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Comunicazione del rischio e processi decisionali, Appunti di Psicologia di Comunità

Appunti del corso svolto nell'a.a. 2021-2022 - Introduzione - Gigerenzer - Pensieri lenti e veloci - Nudge - La spinta gentile

Tipologia: Appunti

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Scarica Comunicazione del rischio e processi decisionali e più Appunti in PDF di Psicologia di Comunità solo su Docsity! Comunicazione del rischio e processi decisionali COMUNICAZIONE DEL RISCHIO E PROCESSI DECISIONALI INTRODUZIONE AI CONCETTI DI RISCHIO E DI DECISIONE Per prima cosa dobbiamo discriminare tra rischio e pericolo. Dal punto di vista colloquiale, rischio e pericolo sono trattati come due sinonimi, sono abbastanza intercambiabili nel linguaggio comune; sono concetti che vengono usati quando si parla di conseguenze spiacevoli, che possono portare ad eventi gravi. In verità, gli addetti ai lavori distinguono questi due concetti, perché c’è una differenza, se vogliamo essere accurati. Si parla di pericolo quando questo è associato ad un danno certo; si parla di pericolo quando quell’oggetto, quella tecnologia, quella situazione provoca un danno certo se viene a contatto con la persona. Un evento, quindi, si definisce pericoloso quando le conseguenze provocano un danno certo. Qualcosa che è rischioso può diventare pericoloso quando entra in contatto con noi e provoca il danno certo. Il rischio è diverso perché è sempre presente il concetto di gravità, qualcosa che accade di grave a noi, però al concetto di gravità (che è certa nel pericolo) si aggiunge il concetto di probabilità di venire a contatto. Si calcola con quanta probabilità, effettivamente, si possa venire a contatto con quel fenomeno che poi può portare effettivamente al danno. Un evento si definisce rischioso quando le conseguenze negative sono potenziali (non certe) e si può misurare la gravità di queste conseguenze. MENTRE NEL PERICOLO È CERTO IL DANNO QUANDO SI VIENE A CONTATTO, NEL CONCETTO DI RISCHIO SI PARLA DI PROBABILITÀ DI VENIRE A CONTATTO. Nel concetto di rischio c’è: ● La possibilità di perdere qualcosa, di subire un qualche tipo di danno, più o meno grave ● L’importanza di ciò che si perde o del danno che si subisce ● L’incertezza associata a quella perdita o a quel danno Questi effetti negativi dipendono da tantissimi fattori, sia soggettivi (attuare comportamenti adeguati), sia condizioni oggettive (es. sicurezza dell’ambiente, fenomeni atmosferici). Sono tantissimi i fattori che possono portare a degli effetti negativi potenziali. Un’altra distinzione fondamentale è quella tra rischio oggettivo e rischio soggettivo (o percepito). 1 Prof. Lorella Lotto A.a. 2021-2022 Comunicazione del rischio e processi decisionali Il rischio oggettivo si può misurare grazie a una disciplina che studia la quantificazione del rischio; questa disciplina si chiama analisi del rischio o gestione del rischio e studia il rischio in modo oggettivo. Le due modalità principali di studio sono: ● Casistica: si contano gli eventi accaduti in un determinato arco di tempo. I due fattori essenziali sono un periodo di tempo predefinito, del numero di eventi in generale e il numero di eventi rischiosi accaduti nell’arco di tempo prestabiliti. Facendo il rapporto tra questi due dati, otterremo una stima del rischio oggettivo (eventi rischiosi/eventi totali). La casistica può essere utilizzata, anche, per calcolare il rischio in casi specifici. ● Modelli di calcolo: stimano il rischio possibile futuro a cui una persona potrebbe andare incontro. Questi modelli prendono in esame sia la casistica, sia dei fattori predittivi, che possono avere un impatto sull’accadimento negativo. I modelli di calcolo sono degli strumenti che utilizzano la casistica per calcolare il rischio, ma oltre alla casistica utilizzano anche tutta una serie di fattori predittivi. Quindi, in questo modello vengono pesati diversi fattori che hanno a che fare con quel rischio. Ci possono essere diversi modelli e questi diversi modelli, dato che prendono in esame fattori diversi, possono restituire un valore diverso. Questi modelli spesso si trovano anche in Internet: questo diventa un problema etico nel momento in cui una persona senza una conoscenza specifica inizia a guardare queste cose. Questi modelli di calcolo hanno due problemi: ○ I fattori che vengono inclusi nel modello possono essere diversi, quindi restituire un esito di rischio diverso. Modelli diversi potrebbero usare gli stessi predittori ma chi ha costruito l’algoritmo utilizzato potrebbe aver dato un peso diverso a dei fattori, quindi si potrebbero avere due modelli con gli stessi fattori ma con un esito di rischio diverso. ○ La stima diventa difficile quando non si ha una casistica. La casistica è un fattore molto importante per determinare il rischio. Spesso le casistiche storiche fanno riferimento ad un arco di tempo molto lungo, quindi annullano potenzialmente delle variabilità legate a qualche evento specifico in un anno. Se si è in assenza di casistica storica, i modelli di calcolo sono un po’ più critici. È possibile avere assenza di casistica storica. Il rischio soggettivo è quello che noi percepiamo. Solitamente le persone non calcolano il rischio oggettivo, ma fanno comunque delle valutazioni per decidere come comportarsi. Abbiamo pochissime difficoltà a farci un’opinione e formulare un nostro giudizio riguardo al rischio di una determinata attività. Una delle caratteristiche che vanno a costruire il concetto di rischio è la novità o la familiarità delle cose: se è una cosa familiare, difficilmente si avrà una percezione del rischio alta. Novità e familiarità non si escludono a vicenda. Il rischio soggettivo è una valutazione soggettiva che ognuno di noi fa rispetto al grado di rischiosità di qualsiasi cosa. Per ogni cosa noi non abbiamo alcun problema a formulare la nostra personale valutazione di rischio. 2 Prof. Lorella Lotto A.a. 2021-2022 Comunicazione del rischio e processi decisionali ASSOCIAZIONE DELLA PERCEZIONE DEL RISCHIO COVID-19 CON L’ESITAZIONE AL VACCINO NEL TEMPO PER I RESIDENTI ITALIANI (Lotto et. al., 2021)1 La ricerca è stata svolta su un campione di residenti italiani (dai 18 ai circa 70 anni) ed è iniziata nel gennaio 2020. Si tratta di un questionario online distribuito attraverso varie forme (passaparola, social network). Concentrandoci sulla percezione del rischio, non abbiamo guardato tutte le caratteristiche che sono state elencate precedentemente ma ne abbiamo selezionate tre, in quanto avevamo anche altri interessi di ricerca, altrimenti diventava troppo lungo il questionario. Abbiamo scelto una scala Likert da 0 (per nulla) a 100 (moltissimo). I tre item selezionati sono: ● Quanto si sente spaventato al Coronavirus? ● Quanto pensa sia grave la malattia provocata dal Coronavirus? ● Quanto pensa sia probabile che lei si ammali da coronavirus? Sono state fatte più raccolte dati: ● Pre-lockdown: gennaio-inizio febbraio ● Durante il lockdown: marzo-aprile ● Fine lockdown: maggio-giugno Le tre domande sono state fatte sia per il Coronavirus che per altre due malattie: ebola e influenza stagionale. 1 Marta Caserotti, Paolo Girardi, Enrico Rubaltelli, Alessandra Tasso, Lorella Lotto, Teresa Gavaruzzi, Associations of COVID-19 risk perception with vaccine hesitancy over time for Italian residents, Social Science & Medicine, Volume 272, 2021, 113688, ISSN 0277-9536, https://doi.org/10.1016/j.socscimed.2021.113688. 5 Prof. Lorella Lotto A.a. 2021-2022 Comunicazione del rischio e processi decisionali ILLUSIONE DI CONTROLLO e BIAS OTTIMISTICO Ci sono dei fattori che modulano la nostra percezione del rischio. Le stesse caratteristiche che abbiamo visto modulano la percezione del rischio anche se con delle contingenze esterne. Sono almeno due i fattori molto conosciuti in letteratura che sono poco influenzati dalla contingenza esterna, in quanto sono molto personali. L’illusione di controllo è la tendenza che le persone hanno a sovrastimare la probabilità di successo rispetto alla propria prestazione; l’idea che, in qualche modo per quello che io conosco e per come faccio le cose, riesco a tenere sotto controllo il rischio che deriva dal fatto che io mi metta in una certa situazione. È una sovrastima della fiducia in se stessi, perché io penso che con le mie capacità riesco in qualche modo a tenere sotto controllo i rischi. Questa è una cosa disposizionale personale: qualcuno la può avere molto spiccata, altri meno. In questo caso, chi ce l’ha molto spiccata è come se sottostimasse moltissimo il peso del caso: una persona può sentirsi molto abile a fare determinate cose, quindi pensa di tenere sotto controllo l’evento negativo che può risultare da questo comportamento; questo porta al rischio di sottostimare la casualità. Le persone che sottostimano il rischio sono persone molto brave a fare qualcosa e coloro che hanno esperienza: l’esperienza in una determinata attività porta le persone ad avere questa forte illusione di controllo; questo ovviamente è un rischio. 6 Prof. Lorella Lotto A.a. 2021-2022 Comunicazione del rischio e processi decisionali È stato identificato anche un altro bias, ovvero il bias ottimistico: sappiamo tutti che fumare fa male però alcune persone hanno questo bias ottimistico che ci permette di pensare che la probabilità di incorrere in qualcosa di negativo sia per noi molto meno probabile rispetto agli altri. Il bias ottimistico dipende dai tratti di personalità: umore negativo, ansia di tratto o di stato, gravità percepita dell’evento, vicinanza agli effetti negativi. 7 Prof. Lorella Lotto A.a. 2021-2022 Comunicazione del rischio e processi decisionali Noi vedremo la prima parte, dove Gigerenzer presenta tre casi. Sono tre casi di eventi e situazioni che sono davvero accaduti. Dato che l’autore sostiene che una delle soluzioni sia insegnare fin da piccoli a gestire queste statistiche con esempi applicativi, ovviamente lui ci presenta delle situazioni che sono realmente accadute. Sono tre situazioni molto diverse che hanno a che fare con formati di presentazione delle informazioni numeriche molto diverse, su cui Gigerenzer ci guida verso la comprensione di questi tre tipi di problemi che si possono riscontrare quando leggiamo queste informazioni. PARTE I - ANALFABETISMO STATICO ESEMPIO 1: LA PILLOLA CONCEZIONALE Questo esempio riguarda un caso veramente successo in Inghilterra. Questo caso ci farà comprendere in modo dettagliato la differenza che c’è tra la comunicazione basata sul rischio relativo confrontandola con la comunicazione basata sul rischio assoluto. Il primo esempio ha a che fare con un caso realmente successo nel 1995 in Gran Bretagna. “La paura della pillola contraccettiva. Nell’ottobre 1995, la Commissione della Sicurezza della Medicina del Regno Unito ha emesso un avviso che le pillole contraccettive orali di terza generazione aumentavano il rischio di coaguli di sangue potenzialmente pericolosi per la vita nelle gambe o nei polmoni di due volte, ovvero del 100%. Questa informazione è stata trasmessa in lettere “Caro dottore” a 190.000 medici generici, farmacisti e direttori di sanità pubblica ed è stata presentata ai media in un annuncio di emergenza. La notizia ha causato grande asia e le donne in difficoltà hanno smesso di prendere la pillola, il che ha portato a gravidanze e aborti indesiderati”. (Furedi, 1999) L’informazione numerica che ci interessa è il fatto che l’uso di questa pillola di terza generazione aumentava il rischio tromboembolico del 100%, quindi lo raddoppiava. Questo, ovviamente, ha causato una serie di esiti e di conseguenze: ● Stress, paura e preoccupazione, quindi l’interruzione da parte di molte persone per quanto riguarda l'assunzione della pillola. ● È stato stimato che ci sono state circa 13.000 interruzioni di gravidanza, altrettante gravidanze non desiderate, di cui 800 in ragazzine di 16 anni. ● È da considerare l’aumento di rischio tromboembolico, tra l'altro maggiore di quello della pillola stessa, perché sia l’interruzione di gravidanza sia la gravidanza stessa comunque hanno un rischio di questo tipo. ● Ovviamente, ci sono stati maggiori costi sanitari legati alle interruzioni di gravidanza ● Una generale perdita di fiducia della pillola. Il grafico sottostante mostra l’andamento delle interruzioni di gravidanza. Nell’asse delle ascisse ci sono gli anni, nelle ordinate il numero di interruzioni di gravidanza in Inghilterra e nel Galles. Quello che ci fa vedere questo grafico è che il numero di interruzioni di gravidanze stava, negli anni, scendendo fino al 1995. Nel 1995 è il momento in cui viene annunciata questa comunicazione, quindi aumentano di nuovo le interruzioni di gravidanza, per parecchi anni successivi, tra l’altro. Questo è il motivo per cui si parlava di perdita di 10 Prof. Lorella Lotto A.a. 2021-2022 Comunicazione del rischio e processi decisionali fiducia della pillola, perché questa notizia ha impattato molto sulla valutazione delle donne di assumere la pillola per controllare le gravidanze. Gigerenzer si chiede: qual è il problema? C’è un problema? Se c’è, si sarebbe potuto evitare? Dove sta il problema? Quello che non era stato specificato in questa comunicazione era legato a come erano stati raccolti i dati. Gli studi originali su cui si basava questa notizia erano legati al confronto dei risultati di eventi occorsi per la tromboembolia facendo un confronto tra la pillola di terza generazione (ovvero quella di cui stiamo parlando) confrontata con la pillola di seconda generazione. La prima differenza è che con la pillola anticoncezionale di seconda generazione, il numero di trombosi segnalate era pari a 1 evento; con quella di terza generazione era di 2 eventi. Quello che si è detto in questa comunicazione è assolutamente vero: 2 è il doppio di 1, quindi il rischio è aumentato del 100%. La prima cosa che balza all’occhio è che manca la numerosità del campione. Avevano reclutato 7.000 persone sia per la pillola di seconda che per quella di terza generazione. La percentuale di rischio di avere una trombosi in questi due campioni è pari a 1/7000 con un rischio di 0,00014% (seconda generazione), e 2/7000 con un rischio di 0,00028% (terza generazione). A questo punto sembra che chi ha deciso di comunicare questo rischio, non si sia reso conto che stava parlando di percentuali di rischio così piccole che (forse) non andava fatta una comunicazione così emergenziale. Dopo di che, probabilmente, sarebbe stato opportuno ritirare il farmaco di terza generazione. Tra fare un comunicato di quel tipo, che ha portato poi a quelle conseguenze, e fare un comunicato in cui si danno questi numeri, tantissime donne, se avessero avuto questi dati in mano, avrebbero valutato diversamente la scelta sulla pillola di terza generazione. Questo è stato un vero e proprio problema a livello di comunicazione pubblica però permette a noi di capire qual è la differenza tra rischio assoluto e rischio relativo. Il rischio relativo è un esempio di formato non trasparente: se noi comunichiamo delle informazioni usando il rischio relativo, non siamo trasparenti nella nostra comunicazione perché è ingannevole; considerando solo il numero di eventi che accadono e mettendoli in connessione tra di loro, non ci permette di avere il numero totale degli eventi. Questa informazione, invece, è considerata nel rischio assoluto. Due eventi possono avere un rischio assoluto diverso ma avere la stessa differenza in termini relativi. Esempio: l’effetto collaterale di un farmaco ha un rischio da 1/1000 a 2/1000, il rischio raddoppia per cui abbiamo un aumento del 100%; ma anche da 300/1000 a 600/1000 raddoppia il rischio relativo, quindi aumenta del 100%. In termini di rischio 11 Prof. Lorella Lotto A.a. 2021-2022 Comunicazione del rischio e processi decisionali assoluto, nel primo caso passiamo da un rischio del 0,1% ad un rischio del 0,2%; nel secondo caso passiamo da un rischio del 30% ad un rischio del 60%. Comunicare il rischio relativo è veramente ingannevole per le persone, perché non diamo loro delle informazioni su cui potrebbero prendere una decisione informata. Gigerenzer porta questo esempio proprio per farci capire che, in questo caso, il rischio era così basso che, probabilmente, non andava proprio fatto un annuncio così emergenziale. L’idea è proprio quella di capire qual è il formato trasparente e qual è il formato non trasparente: il rischio relativo è un formato non trasparente; il rischio assoluto è il formato trasparente. Il rischio relativo è sempre espresso parlando di aumento o di diminuzione, usando termini comparativi (si dimezza, raddoppia, triplica), vengono usati dei quantificatori verbali che permettono di fare questo confronto tra i due tipi di rischio di cui si sta parlando. Il rischio assoluto si comunica dando le frequenze con cui gli eventi si verificano. Si può parlare di percentuali ma bisogna dare la frequenza dei numeri. Il rischio assoluto è un formato trasparente perché voi date tutte le informazioni alle persone e poi saranno queste a fare le loro valutazioni e decideranno se prendere una determinata decisione oppure no. L’importante è tenere a mente che quella che prendono è una decisione informata dai fatti e dagli eventi che vengono raccontati. Riassumendo, le cause del problema sono legate al fatto che questo analfabetismo statistico fa sì che le persone fatichino a distinguere tra rischio relativo e rischio assoluto. Inoltre, spesso i media usano il rischio relativo perché fa molto più scalpore. La soluzione per Gigerenzer è insegnare questi concetti di base di alfabetizzazione statistica alla popolazione, inclusa la distinzione tra rischio relativo e rischio assoluto. Inoltre, ci si aspetta che nella comunicazione di politici, medici e media ci sia un uso di formati trasparenti. ESEMPIO 2: LA MAMMOGRAFIA DI SCREENING Il secondo esempio che trattiamo ha a che fare con i risultati dei test e la probabilità di risultare positivi o negativi al test. L’esempio trattato da Gigerenzer ha a che fare con la mammografia: è un test di screening offerto da tutte le regioni alle donne dai 50 ai 69 anni, ovvero la fascia d’età con maggiore prevalenza della malattia. L’obiettivo della mammografia è rilevare eventuali lesioni il più precocemente possibile, in modo che si possa intervenire il più precocemente possibile. Quello che vedremo adesso è applicabile a qualsiasi test che una persona possa fare. La domanda che dobbiamo farci quando effettuiamo un test è: se risultiamo positivi al test, significa con assoluta certezza che siamo malati? La risposta è no: nessun test dà una certezza pari al 100%. Questo significa che andiamo a parlare in termini di probabilità, ma sappiamo leggere la probabilità? Dobbiamo, quindi, tenere presente che quando risultiamo positivi al test, c’è comunque un margine di errore. L’idea è di capire se le persone riescono a maneggiare questa idea di avere un test positivo e questo non significhi avere una certezza di malattia. 12 Prof. Lorella Lotto A.a. 2021-2022 Comunicazione del rischio e processi decisionali p(malato|positivo): probabilità che la persona sia malata sapendo che il test ha avuto un esito positivo p(malato): probabilità che qualsiasi persona sia malata (1%) p(positivo|malato): probabilità che il test sia positivo se una persona è ammalata (90%) → sensibilità p(positivo|sano): probabilità che il test sia positivo se una persona è sana (9%) → falso positivo p(sano): probabilità che qualsiasi persona sia sana (%) Al numeratore, la sensibilità viene moltiplicata per il dato sulla prevalenza della malattia. Al denominatore, abbiamo la sensibilità moltiplicata per la prevalenza della malattia, moltiplicata per la specificità (falsi positivi), moltiplicata per la probabilità relativa ai sani (che sono il complemento delle persone che sono malate). Se sostituiamo queste annotazioni con le probabilità (per non fare confusione trasformiamo le probabilità in un range che va da 0 a 1), abbiamo: 𝑝(𝑚𝑎𝑙𝑎𝑡𝑜/𝑝𝑜𝑠𝑖𝑡𝑖𝑣𝑜) = 0.90*0.01 0.90*0.01+0.09*0.99 = 0.009 0.009+0.089 = 0. 0918 Quindi la risposta corretta era effettivamente 10%.≈ Ora cercheremo di capire come Gigerenzer ci aiuta ad arrivare al risultato corretto senza ricordare la formula. Prima di arrivare alla sua soluzione, teniamo presenti un paio di cose: ● La maggior parte delle malattie per cui si fa un test diagnostico, molto spesso sono poco frequenti nella popolazione. Difficilmente facciamo un test diagnostico per una malattia molto presente nella popolazione. → Nell’esempio della mammografia, la malattia aveva una probabilità dell’1% ● La probabilità che questo esito positivo indicasse davvero una malattia di un tumore maligno (con test che aveva una positività al 90% e una specificità del 91%) era del 10%. ● Se sappiamo che la probabilità che una signora, che risulti positiva al test, abbia davvero un tumore maligno, se sappiamo che è del 10%, significa che: su 100 donne, 10 risultano positive; però sappiamo anche che in verità 1 è davvero malata, mentre le altre 9 sono sane, anche se allarmate. Gigerenzer ci dice che chiunque partecipi ad uno screening dovrebbe essere informato del fatto che ci sono dei risultati positivi che, in verità, sono dei falsi positivi. Molto spesso, quando si hanno i risultati dei test, non si ha la possibilità di parlare immediatamente con il medico. “Ci troviamo di fronte a un problema etico su larga scala, per il quale esiste ancora una soluzione efficiente che i comitati etici, concentrando invece la loro attenzione su cellule staminali, aborto e altre questioni che portano a dibattiti infiniti, non hanno ancora notato” I comitati etici sicuramente discutono di tematiche importanti ma ce ne sono alcuni che sarebbero di semplice soluzione ma che non vengono affrontati e fanno rimanere le persone, per un certo periodo di tempo, in uno stato di ansia e preoccupazione. In questi casi, dove la soluzione potrebbe essere abbastanza semplice, tutti gli operatori sanitari dovrebbero avere 15 Prof. Lorella Lotto A.a. 2021-2022 Comunicazione del rischio e processi decisionali modo di conoscere questi problemi e facilitare la comunicazione con i pazienti per tranquillizzare queste persone. Se ci fosse una maggiore alfabetizzazione statistica, le persone, probabilmente, non si allarmerebbero così tanto e saprebbero comunque gestire l’ansia in modo migliore. Il teorema di Bayes che, come abbiamo detto, misura la probabilità condizionata, è difficile anche per gli esperti nell’ambito medico da raccontare. Un’altra spiegazione che ci rende difficile rispondere correttamente a questa domanda è che spesso le persone hanno una sorta di fiducia cieca nei test: pensano che i risultati dei test siano totalmente certi; non tenere presente che anche il test produce degli errori, aggrava l’idea che se un test è positivo, allora sono malato sicuramente. Nel teorema di Bayes, un ulteriore fattore che si somma è la spiegazione abbastanza difficile. Non è impossibile pensare che le persone non arrivino a quale sia la risposta corretta. Gigerenzer ci dà la possibilità di arrivare alla stessa soluzione senza ricordare il teorema di Bayes. La formula ci dice che dobbiamo tenere presente che il fatto che i risultati positivi possono essere sia dei veri positivi (perché le persone sono davvero malate), ma ci possono essere anche dei falsi positivi (persone che risultano positive ma che non sono malate); la formula non fa altro che considerare. Al numeratore mette i veri positivi (persone che vengono diagnosticate come positive e la prevalenza della malattia nella popolazione); al denominatore ci sono i veri positivi a cui vengono sommati i falsi positivi. Sostanzialmente, il teorema di Bayes ci dice che al numeratore ci sono i veri positivi e al denominatore ci sono tutti i positivi, sia i veri positivi sia i falsi positivi. Il problema è che a volte il numero dei falsi positivi è un numero che viene trascurato: non si pensa che per rispondere a quella domanda si abbia bisogno anche dei falsi positivi. Arriviamo a capire qual è la proposta di Gigerenzer. Lo strumento che lui propone è un semplicissimo grafico ad albero. Ci fa vedere, attraverso questo grafico, che tutte le informazioni numeriche di cui abbiamo parlato adesso possono essere messe giù in una sorta di albero. 16 Prof. Lorella Lotto A.a. 2021-2022 Comunicazione del rischio e processi decisionali La parte superiore al grafico è quella che ci fa capire quanti sono i sani e quanti sono i malati. Una donna ha la probabilità dell’1% di sviluppare un cancro al seno ma c’è il 99% di probabilità di non sviluppare la malattia. L’albero si ramifica in altre due direzioni: dalla parte dove ci sono le informazioni relative alla malattia mettiamo la sensibilità (90%), dove le persone che sono veramente malate; quindi abbiamo un errore del 10% (falsi negativi), sono malati ma non vengono correttamente individuati; la specificità (91%) permette di identificare come negative le persone che sono realmente sane; sappiamo che c’è un errore del 9%, ovvero i falsi positivi. A questo punto si può procedere come con la formula: calcolare il 90% dell’1% (0.9%), possiamo calcolare il 10% dell’1% (0.01%), calcoliamo il 9% di 99% (8.9%) e il 91% di 99% (90.1%). Con questi numeri, possiamo ricostruire la formula del teorema di Bayes: al numeratore ci sono tutti i veri positivi (0.9%), al denominatore mettiamo tutti i positivi, veri positivi e falsi positivi (0.9% + 8.9%): = 9.18%0.9% 0.9%+8.9% = 0. 0918 Il calcolo con le percentuali, però, è abbastanza complicato. Secondo Gigerenzer le percentuali non sono un formato trasparente, rendono comunque difficile il problema. Il suo suggerimento è, non solo di usare questo grafico ad albero, ma anche di usare delle frequenze naturali, le quali sono in un formato trasparente e rendono più facili i calcoli. Su 1000 donne, 98 risultano positive, 9 sono effettivamente malate, le altre 89 vengono allarmate ma sono sane (falsi positivi). Questo grafico ci permette non solo di avere subito la sensibilità e la specificità, ma anche di avere i due tipi di errori (falso negativo e falso positivo). 𝑝 (𝑐𝑎𝑛𝑐𝑟𝑜 𝑎𝑙 𝑠𝑒𝑛𝑜/𝑡𝑒𝑠𝑡 𝑝𝑜𝑠𝑖𝑡𝑖𝑣𝑖) = 9 9+89 = 0. 0918 Ritornando alla domanda fatta ai ginecologi, il 41% di loro indicava che aveva il 90% di probabilità di essere malata essendo positiva al test, il 13% dei medici aveva dato una probabilità dell’83%; quello che era stato difficile era capire che a queste due informazioni dovevamo aggiungere la prevalenza della malattia. La risposta corretta era stata data soltanto dal 20% dei medici coinvolti nella ricerca. A destra del grafico sottostante vediamo le 17 Prof. Lorella Lotto A.a. 2021-2022 Comunicazione del rischio e processi decisionali significavano che era fortunato a vivere a New York e non a York, dato che le probabilità di sopravvivere al cancro sembravano il doppio3. Gigerenzer si chiede se le cose fossero proprio così. I dati a cui Giuliani si riferiva erano che in Gran Bretagna a 44.000 uomini su 100.000 era stato diagnosticato un tumore alla prostata e la sopravvivenza, a cinque anni, per queste 44.000 persone era del 44%. In America, invece, l’82% degli americani che avevano avuto la stessa diagnosi erano ancora vivi dopo 5 anni. Qual è il problema? E com’è possibile che sia così grande questa differenza tra Usa e Gran Bretagna? Gigerenzer ci spiega cosa succede con questi due dati. La cosa da tenere in considerazione e che ci spiega il motivo sul perché le due percentuali siano così diverse, sta nel modo in cui viene fatta la diagnosi. La diagnosi per il cancro alla prostata nei due Paesi viene fatta con due metodi molto diversi: in Gran Bretagna, la diagnosi è basata sui sintomi; in America la diagnosi per il cancro alla prostata è, principalmente, basata su un test-screening (PSA), è un semplice esame del sangue che va alla ricerca dell’antigene e che è in grado di dare alcune informazioni circa la possibilità che la persona abbia un tumore alla prostata. Perché il diverso modo in cui viene eseguita la diagnosi può rendere conto di queste due percentuali così diverse tra di loro? In questa statistica vengono prese in considerazione, da una parte, i pazienti che ricevono la diagnosi di quel tumore (T0) e, dall’altra, quanti pazienti tra quelli diagnosticati sono ancora vivi cinque anni dopo (T1). Il tasso di sopravvivenza di 5 anni è dato dal rapporto tra questi due valori numerici: 𝑇𝑎𝑠𝑠𝑜 𝑑𝑖 𝑠𝑜𝑝𝑟𝑎𝑣𝑣𝑖𝑣𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑎 5 𝑎𝑛𝑛𝑖 = 𝑛𝑢𝑚𝑒𝑟𝑜 𝑑𝑖 𝑝𝑎𝑧𝑖𝑒𝑛𝑡𝑖 𝑑𝑖𝑎𝑔𝑛𝑜𝑠𝑡𝑖𝑐𝑎𝑡𝑖 𝑐𝑜𝑛 𝑐𝑎𝑛𝑐𝑟𝑜 𝑎𝑛𝑐𝑜𝑟𝑎 𝑣𝑖𝑣𝑖 𝑛𝑒𝑙 𝑇1 𝑛𝑢𝑚𝑒𝑟𝑜 𝑑𝑖 𝑝𝑎𝑧𝑖𝑒𝑛𝑡𝑖 𝑑𝑖𝑎𝑔𝑛𝑜𝑠𝑡𝑖𝑐𝑎𝑡𝑖 𝑐𝑜𝑛 𝑐𝑎𝑛𝑐𝑟𝑜 𝑛𝑒𝑙 𝑇0 Con questo semplice rapporto abbiamo il tasso di sopravvivenza a 5 anni. Il tasso di sopravvivenza, seppur molto utilizzato quando si parla di malattie che possono avere un epilogo letale, il problema sta nei due metodi di diagnosi che vengono utilizzati nei due Paesi. Il fatto di utilizzare due metodi di diagnosi diversi, influenza due aspetti del problema: ● Quando le persone vengono diagnosticate (momento della diagnosi): per capire perché due metodi di diagnosi diversi influenzano la statistica di sopravvivenza, dobbiamo cercare di capire una cosa. Immaginiamo in uno scenario ipotetico di avere un certo numero di pazienti: abbiamo lo stesso gruppo di pazienti negli Usa e in Gran Bretagna. Immaginando che questi pazienti muoiano a 70 anni, dobbiamo considerare che la diagnosi avviene sulla base dei sintomi (Gran Bretagna). A tutti questi uomini, i sintomi4 del cancro alla prostata avvengono intorno ai 67 anni. Se immaginiamo che tutti gli uomini di questo gruppo muoiano a 70 anni e noi volessimo calcolare la statistica di sopravvivenza di 5 anni, è chiaro che nel momento in cui vengono diagnosticati tutti a 67 anni la statistica sarà pari a zero. In questo scenario ipotetico sono tutti morti. Negli Usa la diagnosi viene effettuata con uno screening (test applicato a tutta la popolazione che lo desidera); questo comporta che se un uomo abbastanza giovane fa lo screening, il PSA risulta positivo e gli viene diagnosticato un tumore alla prostata; il momento della diagnosi è prima dei sintomi, quindi, 4 Nel momento in cui sono iniziati i sintomi, vuol dire che la malattia è già presente da tempo. 3 Probabilmente l’intento era di criticare e screditare il sistema sanitario inglese e far vedere che il sistema sanitario americano era di gran lunga maggiore. 20 Prof. Lorella Lotto A.a. 2021-2022 Comunicazione del rischio e processi decisionali immaginiamo che a queste persone venga diagnosticato a circa 60 anni. Possiamo immaginare che anche queste persone muoiano a 70 anni (come il gruppo inglese). Se facciamo una diagnosi a 60 anni e poi contiamo quanti di loro sono sopravvissuti 5 anni dopo, loro sono ancora tutti vivi. Quindi la sopravvivenza è al 100%. Il momento della diagnosi, proprio perché uno strumento si basa sui sintomi e uno sullo screening, può spostare i valori numerici riferiti alle persone che sono ancora sopravvissute 5 anni dopo. Con questo esempio abbiamo visto che il momento della diagnosi altera il tasso di sopravvivenza. 𝑝𝑒𝑟𝑠𝑜𝑛𝑒 𝑐𝑜𝑛 𝑠𝑖𝑛𝑡𝑖𝑚𝑖 𝑡𝑢𝑡𝑡𝑒 𝑙𝑒 𝑝𝑒𝑟𝑠𝑜𝑛𝑒 = 440 1000 = 44% ● Quante sono le persone che vengono diagnosticate (natura della diagnosi): il tipo di test con cui viene fatta la diagnosi altera il numero di quante persone vengono prese in considerazione. Riprendiamo lo scenario della Gran Bretagna: i pazienti vengono diagnosticati sulla base dei sintomi. Naturalmente, alcuni moriranno e alcuni sopravviveranno perché tutti i tumori non sono ugualmente aggressivi e dipendono da molti altri fattori. I dati ci dicono che su 1.000 persone, in 5 anni sopravvivono 440 persone (44%); 560 persone muoiono. Ma cosa succede con il metodo del PSA in America? Il PSA permette di individuare delle persone che hanno un’alterazione dell’antigene. La ricerca di questo antigene può risultare positivo per molte persone ma, siccome il cancro della prostata non è così aggressivo, ci sono delle persone che effettivamente sviluppano questo tumore alla prostata ma sono persone che moriranno per altre cose, perché in certe forme questo tumore non è aggressivo; però sono stati comunque diagnosticati. È chiaro che i pazienti diagnosticati, rispetto a quelli che sviluppano un cancro progressivo, sono molti di più. In questo scenario, possiamo pensare che anche in America ci siano 1000 persone che hanno un cancro progressivo e aggressivo (così come 1000 sono le persone in Gran Bretagna), ma il test di screening PSA individua altre 2000 persone che hanno un test del PSA alterato. Questo significa che abbiamo 2000 persone che vanno a gonfiare il denominatore, ma anche il numeratore: se noi pensiamo che le cose vadano come in Gran Bretagna, di queste 1000 persone, 440 saranno vive e 560 moriranno a causa di questo tumore; ci sono anche le altre 2000 persone per le quali il tumore non è aggressivo e non provoca danni seri. Se noi calcoliamo il tasso di sopravvivenza abbiamo le persone che vengono diagnosticate, che non sono più 440 ma bisogna aggiungere le altre 2000 che sono state diagnosticate ma hanno un tumore che non si sviluppa. Al denominatore, ovviamente, dobbiamo mettere tutte le persone. Se calcoliamo il tasso di sopravvivenza in questo modo 𝑝𝑒𝑟𝑠𝑜𝑛𝑒 𝑑𝑖𝑎𝑔𝑛𝑜𝑠𝑡𝑖𝑐𝑎𝑡𝑒 𝑡𝑢𝑡𝑡𝑒 𝑙𝑒 𝑝𝑒𝑟𝑠𝑜𝑛𝑒 = 2440 3000 = 81% Questi due dati sono quelli di cui ci parlava Ruby Giuliani. Se stiamo capendo che il tasso di sopravvivenza non va bene per due Paesi che diagnosticano il cancro alla prostata con due metodi così diversi, dovremmo cercare di capire se c’è un altro metodo che non viene influenzato da queste informazioni che hanno un impatto così forte sui dati. Stiamo parlando del tasso di mortalità: per confrontare il successo contro il cancro in due Paesi che usano 21 Prof. Lorella Lotto A.a. 2021-2022 Comunicazione del rischio e processi decisionali sistemi diagnostici così diversi, dobbiamo usare una statistica diversa. Di primo acchito si potrebbe pensare che il tasso di mortalità sia il rovescio della medaglia del tasso di sopravvivenza; in realtà non è così. Abbiamo visto che si tratta di un tipo particolare di tumore che può essere anche non progressivo e non aggressivo. Con il tasso di mortalità noi non prendiamo tutte quelle persone che vanno a gonfiare sia il numeratore che il denominatore. Il tasso di mortalità è semplice da calcolare: se si vuole calcolare il tasso di mortalità da un anno all’altro, si contano le persone che sono morte di cancro alla prostata da qui (T0) a un anno (T1) e si prendono in considerazione le persone che possono sviluppare un tumore alla prostata (es. tutti gli uomini di una certa età). 𝑇𝑎𝑠𝑠𝑜 𝑑𝑖 𝑚𝑜𝑟𝑡𝑎𝑙𝑖𝑡à 𝑎 𝑢𝑛 𝑎𝑛𝑛𝑜 = 𝑛𝑢𝑚𝑒𝑟𝑜 𝑑𝑖 𝑝𝑒𝑟𝑠𝑜𝑛𝑒 𝑚𝑜𝑟𝑡𝑒 𝑑𝑖 𝑡𝑢𝑚𝑜𝑟𝑒 𝑎𝑙 𝑇1 𝑛𝑢𝑚𝑒𝑟𝑜 𝑑𝑖 𝑝𝑒𝑟𝑠𝑜𝑛𝑒 𝑎𝑙 𝑇0 Se noi andiamo a vedere come stanno le cose usando il tasso di sopravvivenza e il tasso di mortalità, abbiamo questi valori: diagnosi per sintomi diagnosi per screening Numero vivi (5 anni) 440 2440 Numero diagnosi 1000 3000 Sopravvivenza a 5 anni 440 1000 = 44% 2440 3000 = 81% Numero morti (1 anno) 27 26 Numero totale popolazione 100.000 100.000 Mortalità a 1 anno 27 100.000 = 0, 027% 26 100.000 = 0, 026% Grazie a questi dati possiamo vedere che il tasso di mortalità restituisce una fotografia praticamente identica nei due Paesi. Naturalmente, se due Paesi hanno metodi identici per calcolare il tasso di sopravvivenza, va bene. In questo caso abbiamo visto come il tasso di sopravvivenza possa distorcere (anche di molto) le nostre interpretazioni dei dati. A noi interessa vedere come, di nuovo, i valori numerici, che a volte sembrano essere molto informativi e oggettivi, possano portarci a fare degli errori. CONCLUSIONE Per chiudere questi esempi, così come siamo partiti dall’esempio della pillola, dove il rischio relativo mostra solamente un pezzo della storia, perché viene ignorato il numero totale degli eventi, anche in questo caso vediamo che il tasso di sopravvivenza, con due Paesi che usano due metodi differenti, restituisce solo un pezzo della storia. In quest’ultimo caso, la cosa corretta da fare è calcolare il tasso di mortalità. Non sappiamo se Rudy Giuliani fosse consapevole o meno di quello che stava raccontando; nell’articolo di Gigerenzer c’è anche questo pezzettino di testo: 22 Prof. Lorella Lotto A.a. 2021-2022 Comunicazione del rischio e processi decisionali Adesso il panorama è abbastanza diverso ma negli Anni Settanta questa era, in sintesi, quello che si pensava, soprattutto per chi si occupava di giudizio e di decisione. In quegli anni, però, abbiamo un grandissimo contributo, che ha dato una svolta a questo ambito di ricerca, di due personaggi eccezionali: Amos Tversky e Daniel Kahneman. A Kahneman è stato conferito il Nobel per l’economia nel 2002. La loro storia nasce intorno alla fine degli Anni Sessanta, sono entrambi israeliani, hanno entrambi fatto il dottorato in America; poi Kahneman torna in Israele e Tversky rimane negli USA. Nel 1969 Kahneman invita Tversky a fare un seminario e cominciano a progettare ricerche e studi, affascinati dall’idea di capire cosa succede quando le persone prendono decisioni e fanno valutazioni in condizioni di incertezza. Da quell’incontro nasce una collaborazione lunghissima che li porta, nel 1974, a pubblicare l’articolo “Judgement Under Uncertainty: Heuristics and Biases”5 (Il giudizio in condizioni di incertezza: euristiche e bias). Questo è il primo articolo in cui questi errori Sistematici del pensiero vengono imputate alla struttura del meccanismo cognitivo piuttosto che a un disturbo da parte delle emozioni. Dimostrano che se cadiamo in certi errori, non c’entrano niente le emozioni: è lo stesso meccanismo cognitivo che distorce il pensiero e ci porta a fare degli errori. Questa è la prima volta in cui si scardina questo tipo di idea delle emozioni che vengono viste in modo così negativo ed è anche la prima volta in cui si parla di euristiche. Mentre i bias sono gli errori, le euristiche sono quelle procedure di pensiero molto veloci e molto intuitive, tipiche nella struttura cognitiva, che molto spesso ci portano a fare delle valutazioni e a prendere delle decisioni. Molto spesso, le euristiche ci portano a fare delle buone valutazioni ma, a volte, ci portano a fare degli errori. Noi cerchiamo di capire quali sono i fattori che contribuiscono a fare questi errori per cercare di evitarli. Quindi, le euristiche sono delle veloci procedure di pensiero e i bias sono gli errori che scaturiscono da queste procedure. Nel 1974, Tversky e Kahneman si dedicano alla valutazione, su come costruiamo i nostri giudizi quando ci vengono chieste di fare delle valutazioni. Cinque anni dopo, pubblicano un altro articolo su Econometrica (una rivista molto quotata); in questi cinque anni le loro ricerche si sono svolte per cercare di capire come prendiamo decisioni. Anche in questo caso, come per le euristiche, le loro ricerche evidenziano che a volte dimostriamo delle incoerenze decisionali: a volte dimostriamo degli errori, quando effettuiamo delle scelte, che dimostrano che siamo poco coerenti oppure che non ci siamo comportati in modo razionale. Questa teoria della decisione (o della scelta) viene chiamata teoria del prospetto: è una delle teorie tutt’ora più accreditate nell’ambito della decisione. Non è l’unica teoria e non è esente da aspetti che possono essere delle criticità, però rimane comunque la teoria più accreditata, in quanto è una teoria molto semplice che spiega la maggior parte delle nostre incoerenze. PENSIERI INTUITIVI E PENSIERI CONTROLLATI Tornando alla diatriba tra emozione e razionalità, a che punto siamo oggi? Siamo ad un punto molto diverso rispetto a quello che abbiamo visto prima. Adesso molti autori e ricercatori che si occupano di questo ambito riconoscono che le emozioni hanno un effetto e un impatto sull’elaborazione dei giudizi e sulla presa di decisioni e questo loro impatto è molto 5 Tversky ,A., Kahneman, D. (1974). Judgment Under Uncertainty: Heuristics and Biases. Science, 185, 4157-1974. 25 Prof. Lorella Lotto A.a. 2021-2022 Comunicazione del rischio e processi decisionali importante. Si riconosce che le emozioni contribuiscono molto alla costruzione di giudizi e guidano le nostre decisioni. In alcuni casi, quello che si pensa è che alcuni giudizi e alcune decisioni siano direttamente guidati da fattori emozionali. Questo, ovviamente, non è sempre vero, però ci sono alcuni fenomeni in cui, effettivamente, si mette in luce questa fortissima spinta da parte delle emozioni, con un’assenza da parte del pensiero ragionato e della riflessione. In particolare, questa idea è catturata in una euristica che si chiama affect heuristic ed è stata proposta da Slovick; questa euristica dà un peso fortissimo nelle decisioni: in alcuni casi, sono le emozioni a guidarci verso una determinata scelta o verso un determinato giudizio. Questa rivisitazione delle emozioni è importante, da una parte, perché ha scardinato un pensiero che esisteva da un po’ di anni, dall’altra mette in luce una sorta di competenza intuitiva che ormai tutti noi abbiamo. Così come Chomsky ipotizzava una competenza linguistica, Tversky ipotizzava che gli esseri umani possedessero una sorta di competenza intuitiva e che le sensazioni spesso ci guidano nei nostri comportamenti quotidiani. L’idea è che alcune scelte che facciamo siano scelte ragionate e frutto di una riflessione, però gli autori ci tengono a ricordarci che, molte altre volte, il lavoro mentale, che ci fa vedere quali sono le nostre intuizioni e che poi portano alle nostre decisioni, è un lavoro silente: molto spesso, non abbiamo consapevolezza di qual è stato questo lavoro mentale che ci ha guidato verso quelle valutazioni, quei giudizi e quelle decisioni. L’idea, quindi, è che noi abbiamo una grande competenza intuitiva. Compiamo operazioni di competenza intuitiva continuamente, molte volte al giorno noi abbiamo delle intuizioni che spesso non capiamo bene, nemmeno da dove arrivino (es. perché ti piace quella persona?). Succede di avere queste intuizioni e non le riconosciamo, non sappiamo da dove arrivino ma noi sentiamo così. Naturalmente ci sono anche dei pensieri più riflessivi: in altre occasioni utilizziamo forme di pensiero che sono più lente e riflessive. Questa idea di avere pensieri intuitivi e pensieri riflessivi porta al titolo del manuale di cui ci stiamo occupando “Pensieri lenti e veloci". I pensieri veloci sono quelli intuitivi e i pensieri lenti sono quelli più riflessivi. Per tornare alla ricerca di Tversky e Kahneman, i loro studi con le loro ricerche, che si sono occupate di capire come noi valutiamo e come noi formiamo dei giudizi, era conosciuto con il nome di “programma, euristiche e bias”. Negli ultimi anni, Kahnemann (con altri collaboratori) ha proposto un approccio parzialmente diverso: hanno cercato di proporre un approccio un po’ più globale e di ampio respiro che cercasse di avere anche una collocazione teorica. Ecco che propongono che le euristiche, questi processi di pensiero molto veloci che possono portare a degli errori (bias), in realtà emergono dall’interazione tra un Sistema intuitivo e un Sistema riflessivo. Questo permette anche a Kahneman di rivedere questa proposta delle euristiche e dei corrispondenti bias in una nuova concezione che chiama euristiche come processi di sostituzione di attributi. La cosa importante da tenere presente è che, anche in Pensieri lenti e veloci, le euristiche (che aveva nel 1974 proposto con Tversky) rimangono quelle: le euristiche sono tuttora valide, i meccanismi e gli errori che si riscontrano sono i medesimi; semplicemente cambia l’idea di vedere il frutto dell’interazione di due sistemi di pensiero, uno lento e uno veloce. 26 Prof. Lorella Lotto A.a. 2021-2022 Comunicazione del rischio e processi decisionali TEORIA DEL DOPPIO PROCESSO La teoria del doppio processo è una teoria che è stata proposta da altri due psicologi (Stanovich e West, 2000). Kahneman la riconosce come adeguata e rivede questa concezione delle euristiche e dei bias. La teoria del doppio processo sostiene che il nostro Sistema di pensiero sia caratterizzato da due sistemi: il Sistema 1, caratterizzato dall’intuizione, e il Sistema 2, caratterizzato dal ragionamento. Il Sistema 1 è caratterizzato da un pensiero intuitivo e veloce mentre, all’opposto, il Sistema 2 è caratterizzato da un pensiero riflessivo e lento. Naturalmente, i due pensieri parlano tra loro: funzionano in modo separato ma si influenzano a vicenda. Sistema 1: come dicono le teorie dell’attenzione, nella fase pre-attentiva degli stimoli le caratteristiche fisiche vengono elaborate in parallelo in modo automatico. Sistema 2: il risultato corretto è frutto di un lavoro mentale, riflessivo, impegnativo e ordinato. L’idea, quindi, è che questi due sistemi operino nella nostra mente insieme. Il Sistema 1 opera in fretta e in modo automatico, mentre il Sistema 2 opera lentamente e indirizza l’attenzione verso attività più impegnative. Il Sistema 1 fa il suo lavoro con poco o nessuno sforzo, mentre il Sistema 2 implica uno sforzo cognitivo. Infine, quando operiamo attraverso il Sistema 1 non abbiamo nessun senso di controllo volontario; al contrario, tutte le operazioni che facciamo nel Sistema 2 le facciamo con consapevolezza su quello che facciamo e abbiamo uno sforzo cognitivo. SISTEMA 1 SISTEMA 2 Pensiero intuitivo Pensiero riflessivo Pensiero veloce Pensiero lento Opera in fretta e in modo automatico Opera lentamente, indirizzando l’attenzione verso attività impegnative Con poco o nessuno sforzo Implica sforzo cognitivo Con nessun senso di controllo volontario (inconsapevole) Operazioni associate all’esperienza soggettiva dell’azione Entrambi ci permettono di stare al mondo e fare tutte le valutazioni necessarie. L’attenzione è un filtro attentivo per cui le azioni diventano impegnative dal punto di vista cognitivo, per cui è il Sistema 2 a guidare questa decisione. La percezione, invece, è più sotto la guida del Sistema 1, in quanto l’elaborazione degli stimoli del nostro campo visivo è automatica. Vedere, in generale, è sicuramente un’azione automatica del Sistema 1, però dipende dal grado di attenzione che viene indirizzata verso gli stimoli. Kahneman chiude la parte introduttiva come se il Sistema 1 e il Sistema 2 fossero i personaggi della storia. 27 Prof. Lorella Lotto A.a. 2021-2022 Comunicazione del rischio e processi decisionali porta, a volte, verso diversi tipi di errori6 ma, rispetto a quanto stiamo dicendo adesso, ci sono due errori che sono molto facili: ● Bias di credenza: lo psicologo Gilbert sostiene che quando comprendiamo una frase, prima di tutto noi credessimo a questa frase su quello che succede. Questo tentativo di credere alla rappresentazione mentale che ci costruiamo quando sentiamo o leggiamo una frase, è un’operazione automatica del Sistema 1. Anche se ci mancano dei pezzi di informazione, la nostra memoria funziona in modo associativo e quindi cerchiamo di costruire un’associazione mentale, anche se ci mancano dei dati. Quando qualcuno ci dà delle informazioni, che magari non sono vere e che per noi è difficile verificare, diamo comunque un senso a quelle informazioni. Quindi, il Sistema 1 è un sistema un po’ sprovveduto perché tende comunque a credere un po’ a tutto quello che riesce a elaborare. È il Sistema 2 che ha il compito di dubitare, di non credere ma spesso è indaffarato oppure siamo un po’ pigri. La ricerca ci dice che siamo influenzati da messaggi persuasivi, che possono essere poco consistenti dal punto di vista delle argomentazioni, quando siamo stanchi o quando siamo deconcentrati. ● Bias di conferma: dato che la nostra memoria funziona per associazioni, l’inclinazione alla conferma induce le persone ad accettare ipotesi e spiegazioni in modo acritico. Ci troviamo nel caso in cui il Sistema 2 non sta lavorando bene e lascia fare al Sistema 1. Un altro elemento che ha a che fare con il funzionamento di questa memoria associativa è che quello che si vede è l’unica cosa che c’è. Le informazioni che, in qualche modo, non sono recuperate dalla memoria è come se non esistessero. Questo ci deve far capire che quando ci troviamo a dover valutare alcune informazioni e a formare alcuni pensieri, il Sistema 1 è molto abile nell’elaborare una storia con le idee che vengono attivate al momento. Questo significa che, per il Sistema 1, non è tanto la completezza delle informazioni che conta per avere una buona storia ma è soltanto la coerenza. Questo significa che, se abbiamo un po’ di informazioni, creiamo una storia che è coerente ma, molto spesso, lo facciamo con poche informazioni. Questo è il problema di chi conosce poche informazioni: chi ha poche informazioni relativamente a un tema, molto spesso riesce a creare una storia abbastanza coerente che riesce a tenere; il problema è che tanto maggiori sono le informazioni, tanto più è difficile creare una storia coerente. Se le informazioni sono poche, invece, allora è abbastanza facile imbastire una storia coerente. Quindi, sapere poco rende più facile saper integrare tutte le informazioni in un modello coerente. Quest’idea del fatto che c’è solo quello che noi vediamo, ci fa capire che molto spesso, con informazioni parziali, ci accontentiamo di dare delle spiegazioni, in un mondo complesso, di fatti complessi che, invece, meriterebbero molta più attenzione. Per concludere, per il Sistema 1 la misura del successo è la coerenza della storia che riesce a costruire; quindi non sono la quantità e la qualità dei dati su cui si basa ma il fatto di riuscire a trovare una storia che sta in piedi, anche con pochi dati. Più la soluzione è complessa e più è necessario avere dati e informazioni.Questo meccanismo “quello che vedo è l’unica cosa che c’è” rende conto di tantissimi errori che facciamo quando dobbiamo giudicare, valutare, prendere decisioni e fare scelte. Due di questi errori sono: 6 Questi tipi di errori li vedremo bene quando ci occuperemo delle euristiche e dei corrispondenti bias. 30 Prof. Lorella Lotto A.a. 2021-2022 Comunicazione del rischio e processi decisionali ● Eccessiva sicurezza in cui molto spesso tutti noi rischiamo di cadere, perché ci affidiamo a quei pochi elementi che abbiamo raccolto e non ci curiamo del fatto che possano mancare delle informazioni essenziale per guardare le cose in modo completo ● Framing: presentare le stesse informazioni con modi diversi, anche con modalità linguistiche diverse, può portare a prendere decisioni differenti. N.B.: Il Sistema 1 non è quello che ci fa sempre cadere in errore! Dal punto di vista funzionale, il Sistema 1 è il frutto di un sistema molto antico, dal punto di vista, evolutivo; la parte più evoluta della corteccia più razionale (Sistema 2), invece, è più recente. Come diceva Platone, per essere veramente saggi i due cavalli devono essere governati entrambi, non lasciare né all’uno né all’altro l’impeto della corsa, altrimenti non sono equi nella loro corsa e ci fanno cadere. Quindi, entrambi i sistemi sono di fondamentale importanza per il nostro lavoro mentale ma deve esserci una buona gestione di questi due sistemi. COME SI FORMANO I GIUDIZI Abbiamo capito che non c’è un limite al numero di requisiti a cui si può rispondere o alle situazioni che possiamo valutare. Anticamente, il Sistema 1 era molto utile per l’uomo primitivo, che viveva in situazioni di pericolo, per sopravvivere. Ai tempi d’oggi, questi meccanismi si sono evoluti ma non si disattivano. Molte volte noi facciamo delle valutazioni basate sulle nostre intuizioni; d’altra parte se dovessimo stare a ponderare per ogni decisione, sarebbe veramente costoso dal punto di vista cognitivo. Il Sistema 1 valuta continuamente se le cose sono positive o negative e queste valutazioni di base hanno un ruolo fondamentale nel giudizio intuitivo che noi abbiamo e che ci facciamo rispetto a un sacco di cose. Noi formuliamo giudizi per i quali abbiamo pochissime informazioni riguardo a molte cose di cui sappiamo pochissimo. Molto spesso formuliamo dei giudizi su cose di cui non sappiamo dare una motivazione. Queste valutazioni che facciamo hanno un ruolo fondamentale.Nella nuova visione di Kahneman e Tversky, tendono a sostituire un giudizio difficile con un giudizio più facile. Questa nuova struttura di funzionamento assume che le euristiche e gli errori siano dovuti ad una sorta di sostituzione di un giudizio difficile con un giudizio più facile. Questa è una nuova concezione delle euristiche e degli errori sistematici. Quindi, tenendo presente il funzionamento dei Sistemi 1 e 2, Kahneman assume che quando noi non riusciamo a trovare in fretta una risposta soddisfacente ad un determinato quesito, il Sistema 1 reperisce un secondo quesito connesso al primo a cui è più facile rispondere. Esiste una domanda bersaglio sulla quale si intende formulare un giudizio; se non si hanno determinate informazioni o se non si riesce ad attivare il Sistema 2, il Sistema 1 risponde con una domanda euristica. C’è, quindi, una sostituzione della domanda. EURISTICA DELL’AFFETTO L’approccio della sostituzione della domanda bersaglio con la domanda euristica è un approccio che Kahneman ha utilizzato per tentare di spiegare le euristiche all’interno della cornice di riferimento della quale stiamo parlando: l’architettura funzionale del Sistema 1 e del Sistema 2. 31 Prof. Lorella Lotto A.a. 2021-2022 Comunicazione del rischio e processi decisionali L’euristica dell’affetto non è una delle euristiche che è stata proposta da Kahneman e Tversky ma è stata proposta da Paul Slovic, che è un ricercatore che si occupa dei processi di giudizio e di decisione, molto famoso negli Stati Uniti. L’euristica dell’affetto ci dice che quando sono coinvolte le emozioni, il primato delle conclusioni sulle argomentazioni è particolarmente pronunciato. Inizialmente, le emozioni erano viste come qualcosa di molto negativo, come un disturbo, qualcosa che corrompesse il sistema razionale. Successivamente la visione è cambiata, tanto che con questa euristica le emozioni guidano il processo di elaborazione per arrivare alla formulazione di un giudizio; questo significa che le emozioni hanno il primato sul giudizio rispetto alle argomentazioni. L’idea di fondo di Slovic è che quando le persone formano dei giudizi, non stiano tanto a ragionare sui costi, sui rischi, sui pro e sui contro. Non valgono tanto le argomentazioni ma si fanno guidare dalle emozioni, tanto che le nostre antipatie e le nostre simpatie riguardo un certo fenomeno, determinano le nostre credenze sul mondo. Il nostro atteggiamento emozionale guida queste credenze verso rischi e benefici. Siccome questa euristica è chiamata in causa quando dobbiamo spiegare cose in cui c’è da analizzare rischi e benefici, visto che è il nostro atteggiamento a guidare la nostra valutazione, se il nostro atteggiamento è sfavorevole valuteremo che i suoi rischi siano alti e i benefici siano bassi. Quando dobbiamo decidere qualcosa riguardo a un comportamento, ci affidiamo anche a una emozione che è associata alle immagini mentali che abbiamo in memoria riguardo a quella determinata attività. Le emozioni, associate alle immagini mentali, sono molto generali (es. buono vs cattivo) e molto blande; non hanno molta intensità. Questo significa che non riusciamo ad esprimerle molto consapevolmente ma riescono comunque ad influenzare la nostra valutazione. C’è una relazione inversamente proporzionale tra i rischi e i benefici: se il valore affettivo è positivo, allora i benefici sono alti e i rischi sono bassi; se l’emozione è connotata negativamente, penseremo che i rischi sono alti e i benefici sono bassi. È l’emozione che guida la valutazione di essere pro o contro; la valutazione dei costi e dei benefici viene a posteriori. In realtà, non c’è nessuna ragione logica per pensare che ci sia questa relazione inversamente proporzionale anche se, molto spesso, nella mente delle persone questa relazione c’è. Di fatto, per molti eventi nel mondo le cose non stanno così, però o ci pensiamo consapevolmente oppure facciamo fatica a vedere questa occorrenza. Se dovessimo ripensare all’idea della sostituzione delle domande potremmo dire che la domanda bersaglio è cosa penso di questa cosa e la domanda euristica è quali impressioni mi dà questa cosa. EURISTICHE E BIAS EURISTICA DELL’ANCORAGGIO L’euristica dell’ancoraggio si verifica quando le persone, dovendo assegnare un valore a una quantità ignota, partono, per farlo, da un determinato valore disponibile. Quando una persona deve fare una stima, questa stima rimane vicino al numero da cui si è partiti. Qualunque numero ci chiedano di prendere in considerazione come soluzione a un problema di stima, induce in noi un effetto ancoraggio. Tversky e Kahneman si sono chiesti quali fossero i meccanismi psicologici che producono questi effetti. Nel libro viene narrato che i due autori avessero idee diverse: Kahneman pensava che l’ancoraggio fosse dovuto a un 32 Prof. Lorella Lotto A.a. 2021-2022 Comunicazione del rischio e processi decisionali popolazione abbia le stesse caratteristiche della popolazione stessa. Tendiamo ad applicare la legge dei grandi numeri anche a distribuzioni con numerosità ridotta. Per la legge dei piccoli numeri, i campioni grandi sono più precisi dei campioni piccoli e i campioni piccoli danno risultati estremi più spesso dei campioni grandi. La prima asserzione suona senz’altro vera, ma finché la seconda non ci pare intuitivamente sensata, non possiamo dire di aver realmente compreso la prima. Nonostante i dati statistici producano molte osservazioni che paiono richiedere una spiegazione casuale, esse in realtà non si prestano a tale interpretazione. Si può giudicare la probabilità in base alla rappresentatività? Le impressioni intuitive sono spesso più precise di quanto non lo siano le intuizioni casuali. Le persone che si comportano in modo amichevole nella maggior parte dei casi, risultano effettivamente amichevoli. In altre situazioni, gli stereotipi sono falsi e l’euristica della rappresentatività è fuorviante, specie se induce a ignorare informazioni sulla probabilità a priori che indicano un’altra direzione: ● Eccessiva tendenza a predire il verificarsi di eventi improbabili: dire alle persone di “pensare come statistici” rafforzava l’uso della probabilità a priori, mentre dire loro di “pensare come clinici” aveva l’effetto opposto. Quando si formula un giudizio intuitivo scorretto, bisognerebbe incolpare sia il Sistema 1 che il Sistema 2? Il Sistema 1 ha suggerito l’intuizione sbagliata, il Sistema 2 l’ha avallata ed espressa sotto forma di giudizio. Due possibili motivi del fallimento del Sistema 2 sono: ○ Ignoranza: alcune persone ignorano le probabilità a priori perché le ritengono irrilevanti in presenza di informazioni specifiche ○ Pigrizia: altre commettono lo stesso errore perché non sono concentrate sul compito. ● L’insensibilità alla qualità delle prove: quello che che si vede è l’unica cosa che c’è (Sistema 1). Tra il possesso di informazioni utili e la totale mancanza di informazioni non dovrebbe esserci alcuna differenza. Quando si hanno dubbi sulla qualità delle prove, bisognerebbe fare in modo che i propri giudizi sulla probabilità non si discostino troppo dalla probabilità a priori. Questo comporta un notevole sforzo di monitoraggio e autocontrollo. IL PROCESSO DECISIONALE Il processo di decisione viene visto da Kahneman e Tversky come un processo in cui si possono rintracciare molte incoerenze decisionali, a dispetto del fatto che vorremmo essere degli esseri assolutamente razionali e sempre coerenti. Tutti noi mostriamo molte incoerenze decisionali e, naturalmente, facciamo degli errori sistematici anche quando dobbiamo decidere. La teoria principale e quella più importante è la teoria del prospetto. Questi errori che sono fatti sia quando facciamo delle valutazioni sia quando prendiamo delle decisioni sono molto simili alle illusioni percettive. Anche le illusioni cognitive producono degli errori sistematici (bias delle euristiche). Tutte le illusioni cognitive e percettive sono illusioni sistematiche, prevedibili e persistenti; possono colpire tutti noi ma anche gli esperti. Non è la conoscenza o l’expertise in un determinato settore che ci può garantire di essere esenti dal fatto di cadere in queste illusioni. Dobbiamo sempre tenere presente che sono effetti di contesto. 35 Prof. Lorella Lotto A.a. 2021-2022 Comunicazione del rischio e processi decisionali LA TEORIA DEL PROSPETTO (Kahneman & Tversky, 1979) La teoria della scelta razionale sosteneva che gli errori cognitivi che noi facciamo fossero delle deviazioni rispetto ai principi ai quali ci dovremmo uniformare se davvero ci comportassimo in modo razionale. L’idea è che per essere razionali dovremmo comportarci seguendo determinati principi; se non seguiamo questi principi, commettiamo delle deviazioni e, quindi, degli errori. Ci sono molti principi, noi ne vedremo due. Principio di invarianza descrittiva e effetto framing Il principio di invarianza descrittiva dice che le nostre decisioni e le nostre scelte non dovrebbero dipendere dal modo in cui sono formulate le diverse opzioni. L'espressione di una preferenza non dovrebbe cambiare se queste alternative sono formulate in un modo piuttosto che in un altro. Questo principio viene violato sistematicamente e la violazione di questo principio produce come errore l’effetto framing. Tversky e Kahneman sono i primi che dimostrano che, in condizioni di incertezza e di rischio, le persone violano questo principio; quindi si fanno sviare da questo effetto. In altre parole, i messaggi che hanno lo stesso contenuto ma che sono formulati in modo diverso dal punto di vista linguistico, in verità hanno un diverso impatto sui processi di giudizio e di decisione. Noi rispondiamo in modo diverso quando, ad esempio, uno stesso problema è descritto sottolineando gli aspetti positivi oppure gli aspetti negativi. Le persone preferiscono l’esito certo quando la formulazione è in forma positiva, mentre preferiscono l’opzione incerta quando la formulazione è negativa. Per spiegare il motivo per cui succede questo, dobbiamo appellarci alla teoria del prospetto. Questo è un grafico che mostra come funziona la teoria del prospetto. Abbiamo un asse cartesiano: in ascissa c’è l’esito oggettivo degli eventi e in ordinata c’è il valore soggettivo, ovvero il valore psicologico che noi attribuiamo a quei determinati esiti. La curva si chiama funzione di valore soggettivo. Quello che osserviamo subito è che questa funzione ha due caratteristiche: è una curva e non una linea retta e, se osservate bene, questa funzione di valore soggettivo si curva in un certo modo nel dominio dei guadagni ma si fa più ripida nel dominio delle perdite. La funzione di valore soggettivo ci permette di capire qual è il valore psicologico che noi assegniamo ad un determinato evento. Date le proiezioni che il valore 36 Prof. Lorella Lotto A.a. 2021-2022 Comunicazione del rischio e processi decisionali soggettivo subiscono, considerando la funzione di valore soggettivo, il valore psicologico che ciascuno di noi può attribuire ad una certa cosa è dato da questo segmento. Ci sono tre caratteristiche che sono state indicate da Tversky e Kahneman che sono centrali per la teoria del prospetto, che sono comuni ad altri processi: ● La valutazione si riferisce ad un punto di riferimento neutro. Le persone percepiscono le diverse opzioni in termini di potenziali guadagni o potenziali perdite rispetto al punto di riferimento. I risultati che sono migliori del punto di riferimento sono dei guadagni, al di sotto sono percepite come perdite. Il punto di riferimento è generalmente lo status quo, ma può anche essere il risultato che ci si aspetta o quello a cui si ritiene di avere diritto. Lo stesso evento può essere un guadagno ma può essere anche una perdita. ● Vede il principio della diminuzione della sensibilità. Si tratta di una funzione logaritmica che si piega ad un certo punto fino a diventare piatta. Se andiamo a vedere la proiezione che la funzione di valore soggettivo produce sull’asse delle y, che costituisce il valore psicologico, il valore psicologico cambia a seconda della sensibilità. Raddoppiare un guadagno quando possediamo poco denaro ha un certo valore soggettivo, ma quando siamo sempre più ricchi, lo stesso incremento di denaro non ci fornisce un valore soggettivo psicologico associato a quell’incremento di pari entità ma è di gran lunga minore. 37 Prof. Lorella Lotto A.a. 2021-2022 Comunicazione del rischio e processi decisionali NUDGE - LA SPINTA GENTILE Gli autori sostengono che sapendo bene come funziona il nostro apparato cognitivo, quindi sapendo quanto siamo irrazionali, questo può essere sfruttato per introdurre pratiche di buona cittadinanza e per aiutare le persone a scegliere il meglio, come comportamento individuale e per la collettività e società. I campi di applicazione del Nudge sono davvero illimitati: il Nudge come approccio può essere orientato verso qualsiasi ambito. Non c’è un ambito in cui il paternalismo libertario non si possa applicare. Il Nudge è qualsiasi aspetto della presentazione delle scelte e del contesto che condiziona il comportamento delle persone. Il loro motto è che anche piccoli cambiamenti nel contesto possano portare a grandi differenze a livello comportamentale. Questo è uno degli assunti principali che governa il loro approccio. Gli autori parlano anche di architettura delle scelte e fanno questa analogia partendo dall’architettura tradizionale: nessun prodotto dell’architettura è neutrale, perché anche l’architetto deve fare delle scelte, le quali sono dettate dalla funzionalità. Anche le decisioni che sembrano apparentemente arbitrarie possono avere un importantissimo effetto; ad esempio, possono influenzare il modo in cui le persone interagiscono. L’architetto delle scelte è visto come un progettatore di ambienti decisionali intuitivi; gli autori sostengono che il contesto debba essere progettato in modo tale che ciò che caratterizza questo concetto porti le persone in modo intuitivo a direzionarsi verso una scelta oppure un’altra. Anche i piccoli dettagli hanno un forte impatto sul comportamento. Un altro concetto importante da tenere a mente per capire bene cos’è il Nudge è il paternalismo liberario: le due parole insieme potrebbero apparire come una contraddizione. Il paternalismo ci fa pensare ad una scelta che viene dettata dall'alto; in realtà cerca di influenzare le scelte in modo da migliorare il benessere di coloro che scelgono secondo il loro giudizio. Libertario ci rimanda alla facoltà di ognuno di scegliere quello che vuole. Secondo gli autori, gli architetti delle scelte avrebbero modo di costruire un contesto tale per cui le persone, intuitivamente, si spostano attraverso la scelta migliore per loro stessi, ma con l’idea che la loro libertà di scelta sia riservata. Quello che dobbiamo avere molto ben presente è che non si può parlare di Nudge se delle alternative sono proibite. Il Nudge è un vero nudge quando, per la persona, scegliere l’altra opzione (quella che non viene indirizzata) dovrebbe essere molto facile. L’idea è che se noi costruiamo un contesto decisionale in cui indirizziamo le persone verso una determinata opzione e rendiamo molto difficile l’altra opzione che non vogliamo le persone scelgano, questo non è più Nudge. In questo racconto che fanno Thaler e Sunstein, parlano dei due sistemi (capitolo 1); in realtà, così come Kahneman raccontava l’esperienza e i processi psicologici in questa interazione tra Sistema 1 e Sistema 2, Thaler ha scelto l’idea di parlare di econi e umani. Econi dovrebbe corrispondere all’homo economicus, quello che non sbaglia mai, quello che decide in modo razionale ma è un’ideale, non esiste; gli Umani, invece, tendono a sbagliare. Per rispondere ad alcune critiche che alcuni autori avevano sollevato riguardo al Nudge, Thaler e Sunstein sottolineano che chi è scettico nei confronti di questo approccio, in realtà, non tiene conto di alcune cose. La prima cosa che loro dicono è che, tutto sommato, potremmo pensare che in qualsiasi situazione c’è qualcuno che confeziona i messaggi in qualche modo e quello che si potrebbe pensare è che ai due opposti di questo continuum ci sia un approccio a taglia unica, 40 Prof. Lorella Lotto A.a. 2021-2022 Comunicazione del rischio e processi decisionali che corrisponderebbe a un vero e proprio paternalismo: c’è qualcuno sopra di noi che sa cosa è meglio per noi e, quindi, ci impone determinate cose. Dall’altra parte del continuum c’è l’idea che le persone possano fare tutto quello che vogliono, c’è una completa massimizzazione delle scelte. Tra questi due poli opposti, molto idealizzati, ci sono vari grigi con varie vie di mezzo; in queste vie di mezzo si colloca il Nudge, con l’idea che da una parte ci sia questa sorta di paternalismo e dall’altra ci sia la libertà di scelta. Ecco il perché questi due termini “paternalismo liberario”, che possono essere contrapposti ma, in questa lettura, possono essere intrapresi in questo modo. Gli scettici dicono: perché mai guidare le persone nell’attuare determinati comportamenti, dato che le persone dovrebbero essere libere di fare quello che vogliono? Gli autori rispondono a questo dicendo che, in verità, le persone, se lasciate completamente libere di fare quello che vogliono, non fanno sempre scelte nel loro interesse. Le persone fanno delle buone scelte in certe occasioni: quando si ha competenza, quando si hanno delle buone informazioni relativamente all’ambito in cui si deve scegliere, avere un feedback immediato. Ci sono due malintesi a cui gli autori rispondono a coloro che criticano questo approccio: ● Non si può evitare di influenzare le scelte: questo è un malinteso perché, in verità, non riusciamo a non influenzare le persone, perché se sono vere tutte le cose che sono state acquisite da coloro che si occupano di giudizio e decisione, le persone prendono decisioni diverse in base al contesto. Come si può pensare di influenzare le scelte individuali se è così facile cadere in scelte diverse quando il contesto cambia? ● Approccio di paternalismo come coercizione che obbliga le persone a fare quello che viene proposto: secondo il Nudge, tutte le opzioni, anche quelle che vorremmo che le persone evitassero, devono essere presenti. Queste vie di mezzo, tra questi due possibili approcci ideali, hanno una via (quella del Nudge) che è molto utilizzata nell’ambito della pubblica amministrazione. Secondo Thaler e Sunstein è un approccio che può essere osservato sia dai conservatori che dai progressisti, nel senso che non ha nessun colore politico. Alcuni Paesi hanno istituito delle Nudge Unite: la prima è stata costituita quando Sunstein è stato chiamato a dirigere l’ufficio per l’informazione e la regolamentazione della Casa Bianca. I metodi migliori rimangono quelli della ricerca: avere dei trial controllati, avere dei gruppi di controllo a cui non viene applicata la nuova politica, capire se questa nuova politica ha prodotto effettivamente dei cambiamenti, quantificare la dimensione dell’effetto e avere un’idea del rapporto costi-efficacia. In genere, gli interventi del Nudge sono abbastanza semplici e poco costosi. DISTORSIONE VERSO LO STATUS QUO Status quo e default sono due concetti che possono aiutarci a utilizzare dei Nudge. Sono dei concetti che talvolta possono anche coincidere ma possono essere anche confusi. Il default consiste nell’opzione automatica che si ottiene senza fare niente. Lo status quo, invece, risponde all’opzione che possediamo, è la posizione in cui ci troviamo in questo momento. RESISTERE ALLA TENTAZIONE La tentazione ha a che fare con il fatto che, molto spesso, noi vorremmo comportarci in un modo ma poi facciamo altro. L’idea è di come cambiamo le nostre preferenze. Quando si 41 Prof. Lorella Lotto A.a. 2021-2022 Comunicazione del rischio e processi decisionali preferisce una cosa ma poi se ne sceglie un’altra si chiama incoerenza dinamica. Riconoscere la tentazione è quasi più facile che definirla. Loro parlano di uno stato di eccitamento che varia nel tempo a seconda del fatto che ci troviamo in uno stato freddo o in uno stato caldo. Quando noi ci troviamo in uno stato freddo, quindi ci prefiggiamo di fare qualcosa, pensiamo a quello che dovremmo fare ma non siamo ancora arrivati a quel momento. Quando ci troviamo in uno stato caldo stiamo facendo qualcosa che ci distrae dal nostro obiettivo. È proprio questa difficoltà a capire cosa ci induce in tentazione quando c’è discrepanza tra le decisioni che prendiamo quando siamo nello stato freddo e le decisioni che prendiamo quando siamo in uno stato caldo. Il fatto di non cadere in tentazione dipende molto dal nostro autocontrollo: spesso le persone hanno dei problemi di autocontrollo perché sono poco consapevoli di quello che succede quando si trovano nello stato caldo, sottovalutano l’effetto che potrebbe fare l’eccitazione di essere nello stato caldo; questo comporta la non pianificazione di una possibile strategia. Loewenstein parla di una sorta di tratto caratteriale che chiama mancanza di empatia caldo-freddo, mettendo in luce questa difficoltà di consapevolezza di renderci conto di quanto i nostri desideri e i nostri comportamenti possano essere diversi quando ci troviamo in questi due stati. I problemi di autocontrollo possono essere pensati come due entità semi-indipendenti: il miope esecutore, che funziona come il Sistema 1, e il lungimirante pensatore, che funziona come il Sistema 2. L’autocontrollo e il controllo sono sotto il Sistema 2. Un’altra cosa da tenere presente quando ragioniamo su questo gap di intenzioni e comportamenti è che, oltre alla tentazione, c’è un altro meccanismo psicologico molto importante che l’inerzia. L’inerzia è un fattore che, molto spesso, ci induce a non mettere in pratica ciò che ci eravamo programmati di fare. Combinandosi tra di loro, i problemi di autocontrollo e l’inerzia possono portarci a conseguenze negative. Dal punto di vista delle strategie di autocontrollo, molte persone sono consapevoli delle proprie debolezze, quindi vengono messe in atto delle strategie per poter supplire a queste debolezze; questo significa che il pianificatore che è in noi cerca di combattere il Sistema 1. Esistono degli espedienti esterni per affrontare i metodi di autocontrollo ma anche dei sistemi di autocontrollo interni. Dal punto di vista psicologico, questi sistemi vengono chiamati contabilità mentale: per gestire il controllo delle spese, il denaro viene già destinato ai vari usi. La contabilità è efficace proprio perché i costi sono considerati non fungibili. Se si osserva questa contabilità mentale, si osservano dei risultati anche abbastanza particolari perché questo comportamento può portare ad avere dei soldi che noi avevamo destinato a qualcosa ma avere, per esempio, il saldo negativo sulla carta di credito. COMMITMENT DEVICE Le conseguenze e i risultati futuri sono visti in maniera diversa rispetto alle conseguenze e ai guadagni presenti. Il commitment device è un modo per prendere una decisione a mente fredda e farci mantenere il proposito deciso a mente fredda, invece che farci guidare dalle emozioni del momento. Ci sono due sé quando si parla di tentazione: l’io presente, che pensa alla gratificazione immediata, e l’io futuro, che pensa al benessere futuro. L’idea è che nell’io presente siamo noi adesso e sappiamo cosa desideriamo, sappiamo cosa vogliamo e sappiamo quello di cui abbiamo bisogno; il nostro io futuro è lontano, quindi facciamo fatica a capire quello di cui avremo bisogno. Questi strumenti potrebbero essere degli utili 42 Prof. Lorella Lotto A.a. 2021-2022 Comunicazione del rischio e processi decisionali ● Molti prodotti assicurativi hanno tutte le caratteristiche di complessità che abbiamo appena esaminato. ● I consumatori non sono in grado di stabilire, per mancanza di un feedback utile, se acquistando una copertura assicurativa abbiano fatto un buon affare. ● La corrispondenza tra ciò che si acquista e ciò che effettivamente si ottiene, può essere poco chiara. Immaginiamo che esistano due mondi diversi. In uno, Econworld, tutti i consumatori sono Econi e non hanno difficoltà a compiere scelte complesse. Tutte le decisioni quantitative sono per loro un gioco da ragazzi. L’altro mondo è chiamato Humanworld; qui alcuni consumatori sono Umani e hanno tutte le caratteristiche tipiche di quella tribù, mentre i restanti sono Econi. In entrambi i mondi sono presenti mercati ben funzionanti e alcune imprese perfettamente razionali, che hanno assunto Econi come manager. Bastano mercati ben funzionanti a rendere irrilevante l’”umanità” degli Umani? Per proteggere i consumatori irrazionali dalle loro stesse decisioni, è necessario che ci sia concorrenza. Qualche volta, questa concorrenza non esiste. Se i consumatori hanno convinzioni non perfettamente razionali, spesso le imprese hanno un maggiore incentivo ad assecondare tali convinzioni piuttosto che cercare di sradicarle. In molti mercati ci sono imprese che competono per gli stessi consumatori offrendo prodotti che sono non soltanto differenti, ma addirittura contrapposti l’uno all’altro. Se tutti i consumatori fossero Econi, non avremmo motivo di preoccuparci di quale dei due interessi avrà la meglio. Ma se alcuni consumatori sono Umani e qualche volta fanno scelte sbagliate, allora tutti noi potremmo avere un interesse che a vincere la battaglia sia un gruppo di imprese anziché un altro. I Governi, ovviamente, possono vietare alcuni tipi di attività, ma in quanto paternalisti liberitari, preferiamo che si ricorra ai pungoli. L’ARCHITETTURA DELLE SCELTE La compatibilità stimolo-risposta consiste nell’idea che il segnale che si riceve (stimolo) deve essere compatibile con l’azione che si desidera stimolare. Se le due cose sono incompatibili, le prestazioni peggiorano e gli individui sbagliano. I designer devono tenere a mente che i loro soggetti verranno utilizzati da Umani, che si confrontano, ogni giorno, con una miriade di scelte e di stimoli. L’obiettivo di questo paragrafo è sviluppare la stessa idea per gli architetti delle scelte. Se siete in grado di influenzare indirettamente le decisioni altrui, siete un architetto delle scelte. Poiché le scelte su cui esercitate la vostra influenza sono fatte da Umani, la vostra architettura delle scelte dovrà essere basata su una buona comprensione del loro comportamento. In particolare, vorrete fare in modo che il loro sistema impulsivo non rimanga confuso. Molte persone scelgono le opzioni che richiedono il minimo sforzo, ovvero la via di minor resistenza. Se per una data scelta esiste un’opzione di default, possiamo aspettarci che molte persone si ritrovino con quell’opzione, sia essa vantaggiosa o svantaggiosa. La tendenza a non far nulla diventa ancora più marcata se all’opzione di default è associato il suggerimento implicito o esplicito che tale opzione sia in linea di condotta normale o, addirittura, raccomandata. Le opzioni di default sono onnipresenti e molto influenti. Sono anche inevitabili, nel senso che a ogni nodo di un sistema di architettura delle scelte è associata 45 Prof. Lorella Lotto A.a. 2021-2022 Comunicazione del rischio e processi decisionali necessariamente una regola, che stabilisce cosa succede se il soggetto che decide non fa nulla; qualsiasi cosa accada, continuerà ad accadere. L’architetto delle scelte può costringere gli individui a fare una propria scelta. Questo approccio è detto obbligo di scelta. Dobbiamo considerare due aspetti di questo approccio: per gli umani, l’obbligo di scelta spesso è una vera seccatura e, quando è così, è meglio avere una buona opzione di default; l’obbligo di scelta è generalmente più indicato per le decisioni semplici, di tipo dicotomico, ma non per le scelte più complesse. Gli Umani commettono errori. In un sistema ben progettato, è previsto che gli utilizzatori facciano errori e si cerca di essere indulgenti con chi sbaglia. Il modo più efficace per aiutare gli Umani a eseguire meglio le diverse mansioni è dare loro un feedback. I sistemi ben congeniati fanno sapere agli utilizzatori quando agiscono correttamente e quando commettono errori. La relazione tra scelta e benessere viene chiamata mappatura. Un buon sistema di architettura delle scelte aiuta gli individui a perfezionare la propria capacità di mappare le decisioni e a scegliere le opzioni che possono accrescere il loro benessere. Per fare questo, un architetto delle scelte può cercare di rendere più comprensibili le informazioni sulle diverse opzioni, trasformando i dati numerici in unità che si traducono più facilmente in un uso effettivo. Nell’effettuare le proprie scelte, le persone adottano strategie differenti a seconda del numero e della complessità delle opzioni disponibili. Quando ci si trova di fronte a un piccolo numero di alternative chiaramente comprensibili, si ha la tendenza a esaminare tutti gli attributi di tutte le alternative, facendo ove necessario scelte di compromesso. Ma quando l’insieme delle possibili scelte si fa molto grande, bisogna usare strategie differenti e questo può creare problemi. Una possibile strategia è quella che Amos Tversky (1972) chiama eliminazione per aspetti: chi applica questa strategia decide innanzitutto quali sono le caratteristiche più importanti, stabilisce una soglia massima e elimina tutte le alternative che non soddisfano questo criterio. Il processo si ripete fino a quando non si compie una scelta oppure l’insieme delle possibili opzioni viene ridotto in misura sufficiente da consentire una valutazione dei finalisti, secondo una strategia compensativa. Se le scelte sono molto numerose e/o variano in più di una dimensione, è probabile che gli individui adottino strategie di semplificazione. Da qui scaturiscono importanti implicazioni per l’architettura delle scelte. Via via che le situazioni si fanno più numerose e più complesse, però, una buona architettura delle scelte dovrà creare una struttura, la quale a sua volta influenzerà gli esiti delle decisioni. Strutturare le scelte qualche volta significa aiutare gli individui ad apprendere, in modo che possano, successivamente, scegliere meglio da soli. Nel progettare un’architettura delle scelte, bisogna tener conto degli incentivi. Gli architetti dotati di buon senso daranno giusti incentivi alle persone giuste. Un modo per cominciare a ragionare sugli incentivi è porsi quattro domande a riguardo: ● Chi usa? ● Chi sceglie? ● Chi paga? ● Chi trae profitto? Il libero mercato spesso risolve tutti i problemi fondamentali, dando agli individui un incentivo a produrre buoni prodotti e a venderli al giusto prezzo. Ma qualche volta gli 46 Prof. Lorella Lotto A.a. 2021-2022 Comunicazione del rischio e processi decisionali incentivi possono entrare in conflitto. La più importante modifica che va fatta all’analisi tradizionale degli incentivi è introdurre l’idea di rilevanza. Chi sceglie si accorge effettivamente degli incentivi con cui si confronta? Nel libero mercato la risposta di solito è affermativa, ma in alcuni casi importanti è negativa. Sulla rilevanza è possibile agire e un bravo architetto delle scelte farà il possibile per focalizzare l’attenzione degli individui sugli incentivi. RISPARMIARE DI PIÙ DOMANI I Governi di tutti i Paesi industrializzati hanno predisposto dei sistemi previdenziali affinché i cittadini abbiamo risorse finanziarie sufficienti quando smettono di lavorare. Il problema è che questo strumento è minacciato dall’aumento della longevità delle persone e il calo del tasso di natalità. Man mano che il rapporto tra lavoratori attivi e pensionati diminuisce, le soluzioni sono due: o aumentano i contributi oppure le prestazioni previdenziali devono diminuire. A livello del micro sistema, possiamo fare in modo che i lavoratori capiscano che è importante che loro accantonino una somma di denaro adeguata per la propria pensione. Ma le persone sono in grado di affrontare questo compito? Se è difficile comprendere questa cosa, si possono aiutare con dei pungoli? Sì, ora vediamo delle soluzioni, ma prima vediamo la situazione italiana. In Italia, fino al 1965, la pensione veniva calcolata attraverso il metodo retributivo: la pensione veniva calcolata in base alle retribuzioni percepite dal lavoratore. Il calcolo della retribuzione veniva fatto sulla base degli ultimi stipendi. Dal 1965 è stato implementato il metodo contributivo: una persona andrà in pensione e riceverà delle somme in base a quanto ha versato. Questo è svantaggioso per le persone che versano poco e che non hanno stipendi elevati. Quello che dobbiamo chiederci è se, effettivamente, le persone si rendono conto che quello che avranno da anziani dipende da ciò che risparmiano adesso. In questa difficoltà di trovare un punto di equilibrio, i costi di risparmiare troppo poco sono superiori dai costi di risparmiare troppo. Le persone che risparmiano troppo poco potrebbero trarre un beneficio da un pungolo. Quali sono i Nudge che si possono utilizzare? ● Regola di default: cosa deve fare una persona quando inizia a lavorare. Se l’opzione di default è la non adesione, quando i lavoratori acquistano il diritto di aderire, ricevono un modulo da compilare. Cambiare la regola di default può essere un successo: l’adesione al piano previdenziale è automatica. Questo cambiamento delle regole di default ha un impatto fortissimo sul comportamento delle persone. I piani di adesione automatica, però, sono legati alla percentuale di contribuzione: queste percentuali di accantonamento sono troppo basse per assicurare un reddito sufficiente per la pensione. L’altro problema, quindi, è come far sì che le persone aumentassero questo tasso di contribuzione. ● Save More Tomorrow: è un programma istituito da Thaler e prevede che i lavoratori si impegnino preventivamente ad una serie di aumenti dei contributi previdenziali scaglionati, in modo da coincidere con gli aumenti dello stipendio. La sincronizzazione tra l’aumento di stipendio e l’aumento della percentuale di 47 Prof. Lorella Lotto A.a. 2021-2022
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