezione, la dichiarazione o il mutamento di domicilio esplicano i loro effetti nel momento in cui giungono a conoscenza dell’autorità giudiziaria procedente. 24. LE NOTIFICAZIONI A SOGGETTI DIVERSI DALL’IMPUTATO Le parti ed i difensori sono ammessi ad eseguire direttamente le notificazioni al PM mediante la semplice consegna di copia dell’atto nella segreteria del PM. Per le comunicazioni, alla consegna della copia nella relativa segreteria è equiparata la diretta presa visione dell’atto ad opera del PM, seguita dalla sua sottoscrizione. Le notificazioni alla persona offesa, alla parte civile, al responsabile civile ed al civilmente obbligato per la pena pecuniaria seguono le forme prescritte per la prima notificazione all’imputato non detenuto, ma con due deroghe: l’una relativa alla tutela della riservatezza, l’altra relativa al doppio accesso da parte dell’ufficiale giudiziario, cui si aggiunge un’altra previsione circa le ipotesi di irreperibilità, nonché di dimora o residenza all’estero. In tali casi la notificazione si considera avvenuta con il deposito in cancelleria (sempreché l’offeso, dall’estero, non abbia dichiarato o eletto domicilio nel territorio dello Stato). Qualora la persona offesa si avvalga di un difensore, quest’ultimo, per ragioni di economia e di celerità, assume la funzione di domiciliata rio ex lege. Quando, per il numero elevato delle persone offese ovvero per l’impossibilità di identificarne alcune, questo tipo di notificazione risulta difficile, l’autorità giudiziaria può disporre, con decreto esteso in calce all’atto, la notificazione per pubblici annunzi. Copia dell’atto è depositato nella casa comunale del luogo ove si trova l’autorità procedente ed un estratto del medesimo è inserito nella Gazzetta Ufficiale. La notificazione si ha per avvenuta dal momento in cui l’ufficiale giudiziario deposita una copia dell’atto nella segreteria o nella cancelleria dell’autorità procedente, insieme con la relazione di notifica ed i documenti giustificativi. Per quanto riguarda la parte civile, le notificazioni sono eseguite presso il difensore nominato all’atto della costituzione, e la stessa regola vale per il responsabile civile ed il civilmente obbligato costituiti. Se costoro, invece, non si sono costituiti, permane l’obbligo di dichiarare o eleggere domicilio nel luogo in cui si procede, altrimenti le notificazioni sono eseguite mediante deposito in cancelleria. 25. LA RELAZIONE DI NOTIFICAZIONE E LE CAUSE DI NULLITA’ Nella relazione, scritta in calce all’originale ed alle singole copie notificate, l’ufficiale giudiziario indica il richiedente, le richieste effettuate, le generalità della persona a cui è stata consegnata la copia e, se la notificazione non è avvenuta a mani proprie, i rapporti tra destinatario e consegnatario, le funzioni svolte I termini sono poi sospesi nel periodo feriale, ossia dal 1° agosto al 15 settembre di ogni anno, per consentire alla classe forense di godere delle ferie estive. L’istituto si estende anche al procedimento di esecuzione e a quello di sorveglianza, mentre non tocca l’attività del giudice. Nel caso di procedimenti per reati la cui prescrizione maturi durante la sospensione feriale o nei successivi 45 gg., ovvero se durante lo stesso periodo scadono stanno per scadere i termini della custodia cautelare, il giudice che procede, anche d’ufficio, pronuncia ordinanza inoppugnabile, ma revocabile, con la quale è specificamente motivata e dichiarata l’urgenza del processo. In tali casi i termini decorrono, anche nel periodo feriale, dalla data di notificazione dell’ordinanza. Durante le indagini preliminari, se occorre procedere con urgenza nel periodo feriale al compimento di atti per i quali operi la sospensione dei termini in discorso, il gip, su richiesta del PM, della persona sottoposta alle indagini o del suo difensore, pronuncia ordinanza nella quale sono specificate le ragioni dell’urgenza e la natura degli atti da compiere. Allo stesso modo provvede il PM tutte le volte in cui deve procedere la compimento di accertamenti tecnici non ripetibili. 27. LA RESTITUZIONE NEL TERMINE La restituzione nel termine è un rimedio eccezionale rispetto a situazioni in cui un impedimento ha determinato l’estinzione di un potere, essendo decorso il termine perentorio stabilito per il suo esercizio. Titolari del diritto di ottenere la restituzione nel termine non sono solo le parti, ma anche i difensori. L’istituto non può essere invocato ai fini della presentazione della querela: l’aspirante querelante non è parte e la querela non è tra gli atti del procedimento, essendo anteriore al suo inizio. In linea di principio è, invece, ammissibile la richiesta del querelante in vista dell’impugnazione del capo di sentenza relativo alla condanna alle spese e ai danni. Per richiedere la restituzione occorre dimostrare che non si è potuto osservare un termine stabilito a pena di decadenza per caso fortuito o forza maggiore, dove per forza maggiore si intende un impedimento che renda vano ogni sforzo dell’uomo e che dipenda da cause a lui non imputabili. La richiesta deve essere presentata entro 10 gg., che decorrono da quello nel quale è cessato il fatto costituente caso fortuito o forza maggiore. Nei casi in cui sia pronunciata sentenza contumaciale o decreto penale di condanna, l’imputato è restituito, su sua richiesta, nel termine per proporre impugnazione o opposizione. Tale diritto viene meno in 2 ipotesi: a. Quando l’imputato ha avuto effettiva conoscenza del procedimento e ha volontariamente rinunciato a comparire; b. Quando , avuta effettiva conoscenza del provvedimento emesso nei suoi confronti, ha rinunciato a proporre impugnazione o opposizione. Nella ipotesi in discorso, , la richiesta di restituzione deve essere presentata, a pena di decadenza, entro 30 gg. dal momento in cui l’imputato ha acquisito effettiva conoscenza del provvedimento. Se l’imputato deve essere estradato dall’estero, il termine per la presentazione della richiesta decorre dal giorno in cui l’imputato condannato è stato consegnato all’autorità giudiziaria italiana. Tornando alla disciplina ordinaria, la restituzione non può essere concessa più di una volta per ciascuna parte in ciascun grado. Competente a pronunciarsi sulla richiesta di restituzione, per la fase anteriore all’esercizio dell’azione penale è il gip. Esercitata l’azione, decide il giudice procedente ovvero, se è stata pronunciata sentenza di condanna, il giudice che sarebbe competente sull’impugnazione o sull’opposizione a decreto penale. Se la richiesta è respinta, può essere proposto ricorso per cassazione. Accolta la richiesta, il termine ricomincia a decorrere nella sua misura originaria; gli atti, su richiesta di parte, sono rinnovati dal giudice che ha concesso la restituzione, sempreché ciò sia possibile e sempreché si tratti di atti ai quali la parte avesse diritto di assistere. Se però la restituzione è concessa dalla cassazione, questa può disporre la rinnovazione dell’atto, che però verrà eseguita dal giudice di merito. 28. L’INVALIDITA’ DEGLI ATTI Nel processo penale gli atti sono, nella maggior parte dei casi, a forma vincolata; in questo caso, perfezione dell’atto (cioè conformità allo schema tipico) e sua efficacia (ossia attitudine a produrre effetti giuridici) si implicano reciprocamente. La mancanza anche di un solo elemento della fattispecie non dovrebbe consentire, in linea di principio, la produzione dei relativi effetti; tuttavia l’atto, anche quando le difformità sono rilevanti, quasi mai può dirsi del tutto inefficace. Infatti, ragioni di economia inducono il legislatore ad avvalersi del principio di conservazione degli atti imperfetti, per cui l’atto diviene idoneo a produrre effetti, anche se precari, in attesa di uno dei seguenti sbocchi: a. La sanatoria del vizio, che da vita ad un’altra fattispecie equivalente, dal punto di vista degli effetti, a quella viziata, ma integrata da uno o più fatti ulteriori, ai quali si da il nome di cause di sanatoria; b. La declaratoria d’invalidità dell’atto, che viene dichiarata dal giudice, la quale provoca l’eliminazione degli effetti dell’atto. Il titolo VII disciplina solo la nullità, salvo un unico riferimento all’inammissibilità, che riguarda gli atti di parte o di chi si fa parte. Oltre ai casi in cui l’inammissibilità discende dal compimento dell’atto nonostante la scadenza del relativo termine, spesso il vizio riguarda la forma della domanda o l’omissione di taluni contenuti della stessa. Essa, oggetto di autonomo motivo di ricorso per cassazione, è dichiarabile d’ufficio, in ogni stato e grado del procedimento. L’inutilizzabilità è, invece, talora richiamata con riferimento alla sanzione che consegue all’impiego dibattimentale di un atto delle indagini preliminari in sede probatoria, talvolta con riferimento ai casi di difformità rispetto ai criteri di ammissione oppure di assunzione della prova. Essa può essere rilevata in ogni stato e grado del giudizio, anche d’ufficio. 29. IL PRINCIPIO DI TASSATIVITA’ DELLE NULLITA’ E LA TECNICA DI PREVISIONE Le disposizioni in tema di nullità sono dominate dal principio di tassatività, dal quale discende una serie di corollari. All’interprete non solo non è consentito ricorrere all’integrazione analogica, ma neppure, una volta accertata la causa di nullità, valutare l’esistenza di un conseguente pregiudizio effettivo. Un atto, anche se inficiato da violenza o minaccia è comunque processualmente valido; al massimo, gli interrogatori dell’imputato e le prove affette da vizi della volontà rientrano nell’ambito dell’inutilizzabilità. L’inesistenza giuridica comprende quei vizi tanto macroscopici da indurre il legislatore a non ipotizzarne neppure l’eventualità e all’interprete a negarne la collocazione tra gli atti giuridici. Essa genera un vizio non solo rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, ma anche oltre, in quanto la gravità del vizio è tale da impedire la formazione del giudicato. Nel caso dell’abnormità dei provvedimenti del giudice, l’atto è idoneo ad integrare lo schema normativo minimo, ma si caratterizza per il suo contenuto del tutto estemporaneo, sia sul piano strutturale che su quello funzionale. È soggetta agli ordinari termini di impugnazione e perde rilevanza a seguito della formazione del giudicato. Tra le nullità generali rientrano l’inosservanza di una serie di disposizioni riguardanti il giudice, il PM, l’imputato, le altre parti private, i loro difensori e rappresentanti, nonché la 33. LA DEDUCIBILITA’ E LE SANATORIE La deducibilità delle nullità relative e di quelle intermedie trova un triplice limite soggettivo. La nullità non può essere dedotta o eccepita né da chi vi ha dato o concorso a darvi causa, né da chi non ha interesse all’osservanza della disposizione violata. La nullità deve poi essere eccepita prima del compimento dell’atto oppure, se ciò non è possibile, immediatamente dopo. Qualora la parte non abbia assistito al compimento dell’atto, il termine per dedurre la nullità coincide con quelli di sanatoria stabiliti per le nullità relative ed intermedie. La sanatoria consiste in un fatto successivo che determina un’equivalenza di effetti rispetto al corrispondente atto perfetto. La disciplina delle sanatorie generali si incentra su 2 figure: a. La prima riguarda la rinuncia espressa della parte interessata ad eccepire la nullità e l’accettazione degli effetti dell’atto; b. La seconda riguarda, invece, i casi in cui l’atto ha raggiunto lo scopo al quale era preordinato rispetto a tutti gli interessati. Le sanatorie generali operano nei confronti sia delle nullità relative che di quelle intermedie. La nullità di una citazione o di un avviso, ovvero delle relative comunicazioni e notificazioni, è sanata se la parte interessata è comparsa o ha rinunciato a comparire. La parte che invece dichiari di essere comparsa solo per far rilevare l’irregolarità non impedisce il verificarsi della sanatoria, ma ha diritto ad un termine a difesa non inferiore a 5 gg. Solo per la citazione a comparire al dibattimento, il termine a difesa non può essere inferiore a 20 gg. 34. GLI EFFETTI DELLA DICHIARAZIONE DI NULLITA’ La nullità di un atto innanzitutto comporta l’invalidità di quelli consecutivi che dipendono da esso. Il giudice che dichiara la nullità dispone la rinnovazione dell’atto solo qualora essa sia necessaria e possibile. In tal caso, le spese sono a carico di chi ha dato causa alla nullità per dolo o colpa grave. Se la nullità è dichiarata in uno stato o grado diverso da quello in cui la stessa si è verificata, vi è una distinzione: a. La dichiarazione di nullità comporta la regressione del procedimento allo stato e grado in cui è stato compiuto l’atto nullo, purché si tratti di un atto di natura non probatoria; b. Se, invece, si tratta di nullità riguardanti le prove, il giudice deve provvedere alla rinnovazione, sempreché ciò sia necessario ai fini della decisione e la prova si ripetibile. CAPITOLO 3 – PROVE 1. PREMESSA. LE SCELTE SISTEMATICHE NELLA DISCIPLINA DELLE PROVE La tematica delle prove comprende sia la disciplina dei “mezzi di prova” che quella dei “mezzi di ricerca della prova”. Il nuovo codice non si è limitato a descrivere i profili procedurali dell’acquisizione probatoria, ma si è preoccupato anche di sottolineare la funzionalità delle relative regole rispetto al convincimento del giudice. A preambolo del libro sulle prove vi sono alcune disposizioni generali che contengono una specie di catalogo dei principi guida da osservarsi in materia probatoria, come tali logicamente prioritari rispetto alla regolamentazione dei singoli mezzi. 2. SEGUE. IL PROBLEMA DELLA SFERA D’INCIDENZA DELLA NORMATIVA CONTENUTA NEL LIBRO DELLE PROVE Le disposizioni del libro sulle prove devono sicuramente applicarsi alla fase del dibattimento e a quella di svolgimento dell’incidente probatorio, mentre è problematica la sua incidenza anche nelle fasi preliminari. Le norme del libro sulle prove sicuramente si applicano nelle fasi anteriori al dibattimento con riferimento ai diversi momenti in cui è previsto l’intervento del giudice, ora in funzione di organo di garanzia, ora in funzione di organo di decisione: a. Incominciando col far riferimento all’attività del giudice in sede di udienza preliminare, si dovranno osservare le disposizioni generali in tema di ammissione delle prove; b. La conclusione non è diversa anche con riguardo alle ipotesi in cui il giudice è chiamato ad intervenire nel corso delle indagini preliminari, nell’adempimento del suo compito di garanzia dei diritti e delle libertà fondamentali. Molto più delicato è il problema per quanto riguarda l’operatività delle disposizioni sulle prove rispetto alle indagini preliminari svolte dal PM. Se è vero che esse sono suscettibili, in alcuni casi, ad assurgere al livello di prova, non è pensabile che possano svolgersi al di fuori di ogni riferimento alla disciplina dettata in materia di attività probatoria, ovviamente entro i limiti consentiti dalla natura e dalla finalità delle stesse. Per quel che riguarda la disciplina dei mezzi di ricerca delle prove, non vi è dubbio che essa debba venire osservata dal PM; infatti, se le stesse non dovessero trovare applicazione nella fase preliminare al Per quanto poi riguarda i criteri della pronuncia sull’ammissibilità della prova, il giudice è vincolato a 2 parametri: a. Da un lato, il giudice deve escludere le prove vietate dalla legge, cioè quelle per le quali esiste un espresso divieto in ordine all’oggetto o al soggetto della prova, ovvero in ordine alla procedura di acquisizione probatoria; b. Dall’altro, lo stesso giudice, dopo aver riscontrato l’insussistenza di divieti legislativi, deve escludere le prove che risultano superflue o irrilevanti. Carattere derogatorio ha la norma dell’art. 190- ‐bis, che opera nei soli procedimenti per i delitti di criminalità organizzata. Essa dispone che, nel corso di tali procedimenti, quando è richiesto l’esame di un testimone o di un imputato in un procedimento connesso, che abbiano già reso dichiarazioni in sede di incidente probatorio o in dibattimento, purché nel contraddittorio con la persona nei cui confronti le dichiarazioni dovranno essere utilizzate, l’esame di tali soggetti è ammesso solo se riguarda fatti o circostanza diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni, ovvero quando il giudice o una delle parti lo ritengono necessario sulla base si specifiche esigenze. Tale disciplina è estesa all’esame di un testimone minore di 16 anni nei processi per i delitti di pornografia e di prostituzione minorile. Tale disciplina derogatoria da un lato assicura l’osservanza della garanzia del contraddittorio, dall’altro subordina il potere del giudice di ammettere o meno la rinnovazione dell’esame di tali soggetti ad una valutazione di necessità. I principi espressi nell’art. 190, ovviamente, sono applicabili nell’intero arco del procedimento. 6. PROVE ILLEGITTIMAMENTE ACQUISITE E SANZIONE DI INUTILIZZABILITA’ Le prove illegittimamente acquisite, cioè ammesse o assunte in violazione dei divieti di legge, non sono utilizzabili. Tale inutilizzabilità è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento. Per quanto riguarda la sfera di operatività della sanzione dell’inutilizzabilità, essa va individuata in ogni ipotesi di inosservanza di un divieto sancito dalla legge processuale in materia di ammissione ovvero di acquisizione probatoria, comprese le ipotesi in cui il divieto può emergere solo ex post rispetto al momento acquisitivo, cioè nel momento della valutazione della prova. 7. VALUTAZIONE DELLA PROVA E REGOLE DI CONVINCIMENTO DEL GIUDICE Per quanto attiene al regime di valutazione della prova, opera anzitutto il principio del libero convincimento del giudice. Le valutazioni del giudice devono poi necessariamente accordarsi con la motivazione dei provvedimenti che ne siano derivati, nella quale deve essere dato conto sia dei risultati acquisiti che dei criteri adottati. In particolare, all’interno della motivazione non solo devono essere indicate le prove poste a base della decisione, ma devono anche essere enunciate le ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie. Oltre al limite razionale derivante dall’obbligo della motivazione, il principio del libero convincimento del giudice incontra anche alcuni limiti di tipo normativo, volti a circoscrivere la sfera del libero apprezzamento probatorio del giudice: a. In primo luogo, ai fini del convincimento del giudice non possono essere utilizzati elementi di natura soltanto indiziaria, a meno che gli stessi si qualifichino come gravi, precisi e concordanti. In quest’ultimo caso, gli indizi assumo valenza di prova. b. In secondo luogo, con riferimento alla situazione dei coimputati del medesimo reato, ovvero degli imputati in un procedimento connesso, le dichiarazioni testimoniali provenienti da una di tali persone possono essere valutate solo unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità (c.d. presunzione relativa di inattendibilità). Lo stesso vale per le dichiarazioni rese dall’imputato di un reato collegato a quello per cui si procede, nonché per le dichiarazioni rese dall’imputato che ha assunto l’ufficio di testimone; c. Infine, non possono essere utilizzate ai fini del convincimento del giudice le dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre sottratto all’esame da parte dell’imputato o del suo difensore. 8. LA TESTIMONIANZA Il libro III del codice colloca in 2 titoli separati la disciplina dei singoli mezzi di prova e dei mezzi di ricerca della prova: a. I mezzi di prova offrono al giudice dei risultati direttamente utilizzabili per la decisione; b. I mezzi di ricerca della prova sono invece diretti a permette l’acquisizione di cose, tracce, notizie o dichiarazioni idonee ad assumere rilevanza probatoria. Incominciando dall’area dei mezzi di prova, occorre richiamare l’attenzione in primis sulla testimonianza. L’art. 195 riguardante la testimonianza indiretta: a. da un lato, sancisce l’inutilizzabilità della deposizione di chi non può o non vuole indicare la persona o la fonte da cui ha appreso la notizia al centro dell’esame testimoniale. Di qui deriva il divieto di acquisizione e di impiego delle notizie provenienti dagli informatori confidenziali, dei quali gli organi di polizia e dei servizi di sicurezza non hanno rivelato i nomi; b. dall’altro, prevede che, quando il testimone riferisce fatti o circostanze apprese da persone diverse, queste ultime non solo possono essere chiamate a deporre d’ufficio dal giudice, ma devono comunque esserlo su richiesta di parte, a pena di inutilizzabilità delle dichiarazioni. Qualora non venga avanzata alcuna richiesta, le dichiarazioni rese dal testimone indiretto saranno utilizzabili come una sorta di tacito consenso delle parti alla utilizzabilità dei contenuti della deposizione resa dal testimone “per sentito dire”. In capo agli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria vi è il divieto di deporre sul contenuto di dichiarazioni rese da testimoni, ma limitatamente alle dichiarazioni acquisite tramite sommarie informazioni, verbale di denuncia, querela e istanze presentate oralmente. Quindi, tale divieto opera quando, pur ricorrendone le condizioni, gli organi di polizia non hanno provveduto alla redazione del verbale. Al fine di assicurare sempre un controllo sulla fonte delle deposizioni di “seconda mano”, è esclusa la testimonianza dei soggetti che fanno riferimento a fatti conosciuti da persone titolari di un segreto professionale o d’ufficio, sempreché le medesime persone non abbiano deposto sugli stessi fatti, o non li abbiano divulgati in altro modo, manifestando in tal modo un comportamento incompatibile col mantenimento del vincolo di segretezza. Per quanto riguarda l’area dell’incompatibilità a testimoniare dell’imputato, essa è circoscritta in termini assoluti a chi è coimputato del medesimo reato o imputato in un procedimento connesso, sempreché nei suoi confronti non è già stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, ovvero di condanna o di applicazione della pena. A questa incompatibilità assoluta se ne affianca un’altra riferita alla situazione di chi è imputato per un reato commesso per eseguirne o occultarne altri, salvo che nei suoi confronti non è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, di proscioglimento o di applicazione della pena. Quest’ultima causa di incompatibilità non opera invece qualora l’imputato rende dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri, nel qual caso assumerà, in ordine a tali fatti, l’ufficio di testimone. Le persone che, rivestendo la qualifica di imputato in un procedimento connesso o collegato, possono ricoprire l’ufficio di testimone, devono essere assistite da un difensore (di qui la formula di testimone Del provvedimento di rigetto dell’eventuale eccezione deve essere data comunicazione la presidente del Consiglio affinché possa prendere le opportune iniziative. Nella caso della testimonianza falsa o reticente, qualora nel corso dell’esame un testimone rende dichiarazioni contraddittorie, incomplete o contrastanti con le prove già acquisite, il giudice glielo fa notare avvertendolo, se del caso, dell’obbligo di dire la verità. Con la decisione che definisce la fase processuale in cui il testimone ha prestato il suo ufficio, il giudice, se ravvisa indizi del reato di falsa testimonianza, ne informa il PM trasmettendogli i relativi atti. 9. L’ESAME DELLE PARTI L’esame delle parti è un mezzo di prova esperibile solo su richiesta di parte, compreso il PM. Una volta manifestata la propria volontà favorevole all’esame, se la parte che vi è sottoposta si rifiuta di rispondere, ne deve essere fatta menzione nel verbale. La parte esaminata, al pari del testimone, gode poi della facoltà di non rispondere tutte le volte in cui dalla risposta potrebbe emergere una sua responsabilità penale. Un’apposita regolamentazione è prevista dall’art. 210 per l’esame delle persone imputate in un procedimento connesso, nei confronti delle quali si proceda, o si sia proceduto, separatamente. Essi di regola sono esaminati su richiesta di parte, ma possono esserlo anche d’ufficio qualora si sia fatto riferimento ai medesimi in una testimonianza, o in un esame, di natura indiretta. In questo caso, si applicano le disposizioni previste per la testimonianza indiretta. Quanto alle forme di svolgimento dell’esame, il modello base è quello dell’esame dei testimoni; per il resto, la disciplina dell’esame dei soggetti in questione è costruita sulla base di un assetto intermedio tra quello del testimone e quello dell’imputato. Lo speciale meccanismo dell’art. 210 è oggi riservato soprattutto alle persone imputate in un procedimento connesso che non possono assumere l’ufficio di testimone, mentre, per quanto riguarda le persone imputate in un procedimento connesso o di un reato collegato, occorre distinguere sulla base della loro precedente condotta processuale. Più precisamente, la disciplina in questione deve applicarsi anche ai soggetti in questione che in precedenza non hanno reso dichiarazioni riguardanti la responsabilità dell’imputato. 10. CONFRONTI, RICOGNIZIONI ED ESPERIMENTI GIUDIZIALI I confronti sono ammessi esclusivamente fra persone già esaminate o interrogate, qualora vi siano dichiarazioni in contrasto su fatti e circostanze importanti. Per quanto riguarda le modalità dell’atto, viene evidenziata la funzione del giudice, cui spetta il compito di richiamare alle persone in questione le precedenti dichiarazioni e di invitarli alle reciproche contestazioni, quando le medesime siano state confermate. La disciplina delle ricognizioni si caratterizza per l’accuratezza e l’analitica descrizione delle modalità di svolgimento dell’atto. Costituisce causa di nullità anche solamente la mancata menzione, nel verbale, dell’osservanza delle forme prescritte per scandire la relativa procedura. Va poi evidenziata l’attribuzione al giudice del potere di adottare, anche in sede dibattimentale, le necessarie cautele per impedire che la persona chiamata ad effettuare la ricognizione possa subire intimidazioni da parte di quella sottoposta all’atto. Sia nel caso dei confronti, sia nel caso delle ricognizioni, la persona chiamata a compiere l’atto può rilasciare dichiarazioni, le quali, per il loro contenuto, sono assimilabili a quelle rese dall’imputato in sede di interrogatorio ovvero di esame. Di conseguenza, quando si tratta dell’imputato, gli è riconosciuto il diritto di rifiutarsi al compimento dell’atto, nonché la facoltà di non rispondere alle domande che gli vengono rivolte. Gli esperimenti giudiziali sono invece finalizzati ad accertare se un fatto è avvenuto o può essere avvenuto in un determinato modo, attraverso la riproduzione della situazione e la ripetizione delle modalità relative al suo presumibile svolgimento. Sono dettagliatamente previsti i contenuti sia dell’ordinanza che abbia disposto l’esperimento ( tra i quali l’eventuale nomina di un esperto in vista dell’esecuzione di determinate operazioni) sia dei poteri del giudice diretti ad assicurare un efficace e corretto svolgimento dell’atto. In particolare, il giudice deve provvedere affinché l’esperimento possa svolgersi senza offendere sentimenti di coscienza, e senza esporre a pericolo l’incolumità delle persone o la sicurezza pubblica. 11. LA PERIZIA La perizia è disposta quando occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni, le quali richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche (art. 220). Un’ipotesi particolare di perizia è quella per cui l’imputato per un reato di pedofilia o contro la libertà sessuale deve essere sottoposto ad accertamenti per l’individuazione di patologie sessualmente trasmissibili, e ciò ogniqualvolta le modalità del fatto possono prospettare un rischio di trasmissione. Quando il giudice accerta la sussistenza di una delle necessità indicate nell’art. 220, egli è obbligato ad ammettere la perizia anche d’ufficio e prevedere il contenuto della relativa ordinanza, che, accanto alla nomina del perito, dovrà anche recare la sommaria enunciazione dell’oggetto dell’indagine. Non sono ammesse le perizie concernenti il carattere e la personalità dell’imputato, le forme di pericolosità sociale e le sue qualità psichiche indipendenti da cause patologiche. Può essere nominato perito solo il soggetto iscritto in appositi albi professionali, anche se non è escluso il ricorso ad altri esperti di particolare competenza; inoltre, il giudice può disporre una perizia collegiale quando le indagini e le valutazioni risultano di particolare complessità, ovvero quando le medesime richiedono distinte conoscenze in diverse discipline. Sono inoltre vietati i prelievi coattivi di sangue, ovvero di altri tessuti o materiali organici, anche quando necessari per lo svolgimento di una perizia. Tale divieto è però superato dall’attribuzione agli organi di polizia giudiziaria del potere di procedere anche coattivamente al prelievo di capelli o di saliva ai fini dell’individuazione dell’indagato. Al di fuori di tali ipotesi, invece, l’acquisizione e l’utilizzazione dibattimentale dei verbali di altri procedimenti contenenti dichiarazioni è ammessa soltanto nei confronti dell’imputato che vi consenta. In assenza del consenso, essi potranno essere utilizzati solo ai fini delle contestazioni in sede di esame dibattimentale. In ogni caso, qualora tali verbali siano acquisiti, le parti hanno il diritto di ottenere l’esame delle persone che hanno reso tali dichiarazioni. Infine, assume particolare rilievo la disciplina riferita all’avviso di conclusione delle indagini preliminari, nonché all’udienza preliminare, in vista della quale è stabilito che, una volta depositato in cancelleria il fascicolo del PM contente le risultanze delle indagini preliminari, anche il difensore dell’imputato può produrre documenti, che dovranno essere ammessi dal giudice prima dell’inizio della discussione. Ugualmente, devono essere ammessi i nuovi documenti eventualmente prodotti a seguito delle ulteriori indagini, come pure quelli acquisiti dal giudice in virtù dei poteri di integrazione probatoria. Conclusasi l’udienza preliminare con il rinvio a giudizio, tra i documenti in precedenza acquisiti sono destinati a confluire nel fascicolo del dibattimento solo i certificati del casellario giudiziale e i restanti atti indicati nell’art. 236. 13. ISPEZIONI E PERQUISIZIONI Tra i mezzi di ricerca della prova innanzitutto occorre analizzare: a. Le ispezioni, dirette ad accertare sulle persone, nei luoghi o nelle cose, le tracce e gli altri effetti materiali del reato; b. Le perquisizioni, dirette a ricercare il corpo del reato o cose pertinenti al reato sulle persone o in luoghi determinati, ovvero ad eseguire in questi ultimo l’arresto dell’imputato o dell’evaso. Incominciando dall’ispezione personale, si prevede in primis che l’interessato può farsi assistere da una persona di fiducia, purché reperibile ed idonea; inoltre essa deve essere eseguita personalmente dall’autorità procedente o da un medico, nel rispetto della dignità e del pudore della persona che deve soggiacervi. Circa l’ispezione di luoghi o di cose, prima dell’inizio delle operazioni occorre consegnare il relativo decreto all’imputato e alla persona titolare della disponibilità dei luoghi, sempreché presenti. L’autorità giudiziaria può poi impedire, con provvedimento motivato da ricomprendere nel verbale, l’allontanamento di una o più persone dai luoghi dell’ispezione prima della sua conclusione. Infine, la medesima autorità procedente può disporre rilievi segnaletici, descrittivi e fotografici, insieme ad ogni altra necessaria operazione tecnica. In materia di perquisizioni, allorché si cerchi una cosa determinata, viene enunciato il principio della richiesta di consegna: qualora tale cosa venga presentata, la perquisizione potrà essere evitata, salvo non si ritenga utile procedervi per la completezza delle indagini. L’autorità giudiziaria può procedere all’esame di atti e documenti presso banche, eventualmente dopo averne chiesto l’esibizione, quando si tratta di rintracciare cose da sottoporre a sequestro, ovvero di accertare altre circostanze utili ai fini delle indagini. Nel caso il consenso venga rifiutato, l’autorità giudiziaria deve necessariamente procedere a perquisizione. Qualora venga disposta un’ispezione o una perquisizione presso l’ufficio del difensore, che il giudice o il PM deve eseguire personalmente sulla scorta di un decreto autorizzativo motivato, occorre avvisare il locale consiglio dell’ordine forense, affinché il presidente o un suo consigliere delegato possa assistere alle operazioni. Peraltro, presso i difensori ed i consulenti tecnici non si può procedere al sequestro di carte o documenti relativi all’oggetto della difesa, salvo che costituiscano corpo del reato. Sono inoltre vietati il sequestro ed ogni altro controllo della corrispondenza tra l’imputato ed il suo difensore, salvo l’autorità giudiziaria abbia fondato motivo di ritenere che si tratti di corpo del reato; allo stesso modo, sono vietate le intercettazioni di conversazioni e di comunicazioni dei difensori, dei consulenti tecnici e dei loro ausiliari. I risultati delle ispezioni, delle perquisizioni, dei sequestri e delle intercettazioni eseguiti in violazione di tali disposizioni, non possono essere utilizzati. Vi sono poi particolari figure di perquisizione consentite agli organi di polizia giudiziaria da leggi speciali quando, nel corso di operazioni dirette alla prevenzione o alla repressione di determinati delitti, si verificano situazioni di necessità e di urgenza tali da non permettere un tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria. In questi casi, delle operazioni compiute occorre dare tempestiva notizia al procuratore della Repubblica in vista dell’eventuale convalida delle stesse. 14. IL SEQUESTRO Oggetto del sequestro sono il corpo del reato (cioè le cose sulle quali o mediante le quali è stato commesso il reato, nonché quelle che ne costituiscono il profitto, il prodotto o il prezzo) e le cose pertinenti al reato necessarie per l’accertamento dei fatti. Si tratta delle stesse cose per la cui ricerca può essere disposta la perquisizione, per cui si instaura un rapporto di logica consequenzialità tra perquisizione e sequestro, pur potendo accadere che quest’ultimo non sia preceduto dal primo. Sotto il profilo procedurale, occorre un decreto motivato ad opera dell’autorità procedente, la quale può procedere all’atto sia di persona, sia per mezzo di un ufficiale di polizia delegato. Cominciando col sequestro di corrispondenza, presso gli uffici postali può essere sequestrato ogni oggetto presumibilmente spedito all’imputato, o a lui diretto (esclusa la corrispondenza tra imputato e difensore), o che comunque può avere relazione con il reato. Ove successivamente si accerti l’estraneità delle carte e dei documenti sequestrati all’ambito della corrispondenza suscettibile di sequestro, se ne impone l’immediata restituzione all’avente diritto. Passando al sequestro presso istituti bancari, possono essere sequestrati documenti, titoli, valori ed ogni altra cosa, quando si ha fondato motivo di ritenere la loro pertinenza al reato. La normativa dei rapporti tra sequestro e segreto ricalca quella dettata a proposito dei rapporti tra testimonianza e segreti, mentre una disciplina particolare è stata dettata per l’acquisizione di documenti presso le sedi dei servizi d’informazione per la sicurezza , nel caso in cui dai responsabili dei relativi uffici non venga eccepito il segreto di Stato. In tal caso si prevede che l’autorità giudiziaria, dopo aver proceduto all’esame sul posto dei suddetti documenti, e dopo aver acquisito solo quelli indispensabili alle indagini, possa rivolgersi al presidente del Consiglio ove ritenga che i documenti esibiti non siano quelli richiesti, o siano incompleti. Qualora, invece, il responsabile dell’ufficio eccepisca il segreto di Stato, l’esame e la consegna dei documenti deve essere sospesa, affinché gli stessi siano trasmessi al presidente del Consiglio. Quest’ultimo potrà poi autorizzare l’acquisizione dei documenti ovvero confermare il segreto. Qualora il presidente non si pronunci entro 30 gg. dalla trasmissione, l’autorità giudiziaria potrà procedere all’acquisizione. Allo stesso presidente dovrà invece necessariamente rivolgersi l’autorità giudiziaria quando intende acquisire un documento originato da un organismo informativo estero e trasmesso con vincolo di non divulgazione, essendo in tal caso prevista la sospensione dell’esame e della consegna, nell’attesa che il presidente del Consiglio autorizzi l’acquisizione del documento, ovvero opponga il segreto di Stato, entro 60 gg. L’estinzione del vincolo imposto col sequestro e, quindi, la restituzione delle cose ad esso assoggettate, dipendono dal venir meno delle esigenze probatorie che avevano determinato il provvedimento. In particolare, quando non è più necessario mantenere il sequestro ai fini della prova, le cose devono essere restituite a chi ne abbia il diritto, anche prima della sentenza. Tuttavia, il
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