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compendio procedura penale - conso grevi, Dispense di Diritto Processuale Penale

riassunto completo del conso - grevi: compendio di procedura penale. Dai capitoli I a X (escluso VIII). All’inizio del file ho aggiunto una pagina con gli articoli della costituzione a cui rimanda spesso il testo, così è più semplice da consultarli.

Tipologia: Dispense

2022/2023

In vendita dal 28/02/2023

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Scarica compendio procedura penale - conso grevi e più Dispense in PDF di Diritto Processuale Penale solo su Docsity! lOMoARcPSD|1202071 1 COMPENDIO DI PROCEDURA PENALE (C-G) I PRINCIPI DELLA COSTITUZIONE AVENTI RILEVANZA NEL PROCESSO PENALE Art. 3: il principio di eguaglianza, formale (comma 1°) e sostanziale (comma 2°), comporta che siano trattate “egualmente” situazioni eguali e “diversamente” situazioni diverse, donde la conseguenza che ogni differenziazione, per essere giustificata, deve risultare ragionevole, cioè razionalmente correlata al fine per cui si è inteso stabilirla. Art. 13: le restrizioni della libertà personale - proclamata inviolabile nel comma 1° e tutelata come tale nel comma 4°, anche mediante il divieto di “ogni violenza fisica o morale” - sono ammesse unicamente “per atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge” (comma 2°). L'unica deroga riguarda (comma 3°) le ipotesi in cui ricorrano “casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge”, in presenza dei quali “l'autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro 48 ore all'autorità giudiziaria” per esserne convalidati (dopo di che, “se questa non li convalida nelle successive 48 ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto”). Il tutto con l'ulteriore onere, per il legislatore, di stabilire “i limiti massimi della carcerazione preventiva” (comma 5°).Art. 14: dichiarato “inviolabile” il domicilio (comma 1°), si prescrive (comma 2°) che “non vi si possono eseguire ispezioni o perquisizioni o sequestri, se non nei casi e modi stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale” dall'art. 13 commi 2° e 3°. Art. 15: dichiarate “inviolabili” la “libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione” (comma 1°), si statuisce (comma 2°) che “la loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge”. Art. 24: premesso (comma 1°) che “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi” (c.d. diritto di azione), si proclama “inviolabile in ogni stato e grado del procedimento” il diritto di difesa (comma 2°), da intendere sia come difesa personale o autodifesa sia come difesa tecnica. Quest'ultima dev'essere garantita anche ai non abbienti “con appositi istituti”, in grado di assicurare loro “i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione” (co 3°), mentre al legislatore è imposto di determinare “le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari” (c04°). Art. 25 comma 1°: con il proclamare che “nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge” si vuole che il giudice chiamato a procedere ed a giudicare sia individuato alla stregua di criteri predeterminati per legge, senza che da essi sia possibile allontanarsi sulla base di scelte discrezionali successive. Art. 27 comma 2°: l'enunciazione del principio per cui “l'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva” sta a significare che la presunzione di non colpevolezza, che accompagna l'imputato stesso, viene meno soltanto se e quando nei suoi confronti intervenga sentenza irrevocabile di condanna. Art. 68 commi 2° e 3°: caduto l'istituto generale dell'autorizzazione a procedere (l. cost. 29 ottobre 1993, n. 3), nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione (salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se sia colto nell'atto di commettere un delitto per il quale è obbligatorio l'arresto in flagranza), “senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene”. Analoga autorizzazione è richiesta, inoltre, per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni ed a sequestro di corrispondenza. Art. 79: vi si stabilisce che l'amnistia e l'indulto sono concessi con legge deliberata a maggioranza dei 2/3 dei componenti di ciascuna Camera, in ogni suo articolo e nella votazione finale. Si precisa, inoltre, che tale legge deve fissare il termine per l'applicazione dell'amnistia o dell'indulto, che non possono comunque applicarsi ai reati commessi successivamente alla presentazione del relativo disegno di legge. Art. 90: il Presidente della Repubblica può essere chiamato a rispondere degli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni solo per alto tradimento o attentato alla Costituzione; in tali casi viene messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri dinnanzi alla Corte costituzionale in composizione allargata. Art. 96: il presidente del consiglio dei ministri ed i ministri, anche se cessati dalla carica, per i “reati commessi nell'esercizio delle loro funzioni” sono ora sottoposti alla giurisdizione ordinaria, previa autorizzazione del Senato o della Camera dei deputati, secondo le norme stabilite con legge costituzionale (l. cost. 16 gennaio 1989, n.1). Art. 97 comma 1°: i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione. Art. 101: i giudici, “soggetti soltanto alla legge”, amministrano la giustizia in nome del popolo, avendo cosi assicurata all'interno del potere al quale appartengono quell'autonomia e quell'indipendenza che l'art. 104 comma 1° riconosce all'intera magistratura (ivi compresi, dunque, i magistrati del pubblico ministero) come “ordine” nei confronti degli altri poteri dello Stato. Indipendenza che l'art. 108 comma 2° garantisce anche ai giudici delle giurisdizioni speciali, al pubblico ministero presso di esse e agli estranei che partecipano all'amministrazione della giustizia. Art. 109: anziché prevedere, come inizialmente ventilato, l'istituzione di uno speciale corpo autonomo di polizia giudiziaria alle dipendenze esclusive dell'autorità giudiziaria, si è prescelta la soluzione di una dipendenza soltanto funzionale, prescrivendo che l'autorità giudiziaria “dispone direttamente della polizia giudiziaria”. Art. 111: a seguito della l. cost. 23 novembre 1999, n. 2, volta ad inserire i “principi del giusto processo” nell'art. 111 Cost., attraverso l'introduzione di 5 nuovi commi iniziali, vi si afferma, anzitutto, che la giurisdizione si attua “mediante il giusto processo regolato dalla legge”, precisandosi quindi, sempre in via generale, che ogni processo deve svolgersi “nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale” (commi 1° e 2°). lOMoARcPSD|1202071 2 Successivamente, con specifico riferimento al processo penale, si prescrive alla legge di assicurare che “la persona accusata di un reato sia, nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico; disponga del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa; abbia la facoltà, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la convocazione e l'interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell'accusa e l'acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore; sia assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo” (comma 3°). Si stabilisce, inoltre, che “il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova”, mentre “la colpevolezza dell'imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore” (comma 4°). Tuttavia, nel successivo 5° comma si prevede che “la legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell'imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita”. Negli ulteriori commi 6° e 7°, si stabilisce che tutti i provvedimenti giurisdizionali “devono essere motivati”, anche al fine di renderne più efficace e penetrante il sindacato di legittimità: in particolare attraverso il “ricorso in cassazione per violazione di legge”, che deve essere sempre consentito “contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali”, siano essi ordinari o speciali, con la sola eccezione delle sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra. Art. 112: l'esercizio dell'azione penale da parte del pubblico ministero ha carattere obbligatorio, nel senso che di fronte ad ogni notizia di reato il pubblico ministero è tenuto a procedere, richiedendo al giudice di pronunciarsi in proposito. Come i giudici sono soggetti soltanto alla legge, così i magistrati del pubblico ministero sono soggetti all'obbligo di esercitare l'azione penale, senza alcun margine di discrezionalità c.d. politica, quando sussistano i presupposti di tale obbligo: con la conseguenza che, da un lato, ne viene garantita l'indipendenza e, dall'altro, risulta sancita, almeno teoricamente, la parità di trattamento fra tutti gli individui di fronte alla legge penale (si tratta della traduzione, sul piano processuale, del principio di legalità). INTRODUZIONE (G.C.) Il codice di procedura penale italiano del 1988, entrato in vigore nel 1989, con la sua articolazione in 2 parti (quella statica e quella dinamica) ed 11 libri (intitolati: “Soggetti”, “Atti”, “Prove”, “Misure cautelari”, “Indagini preliminari e udienza preliminare”, “Procedimenti speciali”, “Giudizio”, “Procedimento davanti al pretore” poi divenuto “Procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica”, “Impugnazioni”, “Esecuzione”, “Rapporti giurisdizionali con autorità straniere”), ha subito fin dalla sua nascita svariati mutamenti ad opera di decreti delegati, leggi, decreti legge, declaratorie di illegittimità costituzionale, sentenze interpretative di rigetto, anche per dare attuazione a direttive e sentenze europee. Il nuovo codice - in aperta contrapposizione allo spirito inquisitorio cui era ispirato il precedente codice del 1930 tutto imperniato sull’antitesi tra “istruzione” (segreta e scritta) e “giudizio” incentrato sul dibattimento (pubblico e orale), pur nettamente privilegiando la prima rispetto al secondo - avrebbe dovuto attuare non solo “i principi della Costituzione ed adeguarsi alle norme delle Convenzioni internazionali ratificate dall’Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale”, ma anche “i caratteri del sistema accusatorio” e la “partecipazione dell’accusa e della difesa su basi di parità in ogni stato e grado del procedimento” (anche per via dell’inserimento in Costituzione, a partire dalla fine del 1999, dei nuovi primi 5 commi dell’art. 111, cominciando dal richiamo al valore del “giusto processo” e continuando con una serie di incisive prescrizioni, fra cui quelle volte ad assicurare “condizioni di parità” tra le parti e la “ragionevole durata” del processo. Per quanto concerne i rapporti tra rito ordinario e riti speciali, intendiamo per ordinario il procedimento che, dopo le indagini preliminari del PM non concluse dall’archiviazione della notizia di reato, giunge all’udienza preliminare e, non potendosi chiudere con sentenza di non luogo a procedere, sfocia nel giudizio imperniato sul dibattimento. Vi sono, poi, i riti etichettati dal codice come “speciali” e dalla dottrina come “alternativi”, differenziati, acceleratori o anticipati, e, cioè, il giudizio abbreviato, l’applicazione della pena su richiesta o patteggiamento in varie versioni, il giudizio direttissimo, il giudizio immediato, il procedimento per decreto e il procedimento di oblazione. Ad essi la recente l. 28 aprile 2014, n. 67, ha affiancato la sospensione del procedimento con messa alla prova. Il progetto predisposto tra il 1974 ed il 1978 aveva mirato ad esaltare il dibattimento, vedendovi l’essenza del processo accusatorio, e a ridurre l’area dell’istruzione, considerata con ragione la fonte dei maggiori mali del codice risalente al 1930. Per meglio evidenziare la funzione ed il ruolo dei riti speciali, si parla anche di deflazione dibattimentale, di risparmio di costi, di efficienza del sistema. I riti alternativi, benché regolati tutti in uno stesso libro del codice, il VI, vanno distinti in 2 categorie, quasi agli antipodi l’una dell’altra. Alla deflazione dibattimentale sono preordinati il giudizio abbreviato, l’applicazione della pena su richiesta delle parti o patteggiamento, il procedimento per decreto penale e la sospensione del procedimento con messa alla prova, di recente introduzione (oltre al procedimento di oblazione), mentre ben diversa collocazione spetta al giudizio immediato ed al giudizio direttissimo, che, lungi dal deflazionare il dibattimento, si identificano in esso, anticipandolo. Da tutto ciò consegue che i procedimenti speciali trovano il loro comune denominatore non nell’alternativa al dibattimento, ma nello snellimento processuale, nell’economia dei giudizi, nella riduzione dei costi, nella contrazione del processo. Nel 1999 una riforma ha istituito il giudice unico togato di primo grado. Incentrata sulla soppressione di un ufficio giudicante di antica tradizione, quale era la pretura, e conseguentemente del relativo ufficio del PM (cioè, la procura della Repubblica presso la pretura, ufficio appena introdotto nel 1988), con rispettivo assorbimento della prima, ufficio del GIP compreso, da parte del tribunale e del secondo da parte della procura della Repubblica presso il tribunale, nel chiaro intento di pervenire, come anche per il settore civile, ad una gestione più “economica” della giustizia. lOMoARcPSD|1202071 5 Vanno così ricordate 2 leggi fondamentali che si sono inserite nel circuito delle leggi essenziali del diritto processuale penale in tempi recenti: - la I. 21 febbraio 2014, n. 10, ha provveduto a convertire in legge il d.l. 23 dicembre 2013, n. 146, destinato proprio a recare “misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria”. Si tratta di un intervento legislativo il quale, oltre a modificare norme del codice di procedura penale, norme di ordinamento penitenziario, norme del t.u. in materia di immigrazione, ha istituito il “garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale”; - ancora più significativo l'insieme delle norme contenute nella l. 28 aprile 2014, n. 67, con la quale si è provveduto a predisporre deleghe al Governo “in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio”, oltre ad introdurre un istituto del tutto nuovo, sul quale il legislatore fa molto affidamento anche nell'ottica di ridurre il sovraffollamento delle carceri, che è l'istituto della messa alla prova con la contestuale sospensione del relativo procedimento penale. Infine, con la l. n. 117/2014, si sono introdotte “disposizioni urgenti in materia di rimedi risarcitori in favore dei detenuti e degli internati che hanno subito un trattamento in violazione dell'art. 3 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo (c.e.d.u.) e delle libertà fondamentali”. 7. L’attuazione delle decisioni quadro del Consiglio dell’Unione europea. Ai sensi dell’art. 34 Trattato sull’Unione europea, vengono definite decisioni-quadro gli atti giuridici che possono essere adottati dal Consiglio dell’Unione europea per il perseguimento della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale. Le decisioni-quadro sono volte al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri. Tali atti possono essere assimilati alle direttive comunitarie dal momento che il Trattato precisa che “sono vincolanti per gli Stati membri quanto al risultato da ottenere, salva restando la competenza delle autorità nazionali in merito alla forma e ai mezzi”. Lo stesso articolo precisa che le decisioni-quadro non hanno efficacia diretta (vale a dire, diretta applicabilità del diritto comunitario). L’iniziativa per l’adozione delle decisioni-quadro spetta alla Commissione europea e ai singoli Stati membri. Per la loro adozione è necessaria l’unanimità. La possibilità di adottare decisioni-quadro rappresenta una delle modifiche introdotte dal Trattato di Amsterdam. lOMoARcPSD|1202071 6 CAPITOLO 1 I. SOGGETTI (F.D.C.-G.P.V.) 1. Premessa. Il codice di procedura penale previgente a quello del 1988, trovava il suo baricentro nella fase dell’istruzione: il libro I, intitolato “Disposizioni generali”, disciplinava principalmente le azioni, dando la precedenza all’azione penale, quale strumento per il soddisfacimento della pretesa punitiva. Il codice vigente (quello dell’88) è invece ispirato al modello accusatorio e prevede una divisione in parte statica (libri I-IV) e dinamica (libri V-XI). Il libro I, relativo ai soggetti, si apre con il titolo dedicato al giudice: questo evidenzia la centralità della giurisdizione in un processo concepito come sistema di garanzie. Il libro I è dedicato ai soggetti del processo penale: 1. giudice, 2. pubblico ministero (PM), 3. polizia giudiziaria (PG), 4. imputato, 5. parte civile, responsabile civile, civilmente obbligato per la pena pecuniaria, 6. persona offesa dal reato, 7. difensori. In tale ambito è bene distinguere tra soggetti e parti, infatti non tutti i soggetti del processo possono essere considerate parti: • soggetti: secondo l'elencazione che ne fa il codice, sono tali il giudice, il PM, la PG, l'imputato, il danneggiato da reato, il responsabile civile, il civilmente obbligato per la pena pecuniaria, l'offeso dal reato, il difensore. Tutti sono caratterizzati dalla titolarità di poteri e facoltà, sia nella fase delle indagini preliminari, che nel processo vero e proprio; ü il giudice, infatti, è per definizione super partes, pertanto deve restare estraneo agli interessi in conflitto e svolgere una funzione arbitrale con assoluta imparzialità; ü la PG, svolge importanti funzioni di collaborazione del PM nella fase dell’indagine preliminare, ed in forza dei poteri e delle facoltà affidatele dalla legge è senz’altro qualificabile quale soggetto processuale; ma una volta esercitata l’azione penale, la PG resta estranea allo svolgimento del processo; ü la persona offesa dal reato, solo in alcuni casi coincide con il danneggiato infatti ad es. nelle ipotesi di omicidio: la persona offesa dal reato è la vittima (defunta), mentre i danneggiati saranno i suoi eredi a titolo universale. Solo nel caso in cui vi sia la predetta coincidenza, la persona offesa dal reato potrà costituirsi parte civile per conseguire il risarcimento e le restituzioni. • parte: tale qualità rappresenta la configurazione più intensa degli interessi che si agitano nella vicenda processuale. Sono tali i soggetti nei cui confronti verrà assunta la decisione giurisdizionale (ad es. imputato, parte civile). Sono considerate poi parti necessarie del rapporto processuale il PM, l'imputato (parte sostanziale) ed il suo difensore (parte formale): senza di esse il rapporto processuale non sorge, e non può continuare se una di esse venga meno. La qualità di parte si assume fin dal momento in cui il PM formula l'imputazione (e quindi dal momento in cui si instaura il processo e non durante il procedimento!) e permane fino al momento della sentenza irrevocabile e può rivivere nelle ipotesi di revisione. Per quanto riguarda invece, la parte civile, il responsabile civile e il civilmente obbligato per la pena pecuniaria, nonché i rispettivi difensori, sono parti eventuali ed accessorie, nel senso che la loro presenza è solo accidentale, se ed in quanto si verifichino certe condizioni (ad es. esercizio dell'azione civile nel processo penale; chiamata di colui che deve rispondere dei danni civili cagionati dall'imputato). Tali parti possono anche mancare, senza che ciò incida sul rapporto processuale penale. Inoltre: le persone che non sono soggetti nel procedimento, sono i consulenti tecnici del PM nella fase delle indagini preliminari o i periti del giudice e/o delle parti, il personale di cancelleria e segreteria, gli ufficiali giudiziari, gli interpreti, le persone informate sui fatti, i testimoni, gli ausiliari della PG e le persone sottoposte ad atti di perquisizione, ispezione, i quali non sono annoverati nel codice fra i soggetti processuali (libro I). Essi infatti non sono titolari di poteri o diritti in ordine all’oggetto del procedimento, ma svolgono una funzione subordinata e strumentale rispetto ai soggetti processuali. 2. La giurisdizione penale. Solamente il giudice può essere titolare di funzioni giurisdizionali penali. Il valido esercizio della funzione giurisdizionale è condizionato dalla ritualità dell’investitura a giudice; infatti, l’art. 178 c.p.p. stabilisce che, a pena di nullità, è sempre prescritta l’osservanza delle disposizioni riguardanti: 1. le condizioni di capacità del giudice; 2. il numero dei giudici necessario per costituire i collegi stabilito dalle leggi di ordinamento giudiziario (ord. giu.). Non sono considerate attinenti alla capacità del giudice le disposizioni sulla sua destinazione agli uffici, sulla formazione dei collegi e sulla assegnazione dei processi a sezioni, collegi e giudici. L’ultima di queste 3 categorie tratta di una questione inerente alla distribuzione delle cause tra giudici parimenti legittimati all’esercizio della funzione giurisdizionale. lOMoARcPSD|1202071 7 L’assegnazione degli affari è operata dal dirigente dell’ufficio alle singole sezioni, e dal presidente della sezione ai singoli collegi o giudici sulla base di criteri predeterminati indicati dal Consiglio superiore della magistratura (CSM). Le disposizioni sulla formazione dei collegi riguardano: a. le disposizioni che regolano la composizione dell’organo giudicante nel caso di assegnazione di un numero di giudici superiore a quello necessario per la costituzione dell’ufficio; b. le disposizioni sulle supplenze e applicazioni. Infine, per quanto attiene alle disposizioni sulla destinazione del giudice all’ufficio (es. un trasferimento) esse sono riconducibili al concetto di capacità. L’unico attributo rilevante ai fini di un’eventuale incapacità del giudice è quello della qualifica richiesto per l’esercizio delle funzioni giudiziarie che è chiamato a svolgere, la mancanza della quale dà origine ad una nullità assoluta. La soppressione dell’ufficio del pretore è stata compensata dalla possibilità per il tribunale di giudicare in 2 diverse composizioni: collegiale (vale a dire con 3 componenti) oppure monocratica. 3. Profili ordinamentali. Fondamentale è la distinzione tra giudici ordinari (che traggono la loro legittimazione dall’ord. giu.), giudici speciali (figure estranee alla legge di ord. giu.) e giudici straordinari (istituiti in seguito al fatto da giudicare). La Costituzione vieta l’istituzione di giudici straordinari o speciali, mentre ammette l’istituzione di giudici specializzati (ad es. il tribunale per i minorenni) in ragione dello specifico oggetto della loro giurisdizione. Sono esclusi dal divieto solo 2 giudici speciali: a. i tribunali militari, riguardo ai reati militari commessi da appartenenti alle forze armate; b. la corte costituzionale (come giudice penale), nella particolare composizione che risulta dall’art. 135 comma 7°, Cost., riguardo alle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica per alto tradimento o per attentato alla Costituzione. [I° Fase = il Parlamento decide sulla messa in accusa a maggioranza assoluta dei suoi membri. Il Presidente della camera trasmette l’atto di accusa alla corte costituzionale. II° Fase = il Presidente della corte costituzionale provvede direttamente all’interrogatorio. III° Fase = la corte si riunisce in camera di consiglio alla presenza dei giudici ordinari e aggregati. Nelle votazioni il presidente vota per ultimo e non sono ammesse astensioni. La Corte decide con sentenze inappellabile]. La categoria dei giudici ordinari comprende: a. giudice di pace: onorario e monocratico; b. giudice per le indagini preliminari (GIP): monocratico; c. giudice dell’udienza preliminare (GUP): monocratico. Con riguardo ad esso, per evitare condizionamenti derivanti dalle attività compiute nel corso delle indagini preliminari, è previsto che debba essere diverso da quello che ha svolto le funzioni di GIP. Al fine di assicurare un’elevata qualificazione professionale dei GUP e l’intento di creare le premesse per la loro terzietà, è stata fissata la regola della temporaneità delle funzioni, la quale esclude che le medesime possano essere esercitate per un periodo superiore a quello determinato dal CSM con proprio regolamento tra un minimo di 5 e un massimo di 10 anni. Qualora alla scadenza del termine sia in corso il compimento di un atto, l’esercizio delle funzioni viene prorogato, limitatamente a quel singolo procedimento, sino al compimento dell’attività in questione; al di fuori di quest’ipotesi, tali disposizioni possono essere derogate solo “per imprescindibili e prevalenti esigenze di servizio”; d. tribunale ordinario: a seconda della gravità del reato, esso giudica in composizione monocratica o collegiale; e. corte d’assise: giudice collegiale composto da 8 magistrati, di cui 2 togati (magistrati professionali, stabilmente appartenenti all’ordine giudiziario come magistrati di carriera) e 6 laici (c.d. giudici “popolari”, che solo temporaneamente fanno parte dell’ordine giudiziario e sono scelti fra i cittadini in possesso di determinati requisiti); f. corte d’appello: collegiale, composta da 3 magistrati; g. corte d’assise d’appello: collegiale composta da 2 magistrati togati e 6 laici; h. magistrato di sorveglianza: monocratico; i. tribunale di sorveglianza: collegiale, composto da 4 membri, di cui 2 togati e 2 laici; j. corte di cassazione: giudice di legittimità, divisa in 7 sezioni, ciascuna delle quali giudica con 5 componenti, che diventano 9 quando tale organo è chiamato a pronunciarsi nella composizione a Sezioni unite; k. giudici minorili: giudici ordinari specializzati (regolati dalla legge di ord. giu.). lOMoARcPSD|1202071 10 In questi casi la competenza spetta al giudice, ugualmente competente per materia, che ha sede nel capoluogo del distretto di corte d’appello determinato dalla legge, sulla base di una tabella incentrata sul criterio della circolarità (per i procedimenti riguardanti i magistrati del distretto di corte d’appello di Roma sono competenti i magistrati di Perugia, per quelli di questo 2° distretto è prevista la competenza dei magistrati di Firenze, ecc.). Se il reato è stato commesso interamente all'estero, la competenza è determinata successivamente dal luogo della residenza, della dimora, del domicilio, dell'arresto o della consegna dell'imputato. Nel caso di pluralità di imputati, procede il giudice competente per il maggior numero di essi (art. 10 comma 1° c.p.p.). Se il reato è stato commesso a danno del cittadino e non sussistono i casi previsti dagli art. 12 (“casi di connessione”) e 371 comma 2°, lettera b) (“se si tratta di reati dei quali gli uni sono stati commessi in occasione degli altri, o per conseguirne o assicurarne al colpevole o ad altri il profitto, il prezzo, il prodotto o l'impunità, o che sono stati commessi da più persone in danno reciproco le une delle altre, ovvero se la prova di un reato o di una sua circostanza influisce sulla prova di un altro reato o di un'altra circostanza”), la competenza è del tribunale o della corte di assise di Roma quando non è possibile determinarla nei modi indicati nel comma 1° (art. 10 comma 1-bis c.p.p.). In tutti gli altri casi, se non è possibile determinare nei modi indicati nei commi 1° e 1-bis la competenza, questa appartiene al giudice del luogo in cui ha sede l'ufficio del PM che ha provveduto per primo a iscrivere la notizia di reato nel registro previsto dall'art. 335 (art. 10 comma 2° c.p.p.) Infine, se il reato è stato commesso in parte all'estero, la competenza è determinata a norma degli artt. 8 (“Regole generali”) e 9 (“Regole suppletive”) (art. 10 comma 3° c.p.p.). La competenza per connessione comporta il confluire davanti ad un unico giudice di procedimenti riservati a giudici diversi. La connessione si ha: a. se il reato per il quale si procede è stato commesso da più persone in concorso o in cooperazione tra loro, ovvero se più persone, con condotte indipendenti, hanno determinato l’evento; b. se una persona è imputata di più reati commessi con una sola azione od omissione (concorso formale) ovvero con più azioni od omissioni esecutive di uno stesso disegno criminoso (reato continuato); [in diritto penale si ha reato continuato (art. 81 c.p.) quando una medesima persona compie, con più azioni od omissioni, una pluralità di violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge, anche in tempi diversi, in esecuzione del medesimo disegno criminoso. Si tratta di un particolare tipo di concorso materiale di reati, caratterizzato dalla presenza di un disegno criminoso unico che accomuna i reati commessi nella sua esecuzione. L'espressione medesimo disegno criminoso identifica l'ipotesi in cui l'agente ha, prima dell'inizio dell'esecuzione del primo reato, programmato con sufficiente precisione i tipi di reati che è intenzionato a commettere. Diverso è il reato abituale: caratterizzato dall’abitualità della condotta, ad es. maltrattamenti in famiglia (reato di creazione dottrinale)]. c. se dei reati per cui si procede taluni sono stati commessi per eseguire o per occultare gli altri. Per la determinazione del giudice competente nel caso di procedimenti connessi prioritario è il criterio del giudice superiore, per cui i procedimenti di competenza del tribunale sono attribuiti alla corte d’assise; quando invece ci si muove solo sul piano della competenza territoriale prevale il giudice competente per il reato più grave o, in caso di pari gravità, quello competente per il 1° reato (art. 16 comma 1°). Criteri particolari sono, inoltre, dettati per la connessione di procedimenti di competenza di giudici ordinari e speciali. Nell'ipotesi di competenza concorrente tra Corte costituzionale e giudice ordinario, prevale la competenza del giudice speciale (art. 13 comma 1°), mentre nel rapporto tra giudice militare e giudice ordinario vale la regola opposta, fermo restando, tuttavia, che la connessione opera solo quando il reato comune è più grave di quello militare (art. 13 comma 2°). Per i procedimenti relativi ad imputati che, al momento del fatto, erano minorenni, e procedimenti relativi ad imputati maggiorenni, la connessione non opera. Ne consegue che, sia in tale ipotesi sia in quella di una connessione intercorrente tra procedimenti per reati commessi quando l'imputato era minorenne e procedimenti relativi a reati commessi nella maggiore età, è competente, da un lato, il tribunale per i minorenni e, dall'altro, il giudice non specializzato (art. 14). lOMoARcPSD|1202071 11 6. Segue: la c.d. competenza funzionale (si ha la competenza per grado, o, come taluno preferisce dire, la competenza funzionale, quando un organo di una persona giuridica pubblica ha la facoltà di compiere in casi eccezionali un atto normalmente di competenza d'un organo inferiore subordinato gerarchicamente, o appartenente a un ente distinto ma sottoposto a tutela). Riguardo alla suddivisione per gradi, è possibile distinguere tra giudici di pace, tribunale ordinario e corte d’assise (giudici di primo grado), tribunale monocratico, corte d’appello e corte d’assise d’appello (giudici di secondo grado), corte di cassazione, cui è demandato il controllo di legittimità sulle decisioni assunte nei gradi precedenti. La suddivisione si articola poi in 3 fasi: a. fase anteriore al giudizio, nella quale si collocano l’attività del GIP e, successivamente, quella del GUP; b. fase del giudizio, dove sono competenti il tribunale, la corte d’appello, la corte d’assise, la corte d’assise d’appello e la corte di cassazione; c. fase dell’esecuzione, dove sono distinte le funzioni del giudice di esecuzione da quelle della magistratura di sorveglianza, al cui interno emerge l’ulteriore ripartizione tra le funzioni del magistrato di sorveglianza (giudice di 1° grado) e quelle del tribunale di sorveglianza (giudice sia di 1° grado, con riferimento ad un certo numero di competenze riservategli in via esclusiva, sia di 2° grado nei confronti di talune decisioni assunte dal magistrato di sorveglianza). 7. Le “attribuzioni” del tribunale. Appurato che riguardo ad un certo reato deve giudicare il tribunale, occorre stabilire se è richiesta la composizione monocratica ovvero quella collegiale, ed in questo caso il criterio di ripartizione è basato sul concetto di attribuzione (non più sul concetto di competenza). Innanzitutto va rilevato che alla soppressione dell’ufficio del pretore e alla conseguente possibilità per il tribunale di funzionare sia nella sua tradizionale composizione, sia in quella monocratica, ha fatto seguito una valorizzazione di questa sua seconda dimensione, eletta a regola. La riformulazione degli artt. 33-bis e 33-ter è stata determinata dall’intento di ridimensionare le attribuzioni originariamente previste per il giudice monocratico, come si ricava dalla correzione apportata al criterio quantitativo, che attualmente consente di devolvere al tribunale collegiale i delitti puniti con la reclusione superiore nel massimo a 10 anni, anche nell’ipotesi del tentativo. Il criterio quantitativo va tuttavia coordinato con quello qualitativo, il che implica importanti deroghe: 1. per un verso, sono sottratti al tribunale collegiale taluni delitti puniti con la reclusione superiore a 10 anni (es. delitti in materia di sostanze stupefacenti, per via dell’alto numero di reati e carico di lavoro giudiziario); 2. per un altro verso, gli vengono attribuiti reati che dovrebbero essere giudicati dal tribunale in composizione monocratica. Con riguardo i reati puniti con la reclusione non superiore a 10 anni, bisogna far capo all’elenco ex art. 33-bis comma 1°, il quale attribuisce al tribunale in composizione “collegiale” i seguenti delitti consumati o tentati: a) delitti elencati nell'art. 407 comma 2°, vale a dire delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis c.p. ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo; delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale, puniti con la reclusione non inferiore nel minimo a 5 anni o nel massimo a 10 anni; delitti di illegale fabbricazione, introduzione nello Stato, messa in vendita, cessione, detenzione e porto in luogo pubblico o aperto al pubblico di anni da guerra, di esplosivi nonché di più anni comuni da sparo; b) delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, esclusi quelli indicati dagli artt. 329 c.p. (rifiuto o ritardo di obbedienza commesso da un militare o da un agente della forza pubblica), 331 comma 1° c.p. (interruzione di un servizio pubblico o di pubblica necessità, tranne che l'addebito sia riferito ai capi, promotori od organizzatori), 334 c.p. (sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro penale o amministrativo), 335 c.p. (violazione colposa di doveri inerenti alla custodia di cose sottoposte a sequestro penale o amministrativo); c) delitti previsti dai seguenti articoli del codice penale: 416 (associazione per delinquere), 416-bis (associazione di tipo mafioso), 416-ter (scambio elettorale politico-mafioso), 429 comma 2° (danneggia- mento di una nave o di un aeromobile a cui siano conseguiti il naufragio, la sommersione o il disastro), 431 comma 2° (disastro ferroviario causato da danneggiamento), 432 comma 3° (attentato alla sicurezza dei trasporti a cui sia conseguito un disastro), 433 comma 3° (attentato alla sicurezza degli impianti di energia elettrica, del gas o delle pubbliche comunicazioni a cui sia conseguito un disastro), 440 (adulterazioni e contraffazioni di sostanze alimentari), 449 comma 2° (disastro ferroviario, naufragio, caduta di aeromobile colposi), 452 comma 1° (delitti colposi contro la salute pubblica), limitatamente all'ipotesi di cui al n. 2, 513-bis (illecita concorrenza con minaccia o violenza), 564 (incesto), 600-bis comma 1° (prostituzione minorile), 600-ter (pornografia minorile), lOMoARcPSD|1202071 12 esclusa l'ipotesi prevista dal comma 4° su cui si pronuncia il giudice collegiale solo se aggravata ai sensi del successivo art. 600-sexies comma 2°, 600- quinquies (iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile), 609-bis (violenza sessuale), 609-quater (atti sessuali con minorenne), 644 (usura); d) delitti commessi dal presidente del Consiglio dei ministri e dai Ministri nell'esercizio delle loro funzioni, nonché, in concorso con gli stessi, da altre persone; e) delitti previsti dai seguenti articoli della legge fallimentare: 216 (bancarotta fraudolenta), 223 (fatti di bancarotta fraudolenta commessi dagli amministratori, direttori generali, sindaci, liquidatori di società dichiarate fallite), 228 (interesse privato del curatore negli atti del fallimento), 234 (esercizio abusivo di attività commerciale) e dalle disposizioni che ne estendono l'applicazione a soggetti diversi da quelli in essi indicati; e così via… Per quanto attiene alle attribuzioni del tribunale in composizione monocratica, vale la regola della complementarietà: oltre che sui delitti riguardanti la produzione, il traffico e la detenzione di sostanze stupefacenti o psicotrope, il tribunale monocratico giudica sui reati non attribuiti al tribunale collegiale. A quest’ultimo, infine, sono attribuiti tutti i procedimenti connessi. 8. La disciplina della riunione (=durante il processo) e della separazione dei processi. Diversamente dalla connessione, che, in quanto criterio attributivo di competenza, produce i suoi effetti sin dall’inizio del “procedimento”, la riunione e la separazione operano dal momento in cui il procedimento si è evoluto in processo. La riunione dei processi comporta la trattazione congiunta di processi prima pendenti davanti a giudici diversi. Suoi presupposti sono: a. la pendenza davanti allo stesso ufficio giudiziario dei processi da riunire; b. uno sviluppo omogeneo di questi ultimi, che devono trovarsi nello stesso stato e grado; c. l’impossibilità di un ritardo nella definizione delle singole vicende processuali; d. la sussistenza di uno dei casi tassativamente elencati dalla legge. La riunione può essere disposta quando i processi pendenti sono connessi ai sensi dell’art. 12: - a) se il reato per cui si procede è stato commesso da più persone in concorso o cooperazione fra loro, o se più persone con condotte indipendenti hanno determinato l'evento; - b) se una persona è imputata di più reati commessi con una sola azione od omissione ovvero con più azioni od omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso (reato continuato); - c) se dei reati per cui si procede gli uni sono stati commessi per eseguire o per occultare gli altri. Se alcuni dei processi da riunire pendono innanzi alle 2 diverse composizioni di uno stesso tribunale, viene disposto l’accorpamento in capo al tribunale in composizione collegiale, che si pronuncerà su tutte le cause anche nell’eventualità in cui esse siano oggetto di un successivo provvedimento di separazione. La separazione è prevista per una serie di ipotesi accomunate dal fatto che per taluni imputati o talune imputazioni si versa in una situazione di attesa, mentre per altri imputati o per altre imputazioni è possibile l’immediata trattazione. Si deve procedere alla separazione anche quando: - viene disposta la sospensione del procedimento; - in seguito all’incolpevole assenza in udienza preliminare o in dibattimento di un imputato o del suo difensore, bisogna rinnovare a favore dell’uno o dell’altro la citazione o l’avviso; - il processo abbia come protagonisti uno o più imputati chiamati a rispondere di reati di estrema gravità, e sempre che tali imputati siano prossimi ad essere rimessi in libertà per scadenza dei termini massimi di custodia cautelare, data la mancanza di altri titoli di detenzione; - si verifica un accordo tra le parti, purché il giudice la reputi utile dal punto di vista della speditezza. La separazione è esclusa quando il giudice ritiene che la riunione sia assolutamente necessaria per l’accertamento dei fatti. Riunione e separazione sono sempre disposte con ordinanza, che può essere emessa anche d’ufficio, sentite le parti. lOMoARcPSD|1202071 15 Anzitutto, la violazione può essere rilevata fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di 1° grado (art. 163-bis comma 1° disp. att.). In secondo luogo, il giudice che la ritenga sussistente, o che ritenga anche solo non manifestamente infondata la relativa questione, rimette gli atti al presidente del tribunale, affinché quest'ultimo si pronunci in proposito con un decreto non motivato e non soggetto ad impugnazione (art. 163-bis comma 2° disp. att.). 11. Le cause personali di estromissione del giudice: incompatibilità, astensione e ricusazione. Le cause di incompatibilità sono previste autonomamente negli artt. 34 e 35 ma risultano ricomprese nella stessa disciplina delle ipotesi di astensione e ricusazione. Le cause di incompatibilità sono stabilite, in parte, dalle leggi di ord. giu. e, in parte, dal codice di rito. Le prime riguardano solo la costituzione dell’organo giudicante e prefigurano alcune condizioni dirette adassicurare che il giudice non solo sia, ma anche appaia imparziale. Per quanto riguarda le seconde, bisogna distinguere tra l’incompatibilità per ragioni di parentela, affinità o coniugo (art. 35), e l’incompatibilità determinata da atti compiuti nel procedimento (art. 34). Quest’ultima species contempla 4 gruppi di situazioni: 1. il giudice che ha pronunciato o ha concorso a pronunciare sentenza in un grado del procedimento non può esercitare funzione di giudice negli altri gradi; 2. non può partecipare al giudizio il giudice che ha pronunciato il provvedimento conclusivo dell’udienza preliminare o ha disposto il giudizio immediato o ha emesso decreto penale di condanna, e neppure quello che ha deciso sull’impugnazione della sentenza di non luogo a procedere pronunciata dal GUP. Tale previsione normativa è stata poi ampliata da una serie di interventi della Corte costituzionale; 3. il giudice che in un determinato procedimento ha esercitato le funzioni di GIP non può in quello stesso procedimento emettere il decreto penale di condanna, né partecipare al giudizio, ed è incompatibile alla funzione di GUP. Tale disposizione è stata poi precisata dal comma 2-ter, che esclude la ricorrenza di una situazione di incompatibilità quando il GIP si sia limitato ad adottare taluni provvedimenti, ritenuti inidonei a determinare una situazione di pregiudizio: ad es. il provvedimento con cui si accoglie o si rigetta la richiesta di un permesso d’uscita dal carcere, in presenza dell’imminente pericolo di vita di un familiare o del convivente della persona sottoposta ad indagini, ovvero in presenza di altri eventi di particolare gravità inerenti alla sua famiglia; 4. infine, non può esercitare l’ufficio di giudice in un determinato procedimento chi, in quello stesso procedimento, ha esercitato funzioni di PM o ha svolto atti di PG ovvero un altro ruolo (es. difensore, testimone) idoneo a comprometterne l’imparzialità. Per la stessa ragione, è incompatibile all’ufficio di giudice chi ha proposto la notizia di reato e chi ha deliberato o ha concorso a deliberare l’autorizzazione a procedere. Per quanto riguarda le cause di astensione e di ricusazione, esse sono disciplinate unitariamente nella disposizione sull’astensione, anche se non si può parlare di una totale coincidenza: a. infatti, non costituisce motivo di ricusazione l’ipotesi in cui sussistano gravi ragioni di convenienza; b. e, viceversa, non costituisce motivo di astensione la manifestazione indebita da parte del giudice, nell’esercizio delle sue funzioni e prima che sia pronunciata sentenza, del proprio convincimento sui fatti oggetto dell’imputazione. Oltre che nell’ipotesi sopra richiamata, ha l’obbligo di astenersi (e può essere ricusato dalle parti) il giudice che abbia interesse nel procedimento; che sia tutore, curatore, procuratore o datore di lavoro di una delle parti private ovvero che sia prossimo congiunto del difensore, procuratore o curatore di una delle parti; che abbia dato consigli o manifestato il suo parere sull’oggetto del procedimento fuori dell’esercizio delle funzioni giudiziarie; che sia in rapporto di grave inimicizia con una delle parti private. È ulteriormente previsto l’obbligo di astensione (e la ricusabilità del giudice) quando alcuno dei prossimi congiunti del giudice o del coniuge è offeso, danneggiato dal reato o parte privata; quando un prossimo congiunto svolge o ha svolto nello stesso procedimento funzioni di PM. [Nota: art. 199. “Facoltà di astensione dei prossimi congiunti” 1. I prossimi congiunti dell'imputato non sono obbligati a deporre. Devono tuttavia deporre quando hanno presentato denuncia, querela o istanza ovvero essi o un loro prossimo congiunto sono offesi dal reato. 2. Il giudice, a pena di nullità, avvisa le persone predette della facoltà di astenersi chiedendo loro se intendono avvalersene. 3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano anche a chi è legato all'imputato da vincolo di adozione. Si applicano inoltre, limitatamente ai fatti verificatisi o appresi dall'imputato durante la convivenza coniugale o derivante da un'unione civile tra persone dello stesso sesso: lOMoARcPSD|1202071 16 a) a chi, pur non essendo coniuge dell'imputato, come tale conviva o abbia convissuto con esso; b) al coniuge separato dell'imputato; c) alla persona nei cui confronti sia intervenuta sentenza di annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio o dell'unione civile tra persone dello stesso sesso contratti con l'imputato (Articolo così modificato dal d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 6)]. Dal punto di vista del procedimento: a. per l’astensione si prevede la presentazione di una dichiarazione di astensione al presidente della corte o del tribunale, il quale decide con decreto senza formalità di procedura; b. per la ricusazione (dichiarazione mediante la quale una parte chiede la sostituzione di un giudice in un determinato processo. La ricusazione è una facoltà, l’astensione è un obbligo), il procedimento inizia con la presentazione della dichiarazione nella cancelleria del giudice competente e con il deposito di una copia di questa nella cancelleria del giudice ricusato. Da tale presentazione scatta il divieto per il giudice ricusato di pronunciare sentenza fino a che non sia intervenuta l’ordinanza di inammissibilità o di rigetto della dichiarazione stessa. L'art. 40 indica gli organi competenti a decidere sull'istanza di ricusazione (per la ricusazione di un giudice del tribunale, della corte di assise o della corte di assise di appello, la corte d'appello; per la ricusazione di un giudice della corte di appello o della corte di cassazione, una sezione diversa della stessa corte a cui appartiene il giudice ricusato), precludendo opportunamente nel 3° comma la ricusazione dei giudici appartenenti a tali organi. Il tribunale, o la corte, competente a decidere sulla ricusazione pronuncia ordinanza d’inammissibilità, oltre che per mancanza di legittimazione soggettiva e per inosservanza di forme e termini, anche per manifesta infondatezza dei motivi addotti. Su tale ordinanza è ammesso il ricorso per cassazione. Superata la fase dell’ammissibilità, la corte d’appello o di cassazione, decide in camera di consiglio, sul merito della ricusazione e può disporre che il giudice ricusato sospenda temporaneamente ogni attività processuale o si limiti al compimento degli atti urgenti. Tuttavia, l’unico vero divieto posto a carico del giudice ricusato è quello di pronunciare sentenza fino a che non sia intervenuta l’ordinanza che dichiara inammissibile o rigetta la ricusazione (ex art. 43 c.p.p. “Sostituzione del giudice astenuto o ricusato”: 1. Il giudice astenuto o ricusato è sostituito con altro magistrato dello stesso ufficio designato, secondo le leggi di ord. giu. 2. Qualora non sia possibile la sostituzione prevista dal comma 1, la corte o il tribunale rimette il procedimento al giudice ugualmente competente per materia determinato a norma dell'articolo 11). Il giudice chiamato a decidere sull’astensione o sulla ricusazione ha il potere di dichiarare quali atti precedentemente compiuti dal giudice astenutosi o ricusato conservino efficacia. Con l’ordinanza che dichiara inammissibile o rigetta la dichiarazione di ricusazione, la parte privata che l’ha proposta può essere condannata al pagamento di una pena pecuniaria a favore della cassa delle ammende (da euro 258 a euro 1.549), senza pregiudizio di ogni azione civile o penale (vale a dire, la pronuncia non ha rilevanza ai fini dell’eventuale azione civile o penale esercitata per i fatti oggetto del giudizio di ricusazione). 12. La rimessione del processo. La rimessione del processo consiste nel suo spostamento da una sede ad un’altra in presenza di turbative ambientali (ossia, gravi e attuali situazioni locali) che possono comprometterne il regolare svolgimento, al fine di salvaguardare l’imparzialità di chi giudica. In questo caso, diversamente dall’astensione e dalla ricusazione, ad essere messa in dubbio non è però l’imparzialità del magistrato in quanto persona fisica, ma quella dell’organo giudicante nel suo complesso. La l. n. 248/2002 ha ampliato i casi di rimessione, infatti: a. per un verso, è rimasta invariata la previgente normativa incentrata sul nesso causale che deve intercorrere tra le gravi situazioni locali tali da turbare lo svolgimento del processo e il conseguente pregiudizio alla libera determinazione delle persone che partecipano al processo (giudice, parti, difensore, testimoni), ovvero alla sicurezza o all’incolumità pubblica; b. per un altro verso, si è ampliata la precedente casistica, ammettendo la rimessione del processo anche nell’ipotesi in cui le gravi turbative determinino motivi di legittimo sospetto (es. la grave situazione locale può portare il giudice a non essere sereno o imparziale). Dall’art. 45 si ricava che la rimessione può essere richiesta in ogni stato e grado del processo di merito dall’imputato, dal procuratore generale presso la corte d’appello e dal PM presso il giudice procedente. La richiesta di rimessione proveniente dall’imputato deve essere, a pena di inammissibilità, sottoscritta da lui personalmente o da un suo procuratore speciale e, dopo essere stata depositata nella cancelleria del giudice unitamente ai documenti che la giustificano, va notificata, entro 7 gg., a cura del richiedente alle altre parti. Dopo il deposito, la richiesta e la relativa documentazione sono immediatamente trasmesse alla corte di lOMoARcPSD|1202071 17 cassazione ad opera del giudice procedente, il quale può anche formulare proprie osservazioni aggiuntive. In seguito alla presentazione della richiesta, il giudice procedente può disporre la sospensione del processo, con ordinanza inoppugnabile, fino a che non sia intervenuta l’ordinanza di inammissibilità o di rigetto. Lo stesso può fare la corte di cassazione. Qualora l’iter del processo non sia stato interrotto, è prevista comunque la sua sospensione obbligatoria, rispetto alla quale funge da necessaria premessa la comunicazione, da parte della corte di cassazione, che, non avendo il presidente della medesima corte rilevato alcuna causa di inammissibilità, è avvenuta l’assegnazione della richiesta ad una delle altre sezioni della corte, oppure alle sezioni unite. In seguito a tale comunicazione, il giudice procedente deve sospendere il processo prima delle conclusioni (in sede di udienza preliminare) o della discussione (in sede dibattimentale), ed è preclusa sia la pronuncia del decreto che dispone il giudizio, sia della sentenza. Tale sospensione dura sino a quando non viene pronunciata l’ordinanza della corte che dichiara inammissibile o rigetta la richiesta. Durante la sospensione, restano sospesi i termini della prescrizione del reato e, se la richiesta proviene dall’imputato, anche i termini di durata massima della custodia cautelare. Tali termini riprendono il loro corso a partire dal giorno in cui la corte dichiara inammissibile o rigetta la richiesta di rimessione oppure, nell'ipotesi di un suo accoglimento, dal giorno in cui il processo perviene al medesimo stato in cui si trovava al momento in cui è intervenuta la sospensione. Va altresì ricordata la previsione - presente ab origine - che consente, nonostante la sospensione, il compimento degli atti urgenti (art. 47 comma 3°). La corte di cassazione decide con ordinanza, che può essere di inammissibilità, di rigetto o di accoglimento: in quest’ultima ipotesi l’ordinanza, che contiene l’indicazione del nuovo giudice, è immediatamente comunicata al giudice designato e al giudice originariamente competente, il quale è tenuto a trasmettere al primo gli atti del processo. Inoltre, quando la corte rigetta o rileva una causa d’inammissibilità (della richiesta di rimessione), può condannare l’imputato al pagamento di una somma a favore della cassa ammende da euro 1.000 a euro 5.000, che può essere aumentata fino al doppio, tenuto conto della causa di inammissibilità della richiesta. Tali importi sono adeguati ogni 2 anni con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, in relazione alla variazione, accertata dall'Istituto nazionale di statistica, dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, verificatasi nel biennio precedente (l. n. 103/2017). Le modifiche rispondono all’intento didisincentivare la presentazione di richieste di rimessione meramente dilatorie. Ad opera della l. n. 103/2017 è stato modificato l’art. 616 (“Spese e sanzione pecuniaria in caso di rigetto o di inammissibilità del ricorso”). L’estensione della disciplina alla richiesta di rimessione del processo si spiega considerando che l’art. 48 comma 2° (“2. Il Presidente della Corte di cassazione, se rileva una causa d'inammissibilità della richiesta, dispone che per essa si proceda a norma dell'articolo 610, comma 1”) ha esteso l’operatività dell’art. 610 comma 1° (“1. Il presidente della corte di cassazione, se rileva una causa di inammissibilità dei ricorsi, li assegna ad apposita sezione. Il presidente della sezione fissa la data per la decisione in camera di consiglio. La cancelleria dà comunicazione del deposito degli atti e della data dell'udienza al procuratore generale ed ai difensori nel termine di cui al comma 5. L'avviso contiene l'enunciazione della causa di inammissibilità rilevata con riferimento al contenuto dei motivi di ricorso. Si applica il comma 1 dell'art. 611. Ove non venga dichiarata l'inammissibilità, gli atti sono rimessi al presidente della corte”), in origine prevista per i soli ricorsi, al caso in cui il presidente della corte di cassazione rilevi una causa d’inammissibilità della richiesta di rimessione. Il giudice designato procede alla rinnovazione degli atti quando una delle parti ne faccia richiesta con 2 sole eccezioni: a. da un lato, l’ipotesi che si tratti di atti irripetibili; b. dall’altro, l’eventualità che si tratti di processi per delitti di associazione di tipo mafioso, schiavitù o sequestro a scopo di estorsione. Una nuova richiesta di rimessione può essere formulata sia quando essa miri ad ottenere un nuovo spostamento del processo, sia quando sia volta ad ottenere per la prima volta il provvedimento, già negato da un’ordinanza di inammissibilità o di rigetto. L’ulteriore spostamento del processo può essere richiesto quando nella sede designata si ripresenta una situazione riconducibile all’art. 45, ovvero quando si creano le premesse per una revoca del provvedimento di rimessione. Qualora invece sia già intervenuto un provvedimento negativo della corte di cassazione, bisogna distinguere: a. in presenza di un’ordinanza che abbia rigettato la precedente richiesta o abbia dichiarato l’inammissibilità della stessa per manifesta infondatezza, l’ulteriore richiesta deve essere fondata su elementi nuovi; b. la richiesta dichiarata inammissibile per motivi diversi, invece, può sempre essere riproposta. lOMoARcPSD|1202071 20 16. I rapporti all'interno dell'ufficio. Ciascun ufficio del PM si compone del titolare (procuratore generale presso la corte di cassazione o presso la corte d’appello; procuratore della Repubblica presso il tribunale ordinario) e di uno o più magistrati addetti all’ufficio (sostituti procuratori). Negli uffici delle procure della Repubblica presso i tribunali ordinari possono essere istituiti posti di procuratore aggiunto in proporzione all’organico dell’ufficio. Alle procure presso le sezioni distaccate delle corti d’appello sono poi preposti avvocati generali alla dipendenza del procuratore generale. I titolari dirigono gli uffici e ne organizzano l’attività, secondo i criteri di buon andamento ed imparzialità che ispirano il funzionamento della PA. Esercitano poi essi stessi le funzioni di PM, quando non designano uno o più tra gli altri magistrati dell’ufficio; inoltre può anche procedere ad una designazione congiunta in considerazione del numero degli imputati o della complessità delle indagini o del dibattimento. Il PM esercita le sue funzioni in piena autonomia nell’udienza, anche se ciò non toglie che il capo dell’ufficio può impartire direttive sulle premesse dell’udienza. Tale autonomia comporta che le cause di sostituzione sono circoscritte, le quali possono essere ricondotte a 3 distinti gruppi: 1. un primo gruppo comprende le cause che consentono una valutazione discrezionale da parte del capo dell’’ufficio; 2. un secondo concerne alcune situazioni in presenza delle quali il giudice sarebbe obbligato ad astenersi; 3. un terzo riguarda la sostituzione effettuata col consenso del magistrato interessato. Nella fase delle indagini preliminari, il PM gode di una certa autonomia, tuttavia il capo dell’ufficio può fissare regole generali per la miglior efficienza dell’ufficio, nonché dettare singole direttive. Il magistrato che non si adegui a tale disposizioni può essere sostituito con un provvedimento motivato, salvo il potere dello stesso magistrato di chiedere di essere sostituito. Infine, solo il procuratore della Repubblica può intrattenere, personalmente o per il tramite di un magistrato dell’ufficio appositamente delegato, rapporti con i mass-media (c.d. organi di informazione). 17. Uffici del pubblico ministero distrettuale. Sono state introdotte una serie di deroghe alla divisione del lavoro ed ai rapporti tra gli uffici del PM al fine di creare una sorta di procedimento speciale per i reati di associazione mafiosa, di sequestro di persona a scopo estorsivo, di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. Per tutti i reati indicati dall’art. 51 commi 3-bis, 3-quater e 3-quinquies le funzioni di PM nelle indagini preliminari e nei procedimenti di primo grado sono attribuite all’ufficio del PM sito presso il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente (l. 23 febbraio 2015, n. 19). Il procuratore della Repubblica presso quest’ultimo costituisce una direzione distrettuale antimafia (DDA) per la trattazione dei procedimenti relativi ai reati di associazione mafiosa, designando i magistrati che devono farne parte per almeno 2 anni; inoltre, può anche essere istituito un posto di procuratore aggiunto per ragioni riguardanti lo svolgimento dei compiti della direzione distrettuale. La l. 23 febbraio 2015, n. 19 attribuisce alla procura distrettuale antimafia le funzioni di PM nelle indagini preliminari sul 416-ter (“Scambio elettorale politico-mafioso: 1. Chiunque accetta la promessa di procurare voti… in cambio dell'erogazione o della promessa di erogazione di denaro o altra utilità è punito con la reclusione da 4 a 10 anni. 2. La stessa pena si applica a chi promette di procurare voti con le modalità di cui al primo comma”) e nel processo di primo grado. Il procuratore distrettuale designa per l’esercizio delle funzioni di PM nei procedimenti in discorso i magistrati addetti alla direzione, ma, su richiesta del procuratore distrettuale, il procuratore generale presso la corte d’appello, per giustificati motivi, può disporre che le funzioni di PM per il dibattimento siano esercitate da un magistrato designato dal procuratore della Repubblica presso il giudice competente. Nonostante tutto, possono sempre sorgere contrasti, positivi o negativi, tra i diversi uffici del PM sulla relativa legittimazione a procedere: a. se il contrasto si verifica tra diverse direzioni distrettuali, la risoluzione è affidata al procuratore generale presso la corte di cassazione, ma il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ha una funzione consultiva; b. se, invece, il contrasto insorge all’interno del medesimo distretto, il compito spetta al procuratore generale presso la corte d’appello, che informa anche il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo dei provvedimenti adottati (d.l. 18 febbraio 2015, n. 7). Alla direzione nazionale antimafia e antiterrorismo (DNAA) (d.l. 18 febbraio 2015, n. 7) è preposto un magistrato di cassazione (il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo), nominato con delibera del CSM di concerto col Ministro della giustizia: tale incarico dura 4 anni e può essere rinnovato una sola volta. Alla direzione sono addetti, quali sostituti, 20 magistrati con funzioni di magistrati di corte d’appello, anch’essi nominati dal CSM, sentito il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, sulla base di specifiche attitudini ed esperienze nella trattazione di procedimenti relativi alla criminalità organizzata. lOMoARcPSD|1202071 21 Il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo può poi avvalersi della direzione investigativa antimafia (DIA) e dei servizi centrali e interprovinciali delle forze di polizia, impartendo loro le direttive volte a regolarne l’impiego a fini investigativi. Il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo è investito di 2 nuclei di funzioni: a. quelle di impulso al coordinamento: hanno il compito di assicurare, d’intesa con i procuratori distrettuali interessati, il collegamento investigativo anche tramite i magistrati della direzione nazionale antimafia. Il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo può inoltre impartire ai procuratori distrettuali specifiche direttive, alle quali devono attenersi per prevenire e risolvere contrasti sulla modalità relative al coordinamento delle attività d’indagine. Sempre il procuratore nazionale indice riunioni tra i procuratori distrettuali interessati per risolvere i contrasti che hanno impedito di promuovere o rendere effettivo il coordinamento. Come estrema ratio, può poi ricorrere all’avocazione (estrema perché comporta l’unificazione per l’intero territorio della Repubblica delle indagini preliminari); b. quelle di impulso alle investigazioni: che si risolvono, anzitutto, nell’acquisizione e nell’elaborazione di notizie, di informazioni e di dati attinenti alla criminalità organizzata, ai fini non solo del coordinamento investigativo, ma anche della repressione dei reati. Quindi, il procuratore nazionale è abilitato non solo a ricevere, ma anche a ricercare informazioni (l'informazione antimafia deve riferirsi anche ai familiari conviventi di maggiore età dei sottoposti alla verifica antimafia, ex art. 85 del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, indipendentemente dal fatto che siano residenti in Italia o all'estero. Lo ha stabilito la l. 6 agosto 2015, n. 121). Egli gode di libero accesso ai registri delle notizie di reato, oltreché a quelli delle misure di prevenzione ed alle “banche dati” istituite appositamente presso le direzioni distrettuali antimafia. Nella medesima prospettiva si colloca la facoltà di procedere a colloqui personali con detenuti ed internati, attribuita senza necessità di autorizzazione. Al fine di soddisfare specifiche e contingenti esigenze investigative, è possibile l’applicazione temporanea dei magistrati della direzione nazionale e delle direzioni distrettuali antimafia. Essa è disposta con decreto motivato del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, sentiti i procuratori generali e i procuratori della Repubblica interessati. L’applicazione non può durare più di 1 anno, ma, in caso di necessità, può essere rinnovata per un altro anno. Il decreto di applicazione è quindi trasmesso senza ritardo al CSM per l’approvazione, nonché al Ministro della giustizia. 18. Le funzioni ed i soggetti di polizia giudiziaria. La PG, anche di propria iniziativa (vale a dire, senza un previo impulso dell’autorità giudiziaria), svolge 4 importanti attività: 1. quella informativa, che si sostanzia nell’acquisire la notizia di reato e nel riferirla al PM; 2. quella investigativa, che consiste nel ricercare l’autore del reato mediante il compimento di atti tipici e atipici; 3. quella assicurativa, che è riferita alle fonti di prova; 4. e, infine, ha l’obbligo di raccogliere quant’altro può servire per l’applicazione della legge penale e l’obbligo di impedire che i reati siano portati a conseguenze ulteriori. Tra gli ufficiali che svolgono funzioni di PG in via generale (ossia, per tutti i reati) figurano: a. i dirigenti, i commissari, gli ispettori, i sovraintendenti e gli altri appartenenti alla polizia di Stato ai quali l’ordinamento dell’amministrazione della pubblica sicurezza riconosce la qualità di ufficiali di PG; b. gli ufficiali, superiori ed inferiori, ed il personale dei ruoli ispettori e sovraintendenti dell’arma dei carabinieri, della guardia di finanza, del corpo di polizia penitenziaria, del corpo forestale dello Stato; c. il sindaco dei comuni ove non vi sia un ufficio della polizia di Stato, né un comando dell’arma dei carabinieri o della guardia di finanza. Tra gli agenti che svolgono funzioni di PG in via generale vi sono: a. il personale della polizia di Stato; b. i carabinieri; c. le guardie di finanza; d. gli agenti di polizia penitenziaria; e. le guardie forestali; f. le guardie delle province e dei comuni (c.d. polizia municipale), ma solo nell’ambito territoriale dell’ente di appartenenza e limitatamente al tempo nel quale sono in servizio. lOMoARcPSD|1202071 22 Il personale della Direzione investigativa antimafia (DIA), attinto da quello dei ruoli della polizia di Stato, dell’arma dei carabinieri e della guardia di finanza, è investito, oltre che delle funzioni di investigazione preventiva attinente alla criminalità organizzata, anche del compito di effettuare indagini di PG relative esclusivamente a delitti di associazione di tipo mafioso o comunque ricollegabili all’associazione medesima. 19. L'organizzazione della polizia giudiziaria e la sua dipendenza funzionale dall'autorità giudiziaria. Anche se tutte le funzioni di PG sono sempre svolte alla dipendenza e sotto la direzione dell’autorità giudiziaria, il legame che si instaura con la medesima è variabile, perché costruito in relazione ai diversi apparati amministrativi. L’art. 56 individua una triplice struttura: a. la prima concerne i servizi di PG previsti dalla legge, la quale prevede la loro istituzione e organizzazione da parte del dipartimento di pubblica sicurezza. La l. n. 203/1991, al fine di assicurare il collegamento dell’attività investigativa rispetto ai delitti di criminalità organizzata, ha imposto alle amministrazioni interessate di costituire servizi centrali ed interprovinciali della polizia di Stato, dell’arma dei carabinieri e del corpo della guardia di finanza. In determinate regioni e per particolari esigenze, tali strutture possono poi essere costituite in servizi interforze, per i delitti di sequestro di persona a scopo di estorsione. Infine sono state introdotte unità antiterrorismo per le indagini sui delitti di terrorismo di rilevante gravità; b. la seconda riguarda le sezioni di PG, istituite presso ogni procura della Repubblica (del tribunale ordinario o del tribunale per i minorenni) per garantire uno stretto rapporto con l’organo che dirige le indagini preliminari. Le sezioni sono composte da ufficiali ed agenti della polizia di Stato, dell’arma dei carabinieri e della guardia di finanza. Il personale delle sezioni non deve poi essere inferiore al doppio dei magistrati della procura della Repubblica presso il tribunale, ed il rapporto numerico tra ufficiali ed agenti di PG è stabilito in 2/3; c. la terza riguarda, infine, i restanti ufficiali ed agenti di PG, tenuti per legge a compiere indagini a seguito di una notizia di reato. 20. I rapporti di subordinazione. Anche l’autorità giudiziaria è investita di una serie di poteri di natura tipicamente gerarchica. Le sezioni si pongono in un rapporto di subordinazione nei confronti del procuratore della Repubblica che dirige l’ufficio presso cui esse sono istituite e, al fine di evitare interferenze con l’amministrazione di appartenenza, è fatto divieto di distogliere gli ufficiali e gli agenti di PG dalla loro attività se non per disposizione del magistrato dal quale dipendono. L’esclusiva destinazione a compiti di PG può essere derogata solo in casi eccezionali o per necessità di istruzione o di addestramento, e sempre previo consenso del capo dell’ufficio della procura presso il quale la sezione è istituita. Nei confronti dei servizi, gli ordini dell’autorità giudiziaria sono mediati dalle gerarchie amministrative; pertanto, la responsabilità personale investe unicamente l’ufficiale preposto al servizio. La condotta degli altri ufficiali ed agenti di PG appartenenti al servizio che contrasti con i rispettivi doveri funzionali è, invece, valutata in sede disciplinare e, se ne ricorrono gli estremi, in quella penale. Dal punto di vista del potere disciplinare, la relativa responsabilità si pone nei soli confronti del procuratore della Repubblica presso il tribunale. Vi è, infine, l’obbligo di ottenere il consenso del procuratore della Repubblica presso il tribunale o del procuratore generale presso la corte d’appello per allontanare dalla sede o assegnare ad altri uffici i dirigenti dei servizi e di vincolare le promozioni dei dirigenti degli uffici al parere favorevole dei predetti magistrati. 21. L'imputato e la persona sottoposta alle indagini. Nel vigente ordinamento giuridico una persona acquista la qualità di indagato nel momento esatto in cui il suo nominativo viene iscritto nell’apposito registro disciplinato dall’art. 335 c.p.p. In altre parole, quando il PM indaga su una persona lo deve iscrivere nel “registro delle notizie di reato”; da quel momento quella persona è formalmente indagata. Secondo l’art. 60 c.p.p., invece, una persona indagata o meno, acquista la qualità di imputato quando viene fatta nei suoi confronti la richiesta di: - rinvio a giudizio (art. 416 c.p.p.); - giudizio immediato (art. 453 c.p.p.); - decreto penale di condanna (art. 459 c.p.p.); - applicazione della pena (patteggiamento) ex art. 447 comma 1°; - decreto di citazione diretta a giudizio (art. 550 c.p.p.); - giudizio direttissimo (art. 449 c.p.p.). In altre parole una persona assume la qualità di imputato quando il PM esercita l’azione penale nei suoi confronti. lOMoARcPSD|1202071 25 Il giudice deve poi, in sede di interrogatorio della persona sottoposta a misura cautelare personale, anche d'ufficio, verificare che all'imputato in stato di custodia cautelare in carcere o agli arresti domiciliari “sia stata data la suddetta comunicazione”, e provvede, se del caso, a dare o a completare la comunicazione. A sua volta, si prevede che gli ufficiali e gli agenti di PG debbono somministrare un analogo avviso, mediante comunicazione scritta, all'arrestato o al fermato, salvo a farlo, nell'immediatezza, oralmente. Il giudice è chiamato, poi, a verificare nell'udienza di convalida “che all'arrestato o al fermato sia stata data la comunicazione e provvede, se del caso, a dare o a completare tale comunicazione. L'avviso in discorso, riecheggiando le c.d. miranda warnings che la polizia nord americana deve somministrare all'arrestato per effetto di una nota sentenza della Corte Suprema (Miranda v. Arizona del 1966), mostra di tener conto della condizione di stress in cui versa il soggetto al momento dell'arresto o del fermo tale da spingerlo a rendere dichiarazioni avventate, specie con l'intento di subito discolparsi, ma che potrebbero poi essere usate contro di lui nel prosieguo del processo. Infatti, ai sensi dell'art. 350 comma 7°, le dichiarazioni che la PG riceve spontaneamente dall'indagato possono essere utilizzate sia a fini contestativi in sede di esame dibattimentale sia in chiave probatoria nei riti alternativi al dibattimento. Dall'esercizio del diritto di non rispondere - ossia di non collaborare - l'organo procedente non può ricavare conseguenza alcuna in quanto insindacabile espressione del diritto di difesa personale. Non inganni il divieto di individuare, nel rifiuto di rendere dichiarazioni o nella mancata ammissione degli addebiti, una situazione di attuale e concreto pericolo per l'acquisizione e la genuinità della prova tale da fungere da presupposto per l'adozione di misure cautelari (art. 274 comma 1° lett. a). Una volta che il soggetto abbia dichiarato di voler rispondere, vi è l’obbligo di contestargli in forma chiara e precisa il fatto attribuitogli, di rendergli noti gli elementi di prova a suo carico e di comunicargliene le fonti (art. 65). Riguardo allo svolgimento dell’atto, la tecnica adottata è quella delle domande poste in via diretta dal solo organo procedente, il che vale anche per l’interrogatorio che l’imputato ha la facoltà di rendere in sede di udienza preliminare. In tale articolo emerge l'intento del legislatore di inquadrare l'interrogatorio come mezzo di difesa ove l'imputato può decidere di non rispondere o di esporre tutto quanto egli ritenga utile per difendersi, senza aver l'obbligo di dire la verità, nei limiti della calunnia e dell'autocalunnia. Tale intento è rafforzato dal diritto di conoscere gli elementi di prova. 24. L'identificazione e l'esistenza in vita dell'imputato. Nel primo atto del procedimento in cui è presente l’imputato, l’autorità giudiziaria lo invita a dichiarare le proprie generalità, ammonendolo sulle conseguenze nel caso di rifiuto o di generalità false; i medesimi inviti sono altresì indirizzati dalla PG alla persona sottoposta alle indagini. L’impossibilità di attribuire all’imputato le sue esatte generalità è irrilevante perché non pregiudica il compimento di alcun atto da parte della PG o dell’autorità giudiziaria, purché sia certa l’identità fisica della persona. L’attribuzione di generalità erronee risulta essere alla stregua di un mero errore materiale, correggibile mediante il relativo procedimento in camera di consiglio. L’autorità giudiziaria, in ogni stato e grado del procedimento, deve comunicare a quella competente ai fini dell’applicazione della legge penale, la circostanza che l’indagato è già stato segnalato come autore di reato commesso antecedentemente o successivamente a quello per il quale si procede, magari sotto diverso nome. Diverso è il profilo dell’identità fisica dell’imputato, che si sostanzia nella coincidenza tra la persona nei cui confronti è esercitata l’azione penale e quella che in effetti è assoggettata a processo. Tocca al PM, durante le indagini preliminari, disporre gli accertamenti del caso; se, invece, il dubbio sorge nel processo, le determinazioni saranno tratte dal GUP o dal giudice del dibattimento. In caso di errore sull’identità fisica che risulti nel corso delle indagini preliminari, il PM può richiedere il decreto di archiviazione; se l’errore, invece, risulta nel processo, il giudice, sentiti il PM e l’imputato, pronuncia sentenza di non luogo a procedere. Quando l’autorità giudiziaria ritenga che l’imputato o la persona sottoposta alle indagini sia minorenne, trasmette gli atti al procuratore della Repubblica presso il tribunale minorile. In caso di incertezza sull’esistenza in vita dell’imputato, se il dubbio è risolto nel senso della morte, il PM nel corso delle indagini preliminari chiede l’archiviazione per estinzione del reato, mentre nel corso del giudizio, il giudice proscioglie. La sentenza erroneamente dichiarativa dell’estinzione del reato per morte dell’imputato non impedisce un nuovo esercizio dell’azione penale per il medesimo fatto a carico della medesima persona. lOMoARcPSD|1202071 26 25. Infermità mentale e partecipazione cosciente. Ogni persona fisica è titolare della capacità ad essere parte nel processo penale. Essa difetta negli infanti e negli immuni, da distinguersi in assoluti o relativi, a seconda che l’esenzione dalla giurisdizione valga per tutte le imputazioni o solo per alcune. Nozione distinta è quella della capacità processuale dell’imputato, ossia dell’idoneità ad esercitare all’interno del processo, i diritti e le facoltà ricollegati all’assunzione di tale qualità. In genere, la capacità processuale dell’imputato (capacità di agire) coincide con la sua capacità di essere parte (capacità giuridica), ma esistono alcune eccezioni, la più vistosa delle quali è rappresentata dall’ipotesi dell’infermità mentale dell’imputato sia antecedente che sopravvenuta al fatto costituente reato, il cui presupposto è commisurato sulla inidoneità del soggetto a partecipare coscientemente al processo. La valutazione sull’esistenza dell’infermità mentale dell’imputato non è necessariamente subordinata all’esito di un’indagine peritale disponibile anche d’ufficio, in quanto il giudice può convincersene anche sulla base di elementi ricavabili da perizie appena espletate o da manifestazioni conclamate. Qualora venga disposta la perizia psichiatrica, nel tempo occorrente per il suo svolgimento l’attività giudicante subisce consistenti limitazioni. Il giudice, su richiesta del difensore, può assumere solo le prove che possono condurre al proscioglimento dell’imputato. Se la necessità di provvedere sorge durante le indagini preliminari, la perizia è disposta dal giudice solo su richiesta delle parti con le forme dell’incidente probatorio (art. 70 comma 3°), restando nel frattempo sospesi i termini per le indagini preliminari. Ai sensi dell’art. 71 c.p.p., modificato dall’art. 1 comma 21°, l. n.103/2017, accertato che lo stato psichico dell’imputato ne impedisce la cosciente partecipazione al procedimento, e che tale evento è reversibile, il giudice dispone con ordinanza che il procedimento sia sospeso; tale ordinanza, ricorribile per cassazione, produce una pluralità di effetti: a. l’obbligo di nominare un curatore speciale a favore dell’imputato; b. la sospensione non impedisce al giudice di assumere prove, alle condizioni e nei limiti che valgono durante il tempo occorrente per l’espletamento della perizia nel processo, anche su richiesta del curatore speciale; c. ulteriori effetti consistono nell’obbligatoria separazione del processo e nell’inoperatività della regola sulla sospensione obbligatoria del processo civile. L’ordinanza di sospensione è immediatamente revocata qualora vi siano i presupposti di una sentenza di non luogo a procedere o di proscioglimento, oppure sia acquisita la certezza che l’imputato è in grado di partecipare coscientemente al procedimento. Con la nuova disciplina contenuta nell’art. 72-bis (inserito dall’art. 1 comma 22° l. n. 103/2017). Se, in seguito agli accertamenti previsti dall’art. 70, risulta che lo stato mentale dell’imputato è tale da impedirne la cosciente partecipazione al procedimento ed è irreversibile, il giudice, revocata l’eventuale ordinanza di sospensione del procedimento stesso, «pronuncia sentenza di non luogo a procedere o sentenza di non doversi procedere, salvo che ricorrano i presupposti per l’applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca». Una volta costruita l’incapacità processuale irreversibile alla stregua di una causa di improcedibilità, ne discende la correlata interpolazione dell’art. 345 comma 2°, il legislatore ha espressamente stabilito che la riproponibilità dell’azione penale si verifica altresì se, dopo la pronuncia della sentenza prevista dall’art. 72-bis, «lo stato di incapacità dell’imputato viene meno o si accerta che è stato erroneamente dichiarato». L’art. 72 comma 1° impone al giudice di verificare comunque periodicamente lo stato psichico dell’imputato con frequenze periodiche semestrali mediante appositi accertamenti peritali. Il potere di disporre il ricovero dell’imputato in una struttura del servizio psichiatrico ospedaliero è attribuito al sindaco, mentre solo se vi è pericolo nel ritardo, il giudice può ordinare il ricovero provvisorio. Se è già disposta o debba disporsi la custodia cautelare, il ricovero provvisorio è ordinato adottando i provvedimenti necessari per prevenire il pericolo di fuga. 26. La parte civile: legittimazione, costituzione ed esodo dal processo penale. L’intervento della parte civile è finalizzato ad ottenere le restituzioni o il risarcimento del danno ricollegabili al reato oggetto di accertamento in sede penale. L’azione civile può essere esercitata dal soggetto che mira alle restituzioni o al risarcimento del danno patrimoniale e non, cagionato dal reato, o dai suoi successori universali; ciascuno di loro può costituirsi parte civile anche per mezzo di un procuratore speciale. Una volta costituitosi, a meno di un’eventuale esclusione o di un suo esodo volontario, il danneggiato partecipa al processo in tutti i suoi gradi, compreso l’eventuale giudizio di rinvio, senza dover assumere ulteriori iniziative. Qualora sia carente la capacità processuale del danneggiato, costui dev’essere rappresentato (es. minore non emancipato), assistito (es. minore emancipato o inabilitato), o autorizzato (es. l’interdetto, per il quale è richiesta la preventiva autorizzazione del giudice tutelare) nelle forme prescritte per l’esercizio delle azioni civili. lOMoARcPSD|1202071 27 Nel caso in cui sia impedito l’inserimento dell’azione civile nel processo penale, sono previsti 2 diversi correttivi: a. anzitutto, è prevista la nomina di un curatore speciale, quando manchi la persona cui spetterebbe la rappresentanza o l’assistenza e ricorrano ragioni d’urgenza, oppure quando sussista un conflitto di interessi tra l’incapace e il suo legale rappresentante (alla nomina del curatore speciale, che non interferisce con la costituzione della rappresentanza o assistenza previste in via ordinaria dalla legge, provvede il giudice, su richiesta del PM, dell’incapace o dei suoi prossimi congiunti e, in caso di conflitto di interessi, del rappresentante); b. secondariamente, ma solo in caso di assoluta urgenza, viene consentito che il PM eserciti l’azione civile nell’interesse del minore o dell’infermo di mente, finché non subentri il legale rappresentante o il curatore speciale. La parte civile, al pari del responsabile civile e della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria, può stare in giudizio solo attraverso il difensore munito di procura speciale. Per la sua costituzione occorre che, unitariamente alla procura, sia depositata nella cancelleria del giudice procedente o sia presentata in udienza, una dichiarazione contente, a pena di inammissibilità: a. le generalità della persona fisica o la denominazione dell’associazione o dell’ente che si costituisce parte civile, nonché del suo legale rappresentante; b. le generalità dell’imputato; c. il nome ed il cognome del difensore; d. l’esposizione delle ragioni che giustificano la domanda; e. la sottoscrizione del difensore. La costituzione della parte civile deve quindi avvenire a partire dal deposito della richiesta di rinvio a giudizio e fino all’effettuazione degli accertamenti sulla costituzione delle parti. La costituzione di parte civile non implica in ogni caso una stabile permanenza della medesima nel processo penale, dovendosi tenere presente sia l’eventualità di una sua esclusione, sia quella di un suo spontaneo recesso. L’esclusione può, innanzitutto, essere la conseguenza di una richiesta motivata, proveniente dal PM, dall’imputato e dal responsabile civile. Relativamente a tale richiesta, con cui possono essere denunciati svariati profili di illegittimità (es. tardività della costituzione, difetto di legittimazione o di capacità processuale, inesistenza di un danno risarcibile), il giudice procedente è tenuto a pronunciarsi senza ritardo con ordinanza inoppugnabile. I termini per la presentazione della richiesta di esclusione variano a seconda della fase processuale in cui è avvenuta la costituzione di parte civile: a. se è avvenuta per l’udienza preliminare, va effettuata, in forma scritta fuori dell’udienza oppure oralmente in sede di udienza preliminare o dibattimentale, prima che siano terminati gli accertamenti di costituzione delle parti; b. se, invece, è avvenuta nella fase degli atti preliminari al dibattimento o nel corso degli atti introduttivi del medesimo, la richiesta di esclusione deve essere effettuata in sede di trattazione delle questioni preliminari. Una seconda ipotesi di esclusione della parte civile è quella disposta, sempre con ordinanza inoppugnabile, ex officio dal giudice, il quale può provvedervi fino all’apertura del dibattimento di primo grado. Si può anche verificare un recesso spontaneo del danneggiato che revoca la costituzione di parte civile (ad es. perché ha concluso con l’imputato una transazione sul danno oppure perché, cambiata opinione, ritiene meglio tutelabili le sue pretese in sede civile): a. nel caso di revoca espressa, che può avvenire in ogni stato e grado del procedimento e riguardare solo alcuni degli imputati, occorre una dichiarazione, resa personalmente o per mezzo di un procuratore speciale. Tale dichiarazione può avere forma orale, se fatta in udienza, o essere contenuta in un atto scritto, che va depositato nella cancelleria del giudice procedente e notificato alle altre parti; b. le ipotesi di revoca tacita, o presunta, sono tassativamente previste dall’art. 82 comma 2°, che prevede, da un lato, la mancata presentazione, in sede di discussione dibattimentale, delle conclusioni e, dall’altro, la promozione dell’azione di danno davanti al giudice civile. Indipendente dalla forma assunta, vale la regola generale in base alla quale la revoca della costituzione di parte civile non preclude il successivo esercizio dell'azione aquiliana nella sede propria (art. 82 comma 4°), pur dovendosi tenere presente il disposto dell'art. 75 comma 3°, il quale stabilisce che, fatte salve le eccezioni previste dalla legge, il giudizio civile resta sospeso finché, in sede penale, non venga pronunciata la sentenza non più soggetta ad impugnazione. lOMoARcPSD|1202071 30 Anche se nella maggior parte dei casi la persona offesa dal reato è anche il danneggiato dal reato, la distinzione è importante perché ci sono degli effetti importanti. Ad es., il danneggiato non ha diritto di querela, non ha diritto ad essere avvisato della richiesta di archiviazione delle indagini ma, tuttavia, ha diritto di costituirsi parte civile. 31. I diritti e le facoltà della persona offesa. La persona offesa è, anzitutto, legittimata a presentare memorie, ossia elaborati scritti attraverso i quali avanzare istanze, illustrare questioni o toccare temi rilevanti per il processo. A seconda dei casi, le memorie saranno indirizzate al PM (per prospettare, fra l’altro, una diversa ricostruzione del fatto criminoso o per sollecitare la richiesta di una misura cautelare) o al giudice procedente (per eccepire, ad es. una nullità). Inoltre, la persona offesa può indicare elementi di prova, sia per spingere il PM a verificare meglio una certa ipotesi accusatoria, sia per indurre il giudice ad intraprendere quelle iniziative che la legge gli consente in materia di prova. In tema di capacità processuale, i minori infraquattordicenni e gli interdetti per infermità mentale devono essere rappresentati dai genitori e dal tutore, mentre, trattandosi di ultraquattordicenne o di inabilitato, la legittimazione ad esercitare i loro diritti spetta sia ad essi stessi che ai genitori, al tutore, al curatore. La persona offesa può inoltre nominare un difensore, il quale è legittimato a svolgere anche le investigazioni difensive. Quando vi è incertezza sulla minore età della persona offesa dal reato, il giudice dispone, anche di ufficio, perizia. Se, anche dopo la perizia, permangono dubbi, la minore età è presunta, ma soltanto ai fini dell'applicazione delle disposizioni processuali (d.lgs. 15 dicembre 2015, n. 212). Qualora la persona offesa sia deceduta in conseguenza del reato, le facoltà e i diritti previsti dalla legge sono esercitati dai prossimi congiunti di essa o da persona alla medesima legata da relazione affettiva e con essa stabilmente convivente. Quando invece la morte non si può ritenere collegata al reato di cui è stata vittima, i prossimi congiunti o la persona legata da relazione affettiva e stabilmente convivente, possono entrare nel processo penale solo attraverso la costituzione di parte civile (d.lgs. 15 dicembre 2015, n. 212). Ai sensi dell’art. 90-bis “informazioni alla persona offesa” (d.lgs. 15 dicembre 2015, n. 212; l. n. 103/2017): 1. alla persona offesa, sin dal primo contatto con l'autorità procedente, vengono fornite, in una lingua a lei comprensibile, informazioni in merito: a. alle modalità di presentazione degli atti di denuncia o querela, al ruolo che assume nel corso delle indagini e del processo, al diritto ad avere conoscenza della data, del luogo del processo e della imputazione e, ove costituita parte civile, al diritto a ricevere notifica della sentenza, anche per estratto; b. alla facoltà di ricevere comunicazione dello stato del procedimento e delle iscrizioni di cui all'articolo 335, commi 1, 2 e 3-ter; c. alla facoltà di essere avvisata della richiesta di archiviazione; d. alla facoltà di avvalersi della consulenza legale e del patrocinio a spese dello Stato; e. alle modalità di esercizio del diritto all'interpretazione e alla traduzione di atti del procedimento; f. alle eventuali misure di protezione che possono essere disposte in suo favore; g. ai diritti riconosciuti dalla legge nel caso in cui risieda in uno Stato membro dell'Unione europea diverso da quello in cui è stato commesso il reato; h. alle modalità di contestazione di eventuali violazioni dei propri diritti; i. alle autorità cui rivolgersi per ottenere informazioni sul procedimento; j. alle modalità di rimborso delle spese sostenute in relazione alla partecipazione al procedimento penale; k. alla possibilità di chiedere il risarcimento dei danni derivanti da reato; l. alla possibilità che il procedimento sia definito con remissione di querela di cui all'art. 152 del codice penale, ove possibile, o attraverso la mediazione; m. alle facoltà ad essa spettanti nei procedimenti in cui l'imputato formula richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova o in quelli in cui è applicabile la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto; n. alle strutture sanitarie presenti sul territorio, alle case famiglia, ai centri antiviolenza e alle case rifugio; o. la legge n. 103/2017 ha incrementato l’ampiezza delle informazioni alla persona offesa dal reato, aggiungendo all’art. 335 il comma 3-ter, a mente del quale, «senza pregiudizio del segreto investigativo», decorsi sei mesi dalla data di presentazione della denuncia o della querela, la persona offesa «può chiedere di essere informata dall’autorità che ha in carico il procedimento circa lo stato del medesimo». lOMoARcPSD|1202071 31 Ai fini di un’effettiva e permanente protezione della vittima, l’art. 90-ter prevede che, nei procedimenti per delitti commessi con violenza alla persona, a quest’ultima sia immediatamente comunicata (se ne abbia fatto richiesta) l’evasione e la scarcerazione dell’imputato in stato di custodia cautelare o del condannato, ovvero della volontaria sottrazione dell’internato all’esecuzione della misura di sicurezza detentiva. Una particolare tutela è predisposta per le vittime le quali si trovino in una condizione di particolare vulnerabilità. La valutazione di una simile situazione non è lasciata alla discrezionalità dell’autorità giudiziaria, ma è descritta nelle sue caratteristiche dall’art. 90-quater, anch’esso introdotto dal d.lgs. 15 dicembre 2015, n. 212. È previsto che la condizione di particolare vulnerabilità della persona offesa sia desunta: dall’età, dallo stato di infermità o di deficienza psichica, dal tipo di reato, dalle modalità e circostanze del fatto per cui si procede. Inoltre, se il fatto risulta commesso con violenza alla persona o con odio razziale, si deve tener conto se esso sia riconducibile ad ambiti di criminalità organizzata o di terrorismo, anche internazionale, o di tratta degli esseri umani; ovvero se si caratterizza per finalità di discriminazione; oppure se la persona offesa è affettivamente, psicologicamente o economicamente dipendente dall’autore del reato. Il riconoscimento della condizione di particolare vulnerabilità, produce una serie di conseguenze di natura procedurale: - la riproduzione audiovisiva delle dichiarazioni della persona offesa in condizione di particolare vulnerabilità è consentita anche se non ricorre il requisito della assoluta indispensabilità (art. 134 comma 4°); - per evitare la c.d. usura della fonte di prova, le limitazioni all’ammissibilità dell’esame testimoniale per chi è già stato sentito in sede di incidente probatorio, sono estese anche alla persona offesa in condizione di vulnerabilità; - le cautele previste dagli artt. 351 comma 1-ter e 362, per raccogliere le sommarie informazioni, sono estese alla persona offesa vulnerabile; in particolare, deve essere garantita la presenza di uno psicologo e, di regola, bisogna evitare che sia sottoposta reiteratamente a rendere dichiarazioni, salvo che non sia assolutamente necessario; - all’esame testimoniale della persona vulnerabile si può procedere con incidente probatorio, ai sensi del comma 1-bis dell’art. 392, senza che necessiti la ricorrenza di alcun presupposto, come invece previsto per le ipotesi ordinarie di incidente di cui al comma 1°. 32. Gli enti e le associazioni rappresentativi di interessi lesi dal reato. Oltre ai reati esclusivamente lesivi di interessi individuali, esistono reati che violano interessi collettivi o diffusi (es. illeciti penali collegati alla violazione della normativa sulla salubrità dell’ambiente di lavoro o di quella finalizzata a contrastare l’inquinamento). In presenza di taluni requisiti, gli enti e le associazioni rappresentativi di interessi lesi dal reato possono esercitare, in ogni stato e grado del procedimento, i diritti e le facoltà attribuiti alla persona offesa dal reato. Qualora tali enti risultino direttamente danneggiati dal reato, essi possono inserire la loro pretesa civilistica all’interno del processo penale mediante la costituzione di parte civile; al contrario, in mancanza di tale presupposto l’ente collettivo può partecipare al processo in veste di accusatore privato al fianco della persona offesa disposta ad accettare il suo intervento. Affinché l’ente collettivo possa assumere la qualifica di accusatore privato sussidiario si richiede non solo che esso non abbia scopo di lucro, ma anche che gli siano state riconosciute finalità di tutela degli interessi lesi dal reato. Come ulteriore garanzia di affidabilità si esige che il riconoscimento avvenga anteriormente alla commissione del fatto per cui si procede. È stato poi ritenuto necessario il consenso della persona offesa (ad un solo ente), da prestare con atto pubblico o con scrittura privata autenticata, e si è ammessa la possibilità di una revoca in qualsiasi momento dell’iter processuale, con le stesse forme previste per la prestazione del consenso: dopo l’eventuale revoca è esclusa, per la persona offesa, la possibilità di essere nuovamente fiancheggiata da tali enti. Affinché l’ente collettivo possa svolgere il ruolo che gli compete, è necessario che il suo difensore, munito di procura speciale, presenti un atto di intervento, da notificare alle parti quando la presentazione non avviene in udienza. Occorre inoltre che venga presentata la dichiarazione di consenso della persona offesa, nonché la procura del difensore. L’intervento non può avvenire dopo che si è conclusa la fase del dibattimento dedicata alla verifica della regolare costituzione delle parti. Dopo l’intervento, può verificarsi un’estromissione dell’ente collettivo, disposta dal giudice con ordinanza inoppugnabile, in seguito ad un’opposizione di parte o d’ufficio, quando venga riscontrato un motivo di inammissibilità o un vizio riguardante la capacità processuale del soggetto intervenuto. Per quanto attiene, in particolare, all’opposizione, l’ipotesi più articolata è quella in cui vi sia stato un atto di intervento. L’opponente, entro 3 gg. dalla data di notificazione, deve far notificare la dichiarazione scritta di opposizione al rappresentante legale dell’ente collettivo, per consentire a quest’ultimo di presentare, entro 5 gg. dalla notifica, le sue controdeduzioni. lOMoARcPSD|1202071 32 Se l’intervento è avvenuto prima dell’esercizio dell’azione penale, la decisione è di competenza del GIP, mentre sono competenti, rispettivamente, il GUP e il giudice del dibattimento rispetto agli interventi verificatisi in tali fasi, ferma restando, comunque, per la dichiarazione di opposizione, l'osservanza di termini stabiliti a pena di decadenza: - nel caso dell'udienza preliminare, bisogna proporla prima che sia dichiarata aperta la discussione; - con riferimento all'udienza dibattimentale, l'opposizione deve essere proposta “subito dopo compiuto per la prima volta l’accertamento della costituzione delle parti” (art. 491 comma 1°). Occorre considerare, infine, l'estromissione che il giudice dispone ex officio quando accerta, “in ogni stato e grado del processo”, la mancanza dei requisiti richiesti dalla legge per l'intervento dell'ente collettivo (art. 95 comma 4°). 33. Il querelante. Per una serie di reati espressamente indicati dal legislatore è previsto che l’esercizio dell’azione penale da parte del PM sia subordinato ad una esplicita voluntas persecutionis, che la persona offesa è tenuta ad esprimere attraverso la querela. La querela deve essere presentata entro 3 mesi dal giorno della notizia del fatto che costituisce il reato; tuttavia, qualora si debba procedere alla nomina di un curatore speciale tenuto a valutare l’opportunità di presentare querela, il termine decorre dal giorno in cui gli è notificato il decreto di nomina. Occorre poi che non vi sia stata rinuncia alla querela, la quale può essere espressa o tacita. Altra peculiarità è rappresentata dalla regola della indivisibilità della querela, secondo la quale il reato commesso in danno di più soggetti è perseguibile anche quando la querela sia presentata da una sola delle persone offese e, reciprocamente, che, nel caso di concorso di persone nel reato, la querela contro una di esse si estende di diritto anche agli altri concorrenti. Il diritto di querela si estingue in seguito alla morte della persona offesa che non lo abbia ancora esercitato, mentre, in caso contrario, la morte è irrilevante ai fini dell’estinzione del reato. L’estinzione, invece, consegue alla remissione della querela, sempre che il querelato non l’abbia espressamente o tacitamente ricusata, e fermo restando che, se la querela è stata proposta da più persone, affinché si produca l’effetto estintivo, è necessaria la remissione di tutti i querelanti. Si tratta, in sostanza, di una revoca da effettuare, salvo che la stessa non sia espressamente esclusa dalla legge (art. 609-septies comma 3° c.p.; art. 612-bis comma 4° c.p.), prima che sia divenuta irrevocabile la sentenza di condanna (art. 152 comma 3° c.p.). 34. Il difensore di fiducia dell'imputato. Il difensore dell’imputato (che potranno essere al massimo 2), cui spettano le facoltà ed i diritti riconosciuti all’imputato stesso, è tenuto a dimostrare non solo la scarsa significatività degli elementi di prova dell’accusa, ma anche ad individuare e ad acquisire elementi probatori che scagionino l’imputato o alleggeriscano la sua posizione. Vi sono 3 possibili modalità di nomina consistenti, rispettivamente, nella dichiarazione orale resa dall’interessato all’autorità procedente, in quella scritta consegnata alla medesima dal difensore e nel documento di nomina trasmessole con raccomandata. Ovviamente il difensore deve essere in possesso dei requisiti richiesti dalla legge professionale per assistere e rappresentare l’imputato; da questo punto di vista può essere stilata una sorta di graduatoria che ricomprende 3 figure: a. il praticante avvocato, che può patrocinare davanti al giudice di pace e al tribunale in composizione monocratica, nei soli processi aventi ad oggetto i reati per i quali si procede con citazione diretta a giudizio; b. l’avvocato, che può svolgere il suo ruolo di difensore davanti ad ogni giudice penale, fatta eccezione per la corte di cassazione; c. l’avvocato iscritto nello speciale albo, il quale può difendere anche davanti alla cassazione. La prestazione del difensore costituisce l’oggetto di un contratto per la cui conclusione occorre l’accettazione, ancheimplicita, del nominato. La nomina produce i suoi effetti per tutto l’arco del processo di cognizione. La ridotta autonomia dell’imputato conseguente alla custodia carceraria legittima i suoi prossimi congiunti a nominare, con le stesse forme per la nomina diretta, un difensore di fiducia che cessa di operare non appena l’interessato manifesti una diversa volontà. lOMoARcPSD|1202071 35 Ai sensi dell’art. 104 comma 3°, nel corso delle indagini preliminari per i delitti di cui all’articolo 51, commi 3-bis e 3- quater (vale a dire per i per i delitti di criminalità organizzata e di terrorismo) quando sussistono specifiche ed eccezionali ragioni di cautela, il giudice su richiesta del PM può, con decreto motivato, dilazionare, per un tempo non superiore a 5 giorni, l'esercizio del diritto di conferire con il difensore (l’art. 1 comma 25° l. n. 103/2017 ha modificato pertanto l’art. 104 comma 3°, restringendo l’ipotesi, ivi prevista, di dilazione dell’esercizio del diritto di conferire con il proprio difensore). In tal caso però, occorre distinguere l’ipotesi in cui la privazione della libertà sia l’effetto di un’ordinanza cautelare da quella in cui consegua ad una misura precautelare (es. arresto in flagranza o fermo): a. nel primo caso la decisione sul differimento del colloquio spetta al GIP, che deve provvedere con decreto motivato inoppugnabile, su richiesta del PM; b. nel secondo provvede direttamente il PM, che può dilazionare il colloquio fino al momento in cui l’arrestato o il fermato è posto a disposizione del giudice. 41. L'abbandono della difesa e il rifiuto della difesa d'ufficio. Trattandosi di abbandono o rifiuto motivati dalla violazione dei diritti della difesa, il consiglio dell’ordine forense, qualora ritenga giustificato il comportamento del difensore, non applica la sanzione disciplinare, neppure in presenza di una sentenza irrevocabile che escluda la violazione. L’autorità giudiziaria, invece, è tenuta a comunicare al consiglio dell’ordine sia i casi di abbandono e di rifiuto della difesa d’ufficio, sia i comportamenti integranti violazioni dei doveri di lealtà e probità, sia la violazione del divieto, per uno stesso difensore, di assumere la difesa di più imputati che abbiano reso dichiarazioni accusatorie nei confronti di un altro imputato. A seguito dell’abbandono della difesa da parte del difensore di fiducia si determina una stasi processuale, finché non si procede alla nomina di un nuovo difensore di fiducia, ovvero, in mancanza, di uno d’ufficio. L’abbandono della difesa delle altre parti private, della persona offesa e degli enti o associazioni non ostacola la prosecuzione del procedimento, in quanto tali soggetti, ove non provvedano ad una nuova nomina, perdono la possibilità di essere attivi in sede processuale, potendo essi stare in giudizio solo col ministero di un difensore (art. 100 comma 1° e 101 comma 2°). 42. Incompatibilità, non accettazione, rinuncia e revoca del difensore. Il codice ammette che un difensore possa assistere una pluralità d’imputati, purché le diverse posizioni degli assistiti non siano tra loro incompatibili. Incompatibilità si ha quando siano inconciliabili le posizioni degli imputati, ossia l’uno deve avere interesse a sostenere tesi pregiudizievoli all’altro. Una spontanea rimozione dell’incompatibilità si può avere quando l’imputato o gli imputati interessati revochino la nomina del difensore, oppure quest’ultimo rinunci alla difesa. Qualora ciò non avvenga, è previsto un intervento del giudice o, nel corso delle indagini preliminari, del PM, con il quale viene fissato un termine per la sua rimozione da parte dei diretti interessati. L’extrema ratio è rappresentata da un’ordinanza del giudice con la quale viene dichiarata l’incompatibilità e, sentite le parti interessate, si procede alle designazioni dei difensori d’ufficio. Mentre nel caso della revoca il soggetto agente è l’assistito, la non accettazione e la rinuncia sono iniziative del difensore. Questi ultimi sono atti alternativi (essendo ipotizzabile la rinuncia solo se in precedenza vi è stata l’accettazione della proposta di nomina) che, come la revoca, non necessitano di motivazione. Fermo l’obbligo per il difensore che non accetti l’incarico o vi rinunci di darne subito comunicazione all’autorità procedente e a chi lo ha nominato, occorre distinguere tra: a. non accettazione, che ha effetto dal momento in cui perviene la relativa comunicazione all’autorità procedente; b. rinuncia e revoca, che sono prive di effetto fino a che la parte non risulta assistita da un nuovo difensore. Anzi, se ai fini di una difesa informata il nuovo difensore si avvale del diritto di ottenere un termine a difesa, la rinuncia e la revoca diventano efficaci solo a partire dalla sua scadenza. A proposito di tale termine a difesa, il difensore ha diritto ad un termine che, di regola, non può essere inferiore a 7 gg. Al di sotto di tale termine si può scendere, fermo restando il limite minimo delle 24 ore, solo se ricorre una di queste 3 situazioni: a. se vi è il consenso dell’imputato o del suo difensore; b. se vi sono specifiche esigenze processuali che possono determinare la scarcerazione dell’imputato; c. se ricorrono specifiche esigenze processuali che possono determinare la prescrizione del reato. lOMoARcPSD|1202071 36 43. Gli ausiliari del giudice e del pubblico ministero. Gli ausiliari sono coloro che affiancano il giudice o il PM svolgendo vari compiti. Per ausiliare in senso stretto si deve intendere il coadiutore istituzionale, cioè quello la cui presenza è contrassegnata dalla continuità ed ordinarietà (ad es. cancelliere, segretario, ufficiale giudiziario, direttore degli istituti penitenziari). L’assistenza del cancelliere è prevista per tutti gli atti posti in essere dal giudice, salvo che la legge disponga altrimenti (ad es. quando il giudice delibera in camera di consiglio). Importante è anche l’attività di documentazione, per la quale è prevista la redazione del processo verbale. Tra gli altri compiti che svolge vi sono l’autenticazione degli atti e dei provvedimenti del giudice, la custodia delle cose sequestrate, il rilascio di copie, la notificazione dell’atto d’impugnazione. Anche presso l’ufficio del PM opera un ausiliario che svolge funzioni analoghe a quelle del cancelliere. L’ufficiale giudiziario svolge un’attività ausiliaria nei confronti sia del giudice che del PM, in quanto sua principale funzione è quella di curare l’esecuzione delle notificazioni. Corollario di tale funzione è la relazione di notificazione, che documenta l’attività svolta con riferimento all’atto da notificare. Anche il direttore dell’istituto penitenziario opera come ausiliario sia del giudice che del PM, essendo tenuto a ricevere e ad inoltrare, dopo aver proceduto alla loro iscrizione in apposito registro, l’atto di impugnazione e gli altri atti contenenti dichiarazioni e richieste destinate all’autorità giudiziaria, che gli vengano presentati dal soggetto detenuto o internato. CAPITOLO 2 II. ATTI (G.P.V.) 1. Premessa. Con riferimento al libro II, dedicato agli atti, per fatto giuridico (ossia un fatto fornito dell’attitudine a produrre effetti giuridici) si intende un accadimento consistente tanto in un fenomeno naturale quanto in un comportamento umano. I comportamenti di cui si discorre sono, di solito, positivi, ma nulla esclude che essi siano pure negativi, poiché il legislatore è libero di considerare alla stregua di un fatto giuridico anche un non avvenimento: ad es. l’effetto dell’irrevocabilità della sentenza che può nascere dalla mancata impugnazione della stessa (art. 648 comma 2°). L’atto giuridico si distingue dal fatto per la volontarietà. Dal punto di vista della condotta, i comportamenti umani si risolvono in dichiarazioni esternate verbalmente, per iscritto o in maniera gestuale, oppure in operazioni (es. ispezioni). Occorre poi distinguere, a proposito degli atti consistenti in dichiarazioni verbali o in operazioni, l’attività diretta a confezionare l’atto da quella diretta a documentarlo. Premesso ciò, occorre definire l’atto processuale penale: a. sul piano soggettivo, sono tali quelli posti in essere dai soggetti del procedimento; b. sul piano oggettivo, 2 sono le caratteristiche dell’atto processuale penale: la sua attitudine a produrre effetti giuridici dotati di rilevanza processuale penale, ed il suo realizzarsi nel contesto del processo penale. 2. La lingua degli atti. Normalmente, gli atti del procedimento sono compiuti in lingua italiana, che è la lingua ufficiale. Limitatamente al territorio dove è insediata una minoranza linguistica riconosciuta, altre lingue sono elevate al rango di lingue del procedimento, in modo tale da assicurare al cittadino appartenente alla minoranza il diritto di impiegare, nei rapporti con l’autorità giudiziaria, la propria madrelingua. Ciò vale non solo per l’imputato e le altre parti private, ma anche per i testimoni, i periti, i consulenti tecnici e quanti altri vengono in contatto con il procedimento penale. L’uso di una lingua diversa dall’italiano è subordinato alla sussistenza di 3 requisiti: 1. deve trattarsi di una lingua di cui una legge (anche regionale) riconosce la qualità di lingua minoritaria. Tale legge demanda ai consigli provinciali l’individuazione delle aree d’insediamento e a prevedere l’uso della lingua minoritaria nei rapporti con le amministrazioni locali e davanti all’autorità giudiziaria; 2. la tutela deve essere circoscritta ai soli procedimenti che si svolgono davanti ad un’autorità avente competenza di primo o secondo grado sul territorio dov’è insediata la minoranza linguistica; 3. il soggetto alloglotto (che ha lingua diversa da quella prevalente o ufficiale) deve sempre richiedere l’uso della lingua minoritaria, ma l’opzione, espressa in forma scritta o orale, è revocabile. Tutte le volte che un muto, un sordo o un sordomuto vogliano o debbano fare dichiarazioni, sono previste particolari modalità di comunicazione che si avvalgono della parola o dello scritto. lOMoARcPSD|1202071 37 In tali ipotesi, anche indipendentemente dal fatto che le persone in discorso sappiano leggere o scrivere, l’autorità procedente provvede alla nomina di uno o più interpreti scelti di preferenza fra le persone abituate a trattare con loro. 3. La sottoscrizione e la data. In materia di sottoscrizione degli atti, permane l’interdizione all’impiego di mezzi meccanici (es. dattilografia) o di segni diversi dalla scrittura (es. stampigliatura a timbro), equiparati ad una mancata sottoscrizione. Il raggiungimento del fine della sottoscrizione può essere conseguito per altra via solo se chi deve firmare non è in grado di scrivere (es. analfabeta, cieco, infortunato). Talvolta, il codice impone che gli atti dei soggetti privati siano muniti di un’attestazione relativa all’autenticità della firma, la quale può essere rilasciata, oltre che dal funzionario di cancelleria, anche dal notaio, difensore, sindaco, funzionario delegato dal sindaco, segretario comunale, giudice di pace, presidente del consiglio dell’ordine forense o da un consigliere da lui delegato. Nell’atto deve essere indicata, oltre al luogo di formazione, anche la data, e talvolta è prevista anche l’indicazione dell’ora. Alla mancata indicazione della data, quando essa è prescritta a pena di nullità, l’invalidità consegue solo se non è possibile stabilirla con certezza sulla base di elementi tratti dall’atto medesimo o da atti a questo connessi. Se la documentazione di un atto è stata distrutta, smarrita o sottratta, nè è possibile recuperarla, ma di tale atto occorre fare uso, il codice prevede l’impiego di vari rimedi: a. il più semplice consiste nella surrogazione all’originale di una copia autentica. In materia, la competenza funzionale è affidata al presidente della corte o del tribunale, i quali provvedono, anche d’ufficio, mediante l’emissione di un decreto con cui al soggetto che detiene la copia viene impartito l’ordine di consegnarla in cancelleria. Sarà compito di tale ufficio attestare sulla copia autentica la particolare efficacia in tal modo attribuitale (art. 40 disp. att.); b. se non è possibile procedere alla surrogazione, soccorre la ricostituzione, disposta con ordinanza che ne prescrive le modalità, previo giudizio di necessità e di possibilità, dal giudice innanzi al quale pende il procedimento o dal giudice dell’esecuzione. 4. Il divieto di pubblicazione. Il legislatore ha concepito 2 tipi di divieto di pubblicazione col mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione: a. il primo riguarda la riproduzione totale o parziale dell’atto, ossia dell’atto quale risulta dalla documentazione procedimentale; b. il secondo riguarda la pubblicazione di quanto l’atto esprime dal punto di vista concettuale, sicché risulta essere rilevante anche la pubblicazione fatta solo in modo riassuntivo o meramente informativo. Rispetto agli atti coperti dal segreto, il divieto di pubblicazione è assoluto, investendo sia la riproduzione pubblica dell’atto, sia il contenuto dell’atto. Tale divieto opera per tutta la durata delle indagini preliminari, finché restano ignoti i potenziali autori del reato. Ovviamente, il divieto non investe le indagini difensive. L’area del divieto di pubblicazione subisce una variazione a causa dei decreti motivati del PM relativi alla “desegretazione”, ovvero alla “segretazione” di singoli atti, nonché all’imposizione di un autonomo divieto di pubblicazione con riguardo ad atti o notizie non più coperti da segreto. Se non si procede a dibattimento, il divieto in discorso cade o con la conclusione delle indagini preliminari o col termine dell’udienza preliminare. Se invece si procede a dibattimento, bisogna distinguere 3 categorie di atti: 1. gli atti inseriti nel fascicolo del dibattimento sono pubblicabili sin dalla relativa formazione. Se, però, l’atto viene trasferito dal fascicolo per il dibattimento a quello del PM, essendosi accolta la relativa questione preliminare, il divieto di pubblicazione si ripristina automaticamente, e lo stesso vale per il caso in cui l’atto viene letto in una porzione di dibattimento tenuto a porte chiuse; 2. gli atti che, terminato il dibattimento, sono collocati nel fascicolo del PM, sono pubblicabili solo dopo la pronuncia della sentenza di secondo grado; 3. infine, sono immediatamente pubblicabili gli atti già posti in quest’ultimo fascicolo, in quanto sono stati usati per le contestazioni. Per gli atti compiuti in sede di udienza dibattimentale la regola desumibile dal regime dell'atto è la libera pubblicazione: eccezioni sono introdotte solo per il dibattimento tenuto a porte chiuse nei casi previsti dall'art. 472 commi 1° e 2°, sempre relativamente alla riproduzione pubblica dall'atto (art. 114 comma 4°). lOMoARcPSD|1202071 40 La motivazione per relationem, ossia quella che si riporti al contenuto di un altro atto, non è causa di nullità tutte le volte in cui il secondo sia conosciuto o facilmente conoscibile dalla parte (ad es. per effetto del deposito in cancelleria). È dato quindi alla parte di controllare l’adeguatezza e la congruità del ragionamento giustificativo del giudice. È ammesso inoltre l’uso di moduli prestampati. Nel caso di provvedimenti collegiali e purché lo richieda un componente del collegio che non abbia espresso voto conforme alla decisione, è compilato sommario verbale contente l’indicazione del dissenziente, della questione o delle questioni alle quali si riferisce il dissenso ed i motivi dello stesso. Il verbale, redatto dal meno anziano tra i componenti togati del collegio e sottoscritto da tutti gli altri, viene conservato in plico sigillato nella cancelleria dell’ufficio: potrà servire a chi ha dissentito, liberandolo da ogni eventuale responsabilità, se i componenti del collegio saranno chiamati a rispondere del loro operato in sede civile. Il procedimento in camera di consiglio. Quando bisogna procedere in camera di consiglio, c.d. rito camerale, il giudice o il presidente del collegio fissa la data dell’udienza e ne dà avviso alle parti, alle altre persone interessate e ai difensori. Tale avviso deve essere comunicato o notificato almeno 10 gg. prima della data fissata per l’udienza e se l’imputato è privo di difensore, l’avviso è dato a quello di ufficio. Fino a 5 gg. prima dell’udienza possono essere presentate in cancelleria delle memorie. Il PM, gli altri destinatari dell’avviso e i difensori sono sentiti se compaiono; se l’interessato ne fa richiesta ed è detenuto o internato in un luogo fuori della circoscrizione, deve essere sentito prima del giorno dell’udienza dal magistrato di sorveglianza del luogo in cui è ristretto. L’udienza è rinviata se sussiste un legittimo impedimento dell’imputato o del condannato che ha chiesto di essere sentito, e purché non sia detenuto in un luogo diverso da quello in cui ha sede il giudice. Il procedimento si svolge in udienza, anche se non è ammessa la presenza del pubblico in aula. Compiuti gli atti introduttivi e accertata la regolare costituzione delle parti, nei procedimenti davanti ad organi collegiali la relazione orale è svolta da uno dei componenti del collegio, previa designazione del presidente. Il provvedimento finale ha la forma in genere dell’ordinanza, e deve essere comunicato al PM e notificato alle parti private, alle persone interessate e ai difensori, i quali possono proporre ricorso per cassazione. Tale ricorso non sospende l’esecuzione dell’ordinanza, salvo che il giudice disponga diversamente con decreto motivato. 9. L'immediata declaratoria di cause di non punibilità e la correzione degli errori materiali. L’immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità (art. 129) consiste nell’obbligo di arrestare il processo e di far cadere la qualità di imputato appena maturi la possibilità di pronunciare una sentenza di proscioglimento. Nella fase delle indagini preliminari un compito equivalente è svolto dall’archiviazione. L’art. 129 comma 2° sancisce l’obbligo del proscioglimento nel merito, quando ne ricorrono gli estremi, anche in presenza di una causa estintiva del reato, con esclusivo riferimento alle sentenze di assoluzione o di non luogo a procedere. Per le sentenze di assoluzione, la prevalenza della formula di merito vale anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussista o che l’imputato l’abbia commesso, che il fatto costituisca reato o che il reato sia stato commesso da persona non imputabile. Per le sentenze di non luogo a procedere, dovrebbe valere la stessa conclusione. La correzione degli errori materiali (art. 130) soccorre a deviazioni non gravi dell’atto dal suo schema tipico. La procedura opera in presenza di 3 presupposti: 1. anzitutto, ne sono oggetto solo le sentenze, le ordinanze e i decreti del giudice; 2. l’errore deve consistere in una difformità tra il pensiero del giudice e la sua formulazione, mentre l’omissione deve riguardare un comando che discenda dalla legge, che non siano collegabili ad una previsione di nullità; 3. infine, l’eliminazione dell’errore o dell’omissione non deve comportare una modificazione essenziale dell’atto. Con specifico riferimento alla sentenza di patteggiamento, ai sensi del nuovo comma 1-bis dell’art. 130 introdotto dalla l. n. 103/2017, si prevede che, quando in tale sentenza si devono rettificare solo la specie e la quantità della pena per errore di denominazione o di computo, la correzione è disposta, anche ex officio, dal giudice che ha emesso il provvedimento e, se questo è impugnato, alla rettificazione provvede la corte di cassazione (a norma dell’art. 619 comma 2°), senza pronunciare annullamento. Si è di fronte, in altre parole, all’introduzione di un più agile meccanismo di correzione degli errori materiali, per porre rimedio a vizi non essenziali della sentenza di patteggiamento, che dovrebbe venire ricondotta, appunto mediante la correzione, a quanto stabilito nell’accordo tra le parti. La circostanza che possa provvedere il giudice il quale ha emesso il provvedimento può inoltre contribuire utilmente ad alleggerire il carico di lavoro della corte di cassazione. Competente a procedere alla correzione, anche d’ufficio, è il giudice autore dell’atto ma, quando viene proposta impugnazione, tocca al giudice ad quem (ossia competente a conoscere dell’impugnazione), salvo dichiari inammissibile l’impugnazione stessa. lOMoARcPSD|1202071 41 Il procedimento si svolge in camera di consiglio, quindi l’ordinanza conclusiva del procedimento deve essere notificata per intero ed è ricorribile per cassazione, anche quando sia stata rigettata o dichiarata inammissibile la richiesta di correzione. L’ordinanza che dispone la correzione è poi annotata sull’originale dell’atto. Tale procedura non si applica quando la corte di cassazione omette di dichiarare nel dispositivo di annullamento parziale quali parti della sentenza diventano irrevocabili. In tal caso, all’omissione pone rimedio una ordinanza pronunciata d’ufficio, ovvero a seguito di domanda del giudice competente per il rinvio, del PM presso quel giudice o della parte privata interessata. La correzione degli errori materiali opera anche nel giudizio di cassazione. 10. I poteri coercitivi. Il giudice deve avvalersi innanzitutto della PG e, solo se quest’ultima non sia in grado di provvedere, ricorrere alla forza pubblica. Tra gli atti che sono manifestazione del potere coercitivo, si colloca in una particolare posizione l’accompagnamento coattivo, che consiste in una restrizione della libertà personale ma che, allo stesso tempo, impone sempre una tempestiva restituzione della libertà personale medesima. L’accompagnamento coattivo deve essere preceduto, a seconda dei casi, da un avviso notificato o da un decreto di citazione rimasti senza effetto; esso può essere disposto in sede di incidente probatorio o nel dibattimento (con esclusione, pertanto, dell’udienza preliminare dove, per regola derogata dal solo art. 422 - “…il giudice può disporre, anche d'ufficio, l'assunzione delle prove delle quali appare evidente la decisività ai fini della sentenza di non luogo a procedere” -, non si assumono prove); suoi destinatari sono la persona sottoposta alle indagini, l’imputato e gli imputati in un procedimento connesso; suo scopo è l’assunzione di prove diverse dall’esame. L’accompagnamento coattivo è disposto con decreto motivato, la cui efficacia è limitata a 24 ore. L’accompagnamento coattivo può riguardare anche testimoni, periti, consulenti tecnici, interpreti e custodi di cose sequestrate, ma solo se omettono di comparire nel luogo e nel tempo stabiliti senza addurre un legittimo impedimento. Tali soggetti possono poi essere condannati ad una sanzione pecuniaria. 11. I princìpi in materia di documentazione degli atti. L’attività svolta alla documentazione consiste nel meccanismo attraverso il quale un atto viene inserito e conservato nella sequenza procedimentale, affinché giudice e parti possano controllarne la regolarità ed averne memoria ai fini delle decisioni che si dovranno adottare in primo grado o nei giudizi d’impugnazione. L’autore dell’atto documentato, di regola, non coincide con l’autore della documentazione: eccezioni sono ad es. raffigurabili nei confronti delle annotazioni e dei verbali redatti dalla PG. Infine, l’attività di documentazione produce come risultato un atto. 12. Le modalità della documentazione. L’art. 134 comma 1° enuncia il principio generale per cui la documentazione degli atti del giudice si effettua mediante verbale, il quale ha una funzione rappresentativa e conservativa degli atti che si compiono nel procedimento. Il codice non fornisce non fornisce una definizione di “verbale”, ma una simile esigenza non assume carattere pressante dal momento che al verbale non è più riconosciuta all'interno del processo penale quella fede privilegiata che gli era conferita in passato perché suscettibile di essere superata solo tramite l'apposito incidente di falso, analogo alla civilistica querela di falso. Al giudice penale toccherebbe, pertanto, valutare liberamente la corrispondenza al vero di quanto il pubblico ufficiale attesta di essere avvenuto o essere stato dichiarato in sua presenza, così come per ogni altro documento pubblico. Al verbale redatto in forma riassuntiva si affianca quello redatto in forma integrale, la cui scelta è, di regola e salvi alcuni casi, rimessa al giudice. La scelta è indirizzata dal legislatore alla forma riassuntiva quando gli atti da verbalizzare hanno contenuto semplice o limitata rilevanza, ovvero quando siano indisponibili gli strumenti di riproduzione o gli ausiliari tecnici. Nell’udienza preliminare, di regola, il verbale è redatto in forma riassuntiva, salvo che, su richiesta di parte, il giudice disponga la riproduzione fonografica o audiovisiva ovvero la redazione del verbale con la stenotipia (ossia, un metodo di abbreviazione della scrittura eseguita con una macchina, comunemente chiamata macchina per stenografare). Nel dibattimento innanzi al tribunale monocratico, l’adozione del verbale in forma riassuntiva è rimessa alla concorde volontà delle parti, sempre che il giudice non ritenga necessaria la redazione in forma integrale. Tra i mezzi di riproduzione, il codice pone sullo stesso piano la stenotipia e ogni altro strumento meccanico e, in posizione subordinata, la scrittura manuale. Se tali modalità di documentazioni appaiono insufficienti, può essere aggiunta la riproduzione audiovisiva se assolutamente indispensabile. Nel redigere il verbale con la stenotipia o con altri mezzi meccanici, l’ausiliare del giudice, se sfornito delle necessarie competenze, può essere autorizzato a farsi assistere sia dal personale tecnico dell’amministrazione sia da personale esterno. lOMoARcPSD|1202071 42 Il contenuto dell’atto si sostanzia nella normale indicazione del giorno e del luogo, nonché nella menzione delle generalità delle persone intervenute e nell’indicazione delle cause della mancata presenza di coloro che sarebbero dovuti intervenire. L’ausiliario deve indicare quanto ha fatto o constatato, nonché quanto è avvenuto in sua presenza. Sotto il profilo dichiarativo, il pubblico ufficiale non solo deve menzionare le dichiarazioni da lui ricevute o da altro pubblico ufficiale che lo assiste, ma deve anche indicare in modo analitico tutti quegli elementi che possano influire sulla credibilità delle dichiarazioni stesse, come ad es. la loro spontaneità, la dettatura del dichiarante, ecc. La firma deve essere apposta alla fine di ogni foglio del verbale da parte del pubblico ufficiale che l’ha redatto, dal giudice e dalle persone intervenute. Se qualcuno degli intervenuti non vuole o non può sottoscrivere, deve esserne fatta menzione nel verbale indicandone i motivi: da qui la conclusione che l’atto resta pienamente valido. 13. Le trascrizioni e le riproduzioni. I nastri impressi con i caratteri della stenotipia sono trascritti in caratteri comuni non oltre il giorno successivo a quello in cui sono stati formati, ma ad oggi vi è la possibilità di procedere ad una trascrizione simultanea mediante computer. Tale termine è derogato da un’espressa clausola di salvezza ex art. 483, per il verbale del dibattimento, che deve essere trascritto non oltre 3 gg. dalla sua formazione. Se chi ha impresso i nastri è impedito a svolgere l’operazione, il giudice affida la trascrizione ad altra persona idonea anche estranea all’amministrazione dello Stato. Le riproduzioni fonografiche e audiovisive sono trascritte a cura del personale tecnico giudiziario, ed anche tale compito può essere affidato a persone idonee estranee all’amministrazione dello Stato. Inoltre, se le parti vi consentono, il giudice può disporne l’omissione. Le registrazioni fonografiche e audiovisive, nonché le relative trascrizioni, sono poi incluse nel fascicolo del procedimento. Tutte le volte in cui viene effettuata una tale riproduzione, nel verbale è indicato il momento di inizio o di cessazione delle operazioni di riproduzione; se una parte della riproduzione non ha avuto esito o non è intellegibile, fa prova il verbale redatto in forma riassuntiva. L’art. 140 introduce poi una documentazione che, quanto alla forma, è assimilabile al verbale riassuntivo, ma, quanto ai modi, si risolve nella redazione manuale, contestuale e sintetica del verbale, senza l’accompagnamento della riproduzione fonografica. Se viene redatto solo il verbale in forma riassuntiva, al giudice spetta l’obbligo di vigilare affinché sia riprodotta genuinamente la parte essenziale delle dichiarazioni e siano descritte le circostanze nelle quali esse sono rese. Nella prassi, è lo stesso giudice che detta all’ausiliario il riassunto delle dichiarazioni rese davanti a lui. La nullità relativa del verbale è prevista nel caso di: - incertezza assoluta sulle persone intervenute; - mancata sottoscrizione da parte del pubblico ufficiale che ha redatto il verbale; - inosservanza delle prescrizioni previste dall’art. 109 comma 1° e 2° (verbale redatto in lingua italiana o nella lingua della minoranza riconosciuta). La clausola di salvezza posta nell’art. 142 - relativa a particolari disposizioni derogatorie - va riferita alla disciplina delle ricognizioni, da cui si apprende che la mancata menzione nel verbale di determinati adempimenti e dichiarazioni, nonché delle relative modalità di svolgimento, comporta la nullità del mezzo di prova. 14. La documentazione dell'interrogatorio del detenuto. La documentazione dell’interrogatorio del detenuto è stata fortemente irrigidita dal legislatore; l’art. 141- bis introduce una disciplina speciale che opera in presenza di 3 condizioni: a. innanzitutto, per interrogatorio si intende sia quello della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato, sia quello dell’imputato e della persona sottoposta alle indagini in un procedimento per reato connesso o collegato a quello per cui si procede; b. l’interrogato deve essere, a qualsiasi titolo, in stato di detenzione. Ciò comporta che la disciplina speciale opera anche nei confronti di chi sia sottoposto a custodia cautelare per un altro procedimento o stia espiando una pena detentiva per un altro reato; c. la norma non vale per gli interrogatori assunti nel contesto spaziale e temporale dell’udienza: sono esclusi, pertanto, quelli svoltisi in sede di convalida dell’arresto in flagranza o del fermo o nell’udienza preliminare. In presenza di tali presupposti, vi è il vincolo di disporre la riproduzione fonografica o audiovisiva integrale, ossia per intero e senza interruzioni. Qualora siano indisponibili gli appositi strumenti o il personale tecnico idoneo, il giudice o il PM possono porvi rimedio mediante la nomina di un perito o di un consulente tecnico, a cui devono essere liquidati i relativi compensi. La trascrizione non è obbligatoria in quanto è disposta solo su richiesta di parte. La documentazione non integrale è inutilizzabile e, in caso contrario, è prevista una sanzione. lOMoARcPSD|1202071 45 Ai sensi dell’art. 143-bis “altri casi di nomina dell'interprete”: - l'autorità procedente nomina un interprete quando occorre tradurre uno scritto in lingua straniera o in un dialetto non facilmente intellegibile ovvero quando la persona che vuole o deve fare una dichiarazione non conosce la lingua italiana. La dichiarazione può anche essere fatta per iscritto e in tale caso è inserita nel verbale con la traduzione eseguita dall'interprete; - l'assistenza dell'interprete può essere assicurata, ove possibile, anche mediante l'utilizzo delle tecnologie di comunicazione a distanza, sempreché la presenza fisica dell'interprete non sia necessaria per consentire alla persona offesa di esercitare correttamente i suoi diritti o di comprendere compiutamente lo svolgimento del procedimento; - la persona offesa che non conosce la lingua italiana ha diritto alla traduzione gratuita di atti, o parti degli stessi, che contengono informazioni utili all'esercizio dei suoi diritti. La traduzione può essere disposta sia in forma orale che per riassunto se l'autorità procedente ritiene che non ne derivi pregiudizio ai diritti della persona offesa. Tale articolo è stato inserito nel c.p.p. dal d.lgs. 15 dicembre 2015, n. 212. Inoltre, l’interprete deve essere nominato anche quando il giudice, il PM o l’ufficiale di PG hanno personale conoscenza della lingua o del dialetto da interpretare. Non possono fungere da interprete il minorenne, l’interdetto, l’inabilitato, l’affetto da infermità mentale, l’interdetto da uffici pubblici, l’interdetto o il sospeso da una professione o da un’arte e il sottoposto a misure di sicurezza personali o a misure di prevenzione. È poi incompatibile la persona esclusa dalla testimonianza o che gode della facoltà di astenersi, nonché chi è chiamato all’ufficio di testimone o di perito, ovvero chi è nominato consulente tecnico nello stesso procedimento o in un procedimento connesso. L’interprete incapace o incompatibile è ricusabile dalle parti private e, per i soli atti compiuti o disposti (es. le prove) dal giudice, è ricusabile anche dal PM. Se esiste un motivo di ricusazione oppure gravi ragioni di convenienza per astenersi, l’interprete deve dichiararle, e sulla dichiarazione di ricusazione o di astensione decide il giudice con ordinanza inoppugnabile. Con il provvedimento di nomina, l’interprete (o il traduttore) è citato a comparire con notificazione e, in situazioni di urgenza, anche oralmente attraverso l’ufficiale giudiziario o la PG. Se le traduzioni scritte richiedono un lavoro di lunga durata, l’autorità procedente può prorogare, per giusta causa, il termine fissato per una sola volta. L’interprete che non ha presentato la traduzione nel termine può essere sostituito; in quest’ultimo caso, dopo essere stato citato a comparire per discolparsi, può essere condannato al pagamento di una somma a favore della cassa delle ammende. Infine, è stata prevista la possibilità di ottenere l’assistenza di un interprete per la proposizione di denunce e querele (artt. 170-ter e quater). Il d.lgs. n. 129/2016 ha apportato delle modifiche alla disposizione (art. 146 c.p.p.) che disciplina il conferimento dell’incarico all’interprete o al traduttore. La novella, tenendo conto dell’eventualità che sia fornita un’assistenza linguistica a distanza, ovvero che l’interprete o il traduttore nominato sia residente nella circoscrizione di altro tribunale, attribuisce all’autorità giudiziaria procedente la possibilità di chiedere al GIP del luogo di residenza, il compimento per rogatoria delle attività previste dal comma 1° della medesima disposizione, per il conferimento dell’incarico. L’art. 2 dello stesso d.lgs. n. 129/2016 ha aggiunto un nuovo art. 51-bis alle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, incidendo direttamente sull’applicazione dell’art. 143 c.p.p, attraverso una restrizione della portata del diritto all’assistenza linguistica gratuita. Il comma 1° del nuovo art. 51-bis delle disp. att. c.p.p. limita il diritto dell’imputato all’assistenza di un interprete nei colloqui con il difensore (sancito dall’art. 143, comma 1°, secondo periodo, del c.p.p.) ad un solo colloquio difensivo, salva l’autorizzazione, in casi eccezionali e a fronte di particolari esigenze difensive, di ulteriori colloqui assistiti dalla presenza di un interprete. L’intento è quello di contenere i costi derivanti dal riconoscimento della gratuità del diritto all’assistenza linguistica. L’interpretazione di questa disposizione deve essere estesa anche all’analoga previsione di cui all’art. 104, comma 4- bis, del c.p.p. I commi 2° e 3° del neo introdotto art. 51-bis disp. att. c.p.p. disciplinano 2 ipotesi di sostituzione della traduzione scritta di un atto con la traduzione orale. I presupposti che l’odierno legislatore delegato ha individuato, affinché possa darsi luogo a detta sostituzione, sono differenti: - il comma 3° attribuisce all’imputato stesso la facoltà di rinunciare alla traduzione scritta di un atto, comunicando tale volontà personalmente o a mezzo procuratore speciale all’autorità giudiziaria e dando atto nel verbale della rinuncia medesima. In questo caso è garantita la traduzione orale dell’atto, anche in forma riassuntiva; - la seconda ipotesi, disciplinata al comma 2°, consente all’autorità giudiziaria di disporre una traduzione orale in luogo di quella scritta, al ricorrere dei seguenti requisiti: ü l’esistenza di particolari ragioni di urgenza; ü l’impossibilità di fornire prontamente una traduzione scritta; ü l’assenza di pregiudizio del diritto di difesa. Anche in questo caso, all’imputato sarà garantita la traduzione orale. lOMoARcPSD|1202071 46 Infine, il comma 5° attribuisce la facoltà all’autorità procedente di disporre l’assistenza linguistica a distanza, qualora siano disponibili strumenti tecnici idonei e sempre che ciò non pregiudichi il diritto di difesa dell’imputato. 18. Le linee di fondo del regime delle notificazioni. L’istituto delle notificazioni ha lo scopo di far conoscere gli atti processuali a soggetti diversi dal loro autore. Occorre osservare che la tradizionale dicotomia tra conoscenza legale, conseguente al solo rispetto delle forme stabilite dall’ordinamento, e conoscenza effettiva (o reale), per la quale è sufficiente la conoscenza effettiva anche procurata in assenza delle formalità prescritte, è stata erosa a favore della seconda. L'obiettivo di una tutela effettiva è, d'altro canto, imposto dalle numerose pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo che hanno registrato censure al nostro ordinamento in ordine al regime della contumacia. Ciò ha comportato: - dapprima con la l. 16 dicembre 1999, n. 479, rilevanti aggiustamenti nel senso di una conoscenza effettiva in ordine alla rinnovazione dell'avviso dell'udienza preliminare allorquando fosse provato, o comunque probabile, che l'imputato non avesse avuto effettiva conoscenza dell'atto, nonostante la ritualità della notificazione (art. 420-bis), e della citazione a dibattimento (art. 484 comma 2-bis); - in seguito, con il d.l. 21 febbraio 2005, n. 17, convertito con l. 22 aprile 2005, n. 60, si è aggiunta una nuova ipotesi alla disciplina della restituzione nel termine avente ad oggetto la sentenza contumaciale (art. 175 comma 2°); - infine, con la l. 28 aprile 2014, n. 67, si è pervenuti a sopprimere la figura del processo in contumacia, col prevedere che, al di fuori dei casi di assenza (art. 420-bis), di impedimento a comparire (art. 420-ter) o di nullità dell'avviso di udienza all'imputato, il giudice debba rinviare l'udienza e disporre che il relativo avviso sia notificato personalmente all'imputato tramite la PG e che, se tale notifica non riesce, il processo venga sospeso. Nel disegno di incrementare la conoscenza effettiva si collocano, altresì, le notificazioni per via telematica. Dal punto di vista strutturale, il procedimento di notificazione è distinto in 3 fasi: 1. l’impulso, consistente nell’ordine o nella richiesta di eseguire la notificazione e nella consegna materiale dell’atto all’organo esecutivo; 2. l’esecuzione, cioè la predisposizione dell’atto da notificare, l’attività di ricerca del destinatario e la consegna dell’atto alla persona abilitata a riceverlo; 3. la documentazione dell’attività svolta dall’organo esecutivo. 19. Gli organi e le forme delle notificazioni disposte dal giudice o richieste dalle parti. L’organo investito in via principale dell’attività di notifica è l’ufficiale giudiziario, a cui si affiancano gli aiutanti ufficiali giudiziari e i messi di conciliazione. Inoltre, nei procedimenti con detenuti e in quelli dinanzi al tribunale del riesame, in presenza del requisito dell’urgenza, il giudice può disporre che le notificazioni siano eseguite dagli organi di polizia penitenziaria del luogo in cui i destinatari sono detenuti. Infine, nei procedimenti per i delitti di strage, terrorismo e associazione mafiosa, al giudice è consentito avvalersi anche della PG. Oggetto della notificazione è l’atto nella sua interezza, ma ragioni di economia, tempestività o riserbo hanno indotto, in casi tassativi, a prevedere la notificazione per estratto, cioè la riproduzione della sola parte essenziale dell’atto. L’ufficiale giudiziario, cui l’atto da notificare è trasmesso, provvede a formare un numero di copie dell’atto uguale a quello dei destinatari della notificazione. Stesso valore dell’originale hanno le copie dell’atto quando l’ufficio che lo ha emesso attesta, in calce ad esso, di aver trasmesso il testo originale. A tutela della riservatezza, se la notifica non può essere eseguita a mani proprie del destinatario, l’ufficiale giudiziario e la PG consegnano la copia dell’atto dopo averla inserita in una busta sigillata; tale prescrizione non vale però per le notificazioni al difensore o al domiciliatario. Acquista valore di notificazione la consegna di copia dell’atto all’interessato da parte della cancelleria, purché sull’originale sia annotata l’avvenuta consegna e la relativa data. La lettura dei provvedimenti alle persone presenti e gli avvisi dati verbalmente dal giudice, o dal PM, agli interessati in loro presenza sostituiscono le notificazioni, purché ne venga fatta menzione nel verbale. Infine, sempre a protezione della riservatezza, le comunicazioni, gli avvisi ed ogni altro biglietto o invito consegnati non in busta chiusa ad una persona diversa dal destinatario devono recare solo le indicazioni strettamente necessarie. Nei casi d’urgenza, il giudice può disporre, anche su richiesta di parte, che le persone diverse dall’imputato siano convocate o avvisate a mezzo del telefono e a cura della cancelleria. lOMoARcPSD|1202071 47 Sull’originale dell’avviso o della convocazione sono annotati il numero telefonico chiamato, il nome, le funzioni o le mansioni svolte dalla persona che riceve la comunicazione, il suo rapporto col destinatario, il giorno e l’ora della telefonata. Alla comunicazione si procede poi chiamando il numero telefonico corrispondente all’abitazione, alla sede del lavoro abituale, alla dimora o al recapito della persona interessata; essa non ha effetto se non è ricevuta dal destinatario ovvero da persona che convive anche temporaneamente col medesimo (ha effetto invece se la comunicazione è rilasciata sulla segreteria telefonica). La successiva comunicazione telegrafica per estratto integra poi una forma costitutiva di questo procedimento di notifica: quando, per qualunque causa, non è possibile far luogo alla notificazione a mezzo del telefono, soccorre quella eseguita per telegramma. In presenza di particolari circostanze è poi possibile ricorrere alla forma notificativa innominata a persona diversa dall’imputato, che si realizza ricorrendo a mezzi di comunicazione non tradizionali, purché, nell’apposito decreto motivato posto in calce all’atto, siano indicati il mezzo tecnico prescelto e le modalità ritenute necessarie per far conoscere l’atto al destinatario (es. telefax). Le notifiche di atti del PM, nel corso delle indagini preliminari, sono anzitutto eseguite dall’ufficiale giudiziario, mentre la PG può provvedere nei soli casi di atti d’indagine o provvedimenti che la stessa è delegata a compiere o è tenuta ad eseguire. Nel caso delle notificazioni richieste dalle parti è consentito sostituire alle forme ordinarie l’invio di copia dell’atto effettuato dal difensore mediante raccomandata con ricevuta di ritorno, nel qual caso la notificazione può dirsi perfezionata con la ricezione della raccomandata secondo le regole fissate dall’ordinamento postale. Il difensore deve poi documentare la spedizione con il deposito in cancelleria della copia dell’atto inviato, l’attestazione della conformità all’originale e l’avviso di ricevimento. 20. Le notificazioni all'imputato. Le notificazioni all’imputato detenuto in Italia devono essere eseguite preferibilmente mediante consegna a mani proprie nel luogo di detenzione, anche attraverso l’agente di custodia; ai sensi dell’art. 156 comma 2°, il legislatore si preoccupa di disciplinare l’ipotesi in cui l’imputato rifiuti di ricevere l’atto: di ciò si fa menzione nella relazione di notifica e la copia è consegnata al direttore dell’istituto o a chi ne fa le veci. Modalità particolari sono invece predisposte per l’imputato legittimamente assente perché usufruisce del regime di semilibertà, semidetenzione, ecc. Per quanto riguarda invece la prima notifica all’imputato libero, anch’essa deve essere preferibilmente eseguita mediante consegna di copia dell’atto a mani proprie, dovunque l’imputato si trovi. Se ciò non è possibile, la notificazione viene eseguita nell’abitazione o nel luogo in cui il soggetto esercita abitualmente la professione, consegnando la copia ad un convivente o al portiere. Qualora tali luoghi non siano conosciuti, la notificazione è eseguita dove l’imputato ha temporanea dimora o recapito. Il portiere sottoscrive l’originale dell’atto notificato, mentre l’ufficiale giudiziario dà notizia al destinatario dell’avvenuta notifica mediante raccomandata con ricevuta di ritorno. Copia dell’atto non può essere consegnata ad un minore di 14 anni o ad un incapace di intendere o di volere. La notificazione va poi rinnovata quando la copia viene consegnata alla persona offesa e risulta, o è probabile, che l’imputato non ha avuto effettiva conoscenza dell’atto notificato. Per tutelare la riservatezza, si prevede che, se la consegna è fatta nelle mani di persona diversa dal destinatario, il plico deve essere consegnato chiuso, mentre la relazione della notifica deve essere effettuata secondo le già rammentate forme di cui all’art. 148 comma 3°. Le notificazioni all’imputato militare in servizio attivo sono effettuate con consegna a mani proprie, altrimenti l’atto è notificato presso l’ufficio del comandante del corpo, il quale provvederà ad informare l’interessato annotando la data, l’ora e le modalità in apposito registro. Se la prima notificazione non va a buon fine, occorre un secondo accesso per cercare l’imputato presso l’abitazione, la dimora, il recapito, ecc. Nella relazione di notifica vanno poi indicate le ore dei 2 accessi, il secondo dei quali deve avvenire in un giorno successivo e ad un orario diverso rispetto al primo. Come estrema ratio, l’atto viene depositato nella casa comunale dove abita l’imputato o, in subordine, dove esercita abitualmente la sua attività lavorativa; allo stesso tempo, un avviso di deposito viene affisso sulla porta dell’abitazione o del luogo in cui esercita la professione. Del deposito, l’ufficiale giudiziario dà comunicazione all’imputato mediante raccomandata con ricevuta di ritorno. Per le notificazioni all’imputato libero successive alla prima, se l’imputato ha nominato un difensore di fiducia, esse possono essere effettuate mediante consegna al suddetto, sempreché l’imputato non abbia dichiarato o eletto domicilio, ovvero il difensore non abbia dichiarato immediatamente all’autorità procedente di non accettare la notificazione. Per le notificazioni all'imputato latitante od evaso (art. 296) l'art. 165 pone un'equiparazione di trattamento con l'irreperibile: pertanto, la norma ne riprende i caratteri semplificati. Per le notificazioni all'imputato interdetto o infermo di mente, l'art. 166 persegue l'obiettivo di una conoscenza personale: l'atto viene così notificato tanto al soggetto quanto, rispettivamente, presso il tutore o il curatore. lOMoARcPSD|1202071 50 Sono cause di nullità: a. l’atto notificato in modo incompleto, salvo che sia consentito l’estratto; b. l’incertezza assoluta circa il richiedente e il destinatario; c. il difetto della sottoscrizione di chi ha eseguito la notificazione; d. la violazione delle disposizioni sulla persona a cui la copia deve essere consegnata, secondo l’ordine prescritto; e. la mancanza dell’avvertimento, da parte del giudice o del direttore dell’istituto, nei casi previsti dall’art. 161 commi 1°, 2° e 3°, sempre che la notificazione sia stata eseguita mediante consegna al difensore; f. dopo il deposito nella casa comunale, l’omessa affissione sulla porta dell’imputato o il mancato avviso di avvenuta notificazione con raccomandata con ricevuta di ritorno; g. la mancanza, sull’originale dell’atto notificato, della sottoscrizione del portiere o di chi ne fa le veci; h. l’inosservanza delle modalità fissate dal giudice nel decreto con cui è stata disposta una forma particolare di notificazione, purché l’atto non sia giunto a conoscenza del destinatario. 25. Le regole generali in materia di termini. I termini processuali assegnano dei limiti cronologici all’attività dei soggetti del procedimento o determinano la cessazione degli effetti dell’atto (c.d. caducazione). Tra le varie classificazioni, importante è quella tra termini dilatori e acceleratori (o impulsivi): a. i primi fanno sì che un atto non possa compiersi (o produrre effetti) prima che il relativo termine sia decorso; b. i secondi, invece, stabiliscono un termine per il compimento dell’atto o per il mantenimento della sua efficacia. I termini acceleratori, a loro volta, si distinguono in 2 classi: a. sono ordinatori, quelli le cui conseguenze sono prive di rilevanza di natura processuale, salvi eventuali riflessi disciplinari (ad es. i termini per il deposito della sentenza); b. sono perentori, quelli la cui scadenza comporta la perdita del potere di compiere l’atto al quale si riferiscono, oppure la cessazione degli effetti del medesimo. Di regola, l’inosservanza di tali termini è riportata alla sanzione della decadenza dal corrispondente potere, salva la restituzione nel termine scaduto. I termini sono computati a ore, gg., mesi ed anni; la scadenza del termine in un giorno festivo comporta una proroga ex lege al giorno successivo non festivo. Talora il legislatore ricollega alla decadenza l’inammissibilità dell’atto realizzato a termine scaduto; talaltra l’inammissibilità si sostanzia in un vizio dell’atto, integrando una species del genus dell’invalidità. I termini stabiliti a pena di decadenza sono improrogabili, a meno di espresse previsioni legislative in senso diverso. Oltre alle proroghe che il Ministro della giustizia può accordare per eventi di carattere eccezionale, vanno menzionate la proroga dei termini delle indagini preliminari e la proroga dei termini della custodia cautelare, richieste dal PM al giudice. Tradizionale è poi l’abbreviazione del termine, chiesta o consentita dalla parte a favore della quale esso è stabilito, mediante dichiarazione ricevuta in cancelleria o nella segreteria dell’autorità procedente. Diverso dalla proroga (che presuppone la pendenza di un termine già in corso, posticipandone la relativa scadenza) è il prolungamento dei termini di comparizione, che scatta fin dal momento della fissazione del termine dilatorio ordinatorio, indipendentemente dal fatto che quest’ultimo sia o meno prorogabile. I termini sono poi sospesi nel periodo feriale, ossia dal 1° agosto al 15 settembre di ogni anno, per consentire alla classe forense di godere delle ferie estive. L’istituto si estende anche al procedimento di esecuzione e a quello di sorveglianza, mentre non tocca l’attività del giudice: così, nel periodo feriale può bensì essere depositata la motivazione di un provvedimento, ma il dies a quo per impugnarlo decorre dalla cessazione di detto periodo. Nel caso di procedimenti per reati la cui prescrizione maturi durante la sospensione feriale o nei successivi 45 gg., ovvero se durante lo stesso periodo scadono stanno per scadere i termini della custodia cautelare, il giudice che procede, anche d’ufficio, pronuncia ordinanza inoppugnabile, ma revocabile, con la quale è specificamente motivata e dichiarata l’urgenza del processo. In tali casi i termini decorrono, anche nel periodo feriale, dalla data di notificazione dell’ordinanza. Durante le indagini preliminari, se occorre procedere con urgenza nel periodo feriale al compimento di atti per i quali operi la sospensione dei termini in discorso, il GIP, su richiesta del PM, della persona sottoposta alle indagini o del suo difensore, pronuncia ordinanza nella quale sono specificate le ragioni dell’urgenza e la natura degli atti da compiere. Allo stesso modo provvede il PM con decreto motivato, tutte le volte in cui deve procedere al compimento di accertamenti tecnici irripetibili. lOMoARcPSD|1202071 51 26. La restituzione nel termine e la soppressione del processo in contumacia. La restituzione nel termine è un rimedio eccezionale rispetto a situazioni in cui un impedimento ha determinato l’estinzione di un potere, essendo decorso il termine perentorio stabilito per il suo esercizio. Titolari del diritto di ottenere la restituzione nel termine non sono solo le parti, ma anche i difensori. L’istituto non può essere invocato ai fini della presentazione della querela: l’aspirante querelante non è parte e la querela non è tra gli atti del procedimento, essendo anteriore al suo inizio. In linea di principio è, invece, ammissibile la richiesta del querelante in vista dell’impugnazione del capo di sentenza relativo alla condanna alle spese e ai danni. Il PM, le parti private e i difensori, per richiedere la restituzione devono dimostrare che non hanno potuto osservare un termine stabilito a pena di decadenza per caso fortuito o forza maggiore, dove per forza maggiore si intende un impedimento che renda vano ogni sforzo dell’uomo e che dipenda da cause a lui non imputabili. La richiesta deve essere presentata entro 10 gg., che decorrono da quello nel quale è cessato il fatto costituente caso fortuito o forza maggiore (art. 175 comma 1°). Nei casi in cui sia pronunciato decreto penale di condanna, l’imputato condannato è restituito, su sua richiesta, nel termine per proporre opposizione. Tale diritto viene meno quando l’imputato ha avuto effettiva conoscenza del procedimento e ha volontariamente rinunciato a comparire (art. 175 comma 2°, modificato dalla l. n. 67/2014). Nella ipotesi in discorso, la richiesta di restituzione deve essere presentata, a pena di decadenza, entro 30 gg. dal momento in cui l’imputato ha acquisito effettiva conoscenza del provvedimento. Se l’imputato deve essere estradato dall’estero, il termine per la presentazione della richiesta decorre dal giorno in cui l’imputato condannato è stato consegnato all’autorità giudiziaria italiana. Tornando alla disciplina ordinaria, la restituzione non può essere concessa più di una volta per ciascuna parte in ciascun grado del procedimento. Competente a pronunciarsi sulla richiesta di restituzione, per la fase anteriore all’esercizio dell’azione penale è il GIP. Esercitata l’azione, decide il giudice procedente ovvero, se è stata pronunciata sentenza di condanna, il giudice che sarebbe competente sull’impugnazione o sull’opposizione a decreto penale. L’ordinanza che concede la restituzione nel termine è inoppugnabile, salvo quella per proporre impugnazione od opposizione: in tal caso l’impugnazione dell’ordinanza è differita, perché congiunta a quella della sentenza che decide sull’impugnazione o sull’opposizione; se la richiesta è respinta, è proponibile ricorso per cassazione. Accolta la richiesta, il termine ricomincia a decorrere nella sua misura originaria; se si trattava del termine per proporre impugnazione, il giudice ordina, ove occorre, la scarcerazione dell’imputato. Gli atti, su richiesta di parte, sono rinnovati dal giudice che ha concesso la restituzione, sempreché ciò sia possibile e sempreché si tratti di atti ai quali la parte avesse diritto di assistere. Se però la restituzione è concessa dalla cassazione, questa può disporre la rinnovazione dell’atto, che però verrà eseguita dal giudice di merito. 27. L'invalidità degli atti. Nel processo penale gli atti sono, nella maggior parte dei casi, a forma vincolata (rispetto al processo civile dove vige, entro certi limiti, il principio della libertà delle forme, ex art. 121 c.p.c.); in questo caso, perfezione dell’atto (cioè conformità allo schema tipico) e sua efficacia (ossia attitudine a produrre effetti giuridici) si implicano reciprocamente. La mancanza anche di un solo elemento della fattispecie non dovrebbe consentire, in linea di principio, la produzione dei relativi effetti; tuttavia l’atto, anche quando le difformità sono rilevanti, quasi mai può dirsi del tutto inefficace. Infatti, ragioni di economia inducono il legislatore ad avvalersi del principio di conservazione degli atti imperfetti, per cui l’atto diviene idoneo a produrre effetti, anche se precari, in attesa di uno dei seguenti sbocchi: a. la sanatoria del vizio, che dà vita ad un’altra fattispecie equivalente, dal punto di vista degli effetti, a quella viziata, ma integrata da uno o più fatti ulteriori, ai quali si dà il nome di cause di sanatoria, perché, verificandosi consolidano ex tunc gli effetti dell’atto; b. la declaratoria d’invalidità dell’atto, che viene dichiarata dal giudice, la quale provoca l’eliminazione degli effetti dell’atto, sempre di regola ex tunc. Il titolo VII disciplina solo la nullità, salvo un unico riferimento all’inammissibilità, che riguarda gli atti di parte o di chi si fa parte, come il giudice che sollevi un conflitto di competenza. Oltre ai casi in cui l’inammissibilità discende dal compimento dell’atto nonostante la scadenza del relativo termine perentorio, spesso il vizio riguarda la forma della domanda o l’omissione di taluni contenuti della stessa. Essa, oggetto di autonomo motivo di ricorso per cassazione, è dichiarabile d’ufficio, in ogni stato e grado del procedimento, senza altra causa di sanatoria se non quella del giudicato, a meno che non siano espressamente previsti limiti temporali alla sua rilevazione. Ad es., in ordine alla costituzione di parte civile, le relative cause di inammissibilità non possono essere rilevate dopo la dichiarazione di apertura del dibattimento (art. 81 comma 1°); così, ancora, nel giudizio di rinvio non possono rilevarsi quelle verificatesi “nei precedenti giudizi o nel corso delle indagini preliminari” (art. 627 comma 4°). lOMoARcPSD|1202071 52 L’inutilizzabilità è, invece, talora richiamata con riferimento alla sanzione che consegue all’impiego dibattimentale di un atto delle indagini preliminari in sede probatoria, talvolta con riferimento ai casi di difformità rispetto ai criteri di ammissione oppure di assunzione della prova. Essa può essere rilevata in ogni stato e grado del giudizio, anche d’ufficio. 28. Il principio di tassatività delle nullità e la tecnica di previsione. Le disposizioni in tema di nullità sono dominate dal principio di tassatività (ex art. 177: l'inosservanza delle disposizioni stabilite per gli atti del procedimento è causa di nullità soltanto nei casi previsti dalla legge), dal quale discende una serie di corollari. All’interprete non solo non è consentito ricorrere all’integrazione analogica, ma neppure, una volta accertata la causa di nullità, valutare l’esistenza di un conseguente pregiudizio effettivo. Un atto, anche se inficiato da violenza o minaccia è comunque processualmente valido; al massimo, gli interrogatori dell’imputato e le prove affette da vizi della volontà rientrano nell’ambito dell’inutilizzabilità. Tra le nullità non sono inquadrabili gli errores in iudicando, vale a dire quei vizi sostanziali dei provvedimenti del giudice, elevati dall'art. 606 comma 1° lett. b ad autonomo motivo di ricorso per cassazione. L’inesistenza giuridica comprende quei vizi tanto macroscopici da indurre il legislatore a non ipotizzarne neppure l’eventualità (es. sentenza emessa a non iudice) e all’interprete a negarne la collocazione tra gli atti giuridici. Essa genera un vizio non solo rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, ma anche oltre, in quanto la gravità del vizio è tale da impedire la formazione del giudicato. Nel caso dell’abnormità dei provvedimenti del giudice, l’atto è idoneo ad integrare lo schema normativo minimo, ma si caratterizza per il suo contenuto del tutto estemporaneo, sia sul piano strutturale che su quello funzionale (es. trasmissione degli atti al PM motivata dall'esigenza di rinnovare il decreto di citazione a giudizio, il che spetta, invece, allo stesso giudice del tribunale in composizione monocratica ex art. 143 disp. att.). È soggetta agli ordinari termini di impugnazione e perde rilevanza a seguito della formazione del giudicato. Nullità di ordine generale (o generali): ex art. 178, è sempre prescritta a pena di nullità l'osservanza delle disposizioni concernenti: • le condizioni di capacità del giudice e il numero dei giudici necessario per costituire i collegi stabilito dalle leggi di ordinamento giudiziario; • l'iniziativa del PM nell'esercizio dell'azione penale e la sua partecipazione al procedimento; • l'intervento, l'assistenza e la rappresentanza dell'imputato e delle altre parti private nonché la citazione in giudizio della persona offesa dal reato e del querelante. Infine vi sono le nullità speciali, stabilite da un’apposita previsione legislativa: - assolute, se previste da singole disposizioni (es. art. 525 comma 2°); - a regime intermedio, se tali da poter essere comunque ricondotte a uno dei casi di nullità generale (art. 178): es. erronea notificazione all’imputato della citazione a comparire (art. 171). È nullità a regime intermedio anche l’omessa citazione a giudizio della persona offesa o del querelante (art. 178 lett. c, seconda parte): una nullità speciale incastonata in una previsione di nullità generale; grazie a questa collocazione essa cade sotto la disciplina dell’art. 180 (nullità intermedia); - relative, se non rientrano in alcuna delle 2 categorie precedenti: sono tali molte nullità in tema di prove come ad es. mancato avviso al prossimo congiunto della facoltà di astenersi dal testimoniare (art. 199). In sintesi, quando si parla, nel linguaggio corrente, di nullità generali e di nullità speciali, si allude essenzialmente alla differente tecnica di previsione (cioè di comminatoria) adottata dal legislatore. Quando, invece, si parla di nullità assolute, di nullità intermedie e di nullità relative, si allude al regime di trattamento previsto dalla legge per le diverse specie di nullità. 29. Le nullità assolute (ex art. 179). Le nullità assolute si caratterizzano per la nota dell’insanabilità fino all’irrevocabilità del giudicato. Inoltre, sono suscettibili di essere rilevate d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento (art. 179). Per quanto riguarda il giudice, è causa di nullità assoluta l’inosservanza delle disposizioni riguardanti le condizioni di capacità del giudice ed il numero dei giudici del collegio giudicante. Per quanto riguarda il PM, sono assolute le nullità concernenti l’iniziativa del medesimo nell’esercizio dell’azione penale. A tale ipotesi devono poi aggiungersi quelle dell’imputazione coatta e della contestazione in udienza del reato connesso o del fatto nuovo. Pertanto, si ha una nullità assoluta quando il giudice decide sul fatto nuovo emerso nell’udienza preliminare o nel corso dell’istruzione dibattimentale senza che lo stesso sia stato formalmente contestato dal PM, oppure quando il fatto descritto nell’imputazione viene sostituito con un altro fatto. lOMoARcPSD|1202071 55 CAPITOLO 3 III. PROVE (V.G.) 1. Premessa. Le scelte sistematiche nella disciplina delle prove. La tematica delle prove (libro III) comprende sia la disciplina dei “mezzi di prova” che quella dei “mezzi di ricerca della prova”. Il nuovo codice non si è limitato a descrivere i profili procedurali dell’acquisizione probatoria, ma si è preoccupato anche di sottolineare la funzionalità delle relative regole rispetto al convincimento del giudice. A preambolo del libro sulle prove vi sono alcune disposizioni generali che contengono una specie di catalogo dei principi guida da osservarsi in materia probatoria, come tali logicamente prioritari rispetto alla regolamentazione dei singoli mezzi (di prova o di ricerca della prova). 2. Segue: il problema della sfera di incidenza della normativa contenuta nel libro sulle prove. Le disposizioni del libro sulle prove devono sicuramente applicarsi alla fase del dibattimento e a quella di svolgimento dell’incidente probatorio, mentre è problematica la sua incidenza anche nelle fasi preliminari. Le norme del libro sulle prove sicuramente si applicano nelle fasi anteriori al dibattimento con riferimento ai diversi momenti in cui è previsto l’intervento del giudice, ora in funzione di organo di garanzia, ora in funzione di organo di decisione: a. incominciando col far riferimento all’attività del giudice in sede di udienza preliminare, si dovranno osservare le disposizioni generali in tema di ammissione delle prove; b. la conclusione non è diversa anche con riguardo alle ipotesi in cui il giudice è chiamato ad intervenire nel corso delle indagini preliminari, nell’adempimento del suo compito di garanzia dei diritti e delle libertà fondamentali (es. essendogli richiesta l’adozione di un provvedimento in tema di coercizione personale). Assai più delicato è il discorso per quanto concerne l'operatività delle disposizioni sulle prove contenute nel libro III rispetto alle indagini preliminari svolte dal PM: sia a causa della loro ordinaria inidoneità a conseguire risultati utilizzabili come prova in sede dibattimentale, sia a causa della stessa scelta legislativa di adottare per molti di tali atti di indagine una terminologia diversa rispetto ai corrispondenti atti compiuti di fronte al giudice, proprio allo scopo di sottolinearne la differente rilevanza probatoria. Infatti, vi sono determinati atti del PM (e della PG) che per loro natura sono destinati ad essere inseriti nel fascicolo per il dibattimento, e quindi ad essere acquisiti con valore di prova in tale sede (artt. 431, 511 e 511-bis), ed altri atti che il medesimo valore possono assumere per effetto del verificarsi di determinate circostanze, o in conseguenza del loro impiego per le contestazioni dibattimentali o in forza di accordo intervenuto tra le parti (artt. 431 comma 2°, 493 comma 3° e 500 comma 7°). L’art. 431: “fascicolo per il dibattimento” sancisce che: “1. Immediatamente dopo l'emissione del decreto che dispone il giudizio, il giudice provvede nel contraddittorio delle parti alla formazione del fascicolo per il dibattimento. Se una delle parti ne fa richiesta il giudice fissa una nuova udienza, non oltre il termine di 15 gg., per la formazione del fascicolo. Nel fascicolo per il dibattimento sono raccolti: a) gli atti relativi alla procedibilità dell'azione penale e all'esercizio dell'azione civile; b) i verbali degli atti non ripetibili compiuti dalla polizia giudiziaria; c) i verbali degli atti non ripetibili compiuti dal pubblico ministero e dal difensore; d) i documenti acquisiti all'estero mediante rogatoria internazionale e i verbali degli atti non ripetibili assunti con le stesse modalità; e) i verbali degli atti assunti nell'incidente probatorio; f) i verbali degli atti, diversi da quelli previsti dalla lettera d), assunti all'estero a seguito di rogatoria internazionale ai quali i difensori sono stati posti in grado di assistere e di esercitare le facoltà loro consentite dalla legge italiana; g) il certificato generale del casellario giudiziario e gli altri documenti indicati nell'articolo 236; h) il corpo del reato e le cose pertinenti al reato, qualora non debbano essere custoditi altrove (2). 2. Le parti possono concordare l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, nonché della documentazione relativa all'attività di investigazione difensiva”. Ma anche, e su un piano più generale, perché - stando al sistema accolto dal codice nella disciplina dei procedimenti speciali “senza dibattimento” - dipende in definitiva dal consenso delle parti che tutti gli atti di indagine preliminare compiuti dal PM (e, se del caso, dalla PG) possano venire utilizzati come prove alla base di una sentenza di merito idonea a definire il procedimento prima del passaggio al dibattimento: come capita, infatti, sia nell'ipotesi del giudizio abbreviato, sia nell'ipotesi della applicazione della pena su richiesta delle parti, posto che in entrambi i casi il giudice può pronunciare la propria sentenza sulla scorta degli atti disponibili al termine delle indagini preliminari (artt. 438 e 447), solo eventualmente integrati dagli atti compiuti in sede di udienza preliminare (artt. 442 e 448, in relazione agli artt. 421, 421-bis e 422). lOMoARcPSD|1202071 56 E lo stesso accade, in sostanza, anche nell'ipotesi del decreto di condanna - emesso dal giudice sulla base del fascicolo trasmessogli dal PM (art. 459) - tutte le volte in cui l'imputato non abbia presentato opposizione. In altri termini, se è vero che le indagini preliminari del PM (nonché quelle della PG) sono suscettibili, nelle ipotesi appena ricordate, di assurgere al livello di prova, contribuendo così in positivo alla formazione del convincimento del giudice, non è seriamente pensabile che le medesime possano svolgersi al di fuori di qualunque riferimento alla disciplina dettata nel codice in materia di attività probatorie. Per quel che riguarda la disciplina dei mezzi di ricerca delle prove, non vi è dubbio che essa debba venire osservata dal PM; infatti, se le stesse non dovessero trovare applicazione nella fase preliminare al dibattimento, si lascerebbero all’arbitrio degli organi inquirenti i “casi” ed i “modi” di svolgimento delle corrispondenti attività. Lo stesso non può dirsi per la disciplina dei mezzi di prova dettata con riferimento al giudice, trattandosi di atti normalmente affidati alla sua gestione, in quanto destinati a sfociare in prove “formate” nel processo. Per sottolineare tali aspetti, nel codice, la regolamentazione delle omologhe attività da parte del PM, all’interno delle indagini preliminari, presenta una sua specifica autonomia, tant’è vero che gli atti del PM corrispondenti a tali mezzi di prova sono stati definiti e regolati usando anche una differente nomenclatura (così, in particolare, negli artt. 359 e 360 si parla di “operazioni” e di “accertamenti tecnici” anziché di “perizie”; nell'art. 361 di “individuazione di persone e di cose” anziché di “ricognizioni”; nell'art. 362 di “assunzione di informazioni” anziché di “testimonianze”; nell'art. 363 di “interrogatorio di persona imputata in un procedimento connesso” anziché di “esame”). Sembra doversi concludere quindi che le norme relative ai diversi mezzi di prova non devono in linea di massima applicarsi nel corso delle indagini preliminari del PM, salvo che in alcune ipotesi da enuclearsi caso per caso. 3. L'oggetto della prova (ex art. 187). Oggetto della prova sono, da un lato, i fatti che si riferiscono all’imputazione, dall’altro quelli concernenti la punibilità dell’imputato, nonché la determinazione della pena o della misura di sicurezza. Quando poi vi è costituzione di parte civile, il tema probatorio si allarga fino ad includere le questioni derivanti dall’esercizio dell’azione civile in sede penale; saranno oggetto di prova, in tal caso, anche i fatti inerenti alla responsabilità civile da reato. L’oggetto della prova è infine esteso ai fatti dai quali dipende l’applicazione di norme processuali. Occorre distinguere tra: a. prove dirette, aventi per oggetto il fatto da provare; b. prove indirette o prove indiziarie, che non hanno direttamente ad oggetto il fatto da provare, ma un altro fatto, dal quale il giudice potrà risalire al primo solo attraverso un’operazione mentale di tipo induttivo, fondata sulla logica o su massime di esperienza. Alla distinzione tra prove dirette e prove indirette a volte si fa corrispondere quella tra: a. prove storiche, se il fatto da provare viene descritto o riprodotto immediatamente davanti al giudice; b. prove critiche, se è necessario l’intervento di inferenza del giudice, sulla base di un itinerario logico-critico. 4. Prove atipiche e garanzie per la libertà morale della persona. Quando si ha a che fare con una prova atipica (o innominata), cioè non riconducibile a nessuna delle figure probatorie legislativamente predeterminate, spetta al giudice decidere, di volta in volta, se la medesima può entrare in sede processuale, in base ad una verifica subordinata a 2 distinte valutazioni: a. da un lato, deve essere idonea ad assicurare l’accertamento dei fatti; b. dall’altro, non deve pregiudicare la libertà morale della persona, in quanto non possono essere utilizzati, neppure col consenso dell’interessato, tecniche o metodi probatori idonei ad influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti. Qualora tale tipo di prova venga ammessa, sarà ancora compito del giudice definire le modalità della sua assunzione, dopo aver sentito le parti. Le videoregistrazioni in luoghi pubblici ovvero aperti o esposti al pubblico, non effettuate nell'ambito del procedimento penale, eseguite dalla PG, anche d'iniziativa, vanno incluse nella categoria delle prove atipiche, soggette alla disciplina dettata dall'art. 189 (sentenza 22 novembre 2013 n. 46758, Corte di cassazione penale). lOMoARcPSD|1202071 57 5. Diritto alla prova e criteri di ammissione. L’art. 190 afferma il principio per cui le prove sono ammesse a richiesta di parte, imponendo al giudice di provvedere senza ritardo con ordinanza alla delibazione di ammissibilità. Si evince quindi che il diritto alla prova riconosciuto alle parti si articola su 2 livelli: 1. in primo luogo, come diritto a richiedere l’ammissione di talune prove, salve le ipotesi in cui è consentito al giudice un intervento d’ufficio (es. art. 70 comma 1°: “quando non deve essere pronunciata sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere e vi è ragione di ritenere che, per infermità mentale sopravvenuta al fatto, l'imputato non è in grado di partecipare coscientemente al processo, il giudice, se occorre, dispone anche di ufficio, perizia”); 2. in secondo luogo, una volta adempiuto tale onere, come diritto ad ottenere la prova richiesta o, comunque, ad ottenere una tempestiva pronuncia - distinta dalla sentenza finale - sulla richiesta formulata. Tra le specificazioni del diritto alla prova, occorre ricordare il diritto dell’imputato ad ottenere l’ammissione delle prove a discarico sui fatti costituenti oggetto delle prove a carico, nonché quello del PM di ottenere l’ammissione delle prove a carico sui fatti costituenti oggetto delle prove a discarico (c.d. diritto di controprova). Per quanto poi riguarda i criteri della pronuncia sull’ammissibilità della prova, il giudice è vincolato a 2 parametri: a. da un lato, il giudice deve escludere le prove vietate dalla legge, cioè quelle per le quali esiste un espresso divieto in ordine all’oggetto o al soggetto della prova, ovvero in ordine alla procedura di acquisizione probatoria (c.d. rilevanza o pertinenza); b. dall’altro lato, lo stesso giudice, dopo aver riscontrato l’insussistenza di divieti legislativi, deve escludere le prove che risultano superflue o irrilevanti (c.d. utilità o attitudine a contribuire in termini positivi all’arricchimento della piattaforma su cui dovrà formarsi il convincimento del giudice). Carattere derogatorio ha la norma dell’art. 190-bis, che opera nei soli procedimenti per i delitti di criminalità organizzata: essa dispone che, nel corso di tali procedimenti, quando è richiesto l’esame di un testimone o di un imputato in un procedimento connesso, che abbiano già reso dichiarazioni in sede di incidente probatorio o in dibattimento, purché nel contraddittorio con la persona nei cui confronti le dichiarazioni dovranno essere utilizzate, l’esame di tali soggetti è ammesso solo se riguarda fatti o circostanze diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni, ovvero quando il giudice o una delle parti lo ritengono necessario sulla base di specifiche esigenze. Tale disciplina è estesa all’esame di un testimone minore di 16 anni nei processi per i delitti di pornografia e di prostituzione minorile. Tale disciplina derogatoria, da un lato assicura l’osservanza della garanzia del contraddittorio, dall’altro subordina il potere del giudice di ammettere o meno la rinnovazione dell’esame di tali soggetti ad una valutazione di necessità. I principi espressi nell’art. 190, ovviamente, sono applicabili nell’intero arco del procedimento, e quindi anche nelle fasi anteriori al dibattimento, beninteso entro i limiti di compatibilità con tali fasi della tematica che vi è disciplinata. Non sembra dubbio, anzitutto, che i princìpi in questione debbano applicarsi in sede di incidente probatorio, dove è innegabile che possa parlarsi di un diritto alla prova in capo ai soggetti legittimati (artt. 392 e 393) e del correlativo potere-dovere del giudice di pronunciarsi sull'ammissibilità delle corrispondenti richieste (artt. 396, 398 e 402). Ma, allo stesso modo, non sembra dubbio che i medesimi princìpi debbano trovare applicazione pure in sede di udienza preliminare - nei limiti della attività di “integrazione probatoria” prevista dal nuovo art. 422 - ovviamente tenendo conto delle modalità di “assunzione delle prove” che vi sono stabilite (sotto la conduzione del giudice, ed anche a seguito di iniziativa ex officio da parte del medesimo, a norma dell'art. 422 commi 1° e 3°). Resta fermo, in ogni caso, che la fase dibattimentale è quella in cui con maggiore ampiezza ed intensità sono destinati a trovare applicazione i principi generali riguardanti il diritto alla prova - quali risultano consacrati, in termini espliciti, nel nuovo art. 111 Cost. - a cominciare dalla già ricordata disciplina del diritto di “controprova” (artt. 468 comma 4° e 495 comma 2°). 6. Prove illegittimamente acquisite e sanzione di inutilizzabilità. Le prove illegittimamente acquisite, cioè ammesse o assunte in violazione dei divieti di legge, non sono utilizzabili. Tale inutilizzabilità è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento. Per quanto riguarda la sfera di operatività della sanzione dell’inutilizzabilità, essa va individuata in ogni ipotesi di inosservanza di un divieto sancito dalla legge processuale in materia di ammissione ovvero di acquisizione probatoria, comprese le ipotesi in cui il divieto può emergere solo ex post rispetto al momento acquisitivo, cioè nel momento della valutazione della prova (es. di prova illecita: testimonianza sotto ipnosi). lOMoARcPSD|1202071 60 Nel caso in cui, a seguito della conferma della sussistenza del segreto di Stato, l’autorità giudiziaria sollevi un conflitto di attribuzione di fronte alla Corte costituzionale (alla quale il segreto di Stato non è opponibile): a. se il conflitto viene risolto nel senso dell’insussistenza del segreto, il presidente del Consiglio non può più opporlo con riferimento al medesimo oggetto, sicché il procedimento potrà proseguire; b. se, invece, il conflitto viene risolto nel senso della sussistenza del segreto, l’autorità giudiziaria non può né acquisire, né utilizzare gli atti o i documenti rispetto ai quali è stato opposto il segreto. L’art. 204 vieta che possano opporsi il segreto d’ufficio o quello di Stato su fatti, notizie e documenti riguardanti reati diretti all’eversione dell’ordinamento costituzionale, nonché i delitti di strage e associazione mafiosa, riservando in caso di opposizione al giudice il compito di definire la natura del reato. Del provvedimento di rigetto dell’eventuale eccezione deve essere data comunicazione al presidente del Consiglio affinché possa prendere le opportune iniziative (ad es. sul terreno del conflitto di attribuzioni). Con riguardo al caso di testimonianza falsa o reticente: qualora nel corso dell’esame un testimone rende dichiarazioni contraddittorie, incomplete o contrastanti con le prove già acquisite, il giudice glielo fa notare avvertendolo, se del caso, dell’obbligo di dire la verità. Con la decisione che definisce la fase processuale in cui il testimone ha prestato il suo ufficio, il giudice, se ravvisa indizi del reato di falsa testimonianza, ne informa il PM trasmettendogli i relativi atti. 9. L'esame delle parti. L’esame delle parti è un mezzo di prova esperibile solo su richiesta di parte, compreso il PM. Una volta manifestata la propria volontà favorevole all’esame, se la parte che vi è sottoposta si rifiuta di rispondere, ne deve essere fatta menzione nel verbale. La parte esaminata, al pari del testimone, gode poi della facoltà di non rispondere tutte le volte in cui dalla risposta potrebbe emergere una sua responsabilità penale. Un’apposita regolamentazione è prevista dall’art. 210 per l’esame delle persone imputate in un procedimento connesso, nei confronti delle quali si proceda, o si sia proceduto, separatamente, e che comunque non possano assumere l’ufficio di testimone. Esse di regola sono esaminate su richiesta di parte, ma possono esserlo anche d’ufficio qualora si sia fatto riferimento ai medesimi in una testimonianza, o in un esame, di natura indiretta. In questo caso, si applicano le disposizioni previste per la testimonianza indiretta. Quanto alle forme di svolgimento dell’esame, il modello base è quello dell’esame dei testimoni. Per il resto, la disciplina dell’esame dei soggetti in questione è costruita sulla base di un assetto intermedio tra quello del testimone e quello dell’imputato: - da un lato sotto il profilo del richiamo delle norme concernenti la citazione (ai sensi dell'art. 142 disp. att.), l'obbligo di presentazione e l'eventuale accompagnamento coattivo dei testimoni (art. 210 comma 2°); - dall'altro sotto il profilo della necessaria assistenza difensiva, se del caso anche attraverso la nomina di un difensore d'ufficio, ove manchi quello di fiducia, salvo comunque il diritto del difensore di partecipare all'esame (art. 210 comma 3°); - nonché, ancora, sotto il profilo dell'esplicito riconoscimento a tali soggetti del diritto al silenzio, del resto coessenziale alla loro qualità di imputati in un procedimento connesso, evidentemente allo scopo di tutelarli rispetto al rischio di dichiarazioni contra se, che potrebbero essere utilizzate a loro carico nel procedimento di provenienza. Lo speciale meccanismo di acquisizione della prova dichiarativa dell’art. 210 è oggi riservato soprattutto alle persone imputate in un procedimento connesso che non possono assumere l’ufficio di testimone, mentre, per quanto riguarda le persone imputate in un procedimento connesso o di un reato collegato, occorre distinguere sulla base della loro precedente condotta processuale. Più precisamente, la disciplina in questione deve applicarsi anche ai soggetti in questione che in precedenza non hanno reso dichiarazioni riguardanti la responsabilità dell’imputato. 10. Confronti, ricognizioni ed esperimenti giudiziali. I confronti sono ammessi esclusivamente fra persone già esaminate o interrogate, qualora vi siano dichiarazioni in contrasto su fatti e circostanze importanti. Per quanto riguarda le modalità dell’atto, viene evidenziata la funzione del giudice, cui spetta il compito di richiamare alle persone in questione le precedenti dichiarazioni e di invitarli alle reciproche contestazioni, quando le medesime siano state confermate. La disciplina delle ricognizioni si caratterizza per l’accuratezza e l’analitica descrizione delle modalità di svolgimento dell’atto. Costituisce causa di nullità anche solamente la mancata menzione, nel verbale, dell’osservanza delle forme prescritte per scandire la relativa procedura. Va poi evidenziata l’attribuzione al giudice del potere di adottare, anche in sede dibattimentale, le necessarie cautele per impedire che la persona chiamata ad effettuare la ricognizione possa subire intimidazioni da parte di quella sottoposta all’atto, disponendo che l’atto stesso “sia compiuto senza che quest’ultima possa vedere la prima” (art. 214 comma 2°). lOMoARcPSD|1202071 61 Sia nel caso dei confronti, sia nel caso delle ricognizioni, la persona chiamata a compiere l’atto può rilasciare dichiarazioni, le quali, per il loro contenuto, sono assimilabili a quelle rese dall’imputato in sede di interrogatorio ovvero di esame. Di conseguenza, quando si tratta dell’imputato (o, nella fase preliminare, della persona sottoposta alle indagini), gli è riconosciuto il diritto di rifiutarsi al compimento dell’atto, nonché la facoltà di non rispondere alle domande che gli vengono rivolte. Gli esperimenti giudiziali sono invece finalizzati ad accertare se un fatto è avvenuto o può essere avvenuto in un determinato modo, attraverso la riproduzione della situazione e la ripetizione delle modalità relative al suo presumibile svolgimento. Sono dettagliatamente previsti i contenuti sia dell’ordinanza che abbia disposto l’esperimento (tra i quali l’eventuale nomina di un esperto in vista dell’esecuzione di determinate operazioni) sia dei poteri del giudice diretti ad assicurare un efficace e corretto svolgimento dell’atto. In particolare, il giudice deve provvedere affinché l’esperimento possa svolgersi senza offendere sentimenti di coscienza, e senza esporre a pericolo l’incolumità delle persone o la sicurezza pubblica. 11. La perizia. La perizia è disposta quando occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni, le quali richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche (art. 220). Un’ipotesi particolare di perizia è quella per cui l’imputato per un reato di pedofilia o contro la libertà sessuale deve essere sottoposto ad accertamenti per l’individuazione di patologie sessualmente trasmissibili, e ciò ogniqualvolta le modalità del fatto possono prospettare un rischio di trasmissione. Quando il giudice accerta la sussistenza di una delle necessità indicate nell’art. 220, egli è obbligato ad ammettere e disporre la perizia anche d’ufficio e prevedere il contenuto della relativa ordinanza, che, accanto alla nomina del perito, dovrà anche recare la sommaria enunciazione dell’oggetto dell’indagine. Non sono ammesse le perizie concernenti il carattere e la personalità dell’imputato, le forme di pericolosità sociale e le sue qualità psichiche indipendenti da cause patologiche: non è consentita, cioè, la perizia psicologica e criminologica, al di fuori della fase esecutiva. Può essere nominato perito solo il soggetto iscritto in appositi albi professionali, anche se non è escluso il ricorso ad altri esperti di particolare competenza; inoltre, il giudice può disporre una perizia collegiale quando le indagini e le valutazioni risultano di particolare complessità, ovvero quando le medesime richiedono distinte conoscenze in diverse discipline. Ai sensi dell’art. 224-bis (“Provvedimenti del giudice per le perizie che richiedono il compimento di atti idonei ad incidere sulla libertà personale”), quando si procede per delitto non colposo, consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni, per i delitti di cui agli artt. 589-bis (“Chiunque cagioni per colpa la morte di una persona con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale è punito con la reclusione da due a sette anni…”) e 590-bis (“Chiunque cagioni per colpa ad altri una lesione personale con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale è punito con la reclusione da tre mesi a un anno per le lesioni gravi e da uno a tre anni per le lesioni gravissime…”) del codice penale e negli altri casi espressamente previsti dalla legge, se per l’esecuzione della perizia è necessario compiere atti idonei ad incidere sulla libertà personale, quali il prelievo di capelli, di peli o di mucosa del cavo orale su persone viventi ai fini della determinazione del profilo del DNA o accertamenti medici, e non vi è il consenso della persona da sottoporre all’esame del perito, il giudice, anche d’ufficio, ne dispone con ordinanza motivata l’esecuzione coattiva, se essa risulta assolutamente indispensabile per la prova deli fatti (l. 23 marzo 2016, n. 41). Sono inoltre vietati i prelievi coattivi di sangue, ovvero di altri tessuti o materiali organici, anche quando necessari per lo svolgimento di una perizia. Tale divieto è però superato dall’attribuzione agli organi di PG del potere di procedere anche coattivamente al prelievo di capelli o di saliva ai fini dell’individuazione dell’indagato (ad es. in vista del test del DNA). Una volta conferito l’incarico, con la formulazione dei relativi quesiti, per espletare il suo compito il perito può essere autorizzato ad assistere all’esame delle parti e all’assunzione di altre prove, nonché prendere visione degli atti e delle cose prodotti dalle parti nei limiti in cui i medesimi siano acquisibili al fascicolo dibattimentale. Inoltre, è consentito al perito di raccogliere notizie dall’imputato, dall’offeso o anche da altre persone. Per quanto attiene alla relazione finale della perizia, una novità è rappresentata dalla previsione secondo la quale il perito deve rispondere immediatamente ai quesiti propostigli in forma orale, mediante parere raccolto nel verbale, salvo quando il giudice autorizzi la presentazione di una relazione scritta, quando la stessa risulta indispensabile ad illustrare tale parere. Qualora il perito non sia in grado di fornire una risposta immediata, e sempreché il giudice non ritenga di sostituirlo, è prevista la concessione di un termine, non superiore a 90 gg. (ma prorogabile fino a 6 mesi nei casi di accertamenti di particolare complessità) entro il quale dovrà essere fornito il prescritto parere. lOMoARcPSD|1202071 62 Sia il PM che le parti private possono poi nominare, in numero non superiore a quello dei periti, dei consulenti tecnici, che sono autorizzati a partecipare a tutte le operazioni peritali, non solo formulando osservazioni e riserve, ma anche proponendo al perito lo svolgimento di specifiche indagini. Essi possono sempre prendere visione delle relazioni ed essere autorizzati ad esaminare le persone, le cose o i luoghi oggetto della perizia, purché non ne derivi ritardo all’esecuzione della perizia. I consulenti possono essere nominati anche qualora non sia stata disposta perizia, nel qual caso essi possono esporre al giudice il proprio parere su singole questioni: 1. qualora successivamente alla nomina del consulente il giudice decidesse di disporre la perizia, al consulente sono riconosciuti i diritti e le facoltà ordinariamente previsti; 2. qualora, invece, la perizia non venisse disposta, il consulente tecnico può svolgere di sua iniziativa le indagini e gli accertamenti in base alla disponibilità delle persone, delle cose o dei luoghi oggetto della consulenza. 12. La prova documentale. Per prova documentale si intende ogni cosa idonea a rappresentare fatti, persone o cose attraverso la fotografia, la cinematografia, la fonografia e qualsiasi altro mezzo. Mentre è esclusa la possibilità di acquisire documenti concernenti le voci correnti nel pubblico intorno ai fatti, ovvero la moralità delle parti e dei testimoni, è invece ammessa l’acquisizione dei documenti necessari al giudizio sulla personalità dell’imputato e della persona offesa dal reato, compresi quelli esistenti presso gli uffici pubblici di servizio sociale e gli uffici di sorveglianza. I documenti costituenti corpo del reato devono essere acquisiti qualunque sia la persona che li ha formati o li detiene, mentre i documenti provenienti dall’imputato possono sempre essere acquisiti anche d’ufficio, anche se si tratta di documenti sequestrati presso altri o da altri prodotti. La provenienza dei documenti deve essere verificata sottoponendoli per il riconoscimento alle parti private e ai testimoni, mentre i documenti contenenti dichiarazioni anonime non possono essere acquisiti ne utilizzati, a meno che non si tratti di corpo del reato o provenienti dall’imputato. I documenti concernenti dati e contenuti di conversazioni o comunicazioni, relativi al traffico telefonico e telematico, illegalmente formati o acquisiti, nonché i documenti formati attraverso la raccolta illegale di informazioni, devono essere secretati e custoditi in un luogo protetto dal PM, e il loro contenuto non può essere utilizzato se non come notizia di reato. Inoltre, il PM deve chiedere al GIP, in termini molto brevi, la distruzione di tale materiale. Per quanto riguarda l’ipotesi di falsità dei documenti, a parte il caso in cui la stessa venga accertata e dichiarata con la sentenza di condanna o di proscioglimento, il giudice, qualora ritenga falso uno dei documenti acquisiti, dopo la definizione del procedimento deve informare il PM, trasmettendogli copia del documento. L’acquisizione dei verbali di prove di altri procedimenti penali (art. 238) è ammessa solo quando si tratta di prove assunte nell’incidente probatorio o nel dibattimento; ove si tratti di verbali recanti dichiarazioni, essi sono utilizzabili soltanto contro gli imputati i cui difensori abbiano partecipato alla loro assunzione, ovvero nei cui confronti fa stato la sentenza civile. Inoltre, è sempre ammessa l’acquisizione della documentazione di atti compiuti nel corso di altri procedimenti penali, i quali, anche per cause sopravvenute, non sono ripetibili. Al di fuori di tali ipotesi, invece, l’acquisizione e l’utilizzazione dibattimentale dei verbali di altri procedimenti contenenti dichiarazioni (ad es. le dichiarazioni rese da testimoni, o da imputati in separati procedimenti connessi, nell'ambito delle indagini preliminari o dell'udienza preliminare) è ammessa soltanto nei confronti dell’imputato che vi consenta. In assenza del consenso, i predetti verbali potranno essere utilizzati solo ai fini delle contestazioni in sede di esame dibattimentale. In ogni caso, qualora tali verbali siano acquisiti, le parti hanno il diritto di ottenere l’esame delle persone che hanno reso tali dichiarazioni. Va ricordato, ancora, che è sempre consentita l'acquisizione delle sentenze divenute irrevocabili, ai fini della prova dei fatti in esse accertati. Esse potranno valere come prova dei fatti accertati, soltanto se confortate da altri elementi probatori di riscontro. Per quel che riguarda, infine, le modalità di introduzione nel processo delle prove documentali, va anzitutto ricordata la regola che dopo che siano stati ammessi su richiesta di parte o ex officio, i documenti dovranno essere inseriti nel fascicolo per il dibattimento, e perciò, come tali, potranno considerarsi legittimamente acquisiti. Infine, assume particolare rilievo la disciplina riferita all’avviso di conclusione delle indagini preliminari, nonché all’udienza preliminare, in vista della quale è stabilito che, una volta depositato in cancelleria il fascicolo del PM contenente le risultanze delle indagini preliminari, anche il difensore dell’imputato può produrre documenti, che dovranno essere ammessi dal giudice prima dell’inizio della discussione. lOMoARcPSD|1202071 65 Quanto alla competenza, normalmente riconosciuta al giudice procedente (e, nel caso di provvedimento ex art. 262 comma 4°, successivo alla sentenza irrevocabile, al giudice dell’esecuzione), si prevede tuttavia che, nel corso delle indagini preliminari, sulla restituzione delle cose sequestrate debba provvedere il PM con decreto motivato. Dopo di che, contro il decreto che abbia disposto la restituzione, ovvero abbia respinto la relativa richiesta (art. 263 commi 4° e 5°), le persone interessate potranno proporre opposizione, sulla quale sarà chiamato a decidere il GIP, ai sensi dell'art. 127. 15. Le intercettazioni di conversazioni o di comunicazioni. Le intercettazioni di conversazioni e di comunicazioni possono essere disposte dal PM solo a seguito di autorizzazione da parte del GIP, il quale vi provvederà con decreto motivato quando, in presenza di gravi indizi di reato, l’intercettazione risulti assolutamente indispensabile per la prosecuzione delle indagini. Tuttavia, nei casi d’urgenza, qualora cioè vi siano valide ragioni per ritenere che il ritardo provocherebbe gravi pregiudizi alle indagini, l’iniziativa di disporre l’intercettazione può essere assunta direttamente dal PM con decreto motivato, da convalidarsi entro 48 ore ad opera del GIP mediante un proprio decreto; nel caso di mancata tempestiva convalida, l’intercettazione non potrà essere eseguita, ed i risultati eventualmente già ottenuti non potranno essere utilizzati. Le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno escluso la necessità di estendere all’acquisizione dei tabulati telefonici le garanzie dettate in tema di intercettazioni telefoniche, in quanto nel primo caso ci si limita ad acquisire la documentazione del fatto storico consistente nelle conversazioni intercorse tra determinati soggetti in determinate circostanze. I dati relativi a tale traffico devono essere conservati dal fornitore del servizio per 24 mesi per finalità di accertamento e repressione dei reati, mentre, per le medesime finalità, il termine di conservazione dei dati relativi al traffico telematico è fissato in 12 mesi, e soltanto in 30 gg. per i dati concernenti le “chiamate senza risposta”. Entro tali termini, tali dati possono essere acquisiti dal PM, con decreto motivato, anche su istanza dei difensori delle parti private. Tuttavia, anche il difensore dell’imputato, in sede di indagini difensive, può richiedere direttamente al fornitore i dati relativi alle utenze intestate al proprio assistito. Per quanto riguarda gli aspetti esecutivi delle intercettazioni, il decreto del PM deve innanzitutto stabilire le modalità (ad es. individuando le utenze telefoniche da sottoporre a controllo, secondo i criteri già indicati dal giudice nel provvedimento autorizzativo) e la durata delle corrispondenti operazioni. A quest’ultimo proposito, esse non possono durare per oltre 15 gg. (prorogabili dal giudice, con decreto motivato, per periodi successivi di 15 gg.) e devono essere eseguite personalmente dal PM o da un ufficiale di PG. Con riferimento alle indagini relative ai delitti di criminalità organizzata, di minaccia col mezzo del telefono e di natura terroristica, si è stabilito che, quando l’intercettazione risulti necessaria, essa possa venire autorizzata dal giudice anche solo in presenza di sufficienti indizi di reato. Le operazioni così autorizzate non possono di regola superare i 40 gg., prorogabili, con decreto motivato, dal giudice (o, nei casi d’urgenza, direttamente dal PM), per periodi successivi di 20 gg. Inoltre, quando poi si tratti di una intercettazione di conversazioni tra persone presenti (c.d. intercettazione ambientale), sempre nell'ambito di procedimenti per delitti di criminalità organizzata, nonché per gli altri gravi delitti richiamati poco sopra, si è ulteriormente precisato, che la relativa operazione possa venire autorizzata e disposta - anche nei luoghi di domicilio - pur quando “non vi è motivo di ritenere che nei luoghi predetti si stia svolgendo l'attività criminosa”. Tornando alla normativa ordinaria, il PM ha l’obbligo di annotare in un apposito registro riservato, secondo il loro ordine cronologico, tutti i decreti che abbiano disposto, autorizzato, convalidato ovvero prorogato le intercettazioni, nonché i tempi di inizio e di conclusione delle operazioni. Inoltre, è previsto che queste ultime devono avvenire solamente attraverso degli impianti installati nella procura della Repubblica, anche se, in caso di insufficienza o di inidoneità dei medesimi, il PM può autorizzare con decreto motivato l’uso degli impianti di pubblico servizio, ovvero di quelli in dotazione alla PG, qualora sussistano eccezionali ragioni d’urgenza. Nel caso invece di intercettazioni informatiche o telematiche, può essere autorizzato anche l’impiego di impianti appartenenti a privati. Le comunicazioni intercettate devono essere sempre registrate, e nel relativo verbale deve essere trascritto da un perito, anche sommariamente, il loro contenuto. I verbali e le registrazioni devono quindi essere immediatamente trasmesse al PM e poi depositate in segreteria entro 5 gg. dalla conclusione delle operazioni. Dopo tale deposito, i difensori delle parti devono essere avvisati della facoltà di esaminare gli atti, nonché di prendere conoscenza delle registrazioni depositate, entro il termine fissato dal PM ed eventualmente prorogato dal giudice. In tal modo, vengono poste le premesse per realizzare il contraddittorio tra il PM e i difensori e per la selezione del materiale, un procedimento quest’ultimo che dovrebbe svolgersi entro (o subito dopo) la chiusura delle indagini preliminari, e nell’ambito di un’apposita udienza camerale, per ragioni di garanzia della privacy delle persone, le cui conversazioni o comunicazioni siano state intercettate, specialmente quando siano estranee al tema delle indagini. lOMoARcPSD|1202071 66 Scaduto il termine riservato ai difensori per prendere conoscenza degli atti, il GIP dispone, su richiesta di parte, l’acquisizione delle conversazioni e delle comunicazioni indicate dalle parti stesse, che non appaiano manifestamente irrilevanti. Lo stesso giudice procede poi allo stralcio delle registrazioni e dei verbali relativi alle intercettazioni di cui è vietata l’utilizzazione. A questo punto, il giudice provvede per la trascrizione integrale delle registrazioni destinate ad essere acquisite, salva la facoltà dei difensori di estrarre copia delle trascrizioni e di trasporre le medesime registrazioni su nastro: le trascrizioni così ottenute sono inserite nel fascicolo per il dibattimento. I verbali e le registrazioni delle intercettazioni non acquisiti devono essere conservati integralmente presso il PM fino al passaggio in giudicato della sentenza. Tuttavia, quando la relativa documentazione non è necessaria per il procedimento, gli interessati possono chiederne al giudice la distruzione, il quale provvede in camera di consiglio. L’utilizzazione delle intercettazioni in procedimenti diversi è ammessa solo quando le medesime risultano indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza. Qualora l’autorità giudiziaria, attraverso le intercettazioni, acquisisca comunicazioni di servizio di appartenenti ai servizi di sicurezza, la relativa documentazione deve essere immediatamente secretata e custodita in un luogo protetto. La medesima autorità giudiziaria deve quindi trasmettere al presidente del Consiglio copia della documentazione di cui intende avvalersi, per accertarsi che la stessa non sia coperta da segreto di Stato; qualora entro 60 gg. il presidente non oppone tale segreto, l’autorità giudiziaria può acquisire la documentazione trasmessa, mentre, in caso contrario, le è inibita l’utilizzazione delle notizie coperte da segreto (sulla falsariga della disciplina in materia di testimonianza). I risultati delle intercettazioni eseguite contra legem non possono essere utilizzati. Quale fonte di inutilizzazione deve poi anche ricomprendersi il principio della necessaria autorizzazione della Camera di appartenenza per poter sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni. Il divieto di utilizzazione viene poi esteso alle intercettazioni riguardanti fatti coperti da segreto professionale. Le registrazioni ed i verbali inutilizzabili devono essere distrutti per ordine del giudice in ogni stato e grado del processo, salvo che i medesimi costituiscano corpo del reato. Un problema particolare sorge a proposito delle conversazioni o comunicazioni cui abbiano preso parte membri del Parlamento, regolarmente intercettate nel corso di procedimenti riguardanti terze persone (intercettazioni c.d. indirette). In tal caso: a. se il GIP ritiene irrilevanti, ai fini del procedimento, i verbali e le registrazioni delle intercettazioni, essi devono essere integralmente distrutti; b. se il GIP, invece, li ritiene rilevanti, per poter utilizzarli deve richiedere l’autorizzazione della Camera di appartenenza del parlamentare, trasmettendo insieme con la richiesta copia integrale dei verbali e delle registrazioni. Nessun problema sorge qualora l’autorizzazione venga concessa, ma lo stesso non può dirsi qualora venga invece negata, in quanto, in tal caso, la documentazione delle intercettazioni deve essere distrutta immediatamente. Così facendo risulteranno inutilizzabili anche le risultanze di intercettazioni indirette recanti elementi probatori a carico o a favore di soggetti non aventi la qualifica parlamentare, o addirittura costituenti esse stesse il corpo del reato. Tuttavia, la Corte costituzionale è intervenuta con una declaratoria di illegittimità di tale normativa nelle parti relative alla sua applicabilità anche nei confronti di soggetti non aventi qualifica parlamentare. Pertanto è rimasto finora impregiudicato il profilo concernente l'utilizzabilità delle suddette intercettazioni nei riguardi dei membri del Parlamento, le cui conversazioni siano state occasionalmente intercettate. Diverso dal tema di cui si è appena dato conto, è quello relativo alla figura del Presidente della Repubblica, la cui posizione - secondo la Corte costituzionale - non è assimilabile a quella del parlamentare, con conseguente inapplicabilità della l. n. 140/2003. Dal ruolo istituzionale ricoperto e dall'alto valore delle funzioni svolte, essenziali per l'equilibrio stesso dei poteri statali, si è ricavato un divieto assoluto di intercettazione delle conversazioni del Presidente della Repubblica, con conseguente obbligo di distruzione immediata di siffatte registrazioni, ancorché casualmente effettuate. Sono ammesse le c.d. intercettazioni preventive di comunicazioni o di conversazioni, ivi comprese quelle tra soggetti presenti, anche all'interno del domicilio, quando le medesime risultino necessarie per l'acquisizione di notizie concernenti la prevenzione dei delitti indicati dall'art. 407 comma 2° lett. a n. 4 e dall'art. 51 comma 3-bis (ad es. per la prevenzione di attività terroristiche o di eversione dell'ordinamento costituzionale). Esse possono venire disposte anche su iniziativa dei direttori dei servizi informativi e di sicurezza, in quanto a ciò delegati dal presidente del Consiglio dei ministri, ed a seguito di autorizzazione del procuratore generale presso la corte d'appello del distretto come sopra individuato. lOMoARcPSD|1202071 67 CAPITOLO 4 IV. MISURE CAUTELARI (V.G.) 1. Premessa. Il sistema delle misure cautelari (= misure restrittive per esigenze cautelari). Il libro IV del c.p.p. risulta essere diviso in 2 titoli: - uno riferito alle misure cautelari personali; - l’altro alle misure cautelari reali. Non trovano invece collocazioni in questo libro la disciplina dell’arresto in flagranza e del fermo, e nemmeno la disciplina dell’accompagnamento coattivo, il quale è disciplinato dal codice come atto strumentale diretto a soddisfare determinate esigenze di indagine, e non come atto avente finalità cautelari. 2. Riserva di legge e riserva di giurisdizione in materia di misure cautelari personali. In base all’art. 272, in cui è sancito il principio di legalità, “le libertà della persona possono essere limitate con misure cautelari solamente a norma delle disposizioni del titolo I, libro IV, del c.p.p”. La competenza a provvedere sull’applicazione, sulla revoca, e sulle vicende modificative delle misure cautelari spetta sempre al giudice che procede, mentre al PM è riconosciuto solo il potere di disporre il fermo di indiziati. Occorre inoltre ricordare che senza autorizzazione della Camera cui appartiene, nessun membro del Parlamento può essere arrestato o privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero qualora venga colto nell’atto di compiere un delitto per il quale è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza. In queste ipotesi, l’autorizzazione deve essere richiesta alla Camera d’appartenenza dall’autorità giudiziaria che ha emesso il provvedimento. 3. I presupposti del fumus commissi delicti e del periculum libertatis. Presupposti per l’adozione di una misura cautelare sono: - il fumus commissi delicti (vale a dire, la “probabilità di effettiva consumazione del reato”: la sussistenza di una notevole base probatoria definita in termini di gravi indizi di colpevolezza. La presenza di più indizi, gravi, precisi e concordanti, costituisce quindi una buona probabilità dell'effettiva consumazione del reato); - il periculum libertatis (ovvero il bisogno cautelare, cioè impedire che nel tempo richiesto per il giudizio l’indagato/imputato lasciato libero, possa pregiudicare le esigenze connesse all’accertamento ritenute meritevoli di protezione). Per quanto riguarda il primo, ai fini dell’adozione della misura occorre che a carico del destinatario sussistano gravi indizi di colpevolezza, e all’autorità competente è imposto di compiere un seppur sommario accertamento negativo circa la sussistenza di una delle cause di giustificazione o di non punibilità, ovvero di estinzione del reato o della pena. Ai fini della valutazione circa la sussistenza di tali gravi indizi, il giudice può tener conto delle dichiarazioni provenienti da persone che sono imputate per lo stesso reato, o in procedimento connesso, o per un reato collegato, e purché le medesime dichiarazioni siano corredate da altri elementi probatori idonei a confermarne l’attendibilità. Per quanto riguarda, invece, il periculum libertatis, l’art. 274 predetermina le esigenze cautelari che, concorrendo coi gravi indizi di colpevolezza, giustificano l’adozione delle misure cautelari personali. 4. Le diverse esigenze cautelari. Secondo l’art. 274, le misure cautelari sono disposte (l. 16 aprile 2015, n. 47): 1. lett. a): quando sussistono specifiche ed inderogabili esigenze attinenti alle indagini, esigenze il cui fine è quello di fronteggiare il pericolo di inquinamento delle prove. Tuttavia, le situazioni di pericolo per la genuinità della prova non possono essere individuate nel rifiuto della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato di rendere dichiarazioni, né nella mancata ammissione degli addebiti. Dunque, il diritto al silenzio non può mai essere posto a fondamento di una misura cautelare; 2. lett. b): tali misure possono inoltre essere adottate quando l’imputato si è dato alla fuga o sussiste concreto e attuale pericolo che si dia alla fuga, purché il giudice ritenga che possa essere irrogata una pena superiore a 2 anni di reclusione. Le situazioni di concreto e attuale pericolo non possono essere desunte esclusivamente dalla gravità del titolo di reato per cui si procede; 3. lett. c): quando, per specifiche modalità e circostanze del fatto e per la personalità della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato, desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali, sussiste il concreto e attuale pericolo che questi commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l'ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata o della stessa specie di quello per cui si procede. In quest’ultima ipotesi, le misure di custodia cautelare sono disposte soltanto se si tratta di delitti per i quali è prevista la reclusione non inferiore nel massimo a 4 anni ovvero, in caso di custodia cautelare in carcere, di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 5 anni nonché per il delitto di finanziamento illecito dei partiti. lOMoARcPSD|1202071 70 b. per quanto riguarda la c.d. conversione dell’arresto in flagranza o del fermo in una misura coercitiva, essa può aver luogo anche al di fuori dei limiti di pena previsti dagli artt. 274 comma 1° lett. c e 280, quando l’arresto è stato eseguito per i delitti di peculato, corruzione, violenza o minaccia a pubblico ufficiale, commercio e somministrazione di medicinali guasti, corruzione di minorenni, lesione personale, violazione di domicilio, furto, danneggiamento, ecc.; ovvero per uno dei delitti per i quali è consentito anche fuori dei casi di flagranza, dunque, anche con riferimento a determinati delitti punibili con la reclusione non inferiore nel massimo a 3 anni. Questo, d'altra parte, è il limite di sbarramento previsto dalla legge con riguardo a particolari ipotesi di arresto facoltativo in flagranza, rispetto alle quali la stessa legge indica come normale la prospettiva della “conversione” dell'arresto in una delle comuni misure di coercizione, sicché è parso ragionevole riconoscere alle suddette previsioni carattere di specialità - e, quindi, portata derogatoria - di fronte al limite sancito in via generale per le misure coercitive applicabili in via autonoma. Ciò significa che, in ordine alle ipotesi delittuose contemplate dall'art. 381 comma 2°, l'applicazione di una misura di coercizione personale potrà configurarsi soltanto a seguito di conversione dell'arresto in flagranza (e lo stesso vale anche nel caso di arresto “fuori flagranza”, quando si tratti di delitti punibili con pena inferiore ai limiti previsti dall'art. 280), mentre non potrà trovare base nel potere coercitivo originariamente spettante al giudice. 10. La tipologia delle misure coercitive ed il principio di gradualità. In base al principio di gradualità, le misure coercitive sono ordinate in base alla loro progressiva afflittività, a cominciare da misure di contenuto meramente obbligatorio, per finire alle vere e proprie misure detentive. In questa gerarchia si collocano le misure del divieto di espatrio, dell’obbligo di presentazione periodica agli uffici di PG, dell’allontanamento dalla casa familiare con l'eventuale adozione del c.d. braccialetto elettronico, del divieto di avvicinamento a determinati luoghi, in quanto frequentati dalla persona offesa, o da suoi congiunti o conviventi (quest’ultima misura introdotta nel codice in occasione della “nascita” del delitto di “atti persecutori” o stalking, a norma dell'art. 612-bis c.p.). A queste si aggiungono poi il divieto e l’obbligo di dimora. Per quanto riguarda l’obbligo di dimora, il giudice può imporre all’imputato, oltre alla prescrizione di non allontanarsi senza autorizzazione dal territorio del comune di dimora abituale, o di un comune vicino, anche quella di non allontanarsi dall’abitazione in alcune ore del giorno, senza pregiudizio per le normali esigenze di lavoro. Tale prescrizione risulta essere analoga agli arresti domiciliari, in base ai quali l’imputato non può allontanarsi dalla propria abitazione, o dagli altri luoghi consentiti (ossia un altro luogo di privata dimora, un luogo pubblico di cura o assistenza ovvero, ove istituita, una casa famiglia protetta), se non dietro autorizzazione del giudice e al fine di provvedere ad indispensabili esigenze di vita, ovvero per lavorare nel caso di assoluta indigenza. Gli arresti domiciliari non possono essere concessi agli imputati già condannati per il reato di evasione nei 5 anni precedenti al fatto per cui si procede. Inoltre, il giudice, nel disporre tale misura, può prescrivere l’adozione di particolari procedure di controllo da attuarsi mediante il c.d. braccialetto elettronico; tuttavia, col medesimo provvedimento può anche disporre la misura carceraria allorché l’imputato neghi il proprio consenso a sottoporsi a tali mezzi elettronici. 11. Le forme della custodia cautelare. Con la custodia in carcere, il giudice dispone che l’imputato sia catturato e immediatamente condotto in carcere per rimanervi a disposizione dell’autorità giudiziaria. Tuttavia, essa deve essere considerata come l’ultima risorsa a disposizione del giudice, cioè come una sorta di estrema ratio. Qualora si tratti di imputato in stato di infermità mentale tale da incidere sulla sua capacità di intendere e di volere, il giudice, in luogo della custodia carceraria, può disporne la custodia cautelare mediante ricovero provvisorio in idonea struttura del servizio psichiatrico ospedaliero, adottando ogni accorgimento necessario per prevenirne il pericolo di fuga. Anche per quanto riguarda gli imputati che versano in gravi condizioni di salute, il giudice può disporne il ricovero provvisorio in adeguata struttura del servizio sanitario nazionale per il tempo necessario, adottando nel contempo i provvedimenti idonei a evitare il pericolo di fuga. Dopo di che, una volta cessate le esigenze del ricovero, il giudice o ripristinerà la custodia carceraria, o disporrà gli arresti domiciliari, o pronuncerà il provvedimento di revoca o sostituzione delle misure. Infine, va ricordato il principio della computabilità per una sola volta della durata delle misure di custodia cautelare ai fini della determinazione della pena da eseguire. Lo stesso principio è poi esteso anche all’ipotesi di custodia cautelare subita all’estero a seguito di una domanda di estradizione, ovvero nel caso di rinnovamento del giudizio. lOMoARcPSD|1202071 71 12. La tipologia delle misure interdittive. Per quanto attiene alle misure interdittive, vengono disciplinate, in particolare, la sospensione dall’esercizio della potestà dei genitori; la sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio, peraltro non applicabile agli uffici elettivi ricoperti per diretta investitura popolare; il divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali o imprenditoriali, ovvero determinati uffici direttivi delle persone giuridiche o delle imprese. Riguardo ai criteri di scelta delle misure interdittive, per le quali valgono i principi di adeguatezza e di proporzionalità (art. 275), va ricordata la possibilità per il giudice di applicare anche solo parzialmente la misura prescelta. Ogni ordinanza applicativa di una misura interdittiva deve essere trasmessa in copia all’organo competente a disporre l’interdizione in via ordinaria. 13. Profili formali dei provvedimenti cautelari e procedimento applicativo. La competenza a disporre misure cautelari personali spetta al giudice su richiesta del PM (un’iniziativa d’ufficio del giudice è prevista solo in materia di revoca o di sostituzione di misure già applicate). In particolare, il PM deve fornire al giudice non solo gli elementi su cui la richiesta di fonda, ma anche tutti gli altri elementi a favore dell’imputato, nonché le eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate. Qualora il giudice destinatario della richiesta riconosca la propria incompetenza, ma accerti l’urgenza di provvedere sotto il profilo cautelare, egli stesso deve disporre la misura richiesta, con lo stesso provvedimento declinatorio di competenza, salva la caducazione della misura così applicata qualora, entro 20 gg. dalla trasmissione degli atti al giudice competente, questi non la “confermi” con proprio autonomo provvedimento. Tuttavia, la richiesta formulata dal PM non è vincolante per quanto riguarda la tipologia della misura oggetto della stessa, in quanto il giudice può disporre anche una misura cautelare meno grave e non, invece, una misura più grave. Infine, il PM, nell’interesse della persona offesa, può chiedere al giudice l’applicazione di una misura patrimoniale provvisoria. Ai sensi dell’art. 292 “Ordinanza del giudice”, aggiornato dalla l. 16 aprile 2015, n. 47, sulla richiesta del PM il giudice provvede con ordinanza, che deve contenere, a pena di nullità rilevabile anche d’ufficio: 1) le generalità dell’imputato; 2) la descrizione sommaria del fatto con l’indicazione delle norme di legge che si assumono violate; 3) l'esposizione e l'autonoma valutazione delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi che giustificano in concreto la misura disposta, con l'indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti e dei motivi per i quali essi assumono rilevanza, tenuto conto anche del tempo trascorso dalla commissione del reato; 4) l'esposizione e l'autonoma valutazione dei motivi per i quali sono stati ritenuti non rilevanti gli elementi forniti dalla difesa, nonché, in caso di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, l'esposizione delle concrete e specifiche ragioni per le quali le esigenze di cui all'articolo 274 non possono essere soddisfatte con altre misure; 5) la fissazione della data di scadenza della misura, quando la stessa è stata disposta al fine di garantire l’acquisizione o la genuinità della prova; 6) la data e la sottoscrizione del giudice. Tali requisiti sono stabiliti a pena di nullità rilevabile anche d’ufficio. 14. Gli adempimenti esecutivi e le garanzie difensive. Il d.lgs. n. 101/2014 ha sancito l'obbligo (ex art. 293), per l'ufficiale o l'agente incaricato di eseguire l'ordinanza che ha disposto la custodia cautelare, di consegnare all'imputato (a meno che questi non sia già detenuto in forza di altro titolo) copia del provvedimento e una comunicazione scritta, redatta in forma chiara e precisa - tradotta, se l'imputato non conosce la lingua italiana, in una lingua a lui comprensibile - con cui lo informa dei suoi diritti difensivi: • della facoltà di nominare un difensore di fiducia e di essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato nei casi previsti dalla legge; • del diritto di ottenere informazioni in merito all'accusa; • del diritto all'interprete ed alla traduzione di atti fondamentali; • del diritto di avvalersi della facoltà di non rispondere; • del diritto di accedere agli atti sui quali si fonda il provvedimento; • del diritto di informare le autorità consolari e di dare avviso ai familiari; • del diritto di accedere all'assistenza medica di urgenza; • del diritto di essere condotto davanti all'autorità giudiziaria non oltre 5 gg. dall'inizio dell'esecuzione, se la misura applicata è quella della custodia cautelare in carcere ovvero non oltre 10 gg. se la persona è sottoposta ad altra misura cautelare; • del diritto di comparire dinanzi al giudice per rendere l'interrogatorio, di impugnare l'ordinanza che dispone la misura cautelare e di richiederne la sostituzione o la revoca. lOMoARcPSD|1202071 72 Qualora la comunicazione scritta non sia prontamente disponibile in una lingua comprensibile all'imputato, le informazioni sono fornite oralmente, salvo l'obbligo di dare comunque, senza ritardo, comunicazione scritta all'imputato. Si è inoltre previsto l'obbligo, per l'incaricato dell'esecuzione della misura, di informare immediatamente il difensore (quello di fiducia eventualmente nominato, ovvero quello di ufficio designato a norma dell'art. 97) e di redigere il verbale di tutte le operazioni compiute (da trasmettere immediatamente al giudice e al PM), menzionando in particolare la consegna della comunicazione scritta o l'informazione orale fornita. Le ordinanze, una volta notificate o eseguite, vanno depositate in cancelleria insieme alla richiesta del PM con gli atti presentati da quest’ultimo, e del deposito viene dato avviso al difensore (dell’imputato). Quest’ultimo può non solo prendere visione, ma anche estrarre copia sia dell’ordinanza applicativa della custodia cautelare, sia della richiesta del PM con gli atti presentati a corredo della medesima. Inoltre, ha diritto di ottenere copia delle registrazioni di conversazioni intercettate, le quali siano state poste alla base del provvedimento cautelare, sebbene in precedenza non depositate insieme alla relativa richiesta, e quindi nemmeno successivamente depositate a disposizione del difensore. Mentre le ordinanze applicative della custodia cautelare sono eseguite con la consegna all’imputato di copia del provvedimento e col suo immediato trasferimento in un istituto di custodia, quelle applicative delle misure cautelari non custodiali sono solo notificate all’imputato secondo i modi ordinari. In particolare, in merito alle ordinanze relative alla custodia cautelare, è previsto che l’organo di polizia incaricato dell’esecuzione avverta l’imputato della possibilità di nominare un difensore di fiducia che verrà immediatamente informato. Qualora, invece, il destinatario della misura non venga rintracciato, si prevede la redazione del verbale di vane ricerche da parte del competente organo di polizia, e la successiva dichiarazione di latitanza dell’imputato ad opera del giudice che abbia ritenuto tali ricerche esaurienti. In merito alla disciplina della latitanza, intesa come la volontaria sottrazione non solo ad un ordine di carcerazione ovvero ad una misura di custodia cautelare, ma anche agli arresti domiciliari, all’obbligo di dimora ed al divieto di espatrio, occorre ricordare la regola volta a circoscrivere l’operatività dei suoi effetti al solo procedimento penale nel quale essa è stata dichiarata. Inoltre, il giudice o il PM possono autorizzare l’uso dell’intercettazione telefonica allo scopo di agevolare le ricerche del latitante, che dovrà essere disposta secondo i suoi normali termini di durata (salva la possibilità di proroghe finché l’intercettazione sia ritenuta necessaria per le ricerche del latitante). È anche prevista la possibilità di procedere alla perquisizione locale di interi edifici o di blocchi di edifici, ove vi sia fondato motivo di ritenere che si siano rifugiati dei latitanti in relazione ad un delitto di associazione di tipo mafioso, ovvero con finalità di terrorismo, salvo in ogni caso il successivo intervento di controllo da parte dell’autorità giudiziaria, che dovrà essere informata al più tardi entro 12 ore dall’operazione. L’autorità giudiziaria può, con decreto motivato, ritardare l’esecuzione dei provvedimenti applicativi di una misura cautelare (oltreché del fermo di indiziati, dell’ordine di esecuzione di pene detentive o dei decreti di sequestro), quando ciò sia necessario per acquisire rilevanti elementi probatori, ovvero per l’individuazione o la cattura dei responsabili dei delitti riguardanti sostanze stupefacenti, sequestro di persona a scopo di estorsione, terrorismo o criminalità organizzata. Durante la traduzione di persone in stato detentivo deve essere adottata ogni cautela per proteggerle dalla curiosità del pubblico e da ogni specie di pubblicità; inoltre, al fine di tutelare la dignità personale di tali soggetti, l’uso delle manette è obbligatorio solo quando lo richiedono la pericolosità del soggetto, o il pericolo di fuga, o circostanze di ambiente che rendono difficile la traduzione. Alla tematica degli adempimenti necessariamente successivi all'esecuzione della misura della custodia cautelare in carcere appartiene anche l'istituto dell'interrogatorio dell'indiziato. 15. L'interrogatorio della persona in stato di custodia. L'interrogatorio c.d. di garanzia del quale all' articolo 294 del c.p.p., è condizione necessaria ai fini della valida applicazione di una qualsiasi misura cautelare ed è eseguito dal giudice procedente nei confronti del destinatario della misura stessa entro un termine perentorio di 10 o 5 gg. dall'esecuzione della misura, a seconda che si tratti della custodia cautelare (5 gg.) o di altra misura cautelare (10 gg.). In seguito all’interrogatorio dell’indagato, il giudice valuta se permangono le condizioni di applicabilità e le esigenze cautelari. Il codice impone al GIP di depositare immediatamente, insieme all’ordinanza applicativa della misura, anche la richiesta del PM e gli atti presentati con la stessa. La l. 8 agosto 1995 n. 332, ha previsto un terzo correttivo, cioè un avviso di deposito che deve essere notificato al difensore, che ha diritto di esaminare gli atti in cancelleria. Un quarto correttivo riguarda l’ordine temporale con il quale il PM e il GIP possono, rispettivamente, procedere a interrogare l’indagato. L’interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare da parte del PM non può precedere l’interrogatorio del giudice. lOMoARcPSD|1202071 75 Una particolare attenzione è richiesta nel caso di revoca o di sostituzione di determinate misure coercitive applicate nei procedimenti aventi ad oggetto delitti commessi con violenza alla persona: il provvedimento deve essere immediatamente comunicato a cura della PG ai servizi socio-assistenziali e al difensore della persona offesa (o, in sua mancanza, alla stessa vittima del reato). Qualora, invece, le esigenze cautelari si siano accresciute, rispetto a quelle individuate alla base della misura applicata, il giudice, su richiesta del PM, deve sempre, ove sussistano i presupposti, sostituire la misura originaria con un’altra più rigida, ovvero disporne l’applicazione con modalità più gravose. Il giudice, quando si trova nell’impossibilità di decidere allo stato degli atti sulla richiesta di una parte, può, in ogni stato e grado del procedimento, disporre anche d’ufficio i necessari accertamenti sulle condizioni di salute o sulle qualità personali dell’imputato. Tali accertamenti devono svolgersi con la massima celerità possibile e al più tardi entro 15 gg. dal deposito della richiesta. Nel caso in cui la richiesta di revoca o di sostituzione della misura della custodia carceraria sia fondata sulle condizioni di salute particolarmente gravi dell’imputato, e qualora il giudice non ritenga di accogliere la richiesta sulla base degli atti disponibili, devono disporsi gli accertamenti medici del caso attraverso la nomina di un perito ad hoc, il quale dovrà tener conto del parere del medico penitenziario e riferire al giudice antro 5 gg., ovvero, nel caso di rilevata urgenza, entro 2 gg. dall’accertamento. Qualora poi le esigenze diagnostiche non possano essere soddisfatte nell’ambito penitenziario, il giudice potrà disporre il ricovero provvisorio dell’imputato in un’idonea struttura del servizio sanitario nazionale, adottando se del caso adeguate cautele. Infine, durante il periodo compreso tra il provvedimento che dispone gli accertamenti e la scadenza del termine per il loro espletamento, il termine di 5 gg. sancito per la pronuncia del giudice è sospeso. 18. Particolari fattispecie di estinzione automatica delle misure. A parte l’ipotesi di estinzione della custodia cautelare a causa dell’omesso interrogatorio dell’indiziato entro il termine previsto, viene stabilita anzitutto l’immediata perdita di efficacia delle misure applicate con riferimento ad un certo fatto quando, per lo stesso fatto e nei confronti della stessa persona, viene disposta l’archiviazione, ovvero viene pronunciata una sentenza di non luogo a procedere o di proscioglimento. In questo caso, l’imputato detenuto deve essere immediatamente posto in libertà subito dopo la lettura del dispositivo, e per il disbrigo delle formalità, lo stesso deve essere riaccompagnato in carcere separatamente dai detenuti e senza uso di mezzi di coercizione. Laddove, invece, la sentenza sia di condanna, le misure già in atto perdono efficacia ogniqualvolta la pena irrogata viene dichiarata estinta o condizionalmente sospesa; e analogamente, la custodia cautelare perde efficacia quando la durata della custodia presofferta è uguale o superiore all’entità della pena irrogata. In tutte queste ipotesi, l’estinzione opera di diritto, sicché il giudice non può fare altro che adottare con ordinanza i provvedimenti necessari per far cessare l’esecuzione delle misure estinte; quando poi la cessazione consegue ad una pronuncia della cassazione, la cancelleria ne comunica immediatamente il dispositivo al procuratore generale presso la Corte medesima perché dia i provvedimenti occorrenti. Riguardo alla situazione dell’imputato destinatario prima di una sentenza di proscioglimento, o di non luogo a procedere, e successivamente condannato per il medesimo fatto, nei suoi confronti possono essere adottate uno o più misure coercitive soltanto quando vi è pericolo di fuga essendo stata irrogata una pena superiore a 2 anni di reclusione, ovvero pericolo di commissione dei gravi delitti indicati nell’art. 274 comma 1° lett. b. In base all’art. 301, le misure applicate per esigenze cautelari di natura probatoria perdono efficacia quando alla scadenza del termine fissato non ne viene ordinata la rinnovazione; in particolare, la rinnovazione può essere disposta dal giudice con ordinanza (su richiesta del PM e solo dopo aver obbligatoriamente sentito il difensore della persona destinataria della misura) anche per più di una volta, purché entro i termini massimi di durata previsti per le corrispondenti misure. La custodia carceraria motivata da esigenze probatorie non può avere una durata superiore a 30 gg., salvo si proceda per delitti di terrorismo, strage, associazione di tipo mafioso, ecc. (art. 407 comma 2° lett. a), ovvero salva la presenza di situazioni investigative complesse. Tuttavia, tale termine può essere prorogato ad opera del giudice, su richiesta del PM e previo interrogatorio dell’imputato, sulla base di un’ordinanza che dovrà valutare le ragioni che hanno impedito il compimento delle indagini per le cui esigenze la misura era stata disposta. Attraverso tale procedura, il termine inizialmente fissato potrà essere prorogato per non più di 2 volte e, comunque, entro il limite complessivo di 90 gg. Nulla esclude, però, che, alla scadenza di questo termine, il PM possa chiedere, ed il giudice disporre, la rinnovazione della custodia carceraria sempre per esigenze probatorie. lOMoARcPSD|1202071 76 19. I termini di durata massima della custodia cautelare. Tra le varie figure di estinzione automatica delle misure cautelari personali assumono un particolare risalto quelle collegate alla disciplina dei termini di durata massima delle misure medesime. Cominciando dalla custodia cautelare, è stata prevista una serie di termini massimi di durata della stessa in relazione ai diversi stati o gradi del procedimento (dalla fase delle indagini preliminari al giudizio di primo grado, al giudizio di appello ed ai successivi gradi di giudizio, fino alla sentenza irrevocabile), e con riferimento a ciascuna di tali fasi i suddetti termini intermedi sono stati quantitativamente differenziati, o in funzione della gravità dell’imputazione, o in funzione della pena applicata in concreto, quando già vi sia stata sentenza di condanna. A partire dalla fase preliminare, la custodia perde efficacia allorché, dall’inizio della sua esecuzione, e senza che sia stato emesso il decreto che dispone il giudizio o l’ordinanza di giudizio abbreviato, siano decorsi i seguenti termini: a. 3 mesi, quando di procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a 6 anni; b. 6 mesi, quando si procede per un delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione superiore nel massimo a 6 anni; c. 1 anno, quando si procede per un delitto per il quale è stabilita la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a 20 anni, oppure per uno dei delitti indicati nell’art. 407 comma 2° lett. a (sempreché per questi ultimi sia prevista la pena della reclusione superiore nel massimo a 6 anni). Per quanto riguarda la fase del giudizio di primo grado, secondo il rito ordinario, la custodia perde efficacia quando dal provvedimento che dispone il giudizio (o dalla sopravvenuta esecuzione della custodia stessa), e senza che sia stata pronunciata sentenza di condanna di primo grado, la sua durata abbia superato il termine di: a. 6 mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a 6 anni; b. 1 anno, quando si procede per un delitto per il quale è prevista la pena della reclusione non superiore nel massimo a 20 anni; c. 1 anno e 6 mesi, quando si procede per un delitto per il quale è prevista la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a 20 anni. Occorre poi aggiungere che, qualora si proceda per uno dei delitti ex art. 407 comma 2° lett. a, tali termini sono aumentati fino a 6 mesi, e tale termine deve essere imputato al termine previsto per la fase precedente (ove non completamente utilizzato), ovvero ai termini previsti per le fasi successive alla sentenza di condanna in appello, che saranno perciò corrispondentemente ridotti. Infine, per quanto riguarda la fase del giudizio abbreviato, la custodia perde efficacia allorché dall’ordinanza con cui è stato disposto tale giudizio, e senza che sia stata pronunciata sentenza di condanna, la sua durata ha superato il termine di: a. 3 mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a 6 anni; b. 6 mesi, quando si procede per un delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione non superiore nel massimo a 20 anni; c. 9 mesi, quando si procede per un delitto per il quale è stabilita la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a 20 anni. Riguardo alle altre fasi del giudizio, la definizione dei termini massimi intermedi è stata operata facendo riferimento alla pena concretamente irrogata in sede di condanna. Così, per quando riguarda la fase del giudizio di secondo grado, la custodia cautelare perde efficacia quando dalla pronuncia della sentenza di condanna di primo grado (o dalla sopravvenuta esecuzione della custodia stessa), e senza che sia stata pronunciata sentenza di condanna in appello, è decorso il termine di: a. 9 mesi, se vi è stata condanna alla pena della reclusione non superiore a 3 anni; b. 1 anno, se vi è stata condanna alla pena della reclusione non superiore a 10 anni; c. 1 anno e 6 mesi se vi è stata condanna alla pena dell’ergastolo o della reclusione superiore a 10 anni. Nel caso di condanna per più reati, per individuare i termini di fase inerenti alla durata della custodia cautelare, bisogna poi far riferimento alla pena complessiva inflitta per tutti i reati per i quali è in corso la misura custodiale (come ad es. accade quando si tratti di condanna per diversi reati unificati dal vincolo della continuazione, e non già alle pene relative ai singoli reati). La stessa disciplina si applica, inoltre, nelle fasi di giudizio successive alla pronuncia della sentenza di condanna in appello, e finché la condanna non sia diventata irrevocabile. Tuttavia, quando vi sia già stata condanna anche in primo grado (per lo stesso fatto storico), ovvero quando l’impugnazione sia stata proposta solo dal PM, non bisogna più far riferimento ai termini intermedi di fase, ma bisogna applicare i termini di durata complessiva della custodia. lOMoARcPSD|1202071 77 Nel caso di regresso del procedimento ad una diversa fase, o di rinvio dinanzi ad un diverso giudice, a partire dalla data del correlativo provvedimento (ovvero dalla sopravvenuta esecuzione della misura di custodia), riprendono a decorrere ex novo i termini stabiliti con riguardo a ciascun stato e grado del procedimento. Un termine massimo di durata complessiva della custodia è stato individuato a 3 livelli, a seconda della gravità dell’imputazione: a. 2 anni, quando si procede per un delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione non superiore nel massimo a 6 anni; b. 4 anni, quando si procede per un delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione non superiore nel massimo a 20 anni; c. 6 anni, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a 20 anni ovvero l’ergastolo. Tali limiti, di regola, non possono essere superati. 20. Proroga e sospensione dei termini massimi di custodia. Riguardo alla proroga, a prescindere dall’ipotesi connessa al compimento di una perizia psichiatrica, essa opera solo nella fase delle indagini preliminari. Infatti, è previsto che, dietro richiesta del PM, i termini di custodia prossimi a scadere in tale fase possono essere prorogati solo in presenza di gravi esigenze cautelari, le quali, rapportate ad accertamenti particolarmente complessi, ovvero a nuove indagini, rendono indispensabile la prosecuzione della custodia. Nel caso di proroga legata all’esigenza di nuove indagini, la competenza a provvedere sulla richiesta (con ordinanza appellabile) spetta al GIP, il quale, dopo aver sentito il PM e il difensore della parte nell’ambito di un contraddittorio semplificato ma effettivo, ove ne ricorrano i presupposti, potrà concedere una proroga, ed anche rinnovarla una sola volta, fino al limite rappresentato dalla metà dei termini massimi di custodia previsti per la fase delle indagini preliminari. Alcuni problemi sorgono in rapporto alla disciplina della sospensione dei termini di durata della custodia cautelare, la quale può comportare, in alcuni casi, anche il superamento dei termini fissati per la durata complessiva della custodia cautelare. L’art. 304 comma 1°, dopo aver stabilito la competenza del giudice a provvedere, anche d’ufficio, con ordinanza appellabile, ha individuato le fattispecie di sospensione facendo riferimento ad una serie di situazioni tutte relative alla fase del giudizio, cioè con riguardo: a. alle ipotesi di sospensione o di rinvio del dibattimento per impedimento dell’imputato o del suo difensore, ovvero dietro richiesta dei medesimi; b. alle ipotesi di sospensione o rinvio del dibattimento a causa della mancata presentazione, dell’allontanamento o della mancata partecipazione di uno o più difensori, qualora ne rimangano privi di assistenza uno o più imputati; c. all’ipotesi di sospensione dei termini di custodia, nella fase del giudizio, durante la pendenza dei termini previsti per la redazione differita dei motivi della sentenza; d. all’ipotesi di sospensione prevista qualora le situazioni appena descritte si verifichino nell’ambito del giudizio abbreviato. Durante l’udienza preliminare, i termini sono sospesi, anche d’ufficio e sempre con ordinanza appellabile, tutte le volte in cui la stessa udienza viene sospesa o rinviata per impedimento dell’imputato o del suo difensore, ovvero a causa della mancata presentazione o dell’allontanamento di uno o più difensori (art. 304 comma 4°). Le ipotesi di sospensione non si applicano, all’interno del processo cumulativo, nei confronti dei coimputati cui le stesse non si riferiscono, sempreché questi ultimi chiedano che nei loro confronti si proceda previa separazione dei processi. Nelle ipotesi di particolare complessità dei dibattimenti o dei giudizi abbreviati relativi ai delitti indicati dall’art. 407 comma 2° lett. a, il regime della sospensione può essere esteso anche ai periodi di tempo in cui sono tenute le udienze o si delibera la sentenza nella fase del giudizio. La sospensione dei termini di custodia può essere disposta solo dietro richiesta del PM; quindi, qualora manchi tale richiesta, o comunque non venga pronunciato il provvedimento sospensivo, si verificherà in ogni caso ex lege almeno l’effetto di congelamento del decorso dei termini di custodia. lOMoARcPSD|1202071 80 Per il resto viene seguita la disciplina generale dell’appello (a cominciare dalla regola dell’effetto limitatamente devolutivo), dal che ne deriva anzitutto che il tribunale vedrà circoscritta la sua cognizione solo ai punti dell’ordinanza appellata cui si riferiscano i motivi tempestivamente proposti. Quando poi il tribunale, accogliendo l’appello del PM, dispone una misura cautelare a carico dell’imputato, l’esecuzione di tale decisione rimane sospesa, finché la medesima non diventa definitiva. Il ricorso per cassazione (ex art. 311) contro le ordinanze del tribunale a seguito di riesame o di appello, è proponibile dall’imputato, dal suo difensore e dal PM entro 10 gg. dalla notificazione o, rispettivamente, dalla comunicazione dell’avviso di deposito del provvedimento. Tuttavia, l’imputato ed il suo difensore possono ricorrere in cassazione per violazione di legge “direttamente” contro le ordinanze applicative di una misura coercitiva, prescindendo dalla previa richiesta di riesame, entro i termini sanciti per quest’ultimo; ciò comporta l’inammissibilità del riesame, quantunque eventualmente già richiesto. Il ricorso deve essere presentato presso la cancelleria del giudice a quo, e l’autorità procedente deve trasmettere alla corte, entro il giorno successivo all’immediato avviso, gli atti su cui è fondata l’ordinanza impugnata. La corte decide in camera di consiglio entro 30 gg. dalla ricezione degli atti. Infine, i motivi devono essere enunciati contestualmente al ricorso, e il ricorrente ha la possibilità di enunciare nuovi motivi dinanzi alla corte di cassazione prima dell’inizio della discussione. 25. L'applicazione provvisoria di misure di sicurezza. Per quanto riguarda le condizioni di applicabilità provvisoria delle misure consistenti nel ricovero in riformatorio, ovvero in un ospedale psichiatrico giudiziario, ovvero in una casa di cura o di custodia, esse possono essere disposte dal giudice procedente, in qualunque stato e grado del procedimento, e sempre su richiesta del PM, sulla base di gravi indizi di commissione del fatto in capo all’imputato e in assenza di una delle cause di non punibilità o di estinzione. Inoltre, si richiede che il giudice accerti in concreto anche la pericolosità sociale del soggetto contro cui si sta procedendo. Tali soggetti, a parte il minorenne, sono: l’infermo di mente, l’ubriaco abituale, ovvero la persona dedita all’uso di sostanze stupefacenti o in stato di cronica intossicazione da alcool o droghe. La pronuncia del provvedimento applicativo della misura deve essere, di regola, preceduta dall’interrogatorio dell’imputato; ove ciò non sia possibile, l’indiziato sottoposto provvisoriamente alla misura di sicurezza deve essere interrogato dal GIP non oltre 5 gg. dall’inizio dell’esecuzione della stessa (a pena di caducazione), e al termine di tale interrogatorio il giudice, dopo aver valutato la sussistenza dei presupposti di fatto e di diritto della misura adottata, potrà anche disporne la revoca. Il giudice deve procedere anche d’ufficio, ovvero su richiesta di parte, ad un riesame periodico circa la pericolosità sociale dell’imputato, prescrivendogli nuovi accertamenti allo scadere del 6° mese dalla pronuncia dell’ordinanza (o anche prima), e ad ogni scadenza semestrale. Ai fini delle impugnazioni dei relativi provvedimenti, le misure di sicurezza provvisoriamente applicate vengono equiparate alla custodia cautelare, con la conseguenza che le ordinanze applicative di tali misure possono essere sottoposte a riesame su richiesta dell’imputato o del suo difensore, mentre le corrispondenti ordinanze di diniego possono essere appellate dal PM. 26. La riparazione per l'ingiusta detenzione. La riparazione per ingiusta detenzione è prevista non solo nel caso dell’errore giudiziario, ma anche nel caso dell’ingiusta detenzione. L’art. 314 ha individuato 2 diverse fasce di ipotesi di detenzione (di custodia cautelare, arresti domiciliari inclusi). La prima fascia riguarda la situazione dell’imputato che, dopo aver subito un periodo di custodia cautelare, senza avervi dato causa per dolo o colpa grave, sia stato prosciolto con sentenza irrevocabile per non aver commesso il fatto, ovvero perché il fatto non sussiste, o non costituisce reato, o ancora perché il fatto non è previsto dalla legge come reato. Lo stesso vale per la persona nei cui confronti siano stati pronunciati, al termine delle indagini preliminari, una sentenza di non luogo a procedere, ovvero un provvedimento di archiviazione (come vale anche con riferimento al caso dell’imputato condannato, nella misura in cui la durata della custodia cautelare alla quale sia stato sottoposto abbia ecceduto l’entità della pena successivamente applicatagli in via definitiva). Si tratta di ipotesi nelle quali il rapporto tra la natura della decisione liberatoria adottata e la restrizione sofferta dall’imputato risulta sufficiente ad attestare l’ingiustizia di tale restrizione. Alla disciplina riparatoria si affianca, per coloro che sono sottoposti a custodia carceraria o agli arresti domiciliari, il diritto di essere reintegrati nel posto di lavoro che occupavano prima dell’applicazione della misura (ingiusta detenzione). lOMoARcPSD|1202071 81 Le situazioni della seconda fascia sono definite, invece, con riguardo al caso dell’imputato già sottoposto a custodia cautelare nel corso del processo, con riferimento alle ipotesi in cui sia stato accertato con decisione irrevocabile che il relativo provvedimento era stato emesso, o mantenuto, senza che sussistessero le condizioni di applicabilità previste. Il diritto alla riparazione è escluso per quella parte della custodia cautelare che sia stata computata ai fini della determinazione della misura di una pena, ovvero per il periodo in cui le limitazioni siano state sofferte in forza di un altro titolo. La domanda di riparazione (per un ammontare non superiore comunque a euro 500.000,00 circa) deve essere proposta, a pena di inammissibilità, entro 2 anni dal giorno in cui sono divenute irrevocabili le sentenze, ovvero è divenuta inoppugnabile la sentenza di non luogo a procedere, ovvero dal giorno in cui il provvedimento di archiviazione è stato notificato al destinatario. Legittimato a proporre la domanda è il soggetto interessato ovvero, in casi particolari, anche i suoi eredi. 27. Le misure cautelari reali: a) il sequestro conservativo; b) il sequestro preventivo; c) i rimedi avverso i provvedimenti di sequestro. La funzione del sequestro conservativo è quella di assicurare, attraverso il vincolo posto sui beni mobili o immobili dell’imputato, nonché sulle somme a lui dovute, l’esecuzione della sentenza che potrebbe essere emessa, tutte le volte in cui vi sia fondato motivo di ritenere che manchino o si disperdano le relative garanzie. Ciò sia sotto il profilo del pagamento della pena pecuniaria, delle spese processuali e delle altre somme dovute all’erario statale, nell’ipotesi di iniziativa del PM, sia sotto il profilo dell’adempimento delle obbligazioni civili da reato, nell’ipotesi di iniziativa della parte civile (estensibile anche ai beni del responsabile civile). Esiste la possibilità di offrire una cauzione, in alternativa o in sostituzione al sequestro, e la conversione del sequestro in pignoramento quale conseguenza del giudicato di condanna. Riguardo al sequestro preventivo si prescrive che, anche prima dell’esercizio dell’azione penale, il giudice, su richiesta del PM, deve disporre con decreto motivato il sequestro delle cose pertinenti al reato, tutte le volte in cui la libera disponibilità delle stesse possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato medesimo, ovvero agevolare la commissione di altri reati. Al di fuori di questi casi, il sequestro delle cose di cui è consentita la confisca è di regola rimesso alla discrezionalità del giudice, mentre diventa obbligatorio nel corso dei procedimenti per i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione. Durante le indagini preliminari, quando per l’urgenza delle circostanze non è possibile attendere il provvedimento del GIP, il sequestro preventivo può essere disposto con proprio decreto dal PM, e addirittura possono procedervi di loro iniziativa anche ufficiali di PG, salva la necessaria trasmissione allo stesso PM del relativo verbale entro 48 ore. In tali ipotesi, comunque, il sequestro perde efficacia qualora entro le successive 48 ore (dal sequestro o dalla ricezione del verbale) il PM non ne ha richiesto la convalida al giudice, ovvero qualora il giudice non emette il provvedimento di convalida entro 10 gg. da tale richiesta. La misura viene invece revocata dal giudice, su richiesta del PM o dell’interessato, ovvero, durante le indagini preliminari, dallo stesso PM, quando viene accertata l’insussistenza delle esigenze di prevenzione che l’avevano giustificata. Infine, con riguardo alla perdita d’efficacia del sequestro preventivo conseguente alla pronuncia di determinate sentenze, vanno sottolineate 2 previsioni relative al fenomeno della conversione del medesimo in altre figure di sequestro: a. da un lato, ci si riferisce all’ipotesi di conversione del sequestro preventivo in sequestro probatorio, tutte le volte in cui il primo, avendo avuto per oggetto più esemplari identici della cosa sequestrata (c.d. sequestro di massa), abbia perso efficacia a seguito di una sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, poi impugnata dal PM. In tali casi, il giudice ordinerà il mantenimento del sequestro a scopo probatorio su un solo esemplare della cosa, disponendo la restituzione degli altri esemplari; b. d’altro lato, ci riferisce all’ipotesi di conversione conseguente alla pronuncia di una sentenza di condanna, ovviamente quando non sia stata disposta la confisca delle cose sequestrate in via preventiva, nel qual caso dovranno rimanere fermi gli effetti del sequestro. All’infuori di tale caso, e sempreché permanga l’esigenza cautelare, dovrà essere ordinata la restituzione di tali cose, ma il giudice potrà disporre la conversione del sequestro preventivo in sequestro conservativo, dietro richiesta del PM o della parte civile. Per quanto invece riguarda il sistema dei rimedi contro i provvedimenti di sequestro, esso fa perno anzitutto sullo strumento del riesame di fronte al tribunale in composizione collegiale sia contro l’ordinanza di sequestro conservativo, sia contro il decreto di sequestro preventivo. Tuttavia, la richiesta di riesame non sospende l’esecuzione del provvedimento di sequestro. lOMoARcPSD|1202071 82 Nel caso di contestazione sulla proprietà delle cose sequestrate, il giudice del riesame dovrà rimettere la decisione della controversia al giudice civile, mantenendo nel frattempo fermo il sequestro. Tutte le ordinanze emesse dal tribunale in sede di riesame intorno ai provvedimenti di sequestro sono poi suscettibili di ricorso per cassazione. Tale ricorso può altresì essere proposto direttamente alla corte, con la conseguenza che in tal caso il ricorso rende inammissibile il riesame. Infine, al PM, all’imputato e alle altre persone interessate è comunque riconosciuto il diritto di proporre appello al tribunale in composizione collegiale, contro le altre ordinanze in materia di sequestro preventivo (ad es. le ordinanze che abbiano respinto la richiesta di sequestro, ovvero la richiesta di restituzione delle cose sequestrate), nonché contro il decreto di revoca eventualmente emesso dal PM, mentre nulla del genere si dice per quanto riguarda i corrispondenti provvedimenti in materia di sequestro conservativo. Naturalmente anche contro le ordinanze emesse dal tribunale in sede di appello è ammesso ricorso per cassazione. Infatti, al pari di quel accade per le misure cautelari personali, ai sensi dell’aggiornamento introdotto dalla l. n. 103/2017, anche per quelle reali la corte di cassazione dovrà decidere il ricorso entro 30 gg. dalla ricezione degli atti, osservando le forme previste dall’art. 127. È così superato l’orientamento espresso dalle Sezioni unite (Sez. un., 17 dicembre 2015, Maresca), che avevano invece ritenuto applicabile il rito camerale non partecipato ex art. 611. CAPITOLO 5 V. INDAGINI PRELIMINARI E UDIENZA PRELIMINARE (L.G.+“F.D.C.”) 1. Le indagini preliminari: finalità e caratteri essenziali. Nella sua articolazione ordinaria, ossia quando non assume una delle forme rituali alternative, il procedimento penale italiano è strutturato secondo il tradizionale schema bifasico, scandito dal binomio ricerca- giustificazione. Ad una fase preparatoria tendenzialmente segreta, quella delle indagini, fa seguito, nell’eventualità di un esito positivo, una fase pubblica (dibattimento) che si svolge nel contraddittorio delle parti al cospetto di un giudice terzo. Chiamato ad attuare nel processo penale i caratteri del “processo accusatorio”, e a evidenziare la centralità del dibattimento, il legislatore del 1988 è intervenuto radicalmente sulla struttura delle indagini preliminari (o fase investigativa), colpendo tanto la natura degli atti di indagine, quanto il loro contenuto. Egli: - ha affidato la gestione della fase investigativa al solo PM (eliminando la figura del giudice inquirente); - ha spostato al termine della fase preparatoria l’alternativa tra azione o archiviazione. Gli accertamenti preliminari della PG e del PM servono a quest’ultimo per decidere se esercitare o meno l’azione penale; constatata la sostenibilità dell’accusa, l’attuale richiesta di rinvio a giudizio costituisce essa stessa l’atto di esercizio dell’azione penale e contiene la prima formulazione dell’imputazione. Ne deriva che: 1. la fase delle indagini preliminari non può più dirsi di natura processuale e giurisdizionale: ad essa è riservata la qualifica di procedimento penale, poiché il legislatore definisce processo solo l’insieme di atti processuali che seguono l’esercizio dell’azione penale; 2. mancando l’imputazione, il destinatario degli accertamenti non potrà essere definito imputato, bensì “persona sottoposta alle indagini” o “indagato”; 3. nel corso delle indagini preliminari il PM non acquisisce prove, bensì elementi di prova (denominazioni diverse rispetto a quelle assegnate ai corrispondenti mezzi di prova: ciò che a dibattimento il codice chiama "testimonianza", nel corso della fase investigativa è una "assunzione di informazioni da persone che possono riferire circostanze utili alle indagini"; ciò che a dibattimento il codice chiama "ricognizione", nelle indagini è una mera "individuazione" di persone o di cose; e così via); 4. l’accertata infondatezza dell’ipotesi di accusa non porta più ad una sentenza di proscioglimento, bensì ad un provvedimento di archiviazione della notizia di reato. Sul piano contenutistico: il legislatore del’88 prevede che il potere-dovere di esercitare l’azione penale scatti quando il PM dispone di elementi idonei a sostenere l’accusa, alludendo così ad una possibile sommarietà e non esaustività degli accertamenti, con l’obiettivo di ridimensionare tempi e contenuti della fase preparatoria, per riportare il dibattimento al centro della fase processuale. Tale originario modello ha subito una profonda crisi, ed una conseguente trasformazione. lOMoARcPSD|1202071 85 4. I diritti della difesa e il ruolo delle parti private. Indispensabile presupposto per l’esercizio del diritto di difesa è che la persona sottoposta alle indagini abbia conoscenza del fatto che si sta procedendo a suo carico per un determinato addebito. Tale consapevolezza può essere acquisita in diverse forme: • se l’indagato, sospettando che si stia conducendo un’indagine a suo carico, si rivolge alla segreteria della procura della Repubblica per chiedere che gli vengano comunicate le eventuali iscrizioni riguardanti la sua persona, contenute nel registro delle notizie di reato. Il PM non può rifiutarsi di fornire le informazioni richieste, se non in 2 casi: 1. quando si stia procedendo per uno dei delitti di cui art. 407 comma 2° lett. a (es. devastazione, saccheggio, strage, guerra civile, associazione per delinquere); 2. quando il PM abbia disposto, con decreto motivato, per specifiche esigenze attinenti all’attività di indagine, il segreto sulle iscrizioni, per un periodo non superiore a 3 mesi e non rinnovabile (art. 335 comma 3-bis). In questi casi, o quando non siano presenti iscrizioni, la segreteria risponde con la formula: “non risultano iscrizioni suscettibili di comunicazione”; altrimenti al richiedente vanno comunicati i contenuti dell’addebito (qualificazione giuridica del fatto più eventuali aggravanti); • se nel corso dell’indagine il PM deve compiere un atto investigativo garantito, al quale il difensore dell’indagato abbia il diritto di assistere: ad es. interrogatorio, ispezione, individuazione di persone (d.lgs. 15 settembre 2016, n. 184), confronto, accertamento tecnico irripetibile, perquisizione, sequestro, prelievo coattivo di campioni biologici. In questo caso, alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa, deve essere inviato un atto denominato informazione di garanzia, contenente: ü l’indicazione delle norme di legge che si assumono violate; ü l’indicazione della data e del luogo del fatto; ü l’invito a esercitare la facoltà di nominare un difensore di fiducia (art. 369 comma 1°). L’informazione di garanzia va inviata per posta, in piego chiuso raccomandato con ricevuta di ritorno. Il suo mancato invio determina, in assenza di atti equipollenti, la nullità dell’atto investigativo garantito. Sono atti equipollenti: atti del PM prodromici al compimento dell’attività investigativa garantita (es. avviso della data di conferimento dell’incarico al consulente tecnico per accertamenti tecnici irripetibili o l’invito a presentarsi per rendere interrogatorio). L’art. 369 comma 1°, così come modificato nel 1995, attribuisce al PM il potere-dovere di inviare l’informazione di garanzia “solo quando” debba compiere un atto investigativo garantito. La legge del ’95 ha inteso quindi contenere nei limiti dell’indispensabile il pregiudizio all’immagine pubblica dell’indagato; ma tale riforma ha finito per ridurre ai minimi termini anche la portata garantistica dell’istituto, alimentando i dubbi di violazione art. 111 comma 3° Cost. (“nel processo penale, la legge assicura che la persona accusata di un reato sia, nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico”, e “disponga del tempo e delle condizioni necessarie per preparare la sua difesa”); • l’indagato può apprendere di essere stato oggetto di un’investigazione solo all’esito della medesima, nel momento in cui il PM ritiene di aver concluso l’indagine e di avere elementi sufficienti per esercitare l’azione penale. L’art. 415-bis dispone che, prima che scada il termine di durata massima delle indagini, anche se prorogato, il PM, se non deve formulare richiesta di archiviazione, fa notificare alla persona sottoposta alle indagini e al difensore un avviso di conclusione delle indagini preliminari, con l’avvertimento che la documentazione relativa alle indagini espletate è depositata presso la segreteria del PM, e che l’indagato e il suo difensore ne possono prendere visione ed estrarne copia. L’indagato viene così reso partecipe di tutti i contenuti dell’indagine (c.d. discovery degli atti investigativi), e messo in condizione di esercitare una serie di facoltà difensive volte a dissuadere il PM dall’esercizio dell’azione penale. • ultima ipotesi: che l’indagine si chiuda con la richiesta di archiviazione. Se questa viene accolta de plano, è possibile che l’indagato non sappia mai di essere stato oggetto di un’investigazione penale, poiché il decreto di archiviazione va notificato al solo indagato sottoposto a custodia cautelare. Se invece il GIP fissa l’udienza in camera di consiglio (d’ufficio o a seguito di opposizione dell’offeso), l’indagato apprende l’esistenza di un procedimento a suo carico nel momento della notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza camerale. lOMoARcPSD|1202071 86 Protagonista della fase investigativa sul versante oggettivo privato è la persona sottoposta alle indagini, o indagato, che è il soggetto indicato nella notizia criminis quale autore di una condotta criminosa, e nei confronti del quale il PM e la PG effettuano gli accertamenti necessari per le determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale. Tale qualifica si acquista formalmente con l’iscrizione della notizia di reato nell’apposito registro e si perde nel momento in cui diviene definitivo il provvedimento di archiviazione, o nel momento in cui, esercitata l’azione penale da parte del PM, l’indagato assume la qualità di imputato. Un importante ruolo di appoggio e di stimolo all’attività investigativa del PM è affidato dalla legge processuale alla persona offesa dal reato, che è il soggetto titolare del bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice che si assume violata. Ha diritto e facoltà di: - ottenere informazioni circa il contenuto del registro delle notizie di reato; - ricevere l’informazione di garanzia; - nominare un difensore; - presentare memorie e indicare elementi di prova; - partecipare agli accertamenti tecnici irripetibili e agli incidenti probatori; - presentare opposizione alla richiesta di archiviazione; Il danneggiato dal reato (che sia o meno anche persona offesa dal reato), può costituirsi parte civile per l’udienza preliminare. Nel corso delle indagini non gli sono riconosciuti autonomi diritti o facoltà. Anche le altre parti private (responsabile civile e civilmente obbligato per la pena pecuniaria) sono destinate, infine, a entrare in scena solo successivamente all'esercizio dell'azione penale (artt. 83 e 89). 5. Il ruolo del giudice per le indagini preliminari. Nella fase investigativa, l’esercizio delle funzioni giurisdizionali è affidato ad un giudice monocratico, il GIP. Privo di poteri d’iniziativa nella conduzione dell’inchiesta (di qui il nome di giudice “per” le indagini preliminari anziché di giudice “delle” indagini preliminari): egli provvede unicamente nei casi previsti dalla legge, sulle richieste del PM, delle parti private e della persona offesa dal reato. È quindi titolare di una peculiare giurisdizione “senza azione” (attività giurisdizionale che viene esercitata in una fase che precede il promovimento dell’azione penale). Nel corso delle indagini: - interviene in funzione di garanzia di taluni diritti fondamentali dell’individuo, es. quando si tratti di effettuare un’intercettazione telefonica o di applicare all’indagato una misura cautelare; - provvede all’acquisizione anticipata della prova nei casi di incidente probatorio; - supplisce all’assenza di poteri coercitivi del difensore nello svolgimento delle indagini difensive; - controlla che siano rispettati i tempi dell’indagine (nell’ambito della procedura di proroga dei termini investigativi); - controlla che sia rispettato il principio di obbligatorietà dell’azione penale (nell’ambito della procedura di archiviazione della notizia di reato - artt. 408 e ss.). Le funzioni di GIP sono esercitate di regola da un magistrato del tribunale nel cui circondario è stato commesso il reato, sia nell’ipotesi in cui competente per materia sia il tribunale, sia nell’ipotesi in cui sia competente per materia la corte d’assise: ciò significa, ad es., che se nella circoscrizione del Tribunale di Oristano viene commesso un omicidio volontario, di competenza della Corte d'assise di Cagliari, il GIP territorialmente competente è il GIP del Tribunale di Oristano (del resto, titolare delle indagini è la procura della Repubblica presso il medesimo Tribunale). Disciplina derogatoria (art. 328, commi 1-bis, 1-quater): nei procedimenti per i delitti di cui art. 51, commi 3-bis, 3- quater, 3-quinquies, da un magistrato del tribunale del capoluogo del distretto, nel cui ambito ha sede il giudice competente (a prescindere dalla competenza per materia) Per quanto concerne il GUP, la sua competenza territoriale va individuata sulla base dei medesimi criteri. Nell’ambito dello stesso procedimento, GIP e GUP non possono essere la stessa persona fisica, a meno che il coinvolgimento del GIP riguardi solo l’adozione di uno o più provvedimenti o di una o più attività ex art. 34 commi 2- ter (es. autorizzazioni sanitarie) e 2-quater (es. giudice che abbia provveduto all'assunzione dell'incidente probatorio). In questi casi l’attività svolta dal magistrato durante le indagini non è tale da comprometterne l’imparzialità di giudizio nello svolgimento successivo del processo. lOMoARcPSD|1202071 87 6. L’avviso del procedimento: la notizia di reato (unito a), 7. Segue: la iscrizione della notizia di reato nel registro previsto dall’art. 335. Le indagini preliminari prendono formalmente avvio con l’iscrizione della notizia di reato da parte del PM in un apposito registro custodito presso il suo ufficio (art. 335: “Il pubblico ministero iscrive immediatamente, nell'apposito registro custodito presso l'ufficio, ogni notizia di reato che gli perviene o che ha acquisito di propria iniziativa nonché, contestualmente o dal momento in cui risulta, il nome della persona alla quale il reato stesso è attribuito”). L’iscrizione deve avvenire immediatamente dopo aver ricevuto o aver acquisito di propria iniziativa la notizia criminis. Contestualmente vi vanno annotati anche il nome della persona alla quale il reato è attribuito, la qualificazione giuridica del fatto e le circostanze (in senso tecnico) del reato. Qualora la qualificazione giuridica del fatto muti nel corso delle indagini, il PM ne cura l’aggiornamento senza nuove iscrizioni. Il codice non da nessuna definizione di notizia di reato. Essa può essere intesa come qualunque rappresentazione non manifestamente inverosimile di uno specifico accadimento storico, attribuito o meno a soggetti determinati, dalla quale emerga la possibile violazione di una disposizione incriminatrice penale. Non costituiscono notitia criminis le non-notizie o pseudonotizie di reato, ossia tanto le rappresentazioni verosimili di fatti palesemente leciti (es. “Tizio non va a messa tutte le domeniche”), quanto le rappresentazioni di fatti illeciti manifestamente inverosimili per contrarietà a leggi logiche o scientifiche (es. “Tizio ha ucciso Caio pronunciando una formula magica”), o per inconciliabilità con i fatti notori (es. “un mese fa Tizio ha ucciso Caio”, ma Caio è persona pubblica notoriamente viva), ovvero atti o informative del tutto privi di rilevanza penale (quali esposti o ricorsi in materia civile o amministrativa privi di rilevanza penale). Tali informative vanno annotate in un apposito registro definito “registro delle non-notizie di reato” o “modello 45”. In questi casi è consentito all’organo inquirente di astenersi dall’esercitare l’azione penale senza richiedere al GIP l’emanazione di un provvedimento di archiviazione, ma se il PM ne richiede l’archiviazione il GIP è obbligato a provvedere, essendo abnorme il provvedimento con il quale detto giudice dichiari non luogo a provvedere e restituisca gli atti al PM, deducendo l'inesistenza di una notitia criminis dalla sua avvenuta iscrizione nel registro degli atti non costituenti notizia di reato (a maggior ragione, l'obbligo di pronuncia deve ritenersi sussistente per le informative iscritte dal PM nel registro di cui all'art. 335, quando il giudice dell'archiviazione ritenga trattarsi in realtà di non-notizie di reato). PM e PG possono svolgere un'attività di ricerca della notitia criminis, ossia prendere “notizia dei reati” anche di propria iniziativa, rientrando essa nei loro compiti. Il PM può quindi legittimamente impegnare le risorse del suo ufficio in specifiche attività preinvestigative di procacciamento della notizia di reato. Le notitiae criminis non “autoprodotte” dagli organi inquirenti, possono essere presentate direttamente al PM o alla PG, la quale, deve riferirle tempestivamente al PM affinché questi possa procedere alla necessaria iscrizione nel registro di cui art. 335, indicando per iscritto: - gli elementi essenziali del fatto e gli altri elementi fino ad allora raccolti; - le fonti di prova e attività compiute, trasmettendone la relativa documentazione; - quando è possibile, deve indicare generalità, domicilio e quanto altro serva all’identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, della persona offesa e di coloro che siano in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti. Le notitiae criminis ricevute dal PM o dalla PG possono essere qualificate (o nominate o tipiche) ossia disciplinate dalla legge, o inqualificate (o innominate o atipiche), ossia non disciplinate dalla legge. Sono notizie di reato qualificate: denuncia, referto, querela, istanza e richiesta. In quanto tali, non rientrano nel novero degli atti processuali e non sono quindi sottoposti alla relativa disciplina (es. lingua degli atti, termini, ecc.). Le notizie di reato non qualificate, invece, sono quelle che pervengono al PM o alla PG attraverso strumenti di conoscenza diversi da quelli tipizzati dal legislatore. Possono essere: la percezione diretta dei fatti, la voce pubblica, la fonte confidenziale (poste in essere dai c.d. confidenti di polizia che si limitano a dare l’informativa in forma segreta; sono assimilabili agli scritti anonimi e servono quindi solo ad indirizzare le indagini all’acquisizione della notitia criminis), fonte giornalistica (notizie di stampa e di mezzi audiovisivi, che nell’assolvimento dei compiti di informazione possono render noti fatti-reato). lOMoARcPSD|1202071 90 11. Segue: querela, istanza e richiesta di procedimento. Querela: dichiarazione con cui la persona offesa dal reato o un altro soggetto legittimato ad agire nell’interesse dell’offeso a norma degli artt. 120 e 121 c.p. manifestano personalmente, o a mezzo di procuratore speciale, la volontà che il PM proceda in ordine a un fatto di reato che la legge penale sostanziale vieta di perseguire in difetto di querela. Il diritto di querela non può essere esercitato, decorsi 3 mesi dal giorno della notizia del fatto che costituisce il reato. Modalità di presentazione = alla denuncia ex art. 333 comma 2°: vale a dire, è presentata oralmente o per iscritto, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, al PM o a un ufficiale di PG, mentre se è presentata per iscritto, è sottoscritta dal denunciante o da un suo procuratore speciale. Tuttavia la querela è ≠ dalla denuncia. Mentre la denuncia è la segnalazione di un fatto che si ritiene illecito al PM o alla PG, la querela è una dichiarazione di scienza (idonea, come tale, a fungere da notitia criminis se l'indagine preliminare non ha ancora preso le mosse) e una manifestazione di intenti: produce l’effetto di rendere perseguibile il reato cui si riferisce solo quando la volontà di punizione del colpevole sia espressa dal querelante con chiarezza. La rinuncia espressa alla querela è fatta personalmente o a mezzo di procuratore speciale con dichiarazione sottoscritta rilasciata all’interessato a un suo rappresentate, o oralmente a un ufficiale di PG o ad un notaio, i quali, accertata l'identità del rinunciante, redigono un verbale che deve essere sottoscritto dal dichiarante. Tali formalità si estendono anche a remissione (rinuncia alla querela già proposta) e all’accettazione della medesima, da effettuarsi anch'esse personalmente o a mezzo di procuratore speciale e destinate all'autorità procedente o a un ufficiale di PG, che deve trasmetterle immediatamente alla predetta autorità (art. 340 comma 1°). Rimessa la querela, le spese del procedimento sono a carico del querelato, salvo che nell’atto di remissione sia stato diversamente convenuto. Istanza di procedimento: dichiarazione irrevocabile con cui la persona offesa dal reato chiede al PM di procedere per un reato commesso all’estero dal cittadino italiano o dallo straniero, nei casi previsti dagli artt. 9 comma 2 e 10 comma 1° c.p. L’istanza è proposta con le forme della querela. Richiesta di procedimento: atto amministrativo irrevocabile, di natura discrezionale, con cui un’autorità pubblica chiede al PM di procedere per determinati reati. Competente a formulare la richiesta è, di regola, il ministro della giustizia. Tra i reati perseguibili a richiesta del ministro della giustizia, vi sono: • i delitti politici commessi all’estero dal cittadino o dallo straniero; • i reati commessi all’estero dal cittadino o dallo straniero nei casi previsti dagli artt. 9 comma 2° e 3° e 10 comma 1° e 2° c.p.; • i delitti di offesa alla libertà di Capi di Stato esteri e di offesa alla bandiera o altro emblema di Stato estero; • i delitti in materia sessuale richiamati dall'art. 604 c.p. commessi all'estero dallo straniero in concorso con il cittadino italiano. La richiesta di procedimento è presentata al PM con atto sottoscritto dall'autorità competente (art. 342). 12. Segue: autorizzazione a procedere ed autorizzazioni ad acta. L'autorizzazione a procedere è la condizione di procedibilità richiesta per agire penalmente nei confronti: a) del Presidente del Consiglio dei ministri o di un ministro, anche se cessati dalla carica, per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni (c.d. reati ministeriali ex art. 96 Cost.). In questi casi l’autorizzazione è concessa dalla Camera o dal Senato: più esattamente, dal ramo del Parlamento cui appartengono le persone nei cui confronti si deve procedere. La Camera competente può, a maggioranza assoluta dei suoi componenti, negare l'autorizzazione a procedere ove reputi, con valutazione insindacabile, che l'inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell'esercizio della funzione di governo (art. 9 comma 3° legge cost. n. 1 del 1989); b) di un giudice ordinario o aggregato della Corte costituzionale. In questi casi è la stessa Corte costituzionale a concederla o negarla, qualora la reputi infondata o animata da intenti vessatori (c.d. fumus persecutionis); c) dell’autore di uno dei delitti contro la personalità dello Stato (elencati nei primi 3 commi dell’art. 313 c.p.). L’autorizzazione è concessa dal ministro della giustizia; d) dell’autore del delitto di vilipendio ai danni delle Assemblee legislative o di una di queste. Si procede con l’autorizzazione dell’Assemblea vilipesa. L’autorizzazione a procedere, che, una volta concessa è irrevocabile, è rilasciata dall’autorità competente su richiesta del PM. lOMoARcPSD|1202071 91 La richiesta deve essere formulata prima dell’esercizio dell’azione penale, ed entro 30 gg. dall’iscrizione del nome della persona per la quale l’autorizzazione è necessaria, nel registro delle notizie di reato. Se la necessità dell’autorizzazione sorge successivamente all’esercizio dell’azione penale, il giudice sospende il processo ed il PM richiede senza ritardo l’autorizzazione, che si configura, in questo caso, quale condizione di proseguibilità (anziché condizione di procedibilità). Nell’attesa che l’autorizzazione sia concessa, le indagini preliminari possono proseguire, ma incontrano notevoli limiti contenutistici: è fatto divieto di disporre il fermo, misure cautelari personali nei confronti della persona per la quale l’autorizzazione viene richiesta, nonché di sottoporla a perquisizione personale o domiciliare, a ispezione personale, a ricognizione, a individuazione, a confronto, a intercettazione di conversazioni o di comunicazioni. Si può procedere a interrogatorio solo se l’interessato lo richiede (art. 343 comma 2°). Gli atti compiuti in violazione di tale divieto sono inutilizzabili. Tali atti sono invece consentiti, prima della richiesta di autorizzazione, quando la persona è colta in flagranza di uno dei reati previsti dall’art. 380 (es. delitti contro la personalità dello Stato, delitti di devastazione e saccheggio, delitti contro l'incolumità pubblica, delitti di riduzione in schiavitù, delitti di violenza sessuale, ecc.). Dalle autorizzazioni a procedere vanno tenute distinte le c.d. autorizzazioni ad acta, che non condizionano l’esercizio dell’azione penale, bensì l’adozione di provvedimenti coercitivi a carico della persona sottoposta a procedimento penale. Si tratta si autorizzazioni che possono essere negate sul presupposto della ritenuta sussistenza di un fumus persecutionis ai danni dell’inquisito. Esempi: - autorizzazione che va richiesta alla Camera di appartenenza per sottoporre membri del Parlamento a perquisizione personale o domiciliare o a ispezione personale; per arrestarli o privarli altrimenti della libertà personale, o mantenerli in detenzione, salvo che si tratti di dare esecuzione a una sentenza irrevocabile di condanna o il parlamentare sia colto nell'atto di commettere un delitto per il quale è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza; per sottoporli a intercettazione, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni, ad acquisizione di tabulati telefonici e a sequestro di corrispondenza. L'autorizzazione è richiesta dall'autorità che ha emesso il provvedimento da eseguire (PM o giudice): in attesa dell'autorizzazione, l'esecuzione del provvedimento rimane sospesa; - autorizzazione richiesta alla Corte costituzionale per l’arresto di un giudice ordinario o aggregato della stessa; - autorizzazione richiesta al Parlamento europeo per sottoporre un componente italiano di tale assemblea ad arresto, perquisizione, intercettazione, ecc.; - autorizzazione che va richiesta al Parlamento per sottoporre il Presidente del Consiglio dei ministri o un ministro (nei procedimenti per reati ministeriali) a limitazioni della libertà personale, intercettazioni, ecc.; Competente a giudicare i reati ministeriali o quelli del Presidente del Consiglio dei ministri non è la Corte costituzionale, bensì il giudice ordinario, vale a dire il tribunale del capoluogo del distretto di corte d’appello competente per territorio. Nell’ambito di tali procedimenti, le funzioni di PM e giudice si cumulano in uno speciale collegio composto di 3 magistrati effettivi e 3 supplenti. Il collegio procede alle indagini preliminari con i poteri che spettano al PM e compie d’ufficio gli atti del GIP. Esso: • procederà ad archiviazione con decreto non impugnabile (e revocabile solo in presenza di nuove prove), comunicato dal procuratore della Repubblica al presidente della Camera competente a concedere l’autorizzazione a procedere, se la notizia di reato è infondata o se manca una condizione di procedibilità diversa dall’autorizzazione o se il reato è estinto o il fatto non è previsto dalla legge come reato; • se invece non opta per l’archiviazione, il collegio redige e trasmette una relazione motivata al procuratore della Repubblica, il quale la invia alla Camera o al Senato ai fini del rilascio dell’autorizzazione a procedere. 13. L’attività di indagine della polizia giudiziaria: l’obbligo di riferire la notizia di reato (unito a), 14. Segue: le attività investigative tipiche e atipiche (unito a), 15. Segue: l’identificazione della persona sottoposta alle indagini e delle altre persone (unito a), 16. Segue: le sommarie informazioni (unito a), lOMoARcPSD|1202071 92 17. Segue: perquisizioni, accertamenti urgenti, acquisizione di plichi. Oltre a svolgere funzioni investigative nella fase di acquisizione della notizia di reato e nel segmento temporale compreso tra il reperimento della notitia criminis e la sua comunicazione al PM, la PG continua a compiere le attività di indagine “necessarie per le determinazioni inerenti all’azione penale” anche successivamente all’iscrizione della notizia di reato. • Essa raccoglie ogni elemento utile alla ricostruzione del fatto (cose o tracce pertinenti al reato) e all’individuazione del colpevole (o delle persone in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti) anche prima che il PM abbia assunto la direzione delle indagini (c.d. attività autonoma di indagine). • Dopo l’intervento del PM, la PG è invece tenuta a compiere gli atti investigativi ad essa specificamente delegati dal magistrato inquirente (c.d. attività delegata di indagine). • In seguito, la PG esegue le direttive impartite dal PM (c.d. attività guidata di indagine). • Infine, la PG svolge di propria iniziativa tutte le altre attività di indagine per accertare i reati, oppure richieste da elementi successivamente emersi, assicurando le nuove fonti di prova. Di tali attività il PM deve essere prontamente informato (c.d. attività parallela di indagine). Il vincolo di dipendenza funzionale della PG dal PM è meno stretto rispetto all’impianto originale (del codice del 1988), ma non al punto tale da consentire alla PG lo svolgimento di indagini parallele in contrasto con le direttive ricevute, anche se l’eventuale violazione di un simile divieto non avrebbe conseguenze processuali, risolvendosi in un mero illecito disciplinare da parte del funzionario di polizia. Tutti gli atti di competenza della PG vanno compiuti quando se ne realizzano le condizioni: gli ufficiali di PG possono però omettere o ritardare gli atti di propria competenza quando ciò sia necessario per acquisire rilevanti elementi probatori o per individuare o catturare i responsabili di gravi delitti, tassativamente indicati. Tale scelta va comunicata immediatamente al PM, che può disporre diversamente. L’attività di indagine della PG può essere tipica (coincidere con atti investigativi espressamente regolati dalla legge processuale) o atipica. Le indagini atipiche di PG (es. un pedinamento, un appostamento, un sopralluogo, una ripresa video, un ascolto non costituente intercettazione), sono da ritenersi consentite alle stesse condizioni alle quali l’art. 189 subordina l’acquisizione di prove innominate (idoneità ad assicurare l’accertamento dei fatti e assenza di pregiudizio per la libertà morale della persona). Un problema molto delicato si pone allorché tali indagini siano lesive di diritti inviolabili dell'individuo come la libertà personale, l'intimità domiciliare e la segretezza delle comunicazioni. Le indagini atipiche non possono trasformarsi in uno strumento per sottrarsi all’osservanza delle forme stabilite dalla legge per l’attività tipica: ciò significa, ad es., che il funzionario di polizia non potrebbe avvicinare sotto mentite spoglie l'indagato o il potenziale testimone per procedere informalmente a un interrogatorio o a un esame. Solo nel rispetto delle condizioni stabilite dall’art. 9, l. 146/2006 gli ufficiali e gli agenti di PG possono investigare dissimulando la propria identità e lasciandosi coinvolgere nelle stesse dinamiche di programmazione, attuazione, occultamento dei reati oggetto di indagine (c.d. operazioni sotto copertura), consentite al fine di acquisire importanti elementi di prova in ordine a gravi delitti. Sono processualmente legittime solo se disposte dai vertici gerarchici del corpo di appartenenza. Esse debbono essere preventivamente comunicate all’autorità giudiziaria competente per le indagini: modalità, soggetti che vi partecipano e risultati ottenuti vanno comunicati senza ritardo al PM. Nell'ambito delle investigazioni di cui trattasi, i funzionari di polizia, i loro ausiliari ed eventuali persone interposte possono - senza risponderne penalmente - dare rifugio o prestare assistenza ad associati per delinquere, acquistare, ricevere, sostituire od occultare denaro, armi, documenti, sostanze stupefacenti o psicotrope, beni o cose che sono oggetto, prodotto, profitto o mezzo per commettere il reato, ostacolare altrimenti l'individuazione della loro provenienza, consentirne l'impiego, nonché compiere attività prodromiche o strumentali a quelle indicate (art. 9 comma 1° l. n. 146 del 2006). Ulteriore ipotesi di interazione tra organi inquirenti e autori dei reati è data dalle operazioni controllate per il pagamento del riscatto nell'ambito delle indagini concernenti i delitti di cui all'art. 630 c.p. (sequestro di persona a scopo di estorsione) quando sia necessario per acquisire rilevanti elementi probatori ovvero per l'individuazione o la cattura dei colpevoli. Per l'esecuzione di tali operazioni, il PM può richiedere al giudice che sia autorizzata la disposizione di beni, denaro o altra utilità. Sulla richiesta, nella quale devono essere indicate le modalità dell'operazione, il giudice provvede con decreto motivato. Una prima attività tipica della PG è quella di procedere all’identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini e delle persone in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti, allorché fisicamente individuate, ne siano ignote le generalità. lOMoARcPSD|1202071 95 Accertamenti della PG sul contenuto di sistemi informatici o telematici: • in flagranza di reato; • nei casi di cui all’art. 352 comma 2° (quando si deve procedere alla esecuzione di un’ordinanza che dispone la custodia cautelare o di un ordine che dispone la carcerazione nei confronti di persona imputata o condannata per uno dei delitti previsti dall’art. 380 ovvero al fermo di una persona indiziata di delitto), gli ufficiali di PG, adottando misure tecniche dirette alla conservazione dei dati originali e ad impedirne l’alterazione, procedono alla perquisizione di sistemi informatici o telematici, quando hanno il fondato motivo di ritenere che in essi si trovino occultati dati e/o informazioni pertinenti al reato. Acquisizione di plichi e di corrispondenza: quando vi è necessità di acquisire plichi sigillati o altrimenti chiusi, l’ufficiale di PG li trasmette intatti al PM per l’eventuale sequestro. Se ha fondato motivo di ritenere che i plichi contengano notizie utili alla ricerca e all’assicurazione di fonti di prova che potrebbero andare disperse a causa del ritardo, l’ufficiale di PG informa col mezzo più rapido il magistrato inquirente, il quale può autorizzarne l’apertura immediata. L’attività di indagine del pubblico ministero: atti diretti e atti delegati. Ai sensi dell’art. 370 c.p.p. (“Atti diretti e atti delegati”), Il PM personalmente ogni attività di indagine. Può avvalersi della PG per il compimento di attività di indagine e di atti specificamente delegati, ivi compresi gli interrogatori ed i confronti cui partecipi la persona sottoposta alle indagini che si trovi in stato di libertà, con l'assistenza necessaria del difensore. Per singoli atti da assumere nella circoscrizione di altro tribunale, il PM, qualora non ritenga di procedere personalmente, può delegare, secondo la rispettiva competenza per materia, il PM presso il tribunale del luogo. Infine, quando ricorrono ragioni di urgenza o altri gravi motivi, il PM delegato ha facoltà di procedere di propria iniziativa anche agli atti che a seguito dello svolgimento di quelli specificamente delegati appaiono necessari ai fini delle indagini. 18. Segue: il coordinamento investigativo. Molto spesso il PM deve estendere il proprio orizzonte cognitivo anche ad altri fatti illeciti, legati al fatto di reato principale da vincoli di natura probatoria o maturati nel medesimo contesto criminoso. Se tali reati sono ancora oggetto di indagine, ed appartengono alla competenza di un medesimo giudice, e ricorra una delle ipotesi di riunione dei processi (ex art. 17) il titolare dell’investigazione potrà svolgere un’unica indagine. Qualora i reati siano di competenza di giudici diversi, competenti a giudicare i fatti di reato probatoriamente collegati rimangono i giudici individuati sulla base delle ordinarie regole di determinazione della competenza per materia e per territorio: a svolgere le indagini sono i corrispondenti uffici del PM. Tali uffici sono però tenuti a coordinarsi tra di loro, ai fini di speditezza, economia, efficacia delle indagini, attraverso lo scambio di atti e di informazioni, comunicazione delle direttive rispettivamente impartite alla PG, o procedendo congiuntamente al compimento di specifici atti (famoso divenne lo slogan del legislatore: “no ai maxi-processi, sì alle maxi-indagini”). Ai sensi dell’art. 371 comma 2°, l’obbligo del coordinamento investigativo scatta: - se i procedimenti sono connessi a norma dell’art. 12 lett. a) : “se il reato per cui si procede è stato commesso da più persone in concorso o cooperazione fra loro, o se più persone con condotte indipendenti hanno determinato l'evento; b) se una persona è imputata di più reati commessi con una sola azione od omissione ovvero con più azioni od omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso; c) se dei reati per cui si procede gli uni sono stati commessi per eseguire o per occultare gli altri”; - se si tratta di reati dei quali gli uni sono stati commessi in occasione degli altri, o per conseguirne o assicurarne al colpevole o ad altri il profitto, il prezzo, il prodotto o l’impunità, se si tratta di reati commessi da più persone in danno reciproco le une delle altre, o se la prova di un reato o di una sua circostanza influisce sulla prova di un altro reato o di un’altra circostanza; - se la prova di più reati deriva, anche in parte, dalla stessa fonte. Quando il coordinamento non è stato promosso, o non risulta effettivo, il procuratore generale della corte di appello può riunire i procuratori della Repubblica che procedono a indagini collegate, e invitarli a rispettare l’obbligo di cooperazione. Se tali riunioni non hanno dato esito, il procuratore generale presso la corte di appello, assunte le necessarie informazioni, dispone con decreto motivato l’avocazione delle indagini. Per le indagini affidate alle procure distrettuali ex art. 51 comma 3-bis, a garantire il coordinamento effettivo provvede il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. lOMoARcPSD|1202071 96 19. Segue: attività di indagine tipica e atipica. Anche l’attività del PM può svolgersi in forme tipiche o atipiche (non disciplinate dalla legge). Un esempio di atto investigativo atipico è costituito dalla videoripresa occulta, disposta dal PM, di comportamenti umani che non abbiano carattere comunicativo (la videoregistrazione di comportamenti comunicativi è invece ascrivibile al normotipo dell'intercettazione). Nel libro V del c.p.p. sono regolate le attività investigative del PM, del tutto assimilabili, sul piano contenutistico, a taluni strumenti probatori disciplinati nel libro III: es. testimonianza, confronto, esame di persona imputata in un procedimento connesso, ricognizione, perizia. Nell’intento di sottolinearne l’estraneità concettuale dalla prova, il legislatore riserva a tali attività investigative, c.d. atti omologhi di indagine, una denominazione diversa rispetto ai corrispettivi mezzi di prova. La perizia si trasforma dunque nell'accertamento tecnico (artt. 359-360); la ricognizione nell'individuazione di persone e di cose (art. 361); la testimonianza nell'assunzione di informazioni (art. 362); l'esame dell'imputato di reato connesso o collegato nell'interrogatorio del medesimo soggetto (art. 363). Solo il confronto mantiene la stessa denominazione nei 2 diversi contesti procedimentali (artt. 211, 364). 20. Segue: gli accertamenti tecnici. Quando il PM svolge accertamenti, rilievi segnaletici, descrittivi o fotografici e ogni altra operazione tecnica per cui sono necessarie specifiche competenze, può nominare e avvalersi di uno o più consulenti tecnici iscritti nell’albo dei periti (art. 359), i quali non possono rifiutare la loro opera e possono essere autorizzati ad assistere a singoli atti di indagine. Accertamenti tecnici irripetibili. Quando tali accertamenti assumono il carattere dell’irripetibilità (ossia riguardino persone, cose, luoghi il cui stato è soggetto a modificazione per cause naturali, o nel caso in cui sia la stessa attività accertativa a determinarne modificazioni), il PM avvisa, senza ritardo, la persona sottoposta alle indagini, la persona offesa dal reato e i difensori, del giorno, dell’ora e del luogo fissati per il conferimento dell’incarico al consulente tecnico, affinché possano offrire il loro contributo al compimento dell’atto. Essi sono anche avvisati della facoltà di nominare, a loro volta, consulenti tecnici affinché si proceda in contraddittorio all’accertamento (art. 360). La persona sottoposta all’indagine è posta di fronte ad un’alternativa: - può nominare un consulente tecnico; - può formulare riserva di promuovere incidente probatorio, ossia chiedere al giudice che l’accertamento sia effettuato nelle forme più garantite di cui agli artt. 392 ss. In questo caso, il PM è tenuto a disporre che non si proceda agli accertamenti, salvo che questi, se differiti, non possano più essere utilmente compiuti. L'incidente probatorio trova la propria ratio nell'eventualità che risulti necessario anticipare l'attività di acquisizione probatoria alla fase delle indagini preliminari o dell'udienza preliminare, nel rispetto del principio del contraddittorio. Ai sensi del nuovo comma 4-bis dell’art. 360 introdotto dalla l. n. 103/2017, la riserva di promuovere incidente probatorio (che può essere formulata dalla persona sottoposta alle indagini ai sensi del 4° comma) «perde efficacia e non può essere ulteriormente formulata se la richiesta di incidente probatorio non è proposta entro il termine di 10 gg. dalla formulazione della riserva stessa». Fuori del caso di inefficacia della riserva di incidente probatorio prevista dal comma 4-bis, se il PM ha ugualmente disposto di procedere agli accertamenti (nonostante l’espressa riserva dell’indagato) i relativi risultati non potranno essere utilizzati nel dibattimento. La nuova disciplina imprime un’accelerazione alla procedura, per evitare che ricada sul PM il mancato attivarsi della persona sottoposta alle indagini tutte le volte in cui non ricorrano le condizioni indicate nel periodo finale del 4° comma. 21. Segue: il prelievo coattivo di campioni biologici e le indagini genetiche. Nel corso delle indagini penali accade con sempre maggiore frequenza che il profilo genetico ricavabile da un reperto di materiale biologico di provenienza ignota, rinvenuto sulla scena del delitto, su cose pertinenti al reato o sulla persona offesa dal reato, debba essere confrontato con il profilo genetico ricavabile da un reperto o da un campione di materiale biologico appartenente con certezza all'indagato o ad un altro soggetto di cui sia nota l'identità, al fine di verificare se vi sia coincidenza tra i due profili, e se, pertanto, i materiali biologici messi a confronto provengano dalla medesima persona. Una simile comparazione può rivelarsi utile in diverse evenienze. Ad es.: - se sulla scena del delitto, su cose pertinenti al reato o sulla persona offesa viene rinvenuto materiale biologico, e non esistano persone sospettate. In questi casi si potrà verificare se il suddetto materiale biologico appartenga a soggetti che abbiano già commesso reati della stessa indole; lOMoARcPSD|1202071 97 - se esistono più persone sospettate di aver commesso il reato, si potrà verificare se il materiale eventualmente reperito appartenga a taluna di esse; - se non viene rinvenuto materiale biologico, ma esistono una o più persone sospettate, potrà essere utile verificare se il materiale biologico rinvenuto sulla scena di altri analoghi delitti rimasti irrisolti appartenga a taluna di esse. La materia è stata regolata dalla l. n. 85/2009. Sono stati istituiti: • la banca dati nazionale del DNA, presso il Ministero dell’interno, Dipartimento per la pubblica sicurezza. Il compito della banca dati nazionale è quello di raccogliere i profili del DNA - provenienti dal laboratorio centrale, ma non solo - ed effettuare gli opportuni raffronti. Essa in particolare raccoglie: 1. i profili del DNA dei soggetti di cui all’art. 9, l. n. 85/2009, nella fattispecie: ü i soggetti ai quali sia applicata una misura cautelare o precautelare; ü i soggetti arrestati in flagranza di reato o sottoposti a fermo di indiziato di delitto; ü i soggetti detenuti o internati a seguito di sentenza irrevocabile, per un delitto non colposo; ü i soggetti nei confronti dei quali sia applicata una misura alternativa alla detenzione a seguito di sentenza irrevocabile, per un delitto non colposo; ü i soggetti ai quali sia applicata, in via provvisoria o definitiva, una misura di sicurezza detentiva. Essi sono sottoposti a prelievo di campioni di mucosa del cavo orale a cura del personale specificamente addestrato delle forze di polizia o di personale sanitario ausiliario di PG. Il campione è immediatamente inviato al laboratorio centrale per la tipizzazione del profilo e la successiva trasmissione del medesimo alla Banca dati nazionale del DNA. Per ragioni di tutela della privacy, laboratorio e banca non possono conservare a tempo indefinito i campioni biologici ed i profili del DNA. Se campione e profilo provengono da un soggetto non ancora definitivamente giudicato e il processo si conclude con sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste, perché l'imputato non lo ha commesso, perché il fatto non costituisce reato o perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, è disposta d'ufficio la cancellazione dei profili del DNA e la distruzione dei relativi campioni biologici (idem, deve ritenersi, quanto meno nell'ipotesi di assoluzione a seguito di revisione e di revoca della sentenza per abolitio criminis). Negli altri casi, il profilo genetico non potrà essere conservato nella banca per più di 40 anni dall’ultima circostanza che ne ha determinato l’inserimento; il campione biologico non potrà essere conservato nel laboratorio per più di 20 anni dall’ultima circostanza che ne ha determinato il prelievo. Cancellazione e distruzione sono invece immediate se le operazioni di prelievo sono state eseguite in violazione dell'art. 9 (ad es., nei confronti dell'imputato o del condannato per un reato per il quale non è consentito l'arresto in flagranza); 2. i profili del DNA relativi a reperti biologici acquisiti nel corso di procedimenti penali. A differenza del campione biologico, che è una quantità di sostanza biologica prelevata sulla persona, il reperto biologico è un materiale biologico acquisito sulla scena di un delitto o comunque su cose pertinenti al reato (di solito, materiale biologico di provenienza ignota). Ove già si disponga di reperti acquisiti in tale forma e si voglia scoprire se appartengano all'indagato, un diffuso stratagemma investigativo è quello di sequestrare oggetti utilizzati dal medesimo (come un indumento, un pettine, un bicchiere ecc.) per rilevarne le tracce genetiche ed effettuare il confronto; 3. i profili del DNA di persone scomparse o loro consanguinei, di cadaveri e resti cadaverici non identificati: vanno cancellati se la persona sia stata ritrovata o se i resti siano stati identificati; • il laboratorio centrale per la banca dati del DNA, presso il Ministero della giustizia, Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Il compito del laboratorio è analizzare materiali biologici per ricavarne la sequenza alfanumerica del DNA caratteristica ed esclusiva di ogni singolo individuo (c.d. tipizzazione del profilo genetico). Molto spesso, tipizzazione e raffronto avvengono all’interno del processo, senza necessità di ricorrere alla banca dati nazionale, mediante lo strumento dell’accertamento tecnico. Per procedere al raffronto, è necessario che il PM acquisisca materiali biologici appartenenti ai sospettati, mediante: ü sequestro di oggetti che si ritiene conservino tracce dell’interessato; ü con il consenso dell’interessato; ü con il prelievo coattivo del campione, nel caso non si realizzino le condizioni di cui sopra (esso comporta una limitata aggressione alla libertà personale, che va regolata dalla legge nel rispetto art. 13 Cost.).
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