Scarica conrad postfazione cuore di tenebra commento Baricco e più Dispense in PDF di TFA Sostegno solo su Docsity! Un uomo spia le carte geografiche del mondo cercando
“gli spazi vuoti della terra”, macchie bianche senza nomi,
senza storie, senza verità. Ne trova una, rigata dal profilo
strisciante di un enorme fiume. La guarda e quel che vede
sulla carta è un’orma di infinito, da inseguire.
Quaranta pagine e qualche mese dopo: quell'uomo na-
viga su un battello che come uno scarafaggio risale quel
fiume, nel ventre di quello spazio bianco, nel tempo di
quell’infinito. Ha intorno tutto. Ma al momento di spie-
gare dove sta andando, dice: verso Kurtz — esclusivamente.
Nel tempo di un viaggio, il desiderio di indagare l’in-
finito si è tramutato nell’ossessivo bisogno di incontrare
un uomo.
La storia di Cuore di tenebra è la storia di una osses-
sione, assurda e inspiegata.
La prima volta che Marlow sente parlare di Kurtz è
durante il suo viaggio di avvicinamento al fiume, in
una Stazione della Compagnia. Schifo, malattia, mosche,
e indigeni come animali agonizzanti, dappertutto: e,
in mezzo, quell’indimenticabile Capo contabile: “colletto
inamidato, polsini bianchi, una giacca leggera d’alpaca,
pantaloni nivei, una cravatta chiara, scarpe di vernice”.
Un’ostia tra i rifiuti. È lui che per primo pronuncia la
parola Kurtz. “All’interno incontrerà certamente il signor
Kurtz.” Chi è?, chiede Marlow. Il Capo contabile posa la
penna e - lentamente - dice: “È un uomo davvero note-
vole”.
Ottanta pagine e qualche mese dopo: Marlow è in un
salotto per bene, in città, a migliaia di chilometri da
quello schifo. Mobili luccicanti, colonne drappeggiate, un
pianoforte. Nero. E, in mezzo, una donna, pallida, non
più giovanissima. Vestita in nero. Si direbbe che i pol-
sini candidi e i nivei pantaloni del Capo contabile siano
morti nel lutto di quel nero. Marlow appoggia sul tavolo
le lettere di Kurtz. La donna dice poche parole prima di
dire “Era impossibile conoscerlo senza ammirarlo, vero?”.
Marlow deve rispondere qualcosa. Ha risalito un fiume,
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nel ventre di un mondo maledetto, per incontrare quel-
l’uomo. Ha visto il suo regno, ha sentito le sue parole, e
l’ha visto morire.
“Era impossibile conoscerlo senza ammirarlo, vero?”
Quel che risponde Marlow - con voce malferma - è:
“Era un uomo notevole.”
La storia di Cuore di tenebra è la storia di un viaggio
circolare che passa nel tunnel di un mistero e riporta al
punto di partenza. E un viaggio nel mistero, non oltre il
mistero. Non spiega nulla: tramanda un segreto.
Ormai a poche miglia dal rifugio di Kurtz, Marlow
viene colto dal terrore di non arrivare in tempo, di non
riuscire a trovarlo ancora vivo. Ed è lì che si accorge come
a furia di aspettarlo, di immaginarlo, di mitizzarlo, quel
che ha in mente, quando pronuncia il suo nome, non è
nemmeno più una figura umana, ma qualcosa di assai
più fragile e, nello stesso tempo, carismatico: una voce.
“Fu strano scoprire che non avevo mai pensato a lui nel-
l'atto di agire, capite, ma solo in quello di conversare. Non
dissi a me stesso ‘Ora non lo vedrò mai più’, ‘Ora non gli
stringerò mai la mano’, ma ‘Ora non lo sentirò mai parla-
re’. L'uomo sì presentava come una voce.” Partito dall’al-
tro pianeta del mondo civilizzato, finito nelle viscere di
un mondo senza nomi, Marlow risale un fiume immenso
per sentire una voce parlare.
Venti pagine e una notte dopo, sentirà finalmente
quella voce. Ed è stupefacente ciò che Conrad le fa dire.
Lo fissò negli occhi, quella voce, e disse: “Molto piacere”.
In assoluto la più insignificante, banale, desolante, ridi-
cola battuta di tutte le battute possibili.
Cuore di tenebra è la storia di un’ossessione puntata sul
nulla. Il mito di Kurtz, genio divenuto animale e dio, è
poco più di una collezione di dicerie raccolte su una voce.
Questi e altri paradossi fanno di Cuore di tenebra un te-
sto enigmatico, una specie di gorgo inquietante che at-
tira dentro una spiegazione senza fine. Non si smetterà
mai di interpretarlo, e di cercare di capirlo. Probabil-
mente ciò che più da vicino conduce al suo enigma è il
senso di disagio che è inesorabilmente legato alla sua let-
tura. Non è un libro gradevole. È un libro che si lascia die-
tro una scia di sordo turbamento. Conrad, che amava le
scatole cinesi, ha fissato quel disagio - consegnandocelo
quasi come un obbligo - in una pagina marginale, una
delle rare interruzioni al monologo di Marlow, quando la
scena ritorna sul ponte della nave inchiodata sulle acque
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fino a un passo dall’usarlo, quando gli chiede di sapere le
ultime parole di Kurtz. Le ultime parole diun uomo sono
l'epigrafe di un destino, sono la chiave del codice con cui
è stata scritta la sua vita. Che orrore, che orrore. Bastava ri-
ferire quella sorta di grido per devastare tutto un mondo
di borghese salvezza. Ma Marlow non lo fa. Preferisce op-
tare per la frase che gli detta la retorica da feuilleton cara
ai tinelli dell'anima borghese. Occulta la verità e con una
menzogna poetica richiude il cerchio della vicenda di
Kurtz consegnandolo alla memoria di quel salotto come
un'ennesima tappa dell'edificante viaggio borghese nel
paese delle meraviglie. Quelmondo è salvo.
Marlow è un uomo normale che porta gli uomini
normali in viaggio nel sottosuolo delle loro verità incon-
fessabili. In partenza, il suo è un ruolo eversivo. Ma ben
presto prende il sopravvento il formidabile meccanismo
di autodifesa della buona coscienza borghese. Marlow di-
venta l'incarnazione vivente del desiderio di tornare da
quel viaggio immutati. Marlow, da quel viaggio, si di-
fende. Più registra ciò che vede, più l'’ammortizza. E
quando ciò che incontra si fa così rovente da non poter
essere sopportato, sceglie la censura. Uno dei tratti più
assurdi di Cuore di tenebra è che quando finalmente Kurtz
e Marlow sì incrociano e parlano, Marlow non riferisce
ciò che si dicono ma, in una mezza paginetta irritante-
mente vaga, abbozza il ricordo di un dialogo memorabile,
senza riuscire a dire una sola cosa che ce ne faccia intuire
la straordinarietà. Censura bell'e buona. Tasselli di espe-
rienza rimossi.
Kurtz è l'uomo che sceglie di entrare nel cuore della
tenebra e non ne esce mai più. Marlow è l’uomo che
si ferma sulla soglia della tenebra, e si salva: “Sarebbe
stato troppo buio...” dice, per giustificarsi di aver se-
polto per sempre le ultime parole di Kurtz. Sarebbe stato
troppo buio. Cuore di tenebra è un libro inquietante - in
definitiva sgradevole - perché racconta il movimento a
pendolo con cui la coscienza dell'uomo normale viene
attirata dall’orrore della verità e poi se ne allontana per
non essere in grado di tollerarla. Un incrocio di libidinosa
attrazione per l'oscuro e di borghese incapacità di vi-
verlo. Una doppia personalità che non è particolarmente
gradevole sentirsi ricordare. Per questo, nella nebbia del
Tamigi, mentre Marlow racconta, non è una bella storia
di avventura quella che sentiamo, ma una storia ipnotiz-
zante, che non vorremmo sentire, e che non riusciamo a
non sentire.
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Se rimaniamo a sentirla, è certo anche per il modo con
cui quell'uomo la sta raccontando. Che è un modo ano-
malo, per così dire irregolare. È il modo in cui Conrad scri-
veva: niente gli rende meno giustizia che elevarlo, sem-
plicemente, a grande prosa, definendo i suoi libri, tout
court, capolavori letterari. In senso stretto, non lo erano.
Comeogni buon lettore può constatare Cuore di tenebra
è un libro imperfetto. È tutto tranne che un oliato mecca-
nismo a orologeria. In un'ottica di stretta funzionalità
narrativa tradisce innumerevoli incrinature. Le più evi-
denti sono cucite nella drammaturgia del racconto.
Come spesso accade in Conrad, gli equilibri interni al rac-
conto sembrano casuali, difficilmente riportabili a un’ar-
chitettura rigorosa e consapevole. Episodi marginali si
tramutano in racconti alluvionali che per pagine e pa-
gine impongono un passo, alla narrazione, che viene
puntualmente confutato da episodi cruciali bruciati in
poche righe. Non di rado viene costruita meticolosa-
mente un'attesa di eventi che poi, nell’attimo del loro ac-
cadere, vengono svenduti come accidenti trascurabili:
come costruire enormi e sontuose scalinate che condu-
cono poi in uno sgabuzzino. Riparare la sua nave e poter
partire è, per Marlow, uno strisciante dramma che as-
sume l’esasperante andatura di un'avventura kafkiana:
chi provi a cercare la soluzione di questa logorante attesa,
nel testo di Conrad non la troverà. Troverà, di punto in
bianco, Marlow alla guida del suo battello, come se fosse
la cosa più naturale del mondo. In mezzo, il nulla. La
stessa apparizione di Kurtz è per così dire svenduta in po-
che righe che, considerata la spasmodica attesa e il mito
cresciuto intorno alla sua figura, suonano a beffa vera e
propria. Attribuire a simili passaggi a vuoto un preciso si-
gnificato, vendendoli come consapevoli alterazioni al lo-
gico andamento del racconto è cosa che in molti hanno
fatto ma che lascia perplessi. Sembrerebbe più corretto,
in realtà, accettarli come imperfezioni e basta: segni di-
stintivi di un modo di raccontare sostanzialmente scoor-
dinato e volontariamente poco controllato. La scrittura
stessa di Conrad, d'altronde, sembra assolutamente coe-
rente a una simile predisposizione per l'imperfezione.
Conrad scriveva in modo diseguale, alternando una secca
limpidezza a frasi rigogliose come le foreste che raccon-
tava. Il ritmo interno ai periodi è spesso sconnesso, e non
sembra proprio inseguire le auree cadenze di una “bella
prosa”. L'aggettivazione risulta sovente eccessiva, e non
di rado accade di registrare una sostanziale sproporzione
fra l'oggetto pronunciato ela descrizione che ne è data: la
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meraviglia di fronte all'oggetto rimane nelle intenzioni
(negli aggettivi) ma non viene scaricata realmente sul
racconto. Al lettore resta un presagio di meraviglia: ma il
possesso del meraviglioso gli è alla fine negato.
Prendere atto di simili imperfezioni non è un modo
di svalutare l’opera di Conrad: è un modo di collocarla
nell’universo che è il suo. Conrad non scriveva, semplice-
mente, male. Quel che Conrad scriveva dimora un passo
prima della letteratura: e un passo appena oltre al sem-
plice, rudimentale, primitivo narrare. Le sue sono opere
di confine. La loro imperfezione si tramuta in forza se si
riconosce in essa il crepitare di un rito originario e mille
volte più carismatico della letteratura: la narrazione.
Prima di essere opere scritte, i suoi libri sono registrazioni
di una narrazione orale: recano su di sé le ruvidezze e gli
squilibri di una forma di racconto primitiva, originaria.
Non è ovviamente un caso se più volte Conrad ricorse
al logoro trucco di far raccontare le sue storie da un
narratore. Come in altri testi, in Cuore di tenebra quella
funzione è assolta da Marlow: di fatto tutto il libro risulta
essere un testo tra virgolette, la gigantesca registrazione
di una voce che parla nella nebbia. Lì affiora sulla superfi-
cie dell'evidenza un tratto che dimora in realtà nel cuore
nascosto di tutta la narrativa conradiana: rimanere le-
gata al racconto orale, usando la scrittura come semplice
mezzo tecnico e non come fine espressivo. Come per ri-
manere fedele fino all'ultimo a un simile assunto, Conrad
usò per i suoi libri una lingua che non era la sua (il po-
lacco)e nemmeno quella in cui era cresciuto (il francese).
Nelle sue mani l'inglese diventa un sistema di segni utile
a tradurre nel modo più neutrale la rovente emozione di
una voce che narra. Era come un mettersi al sicuro dal
rischio di sovrapporre a quella voce il valore letterario di
un linguaggio.
La forza della scrittura conradiana è in questa sua na-
tura primitiva: non ancora confezionata coi paludamenti
della lingua letteraria, la narrazione torna a colpire con
la violenza di un messaggio straordinariamente diretto
e violento. Le rimane addosso una patina di mistero,
costantemente corroborata dalle continue imperfezioni,
che è tutt'uno con il mistero inestricabile delle storie che
essa racconta. Non c'è quasi storia raccontata da Conrad
che non lasci margini di indecifrabilità: tratto distintivo
della narrazione originaria che sempre veicolava enigmi
infiniti, e mai sì chiudeva nel cerchio luttuoso di una
spiegazione completa.
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