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Concorrenza Sleale: Principi, Fattispecie e Sistema di Tutela, Slide di Diritto Commerciale

Diritto dell'AntitrustDiritto Commerciale InternazionaleDiritto dell'Imprese e delle Società

Una introduzione alla concorrenza sleale, le sue fonti internazionali e nazionali, le fattispecie di atti sleali e gli interessi protetti dalla norma. Viene inoltre discusso il rapporto tra imprenditori e il concetto di rapporto di concorrenza, nonché le figure di soggetti che possono compiere atti di concorrenza sleale nell'interesse dell'imprenditore.

Cosa imparerai

  • Che principio giuridico regola la libertà economica?
  • Che documento internazionale regola la concorrenza sleale?
  • Che interessi vengono protetti dalla norma sulla concorrenza sleale?
  • Che figure di soggetti possono compiere atti di concorrenza sleale nell'interesse dell'imprenditore?
  • Che fattispecie di atti sono considerati atti di concorrenza sleale?

Tipologia: Slide

2020/2021

Caricato il 16/11/2022

Giuri.enn
Giuri.enn 🇮🇹

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Scarica Concorrenza Sleale: Principi, Fattispecie e Sistema di Tutela e più Slide in PDF di Diritto Commerciale solo su Docsity! Concorrenza sleale Premessa La disciplina dell’attività economica è caratterizzata dal principio di libertà, recato dall’art. 41 Cost. secondo cui «l’iniziativa economica privata è libera». A livello europeo, la norma che principalmente esprime la volontà legislativa verso la protezione di un sistema di mercato è l’art. 119 TFUE, secondo cui «L’azione degli Stati membri e dell’Unione comprende (…) l’adozione di una politica economica (…) condotta conformemente al principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza». La scelta favorevole del legislatore al mercato postula, in ogni caso, affinché il mercato sia efficiente, che le imprese che hanno sostenuto i costi per la loro affermazione, possano trarre i vantaggi che un mercato trasparente e leale concede loro. Di qui la necessità di prevedere una disciplina sulla concorrenza sleale. Interessi protetti dalla norma La disciplina della concorrenza sleale regola i conflitti tra imprenditori. Ciò lo si deduce dal n. 3 dell’art. 2598 c.c., secondo cui vanno considerati atti contrari alla correttezza professionale quelli «idonei a danneggiare l’altrui azienda». Di conseguenza la tutela offerta dalle norme sulla concorrenza sleale è azionabile dagli imprenditori. Si discute se vi sia la possibilità di riconoscere un interesse diretto dei consumatori e, quindi, una loro legittimazione all’azione legale. Secondo la dottrina prevalente, le norme sulla concorrenza sleale sono state previste a tutela del mercato e regolano gli interessi interni ad esso; vi possono, però, essere margini per riconoscere la rilevanza di interessi esterni agli imprenditori, nella sola ipotesi di una coincidenza degli interessi degli imprenditori con quella dei consumatori. I soggetti. Il rapporto di concorrenza Come accennato, la disciplina della concorrenza sleale si rivolge agli imprenditori. Ai sensi dell’art. 2598, comma 1, n.3, c.c. sono vietati gli atti «idonei a danneggiare l’altrui azienda». Da ciò si deduce che il soggetto passivo debba essere un imprenditore, come titolare dell’organizzazione aziendale danneggiata. Con riferimento all’autore dell’illecito, il termine «chiunque» utilizzato dal legislatore potrebbe far pensare che si possa prescindere dalla qualità di imprenditore per il responsabile della condotta illecita. Tuttavia non può sottacersi che la disciplina è volta a regolare i rapporti di concorrenza, come ben si comprende dall’elenco delle condotte ritenute illecite (imitazione servile, utilizzo di segni distintivi, concorrenza parassitaria). I soggetti. Il rapporto di concorrenza. Segue: Se gli atti illeciti sono compiuti da non imprenditori, naturalmente è possibile per l’imprenditore danneggiato agire, ex art. 2043 c.c., per il risarcimento del danno. La valutazione dell’illecito è, però, differente se l’autore è un imprenditore o meno. Si pensi ad esempio alle critiche mosse da parte di un consumatore o di un esperto sulle qualità di un prodotto: sono, in linea di massima, da considerarsi lecite se non contengono frasi offensive. Se le stesse critiche sono espresse da un imprenditore, invece, va verificato se esse siano tali da configurare un’ipotesi di atto denigratorio. La legittimazione all’azione dei consumatori Le premesse per l’esercizio dell’azione volta ad inibire le condotte di concorrenza sleale, ossia la qualifica di imprenditore e il rapporto di concorrenza, fa sì che si possa escludere la legittimazione attiva ai consumatori. Il dibattito sul riconoscimento del diritto all’azione a favore dei consumatori, in ogni caso, può ritenersi sopito a seguito dell’introduzione della disciplina a tutela dei consumatori, i quali possono denunciare all’AGCM le pratiche commerciali scorrete e la pubblicità ingannevole in quanto pregiudizievole ai loro interessi. Altri legittimati. L’art. 2601 c.c. estende la legittimazione ad agire alle «associazioni professionali» e agli «enti che rappresentano la categoria» quando «gli atti di concorrenza sleale pregiudicano gli interessi di una categoria professionale». Le associazioni prese in considerazione dalla norma sono, dunque, quelle rappresentative di imprenditori (e non dunque di consumatori). Il pregiudizio alla categoria professionale può ricorrere quando l’atto di concorrenza colpisce uniformemente un’intera tipologia di prodotti (ad es. si evidenziano falsamente gli effetti nocivi della plastica rispetto al vetro). Le fattispecie confusorie. n. 1 dell’art. 2598 c.c. Si fa esplicito riferimento ai segni distintivi e, quindi, alla ditta, alla ragione e alla denominazione sociale, all’insegna e al marchio. Si può invocare la protezione offerta dalla normativa per altri segni distintivi, anche per la ditta irregolare o segni non espressamente tutelati (nei limiti in cui essi non sono riconducibili al marchio). Nella specifica ipotesi del marchio, la disciplina è nei fatti interamente assorbita nel Codice della Proprietà Industriale. Il divieto di atti confusori presuppone l’uso legittimo di un segno dotato di capacità distintiva. Es. l’insegna «Semi serio» o «Scaccomatto» non hanno capacità distintiva in termini assoluti. La denigrazione. Segue: Il divieto di denigrazione e di appropriazione di pregi altrui si è storicamente posto in relazione alla pubblicità comparativa, cioè alla pubblicità «che identifica in modo esplicito o implicito un concorrente o beni o servizi offerti da un concorrente» (art. 2, comma 1, lett. c), d.lgs. 145/2007). La disciplina della pubblicità comparativa, in linea di principio, consente la comparazione pubblicitaria, purché nel rispetto di alcuni limiti. La comparazione ovviamente non deve essere ingannevole. Può risultare ingannevole anche l’omissione di informazioni che incidano sulla capacità del consumatore di percepire il reale significato del confronto tra prodotti o servizi. La denigrazione. Segue: La comparazione non deve determinare confusione con i segni distintivi di un concorrente e deve riguardare «beni o servizi che soddisfano gli stessi bisogni» per confrontare «oggettivamente una o più caratteristiche essenziali, pertinenti, verificabili e rappresentative, compreso eventualmente il prezzo». In questo senso, la pubblicità comparativa svolge una funzione informativa. E’ vietata, dunque, la comparazione suggestiva (es. rappresentare il prodotto del concorrente in un contesto svilente). E’ vietata, infine, la pubblicità che generi discredito al concorrente (aspetto che è comune alla disciplina propria della concorrenza sleale). La tutela offerta (anche ai consumatori) è quella della denuncia all’AGCM in quanto la condotta integra una pratica commerciale scorretta. L’appropriazione di pregi La seconda fattispecie di concorrenza sleale disciplinata dall’art. 2598, n. 2, riguarda l’appropriazione «di pregi dei prodotti o dell’impresa di un concorrente». Anche questa fattispecie è volta alla tutela della trasparenza del mercato e ricorre quando un imprenditore riproduce nei propri cataloghi i prodotti o i servizi di un concorrente, o dichiara di aver ricevuto premi e riconoscimenti attribuiti ad altri, o afferma di intrattenere rapporti commerciali con imprese note (es. «distributore esclusivo» di una celebre marca di prodotti). L’appropriazione di pregi altrui ricorre, quindi, quando il pregio venga vantato falsamente. Questa fattispecie si distingue dalla più semplice mendacio che non presuppore una comparazione con altro prodotto (es. etichetta di tessuto con falsa indicazione delle percentuali dei componenti). La correttezza professionale. Segue: La clausola generale, in termini concreti, ci consente di sostenere che essa contiene anche le fattispecie individuate nei precedenti punti 1 e 2 della norma, che si atteggiano, pertanto, a mere esemplificazioni espressive di condotte considerate sleali. La casistica giurisprudenziale ci consente, inoltre, di ricavare le fattispecie già sottoposte al vaglio e che sono considerate contrarie alla correttezza professionale e che possono essere raggruppate in relazione agli interessi specifici protetti in relazione: 1. Alla trasparenza del mercato; 2. Alla scorretta imputazione di costi e benefici; 3. Al corretto funzionamento del mercato; 4. Al fine teleologico delle decisioni in relazioni a condotte astrattamente lecite. 1. Trasparenza del mercato. La casistica giurisprudenziale permette di evidenziare che sono vietate le condotte che influiscono sulla trasparenza del mercato. In questa categoria rientrano tutte le affermazioni ingannevoli relative al proprio prodotto o servizio (c.d. mendacio). La mendacio sussiste anche in assenza di una comparazione; ciò consente che legittimati all’azione siano tutti i concorrenti anche solo astrattamente lesi dalla condotta sleale. Tale condotta integra, naturalmente, anche una pratica commerciale ingannevole, di cui all’artt. 21 e ss. del Codice del consumo. Pertanto, in via amministrativa, sono legittimati all’azione anche i consumatori mediante una denuncia all’AGCM. 1. Trasparenza del mercato. Segue: Si può facilmente intuire come possa essere talvolta difficile distinguere tra affermazioni ingannevoli e non veritiere e declamazioni generiche di eccellenza e superiorità del proprio prodotto. Affermazioni tipo «imbattibile» o «il migliore» ecc. venivano considerate un tempo del tutto irrilevanti, rientranti nell’alveo del dolus bonus e pertanto non inficiavano la validità del contratto e non erano rilevanti in relazione alla concorrenza sleale. La giurisprudenza ha, più di recente, meglio specificato il discrimine tra affermazione sleale e declamazione irrilevante: l’espressione deve essere percepita come retorica, generica e priva di qualunque capacità informativa per essere considerata lecita. 3. Corretto funzionamento del mercato Art. 98 CPI – Oggetto della tutela 1. Costituiscono oggetto di tutela i segreti commerciali. Per segreti commerciali si intendono le informazioni aziendali e le esperienze tecnico- industriali, comprese quelle commerciali, soggette al legittimo controllo del detentore, ove tali informazioni: a) siano segrete, nel senso che non siano nel loro insieme o nella precisa configurazione e combinazione dei loro elementi generalmente note o facilmente accessibili agli esperti ed agli operatori del settore; b) abbiano valore economico in quanto segrete; c) siano sottoposte, da parte delle persone al cui legittimo controllo sono soggette, a misure da ritenersi ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete. 2. Costituiscono altresì oggetto di protezione i dati relativi a prove o altri dati segreti, la cui elaborazione comporti un considerevole impegno ed alla cui presentazione sia subordinata l'autorizzazione dell'immissione in commercio di prodotti chimici, farmaceutici o agricoli implicanti l'uso di nuove sostanze chimiche. 4. Fine teleologico In questa categoria rientrano tutte quei comportamenti che sono reputati leciti, se considerati singolarmente, ma che, nella loro reiterazione manifestano l’intento dell’imprenditore di nuocere all’altrui azienda. Sono considerate rientranti in questa categoria: Lo storno di dipendenti, di per sé lecito se serve all’imprenditore per dotarsi di personale qualificato. E’ una condotta sleale se lo storno è finalizzato a privare il concorrente della forza lavoro necessaria per lo svolgimento dell’attività. La concorrenza parassitaria, che esprime la tendenza di un imprenditore a seguire di pari passo le scelte strategiche di un concorrente, risparmiando sui costi di apertura del mercato. Il dumping, ossia la vendita sottocosto di beni al solo fine di saturare il mercato e di provocare la fuori uscita dal mercato dei concorrenti che non possono attuare una strategia difensiva. L’azione inibitoria L’azione inibitoria è lo strumento tipico e più efficace e può essere esercitata al ricorrere della seguente condizione: La sussistenza di una condotta sleale anche solo potenzialmente idonea a provocare un danno: ossia, il danno potenziale. Non è necessario provare che la condotta sia imputabile alla persona dell’imprenditore, in quanto è sufficiente la riferibilità all’impresa della condotta; l’elemento psicologico del dolo o della colpa è ininfluente ai fini della tutela. All’esito del giudizio, il giudice ordina l’inibitoria alla prosecuzione degli atti sleali e indica le modalità per la rimozione degli effetti prodotti.
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