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Complex tv: tv e tecniche dello storytelling delle serie tv di Jason Mittel, Schemi e mappe concettuali di Storia Della Radio E Della Televisione

Riassunto completo del libro Complex tv: teorie e tecniche dello storytelling delle serie tv Jason Mittel

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2021/2022

Caricato il 10/01/2023

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Scarica Complex tv: tv e tecniche dello storytelling delle serie tv di Jason Mittel e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia Della Radio E Della Televisione solo su Docsity! 1 COMPLEX TV TEORIA E TECNICA DELLO STORYTELLING DELLE SERIE TV 1) LA COMPLESSITÁ E IL SUO CONTESTO Nell’ultimo ventennio si è sviluppato il modello della complessità narrativa, un nuovo modello di racconto, alternativo alla forma a episodi e a quella seriale della tv americana; esempio di questa forma di narrazione sono Lost, X-Files, HIMYM. La HBO ha costruito la sua reputazione e il suo successo economico su serie complesse come I Soprano, Six Feet Under, Il torno di spade, tutte queste serie raccontano le storie in un modo alternativo a quello consueto in ambito tv. Ma perché c’è questa differenza? Per capire lo storytelling della tv di oggi bisogna considerare la complessità narrativa come un modello narrativo a se stante, Bordwell definisce modello narrativo: “un’insieme storicamente identificato di regole per la costruzione e la comprensione di una narrazione”, identifica modelli cinematografici specifici come il cinema classico di Hollywood, il cinema d’essai e quello del materialismo storico, ognuno dei quali ha distinte strategie narrative, ma si rifà agli altri per costruire le proprie specificità. Il cinema ha influenzato molto la tv e il suo stile visivo, ma il modello narrativo delle serie tv è diverso, la complessità narrativa dipende da elementi dello storytelling specifici di questo formato, che lo differenziano da cinema e letteratura e anche dalle serie episodiche e dei seri convenzionali, nelle serie tv gli elementi chiave sono la continuità e la serialità. La poetica delle serie tv complesse La complessità narrativa ridefinisce le forme a episodi in accordo a una narrazione seriale, cercando un equilibrio tra i due modelli; la complessità narrativa dà vita a storie continuative che spaziano tra generi. Le narrazioni complesse di oggi sono molto diverse dai loro archetipi novecenteschi, e si sono sviluppate sulla base di numerose innovazioni emerse a patire dagli anni 70, questo nuovo modello non è uniforme e normato, ma è comunque possibile raggruppare un numero crescente di programmi che rifiutano le conversioni delle serie ad episodi e dei serial, proponendo una vasta gamma di affascinanti alternative. I prototipi della tv complessa cono apparsi negli anni 90, la serie cult X-Files è il punto di svolta della complessità narrativa: interazione tra necessità dello storytelling a episodi e di quello seriale, co-presenza di episodi autoconclusivi e una macrostoria a lungo termine; è difficile trovare un equilibrio tra queste due forme. Buffy e Angels sono delle serie che hanno trovato maggior equilibrio con la coesistenza del formato a episodi e di quello seriale: all’interno di una data stagione, ogni episodio aggiunge qualcosa alla macrostoria, ma ha anche una sua coerenza interna e una sua conclusione. Entrambe le storie intrecciano drammi relazionali ed evoluzione dei personaggi con le varie sottotrame e macrostorie. Altre serie hanno elaborato un proprio modello per riuscire a inserire elementi della macrostoria all’interno di un episodio della struttura chiusa. Alcune serie che adottano questo modello si oppongono alle regole della serialità, e ricorrono a strategie narrative che rifiutano la convenzionalità della forma ad episodi. Si ha un massiccio utilizzo di inside jokes, riferimenti metanarrativi e sottotrame fisse, che richiedono la conoscenza degli antefatti; l’apprezzamento dell’universo narrativo da parte dello spettatore aumenta di pari 2 passo con la comprensione delle citazioni interne, per comprendere le singole storie non è necessario sapere qualcosa della macrostoria. Seinfeld presenta un alto livello di complessità narrativa, si rifiuta di attenersi alle regole su conclusione, risoluzione e distinzione delle sottotrame tipiche della forma ad episodi. Seinfeld come Malcom e I Simpson ricorrono alla forma ad episodi mettendone in discussione alcune convenzioni, come il ritorno all’equilibrio iniziale o la continuità delle vicende, alcune sottotrame vengono portate aventi, altre no. I Simpson ad esempio rifiutano la continuità, solo poco “trasformazioni” verranno portate avanti in un’ottica seriale. Queste comedy adottano le norme seriali in maniera selettiva intrecciano alcuni eventi con gli antefatti e archiviando altri momenti nel dimenticatoio. Gli spettatori accolgono la mutevolezza delle norme intrinseche come una delle attrattive di queste comedy complesse. Ciò dimostra che oggi la serialità narrativa non può essere ridotta alla continuità di una trama, ma va considerata come una variabile sfaccettata, che può offrire vari risvolti narrativi. Scomponendo la serialità nei quattro elementi costituitivi principali di una narrazione seriale (mondo narrativo, personaggi, eventi e temporalità), notiamo subito come anche le serie più episodiche siano comunque serializzate. Quasi tutte le serie tv finzionali hanno un proprio universo narrativo e propri personaggi che costituiscono un importante elemento di continuità. Anche serie tv considerate ad episodi (Law e Order, Due uomini e mezzo) hanno un mondo narrativo coerente e personaggi fissi che permettono agli spettatori di riconoscere i luoghi e le persone già incontrati nelle puntate precedenti. Quando si parla di materiali serializzati, si pensa più all’accumularsi di eventi narrativi tra loro connessi che alla presenza costante e coerente di un universo narrativo popolato da personaggi fissi. Ci aspettiamo che ciò che succede in un singolo episodio venga ricordato dai personaggi negli episodi successi, lasciando traccia nel mondo narrativo. Esistono serie autoreferenziali che riconoscono questa mancata storicizzazione degli eventi (esempio: South Park – Kenny muore in ogni episodio e torna nel successivo). Le serie nelle quali li eventi narrativi si accumulano, dimostrano ciò, tramite i ricordi dei personaggi, creando continuità nei dialoghi e nelle azioni. Spesso può capitare che gli spettatori abbiano ricordi più nitidi di quelli dei personaggi o dell’universo narrativo, questo li disorienta: “come è possibile che il personaggio non si ricordi?” Una tv seriale deve comunicare le sue norme intrinseche allo spettatore, in questo modo quest’ultimo sa quanto livello di continuità aspettarsi dalla serie. Non tutti gli eventi narrativi possono essere integrati nella macrostoria, esistono eventi maggiori (nuclei, imprescindibile per il funzionamento della trama) ed eventi minori (satelliti, possono essere omessi senza inficiare la comprensione della storia). Una delle attrattive di una narrazione serializzata risiete proprio nell’invogliare lo spettatore a chiedersi se un dato evento si rivelerà un nucleo o un satellite. A riguardo citiamo “il fucile di Čechov” assioma dello storytelling: se nel primo atto di una storia si vede un fucile, questo entro la fine dovrà aver sparato. Secondo Chatman, il fucile di Čechov è un nucleo inizialmente proposto come satellite. Sono gli eventi maggiori a far avanzare la storia, ma con ripercussioni sempre diverse. Molti nuclei sono eventi obiettivi che modificano la storia in modo evidente; questi eventi si ripercuotono sull’insieme dei personaggi e modificano gli equilibri dell’universo narrativo. Che ripercussioni avrà tutto ciò sulla macrostoria? Non vengono lasciati dubbi su ciò che è successo, per cui possiamo dire che questi eventi sono asserzioni narrative (sollecitano spesso la domanda “e adesso?”). Al contrario alcuni eventi fungono da enigmi narrativi, poiché non chiariscono cosa sia realmente 5 narrativa in televisione è stato la graduale legittimazione del mezzo e il conseguente aumento di attrattività dei suoi autori. La televisione ha la reputazione di medium ideale per il producer, un ambiente nel quale gli autori possono mantenere il controllo sul proprio lavoro più di quanto avvenga nel cinema. In più, con la diffusione dei reality, gli autori televisivi sembrano ancora più propensi a ricorrere alle innovazioni per dimostrare che alcune cose si possono fare soltanto in una serie televisiva; la complessità narrativa inoltre mette in evidenza i limiti dei reality, perché sfoggia un controllo della trama difficilmente accessibile ai producer di questo genere televisivo. È impossibile in un film di 2 ore raggiungere lo stesso approfondimento dei personaggi di una serie tv, a riguardo prendiamo come esempio il film Sereny (diretto da Joss Whedon) che riprende la narrazione della serie Firefly, comprimendone la trama in due ore e sacrificandone la molteplicità del racconto. Anche la televisione ha aspettato a lungo prima di adottare la complessità. La televisione commerciale americana ha sempre evitato le scelte rischiose, inseguendo piuttosto la stabilità economica attraverso strategie e al “contenuto meno sgradevole possibile” (least objectionable content). Per anni l’industria della televisione ha tratto enormi profitti dalla produzione di programmi come sitcom e procedural drama. I network preferivano proporre in prima serata programmi ad episodi e quindi non continuativi, per via della syndication (repliche mandate in onda in qualsiasi ordine). I meccanismi narrativi della televisione pongono inoltre alcuni limiti cruciali al modo in cui si può raccontare una storia. La televisione commerciale prevede un sistema di programmazione strutturato in modo ferreo: può ospitare episodi settimanali di una specifica durata, interrotti da intervalli pubblicitari; ogni stagione deve avere un numero specifico di episodi, con un piano di programmazione variabile. Una serie tv viene guardata mentre è ancora in produzione; quindi, ciò permette di apportare modifiche in corso d’opera. Tutto ciò oltre a differenziare il racconto televisivo da quello degli alti medium, limita il modo in cui le storie possono essere raccontate. A differenza di quadi ogni altro medium narrativo, la tv commerciale americana si basa su quello che possiamo definire un “modello infinito” di racconto, per il quale una serie ha successo solo se non si ferma mai, i programmi americani vanno avanti fino a quando producono indici d’ascolto soddisfacenti; gli autori devono quindi progettare universi narrativi che possano durare anni, questa necessità di predisporsi ad una forma infinita privilegia la forma ad episodi, che presenta poca continuità e pochi sviluppi a lungo termine. Un graduale cambiamento delle possibilità narrative si è avuto solo negli anni ’90, di pari passo a una serie di innovazioni industriali e tecnologiche. Con l’aumento del numero dei canali, e la diminuzione del pubblico di ogni singolo programma, i network e i canali televisivi si sono resi conto che è sufficiente che una serie sia seguita da un pubblico piccolo ma dedico e costante, affinché questa seria sia economicamente sostenibile. Molti programmi complessi, come West Wing o I Simpson, sono pensati per attrarre una nicchia di spettatori più sofisticati tra colore che di norma non guardano la televisione. Serie tv complesse come The Wire, Deadwood e Curb Your Enthusiasm possono anche non aver raggiunto la popolarità de I Soprano, ma resta che il loro prestigio ha rinforzato l’identità del premium cable HBO, riconoscendolo come contenitore di prodotti sofisticati. Per i canali basic cable, alcune serie tv complesse e prestigiose (The Shield, Justified, Breaking Bad) hanno contribuito a legittimare questi canali e ad attrarre producer e spettatori. Ma poiché i canali via cavo ottengono un introito 6 fisso per ogni abbonato, le serie high concept possono essere utili ad innalzare lo status e le tariffe, al di là del fatto che quei titoli non producano molti utili in termini di pubblicità. Oggi il pubblico tende a seguire i programmi complessi con maggiore dedizione di quanto non faccia con i programmi tradizionali, costruendo solide community di fan che danno il loro feedback. I sono forum all’interno dei quali si fanno riflessioni, commenti e critiche sulle singole puntate; vi partecipano anche gli autori che li usano per verificare la comprensione e la soddisfazione legata alle loro serie. Steven Johnson sostiene che questa forma di complessità ha offerto agli spettatori un allenamento cognitivo che incrementa la capacità di problem-solving e di osservazione: questo tipo di racconto spinge gli spettatori ad appassionarsi alla seria in modo più attivo, e offre una gamma di gratificazione e attrattive più ampia di quella della maggior parte dei programmi convenzionali. La pubblicazione di contenuti televisivi n formato home video ha consentito una modalità di visione che ha rivoluzionato il ruolo occupato dalle serie tv nello scenario culturale, nonché le possibilità narrative a disposizione degli autori. Inizia a subentrare il controllo da parte dello spettatore sia per quanto riguarda i cofanetti si per quanto riguarda le registrazioni VHS di quello che veniva trasmesso in tv. Però è importante non dimenticarsi che le registrazioni VHS e i DVD costituiscono soltanto l’archivio di un evento già accaduto, i contenuti registrati sono legati al momento e al luogo della prima trasmissione, con elementi identificativi del canale e la pubblicità, quindi con un ritmo creato per innalzare gli indici di ascolto e la fidelizzazione dello spettatore. Con i cofanetti dvd, una serie tv diventa un oggetto tangibile e ciò contribuisce ad accrescerne il valore culturale, emancipandolo dalla programmazione controllata dell’industria. La collezionabilità, con la fisicità crea i presupposti per una parità estetica che la logica della trasmissione effimera non avrebbe mai permesso. Il cofanetto dvd ha modificato il modo in cui gli spettatori guardano le serie tv. Spostandosi dal modello bradcasting a quello editoriale. Si dà la possibilità allo spettatore di decidere come e quando guardare una serie tv; questo modello è di enorme aiuto alla continuità narrativa, infatti, lo spettatore può avvalersi della stessa flessibilità narrativa concessa da un libro. Attraverso l’utilizzo del rewind o del fermo immagine si controlla il tempo sullo schermo, ciò permette di analizzare immagini più complesse e confrontarsi con le community. I cofanetti dvd rendono definitiva ed ufficiale la versione pubblicata (spesso in tv sono accorciate). La pubblicazione consente di apportare correzioni che perfezionino la coerenza interna. I dvd possono anche contenere materiale eliminato per via di limiti temporali e contenutistici. Inoltre, i dvd possono non tenere conto della versione della puntata pilota andata in onda originariamente, riaffermando la volontà dell’autore sul controllo del network e compiendo un altro passo in avanti verso la legittimazione del medium. Nel caso di molte serie, la maggiore autonomia degli spettatori ha aumentato notevolmente lo spettro delle possibilità narrative alle quali un autore può attingere, gli spettatori così hanno una visione più immersiva ed attenta. In serie con numerosi cliffhanger la versione in dvd diventa una corsa all’appagamento, generando binge viewing. La possibilità di collezionare una serie permette allo spettatore di vederla diversamente, di comprendere i valori estetici tradizionalmente associati ad alcune forme culturali. I cofanetti soddisfano il bisogno di coesione e complessità, il passaggio a questa fruizione però, fa perdere alcuni aspetti dell’estetica di una serie. La visione accelerata in dvd permette agli spettatori di rendersi conto quali situazioni rimangono irrisolte, al contempo il binge watching non permette non permette di concentrarsi sulla risoluzione degli enigmi della serie (fatto su forum e 7 community. Questo tipo di coinvolgimento è possibile quando gli spettatori guardano una serie contemporaneamente). Certe abitudini di visione collettiva non riguardano solo ed esclusivamente la televisione: nell’Ottocento i lettori discutevano regolarmente dei romanzi a puntate, chi leggeva successivamente il romanzo rilegato non poteva vivere questa esperienza; allo stesso modo, l’esperienza di visione di una serie tv è effimera se paragonata a quella ripetibile legata a un prodotto confezionato. Sean O’Sullivan sostiene che l’intervallo tra le puntate è un elemento costitutivo di una narrazione seriale, uno spazio nel quale sia gli autori che i lettori possono immaginare gli sviluppi di una storia e gli eventi passati; anche se chi guarda una serie tv in dvd o streaming può ricreare questi intervalli, il modello di consumo di materiale audiovisivo confezionato spinge comunque lo spettatore a continuare a guardare il prodotto finché il tempo glielo concede. Per quanto la trasmissione nel palinsesto sia arbitraria e artificiale, questa ha il vantaggio di creare quello schema di consumo collettivo e simultaneo che concede il tempo di riflettere sull’universo narrativo. La complessità narrativa, quindi, dipende dall’interazione tra strategie industriali, tecnologie, modalità di fruizione e scelte creative. Grazie alle nuove tecnologie, gli spettatori hanno un ruolo attivo nel consumo della tv complessa, che aiuta a prosperare all’interno dell’industria dei media. L’estetica funzionale e lo storytelling spettacolare La tv complessa racchiude, in un solo insieme, una quantità di variazioni della forma seriale non concesse dal formato tradizionale, una variabilità resa possibile da innovazioni industriali, tecnologiche e di consumo. Inoltre possiede uno storytelling mediamente più autoreferenziale di quello che caratterizza la tv tradizionale. Nelle serie tv tradizionale gli episodi contengono due o più trame complementari: trama principale A, che domani il tempo dello schermo e trame secondarie B, che fungono da parallelo tematico o da contrappunto ad A, ma che raramente interagiscono con questa a livello di azione; la complessità stravolge questa regola, alterando la gerarchi tra le diverse trame e raccontando storie intrecciate che spesso alla fine collidono e coincidono, trasformando la narrazione in un meccanismo di inside jokes (questo modo è presente in Curb Your Enthusiasm, Arrested Developement, C’è sempre il sole a Philadelphia). Gli spettatori di comedy complesse non si interessano solo alle trame, ma apprezzano anche i meccanismi creativi, ovvero la capacità dei producer di creare strutture narrative complesse. Jeffrey Sconce definisce la modalità di fruizione degli spettatori come “metariflessiva”. Questo tipo di intrattenimento richiamo il concetto di Neil Harris secondo cui gli spettatori non si chiedono cosa succederà ma come ha fatto a farlo. Lo spettatore guarda comunque la serie per capire come gli autori hanno sviluppato i meccanismi narrativi per far convogliare insieme le sottotrame. Questo tipo di costruzione delle trame comporta un certo livello di autoconsapevolezza, che si manifesta sia nell’esplicita metanarratività di queste serie, sia nella modalità di visione dei loro spettatori. Non si guardano queste serie solo per essere trasportati in un universo narrativo, ma anche per stupirci dell’abilità necessaria per far funzionare questi “giochi” narrativi. La televisione complessa propone una nuova modalità di spettacolo (rispetto agli effetti speciali del cinema): L’effetto speciale narrativo. Questo espediente di ha quando una serie tv fa del suo meglio per confondere e stupire lo spettatore (salti temporali, flash-forward, aggiunta di un 10 presentandone le strategie narrative in modo da permetterci di entrare in sintonia con lo stile del racconto. (Esempi di tipologie narrative di puntate pilota: Twin Peaks, Arrested development, HIMYM, Alias, Pushing Daisies, 24, Terriers – Cani sciolti, Six Feet Under, Awake … p.90 – 102). La puntata pilota di Veronica Mars Una puntata che riesce a presentare più di una dozzina di personaggi e rapporti, ad anticiparci molti antefatti, a identificare un genere a metà tra il teen drama e il noir, crea un’atmosfera che unisce suspense, umorismo irriverente, dramma relazionale e scorcio sociale. Per comprendere le strategie informative e motivanti impiegate da Veronica Mars dobbiamo guardare molto da vicino i meccanismi e la struttura della puntata pilota. 22 settembre 2004: primo episodio della serie mandato in onda su Upn, diverso dal primo episodio della serie del cofanetto dvd. Upn: l’episodio inizia in un parcheggio assolato del liceo di Neptune accompagnato da un fuoricampo della voce di Veronica. DVD: Veronica è in auto davanti al Camelot Motel, voce fuoricampo in stile noir, richiama la strategia del cold open. La decisione di Upn di eliminare il cold open iniziale era sicuramente finalizzata a rendere la puntata di più immediata comprensione. L’inizio della puntata Upn fa presuppore che si parlerà di un teen drama (inizio parcheggio liceo), diversa dalla versione dvd che fa presuppore vi sia un’attività investigativa in linea con il noir. In questa versione Veronica si trova fuori dal motel e c’è una voce fuori campo (che corrisponde ai suoi pensieri rispetto a ciò che vediamo sullo schermo). Nella scena compaiono un gruppo di motociclisti, la musica accelera come il montaggio. Il gruppo rivolge parola a Veronica, a seguire arrivano i titoli di testa. In meno di 1 minuto e 40 secondi l’intro ci ha fornito una grande quantità di informazioni e di contesti che ben rappresentano e anticipano la serie nella sua interezza. Lo stile neo-noir serve ad impostare un registro cinico ed investigativo, attraverso una narrazione intelligente che propone un modo più sofisticato di guardare una crime story. questi due inizi rivelano la sfida principale di qualsiasi puntata pilota: dimostrare che una serie è sia originale sia abbastanza familiare da risultare accogliente, centrando il delicato equilibrio tra somiglianza e differenza che struttura tutta la tv mainstream. Entrambe le versioni informano gli spettatori sulle norme del programma e gli invogliano a proseguire la visione, è chiaro che i due approcci si rivolgono a diverse sottocategorie di pubblico. Un elemento che diventa presto chiaro è che Veronica Mars racconterà la sua storia ricorrendo alle tecniche della complessità narrativa. Il pilota contiene una serie di segnali distintivi di questa modalità: una voce fuori campo rivolta allo spettatore, frequenti flashback e salti temporali, un’indagine a lungo termine e sottotrame che attraverseranno l’intera stagione, andando anche oltre. Dopo i titoli di testa veniamo riportati nell’universo narrativo della serie, scena davanti al liceo, con voce fuori campo e tono ottimista. La versione dvd aggiunge una scritta: “venti ore prima”, in questo modo veniamo riorientati all’interno della storia e da questo momento in poi le due versioni diventano pressoché identiche fino alla fine dell’episodio. La voce fuoricampo di veronica mette in chiaro che stiamo “riavvolgendo” e nel corso dell’episodio ci sarà un’esplicita segmentazione della storia in una serie di domande e risposte (o “narrativa erotetica” (Noël Carroll). Con la narrazione posta come se fosse una sequenza di domande, Veronica Mars ci informa che ricorrerà a una narrazione complessa, ma che si assicurerà della nostra comprensione. 11 Solo nel corso del primo episodio sono presenti 8 flashback, che ne occupano più del 20% della durata. Il suo uso è in buona parte descrittivo, ci informa sul passato dei personaggi e sugli antefatti. Questi flashback sono fondamentali per impostare la macrostoria, pongono tre domande che saranno alla base delle sottotrame intorno alla quale verranno imbastiti gli enigmi. (Chi ha ucciso Lily? Chi ha violentato Veronica? Perché sua madre ha abbandonato la famiglia?). L’uso dei flashback esplicativi permette alla puntata pilota di stabilire una norma intrinseca della serie e dimostra quanto la strategia della puntata pilota possano essere anomale rispetto al resto della serie. I flashback sono ben demarcati e densi di informazioni, si nota differenza tra flashback e tempo della diegesi: nel primo flashback si notano tonalità più fredde, un effetto sfumatura ed alcune striature, tutti elementi che la differenziano dalla scena. Anche la musica cambia, passando da un delicato arpeggio di sottofondo a un brano cantato con una certa emotività, sono elementi tecnici che servono a demarcare il confine tra flashback e presente. Non viene lasciata alcuna ambiguità sui salti temporali. Il secondo flashback è soggettivo, motivato da un ricordo innescato e non da un racconto esplicativo. Questo flashback solleva la domanda sulla madre di Veronica. Il flashback successivo invece, include le rivelazioni più significative riguardo la macro-trama principale della serie, l’omicidio di Lilly, migliore amica di Veronica. Nel flashback Lilly confida di avere un segreto, che inizialmente non risulta come enigma narrativo, ma acquisirà importanza quando veronica comincerà a risolvere il caso. Il tono di veronica nel raccontare gli eventi è distaccato e descrittivo, come se non fosse coinvolta; questo flashback ci aiuta a identificare il ruolo narrativo della voce fuoricampo; sembra che Veronica si stia rivolgendo a un pubblico interno al suo mondo narrativo dando per scontata la conoscenza di eventi. Veronica spiega il suo punto di vista e ci chiede di accompagnarla nelle sue avventure. Inserisce lo spettatore all’interno del mondo narrativo, trasformandolo in una componente importante per la diegesi. I flashback successivi vengono tutti innescati da domande esplicite, lungo il pilota alcune domande preludono risposte immediate che aiutino lo spettatore a orientarsi nel presente, mentre altri pongono quesiti a lungo termine che li invoglino a seguire la serie nella speranza di scoprirne le risposte. I flashback ci informano inoltre di alcuni legami tra i personaggi. Com’è tipico di ogni puntata pilota, l’episodio presenta un certo numero di personaggi e relazioni, canalizzando su di esse la nostra attenzione. Il tempo totale di presenza in ogni scena di ogni personaggio è variabile, ed è correlata all’importanza di esso sia nella storia sia nel rapporto con veronica. Il pilota anticipa anche l’importanza che sarà data alle diverse sottotrame: benché, come molte puntate pilota, dedichi più tempo a presentare ambientazioni, personaggi e relazioni, l’episodio riesce anche a darci informazioni su diversi eventi narrativi e sottotrame. In genere un episodio di Veronica Mars presenta una trama autoconclusiva A, riguardante un’indagine risolta nell’arco della puntata, affiancata dalle trame B e C, che riguardano invece enigmi e relazioni che si protrarranno nel corso della serie. Il pilota però presenta 6 sottotrame che si intrecciano sia in termini di eventi che di temi. L’intreccio permette di istruire gli spettatori su come dovranno guardare la serie. Le trame del pilota ci rivelano che Veronica sa sempre qualcosa in più degli spettatori. Nella maggior parte degli episodi, i casi autoconclusivi servono a confermare l'abilità investigativa di Veronica, e hanno più che altro la funzione di giochi rivolti agli spettatori che vogliono indovinare il colpevole, le dinamiche del fatto o le strategie investigative di Veronica. 12 Nelle trame a lungo termine Veronica scopre gli eventi con gli spettatori. Il suo approccio investigativo consiste nel porre delle domande e rispondervi, e lo storytelling del programma rispetta questa prassi. Questa sequenza di domande ha la funzione di impostare la macrostoria della stagione e di garantire che tutti i temi avranno una conclusione. Gli archi narrativi a lungo termine si dividono in due categorie: quelli che pongono degli enigmi e quelli che seguono lo sviluppo dei personaggi e dei loro rapporti, che a primo impatto potrebbero sembrare già definiti. Queste diverse modalità danno adito a diversi livelli coinvolgimento e diverse domande. I plot emotivi che parlano di rapporti umani e ci invogliano a chiederci “cosa succederà?”. Per contro, gli enigmi esortano la domanda “Cos'è davvero successo in passato?”, privilegiando una modalità investigativa fatta di ricerche, collegamenti degli indizi e formulazioni di ipotesi. Le due modalità narrative sono legate agli stilemi ei generi narrativi (generes) e della rappresentazione di genere (gender); la scelta del cast pone l’equilibrio tra queste due modalità al centro della serie. C’è un approccio atipico alle norme sulla rappresentazione di genere all’interno della serie, e lo si denota anche nella pilota. Il pilota di Veronica Mars ci spiega come guardare la serie, instrada le nostre aspettative e ci invoglia seguirla. Usa più flashback, voci fuori campo e descrizioni degli episodi successivi, ma presenta anche allo spettatore molte di quelle norme di tono, stile e contenuti che diventeranno in seguito una costante. È una delle puntate pilota più efficaci della televisione complessa, riesce sia a presentare la storia e le tecniche con cui sarà raccontata, sia ad intrattenere gli spettatori, rimanendo comunque parte integrante della serie. Il suo pilota rimare una pietra miliare nello storytelling seriale. 3) AUTORIALITÀ Nel 2000 Buffy l’ammazavampiri ha avuto una crisi mistica, avvenne un colpo di scena che ha minato l’integrità del programma; La crisi è stata innescata dall’introduzione di un nuovo personaggio (Dawn sorella di Buffy) nei minuti finali della prima puntata della quinta stagione. La ragazza è diventata uno dei personaggi principali senza che la sua apparizione venisse spiegata in qualche modo, gli altri personaggi si comportano come se Dawn avesse sempre fato parte del mondo narrativo della serie. Trattando Dawn come un qualsiasi personaggio fisso e non come una new entry, la serie ha messo alla prova la fiducia dei suoi spettatori nel mondo di finzione di 4 stagioni, ponendo un enigma narrativo (su chi o cosa fossa realmente Dawn) che avrebbe trovato risposta soltanto nella quinta puntata della stagione. Joss Whedon è il creatore, producer, sceneggiatore e spesso regista di Buffy. Il ruolo dell’autore può essere approfondito attraverso l’analisi di tre aspetti correlati: 1) “Come funziona l’autorialità nella televisione seriale?” si spiega come vengono stabiliti i parametri della creatività e affronta il contrasto tra la realtà collaborativa dei producer e l’idea romantica di un singolo autore, incarnata dal concetto di show runner. 2) Come le nozioni circolano nei discorsi culturali e la cola comprensione dell’autorialità televisiva da parte del pubblico. 3) In che modo gli spettatori si rapportano all’autorialità televisiva, considerato che per loro è fondamentale immaginare la presenza di un autore che li aiuti a comprendere al meglio la serie. 15 Possiamo considerare l’autorialità come uno dei prodotti della programmazione televisiva, delle sue dinamiche industriali e della sua diffusione culturale. Da sempre l’autorialità ha avuto la funzione di punto di riferimento per l’interpretazione dell’opera, identificando la fonte più autorevole per comprendere il senso e le intenzioni dell’opera. I critici cercando i capire cosa significhi un testo ricostruendo le intenzioni dell’autore; secondo la critica cinematografica una forma meno esplicita di autorialità si può desumere dallo studio dell’auteur, ovvero analizzando la coerenza dei temi e stile dell’opera omnia del regista (sostiene che i registi dedichino al proprio lavoro una cura e un'attenzione riconoscibili e che il lavoro dei critici sia quello di evidenziare gli elementi ricorrenti in una serie di opere allo scopo di rivelare la presenza di un’autorialità). Le teorie tradizionali sull’autorialità e sull’intenzionalità sono state smantellate dalla nascita della critica post strutturalista, con l’annuncio della morte dell’autore di Ronald Barthes. Michael Foucault sosteneva che l’autorialità fosse più il risultato di un discorso che un processo creativo, facendo slittate lo studio dell’autorialità in ambito della retorica. Secondo Foucault l’autorialità non può essere sfatata semplicemente proclamandone la morte, essa è una funzione del discorso che serve per attribuire, classificare, delimitare, contestualizzare, gerarchizzare e autenticare i lavori creativi. La serialità televisiva costituisce un interessante caso di studio per il modello foucaultiano della funzione autoriale: i suoi processi creativi sono più collaborativi e decentrati rispetto agli altri media. Negli ultimi due decenni la funzione dell’autore è diventata più evidente, aiutando a legittimare e irrobustire il valore culturale del mezzo attraverso una serie di pratiche del discorso. Anche se è ancora comune che le serie siano promosse attraverso le proprie star, recentemente un programma è promosso attraverso il suo autore, fondamentalmente si sponsorizza un programma grazie ai nomi degli autori, che precedentemente possono aver avuto successo con altri programmi, lo si fa per lo scopo di raggiungere un pubblico comune o di rafforzare l’identità della produzione. Anche i producer meno noti vengono promossi, in quanto figure autoriali grazie al lavoro già svolto nelle writers’room di altre serie di successo. Quest’identificazione con l’autorialità serve ad agevolare la comprensione del programma, e a circoscriverne attrattività, atmosfere, stile e genere. Un network può contare sulla reputazione dell’autore per riuscire ad attrarre il pubblico. L’autorialità funge spesso da tratto distintivo, l’identità autoriali per una serie fungono ma marchio di garanzia e instradano quindi il giudizio estetico sul programma e le aspettative dei telespettatori. La reputazione può anche generare delle aspettative troppo alte, e rendere molto popolare un programma dal profilo relativamente basso. In passato autore e producer tv rimanevano in un relativo anonimato. La diffusione del fandom televisivo online ha permesso agli showrunner di avere un rapporto più diretto ed interattivo con i fan, fino a costruirsi un personaggio pubblico. L’industria ha tratto vantaggi tali dall’aumento di popolarità degli showrunner da aver creato paratesti ufficiali che contribuiscano a far conoscere una seria anche al di fuori del circuito televisivo. In questo modo si alimenta l’uso dell’autorialità in quanto strategia per consolidare un’identità e per facilitarne l’interpretazione della serie da parte dei fan. È importante ricordare che questi paratesti sono autorizzati e controllati, offrono una visione approvata dagli showrunner e dalle case di produzione, non uno sguardo immediato sul lavoro di manodopera. Questi paratesti hanno contribuito alla notorietà degli showrunner che sottolineano la propria disponibilità parlando direttamente con i fan, ma al contempo tengono la propria figura su un profilo autoritario, che custodisce i segreti del testo e le proprie storie. Così, se 16 da una parte i paratesti autoriali concedono l'illusione di accessibilità, dall'altra ristabiliscono l'autorità, ribadendo con fermezza la distanza tra fan e producer. Esempi di showrunner che ricorrono a paratesti sono Damon Lindelof e Carlton Cuse (Lost) attraverso podcast, talk show e serie di video online. L’importanza addebitata da alcuni fan a questi paratesti ci spinge a riflettere su quanto le serie tv confidino sull'autorità come strumento di comprensione e coinvolgimento degli spettatori. Sciopero della Writers Guild 2007-2008: fu uno sciopero indotto dagli sceneggiatori per protesta al sistema industriale. Ci su un’assenza di prodotti televisivi nuovi (dovuto allo sciopero) che attirò l'attenzione su chi era davvero all'origine della creatività seriale televisiva. Uno dei maggiori risultati dello sciopero, che servì a porre l'autorialità sotto una luce nuova, fu il musical indipendente “Dottor horrible’s sing-along blog” di Joss Whedon, che mando online per sperimentare se un autore di successo potesse creare e distribuire un programma al di fuori del sistema industriale: l'esperimento ottenne un buon successo commerciale. All’intero di questo programma una traccia cantata dichiarava apertamente le posizioni politiche dello sciopero e l’ambivalenza dei paratesti autoriali. Questo video rappresenta la possibilità degli autori televisivi di sfruttare la propria reputazione per creare circuiti alternativi di produzione e distribuzione. L’autorialità come prodotto della fruizione seriale. L’autorialità è anche un prodotto della ricezione, poiché è attraverso i paratesti ufficiali e le caratteristiche delle serie tv che gli spettatori si fanno un’idea virtuale dell’autore, che li aiuti a comprendere e ad apprezzare la suddetta serie. Durante il processo di ricezione entra in azione la retorica dell’autore, che influenza l’interpretazione, il giudizio e il coinvolgimento degli spettatori. Per capire come avviene analizziamo il concetto di “autore implicito”. L’autore implicito (proposto da Wayne Booth) è un concetto che viene dibattito nell’ambito degli studi cinematografici da Seymour Chatman e David Bordwell. Chatman sostiene che l’autore implicito sia qualcosa di distinto dall’autore reale (uomo in carne ed ossa che ha realizzato l’opera), ma che funga comunque da origine della creazione narrativa; per lui l’autore implicito incarna l’intenzione dell’autore contenuta nell’opera e viene preso come punto di riferimento dagli spettatori che vogliono interpretare il film. Cerchiamo di capire coda vuole comunicare l’autore implicito attraverso gli elementi contenuti nella sua opera. Bordwell nega l’autorità dell’autore implicito, sostenendo che è meglio identificare nello stesso processo narrativo di un film l’origine del suo storytelling [tutte le caratteristiche che possiamo attribuire all’autore implicito sono già presenti nella narrazione stessa…] Bordwell rifiuta l’uso di un autore implicito perché secondo lui non aggiunge nulla a un’analisi critica. Tom Kindt e Hand-Harald Müller sostengono che il concetto di autore implicito può influenzare la modalità di lettura. Mittel (autore del libro) identifica la sua accezione di un’autorialità basata sulla ricezione con la definizione di “funzione dell’autore desunto”. Quel “desunto” serve a sottolineare che l’autorialità non viene costruita attraverso le implicazioni testuali, ma prende corpo anche attraverso l’atto della ricezione. La funzione dell’autore desunto è la produzione, da parte degli spettatori, di un’autorialità responsabile della narrazione del testo, basata sugli elementi del testo e sui discorsi intorno ad esso. È difficile stabilire quale porzione di spettatori ricorra alla funzione dell’autore desunto quando segue una storia, ma credo che la diffusione dei discorsi sull’autorialità (forum online) rivelino che il numero di spettatori per i quali l’autorialità è fondamentale per il processo di ricezione sia sufficientemente alto da legittimarne un’analisi. 17 Il modello di autore desunto può essere applicato a tutti i media narrativi; Torben Grodal sostiene che molti film sono narrazione immersive che trasportano gli spettatori nella “corrente” finzione, concentrandosi così più sulle scelte dei personaggi che su quelle registiche; Grodal considera delle eccezioni i momenti nei quali l’attenzione si rivolge “controcorrente” alle scelte dell’autore. I momenti che invitano gli spettatori a ragionare sull’autorialità sono i momenti metanarrativi, che immergono nella diegesi e sollecitano lo stupore per l’estetica funzionale. Per gli spettatori più navigati la figura dell’autore diventa un oggetto di coinvolgimento ludico e di fandom investigativo. L’invito a scoprire l’identità degli autori è già spesso integrato nella trama della serie, e ci invita a goderci la narrazione sia seguendo la “corrente” sia “controcorrente”. Anche le comedy possono innestare elementi di autorialità direttamente nei propri testi: Curb Your Enthusiasm e Louie. Il primo ha come protagonista Larry David, co creatore della serie tv Seinfeld, nei panni di sé stesso, e ci invita a immaginare che questo misantropico Larry David finzionale sia stato anche voce autoriale di quel caposaldo della comedy degli anni Novanta che è stato Seinfeld. Curb è nota perché ogni episodio viene improvvisato dal cast basandosi su una bozza di sceneggiatura scritta da David. La sua visione spinge lo spettatore a intuire i diversi livelli di autorialità e identità, tentare di scindere il Larry della finzione dalla persona reale che è lo showrunner David, e infine rimettere insieme queste due parti per ritrovarsi con una funzione dell’autore desunto in continua evoluzione. Louie rappresenta in modo simile il proprio autore all’interno della finzione. Louis C.K scrive e dirige ogni episodio e al contempo interpreta una versione romanzata di sé stesso. Louie non è un producer televisivo, ma uno stand-up comedian e un padre divorziato. Sia in Louie che in Curb gli spettatori sono invitati a indovinare quali elementi della seria siano reali e quali siano invece versioni romanzate o invenzioni radicali dei loro autori. La stessa serialità incentiva la funzione dell’autore desunto, rendendo queste inferenze più evidenti ed essenziali. La forma seriale è definita proprio dagli intervalli tra le porzioni di testo, nei quali gli spettatori sono costretti a prendere una pausa dalla narrazione, interrompendo la propria immersione. Lo studio delle pratiche degli spettatori, rileva quanti spettatori riempiano questi intervalli con altri modi di fruire la narrazione, sia a livello diegetico che metanarrativo, interessandosi quindi alla forma e allo storytelling. Durante questi intervalli la funzione dell’autore desunto diventa più evidente. I programmi televisivi, non rendono seriale soltanto il proprio mondo narrativo, ma anche le stesse funzioni desunte. Più sono i paratesti di cui fruiamo, compresi quelli serializzati come podcast, più facciamo nuove deduzioni sugli autori, e ciò influisce sulla nostra fruizione della narrazione. anche la fruizione dell’autore desunto diventa un fenomeno serializzato, che cambia nel tempo ed entra in dialogo con il cuore del testo. Attraverso i modelli di coinvolgimento del pubblico, la funzione dell’autore desunto si sviluppa e modifica nel corso di una serie, e il rapporto tra lo spettatore e il personaggio pubblico dello showrunner diventa un fenomeno altrettanto continuativo e fluido. Ricorriamo all’idea di un’autorialità per fare delle ipotesi su come una determinata serie sia stata creata, e soprattutto per capire quanto in anticipo siano state prese le varie decisioni, e poi guardiamo la serie in cerca di indizi, usando il codice dell’autore desunto come se fosse una guida. (esempio Breaking Bad p. 156-157) 20 consumo dei media, che spinge i fan particolarmente coinvolti da un resto a farlo confluire nelle proprie vite. Un eccessivo affetto nei confronti di un personaggio è qualcosa di malsano, ma dobbiamo considerarlo anche un elemento basilare della narrazione. Murray Smith propone un’analisi dettagliata di questo tipo di coinvolgimento, identificandolo con un processo circoscritto nel tempo che ci spinge ad immaginarci come parte della finzione, piuttosto che ragionare sul confine tra essa e la realtà. Gi spettatori si appassionano ai rapporti che potrebbero nascere all’intero della finzione. Nella serie tv parliamo di shipping, un termine derivato da relationship che identifica il desiderio di veder nascere una coppia; sul fandom viene fatto shipping e si creano shipping names. Inoltre, gli spettatori possono fare il tifo affiche i personaggi falliscano e trionfino negli affari, nel crimine o in altre attività. L’interesse degli spettatori nei confronti dei personaggi va al di là del mondo narrativo, fino a riversarsi sui meccanismi del racconto. Questi aspetti del coinvolgimento seriale testimoniano quanto sia importante il rapporto univoco tra spettatori e personaggi televisivi. Secondo Smith il coinvolgimento degli spettatori nei confronti dei personaggi può essere di tre tipi: il riconoscimento, l’allineamento e l’attaccamento. il concetto di allineamento ci spiega il legame che gli spettatori provano nei confronti dei personaggi, sia all’interno del mondo narrativo sia dal punto di vista parasociale. L’allineamento è costituito da due elementi principali: l’affiancamento, in cui seguiamo le esperienze di certi personaggi, e l’accesso a stati d’animo, ragionamenti ed etica personale. L’affiancamento è una variabile fondamentale, il legame con il personaggio nel tempo può mutare. Una serie propone di solito un ampio gruppo fisso di personaggi, cui gli spettatori si affezionano, in modo variabile, nel corso di alcune scene o interi episodi; questi attaccamenti servono a rinforzare l’impressione che la serie sia più allineata al suo insieme che ai singoli personaggi. L’affiancamento è particolarmente importante per i serial, il tempo che passiamo con i personaggi alimenta le interazioni parasociali e più tempo trascorriamo con loro maggiore sarà il consumo di paratesti. Le strategie di affiancamento di una serie possono dirci molto delle sue norme intrinseche: Lost è una serie che ha molti episodi “-centrici” ovvero incentrati su un solo personaggi, questi episodi hanno lo scopo di permettere allo spettatore di conoscere meglio determinati personaggi e al contempo propone stimolanti varianti dello storytelling della serie. Secondo Smith l’allineamento consiste ne trascorrere tempo coi personaggi e accedere al loro stato d’animo. Cinema e tv ci comunicano gli stati d’animo attraverso l’accumularsi di segnali esteriori che possiamo vedere o sentire: l’aspetto, le azioni, i dialoghi. (Raramente film e serie ci permettono di sentire la voce interiore dei pensieri che ci danno un accesso maggiore alla soggettività del personaggio. Es: Scrubs). Una volta osservati o sentiti, lo spettatore inizia a fare ipotesi. Vermeule sostiene che la narrazione ci invita ad accedere allo stato d’animo dei personaggi attraverso un processo di lettura della mente, tramite il quale sondiamo i pensieri e le emozioni altrui. I personaggi seriali e la loro possibilità di cambiare Identifichiamo i personaggi non soltanto in quanto parte di un gruppo definito, ma anche di episodio in episodio. Una delle strategie più comuni per tenere vivo questo riconoscimento è quella di far menzionare nei dialoghi nomi, rapporti e identità dei vari personaggi, al fine di aiutare il pubblico ad orientarsi. 21 Benché si possa pensare che una delle attrattive delle serie tv sia osservare i personaggi che si evolvono nel tempo, la maggior parte dei personaggi televisivi è più stabile e coerente di quanto si immagini. Una caratteristica fondamentale della serialità + l’accumulo degli eventi narrativi nella memoria e nell’esperienza dei personaggi. Ma anche quando sono posti davanti ad eventi sconvolgenti, i personaggi televisivi rimangono per lo più figure stabili, e appunto accumulano queste esperienze piuttosto che farsi cambiare da esse. Per comprendere i cambiamenti dei personaggi, dobbiamo considerare il terzo dei fattori di coinvolgimento nei loro nei loro confronti postulato da Smith: l’attaccamento, derivato dalla valutazione morale dei personaggi cui siamo allineati, perché è in base all’empatia nei loro confronti che decidiamo di appassionarci alle loro storie. Dal momento che l’interiorità è un’area ad accesso limitato, dobbiamo basarci su elementi esterni per ipotizzate la moralità di un personaggio (aspetto, comportamento, interazione). Questo fa combaciare lo sviluppo del personaggio con “una maggiore autoconsapevolezza” e con le “decisioni che gli cambiano la vita”; Pearson si riferisce ai cambiamenti che riguardano la morale interiore del personaggio, e che, secondo Smith, incentivano l’attaccamento. In una serie tv, la maggior parte di questi cambiamenti sono più modifiche temporanee nel comportamento che vere e proprie trasformazioni della moralità, che potrebbero invece influire negativamente sul nostro attaccamento. Possiamo accedere all’interiorità solo attraverso indicatori esterni, quindi i mutamenti dell’attaccamento nei confronti dei personaggi devono anch’essi manifestarsi esternamente. È necessario che gli stati d’animo dei personaggi complessi siano confermati da tutta una serie di segnali esteriori, e solitamente a tal fine le azioni sono più eloquenti del dialogo. Nel tentativo di comprendere l’interiorità del personaggio, prendiamo in esame soprattutto le loro azioni, indirettamente consigliati dal modo in cui gli altri personaggi interagiscono con loro, attraverso azioni e reazioni stabiliamo a quanti e quali personaggi vigliamo essere dediti. Non tutti i cambiamenti dei personaggi si manifestano attraverso le azioni, uno dei cambiamenti più significativi si ha quando i personaggi cambiano idea su sé stessi e sulla loro situazione, che non può essere rappresentata solo attraverso un cambiamento corporeo. Difficilmente i personaggi mutano significativamente, mentre è la nostra comprensione dei personaggi a farlo, un cambiamento narrativo definito elaborazione del personaggio. Questo modello di cambiamento frutta la forma seriale per rivelare gradualmente alcuni aspetti del personaggio, in modo che queste sfaccettature appaiano al pubblico come novità. Molte serie ricorrono a flashback o altri espedienti per raccontare elementi importanti del passato di un personaggio con il fine di renderlo più elaborato. Considerando che lo spettatore valuta i cambiamenti dei personaggi in base all’attaccamento che prova per loro, fornirli di un passato 22 elaborato può far apparire dinamica una figura statica, lasciando che sia il cambiamento dell’idea che ne abbiamo a creare l’illusione che il personaggio stia cambiando. Questa illusione di cambiamento si verifica perfino nei rapporti tra i vari personaggi; i singoli cambiamenti di comportamento si ripercuotono sull’insieme, influenzando così la visione che gli spettatori hanno dei personaggi. Benché i cambiamenti radicali di fedeltà da parte dello spettatore siano rari, ci sono dei casi in cui vediamo effettivamente i personaggi che cambiano: per descrivere questi esempi usiamo una serie di termini intercambiabili, come sviluppo, crescita e trasformazione. Un modello comune è la crescita del personaggio, che richiama un processo di maturazione grazie alla quale il personaggio è sempre più realizzato e completo. Molte serie sono incentrate sui personaggi giovani perché non sono pienamente formati, e ci aspettiamo che il racconto ce li mostri mentre passano dalla gioventù all’età adulta. Anche quando un personaggio non è giovane, la sua evoluzione più riprendere le dinamiche di una formazione giovanile, i personaggi che vivono questa crescita sono contrapposti alla stabilità degli adulti, sottolineando così quanto il cambiamento di un personaggio sia lontano dall’essere universale. L’educazione del personaggio: impara una lezione importante e diventa una persona nuova. questo tipo di educazione si esaurisce di solito all’interno di un unico episodio, di rado gli effetti di queste lezioni permangono, perché la natura episodica delle narrazioni convenzionali in prima serata richiede che si torno ogni settimana allo status quo. Di solito queste evoluzioni educative sono in contrasto con gli altri personaggi, i quali al contrario non imparano le lezioni in questione, o perché sono incapaci di cambiate o perché le conoscono già; tutto ciò enfatizza le stesse lezioni tematiche e spinge gli spettatori ad allinearsi ai personaggi che sono in grado di adattarsi e migliorare. Questo tipo di educazione dl personaggio è molto comune, è un’evoluzione che lascia immutati sia la moralità del personaggio che il nostro attaccamento. Revisione del personaggio: un personaggio subisce un cambiamento improvviso, spesso legato a una situazione sovrannaturale o fantastica (lo spettatore conserva il ricordo degli eventi e rapporti precedenti al mutamento) – possedimento da un demone, scambi corpo, doppelganger, amnesia… Alcuni di questi cambiamenti durano di più. trasformando determinate revisioni in elementi centrali del carattere del personaggio. Il contesto fantasy consente trasformazioni estreme di un personaggio, in contrasto con la stabilità degli altri, sia che si tratti di una revisione temporanea, sia che si abbia a che fare con un mutamento a lungo termine che enfatizza ciò che è andato perduto nel personaggio originario. Le revisioni confondono gli spettatori e altri personaggi riguardo le due versioni del personaggio, si gioca con il riconoscimento. Questi scambi di identità sono spesso parte integrante della storia, poiché la versione revisionata può trarre in inganno gli altri personaggi, In queste sottotrame gli spettatori sono solitamente al corrente dell’inganno, ciò alimenta la suspense in attesa del momento in cui la verità sarà svelata, ma anche momenti ironici in cui siamo gli unici a comprendere il vero significato del dialogo. Sono più rari i casi di trasformazione in cui il pubblico non è al corrente dello scambio e lo scopre soltanto più in là nel corso della serie. 25 Questo stereotipo comporta una reazione negativa nei confronti di un personaggio femminile aggressivo, che viene visto come una “stronza rompipalle” piuttosto che come una canaglia carismatica. L’esempio più saliente di un antieroe è Walter White in Breaking Bad. L’autore ha concepito la serie affinché fosse imperniata sul cambiamento del personaggio, a tal punto che questa trasformazione è già anticipata dal titolo: Breaking Bad è infatti un’espressione idiomatica che si riferisce a chi sta perdendo la retta via. La serie comincia con Walt che è un insegnante di chimica, nella stagione finale invece, diventa un delinquente che ha ucciso i suoi rivali e manipolato le persone che sostiene di amare. Per comprendere Walter White dobbiamo cominciare dalla puntata pilota di Breaking Bad, o persino da prima, considerando che la serie è stata collegata a tre intertesti fondamentali (Mad Men, Weeds, Malcom – p.204-205-206). White non è un antieroe disonesto fin da subito: la sua caratterizzazione iniziale, più che da una dubbia moralità, sembra dettata da una situazione disperata: Walter prende una serie di decisioni sbagliate, che alla fine lo conducono alla dissoluzione morale, ma all’inizio ispira commiserazione piuttosto che ammirazione, come invece fa la maggior parte degli antieroi. Quando veniamo a conoscenza del suo cancro, del suo lavoro frustante e della situazione economica disperata, ci schieriamo dalla sua parte e condividiamo segreti con lui che rinforzano il nostro allineamento. Inoltre, la scelta non ragionevole di cucinare metanfetamina per mantenere la famiglia viene vista come razionale in quanto è l’unica cosa che potrebbe fare; le sue decisione immorali sono anche le uniche, quindi le migliori, e a poco a poco anche noi sprofondiamo nel suo comportamento mostruoso. La puntata pilota si apre con una scena in media res, che ci spinge a chiederci come il protagonista sia finito in quella situazione (Walt parla alla videocamera come se fosse suo figlio e gli racconta delle cose). Questa apertura nel quale Walt è l’unico personaggio presente dichiara che si tratterà di una serie molto allineata con il protagonista e che ruoterà sul mistero di come quest’uomo sia finito in questa situazione. La moralità relativa dei personaggi influisce sull’instaurarsi di un attaccamento da parte degli spettatori. Quando Walter White diventa un antieroe a tutti gli effetti, diventa anche chiaro che si tratta di un antieroe diverso da quelli finora visti in televisione. Non è un leader carismatico con una famiglia devota, non ha amici, non ci sono sottotrame sentimentali. Mentre altri antieroi si guadagnano il nostro attaccamento attraverso il modo in cui gli altri personaggi si relazionano a loro, Walt è forse il personaggio fisso meno rispettato o ammirato della serie, a discapito del nostro indiscutibile allineamento con lui. In questo caso, ad alimentare il nostro allineamento non sono i rapporti con gli altri personaggi o i flashback sul suo passato, bensì il ricordo di ciò che Walt è stato in passato, ovvero un uomo discreto, nonché noioso e depresso. I ricordi della serie riescono anche a mantenere vivo il nostro attaccamento, nonostante le azioni irredimibili commesse da Walt strada facendo. Questi ricordi ci aiutano anche a capire le azioni dei personaggi, considerato che molte scene di Breaking Bad hanno dialoghi minimali. Quando seguono a lungo una serie gli spettatori raccolgono informazioni e dettagli che gli permettono di leggere nella mente dei personaggi, o quanto meno di immaginare una possibile versione dei loro monologhi interiori. Man mano che Walt si allontana dalla sua condizione iniziale e persegue il suo declino morale, noi dobbiamo confrontarci con azioni sempre peggiori che mettono alla prova il nostro attaccamento. 26 Nella puntata pilota, per scampare a una situazione disperata, Walt ricorre a un’esplosione nel camper, uccidendo Emilio e neutralizzando Krazy-8, un’azione di autodifesa sconsiderata che però in quell’istante sembra del tutto giustificata. Sempre nella prima stagione Walt arriva ad innescare un’esplosione per dimostrare al boss di cosa è capace, ma essendo rivolta a personaggi pericolosi e immorali di lui, noi spettatori rimaniamo allineati con lui. Benché le azioni di Walt siano violente, nelle prime due stagioni di Breaking Bad ci ritroviamo a pareggiare con lui e le sue scelte in quanto vengono fate contro verso personaggi più immorali di lui. La fine della seconda stagione fa un grosso salto in avanti verso la dissoluzione morale di Walt che sta investendo più energie a tenere nascosta la sua vita di criminale che a mantenere salda la sua famiglia. In un episodio Walt lascerà morire di overdose la fidanzata di Jesse per recuperare la sua attenzione, in questo momento Walt razionalizza l’omicidio passivo, e in questo momento sprofondiamo nell’interiorità di Walt, chiamando in causa tutto ciò che ricordiamo della serie, spinti dal ricostruire i ragionamenti del protagonista grazie alle sue esperienze di vita cui abbiamo assistito nelle due stagioni. La razionalizzazione di Walt rende comprensibile un atto di crudeltà passiva nei confronti di un personaggio al quale siamo meno dediti. Questo momento segna un punto fondamentale del cambiamento del personaggio, perché sappiamo che il Walt incontrato nella puntata pilota avrebbe sicuramente salvato Jane (fidanzata di Jesse) se si fosse trovato nella stessa situazione. Il rapporto tra Walt e Jesse è fondamentale per la trasformazione morale proposta da Breaking Bad. Nel corso della prima stagione, Walt è sicuramente più rispettabile di Jesse, è spinto al crimine dalla disperazione e riesce a farsi strada nel mondo del crimine grazie alla sua padronanza della chimica; Jesse è un avido consumatore di droghe e mosso dall’egoismo e dall’avidità. Siamo più allineati e in sintonia con Walt, anche se quando scopriamo qualcosa sulla situazione familiare di Jesse, il personaggio diventa più simpatico e le sue azioni più comprensibili. La fine della seconda stagione mette in difficoltà il nostro attaccamento perché qui Jesse è meno Allineato, mentre la freddezza e l’egoismo di Walt diventano meno giustificabili. Nella terza stagione i due si scambiano i livelli di attaccamento, ma Breaking Bad mette gli spettatori in una posizione scomoda. La versione morale di Walter White è un personaggio piatto, noioso con il quale non abbiamo voglia di passare del tempo, mentre la versione amorale e cattiva, è un antieroe più vitale. La serie continua a farci chiedere fino a che punto possa spingersi quest’uomo, quale sarà il prezzo che dovrà pagare per le sue azioni e come dovremmo porci nei suoi confronti. Walt supera il punto di non ritorno alla fine della quarta stagione, commettendo una serie di azioni violente e uccidendo innocenti. Per la prima metà della quinta stagione Wat diventerà a tempo pieno il super cattivo, ma dopo aver avuto la meglio su tutti gli avversari e aver ricevuto un grande tornaconto economico, si ritira dal giro cerca di dedicarsi alla famiglia, il cognato Hank lo scopre. Gli ultimi episodi presentano una resa dei conti morale scaturita dall’arroganza di Walt; alla fine Walt rivendica il proprio status di malvivente e antieroe, sapendo che il suo orgoglio e il suo egoismo l’hanno portato di fronte alla morte e hanno portato la sua famiglia a pagare per i suoi peccati. La complessità della caratterizzazione di Walter White deriva dallo scarto tra la nostra interpretazione delle sue azioni e la sua. Come sostiene Vermeule, “le narrazioni machiavelliche trasportano i propri personaggi in mezzo al caos e li osservano mentre cercano di divincolarsi”. Nei momenti in cui Walt dimostra cosa sa fare, noi ci divertiamo ad assistere alle sue imprese antieroiche, anche quando comportano azioni immorali, violenza e manipolazione. 27 Più spesso la serie presenta un gap tra come Walt vede sé stesso e come noi consideriamo lui e le sue azioni. Anche se cerca spesso di uscire dal mondo della droga, alla fine per le soddisfazioni egotiche che gli procura non lo fa mai, le sue azioni criminali hanno risvegliato la sua vitalità e la sua consapevolezza di essere un antieroe, è appagato da quello che è ora pensando a come era prima; vede sé stesso come un leader più temibile di quanto lo sia in realtà. Però, ogni volta che proclama il proprio potere machiavellico finiamo per ritrovarci di fronte a tentativi falliti di ingigantirsi, piuttosto che a dimostrazioni delle sue doti di antieroe; queste contraddizioni permettono allo spettatore di mettere in pratica la propria intelligenza sociale e di smentire inganni e rivelazioni, man mano che seguiamo la serie comprendiamo maggiormente questi personaggi complessi. In un episodio Walt parlando di sé stesso come un criminale (alla moglie) vuole dire anche qualcosa altro ma alla fine non lo dice, quest’oscillazione tra allineamento e accesso limitato a un’interiorità stratificata è uno degli elementi più divertenti della trasformazione di Walt in antieroe, la sua psicologia mantiene acceso il nostro interesse anche quando il personaggio diventa più spietato. La forza della caratterizzazione dell’antieroe in Breaking Bad consiste proprio nel tracciare tutti i cambiamenti del personaggio. Alla fine della quarta stagione abbiamo assistito alla trasformazione di Walt da tonto qualsiasi a boss amorale, un cambiamento graduale che ci ha permesso di mantenere un certo livello di attaccamento nei suoi confronti. La premessa della serie era che Walt dovesse infrangere la legge per occuparsi della famiglia, procedendo l’obiettivo del protagonista cambia e diventa quello di essere riconosciuto per il suo talento. Breaking Bad è una storia morale in cui le azioni hanno delle conseguenze, ed è per questo che non ci aspettiamo che Walt esca fuori da questa storia come un eroe vincente, il prezzo della sua vittoria è un pezzo della sua moralità in rovina. Il piacere di guardare Breaking Bad risiede nel percorso effettuato dal personaggio, nel ritrovarci a un certo punto in una posizione sgradevole, allineati ad un criminale immorale, la sua complessa caratterizzazione ci trascina emotivamente nella sua vita. Possiamo riferirci a questo tipo di coinvolgimento come a un attaccamento funzionale: da spettatori siamo coinvolti dalla costruzione del personaggio, concentrati sulla performance, affascinati dal tentativo di leggere la mente dell’autore desunto. 5) COMPRENSIONE Gli spettatori si appassionano alle serie tv in modi diversi, ma di base quasi ogni visione comincia con un processo fondamentale, quello della comprensione, ovvero la ricostruzione di ciò che sta succedendo all’interno di un dato episodio. L’obiettivo dello storytelling televisivo è quello di renderla immediata. Invisibile e automatica. La tv complessa ha innalzato la soglia di tolleranza nei confronti della confusione degli spettatori, invogliandoli a prestare maggiore attenzione e a ricostruire la narrazione in modo più attivo; ma in che modo gli spettatori comprendono le serie tv complesse? Bordwell, elabora un modello cognitivo della poetica. Parte dal presupposto che gli spettatori operino sempre e comunque una ricostruzione mentale degli universi narrativi, in un processo che può essere compreso più facilmente attraverso la psicologia cognitiva. Bordwell mette in chiaro che lo spettatore di cui parla non è una persona fisica, né un lettore ideale posto nelle condizioni ideali per capire un testo, bensì “un’entità ipotetica che svolge le operazioni necessarie a ricostruire una storia al di là della sua rappresentazione filmica”; in altre parole, il ricevente 30 nella storia. Benché sul piano funzionale, e considerate le norme estrinseche della televisione e dello storytelling, siamo certi che i nostri protagonisti non possano morire o fallire profondamente, tendiamo comunque a sperare che avvenga il peggio, alimentando la suspense tramite ipotesi pessimiste su ciò che potrebbe succedere. Ma la suspense è solo una sottocategoria di un’ampia gamma di aspettative possibili, grazie alla quale reagiamo alle asserzioni narrative ipotizzando quale sarà il prossimo evento, sia a livello di macrostoria sia a livello delle singole scene. Le narrazioni seriali creano asserzioni narrative che sollecitano la nostra curiosità, invogliandoci a fare ipotesi su ciò che succederà e a mantenere vivo il nostro interesse anche durante gli intervalli tra gli episodi. Per i producer una delle sfide connesse alle aspettative è trovare il giusto equilibrio tra plausibilità, in modo che le nuove informazioni siano coerenti al mondo narrativo, e imprevedibilità, affinché le rivelazioni non risultino ovvie a chiunque voglia fare delle ipotesi. Il senso di sorpresa ideale si ha quando lo spettatore si chiede: “come ho fatto a non pensarci?”. Le serie incentrate su un mistero fanno fatica a mantenere accesa la curiosità degli spettatori su enigmi a lungo termine, e spesso ricorrono a sorprese che però perdono il loro impatto se abusate o immotivate. Molti spettatori non guardano la tv da soli ma in quanto parte di community, la cui nascita è spesso facilitata dalla fan culture e dai paratesti online. La speculazione è uno dei processi cognitivi eseguiti dagli individui durante l’atto della visione, ma le idee e le ipotesi che ne derivano sono spesso articolate all’interno delle community di fan, convogliando un’ipotesi personale nella pratica del teorizzare; quest’attività ha luogo in diversi ambienti culturali (divano, web…). Quest’interazione tra l’attività cognitiva individuale e la circolazione della cultura è fondamentale per provare a capire il processo di comprensione di una narrazione, soprattutto nel caso di un testo seriale, le cui lacune ci invitano a speculare, teorizzare e confrontarci su un dato programma. Hannibal è un esempio interessante di estetica funzionale, in cui l’attenzione viene spostata sulle tecniche dello storytelling, che rinuncia a dare informazioni e confida nei rimandi intertestuali. (pag. 233) Una delle modalità di condivisione delle informazioni narrative che si è maggiormente diffusa negli ultimi anni è lo spoiler, fornendo in anticipo agli spettatori informazioni su ciò che deve ancora accadere. Sapere come si evolverà la trama permette agli spettatori di concentrarsi sul “come” e “perché” dello storytelling e dell’estetica funzionale. I fan dello spoiler decidono attivamente i termini della propria esperienza di visione, trasformando le aspettative pianificate dai producer in curiosità sul modo in cui la serie metterà insieme i pezzi già raccontati, un processo nel quale gli spoiler fungono praticamente da flash forward. Inoltre, alcuni fan dello spoiler cercano informazioni anticipate per avere in qualche modo il controllo delle proprie reazioni emotive, evitando sorprese o preparandosi a rimanere delusi. Bordwell sostiene che benché la suspense derivi dall’attesa degli sviluppi della narrazione, essa non scompare se conosciamo in anticipo gli eventi che verranno perché le reazioni emotive alla suspense sono in parte involontarie, fenomeni “di pancia”, che dipendono dall’elaborazione di eventi comunque spiacevoli per quanto già noti. Seymour Chatman cita Hitchcock, il quale sostiene che la suspense nasca dall’impossibilità per il pubblico di rivelare ai personaggio ciò che sta per succedere. Gli spoiler possono quindi far aumentare le aspettative che alimentano la suspense, spingendo la narrazione verso l’inevitabile. 31 Analizziamo la fruizione dei diversi tipi di spettatore (esempio con Veronica Mars p.236-238): Le serie tv sottostanno a vincoli economici riguardanti gli attori che influiscono sulla struttura dello storytelling, rendendo molto improbabile che il protagonista possa morire o essere ferito mortalmente, soprattutto se la serie porta il suo nome. 1) Lo spettatore più esperto, sa che le situazioni pericolose sono destinate a capovolgersi e la sicurezza che il protagonista ne uscirà illeso rende improbabile la sua morte. Lo spettatore puro, soprattutto nel caso di una serie di lunga durata che richiede una certa dedizione, non guarda un nuovo episodio in modo ingenuo, né si relaziona al mondo finzionale come se fosse reale, bensì con aspettative funzionali sui risvolti narrativi più probabili, ossia quelli che di solito propone la tv. 2) Lo spettatore al corrente dello spoiler si approccia all’episodio con meno incertezze di quello puro, avendo eliminato a priori la sorpresa derivata dai colpi di scena. La suspense deriva dall’impossibilità di intervenire nel mondo narrativo, una condizione condivisa da tutti gli spettatori, ma esiste un altro livello di suspence: ciò che innesca la suspense non sono tanto gli eventi narrativi, quanto il modo in cui sono raccontati attraverso segnali che suscitano reazioni emotive, come la colonna sonora, le inquadrature e le espressioni facciali degli attori. Questo è il motivo per cui una serie di eventi carichi di suspense può essere raccontata in un modo che rovini quella stessa suspense mentre una serie di eventi apparentemente privi di suspense può essere raccontata in modo da crearla. Sia lo spettatore puro che quello al corrente dello spoiler fruiscono la narrazione per la prima volta, soltanto che il secondo sa già all’incirca quello che succederà; nessuno dei due sa però esattamente come questi eventi saranno raccontati, né quali segnali saranno dati. 3) ll ri-guardatore, colui che rivive l’esperienza narrativa attraverso visioni reiterate, una pratica comune nell’era del dvd. Il ri-guardatore, come il fan dello spoiler, sa già cosa succederà, ma a differenza del fan dello spoiler sa anche come questi eventi narrativi saranno raccontati; eppure anche un ri-guardatore vive la suspense attraverso i segnali a lui già noti ma comunque potenti dello storytelling. Le aspettative del ri-guardatore sono alimentate dall’imperfezione della memoria, così il ri-guardatore confronta ciò che vede con ciò che ricorda. Conoscendo già la trama, fan dello spoiler e ri-guardatori assistono a un episodio come potrebbe farlo un critico, apprezzando e al contempo analizzando il testo in un caso perfetto di estetica funzionale. Un’altra importante variabile riguarda il modo in cui gli spettatori fanno coesistere ciò che sanno della storia con le informazioni di cui i personaggi sembrano essere in possesso. Ogni serie dimostra un diverso livello di generosità riguardo alle proprie informazioni narrative, proponendo una conoscenza dei fatti più o meno ampia e profonda. Queste variabili dipendono spesso dai personaggi, da quanti di loro condividono con noi ciò che sanno, dal livello di accesso alla loro interiorità e al loro passato e da quanto invece non voglio dirci (esempio Dexter pag.239) I meccanismi della memoria seriale La televisione complessa richiede allo spettatore un certo livello di attenzione, sollecitandone e sfruttandone i ricordi in modo strategico tramite tecniche specifiche di questo media. Il tipico modello di consumo dei programmi televisivi, scandito in puntate settimanali e stagioni annuali, obbliga i producer a raccontare le proprie storie in un modo che possa trascendere dalle modalità di visione individuali, considerato che non tutti gli spettatori ricordano le stesse cose e che molti di essi si sono sicuramente persi degli episodi. Le innovazioni tecnologiche e i nuovi modi in cui si può guardare una serie hanno reso più comuni le abbuffate spingendo le serie ad evitare ridondanze. Gli spettatori si differenziano inoltre per i diversi livelli di uso dei paratesti, poiché alcuni leggono 32 recensioni, partecipano ai forum e visitano community che gli rinfrescano la memoria, mentre altri possono anche dimenticarsi del programma finché non va in onda l’episodio successivo. Per questo motivo le serie complesse di lunga durata devono trovare un equilibrio tra le necessità mnemoniche di un’ampia gamma di spettatori e di contesti e di ricezione e consumo. Allo stesso modo, i singoli episodi devono gestire la nostra memoria a breve termine riguardante gli eventi appena raccontati. Ogni episodio di una serie tv contiene piccole ridondanze che ricordano allo spettatore i punti cardini della storia, e che vanno da un’inquadratura standard dell’ambientazione a dialoghi che ribadiscono nomi e rapporti. Le soap opera si appoggiano a un espediente, comune nelle narrazioni ridondanti, che aiuta lo spettatore a ricordare e al contempo gli propone il piacere di assistere alle reazioni dei personaggi posti di fronte a eventi passati: la ripetizione diegetica, nella quale sono i dialoghi a ricordare allo spettatore ciò che è già successo nella serie. Le serie di prima serata ricorrono meno alla ripetizione diegetica, ma anche qui i personaggi si chiamano l’un l’altro per nome e fanno riferimento ai propri rapporti, sfruttando i dialoghi per mantenere fresche le informazioni di base nella mente degli spettatori. Spesso gli eventi passati vengono raccontati ai nuovi personaggi sia per metterli al corrente della situazione attuale, sia per ricordare a noi ciò che abbiamo già visto. Quando i dialoghi tra i personaggi ricorrono alla ripetizione diegetica, gli spettatori reinseriscono nella memoria di lavoro l’informazione appena citata, rendendola parte integrante della comprensione della narrazione. La ripetizione diegetica ricorre ai dialoghi come strumento per richiamare eventi passati nella memoria di lavoro, ma una funzione simile può essere svolta anche da alcuni segnali visivi, come oggetti, ambientazioni o inquadrature. Di solito, i segnali visivi sono meno immediati del dialogo, e più che richiamare l’attenzione degli spettatori che magari hanno perso l’episodio evocato, servono a integrare gli eventi passati in uno storytelling più verosimile, che attiva comunque il ricordo degli spettatori (esempio Battlestar Galactica pag.243). I dialoghi e i segnali visivi sono gli strumenti intradiegetici principali per attivare i ricordi dello spettatore, ma molte serie ricorrono anche a tecniche più artificiose. L’uso della voce fuori campo è un modo diffuso per comunicare informazioni allo spettatore tramite una modalità metanarrativa. La voce fuori campo può essere usata in modo efficace in alcuni generi come i detective drama o le sitcom, aiutando lo spettatore a orientarsi nel mondo narrativo (esempio: Veronica Mars - Arrested Development pag. 244,245,246). Per richiamare alla memoria alcune informazioni possono essere usate anche tecniche non verbali. I flashback sono una delle tecniche più diffuse usate per incorporare eventi passati in un episodio, e possono essere basati su una prima o su una terza persona. Il flashback soggettivo è il caso più comune, e ci mostra i ricordi di un personaggio, aiutano a sollecitare i ricordi dello spettatore, alimentano l’allineamento e instradano la comprensione degli eventi successivi. I flashback possono essere accompagnati da una voce fuori campo esplicativa (Veronica Mars, My name is Earl), in questi casi la voce fuori campo svolge un ruolo determinante nel mantenere chiari i collegamenti, sollecitando i ricordi necessari alla prosecuzione della storia. I flashback presentati invece da un punto di vista più obiettivo, che possiamo chiamare semplicemente replay, sono usati più per colmare delle lacune negli antefatti che per richiamare alla memoria eventi già visti: Lost ricorre a uno storytelling dalla cronologia non lineare, ma usa i flashback per fornire nuovo materiale narrativo, più che evocare i ricordi. I replay richiamano alla memoria eventi già visti, ma forniscono anche nuove informazioni. Matt Hills sostiene però che 35 6) VALUTAZIONE Un altro argomento poco trattato dai television studies sono le preferenze personali. Il problema principale quando si eludono le questioni sul gusto è che si ignorano anche alcune domande fondamentali sullo storytelling televisivo. Possiamo ricorrere a una valutazione critica per capire meglio come funzionano le serie tv, in che modo spettatori e fan si dedicano a esse e cosa li spinge a trasformare in una componente significativa della loro vita. Il giudizio di valore ci aiuta a vedere la serie in modo diverso, offrendoci uno scorcio sull’esperienza di visione dello spettatore e invitando i lettori a immedesimarsi in lui durante la lettura. Prima di procedere è importante contestualizzare ciò che facciamo quando esprimiamo un giudizio. Un giudizio non ha l’ambizione di costruire un fatto o una prova. Anche più di altri tipi di analisi, il giudizio è un invito al dialogo, considerando che discutere delle opere culturali è uno dei modi più piacevoli di interessarci ad esse, instaura rapporti con altri fruitori e alimenta il rispetto per le opinioni e le intuizioni altrui. (Esempio “Alias” vs “24” pag.274-275) Una serie deve quindi fornire un quadro normativo attraverso cui lo spettatore capisca come accoglierne lo storytelling e lo stile: il testo deve parlare ai suoi spettatori e guidarli, spiegando come loro devono guardarlo. La qualità della complessità “Televisione di qualità”, di solito questa definizione di usa per distinguere alcuni programmi da altri, senza però che questi programmi siano accomunati da questioni formali o contenutistiche, e chiamandoli in causa come indicatori di prestigio utili ad indentificare gli spettatori “più raffinati” che preferiscono una programmazione “di qualità”. I television studies hanno un rapporto ambiguo con questa definizione, i critici e gli accademici europei lo usano più spesso, mentre molti studiosi americani si rapportano con scetticismo all’enfasi sulla qualità, e sono persino ostili a considerare la televisione in quanto oggetto estetico. Il primo approccio alla valutazione potrebbe essere considerato lo stesso discorso sulla televisione di qualità, ma esso è piuttosto raro tra gli studiosi di media. Negli scritti accademici “televisione di qualità” è una definizione usata di rado, sottolineando che la qualità è soggettiva o che è più interessante come argomento di discussione per i fan che come categoria analitica. Ma nonostante questo gli studiosi che usano il termine sembrano concordare su quali programmi vadano inclusi o esclusi tra quelli di qualità, ciò suggerisce che questa definizione possa avere la sua importanza in quanto categoria critica. I tentativi di definire la tv di qualità solitamente partono da alcune somiglianze sottintese, definendo la qualità in contrapposizione al suo ipotetico opposto, e usandola in pratica per stabilire che alcune serie sono meglio di altre. I programmi di qualità vengono accomunati in virtù di presunti indicatori di prestigio, come contenuti “seri”, stile cinematografico e innovazioni che rispecchiano quegli spettatori per i quali questi programmi costituiscono un’eccezione e che dicono “questo è l’unico programma che guardo”. L’industria associa la “qualità” al “pubblico di qualità”, quella fetta colta e raffinata che la tv mainstream fa fatica ad attrarre. 36 Lo studioso americano che ha promosso più attivamente il concetto di tv di qualità è Thompson che secondo una sua definizione la tv di qualità è costituita da quelle serie che spiccano in opposizione alla maggior parte delle altre. Secondo alcuni critici la tv è una caratteristica di valore, grazie alla quale alcuni programmi sono meglio di altri, mentre secondo alcuni critici essa serve a identificare una fetta di pubblico specifico o un insieme di attributi testuali che include una produzione di qualità o legami con altri media. Sarah Cardwell evidenzia le caratteristiche che inquadrano tale tipo di televisione più come un genere che come una categoria di valore, rilevando che “notare gli indicatori di qualità di un programma non significa esprimersi sul suo valore”. Inoltre, approfondisce l’idea di qualità intesa come genere, e analizza gli aspetti pratici del gradimento televisivo. In America i Media studies sono dominati da un approccio diverso, dichiaratamente contrario alla valutazione, con la giustificazione che l’argomento rientra tra gli obiettivi della disciplina. La maggior parte degli esperti evita di esprimere un giudizio esplicito in modo così evidente c’è non c’è nemmeno bisogno di far notare questa mancanza. Quando gli studiosi americani si spingono a parlare di valutazione, si rifanno di solito a quella tradizione degli studi culturali (ispirati a Pierre Bourdieu) che inserisce le questioni di gusto ed estetica tra quelle costruzioni sociali che alimentano le dinamiche e le gerarchie di potere. La valutazione ha la funzione di creare distinzioni che elevino una sfera sociale attraverso lo sminuimento di un’altra, ribadendo le norme consolidate riguardanti qualità e genere. Ci sono anche contrapposizione alla critica del gusto di Bourdieu: disconoscendo l’estetica universale, con lo scopo di legittimare i fruitori dotati di gusto non universale, il modello per determinare il gusto sociale diventa troppo rigido per tenere conto di quei fruitori che si costruiscono una propria estetica e una propria cultura del gusto, cioè i fan e il pubblico attivo. Analizzando una serie di pratiche critiche, accademiche e industriali che fanno pare di un più ampio discorso sulla catalogazione culturale, gli autori operano una mappatura di questo terreno argomentativo ed evidenziano come esso po' rinforzare i criteri di livello e genere. Gli autori mettono in risalto come l’approccio valutativo cerchi di legittimarsi attraverso l’accostamento a media più legittimati come cinema e letteratura, invece di concentrarsi sugli attributi specifici della tv. Il rischio nel prendere alla lettera la teoria di Bourdieu è quello di irretire gli studiosi che vogliono dire qualcosa sul tema del giudizio di valore. Ma così come “tv di qualità” è una definizione troppo vaga per identificare un insieme di caratteristiche del mezzo, un “discorso legittimante” è un concetto altrettanto variabile, usato sia per valorizzare alcune innovazioni tecnologiche, sia più generalmente per ridurre la critica a qualcosa di fazioso e ingenuo Jonathan Gray e Amanda Lotz respingono questo modello antiestetico, “sicuramente non possiamo ridurre le dimostrazioni di talento di un programma a una dichiarazione e a una manifestazione di superiorità”. Bisogna quindi prendere seriamente. Le lezioni anti-universalistiche di Bourdieu, ma utilizzarle per re-immaginare come sia possibile discutere di estetica senza affermazioni generalizzate su cosa sia la tv di qualità. Mittel propone un approccio alla valutazione critica che sia un compromesso e che eluda la categoricità del concetto di tv di qualità o dei discorsi anti-legittimatori. Nell’approccio di tende perlopiù a esaltare la tv di qualità o a criticare la legittimazione e le distinzioni di genere. Secondo Hall e Whannalen, la categoria dell’arte popular è definita da quel tipo di distinzioni che Bourdieu ritiene obsolete, ma essa rimane utile, dal punto di vista analitico, perfino dopo aver 37 riconosciuto che i giudizi derivano più dai rapporti di potere che dall’esistenza trascendentale della bellezza. I due analizzano l’estetica della vita di tutti i giorni, cercando di comprendere la popular culture e di non valutarla attraverso i criteri adottati per l’arte elitaria. Quest’approccio alla critica del valore permette agli studiosi di essere severi sulla cultura del gusto di non adottare criteri di valutazione universali o imprescindibili. Distinguiamo il concetto di valutazione, per il quale il valore è intrinseco al testo e va scoperto dal critico così come un esperto stabilisce il prezzo di un oggetto d’antiquariato, da quello di giudizio che è l’analisi di criteri estetici, caratteristiche testuali e circolazione culturale: la valutazione si basa di norma su una lettura attenta, secondo la quale il valore è intrinseco al testo e aspetta che sia il critico a svelarne la verità, mentre il giudizio riguarda il processo culturale della fruizione attraverso cui vengono generati il significato e il valore. Nell’analisi della complessità narrativa, la tv complessa non è sinonimo di tv di qualità. Al contempo, possiamo considerare la complessità come un canone di valore, un obiettivo di molte serie di oggi. Secondo il New Criticism definire complesso un lavoro letterario significa sottolinearne la sofisticatezza e le sfumature, con una visione del mondo più profonda. Significa quindi che l’utente dell’opera complessa dovrebbe fruirla interamente e attentamente, e che questo coinvolgimento dovrebbe offrire un’esperienza diversa da una meno attenta e parziale. Confrontando gli attributi “complesso” e “complicato”, il secondo richiama più a un’idea di minore coerenza e maggiore artificio, un tentativo di far apparire qualcosa più sofisticato di quanto non sia. Piuttosto che proporre qualcosa di più elaborato o anticonvenzionale. Ci sono alcuni casi in cui la semplicità batte la complessità in quando complessità non è necessariamente indicatore di valore: una narrazione complessa che sacrifica la coerenza e il coinvolgimento probabilmente non è all’altezza di nessuna analisi sul valore. Breaking Bad vs The Wire: i paralleli e le distinzioni tra le due serie mettono in evidenza l’uso della complessità in quanto tendenza estetica, nonché come possa funzionare in modi diversi raggiungendo risultati positivi simili. Entrambe sono state prodotte per canali via cavo emergenti, entrambe hanno spinto i rispettivi canali verso nuove estetiche, e hanno raggiunto risultati crescenti. Entrambi i titoli sono composti da cinque stagioni, entrambe le serie parlano, in modi diversi, di spacciatori e guerra alla criminalità all’interno di una città americana ed entrambe combinano situazioni di tensione e violenza con una brillante vena da commedia dark. Per altri versi le due serie sono diametralmente opposte. The Wire ha uno stile visivo e sonoro coerente che segue le norme del cinema realista e attenendosi alle convinzioni di quel tipo di montaggio che mira a uno storytelling realistico. Breaking Bad adotta invece un campionario visivo più ampio, passando da panorami caratteristici a trovate registiche eccentriche o a espedienti di montaggio come il time-laps. Mentre Breaking bad adotta salti temporali e sequenze soggettive, The Wire si muove cronologicamente in avanti, mantenendo una narrazione oggettiva. In breve, The Wire adotta un “grado zero dello stile” che mira a rendere invisibili le tecniche del racconto, mentre Breaking Bad sfoggia uno “stile al massimo livello” con movimenti di camera cinematografici e forme narrative imprevedibili. Anche gli approcci delle due serie ai temi e allo storytelling sono in contrasto tra loro. The Wire è incentrato sulla guerra della droga. La densità narrativa si amplia per cinque anni fino a lasciare allo spettatore la sensazione di aver conosciuto tutte le persone e i luoghi. L’interesse a rappresentare l’ampiezza delle interconnessioni tra i personaggi e istituzioni rende necessario sacrificare la profondità dei personaggi che sono principalmente definiti dal loro 40 comune pensarlo), ma è anche il serial drama. Per mettere in evidenza l’approccio specifico della tv complessa al melodramma seriale si considera il modo in cui lo stesso melodramma funziona in quanto “tecnica narrativa di genere”, facendo riferimento al modello di Robyn Warhol. Le soap opera e le questioni di genere Prima degli anni ’90, in America la forma principale di serialità a lungo termine era la soap opera di daytime, che affonda le sue radici nella radio; soap opera è un termine dispregiativo coniato negli anni ‘30 per prendere in giro la contrapposizione tra melodramma straziante e vendite commerciali di poco conto. Prima della diffusione del termine le soap opera erano note come daytime drama e ciò ne richiama il collocamento commerciale all’interno del palinsesto radiofonico, ma anche la forma narrativa e l’intento emotivo. Queste tre caratteristiche sono state ereditate dall’espressione soap opera quando questi programmi furono spostati in tv negli anni 50. Le soap opera non furono le uniche né le principali forme seriali radiofoniche nell’America degli anni ‘30 e ‘40: ai tempi si parlava di serie anche a proposito di molte nuove forme di fiction radiofonica. Queste prime serie venivano trasmesse quotidianamente con una programmazione definita “striscia”. Quando nelle case americane degli anni 50 la tv sottrasse alla radio il ruolo di principale vetrina della fiction, le trame seriali divennero meno comuni nel palinsesto seriale e dalla prima serata si sparsero nel resto della giornata. A metà degli anni 50 “serial” finì per sottintendere un insieme di trame cumulative e dal finale aperto, mentre la parola “serie” evocava mondi narrativi e personaggi tipici delle comedy radiofoniche, ma non necessariamente collegati a delle trame cumulative. Sia i serial che le serie erano in contrasto con l’importante tradizione dei programmi di “varietà” e di quelli “antologici” Di pari in passo a uno slittamento del significato di serialità, si sviluppò un collegamento diffuso tra il genere seriale, maggiormente basato sulla trama, ovvero la soap opera, e la stessa forma seriale. A livello formale, la serialità delle soap opera ricorre a tecniche molto particolari, con modalità proprie di produzione, programmazione, ritmo e struttura degli episodi. La ridondanza narrativa delle soap opera dipende dall’espediente della ripetizione diegetica che da un lato aiuta gli spettatori a ricordare e dall’altro rende piacevole osservare in che modo reagiscono i personaggi al racconti di eventi passati. Un episodio di una soap opera vede alternarsi, nell’arco di un’ora, dalle quattro alle sei sottotrame. All’inizio di un episodio, ogni sottotrama parte con una scena che anticipa la conversazione di quel giorno, mostrando i personaggi che parlano di eventi recenti e svelano nuovi dettagli sulle ripercussioni di quegli eventi sulla loro vita. La scena finale di ogni sottotrama si chiude di solito con un finale sospeso carico di suspense, che innescherà a sua volta una ripetizione, all’interno dell’episodio che riprenderà questa sottotrama. Un episodio di una soap contiene raramente sottotrame autoconclusive o quei rimandi tematici che si ritrovano nella maggior parte dei serial di prima serata. Le soap opera abbracciano quindi la ridondanza e i tempi lunghi. Una soap opera può descrivere un evento chiave, ma l’evento stesso diventa meno importante, dal punto di vista narrativo, della catena di conversazioni che innesca tra i personaggi; Allen definisce questo modello “Storytelling paradigmatico”. Attraverso la regola del richiamo narrativo, ci viene così ricordato a più riprese ciò che è successo e siamo invogliati a concentrarci sulla sfera emotiva di ogni personaggio. Questo tipo di serialità basata sulla ripetizione non è l’unico utilizzato in tv, considerato che raramente viene adottata dai serial di prima serata e che riguarda esclusivamente le soap opera di daytime. 41 L’esistenza di questo modello di ridondanza e la sua assenza nei serial in prima serata derivano in buona parte dalle diverse esigenze delle rispettive produzioni e programmazioni. Molte serie di prima serata trasmesse dai network non hanno più di 24 episodi all’anno, mentre i canali via cavo riducono questo numero a tredici con lunghe interruzioni tra una stagione e l’altra. Le soap sono perennemente in produzione e mandano in onda 5 episodi a settimana. Queste differenze di programmazione hanno implicazioni enormi, sia per i produttori che per gli spettatori. Sul lato commerciale la spinta continua verso l’episodio successivo conduce a un modello industriale ad alta intensità basato su convenzioni, ripetizioni. Allo stesso modo dobbiamo considerare le soap opera, con la loro programmazione eterna. E le serie di prima serata, suddivise in stagioni a scansione settimanale, come due formati testuali profondamente diversi. Queste differenze di programmazione generano negli spettatori delle soap e in quelli dei serial due tipi di coinvolgimento diversi. Per gli spettatori dei serial di prima serata un episodio può essere un appuntamento settimanale fisso. Che gli episodi siano guardati con i ritmi del palinsesto o in un’abbuffata in dvd, la maggior parte delle modalità di visione di una serie in prima serata considera un episodio come un’unità narrativa autonoma, che riprende le strutture e i temi della serie, ma contiene anche sottotrame interne autoconclusive. La visione di una soap è invece una componente della routine quotidiana. La grande mole di episodi, unita alla rarità delle repliche, impone agli spettatori di gestire i propri rituali quotidiani per non perdere pezzi della storia. I diversi modelli di programmazione e distribuzione rendono la visione delle soap e quella dei serial in prima serata due esperienze distinte. Soap opera e serie tv strutturano in modo diverso il tempo dello schermo, e la programmazione quotidiana delle soap rende meno importanti gli intervalli tra un episodio e l’altro. Nelle serie tv di prima serata invece gli intervalli settimanali e quelli più lunghi tra una stagione e l’altra fanno sembrare ogni episodio ricco di eventi e invogliano i fan a colmare questi intervalli ricorrendo ai paratesti e alle speculazioni. Se consideriamo un genere in quanto risultato di specifiche modalità di visione, dinamiche di produzione, norme testuali e attrattive, risulta chiaro che le soap opera e i serial in prima serata sono due cose distinte. Ma di sicuro i serial in prima serata hanno subito un’influenza da parte delle soap opera. Analisi di tre programmi considerati primi tentativi di proporre una narrazione seriale in prima serata (tutti e tre strettamente connessi al genere delle soap opera). 1) Peyton Place: lo storytelling faceva esplicitamente riferimento a quello delle soap opera, Abc la mandava in onda 2 o 3 sere a settimana con il modello “stagioni con repliche”. Monash (creatore della serie) si impegnava a negare il legame del programma con le soap opera, preferendo la definizione di "romanzo per la televisione” o “drama a puntate” per sottolinearne la superiorità sui serial diurni. 2) Mary Hartman: adottava esplicitamente ritmo, forma e produzione delle soap opera. Fu una serie distribuita da emittenti locali con il sistema del “syndacation” e trasmessa ad orari variabili, esclusa la prima serata. Il programma conteneva sottotrame sopra le righe e non ricorreva a convenzioni tipiche delle sitcom, l’umorismo era tipico delle soap, la recitazione era amatoriale, c’era molta enfasi sulle relazioni e si prestava ad un ritmo lento con monologhi ridondanti. Il programma si guadagnò molto seguito che si adattarono ai ritmi del racconto seriale quotidiano. 3) Bolle di sapone: programmazione tipica delle sitcom, con una prima serata settimanale. Susan Harris (creatrice) sostenne che il programma non aveva intenzione di imitare o scimmiottare le soap opera, e che il titolo era solo un riferimento generico allo storytelling televisivo serializzato. La serie giocava con lo stile delle soap opera e prendeva in giro gli eccessi di genere, aveva un 42 ritmo più serrato di qualsiasi soap opera e la sua programmazione settimane non permetteva i rituali di visione tipici delle soap. Uso parsimonioso di ridonante interne e ripetizioni diegetiche. Un episodio conteneva numerosi eventi narrativi che diventavano sempre più grotteschi, così come l’umorismo incentrato sui dialoghi. Notiamo quindi come sia stata esplicita l’influenza delle soap opera sulle serie tv di prima serata, ma anche che molte delle serie di oggi non hanno collegamenti così evidenti con la tradizione delle soap. Persino quelle serie che vengono spesso definite come “soap opera di prima serata”, come Dallas e Dynasty, hanno poche somiglianze formali con le soap in termini di stile, produzione, struttura delle trame e tempo schermo. Queste serie raccontano i melodrammi con un racconto più simile a quello di altri programmi di prima serata; eppure, l’etichetta “soap di prima serata” continua ad indicare melodrammi seriali incentrati sull’emotività e sulle complicazioni relazionali. È nella presenza di melodrammi in quasi tutte le modalità dello storytelling seriale che posiamo trovar il punto di congiunzione tra le soap opera e le serie tv in prima serata, ma questo non significa che le serie tv abbiano imitato o fatto evolvere le soap. I melodrammi seriali e l’interesse unisex Quadi tutti i drama affrontati in questo libro posso essere considerati una forma di melodramma seriale, che si tratti di sentimenti, famiglia, politica o critica sociale. Linda Williams ci invita a ridefinire i confini del melodramma e a non farli coincidere con quelli dell’eccesso: “il melodramma è diventato un elemento fondamentale per tutte le forme di intrattenimento audiovisivo che p controproducente continuare ad identificarlo come un eccesso, dal momento che questi ipotetici eccessi non sono ciò che fa funzionare il melodramma, né l’essenza della sua forma”. Il melodramma dovrebbe essere considerato una modalità di narrazione che ricorre alla suspence per rappresentare una “leggibilità morale” proponendo una reazione emotiva coinvolgente che evidenzi le differenze tra idee morali in competizione all’interno di una narrazione. Una narrazione televisiva funziona soltanto se riesce a farci interessare al dramma; secondo Williams: “ciò che fanno questi programmi è combinare un forte interesse con una leggibilità morale per installare nello spettatore un sentimento positivo”, inoltre sostiene che il melodramma nelle serie tv in prima serata deriva dallo stesso DNA delle soap opera; riconoscere l’ubiquità del melodramma nelle serie complesse è fondamentale se si vuole capire l’apporto culturale del medium televisivo. Considerare il melodramma in modo più ampio, in quanto modalità diffusa piuttosto che genere circoscritto, ha almeno due ripercussioni principali sul modo in cui comprendiamo la serialità televisiva di oggi. Scardina una dicotomia imposta per decenni, che contrappone le “soap opera di prima serata” ai “quality drama”. Accettare che la televisione complessa abbia elementi melodrammatici è inoltre molto importante per aiutarci a comprendere le politiche di genere (gender). Michael Newman e Elana Levine affermano che: “Nell’epoca della convergenza, le serie legittimate mascolinizzano una forma denigrata. Negandone quella versione femminilizzata dalla quale dipende il loro status”, e sostenendo non solo che le serie tv derivino dalle soap opera. Ma che cerchino attivamente di nascondere queste origini attraverso una strategia di differenziazione di genere. L’integrazione del melodramma seriale in altri generi ha condotto a maggiori possibilità di immedesimazione e a mettere in gioco certi stereotipi di genere sull’appeal di un personaggio. 45 comprensione di una storia, l’industria televisiva preferisce programmi che siano abbastanza semplici da risultare accessibili anche agli spettatori occasionali. Le serie tv complesse mettono però spesso a repentaglio quest’accessibilità agli spettatori occasionali perché non temono il disorientamento e la confusione, e lasciano che siano gli spettatori a sviluppare i propri metodi di comprensione tramite la visione e il coinvolgimento a lungo termine. Per comprendere al meglio le serie tv gli spettatori ricorrono a pratiche di orientamento e di mappatura, in particolar modo attraverso la creazione di paratesti orientativi. L’orientamento non è necessario se si vogliono scoprire le verità interne di un mondo narrativo, ma viene piuttosto usato per creare un altro strato di senso intorno al programma, utile a capire come metterne insieme i pezzi o come poterlo guardare da un punto di vista diverso. La produzione di un paratesto, che sia ufficiale o creato dai fan, modifica il modo in cui vediamo il testo che l’ha generato. Nell’era di internet siamo circondati da una sfilza di informazioni paratestuali, pensate specificamente per aiutare gli spettatori a orientarsi nelle serie tv. Le serie tv non sono quindi trattate come un testo isolato e autoconclusivo né dagli ideatori né dai fan, ma al contrario esistono all’interno di un paesaggio mediale in cui i paratesti online sono potenzialmente sempre accessibili agli spettatori. Un catalogo delle pratiche orientative seriali Se analizziamo la definizione di narrazione proposta nell’introduzione (una serie televisiva crea un mondo narrativo duraturo, popolato da un gruppo coerente di personaggi che vivono una catena di eventi lungo un certo arco di tempo), ci rendiamo conto che sono 4 gli aspetti fondamentali dello storytelling che potrebbero aver bisogno di un orientamento: tempo, eventi, personaggi e spazio. La prima categoria, quella del tempo, riguarda l’aspetto più importante di una narrazione seriale, poiché la serialità è determinata proprio dalla manipolazione del tempo. I tre livelli di tempo ovvero tempo della storia, tempo del discorso e tempo dello schermo hanno bisogno di prassi orientative. Il tempo dello schermo evidenzia un presupposto fondamentale: dobbiamo sapere quando gli episodi verranno trasmessi e in quale ordine dovremmo guardarli. Negli ultimi due decenni, con la diffusione dei canali via cavo e di altre tecnologie, l’industria ha elaborato diversi modi per permettere allo spettatore di orientarsi con il tempo dello schermo, il più importante dei quali è la guida elettronica ai programmi (EPG). Gli spettatori adattano il proprio modo di gestire il tempo dello schermo attraverso la verifica online degli episodi e delle loro rispettive messe in onda, ricorrendo a fonti generiche come wikipedia o altri siti, nonché ricorrendo ai videoregistratori digitali per organizzare la propria visione della serie. La pratica della pianificazione orientativa permette agli spettatori di gestire uno schema cronologico che rimane fondamentale per comprendere al meglio le dinamiche narrative di una serie tv complessa. Mentre il tempo dello schermo rispetta i confini e strutture abbastanza rigide, il tempo del discorso è molto più variabile e fluido, soprattutto per quanto riguarda le serie con una cronologia complessa. Comprendere i flashback, i replay, i salti temporali, spesso uno dentro l’altro richiede che si faccia attenzione al dettaglio, ma anche che si tenga nota degli indicatori di continuità temporale. Il tempo del discorso si riferisce alla sequenza e alla selezione del materiale narrativo proposte al 46 pubblico, mentre il tempo della storia riguarda gli eventi di finzione che hanno luogo all’interno dell’universo narrativo. Nel caso delle serie con cronologia serrata comprendere il nesso tra il tempo della storia e quello dello schermo può risultare difficile e richiede una strategia di orientamento, ad esempio alcuni fan ricorrono alla timeline, una calendarizzazione orientativa (parallelo tra eventi finzione ed eventi storici a cui fa riferimento la serie). Anche quando il mondo narrativo non è affatto realistico, schematizzarne la cronologia può risultare una strategia orientativa fondamentale. Uno dei paratesti orientativi più interessanti tra quelli creati dai fan sono i video che ricostruiscono la temporalità lineare della serie. Spesso però un solo asse non è sufficiente a catalogare le pratiche orientative degli spettatori: oltre a sapere su “che cosa” ci si sta orientando (il tempo o lo spazio), bisogna anche capire “come” avviene quest’orientamento; una delle pratiche orientative è il riepilogo, ossia il riassunto del materiale narrativo in modo chiaro e lineare. Un’altra pratica ricorre all’analisi, esaminando il materiale narrativo attraverso una rappresentazione, spesso grafica o video che amplia il lavoro già fatto dal riepilogo. Mentre queste pratiche hanno lo scopo di spiegare ciò che succede all’interno di una serie, l’espansione orientativa riguarda piuttosto ciò che succede al di fuori di essa, creando collegamenti tra la serie e altre sfere extratestuali. Gli eventi narrativi sono strettamente connessi al tempo, poiché vengono solitamente concepiti come “ciò che succede quando”, il tentativo di orientarsi tra gli eventi di una storia richiede spesso indicazioni cronologiche e temporali. I riepiloghi della trama sono strumenti di orientamento comuni. Alcune analisi degli eventi estrapolano gli eventi narrativi dalla loro cronologia per offrire un punto divista diverso sulla storia (ad esempio l’elenco dei personaggi su Wikipedia). Queste interpretazioni analitiche prendono una serie di eventi narrativi e la analizzano per comprenderne più a fondo le cause e il significato; queste astrazioni e reinterpretazioni sono opera di fandom. Le espansioni della trama mirano a contestualizzare gli eventi di una serie in una rete ipertestuale più grande, di solito creando collegamenti tra il mondo reale e ciò che succede nella finzione. (collegare una serie a un’altra o ad eventi reali) La terza tipologia di strumenti orientativi è quella che cataloga i personaggi di una serie. Le guide ai personaggi, che si trovino nei siti ufficiali o nei libri tratti dalle serie o nelle pagine wiki create dai fan, offrono un’utile panoramica dei personaggi: l’obiettivo di queste guide è quello di orientarci sul cast. Le analisi dei personaggi creano di solito, attraverso altri media, uno schema dei rapporti, degli sviluppi e delle personalità. Anche se molti dei paratesti creati dai fan reinterpretano i personaggi, nella maggior parte dei casi essi non sono “orientativi”, poiché tendono più a espandere i mondi narrativi verso altre possibilità che ad approfondirli. L’ultimo dei paratesti orientativi riguarda il tipo più comune di mappatura, quella spaziale, in questo caso rivolta al mondo narrativo. Se nella televisione di oggi temporalità, trame e personaggi sono diventati più complessi, lo spazio è rimasto abbastanza convenzionale e lineare. Queste pratiche orientative ci aiutano inoltre a capire in che modo la televisione sfrutta la complessità narrativa e a intuire i futuri sviluppi di questa modalità. Nel caso delle serie ambientate in luoghi di fantasia, le mappe possono rivelarsi utili agli spettatori per orientarsi nelle relative mitologie. (Ad esempio, il “Trono di spade” dove HBO propone una mappa interattiva che riassume gli eventi di ogni episodio e le genealogie di ogni personaggio). 47 Quando le serie fantasy o di fantascienza non pubblicano le proprie mappe, spesso ci pensano i fan. La creazione di mappe fa parte di una più ampia attività confermativa che Bob Rehak definisce “cultura della verifica”, poiché i fan si impegnano a documentare i fatti proposti da una finzione basata sulla fantasia. Quando le serie sono ambientate sulla terra non esistono strumenti di orientamento più utili di Google Maps. Queste mappe possono trasformarsi così in una pratica attiva, perché permettono ai fan di esplorare virtualmente i locali e gli ambienti delle loro serie preferite, generando così anche il turismo a tema. (Esempio Lost pag.354,357) La diffusione della cultura online è stata fondamentale per il successo della televisione complessa, poiché gli strumenti di partecipazione e orientamento collettivo hanno permesso a questi programmi di sollecitare e coinvolgere gli spettatori. Queste pratiche orientative ci aiutano inoltre a capire in che modo la televisione sfrutta la complessità narrativa e a intuire i futuri sviluppi di questa modalità. I paratesti delle serie tv sono spesso anch’essi serializzati, e si espandono e modificano in dialogo con la serie cui fanno riferimento. In alcuni casi, i producer di un programma possono monitorare i paratesti creati dai fan per dedurre il loro coinvolgimento nella serie e ipotizzare come potrebbero rapportarsi a nuovi paratesti. Spazi partecipativi: le pagine wiki gestite dai fan Una delle innovazioni tecnologiche più importanti emerse parallelamente alla diffusione della tv complessa sono le pagine wiki, che propone agli utenti contenuti leggibili ma anche è possibile apportare modifiche. La semplicità e la crescente diffusione del software wiki l’hanno reso lo strumento collaborativo preferito dai gruppi di fan che vogliono raccogliere ed organizzare le informazioni sul proprio oggetto culturale preferito. Lostpedia è l’esempio più alto e corposo di wiki dedicato a una serie tv. Lostpedia è stato aperto nel 2005, all’inizio della seconda stagione di Lost. In breve tempo è diventato un portale pienamente sviluppato, con un forum, un blog, una chat. L’uso di Lostpedia è stato decisamente influenzato dalle notevoli differenze tra Lost e le altre serie tv. Tra le ragioni principali del successo di Lostpedia c’è forse il fatto che la serie stessa si proponga come un puzzle da risolvere, la cui comprensione richiede la ricerca di materiale e l’esistenza di un archivio indicizzato. La funzione principale di lostpedia è quella di un archivio condiviso di informazioni narrative, che setaccia la serie, i suoi paratesti ufficiali e i suoi riferimenti culturali allo scopo di aiutare gli spettatori disorientati a capire gli enigmi e l’intreccio del programma. Questo tipo di materiale rende labile il confine tra documentazione e creatività, nonché quelli fra le tre funzioni fondamentali dell’orientamento, ovvero riepilogo, analisi ed espansione, che su lostpedia possono spesso entrare in conflitto. Uno dei problemi quando si cerca all’interno di un wiki è che l’oggetto dell’analisi potrebbe essere in perenne evoluzione. Benché qualsiasi wiki si basi sul consenso della community degli editor, è importante rilevare che spesso le modifiche sono frutto di uno status quo passivamente accettato, piuttosto che di un accordo consensuale, e che gli editor più attivi e influenti possono scavalcare le opinioni di quelli meno potenti o costanti. 50 un mondo narrativo persistente. Questa persistenza cumulativa è una delle caratteristiche principali che distinguono lo storytelling seriale da quello della serie episodiche: un drama o una sitcom a episodi possono avere gli stessi personaggi e lo stesso mondo narrativo, ma i personaggi raramente ricordano gli eventi precedenti e la continuità tra gli episodi è ridotta al minimo necessario, consentendo così agli spettatori di guardare la serie a intermittenza e senza tener conto della cronologia. Per i fan della tv seriale, tenere traccia degli eventi, dei personaggi e delle ambientazioni che compongono il mondo narrativo è una priorità. La diffusione della tv transmediale e l’espansione della serialità complessa hanno reso più articolata la questione del canone cumulativo, ponendo i producer di fronte al problema di come collocare i paratesti transmediali. I libri sono da tempo usati come paratesti dei media audiovisivi, però la loro funzione è quella di supplementi superflui piuttosto che di contenuti transmediali integrati. I libri più comunemente associati ai film sono adattamenti romanzeschi, aggiungono elementi al mondo narrativo colmando alcune lacune della storia e proponendo eventi non mostrati sullo schermo. La forma narrativa delle serie tv si adatta a un altro tipo di supplemento letterario, quello in cui il libro funziona come nuovo episodio (Dragnet, Il tenente Colombo o CSI), in queste narrazioni a episodi, i libri sono perlopiù concepiti per essere fedeli ai personaggi, al tono e alle regole dell’universo narrativo. Le estensioni romanzesche delle serie più recenti spesso si collocano in una zona semi-canonica e quindi problematica: il team creativo del programma le approva. Ma allo stesso tempo (le estensioni) non sono del tutto integrate nella macrostoria della serie. In casi eccezionali è invece il producer di un programma a pubblicare supplementi canonici. Capita anche che le estensioni letterarie di programmi di successo diventino piuttosto popolari: i fan spesso instaurano un rapporto di amore e odio con i libri perché se da un lato pretendono coerenza dall’altro hanno anche il desiderio di continuare a esplorare l’universo finzionale delle serie che amano. Poche serie tv hanno provato a creare estensioni transmediali che offrano un livello di integrazione canonica tale per cui il fruitore, per comprendere appieno, debba conoscere eventi narrativi interconnessi veicolati da media diversi. Le narrazioni complesse hanno invece dimostrato che gli spettatori sono disposti a farsi coinvolgere attivamente da un tipo di televisione impegnativa e di conseguenza i producer hanno sperimentato forme di storytelling transmediale più integrate a livello di canone. Uno dei primi esempi di libri canonicamente integrato risale alle serie Twin Peaks: si tratta della pubblicazione del diario segreto di Laura Palmer; questo è un’estensione diegetica, ovvero un oggetto appartenente al mondo narrativo che viene immesso nel mondo reale. Il diario dava numerosi indizi riguardo l’omicidio e il passato di laura, forniva quindi informazioni canoniche rilevanti sulla storia. Le estensioni diegetiche non sono necessariamente garanzia di transmedialità integrata: possono anche essere non canoniche, ad esempio nel caso della Signora in giallo, sono stati pubblicati numerosi romandi a nome di Jessica Fletcher. I videogiochi basati sulle serie tv sono un esempio delle strategie e delle difficoltà della televisione transmediale. Quasi tutti i videogiochi connessi a serie tv mettono in primo piano il mondo narrativo del proprio franchise televisivo originale, permettendo ai giocatori di esplorare l’universo che in precedenza hanno visto soltanto sullo schermo. I videogame funzionano in primo luogo 51 come forme di storytelling spaziale: i giocatori esplorano rappresentazioni virtuali dei mondi creati nelle serie tv, ampliando così la propria esperienza narrativa e prendendo parte all’universo finzionale. Questo tipo di giochi non fornisce informazioni narrative importanti ed inoltre il trattamento dei personaggi presenta grandi difficoltà: in primis i personaggi non sono doppiati dagli attori, il che, contribuisce a creare distanza tra il personaggio televisivo e il suo avatar; I giocatori trovano limitante versioni virtuali dei personaggi, che ne riducono la profondità a una gamma ristretta di azioni e battute. Anche quando offrono esperienze di gioco piacevoli, i videogiochi legati ai prodotti televisivi non funzionano pienamente come transmedia storytellimg. Il legame con il canone della serie è sempre superficiale e non significativo. In altre parole, i vincoli dell’industria e le norme del consumo televisivo richiedono che le estensioni transmediali di un franchise seriale premino coloro che le consumano, senza penalizzare quelli che non lo fanno. Lost nella televisione transmediale Lost è uno degli esempi più vasti ed esaurienti sia di narrazione televisiva complessa che di transmedia storytelling: nel corso delle sue sei stagioni ha generato estensioni praticamente in tutti i media. L’approccio di Lost al transmedia storytelling è espansionistico: non solo nel senso che estende l’universo narrativo nei diversi media, ma poiché introduce anche molti personaggi, ambientazioni, trame, periodi ed elementi nuovi. Se già il testo principale di Lost aveva orizzonti narrativi più che vasti, le narrazioni transmediali sono riuscite a estenderli ulteriormente. Questo espansionismo ha portato Lost ad ampliare le proprie sei stagioni televisive con 4 romanzi, un videogioco, diversi siti web, contenuti extra in dvd. Lost si presta più di qualsiasi altra serie a questo approccio espansionistico alla transmedialità: la narrazione viene così estesa verso l’esterno, in nuove location e ambientazioni con una prospettiva che potremmo definire storytelling centrifugo. Lost è la serie ideale per lo sviluppo di estensioni transmediali. Gli showrunner hanno usato la metafora dell’iceberg per rappresentare il mondo narrativo della serie: il materiale messo in scena nella trasmissione è ciò che si vede sopra il livello dell’acqua, ma sotto la superficie ci sono profondità sottomarine che non vengono mai mostrate in tv. Queste estensioni transmediali hanno spinto gli spettatori a farsi investigatori, a scavare nei paratesti per svelare i loro significati nascosti e scoprirne i segreti. Gli episodi televisivi di Lost iniziavano con sequenze di aperture che avevano l’obiettivo di spingere gli spettatori a esplorare il mondo narrativo più approfonditamente. Queste due sequenze erano di due tipi: le easter eggs (contenuti bonus che non comportavano ulteriori sviluppi narrativi) e i trailheads (aprivano la strada a sviluppi di lunga durata e che fornivano dati sugli antefatti, riferimenti culturali o approfondimenti sulla storia dell’isola). Grazie ad un uso centrifugo della transmedialità, Lost ha potuto inglobare molti generi, stili e attrattive diversi, proposti simultaneamente nel testo televisivo principale: un enigmatico mystery di fantascienza, un romance multidimensionale, un’avventura travolgente nella natura e una parabola religiosa sull’opportunità di lasciarsi alle spalle il passato. Lost ha sempre avuto difficoltà a gestire le diverse aspettative dei suoi fan. Di certo è riuscito a far appassionare gli spettatori a molti suoi risvolti narrativi, dalla complessa mitologia alle relazioni sentimentali. 52 La strategia che ha permesso di conseguire questo traguardo è stata quella di incentrare la serie televisiva principale sui personaggi, sulle loro avventure e i loro drammi e sul modo di usare le estensioni transmediali per approfondire, esplorare e spiegare la mitologia stessa. La maggior parte delle estensioni transmediali di Lost è incentrata sull’espansione ed esplorazione del mondo narrativo, e non sugli sviluppi emotivi e i rapporti tra i personaggi. A volte gli eventi narrativi si collocano in una situazione ambigua rispetto al canone. È il caso di due paratesti importanti che inizialmente furono proposti come estensioni canoniche, ma in seguito furono disconosciuti dagli showrunner, in quanto non connessi alla storia principale. I creatori di queste estensioni avevano portato le trame a contraddire il canone del programma televisivo. Una delle maggiori difficoltà nella creazione di prodotti transmediali canonicamente integrati dipende dal fatto che i producer e gli autori fanno già fatica a gestire la coerenza di una serie tv complessa e questo li spinge a lasciare i paratesti in mano ad autori esterni spesso non all’altezza delle aspettative. Per creare narrazioni transmediali che siano coerenti è necessario un controllo totale dello storytelling, una condizione che però il sistema produttivo della tv di oggi sembra non riuscire a garantire. Nel caso di Lost il paratesto più controllato dal team creativo principale è probabilmente anche quello più innovativo: il primo gioco. I producer di Lost hanno dichiarato che il gioco aveva tre obiettivi principali: offrire ai fan rivelazioni narrative esclusive, che non sarebbero state fatte nella serie; sperimentare nuove forme di racconto; mantenere il programma attivo agli occhi della stampa e nella mente del pubblico. Il gioco è stato un esempio fondamentale per il trattamento dei problemi di storytelling, un elemento più importante di qualsiasi innovazione della forma seriale. A prescindere da quanto piacevoli fossero questi giochi per i fan, spesso non erano in grado di soddisfare la regola chiave: aggiungere elementi al racconto del franchise senza nulla togliere all’esperienza televisiva principale. Una delle grandi contraddizioni di Lost è che ha costruito l’universo mitologico più solido nella storia della tv, ma ne ha poi sminuito l’importanza con le estensioni transmediali, condannando i misteri trattati in quest’ultimi come “contenuti extra” e non come elementi narrativi centrali. Lost spinge i fan a investigarne gli enigmi come nessun’altra serie riesce a fare. Questa dicotomia tra fan investigatori che guardano (e giocano) cercando una coerenza e spettatori emotivi che vengono trascinati dall’avventura del romance, rispecchia una delle principali strutture tematiche del programma: il contrasto tra la perspettiva razionale e quella sovrannaturale; il finale sostiene chiaramente che la fede batte la scienza; in questo modo si possono lasciare irrisolti molti misteri che avevano attraversato la serie. La transmedialità di Lost prova a seguire alcuni parametri chiari: usare i paratesti per allargare l’accesso al mondo narrativo e alla mitologia dell’isola, ma tenere gli sviluppi dei personaggi e gli eventi principali ancorati al testo principale televisivo. Questa strategia può soddisfare i fan accaniti disposti a espandere il proprio consumo narrativo a media diversi, ma certamente crea frustrazione in altre categorie. Molti fan di Lost che sono rimasti insoddisfatti del finale probabilmente non erano consumatori transmediali. Ma il fatto che il programma utilizzasse la transmedialità per dare risposta ad alcuni misteri ha comunque suscitato delle aspettative sulla possibilità di trovare soluzioni razionali, aspettative in contrasto con l’accettazione spirituale offerta dal finale. 55 un ottimo esempio dei rischi di una sospensione, se si considera che è stata bruscamente interrotta dopo nove episodi, lasciando irrisolto il caso di omicidio al centro della narrazione. Un altro tipo di chiusura è il wrap-up e avviene quando la fine di una serie non è stata del tutto arbitraria ma nemmeno del tutto programmata. Di solito si verificano alla fine di una stagione, quando si è giunti a un naturale momento di pausa, ma non ci sono i presupposti per cominciare una nuova stagione. Nel caso delle serie le cui stagioni sono pensate per essere autoconclusive come Veronica Mars, ogni finale di stagione può fungere da wrap-up, anche se nessuno di essi propone una spiegazione del tutto esaustiva. Le serie cable che hanno stagioni più brevi spesso gestiscono la puntata finale della stagione come se potesse fungere da potenziale wrap-up. Riguardo questo tipo di stagioni singole Greg Smith dice che usano la “punteggiatura” tipica del climax narrativo e del finale sospeso, ma predisponendo “ribaltamenti del gioco” che potrebbero permettere alla serie di prendere altre direzioni nel caso di una seconda stagione. Ancora meno comune è la conclusione, che avviene quando i producer riescono a realizzare un episodio finale sapendo per certo che la serie chiuderà. A volte le conclusioni sono pianificate in anticipo dai producer, altre volte gli sono imposte dall’esterno. Una conclusione dà allo spettatore un senso di finalità e risoluzione. Queste risoluzioni sono però relativamente rare per le serie tv americane: per l’industria il successo di una serie equivale piuttosto a un’infinita proroga della fine, che rappresenta invece un fallimento. Questa tensione tra necessità commerciali e narrative può creare conflitti. Di questi possibili finali ne esistono poche varianti: Una di esse è la cessazione, che è una sospensione che non stabilisce che si tratti della fine della serie. È piuttosto comune nel caso delle serie che si interrompono a metà stagione, lasciando gli eventi futuri in un limbo, finchè la serie non ricomincia a essere trasmessa o scompare del tutto dalla programmazione dell’anno successivo. Meno comune è il caso di una serie che arriva alla fine della stagione senza rendere chiaro se avverrà o no un possibile seguito. La rinascita si ha quando una serie già conclusa torna in tv o anche su un altro medium e capita anche che gli imperativi economici scavalchino gli obiettivi creativi, quando una serie rinasce contro la volontà dei producer come successo con Scrubs, che ha avuto una nona stagione nonostante la conclusività dell’ultimo episodio dell’ottava. Infine, abbiamo il finale, che è una conclusione con un “party d’addio”. I finali si riconoscono più dai discorsi extratestuali che da qualche proprietà narrativa intrinseca, poiché propongono conclusioni di cui si è a lungo parlato e impostate come chiusura ideale di una serie amata. I finali non vengono imposti ai creatori, ma emergono spontaneamente dal processo di creazione di una serie, e quindi dai discorsi sulla presenza autoriale e sulle difficoltà di concludere nel modo migliore. Questo tipo di conclusioni sono spesso accompagnate da materiale para-testuale, come articoli, interviste e speciali televisivi. Tutto questo parlare alimenta le aspettative degli spettatori, motivo per cui i finali sono spesso fonte di delusione e reazione negative, nel caso in cui non riescano a soddisfare le aspettative di tutti. 56 Prepararsi alla fine: la metanarrazione delle stagioni conclusive di The Wire e Lost La conclusione di The Wire doveva rispettare certi standard narrativi centenari, come coerenza e drammaticità, ma anche attenersi all’affermazione del creatore secondo cui la serie mirava ad analizzare in modo convincente certe condizioni sociali americane. Molte analisi sostengono che Lost funzionasse sia come serie che come gioco, poiché poneva domande e puzzle che richiedevano delle risposte. Quest’ottica è stata rinforzata anche dalla costante presenza pubblica degli showrunner che puntualmente assicuravano agli spettatori che tutti gli enigmi avrebbero avuto una risposta. Inoltre la fine di Lost è stata attesa per anni, per via della data di chiusura già prestabilita, alimentando le aspettative, i fan fecero anche una lista con le domande che dovevano per forza ricevere risposta. Anche per via di queste aspettative le stagioni di Lost e The Wire hanno deluso gli spettatori. Nel caso di Lost, secondo i fan troppe domande sono rimaste senza risposta e la serie non è riuscita a conseguire i suoi intenti, virando su un approccio dogmatico rispetto ai propri enigmi narrativi. L’ultima stagione di The Wire è stata considerata dalla maggior parte dei fan e dei critici come un passo indietro rispetto alla terza e alla quarta, poiché l’iperrealismo della serie è stato oscurato da storie poco plausibili di assassini inventati e giornalisti bugiardi. Ma le strategie narrative utilizzate da entrambe le serie per arrivare alla conclusione hanno diversi punti in comune e identificano un procedimento chiave e ricorrente per concludere una serie tv: un’involuzione nella direzione della Metafiction. Questa strategia enfatizza il racconto della serie e comporta spesso delle scene che si rivolgono allo spettatore in modo più diretto di quanto faccia di solito una narrazione realistica. Tra le serie contemporanee ottimi esempi di finali metanarrativi si trovano in Arrested Development, Seinfeld e Six Feet Under. Lost e The Wire hanno adottato quella che Cuse ha definito “chiamata alla ribalta” cioè quando gli attori tornano sul palco a sipario chiuso per farsi applaudire. Le stagioni finali rappresentano l’ultima possibilità di passare del tempo con persone e in luoghi che i fan hanno frequentato per anni. I richiami possono essere usati anche in modo meno evidente per premiare gli spettatori più attenti. Ma le chiamate alla ribalta, pur evidenziando i meccanismi del racconto in accordo con l’estetica funzionale, non ci privano del piacere di veder riapparire un personaggio. Lost enfatizza in modo simile il ritorno di personaggi e luoghi visti in passato, come parte integrante dell’atmosfera di congedo dell’ultima stagione. Veniamo infatti guidati in un tour dell’isola, rivisitando location viste attraverso i ricordi dei personaggi. Questi momenti servono per ricordarci dove siamo stati nei vari anni della serie, ma fungono anche da parallelo con la necessità dei personaggi di affrontare il passato e il loro destino: siamo testimoni del ricordo che essi hanno delle proprie esperienze in questi luoghi perché sono anche i nostri ricordi della narrazione. Sia in The Wire che in Lost, nella stagione finale molti dei vecchi personaggi sono morti e non possono quindi tornare in scena. La prima risolve questo problema ricorrendo a un espediente tipico del genere, con un rapido montaggio delle foto della scena del crimine inserito nei titoli di testa. Lost si avvale della sua ampia gamma di strumenti narrativi per ricordare i personaggi deceduti nei modi più diversi. Per ricordare i defunti Lost adotta la tecnica della realtà parallela. 57 Anche se Lost è conosciuto soprattutto per i suoi enigmi intricati e per l’approccio ludico, i suoi producer ne considerano i personaggi come l’elemento più attraente e quindi non sorprende che la novità narrativa dell’ultima stagione abbia dato più spazio a una chiusura dei conti emotiva con i personaggi che alla coerenza della trama. In quanto spettatori, speriamo di dover passare insieme ai personaggi la parte più importante delle loro vite, e vogliamo credere che il nostro legame con loro abbia una qualche importanza. Il mondo parallelo di Lost è un misto di metanarrazione, riflessioni sul perché ci sia piaciuto trascorrere del tempo in compagnia di questi personaggi, esaltazione delle commistioni di genere della serie e una rassegna di momenti emozionanti che ne attraversano la narrazione a tratti grottesca e di basso livello. Ripensando al finale, risulta chiaro che tutta la sesta stagione mirava a farci riconcentrare sui personaggi a discapito della mitologia, offrendo l’appagamento di un lieto fine e la gioia di rivedere i personaggi deceduti senza il fardello di tutti i misteri dell’isola. Nei momenti di chiusura del finale Shephard ci parla direttamente dicendoci che quel mondo parallelo è ciò che creeremmo noi se immaginassimo vite alternative per i nostri eroi. Il mondo parallelo è un’estensione del fan service e, proponendo confronti tra i personaggi, intrattenimento romantico e spazio per le speculazioni, ci ricorda perché abbiamo amato la serie, mettendo in chiaro che alla fine lo scopo non era quello di risolvere gli enigmi, ma di godersi il tempo trascorso a guardarla in compagnia. I misteri dell’isola non erano pensati per essere risolti, ma per facilitare l’evoluzione dei personaggi e ottimizzare l’intrattenimento offerto dalla serie. The Wire aveva invece scopi che andavano al di là del mero intrattenimento, sfociando nel giornalismo di inchiesta per mettere sotto i riflettori certe condizioni urbane raramente prese in considerazione da altri media. La metafiction di The Wire è sia articolata in modo più chiaro, sia più improbabile di quella di Lost, poiché lo slancio realista e l’elusione di uno storytelling autoreferenziale sembrano rendere la serie il luogo inadatto per qualsiasi forma di metanarrazione. Nella 5ª stagione conteneva due sottotrame intrecciate che avevano come temi lo storytelling e il confine tra realtà e finzione. Attraverso la finzione di The Wire le storie vere (o almeno basate sulla verità) vengono raccontate, mentre guardiamo la stampa che puntualmente trascura le verità davvero importanti. The Wire riduce l’acume giornalistico a una farsa, l’unico modo per far notare una storia criminale è spingerla al di là della credibilità. Mentre l’ultimo episodio di Lost rivela i suoi meccanismi narrativi, quello di The Wire mantiene il livello di realismo tipico della serie, evitando elementi troppo esplicitamente metanarrativi. Eppure sottolinea l’importanza del racconto nel coinvolgimento del pubblico, proponendo diversi momenti in cui i personaggi sono costretti a prendere atto della propria evoluzione e di ciò che la gente dice di loro. Perché le serie ricorrono spesso a una metanarrazione proprio nella stagione finale? Da un lato sembra che gli autori rimangano intrappolati nei loro stessi universi metanarrativi, così integrati nel proprio processo di storytelling da ricorrervi persino per congedarsi loro stessi dalla narrazione, nonché per ribadire l’importanza e gli obiettivi del loro programma. Il processo creativo della serie tv si sviluppa parallelamente alle reazioni dei fan e dei critici. La promozione e la ricezione spesso modificano le aspettative degli spettatori e degli stessi creatori, dando maggiore importanza al modo in cui una serie tv si concluderà. I finali 60 Come possiamo usare la poetica storica e la diffusione culturale per analizzare il significato politico e sociale? Partiamo dalla sequenza iniziale dell’ultima puntata della prima stagione di Homeland che inizia con un video a camera fissa che il sergente Nick Brody sta girando per spiegare perchè progetta di morire suicida, uccidendo così numerosi politici e militari americani. Il video si interrompe e l’episodio riprende, girato e montato in modo convenzionale. Per comprendere questa scena dobbiamo considerarla da molti punti di vista. Per una minoranza di spettatori, potrebbe essere stato il primo episodio di Homeland, cosa che potrebbe averli disorientati; il video ha tutti i connotati di un girato “autentico”. Il tono e l’intensità emotiva di Brody ci dicono che sta dicendo la verità o quantomeno ciò che lui crede essere la verità. Ovviamente la maggior parte degli spettatori ha visto questo video come parte integrante di undici ore di narrazione, spalmate su due mesi. In questa sequenza assistiamo attraverso un flashback all’evento che ha spinto Brody contro il suo governo (attentato con drone a una scuola). Per alcuni spettatori il contesto appena raccontato giustifica e le convinzioni di Brody a tal punto da farci accettare emotivamente l’ipotesi che si possa essere patriottici tramite il terrorismo (idea fuori luogo sulla televisione commerciale americana). Homeland ha alimentato il dissenso nei confronti delle azioni militari americane, in un modo fino ad allora abbracciato soltanto dalla sinistra più pacifista e mai visto prima nella TV mainstream. Ma qual è il significato politico di quel video? Giustifica la prospettiva dei terroristi che si considerano a loro volta vittime del terrorismo militare americano. Il video è una dichiarazione che gli spettatori sono invitati a sostenere o a tollerare. La sequenza iniziale racconta di un possibile atto di violenza contro l’America, ma poi l’episodio finisce con Brody che cambia piano e invece che scagliare un attacco contro il governo, diventa un infiltrato per contro di Nazir; Il video ricompare in 5 dei 12 episodi della stagione, creando una sorta di effetto domino in chi segue la serie. Attraverso la reiterata esposizione si da dichiarazione di dissenso politico, il video diventa una prova della lotta al terrorismo da parte degli agenti americani: i sentimenti espressi da Brody diventano irrilevanti e non vengono riproposti, poiché ciò che importa è che la CIA dimostri che Brody è un traditore che va fermato. I contenuti politici radicali del video sono eliminati: diventa soltanto un elemento dell’indagine, e l’interesse si sposta su come gli agenti della CIA riusciranno a catturare Brody e sulle possibili conseguenze del suo tradimento. Il ripetersi di scene in cui un personaggio guarda il video richiama un elemento metanarrativo presente in Homeland fin dai primi episodi e sottolinea quanto sia importante per la serie mostrare personaggi che osservano altri personaggi a loro insaputa. Ogni volta che il video viene rivisto il video, in base a contesto e knowledge dello spettatore in merito alla serie, esso ha un significato diverso. La serie ricontestualizza il significato del video, ed è questo a renderne difficile l’analisi: la serie cambia man mano che la si guarda e il modo in cui racconta un dato evento ne modifica il significato. Il significato precedente non viene negato perchè veicola comunque una critica. Eppure la definizione dei significati politici di Homeland deve rimanere aperta e provvisoria fino alla conclusione della serie, nel momento in cui ha dimostrato la propensione a correggere il tiro dei suoi messaggi politici. 61 Questo bisogno di aspettare la fine non vale per The wire o 24. Nel caso di una serie come Homeland la cui posizione politica è più ambigua bisogna aspettare la fine per qualsiasi analisi e prima di identificare la sua posizione ideologica, così non avrà più tempo per rivederla e correggerne il tiro. Per capire le modifiche dei significati politici possiamo ricorrere al concetto di articolazione intesa da Hall come il legame politico che si viene a instaurare tra elementi culturali distinti. Le posizioni ideologiche più diffuse sono il risultato del collegamento istintivo tra comportamenti sociali e significati culturali, che spesso cambiano a seconda dei contesti. L’articolazione si basa sulla reiterazione di un elemento che permette di chiarire quali collegamenti culturali vanno mantenuti e quali no, sottolineando come interpretazione politica di una serie debba sempre tener conto della mutabilità della rappresentazione e dei contesti. Un altro importante fattore è il modo in cui la distanza da un evento narrativo lo fa apparire diversamente con il passare del tempo. Consideriamo un momento in cui viene criticata la politica militare americana. Nella seconda stagione di Lost, c’è un flashback che ci mostra Sayid in servizio durante la Guerra del Golfo. Gli episodi successivi di Lost non contraddicono le connotazioni politiche degli eventi, ma si limitano a ignorarle: non si fa più riferimento al legame di Sayid con l’esercito americano, e questo aspetto della sua storia si limita a rimanere un retroscena per i successivi episodi. Per gli spettatori si è trattato di un dettaglio narrativo e non di una critica politica che potesse influenzare la loro idea delle politiche militari americane e questo dimostra come lo storytelling di una serie possa enfatizzare o ignorare un particolare significato politico in base alla quantità di reiterazioni di un dato elemento narrativo. Gli esempi di Homeland e Lost, focalizzano l’attenzione sul comprendere come viene veicolato il contenuto politico di una serie influenzandone l’interpretazione. Per comprendere in che modo invece la diffusione di una serie modifica nel tempo i suoi contenuti politici, ci rifacciamo alle politiche di genere di Breaking Bad; di preciso quando Skyler finge un esaurimento nervoso per avere un pretesto per portare via di casa i figli e sottrarsi a Walt, diventato ormai aggressivo. Eppure, il punto di vista predominante di Walt ha incitato una grossa fetta di fan di Breaking Bad a odiare Skyler. Il creatore della serie Gilligan è intervenuto sull’argomento definendo “misoginia, sterile e stupida” la cricca degli hater online. Anna Gunn si è difesa con un articolo sul New York Times un articolo in cui condannava gli hater di Skyler e la loro misoginia. La serie stessa ha criticato l’odio nei confronti di Skyler mettendo in bocca a Walt le offese misogine degli hater, proprio nel momento di massima cattiveria del personaggio. Non possiamo archiviare l’odio nei confronti di Skyler, dobbiamo riconoscere l’importanza dei diversi modi in cui è possibile interpretare una serie tv, anche se ci sembrano “sbagliati” in rapporto agli standard di comprensione. La serialità è costituita anche dagli intervalli tra gli episodi, nei quali è possibile interpretare ciò che si è visto e non possiamo ignorare certe interpretazioni provvisorie che a sua volta influisce sull’importanza degli stessi. La serie ha scatenato la misoginia, da un lato attirando spettatori misogini, dall’altro suscitando reazioni di odio in una fetta consistente del pubblico, e questo dato di fatto non può essere semplicemente ignorato o confutato da una pur sofisticata analisi della serie. A prescindere da quanto possano essere di cattivo gusto o irrazionali, dobbiamo riconoscere che questo tipo di interpretazioni sono parte integrante del “contenuto” della serie, una parte particolarmente significativa e, in una sola parola, complessa. 62 Se si studia il modo in cui la serie viene interpretata nel tempo e a seconda dei contesti, diventa difficile sostenere qualsiasi cosa che non sia limitata al caso specifico o al proprio punto di vista per evitare di “non sapere”. Dobbiamo quindi capire cosa intendiamo per “interpretazione” quando parliamo di una serie tv, ovvero di qualcosa di perennemente mutevole, piena di lacune ed ellissi, dettata da infiniti contesti e paratesti, e da una frustrante indefinibilità. Concludere un saggio critico seriale Mittel pubblica questo libro attraverso un processo di pubblicazione seriale su MediaCommons Press. In questo modo si è seguito lo sviluppo del libro come se fosse una serie tv. Permettendo riflessioni, feedback e suggerimenti durante gli intervalli tra una pubblicazione di un capitolo e un’altra. L’obiettivo oltre a renderlo disponibile il testo a un pubblico più ampio rispetto a quello delle classiche pubblicazioni accademiche, era anche quelle di comprendere al meglio il processo creativo seriale in sé. L’accessibilità del processo di scrittura ha anche il vantaggio di mostrare il modo in cui un autore sviluppa un progetto, offrendo uno scorcio al processo di scrittura.
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