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Concorso Ordinario Secondaria, Prova Orale Docente ITP, Appunti di Pedagogia

Appunti per Prova Orale del concorso ordinario 2020, docente ITP: Didattica e Normativa scolastica scuola secondaria

Tipologia: Appunti

2022/2023

In vendita dal 05/08/2023

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Scarica Concorso Ordinario Secondaria, Prova Orale Docente ITP e più Appunti in PDF di Pedagogia solo su Docsity! CONCORSO ORDINARIO 2020 Scuola secondaria di secondo grado Appunti per Prova Orale DOCENTE ITP
 Focus su IT e IP Aggiornato al 25/07/2023 Argomenti: • IL DIRITTO ALL’ISTRUZIONE NELLA COSTITUZIONE ITALIANA • IL SECONDO CICLO D’ISTRUZIONE • IL PECUP • LA CERTIFICAZIONE DELLE COMPETENZE • IL PFI PER GLI ISTITUTI PROFESSIONALI • DOCENTE TUTOR, DOCENTE ORIENTATORE E E-PORTFOLIO DELLO STUDENTE • SECONDO CICLO D’ISTRUZIONE: LEGGI E NORME FONDAMENTALI • GLI ORGANI COLLEGIALI DEL SECONDO CICLO D’ISTRUZIONE • DAL PTOF ALLA LEZIONE • LA DIDATTICA • APPROFONDIMENTO SUI METODI • APPROFONDIMENTO SULLE TECNICHE • LA DIDATTICA LABORATORIALE: IL DOCENTE ITP • L’AMBIENTE DI APPRENDIMENTO • LA VALUTAZIONE • BES, DISABILITÀ, DSA • DIDATTICA INDIVIDUALIZZATA E PERSONALIZZATA • STILI COGNITIVI E DI APPRENDIMENTO • L’ EDUCAZIONE CENTRATA SULLA PERSONA • EDUCAZIONE INCLUSIVA • EUROPA ED EDUCAZIONE • EDUCAZIONE CIVICA IL DIRITTO ALL’ISTRUZIONE NELLA COSTITUZIONE ITALIANA La Costituzione italiana dedica 3 articoli al diritto all’istruzione: Art. 3 
 che sancisce la piena uguaglianza dei cittadini Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. 
 È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Art. 33 
 che sancisce la libertà di insegnamento di arti e scienze
 e la necessità di articolare il sistema di istruzione in scuole statali ovvero pubbliche L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento.
 La Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.
 Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato. La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali.
 È prescritto un esame di Stato per l'ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l'abilitazione all'esercizio professionale.
 Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato. Art. 34
 che sancisce il DIRITTO ALLO STUDIO PER TUTTI La scuola è aperta a tutti.
 L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni (*), è obbligatoria e gratuita.
 I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso. * obbligo salito da otto a dieci anni - DM 139/2007, che rende l’istruzione obbligatoria fino a 16 anni.
 L’obbligo scolastico decennale inizia quindi a 6 anni con il Primo ciclo di istruzione, e si conclude a 16 anni con la fine del Primo Biennio del secondo ciclo di istruzione. 
 Nella Costituzione l’istruzione è strumento per il pieno sviluppo della persona umana, l'insegnamento è libero e, soprattutto, la scuola aperta a tutti: chiunque ha il diritto e il dovere di frequentarla, anche laddove si trovasse in una situazione di svantaggio economico. 
 1 IL PECuP Tutti e 3 i percorsi del secondo ciclo hanno come riferimento unitario il PECuP - Profilo Educativo, Culturale e Professionale dello studente (D.Lgs 226/2005, allegato A), che individua le competenze, le abilità e le conoscenze che lo studente deve possedere al termine del secondo ciclo di istruzione ed è finalizzato allo sviluppo dell’autonomia e della responsabilità personale e sociale dell’individuo - si riferisce alla persona come soggetto unitario, non alle discipline ed ai loro contenuti, e per questo si esprime in termini di Risultati di Apprendimento (RdA) ovvero di competenze acquisite (competenza: sapere esperto e consapevole). Il PECuP comprende due tipologie di RdA, tra loro complementari: 1. RdA comuni a tutti i percorsi 2. RdA specifici di ciascun percorso e fa riferimento ai 4 assi culturali e alle 8 competenze chiave di cittadinanza e per l’apprendimento permanente (da Raccomandazioni EU 2006 e 2018). Il PECuP dello studente costituisce quindi la bussola di riferimento nella determinazione degli “obiettivi generali” comuni a tutti i processi formativi e degli “obiettivi specifici di apprendimento” relativi ai singoli percorsi; vale come documento nazionale dello Stato che determina i livelli essenziali di prestazione che ogni istituto deve assicurare per l’esercizio del diritto sociale e civile di ogni persona. 
 Il PECuP è, pertanto, anche garanzia della pari dignità tra istruzione liceale e istruzione tecnica e professionale.
 4 4 ASSI CULTURALI • dei linguaggi • matematico • storico sociale • scientifico, tecnologico e professionale 8 COMPETENZE CHIAVE - di cittadinanza
 - per apprendimento permanente (EU) ovvero le competenze di cui tutti hanno bisogno per la realizzazione e lo sviluppo personali, l’occupabilità, l’inclusione sociale, uno stile di vita sostenibile, una vita fruttuosa in società pacifiche, una gestione della vita attenta alla salute e la cittadinanza attiva PECuP RdA = competenze RdA comuni RdA specifici LA CERTIFICAZIONE DELLE COMPETENZE NEL SECONDO CICLO D’ISTRUZIONE A partire dal 2010, è in vigore l’obbligo della certificazione delle competenze acquisite dagli studenti nell’assolvimento dell’obbligo decennale di istruzione, e quindi al termine del primo biennio delle scuole secondarie di secondo grado*. Con la certificazione delle competenze la scuola è chiamata a valutare non solo le conoscenze (sapere) e le abilità (saper fare) degli studenti, ma anche appunto le loro competenze (saper essere: sapersi orientare autonomamente e individuare strategie per la soluzione dei problemi) in contesti reali o verosimili. “Certificazione delle competenze di base acquisite nell’assolvimento dell’obbligo d’istruzione” La certificazione è un documento per livelli (BASE, INTERMEDIO, AVANZATO) e non per voti - si deve indicare il livello raggiunto nell’ambito dei 4 assi culturali: • asse dei linguaggi (lingua italiana, lingua straniera, altri linguaggi) • asse matematico • asse scientifico-tecnologico • asse storico-sociale e deve essere scritto in maniera semplice poiché si rivolge alle famiglie. La certificazione prevede che le competenze relative agli assi culturali siano state acquisite con riferimento alle 8 competenze chiave di cittadinanza (DM 139/2007): 1. imparare ad imparare 2. progettare 3. comunicare 4. collaborare e partecipare 5. agire in modo autonomo e responsabile 6. risolvere problemi 7. individuare collegamenti e relazioni 8. acquisire ed interpretare l’informazione che a loro volta sono state modulate sulla base delle otto competenze chiave per l’apprendimento permanente stabilite dal Parlamento europeo e dal Consiglio d’Europa nel 2006 e aggiornate nel 2018 con la “Raccomandazione del Consiglio del 22 maggio 2018 relativa alle competenze chiave per l’apprendimento permanente”. La certificazione delle competenze riguarda tutte le discipline: il processo che porta alla certificazione è competenza del consiglio di classe e quindi frutto di una operazione e decisione di tipo collegiale. * NB La riforma dell’Orientamento, prevista dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), porterà delle novità riguardo alla certificazione delle competenze: “a partire dall’A.S. 2023/24 sarà previsto, a richiesta, il graduale rilascio, da parte delle scuole, della certificazione delle competenze anche al termine di ciascuna annualità del secondo ciclo di istruzione.”
 Dunque sarà possibile richiedere ed ottenere la certificazione delle competenze al termine di ogni anno di scuola secondaria di secondo grado - lo scopo di questo intervento è quello di favorire il riorientamento e il successo formativo, ovvero consentire ad esempio il passaggio ad altro percorso, indirizzo, articolazione, opzione di scuola secondaria di secondo grado in maniera più flessibile, passaggio da effettuare proprio sulla base della certificazione rilasciata.
 5 PFI
 Progetto Formativo Individuale
 ISTITUTI PROFESSIONALI In seguito al riassetto dell’istruzione professionale, gli Istituti Professionali sono stati dotati di un nuovo strumento: il PFI - Progetto Formativo Individuale. Il PFI è una sorta di bilancio personale dello studente, un «progetto che ha il fine di motivare e orientare gli studenti nella progressiva costruzione del proprio percorso formativo e lavorativo, di supportarli per migliorare il successo formativo e di accompagnarli negli eventuali passaggi tra i sistemi formativi, con l’assistenza di un tutor individuato all’interno del consiglio di classe» Il PFI rappresenta quindi lo strumento per l’individuazione dei bisogni formativi di ogni studente, il riconoscimento dei crediti, la definizione degli obiettivi individuali, la formalizzazione degli strumenti per la personalizzazione, la documentazione del percorso di studi. Con l’introduzione del PFI gli IP hanno a disposizione uno strumento unico – ed uguale per tutti gli studenti – di personalizzazione educativa, finalizzato alla valorizzazione delle attitudini e del bagaglio di competenze di ciascuno, nel quadro della costruzione di un progetto di vita basato sul successo educativo, formativo e lavorativo. La figura del tutor nel PFI Il tutor è individuato dal dirigente scolastico sentiti i consigli di classe. Di norma un tutor segue un massimo di dieci studenti. COSA FA: Accoglie e accompagna lo studente all’arrivo nella scuola. Tiene i contatti con la famiglia. Redige il bilancio iniziale, consultando anche la famiglia e lo studente. Redige la bozza di PFI da sottoporre al consiglio di classe. Monitora, orienta e riorienta lo studente. Avanza proposte per la personalizzazione. Svolge la funzione di tutor scolastico in relazione ai percorsi di alternanza. Propone al consiglio di classe eventuali modifiche al PFI. Tiene aggiornato il PFI. Struttura del PFI Il PFI di ogni studente è redatto dal Consiglio di Classe entro il 31 gennaio del primo anno ed è aggiornato durante l’intero percorso scolastico. Non essendo definito un modello nazionale di PFI, ciascuna scuola, nella propria autonomia, adotta ed esplicita nel PTOF il modello più opportuno. Il modello di PFI adottato da ciascuna scuola prevederà comunque almeno le seguenti sezioni: • Dati generali e anagrafici • Percorso di istruzione/formazione: titoli di studio già conseguiti; competenze certificate; precedenti esperienze di istruzione e formazione; precedenti esperienze di alternanza/apprendistato; attività particolarmente significative. • Bilancio iniziale: attitudini; motivazione; aspettative per il futuro; capacità di studiare, vivere e lavorare in comunità; livello di conoscenza della lingua italiana; eventuali barriere sociali o personali; eventuali debiti in ingresso, eventuali crediti. • Obiettivi di apprendimento previsti dal percorso • Personalizzazione del percorso: attività aggiuntive e/o sostitutive, PCTO, progetti di orientamento e riorientamento, progetti con finalità particolari (es. volontariato) • Strumenti didattici particolari: autorizzazione all’uso di formulari, schemi, mappe concettuali quando non già; diritto a tempi aggiuntivi per gli alunni con disturbo specifico dell’apprendimento. • Verifiche periodiche
 6 LA COMUNITÀ SCOLASTICA COME LUOGO DELLA PARTECIPAZIONE: GLI ORGANI COLLEGIALI DEL SECONDO CICLO D’ISTRUZIONE Gli organi collegiali della scuola sono gli organi di gestione e autogoverno della scuola italiana.
 A livello della singola istituzione scolastica operano: CONSIGLIO DI ISTITUTO È un organo collegiale obbligatorio in tutte le scuole secondarie, composto dal dirigente scolastico (che ne fa parte di diritto) e dai rappresentanti elettivi di tutte le componenti della scuola - personale docente, studenti, genitori e personale non docente (ATA). Esercita le funzioni di indirizzo e di gestione degli aspetti economici e organizzativi della scuola, ovvero è paragonabile al consiglio d’amministrazione “dell’impresa scuola”. Il Consiglio è presieduto da un genitore e si rinnova con cadenza triennale tramite elezioni. Delibera, tra le altre cose, il PTOF, il programma annuale e il Regolamento interno di Istituto. Al suo interno, il consiglio elegge nel corso della prima seduta una GIUNTA ESECUTIVA, con competenze tecniche, che vigila sulla corretta applicazione delle delibere del consiglio e prepara i documenti di Gestione Finanziaria da proporre al Consiglio d’Istituto. Obbligatorio / Elettivo / Deliberante COLLEGIO DEI DOCENTI È composto da tutti i membri del personale docente in servizio ed è presieduto dal dirigente scolastico. • È organo deliberante in materie di programmazione didattica, valutazione, adozione dei libri di testo e sostegno. • È organo proponente al Consiglio d’Istituto riguardo al PTOF, la formazione delle classi, assegnazione dei docenti e orario delle lezioni. CONSIGLIO DI CLASSE È la riunione degli insegnanti di una singola classe, integrati in alcuni momenti specifici dai genitori e dagli studenti: • Si riunisce per il coordinamento didattico e le valutazioni • Convoca genitori e rappresentanti di genitori e/o studenti per favorire la collaborazione educativa, approvando progetti didattici e viaggi d’istruzione, e per esprimere pareri sui libri di testo. COMITATO PER LA VALUTAZIONE DEI DOCENTI È composto dal dirigente, 3 docenti eletti, rappresentanti eletti di genitori e/o studenti, e un componente esterno. Valuta l’assegnazione dei bonus di merito, l’anno di prova, e il servizio dei docenti già di ruolo. ASSEMBLEE DI GENITORI E STUDENTI I genitori hanno il diritto di riunirsi in assemblea (assemblee di singole classi o di Istituto) con lo scopo di discutere su argomenti di carattere generale o, più specificatamente, inerenti le classi frequentate dai propri figli. Il Dirigente Scolastico, al quale può essere chiesto l’uso dei locali scolastici, deve essere preventivamente informato con indicazione in maniera specifica degli argomenti da trattare. A tali assemblee possono partecipare con diritto di parola lo stesso Dirigente Scolastico e i docenti della classe.Le assemblee dei genitori possono anche essere convocate dai docenti della classe. Anche gli studenti della scuola secondaria di secondo grado hanno diritto di riunirsi in assemblea nei locali della scuola: «Le assemblee studentesche nella scuola secondaria superiore costituiscono occasione di partecipazione democratica per l’approfondimento dei problemi della scuola e della società in funzione della formazione culturale e civile degli studenti». Le assemblee studentesche possono essere di classe o di istituto.
 9 LA DELIBERA SUL CALENDARIO SCOLASTICO Consiglio d’Istituto Collegio dei docenti Dirigente Scolastico (DS) Formazione delle classi Indica
 i criteri generali Formula proposte
 al DS Procede 
 alla formazione delle classi Assegnazione dei docenti alle classi Indica
 i criteri generali Formula proposte
 al DS Procede all'assegnazione dei docenti alle classi Formulazione dell’orario delle lezioni Formula proposte
 al DS Procede alla formulazione dell’orario delle lezioni Adattamento dell’orario delle lezioni e delle altre attività alle condizioni ambientali Indica
 i criteri generali Dà esecuzione alla delibera, previa verifica di legittimità Calendario scolastico Ha potere deliberante Dà esecuzione alla delibera, previa verifica di legittimità 10 AUTONOMIA - DPR 275/1999 Nel 1999 il DPR 275 introduce il concetto di “autonomia” delle scuole: le istituzioni scolastiche, pur facendo parte del sistema scolastico nazionale, hanno una propria autonomia amministrativa, didattica, organizzativa e di ricerca, sperimentazione e sviluppo. Operano comunque nel rispetto delle “norme generali sull’istruzione" emanate dallo Stato, che ha competenza legislativa esclusiva per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Con l’autonomia è il collegio dei docenti della singola istituzione scolastica ad avere la responsabilità progettuale di tutta l’offerta della scuola, dunque non solo della progettazione educativa/didattica, ma anche degli aspetti organizzativi, di ruoli, spazi, tempi ecc Quota di istituto del 20% In base all'autonomia, le istituzioni scolastiche possono modificare il monte ore annuale delle discipline di insegnamento (le materie) per una quota pari al 20%. Tale quota consente alle scuole la compensazione tra discipline di insegnamento (meno ore ad una disciplina che vengono assegnate ad un'altra disciplina) oppure l'introduzione di una nuova disciplina di studio. PTOF L’autonomia scolastica prende corpo ed espressione nella realizzazione di un documento chiamato Piano Triennale dell’Offerta Formativa* (PTOF), nel quale viene delineata la progettazione curricolare della scuola: «documento fondamentale costitutivo dell’identità cultuale e progettuale delle istituzioni scolastiche». *originariamente POF - Piano dell’Offerta Formativa, divenuto triennale (PTOF) a partire dal 2015 con la riforma della “Buona Scuola” - L107/2015 L'autonomia scolastica è regolata da un'apposita disposizione (Regolamento) che ne definisce le diverse modalità di attuazione e dà indicazioni su come ciascuna istituzione scolastica deve definire il proprio PTOF. L’autonomia scolastica si profila così come lo strumento e la risorsa che le scuole hanno a disposizione per garantire il successo formativo dei propri studenti - che hanno talenti e provenienze peculiari e, dunque, peculiari esigenze - attraverso l’adozione di metodi di lavoro, tempi di insegnamento e soluzioni che siano funzionali alle necessità e vocazioni di ciascun alunno nonché alle peculiarità del territorio in cui la scuola opera. L’autonomia organizzativa consente di dare al servizio scolastico flessibilità, diversificazione, efficienza ed efficacia e di realizzare l’integrazione e il miglior utilizzo delle risorse e delle strutture, anche attraverso l’introduzione e la diffusione di tecnologie innovative.
 11 14 Autonomia 1999 POF elaborato dal Collegio → approvato dal Consiglio d’Istituto PR. D’ISTITUTO Consiglio d’Istituto: finalità generali sulla base di territorio e risorse PR. EDUCATIVA Collegio dei Docenti: percorsi formativi della scuola PR. DIDATTICA Consiglio di Classe: percorso formativo della classe/alunno Buona Scuola 2015 PTOF Offerta formativa della scuola: espressione dell’autonomia PROGRAMMAZIONE Attività di progettazione fondata sul curricolo CURRICOLO Cuore del PTOF OA Obiettivi di Apprendimento In termini di competenze UdA Unità di Apprendimento Converte gli OA in attività
 da proporre allo studente STRUMENTO
 DI PERSONALIZZAZIONE RdA Risultati di Apprendimento Comuni + Specifici PERCORSI DI STUDIO DELLA SCUOLA
 Percorso formativo in uno specifico grado e nella specifica scuola 80% nazionali + 20% riservate = risponde a esigenze del territorio PECuP individua le competenze che lo studente deve possedere al termine del ciclo di istruzione 4 ASSI CULTURALI • dei linguaggi • matematico • storico sociale • scientifico, tecnologico e professionale 8 COMPETENZE CHIAVE
 - di cittadinanza - per apprendimento permanente (EU) LEZIONI + verifica degli OA DALLA TEORIA ALLA PRATICA: LA DIDATTICA Se la pedagogia stabilisce un approccio teorico all’apprendimento fornendo idee e principi di carattere generale, la didattica studia il metodo con il quale applicare tali principi, ovvero si occupa di mettere a punto soluzioni concrete da utilizzare in classe per favorire l’apprendimento. PEDAGOGIA Riflessione teorica preliminare ↓ DIDATTICA “Arte di insegnare”, corrisponde al processo di insegnamento vero e proprio. Ramo della scienza dell’educazione, la didattica è una scienza che ha per oggetto di studio l’intero processo di insegnamento-apprendimento, in cui 
 la teoria (intesa come riflessione sull’azione) e la prassi (intesa come attività pratica di insegnamento) sono tra loro collegate. ↓ PROGRAMMAZIONE DIDATTICA Nella programmazione didattica annuale disciplinare del singolo docente, 
 la progettazione curricolare viene scomposta, a livello di singolo gruppo classe o allievo, in blocchi unitari detti UdA - Unità di Apprendimento ↓ UdA Per completare una UdA è necessario procedere per fasi sequenziali, ognuna delle quali corrisponde a una lezione ↓ LEZIONE Un “settore” di una UdA, della durata di 60 minuti ↓ METODOLOGIA Studio dei metodi, approccio teorico/filosofico scelto per costruire l’apprendimento, ovvero l’insieme dei principi e dei criteri di svolgimento 
 di un’attività ↓ METODO DIDATTICO / DI INSEGNAMENTO Riguarda il come insegnare, e ha origine dall’intreccio di due fattori: il che cosa si vuole insegnare e a chi si vuole insegnare. Il metodo didattico è quindi la scelta consapevole e programmata, che il docente fa prima di svolgere una lezione, del modo di lavorare (es. metodo espostivo vs. metodo operativo). Non esiste un metodo più o meno valido per ogni disciplina - tutti concorrono 
 a personalizzare e diversificare la didattica, e utilizzare più metodi aiuta anzi 
 a stimolare la motivazione degli alunni e consente di soddisfare i bisogni di tutti. Scelto un metodo, si passa alla sua applicazione pratica avvalendosi di: • TECNICA: attuazione tecnico-pratica del metodo scelto, durante un momento specifico dell’azione didattica. Le tecniche possono essere classificate in più categorie, ma una divisione “a monte” particolarmente incisiva è quella tra la tecnica della lezione frontale e la lezione esercitativa che si avvale delle cosiddette tecniche attive. • STRUMENTI: definiti anche risorse, gli strumenti didattici sono i dispositivi che il docente utilizza durante il percorso didattico, e vanno dai libri di testo alle TIC (Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione). 15 APPROFONDIMENTO SUI METODI Metodo individualizzato: IL MASTERY LEARNING Il Mastery Learning è un insegnamento individualizzato, che basa il suo nucleo concettuale sulla teoria di Bloom e Carrol: se si offre a ciascuno il tempo di apprendimento che gli è necessario, sarà possibile per ogni alunno raggiungere la padronanza negli obiettivi proposti. Il Mastery Learning viene anche chiamato “apprendimento per padronanza”, in italiano, poiché il suo obiettivo è proprio quello di permettere a tutti gli studenti - ognuno coi suoi tempi - di padroneggiare conoscenze e competenze prefissate in classe. Per far ciò, il Mastery Learning prevede uno “spezzettamento” della comunicazione didattica, che viene effettuata in piccole pillole, utili affinché anche lo studente più lento riesca ad elaborarli e ad assimilarli, e diversifica ritmi, sequenze e rinforzi del lavoro didattico attraverso una continua verifica dei risultati raggiunti. Affinché il Mastery Learning abbia successo, ovvero riesca effettivamente a portare tutti gli alunni di una classe al massimo livello di apprendimento, fondamentali sono dunque: l’ottimizzazione del tempo necessario per l’apprendimento di ciascun alunno, e procedure di feedback correttive costanti e relative alle diverse fasi del processo di insegnamento. Metodo euristico-partecipativo: IL COOPERATIVE LEARNING (CL) Il Cooperative Learning (apprendimento cooperativo) è un metodo didattico la cui variabile significativa è la cooperazione: gli studenti, divisi in piccoli gruppi, lavorano insieme per il conseguimento di un obiettivo comune e per migliorare reciprocamente il loro apprendimento; ciascun membro del gruppo mette a disposizione degli altri il suo sapere e le sue competenze. Il Cooperative Learning non è un semplice “lavoro di gruppo”: non basta infatti organizzare la classe in gruppi perché si realizzino le condizioni per un’ efficace collaborazione e per un buon apprendimento. Un esercizio di apprendimento in gruppo si qualifica come Cooperative Learning solo se sono presenti i seguenti elementi: 1) Interdipendenza positiva: i membri del gruppo fanno affidamento gli uni sugli altri per raggiungere lo scopo. Se qualcuno nel gruppo non fa la propria parte, anche gli altri ne subiscono le conseguenze. Gli studenti si devono sentire responsabili del loro personale apprendimento e dell'apprendimento degli altri membri del gruppo; 2) Responsabilità individuale: ogni membro del gruppo deve rendere conto sia della propria parte del lavoro che di quanto apprende. Ogni studente, nelle verifiche, dovrà dimostrare personalmente quanto ha imparato. 3) Interazione promozionale faccia a faccia: benché parte del lavoro di gruppo possa essere spartita e svolta individualmente, è necessario che i componenti il gruppo lavorino in modo interattivo, verificando gli uni con gli altri la catena del ragionamento, le conclusioni, le difficoltà e fornendosi il feedback. In questo modo si ottiene anche un altro vantaggio: gli studenti si insegnano a vicenda. 4) Uso appropriato delle abilità nella collaborazione: gli studenti nel gruppo sono incoraggiati e aiutati a sviluppare la fiducia nelle proprie capacità, la leadership, la comunicazione, il prendere delle decisioni e difenderle, la gestione dei conflitti nei rapporti interpersonali. 5) Valutazione e riflessione sul lavoro svolto insieme, individuale e di gruppo: i membri, periodicamente, valutano l'efficacia del loro lavoro e il funzionamento del gruppo, ed identificano i cambiamenti necessari per migliorarne l’efficienza. 16 APPROFONDIMENTO SULLE TECNICHE LA TECNICA DELLA LEZIONE FRONTALE La lezione frontale è la tecnica per eccellenza del metodo espositivo; nella didattica tradizionale essa costituisce la norma e verte su una trasmissione verticale e nozionistica del sapere dall’insegnante all’allievo. In questa modalità, i contenuti vengono quindi trasferiti con una esposizione del docente cui assiste un allievo essenzialmente passivo, o meglio attivo solo in qualità di ascoltatore. Il momento dell’insegnamento è in questo caso scisso da quello dell’apprendimento, poiché l’assimilazione vera e propria avviene in un secondo momento (di solito a casa, in solitudine, quando lo studente studia sui libri gli argomenti trattati e ripassa seguendo gli appunti presi durante la lezione). L’oggetto di questo tipo di lezione è il contenuto/informazione e l’attività grava completamente sul docente. Il docente prima di affrontare una lezione deve progettarla, definire un percorso logico rispetto ai contenuti da trattare e organizzare le modalità di comunicazione. In questo senso il ruolo del docente acquista importanza, in quanto egli deve preferire determinati metodi di spiegazione, cercare di catturare l’attenzione per evitare una dispersione di attenzione e raggiungere un livello di apprendimento soddisfacente. L’obiettivo è quello di somministrare il massimo di informazioni al maggior numero di allievi nel minor tempo possibile. La lezione frontale è utile quando gli studenti sono tutti completamente sprovvisti di elementi conoscitivi rispetto ai contenuti trattati - il docente può allora trasmettere contenuti/informazioni in un breve e ben definito periodo di tempo e rendere così omogeneo il livello di conoscenza di una classe su un determinato argomento. VS. LE TECNICHE ATTIVE DIDATTICA ATTIVA E PARTECIPATA = DIDATTICA PER COMPETENZE Oggi si predilige il ricorso alla didattica attiva e partecipata, che ha per riferimento teorico l’attivismo pedagogico o didattica della scuola attiva. La didattica attiva e partecipata pone l’allievo al centro del processo formativo e mira a coinvolgerlo attivamente, a stimolarne curiosità e motivazione partendo in primis dai suoi bisogni e necessità, mirando a fornire non semplici nozioni bensì competenze (sapere + saper fare). Il principio fondamentale sul quale si basano le tecniche attive è quello del Learning by Doing (si apprende facendo), una strategia in cui il sapere viene immediatamente sperimentato e diventa risorsa dell’allievo, che ad essa farà ricorso nella prosecuzione degli studi e nel mondo del lavoro - si parla in questo senso di apprendimento significativo: gli studenti si sentono coinvolti e motivati, toccano con mano il senso e l’utilità di quello che imparano, ovvero l’applicazione nella realtà del sapere appreso. L'insegnante è allora la guida, il facilitatore nel processo di scoperta del ragazzo e personalizza il suo insegnamento a seconda degli interessi e dei bisogni dell’allievo. Le caratteristiche delle tecniche attive sono: • partecipazione vissuta degli studenti; • controllo costante e ricorsivo ovvero feedback sull’apprendimento; • autovalutazione; • attualizzazione dell’esperienza; • lavoro di gruppo.
 19 TECNICHE ATTIVE DI TIPO CLASSICO il Laboratorio
 La didattica laboratoriale è naturalmente attiva, poiché privilegia l’apprendimento esperienziale per favorire l’operatività e allo stesso tempo la riflessione e il dialogo su quello che si fa. Essa prevede un ruolo attivo dello studente che, svolgendo un’attività con una specifica metodologia, realizza un prodotto; ovviamente occorre utilizzare spazi e macchinari specifici a seconda dell’attività ed è possibile lavorare in gruppo od individualmente.
 Il laboratorio rappresenta un importante luogo d’incontro operativo in cui gli allievi, sotto la guida dell’insegnante, confrontano le loro competenze per la realizzazione di un lavoro condiviso; esso favorisce la comunicazione, il pensiero divergente, il movimento e la fruizione attiva. All’interno del laboratorio è possibile sperimentare percorsi, esplorare, concretizzare idee e sviluppare tecniche. La didattica laboratoriale incoraggia un atteggiamento attivo degli allievi nei confronti della conoscenza sulla base della curiosità e della sfida, e ha il vantaggio di essere facilmente applicabile a tutti gli ambiti disciplinari: nel laboratorio, infatti, i saperi disciplinari diventano strumenti per lo sviluppo di competenze. TECNICHE ATTIVE SIMULATIVE Action Maze Gli Action Maze (azione nel labirinto) sono dei giochi interattivi che simulano situazioni di vita reale e in cui l’allievo deve prendere continue decisioni sulle strade da intraprendere o scartare. È una tecnica che ha come obiettivo lo sviluppo delle strategie di problem solving e delle competenze decisionali.
 
 Role playing Il role playing (gioco o interpretazione dei ruoli) consiste nella simulazione dei comportamenti e degli atteggiamenti adottati generalmente nella vita reale. Gli studenti devono assumere i ruoli assegnati dall’insegnante e comportarsi come pensano che si comporterebbero realmente, in quella circostanza, le persone che stanno impersonando. Questa tecnica ha, pertanto, l’obiettivo di far acquisire la capacità di impersonare un ruolo e di comprendere in profondità ciò che il ruolo richiede. Il role playing non è la ripetizione di un copione, ma una vera e propria recita a soggetto, in cui gli alunni “si mettono nei panni degli altri” e il docente è tenuto a rispettare gli studenti nelle loro scelte e reazioni, senza giudicare.
 Come ogni tecnica di sensibilizzazione utilizzata a scopi formativi, anche il role playing deve essere utilizzato come tale (a scopi formativi), deve avere delle sequenze strutturate e deve concludersi con una verifica degli apprendimenti. 
 Debate Nel debate (discussione) si realizza in un dibattito, svolto con tempi e regole prestabiliti, nel quale due squadre sostengono e controbattono un'affermazione o un argomento assegnato dall'insegnante; obiettivo primario è la maturazione di competenze trasversali nell’area dei linguaggi, per favorire lo sviluppo di strategie comunicative applicabili ai contenuti delle discipline coinvolte nel processo didattico. TECNICHE ATTIVE DI ANALISI DELLA SITUAZIONE Studio di caso 
 Lo studio di caso consiste nel presentare agli studenti la descrizione di una situazione reale, frequente o esemplare. Il caso viene consegnato agli studenti che lo studiano prima individualmente, poi con una discussione di gruppo. Di norma, come situazione non si adotta un caso problematico: infatti l’obiettivo che ci si pone con questo metodo non è quello di sviluppare competenze nella risoluzione dei problemi, bensì sviluppare le capacità analitiche, favorire l’interazione e la discussione per una migliore comprensione 20 reciproca, far comprendere come diverse persone possano valutare in modo diverso lo stesso problema.
 Incident 
 Può essere considerato una variante dello studio di caso; si basa sulla presentazione agli studenti di una situazione reale, ma non viene scelta una situazione ordinaria, bensì una situazione di emergenza che rischia di esplodere, diventando un “incidente di percorso”; in questo caso si sviluppano le abilità decisionali e quelle predittive. TECNICHE ATTIVE DI PRODUZIONE COOPERATIVA 
 espressione del metodo euristico-partecipativo 
 o che strutturano il Metodo del Cooperative Learning Brainstorming 
 Letteralmente tempesta di cervelli. Dato un problema da affrontare, ciascuno dei partecipanti, entro prefissati limiti di tempo, è libero di esprimere la propria idea senza che l’insegnante esprima giudizi sulle idee emerse. Alla fine tutte le idee sono raccolte ed opportunamente analizzate per giungere alla soluzione del problema. Ricerca-Azione (R/A) La ricerca-azione è una tecnica, espressione del metodo euristico partecipativo, che ha l’obiettivo di ricercare soluzioni, prassi e metodi per realizzare un cambiamento a partire da un problema. La caratteristica della R/A sta nel fatto che tutti sono in ricerca, sia i docenti che i discenti. Dal punto di vista metodologico, si parla di “ciclo della ricerca-azione”, che comprende le seguenti fasi: 1) Analisi: identificazione dei problemi da risolvere, delle cause di quei problemi, dei contesti e degli ambienti in cui i problemi si collocano, delle risorse a disposizione e dei vincoli che costringono a fare determinate scelte; 
 (esempio problema: il rispetto dell’ambiente) 2) Pianificazione: formulazione delle ipotesi di cambiamento e dei piani di implementazione;
 (esempio ipotesi di cambiamento: vogliamo che la nostra scuola sia igienicamente ed ecologicamente pulita; esempio piano di implementazione: le classi seconde si occupano del giardino mettendo in atto le azioni a, b, c; le terze si interessano dei rifiuti riciclabili mettendo in atto le azioni x, y, z) 3) Azione: applicazione dei piani formulati; 4) Osservazione e monitoraggio: valutazione dei cambiamenti intervenuti e revisione dei piani adottati (se non si sono verificati i cambiamenti e i miglioramenti previsti, è necessario ripianificare le ipotesi iniziali tenendo conto delle variabili intervenute e riprogettare ciò che non ha funzionato - ecco perché si parla di “ciclo”); 5) Approfondimento, istituzionalizzazione e diffusione capillare delle applicazioni che hanno avuto valutazione positiva. I problemi che si affrontano in ricerca-azione si presentano aperti a più soluzioni, e la soluzione migliore si delinea con più precisione man mano che si agisce e si riflette sull’azione. L’obiettivo fondamentale della ricerca-azione è quello di far comprendere la complessità dei sistemi in cui l’uomo interviene. 
 Circle Time 
 Letteralmente tempo del cerchio, è considerata una delle tecniche più efficaci nell’educazione socio- affettiva. I partecipanti si dispongono in cerchio, con un conduttore che ha il ruolo di sollecitare e coordinare il dibattito entro un termine temporale prefissato. La successione degli interventi secondo l’ordine del cerchio va rigorosamente rispettata. Il conduttore assume il ruolo di interlocutore privilegiato nel porre domande o nel fornire risposte. Il circle time facilita e sviluppa la comunicazione circolare, favorisce la conoscenza di sé, promuove la libera e attiva espressione delle idee, delle opinioni, dei sentimenti e dei vissuti personali e, infine, crea un clima di serenità e di condivisione facilitante la costituzione di un qualsiasi nuovo gruppo di lavoro o preliminare a qualunque successiva attività. 21 L’AMBIENTE DI APPRENDIMENTO La scuola italiana sta percorrendo la strada dell’innovazione didattica, che porta a promuovere attività basate sulla risoluzione di problemi e a favorire approcci euristici* di apprendimento in contesti operativi, reali e concreti. Innanzitutto, questa ottica innovativa ha indotto al superamento della lezione frontale come unica metodologia didattica: oggi l’alunno è considerato al centro del processo di costruzione della conoscenza e assume importanza la negoziazione dei significati; si è passati da una visione incentrata sull’insegnamento (fondata sui contenuti disciplinari, sul “che cosa insegnare”) a una prospettiva focalizzata sul soggetto che apprende e quindi sui processi di apprendimento. Da ciò discende la necessità di predisporre ambienti di apprendimento che consentano un approccio reticolare alla conoscenza e favoriscano forme di collaborazione e cooperazione. Se l’allievo deve essere al centro del processo di insegnamento-apprendimento, non può andar bene un’aula coi banchi allineati: tale disposizione è quella adatta alla lezione frontale, in quanto favorisce l’ascolto passivo da parte dei discenti, mentre oggi la relazione tra docente e allievo non è più vista come asimmetrica e verticale, ma come orizzontale e reticolare. Le indicazioni nazionali dedicano una particolare attenzione alla questione dell’ambiente di apprendimento: «L’organizzazione degli spazi e dei tempi è elemento di qualità pedagogica dell’ambiente educativo, e, pertanto, deve essere oggetto di esplicita progettazione e verifica» In ambito europeo il concetto di ambiente di apprendimento è oggi inteso in un’accezione molto ampia, ossia come l’insieme delle situazioni educative caratterizzate da attività che coinvolgono insegnanti e allievi in una cornice di riferimento comprendente risorse e regole. L’apprendimento avviene in contesti fisici o virtuali, dentro o fuori dalla scuola, attraverso la cooperazione con altre istituzioni. Per quanto riguarda l’ambiente di apprendimento scolastico in senso stretto, esso è considerato un luogo fisico e virtuale, uno spazio mentale e culturale, uno spazio organizzativo e uno spazio emotivo-affettivo. Quindi non riguarda solo lo spazio in cui si realizza l’apprendimento, ma anche tutte le componenti presenti nella situazione in cui il processo viene messo in atto e che quindi intervengono nel processo: gli insegnanti, gli alunni, gli strumenti culturali, tecnici, simbolici. 
 AMBIENTE DI APPRENDIMENTO = contesto di supporto all’apprendimento 24 LA VALUTAZIONE La valutazione consente al processo della programmazione di essere ricalibrato e quindi di adeguarsi costantemente ai bisogni di apprendimento degli alunni. Sul registro, gli insegnanti appongono voti che esprimono il livello di padronanza degli obiettivi a breve e medio periodo raggiunta dai singoli alunni. Nel lavoro dell’insegnante la valutazione viene ad acquisire più funzioni: • La VALUTAZIONE DIAGNOSTICA è svolta precedentemente alla progettazione delle attività didattiche e serve anche a stabilire i prerequisiti. • La VALUTAZIONE FORMATIVA, detta anche “intermedia”, fornisce indicazioni sull’apprendimento nel suo verificarsi: consente di raccogliere informazioni che aiutano lo studente ad orientarsi nella valutazione del proprio apprendimento, e il docente a rendersi conto dei livelli di efficacia dell’intervento didattico e modificare eventualmente la sua proposta didattica. • La VALUTAZIONE SOMMATIVA è quella che fornisce una diagnosi finale dell’apprendimento verificatosi. La trasposizione dei voti desunti dalle valutazioni formative alla valutazione sommativa non è automatica, bensì mediata dalla considerazione dell’importanza maggiore o minore che l’insegnante ha attribuito, in sede di programmazione, agli obiettivi oggetto delle diverse verifiche - le valutazioni formative possono quindi concorrere in misura differente alla valutazione sommativa. Gli Strumenti di Valutazione Per quanto riguarda la scelta degli strumenti di valutazione, le prove di verifica devono rispettare due criteri: la validità e l’attendibilità. 1. Per rispettare il criterio della validità le prove devono essere finalizzate ad accertare in modo coerente e diretto gli obiettivi di apprendimento che sono stati prestabiliti. 2. Per rispettare il criterio dell’attendibilità la prova deve essere in grado di offrire gli stessi risultati se ripetuta nelle stesse condizioni. Più una prova è strutturata, maggiore è la possibilità di verificarne validità e attendibilità. Le prove possono essere infatti diverse per tipologia, e si distinguono in: prove semistrutturate, prove strutturate, saggi brevi, riassunti e colloquio orale. • Le prove semistrutturate consistono in una serie di quesiti che richiedono risposte aperte brevi e circoscritte e che rispettino i vincoli stabiliti dal docente (parametri di lunghezza, ordine gerarchico dei temi, concetti da affrontare, livello di generalizzazione) affinché si possano confrontare con criteri di correzione stabiliti. • Le prove strutturate consistono nell’esecuzione di un compito uguale per tutti, le cui risposte corrette sono predeterminate in anticipo, e sono costituite da un insieme di stimoli (detti item) a risposta predefinita; sono particolarmente indicate per accertare conoscenze e abilità di un ampio numero di studenti, che possono essere valutati simultaneamente con un impegno temporale relativamente breve.
 Altri pregi delle prove strutturate sono:
 - la possibilità di minimizzare l’incidenza della casualità sulla valutazione;
 - la trasparenza docimologica ovvero dei criteri di attribuzione del punteggio.
 Le prove strutturate sono sostanzialmente quattro: quesiti vero/falso, quesiti a scelta multipla con una sola risposta corretta, quesiti a corrispondenza (stabilire collegamenti tra due serie di dati), quesiti a completamento. 25 • Il saggio breve è una trattazione in forma scritta, di lunghezza media stabilita dal docente, composto da una domanda o da una traccia ben definita su un determinato ambito disciplinare. Nel saggio breve il docente fornisce uno stimolo su cui argomentare che sia ben definito, chiaro e unicamente interpretabile. • Il riassunto richiede di formulare in maniera sintetica, chiara, originale e completa i contenuti e le informazioni più importanti. È importante non modificarne il senso e il significato, rispettando i limiti posti dal docente. • Il colloquio orale (anche detto “riflessione parlata”) è una conversazione sollecitata dal docente, che ne fa uno strumento per indagare, comprendere le modalità di ragionamento degli studenti dinanzi ad una situazione problematica. Si parla, inoltre, di prove oggettive con riferimento a quelle prove che consentono una rilevazione concorde da parte di diversi valutatori, mentre tra le prove soggettive si annoverano il colloquio orale, l’interrogazione orale, il dialogo e la conversazione. Nella diversificazione degli strumenti utili per la valutazione è importante ricordare che nella costruzione di una prova il docente dovrà sempre avere cura di identificare gli obiettivi da verificare nel rispetto delle caratteristiche psicologiche e cognitive degli allievi. Negli ultimi anni anche in Italia è stata abbracciata la nuova ottica della valutazione autentica, che vede come principale funzione della valutazione non quella di misurare gli apprendimenti, bensì quella di fornire elementi sui processi che generano l’apprendimento e sul modo in cui le conoscenze si trasformano in competenze personali spendibili anche fuori dal contesto scolastico. La convinzione è che la valutazione, se utilizzata come strumento di analisi e promozione dell’apprendimento e non come mero elemento di misurazione e di giudizio, può avere un ruolo rilevante nel far scoprire all’alunno potenzialità di sviluppo in un settore specifico.
 26 Alunni con DSA Disturbi Specifici dell’Apprendimento
 LEGGE 170/2010 I DSA sono disturbi di carattere evolutivo che interessano abilità coinvolte nelle attività scolastiche, come la lettura, la scrittura e il calcolo.
 Conseguenza di tali disturbi è che l’alunno non riesce ad apprendere in maniera adeguata alla sua età.
 I ragazzi con DSA hanno un quoziente intellettivo nella norma o al di sopra di esso - non si tratta di una forma di disabilità, e difatti per loro non è previsto un insegnante di sostegno. Si distinguono in: • Specifici: l’alunno ha difficoltà in uno specifico dominio (ad esempio la sola lettura) • Evolutivi: in questo caso le abilità tendono a modificarsi nel tempo, generalmente migliorando spontaneamente, anche se il disturbo permane. Spetta alla scuola, previa comunicazione alle famiglie, individuare casi sospetti di DSA. LEGGE 170/2010 riconosce come DSA: Dislessia / Disgrafia / Disortografia / Discalculia ↓ STRUMENTI per tutelare il diritto allo studio dei ragazzi con DSA 1) PDP - PIANO DIDATTICO PERSONALIZZATO Il PDP ha strutture fisse e consiste in un percorso didattico individualizzato e personalizzato, che contiene quindi sia obiettivi comuni al gruppo classe che obiettivi mirati alla realizzazione dello specifico alunno, dandogli l’opportunità di sviluppare al meglio le proprie peculiari potenzialità. Il PDP deve fare leva sui punti di forza dell’alunno per potenziare i talenti e le capacità proprie del ragazzo (ad es: capacità di memorizzazione per immagini, capacità di fare collegamenti non convenzionali, etc). Obiettivi comuni + Obiettivi specifici DIDATTICA INDIVIDUALIZZATA E PERSONALIZZATA Il PDP indica anche strumenti compensativi e misure dispensative
 a disposizione dell’alunno DSA ↓ 2) STRUMENTI COMPENSATIVI Strumenti atti a compensare lo svantaggio specifico dell’alunno senza tuttavia costituire un vantaggio cognitivo: testi digitali, risorse audio/video, schemi, mappe concettuali, evidenziazioni di paragrafi, calcolatrice, fotocopie… 3) MISURE DISPENSATIVE Che consentono di non svolgere attività troppo difficili da affrontare che non sono essenziali ai fini didattici, come leggere un lungo testo ad alta voce o fare elaborati calcoli a mente. Un esempio di misura dispensativa è anche l’avere a disposizione del tempo aggiuntivo nello svolgimento delle attività (in questo caso si è dispensati da tempi troppo stretti) 29 DM 27 dic 2002 - BES ↓ Alunni con DISTURBI EVOLUTIVI SPECIFICI La Direttiva Ministeriale del 27 dicembre 2002 inquadra nell’area dello svantaggio scolastico anche gli alunni affetti da Disturbi evolutivi specifici distinti dai DSA o da latri disturbi. Sono Disturbi evolutivi specifici: • Attenzione e iperattività (ADHD) • Disturbi del linguaggio ovvero con bassa intelligenza verbale ma non cognitiva, che è nella norma • Disturbi del movimento • Spettro autistico lieve • Funzionamento intellettivo limite, ovvero con QI al limite della norma Strategie utili da adottare con alunni che abbiano questi disturbi sono ad esempio: non favorire la distrazione (evitando di far sedere il ragazzo vicino a fonti di distrazioni quali una finestra); fornire routine e regole chiare prestabilite per aiutarli nella loro difficoltà di pianificare e organizzarsi; evitare il sovraccarico di informazioni; evitare toni e modi eccitanti; farli lavorare in gruppo. Come nel caso dei DSA, si tratta di disturbi che compromettono la qualità della vita del soggetto ma che non costituiscono forme di disabilità, pertanto non necessitano dell’insegnante di sostegno. + Alunni con SVANTAGGIO SOCIOECONOMICO, LINGUISTICO, CULTURALE 
 (tra cui i NAI) Qui lo svantaggio è da intendersi come situazione di sofferenza che trova origine nella storia del ragazzo e nelle sue esperienze passate o presenti. L’alunno “svantaggiato” conserva intatte le sue capacità sensoriali, fisiche e del sistema nervoso - laddove ci siano problemi in tali aree, si tratta in questo caso di manifestazioni somatiche dello svantaggio stesso e possono essere risolte intervenendo sulle cause. 
 Sono esempi di situazioni di svantaggio socioeconomico, linguistico e culturale: - Ragazzi stranieri appena arrivati in Italia (NAI) - Ragazzi adottati - Ragazzi con famiglie che hanno problemi di natura economica e/o giudiziaria - Ragazzi con genitori violenti o aggressivi - Ragazzi con mancanza di affetto e cure - etc In tutti questi casi lo svantaggio, e le conseguenti misure adottate, hanno carattere transitorio, essendo la natura stessa dello svantaggio potenzialmente risolvibile, reversibile. ↓ La Direttiva dà la possibilità di estendere anche a loro i benefici della Legge 170/2010, a discrezione della scuola e motivando la scelta con messa a verbale. ↓ PDP + Strumenti compensativi e Misure dispensative (che NON possono però essere usate in sede di esame) 30 DIDATTICA INDIVIDUALIZZATA E PERSONALIZZATA La legge 170/2010 afferma che le scuole devono garantire agli alunni DSA l’adozione di una didattica individualizzata e personalizzata. L’individualizzazione e la personalizzazione traducono sul piano didattico il principio pedagogico della centralità del soggetto con le sue caratteristiche e i suoi bisogni. • L’INDIVIDUALIZZAZIONE ha lo scopo di far sì che determinati traguardi siano raggiunti da tutti. Poiché ogni ragazzo ha però il proprio approccio e stile cognitivo, e raggiungerò quindi l’obiettivo finale percorrendo una strada che non è necessariamente quella di un altro, il docente modula le variabili della sua didattica (variando il linguaggio, i tempi, le sequenze, i canali comunicativi) ovvero il suo stile di insegnamento, per far sì di raggiungere efficacemente tutti i componenti del gruppo classe. Nella pratica, per operare una didattica individualizzata, quindi per obiettivi comuni a tutto il gruppo classe, il docente considera le caratteristiche di ognuno degli allievi evidenziandone i tratti comuni o i più diffusi; dopodiché formula una proposta didattica che si possa adattare a tutto il gruppo, nel senso che ciascuno studente riuscirà a seguire il modello didattico senza dover fare uno sforzo eccessivo LA DIDATTICA INDIVIDUALIZZATA PONE OBIETTIVI COMUNI PER TUTTI I COMPONENTI DEL GRUPPO CLASSE, MA È CONCEPITA ADATTANDO LE METODOLOGIE IN FUNZIONE DELLE CARATTERISTICHE PECULIARI DI TUTTI GLI ALUNNI. • La PERSONALIZZAZIONE è finalizzata a far sì che ognuno degli studenti sviluppi i propri talenti personali, le proprie potenzialità intellettive. La didattica personalizzata si applica quando si vogliono far emergere le potenzialità insite in ciascuno studente; non a caso è prevista per i DSA, e il PDP a loro dedicato deve appunto fare leva sui loro punti di forza: un ragazzo dislessico ha difficoltà nella lettura ma potrebbe avere una perfetta capacità di elaborazione delle immagini, dunque nel suo caso personalizzare la didattica potrebbe voler dire far leva su tale capacità adoperando immagini specifiche e stimolanti relative all’argomento trattato. LA DIDATTICA PERSONALIZZATA HA IN PIÙ, RISPETTO A QUELLA INDIVIDUALIZZATA, L’OBIETTIVO DI DARE A CIASCUN ALUNNO L’OPPORTUNITÀ DI SVILUPPARE AL MEGLIO LE PROPRIE PECULIARI POTENZIALITÀ, E PUÒ QUINDI PORSI OBIETTIVI SPECIFICI PER CIASCUN ALUNNO, ESSENDO STRETTAMENTE LEGATA A QUELLA UNICA E SPECIFICA PERSONA A CUI SI STA RIVOLGENDO. 31 DIDATTICA INDIVIDUALIZZATA = obiettivi comuni con diversificazione delle metodologie PERSONALIZZATA = obiettivi comuni + obiettivi specifici per singolo alunno EDUCAZIONE CENTRATA SULLA PERSONA L’apprendimento è influenzato non solo da componenti cognitive ma anche da processi affettivi - in questo senso la relazione tra docenti e studenti è inquadrata come una relazione di cura: i docenti prendono in carico anche il vissuto affettivo ed emotivo degli studenti, e devono quindi ispirarsi a criteri di ascolto, dialogo e partecipazione. L’educazione centrata sulla persona richiede che qualsiasi metodo di lavoro e valutazione sia esente da minacciosità e rinunci all’uso coercitivo di potere senza, però, sfociare nel permissivismo. INSEGNANTE COME “FACILITATORE” DELL’APPRENDIMENTO L’insegnante è una risorsa per gli allievi e il suo scopo è di rendere il più possibile agevole il loro processo di apprendimento; mette a loro disposizione la propria professionalità e le proprie conoscenze senza imporre nulla; è una guida autorevole e assertiva, riconosciuta dagli alunni come persona che possiede competenze oggettive; non genera paura ma promuove fiducia; è disposto al dialogo e alla comunicazione: comprendere l’altro agevola l’intero processo comunicativo di scambio reciproco. SCUOLA COME “COMUNITÀ EDUCANTE” APERTA A STUDENTI E GENITORI La collegialità delle scelte costituisce l’elemento caratterizzante le istituzioni scolastiche, chiamate a realizzare unitamente alle famiglie e agli alunni quella continuità orizzontale che ne arricchisce il percorso educativo e didattico. Scuola e famiglia costituiscono il sistema culturale di riferimento per lo sviluppo degli studenti, dunque la comunicazione e la collaborazione tra le due istituzioni va sempre incoraggiata ed è anzi necessaria. ↓ CORRESPONSABILITÀ EDUCATIVA La Carta Costituzionale affida la responsabilità educativa degli studenti alla famiglia e alla scuola, che condividono quindi un ruolo fondamentale nel processo educativo che va rafforzato e concretizzato nella ricerca di una alleanza pedagogica volta a mettere lo studente al centro del processo di apprendimento, di cui è protagonista. La scuola è tenuta a favorire questa collaborazione, favorendo il coinvolgimento dei genitori. Compito del docente è quello di adottare adeguate strategie comunicative volte ad ottenere la fiducia e la collaborazione dei genitori/famiglia. La collaborazione tra insegnanti e genitori impone un costante confronto e una continua negoziazione; si deve instaurare una relazione di mutuo supporto perché l’apprendimento sia favorito sia a casa che a scuola. L’insegnante deve proporsi in primo luogo come educatore aperto verso i contributi altrui e flessibile nel progetto di incontro con l’altro. La qualità delle relazioni scuola-famiglia e l’andamento scolastico degli studenti sono strettamente correlati.
 DOCENTE funzione DIDATTICA = conoscenza e crescita intellettuale funzione EDUCATIVA = accompagna l’allievo nella sua crescita umana 34 INCLUSIVITÀ Secondo l’“Index for Inclusion” si ha un’educazione inclusiva quando: ‣ si riduce l’esclusione degli alunni dalle culture, dai curricoli e dalle comunità sul territorio; ‣ si riformano le culture, le politiche educative e le pratiche nella scuola affinché corrispondano alle diversità degli alunni; ‣ si riducono gli ostacoli all’apprendimento e alla partecipazione di tutti gli alunni, non solo delle persone con disabilità o con Bisogni Educativi Speciali; ‣ si cerca di superare gli ostacoli all’accesso e alla partecipazione di particolari alunni, attuando cambiamenti che portino beneficio a tutti gli alunni; ‣ si guarda alle differenze tra gli alunni come a risorse per il sostegno all’apprendimento, piuttosto che come problemi da superare; ‣ si riconosce il diritto degli alunni ad essere educati nella propria comunità; ‣ si enfatizza il ruolo della scuola nel costruire comunità e promuovere valori, oltre che nel migliorare i risultati educativi; ‣ si promuove il sostegno reciproco tra scuola e comunità; ‣ si riconosce che l’inclusione nella scuola è un aspetto dell’inclusione nella società più in generale. PEDAGOGIA INTERCULTURALE Conviene preliminarmente specificare che la multiculturalità è una categoria descrittiva che indica la compresenza di culture diverse, mentre l’interculturalità è una dimensione pedagogica. La pedagogia, nel momento in ci si confronta con una realtà multiculturale, può declinarsi secondo diversi approcci - si possono individuare alcuni modelli teorici fondamentali: • Modello segregazionista. Tale modello prevede che le differenti culture presenti in uno stesso territorio debbano rimanere separate. Anche in alcuni approcci multiculturali si nasconde un atteggiamento segregazionista, riconoscendo il diritto agli immigrati di mantenere la propria cultura e la propria lingua attraverso percorsi formativi differenziati. A questa logica rispondono le scuole, i corsi e le classi destinate a un singolo gruppo etnico, con organizzazione e contenuti diversi dalla scuola ufficiale. • Modello assimilazionista. Consiste nella conversione della cultura minoritaria nella cultura dominante. Si collegano a questa concezione le “scuole-ponte”, che hanno lo scopo di preparare i bambini socializzati all’interno di sistemi culturali differenti per poter essere poi integrati nelle scuole normali • Modello integrazionista. Si basa sul riconoscimento di un gruppo caratterizzato da una cultura diversa, che viene accettata e ritenuta valida; tale gruppo viene considerato “speciale” e vengono attivati interventi istituzionali per supportarne l’adattamento. La diversità culturale è dunque considerata, in quest’ottica, come un problema da risolvere • Modello interculturale. Rende consapevoli gli individui della molteplicità delle identità possibili, e costituisce la base per il diritto alla differenza, intesa come ricchezza e bene comune. Questo implica il ripensare la scuola e la società non più in un’ottica omologante ma come luogo di opportunità e di occasioni per favorire il dinamismo culturale. Quella interculturale è dunque una concezione dinamica che presuppone il dialogo tra le diverse culture. È ormai considerata la pedagogia normale dei nostri tempi, e non straordinaria, speciale; l’interculturalità, infatti, è l’elemento costitutivo dell’identità all’interno di una società globale.
 35 LA PEDAGOGIA DELL’INCLUSIONE NELLA SCUOLA ITALIANA • C.M. n. 2 del 8 gennaio 2010 
 “Indicazioni e raccomandazioni per l’integrazione di alunni con cittadinanza non italiana” - un’equilibrata distribuzione degli alunni non italiani nelle classi. La loro percentuale non deve superare il 30% per ciascuna classe, a meno che non si sia in presenza di alunni stranieri già in possesso delle adeguate competenze linguistiche; inversamente, il limite del 30% può essere ulteriormente abbassato in presenza di situazioni di particolare complessità. - un’equilibrata distribuzione degli alunni non italiani tra le scuole, mediante l’azione di coordinamento da parte degli Uffici Scolastici Regionali - accordi di rete tra le scuole di uno stesso territorio, con particolare attenzione agli accordi tra scuole di ordine e grado diverso, in modo da creare percorsi di continuità che evitino il rischio di concentrazione di alunni stranieri in alcune tipologie di percorsi a preferenza di altri • Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e per l’educazione interculturale
 che ha successivamente realizzato il documento di indirizzo: - “La via italiana per la scuola interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri” (2007)
 «Scegliere l’ottica interculturale significa non limitarsi a mere strategie di integrazione degli alunni immigrati, né a misure compensatorie di carattere speciale. Si tratta, invece, di assumere la diversità come paradigma dell’identità stessa della scuola nel pluralismo» Alla luce di questi principi, nella scuola italiana si è passati alla fase della pedagogia dell’inclusione: non sono più previste misure compensative, basate sull’uso di mediatori culturali, sui protocolli d’accoglienza, sull’insegnamento intensivo dell’italiano e altre strategie tipiche di quelle situazioni in cui c’è da fronteggiare un’emergenza temporanea, “riportando a norma” studenti che presentano delle carenze. Nella fase dell’inclusione la classe multiculturale rappresenta la nuova normalità, fatta di studenti e studentesse con diverse origini e diverse storie. Non è più l’alunno immigrato a doversi “integrare” in un sistema scolastico che mantiene immutate le sue caratteristiche, non è più la scuola che deve aiutarlo a compensare le sue carenze con interventi straordinari. La diversità diventa parte della realtà scolastica ordinaria.
 Questa nuova pedagogia interculturale è stata definita pedagogia dell’inclusione o pedagogia interculturale di seconda generazione. Gli interventi concreti da porre in atto a scuola per rendere operante la logica della pedagogia inclusiva sono di tre tipi: 1. azioni di integrazione, ovvero accoglienza e integrazione di tutti gli alunni 2. azioni di interazione interculturale, ovvero l’instaurare relazioni positive e contrastare pregiudizi, razzismo e discriminazione 3. azioni che riguardano gli attori e le risorse, ovvero gli interventi organizzativi e strumentali 
 Tra gli obiettivi formativi per una pedagogia interculturale: - acquisire maggiore consapevolezza dei propri riferimenti valoriali e dei propri pregiudizi, per poter attuare un “DECENTRAMENTO DELLO SGUARDO”, tale, cioè, da consentire aperture e possibilità di relazione non contemplate in precedenza - costruzione di un’immagine della diversità culturale che sia positiva ed alternativa rispetto agli stereotipi che quotidianamente i mass media contribuiscono a creare - favorire l’acquisizione di competenze di tipo affettivo e in particolare di EMPATIA, intesa come un un processo intenzionale, in cui si entra in rapporto profondo con l’altro senza tuttavia smarrire la propria identità. Nella relazione interculturale, l’empatia può essere considerata una condizione fondatrice, una base che rende possibile l’incontro in situazione di differenza. volti alla maturazione di una forma mentis interculturale.
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