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CONSO-GREVI-BARGIS - Compendio di procedura penale, Sintesi del corso di Diritto Processuale Civile

Diritto penale comparatoDiritto processuale penaleProcedura penaleDiritto amministrativo penale

CONSO-GREVI-BARGIS Compendio di procedura penale, 2017 » Pagine/Capitoli: ad esclusione dei capitoli VI, VIII, X (parr. 6-10), XI, XII, XIII, XIV

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 25/12/2020

annaclerman
annaclerman 🇮🇹

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Scarica CONSO-GREVI-BARGIS - Compendio di procedura penale e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! Procedura Penale – Riassunti Conso, Grevi Capitolo 1 – Soggetti La giurisdizione penale L'articolo 1 c.p.p. è in piena sintonia con l'articolo 102 comma 1° della Costituzione il quale attribuisce la funzioni giurisdizionali a magistrati istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario. Solo i giudici e non qualsiasi magistrato (quindi, non il pubblico ministero) può essere titolare di funzioni giurisdizionali penali. Ai sensi dell’art. 178 c.p.p. è sempre richiesta l’osservanza delle disposizioni riguardanti le condizioni di capacità del giudice e il numero di giudici necessario per costituire i collegi a pena di nullità assoluta. A sua volta il comma 1 dell’art. 33 stabilisce che le condizioni di capacità del giudice e il numero dei giudici necessario per costituire i collegi sono stabiliti dalle leggi di ordinamento giudiziario. I commi successivi non considerano attinenti alla capacità del giudice le disposizioni sulla sua destinazione agli uffici, sulla formazione dei collegi e sull’assegnazione dei processi a sezioni, collegi e giudici. Sono riconducibili al concesso di capacità le disposizioni sulla destinazione del giudice all’ufficio (trasferimento o assegnazione di nuove funzioni giudicanti). Ai sensi del terzo comma non si considerano attinenti alla capacità del giudice le disposizioni sull’attribuzione degli affari penali al tribunale collegiale o monocratico. Profili ordinamentali L’utilizzo del termine giudice include alcune sottocategorie. Innanzi tutto, vengono distinti i giudici straordinari (istituiti successivamente al fatto da giudicare), giudici speciali (figure estranee alla legge di ordinamento giudiziario) e giudici ordinari contrapponibili ai giudici speciali in quanto traggono la loro legittimazione dall’ordinamento giudiziario. La costituzione vieta di istituire straordinari o speciali, mentre ammette l’istituzione di giudici specializzati (es. tribunale per i minori). Restano esclusi dal divieto solo due giudici speciali: i tribunali militari e la Corte Costituzionale chiamata a giudicare dinnanzi alle accuse mosse contro il Presidente della Repubblica. All’interno della categoria dei giudici ordinari sono ricompresi: a) Giudice di pace: giudice onorario e monocratico al quale è attribuita la competenza per quei reati che sono considerati di minore gravità. Il procedimento dinnanzi al giudice di pace è regolato dal d.lgs. 274 del 2000. b) Giudice per le indagini preliminari: monocratico c) Giudice dell’udienza preliminare: monocratico. Deve essere diverso dal giudice per le indagini preliminari al fine di garantire indipendenza terzietà. È fissata inoltre anche la temporaneità delle funzioni per la quale si esclude che le stesse possano essere esercitate per un periodo superiore a 10 anni termine può essere prorogato se alla scadenza del termine vi siano in corso il compimento di un atto oppure solo per “imprescindibili e prevalenti esigenze di servizio”. d) Tribunale ordinario: a seconda della gravità tale organo giudica in composizione monocratica oppure in composizione collegiale (3 componenti) e) Corte d’Assise: giudice collegiale composto da 8 componenti (2 togati e 6 laici (giudici popolari)) f) Corte d’Appello: giudice collegiale composto da 3 magistrati g) Corte d’Assise d’appello: giudice collegiale la cui composizione è mista, ai 2 magistrati togati e 6 popolari h) Magistrato di sorveglianza: monocratico i) Tribunale di sorveglianza: giudice collegiale composto da 4 magistrati, 2 togati e 2 laici Al vertice si colloca la Corte di Cassazione alla quale viene riservato l’appellativo di giudice di legittimità. Divisa in 7 sezioni ciascuna delle quali giudica con 5 componenti che diventano 9 nove quando tale organo è chiamato a pronunciarsi a sezioni unite. Questioni pregiudiziali e sospensione del processo 1 La giurisdizione penale è una giurisdizione autosufficiente. L’articolo 2 comma 1° stabilisce il dovere del giudice penale di risolvere ogni questione che si ponga come antecedente logico-giuridico della decisione di cui è investito: ad esempio nella ricettazione, il giudice non può decidere se prima non accerta la provenienza delittuosa del denaro o della cosa. La decisione del giudice penale che risolve incidentalmente una questione di qualsiasi natura (civile, penale ecc.) non ha efficacia vincolante in nessun altro processo. Il primo comma dell’articolo 2 risponde all’esigenza di accelerare i tempi necessari per pervenire alla decisione definitiva escludendo un’interruzione del processo. Nella parte finale del comma 1 è, tuttavia, contenuta una clausola di salvezza (salvo che non sia diversamente stabilito), facendoci intendere come siano previste delle eccezioni alla suddetta regola. Oltre alla sospensione del processo penale per devoluzione di una questione di legittimità alla Corte Costituzionale e dalla pregiudiziale c.d. comunitaria, che implica un’investitura della Corte di Giustizia dell’Ue, le deroghe all’art. 2 c.p.p. vanno distinte in due categorie: da un lato si pongono quelle disposizioni che nel caso di controversia sulla proprietà delle cose sequestrate o confiscate devolvono la risoluzione al giudice civile; dall’altro lato quelle disposizioni che occupandosi specificatamente delle questioni da cui dipende la decisione definitiva, disciplinano i presupposti e il modo dell’eventuale sospensione. Tutto ciò vale particolarmente per le questioni pregiudiziali relative allo stato di famiglia o di cittadinanza: in questi casi il giudice può sospendere il processo quando ricorrono 3 condizioni: 1. la sussistenza di un rapporto di pregiudizialità tra la risoluzione della controversia sullo stato di famiglia e la decisione sul giudizio penale; 2. la serietà della questione, ossia la sua non manifesta infondatezza; 3. infine, occorre che sia già stata proposta l’azione a norma delle leggi civili (tale aggettivo, in tale contesto, va interpretato come indicante genericamente l’area non penale). Se manca una di queste condizioni il giudice deve procedere in via incidentale senza sospendere il processo. Nel caso di sospensione il giudice pronuncia un’ordinanza impugnabile in cassazione (sono legittimate tutte le parti presenti nel processo). Finché dura la sospensione è ammesso il compimento di soli atti urgenti. Alla sentenza intervenuta in sede extra-penale viene riconosciuta efficacia in giudicato. Oltre all’articolo 3, la seconda ipotesi di sospensione del processo penale è quella prevista dall’art. 479 c.p.p. nel quale la controversia verte su una qualsiasi altra questione di competenza del giudice civile o amministrativo. La sospensione in questo caso è disposta nel corso del dibattimento. In questo caso i requisiti pregiudiziali sono: 1. la risoluzione della controversia deve condizionare la decisione sull’esistenza del reato 2. l’attributo della serietà non è sufficiente, la controversia deve risultare di particolare complessità 3. deve essere già in corso il relativo procedimento presso il giudice civile o amministrativo. La legge civile ed amministrativa non deve inoltre porre limitazioni alla prova della situazione soggettiva. Anche in questo caso, la sospensione del dibattimento è disposta con ordinanza impugnabile in cassazione da tutte le parti. È espressamente escluso che l’impugnazione abbia effetto sospensivo. Il giudice può revocare, anche d0ufficio, l’ordinanza di sospensione quando il giudizio civile o amministrativo non sia concluso entro 1 anno; la sentenza extra-penale non ha efficacia vincolante, entrando solo a far parte del materiale probatorio destinato a costituire la base per la formazione del libero convincimento del giudice (due differenze con articolo 3). Questo perché la 2 2) Fase del giudizio: nella quale sono competenti il tribunale, la corte d’assise, le corti di appello, la corte di cassazione 3) Fase di esecuzione: sono competenti il Giudice di esecuzione che decide sulle questioni che sorgono relativamente all’esecuzione di un provvedimento giurisdizionale; il magistrato di sorveglianza come organo di primo grado e il tribunale di sorveglianza come organo sia di secondo che di primo grado (per le materie in cui ha cognizione esclusiva), i quali vigilano sull’esecuzione delle pene detentive e provvedono sulle misure di sicurezza nel periodo esecutivo. Le attribuzioni del tribunale A seguito della soppressione della figura del pretore, è stata data la possibilità per il Tribunale sia di funzionare nella sua tradizione collegialità, sia nella composizione monocratica. In precedenza era più utilizzato il criterio quantitativo, si attribuiva al tribunale in composizione monocratica la competenza per i delitti puniti con pena uguale o inferiore nel massimo a 20 anni. Più tardi si è apportata una correzione al criterio quantitativo che consente di devolvere al tribunale collegiale i delitti puniti con la reclusione superiore nel massimo a 10 anni anche per il tentativo. Il criterio quantitativo va coordinato con il criterio qualitativo che implica deroghe: risultano sottratti al tribunale collegiale delitti puniti con la reclusione superiore a 10 anni ma gli vengono allo stesso tempo attribuiti reati che in base a questo criterio quantitativo dovrebbero essere giudicati dal tribunale monocratico. Sono attribuiti al tribunale in composizione monocratica i delitti in materia di stupefacenti eccetto nel caso in cui vengono rilevate delle aggravanti (allora è competente il tribunale collegiale), ed inoltre giudica su tutti i reati non attribuiti al tribunale collegiale ad esempio i reati di guida in stato di ebbrezza. Vengono invece attribuiti al tribunale in composizione collegiale i reati consumati o tentati elencati all’art. 33bis c.p.p. (delitti commessi con finalità di terrorismo, delitti pubblici ufficiali contro la PA, associazione di tipo mafioso, disastro ferroviario etc.). Il legislatore ha assunto quali parametri di riferimento il particolare allarme sociale ingenerato dal reato e le rilevanti difficoltà di accertamento che si è chiamati a svolgere in giudizio. La disciplina della riunione e della separazione dei processi La riunione e la separazione die processi sono istituti che operano a differenza della connessione a partire dal momento in cui il procedimento si è evoluto in processo. La riunione dei processi è un procedimento attraverso il quale il giudice provvede a trattare unitariamente più processi appartenenti per competenza allo stesso ufficio giudiziario. Perché avvenga debbono sussistere alcuni presupposti dettati dall’art. 17 c.p.p.: 1) Pendenza davanti allo stesso giudice 2) I processi debbono trovarsi nello stesso grado e stato 3) La riunione non determina un ritardo nella definizione dei processi 4) La sussistenza di uno dei casi previsti dalla legge indicati nell’art. 17 Secondo la normativa vigente la riunione può essere disposta quando i processi pendenti sono connessi ai sensi dell’art. 12 e quando sono relativi ai reati dei quali alcuni sono stati commessi in occasione di altri, o commessi da più persone in danno reciproco le una dalle altre. Se alcuni dei processi da riunire pendono dinnanzi alle due diverse composizioni di uno stesso tribunale, viene disposto l’accorpamento in capo al tribunale in composizione collegiale che si pronuncerà su tutte le cause anche nell’eventualità in cui esse siano oggetto di un successivo provvedimento di separazione. 5 La separazione dei processi è prevista per una serie di ipotesi accomunate dal fatto che per alcuni imputati o imputazioni si versa in una situazione di attesa, mentre per altri è possibile l’immediata trattazione. Si deve procedere alla separazione anche quando viene disposta la sospensione del procedimento o quando in seguito all’incolpevole assenza in udienza preliminare o in dibattimento di un imputato o del suo difensore, bisogna rinnovare a favore dell’uno o dell’altro la citazione o l’avviso. Un’ultima ipotesi di separazione è stata introdotta nei casi in cui il processo abbia come protagonisti uno o più imputanti chiamati a rispondere di reati di estrema gravità, e sempre che gli stessi siano prossimi ad essere rimessi in libertà per scadenza dei termini massimi di custodia cautelare. La separazione può essere disposta anche in base ad un accordo tra le parti, purchè il giudice la reputi utile dal punto di vista della speditezza. La separazione è esclusa quando il giudice ritiene che la riunione sia assolutamente necessaria per l’accertamento dei fatti. Riunione e separazione sono sempre disposte con ordinanza. Procedimenti di verifica della giurisdizione e della competenza Il difetto di giurisdizione ricorre quando la cognizione sul procedimento spetta ad un giudice appartenente ad un diverso ordine giudiziario (es. reato militare giudicato dal giudice penale ordinario. Ai sensi dell’art. 20 può essere rilevato anche d’ufficio in qualsiasi momento del procedimento. Se viene rilevato nel corso delle indagini preliminari il giudice provvede con ordinanza e dispone la restituzione degli atti al pubblico ministero. Se rilevato dopo la chiusura delle indagini preliminari e in ogni stato del processo, il giudice pronuncia invece sentenza e ordina che gli atti vengano trasmessi all’autorità competente. Per quanto riguarda l’incompetenza, bisogna distinguere incompetenza per materia da un lato (più grave) e incompetenza per territorio e connessione dall’altro. L’incompetenza per materia può essere rilevata anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo (solo dopo che sia stata esercitata l’azione penale). L’incompetenza per territorio o connessione invece deve essere rilevata o eccepita a pena di decadenza, prima della conclusione dell’udienza preliminare o subito dopo il primo accertamento di costituzione delle parti (Art. 491) Vi sono due deroghe all’ordinario regime dell’incompetenza per materia: a) La prima ricorre quando il giudice conosce di un reato che appartiene alla cognizione di un giudice inferiore (incompetenza per eccesso); in questo caso l’incompetenza deve essere rilevata d’ufficio o eccepita entro il termine stabilito dall’art. 491. b) La seconda concerne l’ipotesi di incompetenza per materia derivante da connessione, che deve essere rilevata o eccepita, a pena di decadenza, entro gli stessi termini stabiliti per l’incompetenza per territorio. Gli artt. 22-25 definiscono la forma e gli effetti del provvedimento con cui viene dichiarata l’incompetenza: a) Nel corso delle indagini preliminari il giudice pronuncia un’ordinanza con la quale dispone la restituzione degli atti al PM b) Dopo la chiusura delle indagini preliminari e in sede di dibattimento di primo grado, il giudice dichiara con sentenza la propria incompetenza e ordina la trasmissione degli atti c) In grado di appello ad esempio il giudice rileva che su un reato di competenza della corte d’assise ha giudicato il tribunale, pronuncia sentenza di annullamento e ordina la trasmissione degli atti al PM presso il giudice di primo grado. 6 d) Nel giudizio innanzi alla corte di cassazione, quest’ultima è tenuta a dichiarare, anche d’ufficio, l’incompetenza per materia derivante dall’avere un tribunale giudicato un reato di competenza della corte d’assise. Può essere eventualmente dichiarata anche l’incompetenza per territorio o per connessione, purché la relativa eccezione sia stata riproposta nei motivi del ricorso per cassazione. La decisione della corte di cassazione sulla giurisdizione o sulla competenza è vincolante nel corso del processo: può essere superata nella sola ipotesi in cui risultino nuovi fatti che modificano la giurisdizione o la competenza. L’art. 26 stabilisce che il mancato rispetto delle norme sulla competenza non determina l’inefficacia delle prove acquisite, con la sola eccezione delle dichiarazioni rese dal giudice incompetente per materia che potranno essere utilizzate solo in sede di udienza preliminare. L’art. 27 prevede invece che le misure cautelari disposte dal giudice incompetente cessano di avere efficacia se entro 20 giorni dall’ordinanza di trasmissione degli atti al giudice competente non siano da quest’ultimo confermate. Gli artt. 28-32 si occupano invece dei conflitti tra giudici. Il conflitto è la situazione che si determina quando in qualsiasi stato o grado del processo prendono cognizione o si rifiutano del medesimo fatto. Si può avere conflitto di giurisdizione che opera quando vi è contrasto tra giudice ordinario e giudice speciale, oppure conflitto di competenza quando sono coinvolti più giudici ordinari. Dinnanzi all’impossibilità di stabilire preventivamente un elenco esaustivo delle varie ipotesi di conflitto, il legislatore ha fatto ricorso alla categoria dei conflitti “analoghi”. Il procedimento di conflitto nasce in seguito ad una denuncia di parte, privata o pubblica, o ad una rilevazione d’ufficio del giudice. Esso non comporta la sospensione del processo in corso ed è risolto dalla corte di cassazione con sentenza ipn camera di consiglio. Quindi il conflitto cessa: a) Per effetto dell’iniziativa di uno dei giudici che dichiari la propria competenza (conflitto negativo dove tutti rifiutavano) o la propria incompetenza (conflitto positivo dove tutti volevano giudicare) b) Oppure bisogna attendere la sentenza vincolate della corte di cassazione Il controllo sul corretto riparto di attribuzioni fra tribunale monocratico e tribunale collegiale L’inosservanza delle disposizioni concernenti l’attribuzione di un reato ad una determinata composizione del tribunale deve essere rilevata o eccepita, a pena di decadenza, prima della conclusione dell’udienza preliminare o nei processi in cui si prescinde da tale udienza, entro il termine previsto dall’art. 491 comma 1. La relativa regolamentazione ricalca quella sull’incompetenza per territorio e per connessione. La diversificazione riguarda la forma del provvedimento giudiziale con cui viene dichiarata l’erronea attribuzione del reato. In sede di udienza preliminare, bisogna prendere in considerazione l’ipotesi in cui il giudice ritenga che si debba prescindere dall’udienza in questione, in quanto il reato rientra tra quelli rispetto ai quali è prevista la citazione diretta a giudizio da parte del PM, affinché questi provveda ad emettere il decreto di citazione a giudizio. Se invece l’inosservanza delle regole sull’attribuzione del reato viene rilevata nel dibattimento di primo grado, il giudice procede diversamente a seconda che il dibattimento sia stata instaurato in seguito ad udienza preliminare oppure a decreto di citazione diretta a giudizio: a) nel primo caso è sufficiente trasmettere gli atti, con ordinanza, al giudice competente b) nel secondo, essendo stato l’imputato indebitamente privato dell’udienza preliminare, occorre una regressione del processo; deve essere quindi disposta, 7 dell’art. 47, è lo stesso giudice procedente che può disporre con ordinanza la sospensione del processo fino a che non sia intervenuta l’ordinanza di inammissibilità o di rigetto. Allo stesso modo, dopo essere stata investita della richiesta, la corte di cassazione può disporre la sospensione. Il giudice invece è obbligato a sospendere quando ha avuto notizia dalla Cassazione che la richiesta di rimessione è stata assegnata alle sezioni unite o a sezione diversa dall’apposita sezione designata dal codice (art. 47). Viene esclusa la sospensione invece quando la richiesta non è fondata su elementi nuovi rispetto a quelli di una precedente richiesta rigettata o dichiarata inammissibile. Finché dura la sospensione restano sospesi i termini di prescrizione del reato e se la richiesta proviene dall’imputato anche dei termini di durata massima della custodia cautelare. Se interviene la sospensione sono consentiti solo gli atti urgenti. La decisione della cassazione assume la forma dell’ordinanza: di rigetto, di accoglimento o di inammissibilità. La stessa conterrà l’indicazione del nuovo giudice il quale riceverà dal giudice originario gli atti del processo. Il giudice designato procederà alla rinnovazione degli atti quando una delle parti ne faccia richiesta, con due sole eccezioni: ipotesi che si tratti di atti di cui è divenuta impossibile la ripetizione e dall’altro l’eventualità che si versi ina delle due situazioni rispettivamente contemplate dal codice. È possibile ripresentare domanda di rimessione quando si ripresentino situazioni riconducibili ai presupposti necessari o anche quando la prima domanda sia stata negata. La nuova richiesta dovrà essere fondata su elementi nuovi. La posizione di parte del PM e la sua funzione tipica Il PM, pur rivestendo la qualità di parte nel processo, costituisce anche un organo dell’apparato statale che ha il compito di vegliare sull’osservanza delle leggi e sulla pronta e regolare amministrazione della giustizia, e quella di iniziare l’azione penale. L’art. 50 comma 1 conferisce al PM la titolarità dell’azione penale ed enuncia il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, il quale unico limite è rappresentato dalla richiesta di archiviazione. Il comma 2 ribadisce poi il tradizionale principio dell’officialità dell’azione penale, circoscrivendo l’efficacia delle condizioni di procedibilità alle figure richiamate (querela, richiesta, istanza e autorizzazione a procedere). Tale elenco non è esaustivo, sono ritenute condizioni di procedibilità anche la presenza del reo nel territorio dello Stato per i delitti comuni dei cittadini e dello straniero commessi all’estero o in assenza di una sentenza o di un decreto penale irrevocabili pronunciati nei confronti della medesima persona per il medesimo fatto. Il comma 3 esprime il principio dell’irretrattabilità dell’azione penale, la quale quindi, una volta esercitata, comporta l’insorgere di un dovere decisorio in capo al giudice. L’organizzazione e la distribuzione del lavoro tra gli uffici: loro rapporti. In materia di distribuzione del lavoro, l’art. 51 (fatta salva la comunicazione durante le indagini preliminari) prevede che: Le funzioni di Pm sono esercitate: a)nelle indagini preliminari e nei procedimenti di primo grado, dai magistrati della procura della Repubblica presso il tribunale; b)nei giudizi di impugnazione dai magistrati della procura generale presso la corte di appello o presso la corte di cassazione. A) Per quanto riguarda la procura della Repubblica presso il Tribunale, il capo dell’ufficio (procuratore della Repubblica) coordina l’ufficio di collaborazione del procuratore della Repubblica distribuendo il lavoro tra i vice procuratori, vigilando sulla loro attività e sorvegliando l’andamento dei servizi di segreteria ed ausiliari. 10 Il PM quindi può delegare il proprio lavoro ai viceprocuratori, questa delega però (per la procura della Repubblica) assume caratteri diversi a seconda di dove si svolgono i procedimenti ossia se davanti al Giudice di Pace o dinnanzi al tribunale in composizione monocratica. Dinnanzi al giudice di pace le funzioni del pubblico ministero possono essere svolte, per delega del procuratore della Repubblica, dal vice procuratore onorario (art. 17 d.lgs. 116/2017). Nei procedimenti nei quali il tribunale giudica in composizione monocratica ai viceprocuratori onorari sono delegabili molteplici funzioni tra cui le funzioni di pm nell’udienza dibattimentale, in quella di convalida dell’arresto, per la richiesta del decreto penale di condanna e così via (come disposto sempre dall’ art. 17 d.lgs. 116/2017). Il viceprocuratore è comunque legittimato a chiedere che le attività e i provvedimenti delegati siano svolti dal magistrato professionale titolare se a suo avviso “non ricorrono nel caso concreto le condizioni di fatto per provvedere in loro conformità”. Anche i viceprocuratori onorari debbono partecipare a riunioni trimestrali nelle quali si confronteranno sulle questioni giuridiche più rilevanti, e a corsi di formazione. B) Ad esercitare le funzioni del PM nei giudizi di impugnazione sono invece esercitate dai magistrati della procura generale presso o la corte di appello o la corte di cassazione. Il procuratore generale presso la corte di appello risulta privo del potere di svolgere indagini preliminari. La recente riforma del 2017 ha investito lo stesso procuratore generale del generico potere di curare l’osservanza delle disposizioni relative alla iscrizione delle notizie di reato. Nel corso delle indagini preliminari, si apre una serie di canali informativi tra le procure della Repubblica e le relative procure generali. A seguito della riforma del 2017 le funzioni del procuratore generale sono state potenziate. Egli può prorogare (ai sensi dell’art. 407 c.3bis) il termine di 3 mesi entro il quale il pm è tenuto ad esercitare l’azione penale o a richiederne l’applicazione. L’unico strumento però attraverso il quale il procuratore generale subentra, nella titolarità delle indagini preliminari al Procuratore della Repubblica è l’avocazione la quale scatta in maniera automatica: a) Nel caso d’impossibilità di provvedere alla tempestiva sostituzione del magistrato designato a seguito di astensione o di incompatibilità b) Nel caso di omessa tempestiva sostituzione del magistrato da parte del capo dell’ufficio, quando ricorrono alcune tra le fattispecie che avrebbero imposto al giudice di astenersi e consentito alle parti di ricusarlo c) Nel caso di omessa presentazione, nei termini prefissati, della richiesta di archiviazione o di omesso esercizio dell’azione penale. Una particolare ipotesi è quella del procuratore generale presso la corte d’appello che, assunte le necessarie informazioni, dispone con decreto motivato, l’avocazione delle indagini preliminari per una serie di delitti di criminalità organizzata quando, trattandosi di indagini collegate, non risulti effettivo il coordinamento tra i diversi uffici e non abbiano dato esito le riunioni disposte o promosse dal procuratore generale. In aggiunta al vincolo del decreto motivato, si prevede che copia del provvedimento con cui il procuratore generale dispone l’avocazione delle indagini preliminari è sempre trasmessa al CSM e ai procuratori della Repubblica interessati. Ciò consente a questi ultimi di proporre reclamo al procuratore generale presso la Corte di Cassazione il quale, se accoglie il reclamo, revoca il decreto di avocazione e dispone la restituzione degli atti. Gli effetti dell’avocazione perdurano durante l’intero processo di primo grado. 11 Gli artt. 54 e 54bis c.p.p. disciplinano i contrasti negativi e positivi tra diversi uffici del PM. Se il PM ritiene che la competenza a conoscere il reato spetti ad un giudice diverso da quello presso cui esercita le sue funzioni, trasmette tempestivamente gli atti all’ufficio del PM presso il giudice competente. L’ufficio che ha ricevuto gli atti, ove dissenta, demanda la risoluzione del contrasto negativo al procuratore generale presso la corte d’appello o a quello presso la corte di cassazione, qualora appartenga ad un diverso distretto, trasmettendogli tutti gli atti del procedimento. Gli atti compiuti prima della trasmissione o della designazione conservano l’efficacia che è loro propria. Regole in parte analoghe valgono nel caso di contrasto positivo. Quando il PM procedente riceve notizia che presso un altro ufficio sono in corso indagini preliminari ne informa il PM presso quest’ufficio, richiedendogli la trasmissione degli atti. A sua volta, il PM che ha ricevuto la richiesta ove non ritiene di aderirvi, ne informa il procuratore generale presso la corte d’appello o quello presso la corte di cassazione. Assunte le necessarie informazioni, il procuratore generale determina con decreto motivato quale ufficio debba procedere. Quando invece due giudici per le indagini preliminari siano investiti contemporaneamente di una richiesta relativa allo stesso fatto, si verifica un conflitto positivo di competenza che sarà risolto dalla corte di cassazione. È previsto poi un controllo sulla legittimazione del PM a svolgere le indagini preliminari con riguardo alla competenza per territorio e per connessione, proponibile dalla persona sottoposta alle indagini, dalla persona offesa, e dai rispettivi difensori. La richiesta di trasmettere gli atti al giudice competente è depositata presso la segreteria del PM procedente a pena di inammissibilità corredata delle ragioni poste a sostegno dell’indicazione del diverso ritenuto competente. Il PM entro 10 giorni deve o accogliere o rigettarla. In quest’ultimo caso il richiedente può ancora investire della questione, nei successivi 10 giorni, il procuratore generale presso la corte d’appello o presso la corte di cassazione. Nel termine di 20 giorni dal deposito della richiesta il procuratore generale provvede con decreto motivato dandone comunicazione al richiedente e agli uffici interessati. La richiesta non può essere riproposta salvo che si fondi su fatti nuovi e diversi. L’astensione Ai sensi dell’articolo 52 c.p.p. il pm ha la facoltà di astenersi quando esistono gravi ragioni di convenienza presupponendo una dichiarazione motivata. La sostituzione è effettuata con un magistrato appartenente al medesimo ufficio. L’istituto dell’astensione è volto a garantire l’obiettività della funzione svolta dal pm anche se, la qualità di parte ricoperta dallo stesso nel processo rende costui un soggetto mai ricusabile dalla controparte – imputato in quanto questi non può scegliersi il proprio accusatore. I rapporti all’interno dell’ufficio Ciascun ufficio del pm si compone del titolare (procuratore generale presso la cassazione o la corte d’appello o procuratore della repubblica nei Tribunali) e di uno o più magistrati addetti all’ufficio (sostituti procuratori). Alle procure delle sezioni distaccate delle corti di appello sono preposti avvocati generali. I titolari dirigono l’ufficio e ne organizzano l’attività esercitando poi essi stessi le funzioni di pm a meno che non abbiamo già designato uno o più magistrati dell’ufficio a svolgere questa funzione. Il titolare può anche procedere ad una designazione congiunta in considerazione del numero degli imputati o dalla complessità delle indagini o del dibattimento. Ci si chiede quali rapporti vi siano tra il titolare dell’ufficio e i magistrati. Al Pm è riconosciuta la piena autonomia ai sensi 12 l’ordinamento dell’amministrazione della pubblica sicurezza riconosce a qualità di ufficiali di polizia giudiziaria oltre che ufficiali, superiori ed inferiori dei carabinieri, guardia di finanza, polizia penitenziaria. Tra gli agenti che svolgono funzioni di polizia giudiziaria in via generale vanno annoverati: il personale della polizia di stato, carabinieri e guardia di finanza. In una situazione particolare si trovano coloro che fanno parte della Dia il cui relativo personale è attinto in primis dai ruoli della polizia di stato, carabinieri e guardi di finanza. Oltre che funzioni di investigazione preventiva attinente alla criminalità organizzata, ha anche il compito di effettuare indagini di polizia giudiziaria relative esclusivamente a delitti di associazione di tipo mafioso o comunque ricollegabili all’associazione stessa. Organizzazione della polizia giudiziaria e la sua dipendenza funzionale dall’autorità giudiziaria L’art. 56 afferma che le funzioni della polizia giudiziaria, dipendenti e sotto la direzione dell’autorità giudiziaria, sono svolte: - Dai servizi di polizia giudiziaria previsti dalla legge la quale prevede l’istituzione e l’organizzazione di unità dal parte del dipartimento di pubblica sicurezza. Ad esempio i Ros o Ris - Dalle sezioni di polizia giudiziaria istituite presso ogni procura della repubblica al fine di garantire uno stretto rapporto con l’organo che dirige, per regola, le indagini preliminari. Sono composte con personale dei servizi di polizia giudiziaria così da creare un efficiente rapporto collaborativo ossia da ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria. Il personale delle sezioni non deve essere inferiore al doppio dei magistrati della procura della Repubblica - Dagli ufficiali e dagli agenti di polizia giudiziaria appartenenti agli altri organi cui la legge fa obbligo di compiere indagini a seguito di una notizia di reato. I profili organizzativi sono demandati agli enti di appartenenza. Ogni procura della repubblica dispone della relativa sezione di polizia giudiziaria. Queste dipendono quindi direttamente dai magistrati che dirigono gli uffici. Per i giudici invece le attività di polizia giudiziaria sono svolte dalle sezioni istituite presso le corrispondenti procure della Repubblica. Qui la disponibilità non è immediata. Una disponibilità ancora meno intensa è attribuita a qualsiasi autorità giudiziaria nei confronti delle sezioni, dei servizi e dei restanti organi di polizia giudiziaria. Rapporti di subordinazione Le sezioni di polizia giudiziaria dipendono dai magistrati che dirigono gli uffici presso cui sono istituite, quindi sono in un rapporto di subordinazione nei confronti del procuratore della repubblica. Gli ufficiali e gli agenti di polizia sono tenuti a eseguire i compiti a essi affidati inerenti alle funzioni di cui all’art. 55. L’ufficiale preposto ai servizi è responsabile verso il procuratore della Repubblica presso il tribunale. Il rapporto di subordinazione è rafforzato dall’obbligo in capo alle singole amministrazioni, di ottenere il consenso del procuratore della Repubblica o del procuratore generale per allontanare dalla sede o assegnare ad altri uffici i dirigenti dei servizi o di promuoverli. L’imputato e la persona sottoposta alle indagini La persona assume la qualità di imputato a seguito dell’atto che contiene la formale individuazione della persona stessa a cui il reato è attribuito. L’art. 60 enumera una serie di atti tipici dai quali l’assunzione scaturisce (richiesta di rinvio a giudizio, di giudizio immediato, di decreto penale di condanna, del decreto di citazione in 15 giudizio). La qualità di imputato si conserva in ogni stato e grado del processo fino a che questo è pendente. Cessa nel momento della definizione del processo e quindi con una decisione diventata irrevocabile o comunque non più impugnabile. Persa la qualità di imputato egli diventa prosciolto o condannato. La qualità si riassume in caso di revoca della sentenza di non luogo a procedere o qualora sia disposta la revisione del processo. Il prosciolto riacquista la qualità con l’ordinanza che fissa l’udienza preliminare se il pm abbia richiesto il rinvio a giudizio essendo già state acquisite le nuove fonti di prova (se non fosse così non si produce l’effetto). La rescissione del giudicato è il messo straordinario di impugnazione che scatta nel caso in cui sia stata emessa una sentenza di condanna o applicativa di una misura di sicurezza, passata in giudicato pronunciata a seguito di un processo nel quale l’imputato era assente. Questo deve dimostrare che l’assenza è stata causate da un’incolpevole conoscenza del processo. L’articolo 61 estende all’indagato (colui che è sottoposto alle indagini prima dell’esercizio dell’azione penale) i diritti e le facoltà previsti a garanzia dell’imputato ed ogni altra disposizione a questi favorevole, ma non le previsioni in malam partem. Le dichiarazioni rese dall’imputato Le norme contenute negli artt. 62-65 riguardano le dichiarazioni rese dall’imputato. L’articolo 62 prescrive che le dichiarazioni rese nel corso del procedimento dall’imputato e dalla persona sottoposta alle indagini preliminari non possono formare oggetto della testimonianza. a) In primo luogo, ciò non riguarda solo le dichiarazioni sollecitate, ma anche quelle che il soggetto rilascia di propria iniziativa b) In secondo luogo, il divieto vale nei confronti di coloro a carico dei quali, per effetto delle dichiarazioni rese emergoano indizi di reità e di coloro che, fin dall’inizio, dovevano essere sentiti in qualità di imputato o di persona sottoposta alle indagini c) In terzo luogo, sono coperte dall’art. 62 le dichiarazioni rese dinnanzi all’auotirtà giudiziaria, alla polizia giudiziaria e ad altre persone abilitate a riceverle d) È inibito a testimoniare chi riferisca, anche avendolo appreso da altri, il contenuto delle dichiarazioni dell’imputato e dei soggetti a lui assimilati. L’acquisizione illegittima di tali testimonianze comporta la loro inutilizzabilità. La disciplina delle dichiarazioni indizianti nell’articolo 63 costituisce un’anticipazione del diritto al silenzio operante in sede di interrogatorio e completa la regola per cui nessuno può essere obbligato a deporre su fatti dai quali potrebbe emergere la propria responsabilità penale. Si profilano in campo all’autorità procedente 3 obblighi distinti: 1) Quello di interrompere l’esame come pure l’eventuale assunzione di informazioni 2) Quello di avvertire la persona che potranno essere svolte indagini nei suoi confronti per effetto della mutata veste processuale 3) Quello di avvertire l’indiziato che le sue dichiarazioni potranno essere utilizzate nei suoi confronti (obbligo inserito nell’art. 64 3 comma lett. a) e invitarla a nominare un difensore. Nell’ipotesi del 2° comma le dichiarazioni rese sono assolutamente inutilizzabili “le sue dichiarazioni non possono essere utilizzabili” nell’ipotesi del 1°comma, le dichiarazioni sono inutilizzabili contro chi le ha rese, ma sono utilizzabili nei confronti di terzi “le precedenti dichiarazioni non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese”. 16 L’interrogatorio Nella fase delle indagini preliminari, il PM procede all’interrogatorio della persona sottoposta a misura cautelare, dell’arrestato o del fermato e di chi si trova a piede libero mediante invito a presentarsi. Il PM è libero di scegliere il momento in cui procedere all’interrogatorio, salvo si tratti persona sottoposta a custodia cautelare in quanto in quel caso l’interrogatorio del giudice deve precedere quello del PM. Ai sensi del 415bis, se il PM non procede alla richiesta di archiviazione è chiamato a notificare entro il termine di scadenza delle indagini preliminari, un avviso di conclusione delle stesse indagini indirizzandolo alla persona sottoposto alle stesse e al suo difensore. Questo obbligo è finalizzato a consentire all’indagato un contradditorio anticipato allo scopo di evitargli incriminazioni infondate o non adeguatamente ponderate. Tale avviso contiene l’avvertimento che l’indagato entro 20 gg può presentarsi per rilasciare una dichiarazione o chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio. Sempre il PM se vuole ricorrere al giudizio immediato (inscenabile quando la prova appare evidente) deve procedere all’interrogatorio sui fatti dai quali emerge l’evidenza della prova o deve averlo disposto tramite l’Invito a presentarsi (Art. 375). Al mancato invio dell’avviso consegue la nullità della richiesta di rinvio a giudizio o del decreto di citazione in giudizio del PM. Però se il PM ne fa istanza nella richiesta di custodia cautelare, l’interrogatorio ad opera del giudice deve avvenire entro 48 ore. Esercitata l’azione penale, l’imputato è libero di sottoporsi ad interrogatorio in sede di udienza preliminare, così come nel giudizio abbreviato. All’interrogatorio del PM si suole attribuire un prevalente carattere investigativo in quanto finalizzato alle determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale, mentre quello condotto dal giudice si è soliti attribuire una finalità di controllo e di garanzia. Il difensore ha diritto di essere avvisato del compimento dell’atto così da potervi assistere, la sua presenza diviene talora condizione di validità. Per quanto riguarda la difesa personale, l’interrogatorio è modellato in maniera idonea a garantire una partecipazione libera e cosciente da parte del soggetto. Per quanto riguarda il luogo dello svolgimento dell’interrogatorio, si prevede tra l’altro che l’arrestato, il fermato e l’imputato in stato di detenzione per qualsiasi titolo debba essere interrogato presso l’istituto penitenziario in cui si trova. Solo in casi eccezionali il giudice può far richiesta che gli stessi siano portati davanti a se. Il sistema ha tentato di equiparare le modalità di svolgimento di altre figure a quelle dell’interrogatorio attraverso diversi rinvii agli artt. 64 e 65. come ad esempio accadde per le sommarie informazioni (art. 350) anche se l’equiparazione non è completa come invece accade per quanto riguarda le dichiarazioni di persone sottoposte alle indagini a seguito della presentazione spontanea delle stesse al PM. L’art. 64 ha come funzione quella di garantire la libertà fisica e morale del soggetto sottoposto ad interrogatorio. A tale finalità rispondono le disposizioni sulla libertà fisica della persona sottoposta ad interrogatorio (es. senza manette, oppure non viene disposto l’accompagnamento ma l’autorizzazione ad allontanarsi dal luogo di arresto o di detenzione per il tempo necessari). Per lo stesso fine, al secondo comma viene fatto divieto dell’uso di mezzi idonei ad alterare le capacità psico-fisiche. Il comma 3 è il nucleo essenziale del dritto al silenzio. Il soggetto deve essere informato che le dichiarazioni che renderà potranno essere utilizzate nei suoi confronti, che gli compete la facoltà di non rispondere ed inoltre se renderà dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri assumerà in ordine a tali fatti la qualità di testimone. L’omissione di queste prescrizioni produce la loro inutilizzabilità. 17 esclusione. Il provvedimento che dispone l’esclusione (ad es. per difetto di legittimazione) ha un valore meramente processuale. Tale valenza implica che, come l’ammissione della parte civile non comporta l’automatico riconoscimento del diritto al risarcimento del danno, allo stesso modo la sua esclusione non preclude l’esercizio di un’azione autonoma in sede civile. Si procede tramite ordinanza (inoppugnabile). L’ipotesi di esclusione è anche quella prevista dall’art. 81. Si può però verificare anche un recesso spontaneo. Nel caos di revoca espressa occorre un’apposita dichiarazione resa personalmente o per mezzo di un procuratore speciale, la stessa dichiarazione può assumere forma orale se fatta in udienza. Le ipotesi di revoca tacita e presunta sono tassativamente previste dall’art. 82. Rapporti tra azione civile e azione penale L’azione civile proposta davanti al giudice civile può essere trasferita nel processo penale fino a quando in sede civile non sia stata pronunciata sentenza di merito anche non passata in giudicata. Il cambiamento di sede comporta l’estinzione del giudizio civile per rinuncia agli atti. L’azione civile continua però quando non è trasferita nel processo penale o è stata iniziata quando non è più ammessa la costituzione di parte civile. Ai sensi dell’art. 75 il giudizio civile prosegue senza interruzioni il suo corso quando: - Il processo penale è stato sospeso per incapacità dell’imputato - Vi è stata esclusione della parte civile - Sebbene ricorrano i presupposti stabiliti dalla legge per la costituzione, non risulta possibile notificare personalmente all’imputato assente l’avviso dell’udienza preliminare - Quando la parte civile ha abbandonato il processo penale per una non accettazione del rito abbreviato Responsabilità civile È colui che a norma delle leggi civili è tenuto a rispondere per il fatto dell’imputato. Nei suoi confronti può agire per le restituzioni e il risarcimento del danno il soggetto danneggiato. Non è ipotizzabile un intervento del responsabile civile prima della costituzione di parte civile, ma nel momento in cui questa recede o viene esclusa, il responsabile viene estromesso. Il responsabile civile può o essere citato su richiesta delle parti o può intervenire volontariamente. Alla base dell’intervento volontario del responsabile civile c’è l’interesse ad interloquire nel processo penale al fine di evitare pregiudizi. Anche se la sentenza penale non ha efficacia di giudicato nei confronti del responsabile civile non citato o non intervenuto, il giudice civile potrebbe essere influenzato dalla sentenza emessa dal giudice penale. Verificata la legittimazione di costituzione, il giudice procedente ordina la citazione con decreto il cui contenuto è specificato dall’art. 83. La citazione è nulla se il responsabile civile non sia stato in grado di esercitare i suoi diritti nell’udienza preliminare o nel giudizio ad esempio per errore o per omessa indicazione di qualche elemento essenziale. Il RC non è tenuto ad intervenire nel processo. Al pari della parte civile sta in giudizio col ministero di un difensore e può costituirsi in ogni stato e grado del processo depositando presso la cancelleria del giudice una dichiarazione a pena di inammissibilità. Esiste un termine finale a pena di decadenza, che coincide con l’effettuazione degli accertamenti relativi alla costituzione delle parti. Anche il RC può essere escluso o su richiesta motivata delle parti sulla quale il giudice deciderà con ordinanza. Civilmente obbligato per la pena pecuniaria 20 L’obbligazione a carico della persona o ente, civilmente obbligati, è una forma di responsabilità civile verso lo stato. Essa ha natura sussidiaria ed eventuale. La condanna del civilmente obbligato è ad esecutività condizionata all’insolvibilità dell’imputato, e non va iscritta nel casellario giudiziale. Il civilmente obbligato è, per effetto della condanna, assoggettato al pagamento non della sanzione pecuniaria penale, ma dell’equivalente importo. La persona offesa dal reato La persona offesa versa in una situazione di particolare vulnerabilità. Diversi sono gli elementi da prendere in considerazione come l’età e il suo eventuale stato di infermità. Bisogna inoltre accertare se il fatto che costituisce reato risulta commesso con violenza alla persona o con odio razziale, se è riconducibile ad ambiti di criminalità organizzata o di terrorismo. Nel momento in cui si accerta che la persona può essere definita particolarmente vulnerabile, le devono essere assicurate varie forme di tutela. Secondo una recente disposizione inoltre, lo Stato garantisce alle vittime di un reato intenzionale violento un indennizzo. L’indennizzo mira al rimborso delle spese mediche e assistenziali, mentre nel caso di violenza sessuale o omicidio questo viene elargito anche in assenza di tali spese. I diritti e le facoltà della persona offesa L’art. 90 specifica che l’offeso dal reato è legittimato in via generale a presentare memorie e a indicare elementi di prova. Le memorie sono elaborati scritti di vario contenuto mediante i quali possono essere avanzate istanze. A seconda dei casi queste saranno indirizzate al pubblico ministero o al giudice procedente. Alla persona offesa è inoltre riconosciuto in ogni stato e grado del procedimento il potere di indicare elementi di prova. Per quanto riguarda la capacità processuale il minore di anni 14, l’interdetto o l’inabilitato devono essere rappresentati dai genitori o dal tutore mentre il minore ultraquattordicenne vi è il diritto di querela o possono esercitarlo in loro vece il genitore o il tutore o il curatore (Art. 120 c.p.) Quando vi è incertezza sulla minore età della persona offesa il giudice dispone una perizia la quale se non ha risultati positivi la minore età viene presunta. In oltre si dispone che, in caso di decesso della persona offesa in conseguenza del reato, le facoltà e i diritti previsti in favore della stessa dalla legge possono essere esercitati sia dai prossimi congiunti che da persone che oltre ad avere una relazione affettiva convivevano stabilmente con esso. Infine, con l’ottica di dare piena attuazione alle direttive europee, sono stati stabiliti i diritti di informazione di cui gode la persona offesa in una lingua a lei comprensibile. Tra questi diritti è innanzitutto riconosciuto quello di chiedere all’autorità procedente informazioni relative allo stato del procedimento. Inoltre nello specifico per i delitti commessi con violenza alla persona, deve essere immediatamente data comunicazione alla persona offesa su sua richiesta dei provvedimenti di scarcerazione, cessazione della misura di sicurezza detentiva, evasione dell’imputato salvo caso di pericolo concreto di un danno per l’autore del reato. Gli enti e le associazioni rappresentativi di interessi lesi dal reato È previsto che se risultano rispettati alcuni requisiti, gli enti e le associazioni aventi finalità di tutela degli interessi lesi dal reato possono esercitare diritti e facoltà attribuiti alla persona offesa dal reato. Qualora l’ente collettivo risulti direttamente danneggiato dal reato, nulla gli impedisce di inserire la sua pretesa civilistica all’interno del processo penale mediante costituzione di parte civile. Qualora non fosse direttamente danneggiato ma sono stati deli suoi interessi, può partecipare in veste di accusatore privato al fianco della persona offesa disposta ad accettare il suo intervento. È richiesto dal legislatore che l’ente collettivo non abbia scopo di lucro e che gli siano riconosciute in forza di legge finalità di tutela degli interessi lesi dal reato. Il riconoscimento deve essere avvenuto anteriormente alla commissione del fatto per cui si procede. Il querelante In relazione ad alcuni reati, l’esercizio dell’azione penale da parte del Pubblico Ministero è subordinata, quando non è prevista d’ufficio, alla volontà persecutoria dei soggetti offesi che 21 viene espressa attraverso la querela. La querela deve essere presentata di regola entro 3 mesi dal giorno della notizia del fatto che costituisce il reato. Il reato commesso in danno di più soggetti è perseguibile anche quando la querela sia presentata da una sola delle persone offese. Eccetto in alcuni casi, l’estinzione del reato consegue alla remissione della querela sempre che il querelato non l’abbia espressamente o tacitamente ricusata. Se la querela è stata proposta da più persone, affinchè si produca l’effetto estintivo è necessario che la remissione sia di tutti i querelanti. La remissione può avvenire sia in forma espressa che in forma tacita (Quella desumibile da fattu incompatibili con la volontà di persistere nella querela. Il difensore di fiducia dell’imputato Il difensore dell’imputato viene chiamato a svolgere un ruolo importante ed impegnativo in quanto è tenuto non solo a dimostrare la scarsa significatività degli elementi di prova a valenza accusatoria manche ad individuare e acquisire elementi probatori che scagionino l’imputato o alleggeriscano la sua posizione. Ai sensi dell’art. 96 c.p.p. l’imputato ha diritto di nominare non più di due difensori di fiducia. La nomina può essere fatta: con dichiarazione resa all’autorità procedente dall’interessato, consegnata all’autorità procedente dal difensore stesso o trasmessa tramite raccomandata. Non sono però ipotesi tassative in quanto si è in presenza di un atto a forma libera. La nomina del difensore può essere fatta anche in via preventiva ossia per l’eventualità che si instauri un procedimento penale. Il difensore nominato deve essere in possesso di tutti i requisiti richiesti per lo svolgimento della professione. Oltre ai praticanti avvocati e agli avvocati ‘ordinari’ si distinguono i cassazionisti e gli avvocati specialisti, figure per la cui iscrizione all’albo apposito devono soddisfare determinati requisiti. La prestazione del difensore costituisce oggetto di un contratto per la cui conclusione è indispensabile l’accettazione sia anche implicita del nominato. La nomina produce i suoi effetti per tutto l’arco del processo di cognizione. La nomina del difensore di fiducia della persona fermata, arrestata o in custodia cautelare fino a che non vi provvede, può essere fatta da un prossimo congiunto. Il difensore d’ufficio L’imputato che non ha nominato un difensore di fiducia o ne è rimasto privo è assistito da un difensore d’ufficio il quale è individuato nell’ambito degli iscritti all’elenco nazionale. Il ruolo del difensore d’ufficio però è sussidiario rispetto a quello del difensore di fiducia, infatti esso cessa dalle funzioni non appena l’imputato procede alla nomina di un suo difensore di fiducia. Mentre quest’ultimo è libero di non accettare la nomina, il difensore d’ufficio ha l’obbligo di prestare il patrocinio salvo che in presenza di un giustificato motivo. Per essere ammesso all’albo dei difensori d’ufficio, bisogna essere in possesso di almeno uno dei requisiti previsti che ricomprendono, la partecipazione ad un corso di formazione e aggiornamento professionale in materia penale, l’iscrizione all’albo da almeno 5 anni, conseguimento titolo di specialista in diritto penale. La difesa d’ufficio è precostituita (giacché la designazione scaturisce da un meccanismo basato sulla predisposizione degli elenchi formati dai consigli dell'ordine). Alla persona sottoposta alle indagini è posto l’obbligo di retribuire il difensore di ufficio ove non sussistano le condizioni necessarie per essere ammessa al patrocinio a spese dello stato. Patrocinio dei non abbienti e poteri del difensore L’imputato, la persona offesa dal reato, il danneggiato che intende costituirsi parte civile e il responsabile civile, possono chiedere di essere ammessi al patrocinio a spese dello stato. Il patrocinio si traduce nel diritto, garantito dalla Costituzione, alla difesa legale a spese dello Stato e all’esonero dal pagamento delle spese processuali, comprese quelle per la consulenza tecnica. Il patrocinio è gratuito per l’interessato, ma i professionisti prescelti devono essere retribuiti dallo Stato. Il gratuito patrocinio è riconosciuto sia per le cause penali sia per quelle civili connesse alle prime sia per quelle complementari come per le esecuzioni penali, procedimenti di sicurezza, di prevenzione, di sorveglianza, sia infine per quelle civili derivanti da processo penale come ad esempio per l'indennità per illegittima o ingiusta 22 scrittura. A volte il codice richiede un’attestazione dell’autenticità della firma. Diverse figure sono abilitate ad autenticare la sottoscrizione degli atti, oltre al funzionario di cancelleria, il notaio, il difensore, il sindaco, giudice di pace ecc. L’indicazione della data resta comprensiva anche del luogo di formazione dell’atto e oltre all’indicazione spaziale è sufficiente di regola la menzione del giorno, mese e anno. Se l’indicazione della data di un atto è prescritta a pena di nullità, questa sussiste solo nel caso in cui la data non possa stabilirsi con certezza in base ad elementi contenuti nell’atto medesimo o ad atti a questo connessi. Se la documentazione di un atto è stata distrutta e questo atto è necessario il codice prevede una serie di rimedi in ordine successivo: - È prevista in primis la surrogazione all’originale con una copia autentica. La competenza è affidata al presidente della corte o tribunale i quali provvedono anche d’ufficio con l’emissione di un decreto con cui si impartisce al soggetto che detiene la copia di consegnarla in cancelleria - Qualora non fosse possibile si ricorre alla ricostituzione attraverso la quale viene formato un documento nuovo identico a quello mancante. Per fare ciò il giudice deve innanzitutto accertare il contenuto avvalendosi di ogni elemento utile, desumibile da fonti di prova sia reali che personali. L’istituto della ricostituzione è diverso dalla rinnovazione che deve essere azionata solo qualora non sia possibile procedere alla surrogazione. - La rinnovazione è configurabile come estrema ratio ed è disposta con ordinanza attraverso la quale se ne prescrive le modalità. Il divieto di pubblicazione L’art. 114 prevede oltre al divieto assoluto di pubblicazione per gli atti coperti da segreto una circoscritta durata al divieto incondizionato. Il legislatore sembra aver concepito due tipi di divieto di pubblicazione: - Riproduzione dell’atto totale o parziale della che risulta dalla documentazione procedimentale - Il secondo parla della pubblicazione di quanto l’atto esprime dal punto di vista concettuale Per quanto riguarda gli atti coperti da segreto, il divieto di pubblicazione sembrerebbe operare per tutta la durata delle indagini preliminari, finchè restano ignoti i potenziali autori del reato. Dal momento in cui si conosce la persona sottoposta alle indagini, il divieto è modellato in funzione del regime di conoscenza di ogni singolo atto. Il divieto viene meno con il deposito degli atti cui hanno diritto di assistere i difensori, quando il PM richiede il rinvio a giudizio. Esistono comunque atti come l’informazione di garanzia che sorgono senza essere sottoposti al divieto di pubblicazione. Nel 2017 con la legge n.103 si è disciplinata la materia delle intercettazioni. La disciplina ha cercato di impedire che le intercettazioni di comunicazioni e di conversazioni processualmente irrilevanti confluissero tra gli atti del procedimento ed anche sui mezzi di comunicazione di massa. Gli atti delle indagini preliminari che non sono stati mai coperti dal segreto o per i quali è caduto, non sono o diventano pubblicabili. Se non si procede a dibattimento, il secondo comma del 114 fa cadere il divieto una volta che le indagini preliminari sono concluse. Se si procede a dibattimento invece, gli atti che alla fine del dibattimento (che in generale sono pubblicabili sin dalla loro formazione) risultavano inseriti nel relativo fascicolo che erano oggetto di divieto di pubblicazione, questo cade con la pronuncia della sentenza di primo grado. Se però l’atto viene trasferito dal fascicolo per il dibattimento a quello del PM il divieto di pubblicazione si ripristina. Gli atti che risultano nel fascicolo del PM, sono pubblicabili solo dopo la pronuncia della sentenza di secondo grado. Il 4° comma ed il 5° introducono altri due divieti che si caratterizzano per essere disposti dal giudice. Il primo divieto riguarda gli atti già utilizzati per le contestazioni nel momento in cui sia scattato il divieto di pubblicazione degli atti del dibattimento svolto a porte chiuse. Il secondo divieto riguarda la facoltà del giudice di disporre il divieto di atti o parte di essi quando la loro pubblicazione può in qualche modo offendere il buon costume o comportare la 25 diffusione di notizie sulle quali la legge prevede di mantenere il segreto nell’interesse dello stato. E’ fatto divieto inoltre di pubblicare le generalità o l’immagine dei minorenni testimoni, persone offese o danneggiate dal reato fino a che non sono diventate maggiorenni. È vietato pubblicare l’immagine della persona che è stata privata della libertà personale mentre la stessa indossa il braccialetto elettronico. L’art. 114 in sostanza tutela 3 situazioni giuridicamente rilevanti: - La libertà di informazione - Il segreto istruttorio - La riservatezza dei soggetti coinvolti La violazione delle norme in tema del divieto di pubblicazione prevede reato secondo l’art. 684 c.p. e la punizione prevista è l’arresto o l’ammenda. L’art. 115 prevede la disposizione di un illecito disciplinare quando la violazione è posta in essere da impiegati dello Stato o da altre professioni per la quale è prevista una speciale abilitazione dello Stato. La circolazione di copie e di informazioni La circolazione di atti e di informazioni sul procedimento è disciplinata dagli artt. 116, 117 e 118 in ragione dei soggetti legittimati ad ottenerli. La prima disposizione afferma, come principio generale, che chiunque vi abbia interesse può ottenere, a proprie spese, il rilascio di copie, estratti o certificati di singoli atti, ivi compresi, pertanto, quelli incorporati su supporti non cartacei. Il rilascio non può essere ottenuto se si tratta di atti ancora coperti dal segreto sulle indagini o divenuti oggetto di un decreto di segretazione (art. 329). Gli articoli 117 e 118 sono relativi alla trasmissione di copie e di informazioni da parte del PM o del Ministro dell’interno. L’art 117 consente al PM di ottenere dall’autorità giudiziaria anche in deroga alla segretezza copie di atti relativi ad altri procedimenti penali e tutte le informazioni scritte sul loro contenuto. L’articolo soddisfa l’esigenza di un efficace coordinamento investigativo e consente di derogare alla disciplina del segreto investigativo per la tutela di un interesse meritevole. La richiesta deve essere finalizzata al compimento delle proprie indagini. Comunque la circolazione di copie e di informazioni trova spazio quando mancano i presupposti del coordinamento informativo e investigativo o quando vi sia dissenso tra gli uffici del PM sulla gestione delle indagini. In forza dell’art. 118 anche il Ministero dell’interno può accedere alle fonti informative. Tale richiesta è indirizzata all’adempimento di un fine istituzionale dell’esecutivo come la prevenzione dei reati. L’autorità giudiziaria può rigettare o accogliere la richiesta. Un possibile rigetto può essere giustificato ad esempio dalla volontà di preservare il segreto. Per quanto concerne l’utilizzabilità delle copie di atti o delle informazioni trasmesse, il legislatore ha specificato che queste possono essere utilizzate solo per il compimento delle indagini escludendo ogni impiego in chiave probatoria. Memorie, richieste e dichiarazioni delle parti In ogni stato e grado del procedimento le parti e i difensori possono presentare al giudice memorie o richieste scritte depositandole in cancelleria. Non vi è il successivo obbligo di comunicare alle altre parti private le richieste e le memorie presentate. Come afferma il secondo comma, il giudice provvede rispetto a queste entro massimo 15 giorni. Riguardo invece al rilascio delle procure speciali per il compimento di determinati atti, le procure stesse devono essere rilasciate per atto pubblico o per scrittura privata autenticata e devono contenere tra le altre cose la determinazione dell’oggetto per cui è conferita. Per quanto riguarda invece le impugnazioni, le dichiarazioni e le richieste provenienti da persone detenute o internate è stabilito dall’art. 123 che questi soggetti hanno la facoltà di presentarle con atto ricevuto dal direttore. Dopo l’iscrizione nell’apposito registro, sono comunicate all’autorità competente. L’imputato custodito fuori dall’istituto usufruisce delle stesse facoltà. La norma predispone un sistema di comunicazione rapido ed efficace fra il detenuto e l’autorità giudiziaria. Si equipara in tal modo la ricezione dell’atto da parte del direttore dell’istituto penitenziario o dell’ufficiale di polizia giudiziaria, alla notifica o comunicazione dell’imputato/indagato libero all’autorità giudiziaria. 26 Garanzia della legalità L’intervento del testimone ad atti del procedimento si giustifica per assicurare la regolare effettuazione dell’atto e per precostituire una fonte di prova personale distinta ed aggiuntiva rispetto al relativo verbale (testimonianza impropria). L’art. 120 c.p.p. dispone che non possono intervenire come testimoni i minori di anni 14, le persone affette da infermità mentale o in stato di manifesta ubriachezza. L’art. 120 insieme all’art. 124 mirano a tutelare quindi il valore della legalità nel procedimento. Quest’ultima norma rubricata ‘Obbligo di osservanza delle norme processuali’ stabilisce il principio dell’obbligo del rispetto delle norme processuali-penali ed assolve ad una funzione di chiusura del sistema processuale. Le forme dei provvedimenti e le classificazioni delle sentenze Il codice innanzitutto distingue tra atti compiuti nel procedimento inteso come fase delle indagini preliminari, e quelli posti in essere nel processo. Gli atti posti in essere nel procedimento sarebbero caratterizzati da forme libere nelle quali non è descritto analiticamente il modo di procedere ma prevale il raggiungimento dello scopo. Gli atti posti in essere nel processo sarebbero invece a forme vincolate in quanto non ammettono equivalenti. L’art. 125 c.p.p. prevede tre tipi di modelli: la sentenza, l’ordinanza e il decreto. Le sentenze si caratterizzano per l’idoneità a chiudere uno stato o un grado del procedimento in quanto contengono una decisione. Esse sono pronunciate in nome del popolo italiano e sono diversamente classificate Si distinguono innanzitutto: A. Sentenze di condanna: è un provvedimento attraverso il quale viene dichiarata la colpevolezza dell'imputato al di là di ogni ragionevole dubbio B. Sentenze di proscioglimento: costituiscono una categoria molto più ampia che include: i) Sentenze di assoluzione : pronunciate all’esito del dibattimento con formule come ‘il fatto non sussiste’, ‘l’imputato non l’ha commesso’, ‘il fatto non costituisce reato’. Il giudice si limita a dichiarare l’infondatezza dell’accusa elevata contro l’imputato. Le sentenze di assoluzione acquistano l’autorità di cosa giudicata. ii) Sentenze di non luogo a procedere: pronunciate al termine dell’udienza preliminare quando esiste una causa che estingue il reato o per la quale l’azione penale non doveva essere iniziata, se il fatto non costituisce reato. Esse se non sono soggette ad impugnazione acquistano forza esecutiva ma non godono dell’irrevocabilità. iii) Sentenze a non doversi a procedere: tutte quelle pronunciate nei restanti gradi e stati del procedimento. Sono sentenze meramente processuali e seppure irrevocabili, sono sempre prive di efficacia in sede extrapenale. C. Sentenze dichiarative: verificano l’esistenza di determinate fattispecie. Tali sono ad esempio le sentenze di annullamento e le sentenze che pronunciano sulla giurisdizione e sulla competenza. D. Sentenze costitutive: sono esse stesse creative di effetti giuridici, ad esempio quelle emesse dal tribunale per i minori che concedono il perdono giudiziale. E. Sentenze di merito: risolvono la questione relativa al dover punire e in questa categoria rientrano le sentenze di condanna e quelle di assoluzione F. Sentenze processuali: non affrontano la questione ma sciolgono meri nodi processuali, lo sono ad esempio quelle di annullamento, quelle sulla competenza. G. Sentenze di proscioglimento per la particolare tenuità del fatto: di recente introduzione, dimostrano che si è dato vita ad una causa di non punibilità avente natura soggettiva. L’art. 131bis c.p. rubricato ‘Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto’ può scattare in tutti i procedimenti già in corso. Queste sentenze di proscioglimento sono subordinate all’avveramento di 4 condizioni sostanziali: 1. L’imputato deve aver posto in essere una condotta offensiva e di particolare tenuità nei confronti di un bene giuridico. 2. La pena prevista non deve essere superiore a 5 anni 27 ordine alla sussitenza del fatto tipico, alla sua liceità penale e alla colpevolezza dell’imputato: un simile accertamento è incompatibile con l’immediatezza che caratterizza l’art. 129. Non sembra essere compatibile nemmeno con le sentenze di non luogo a procedere (Art. 469). La correzione degli errori materiali mette riparo a deviazioni non gravi dell’atto dal suo schema tipico. La procedura opera in presenza di 3 presupposti: - Ne sono soggetto solamente gli atti del giudice quali le sentenze, le ordinanze e i decreti - L’errore materiale non deve prevedere una nullità. L’errore si deve sostanziare in una difformità tra il pensiero del giudice e la sua formulazione, mentre per quanto riguarda l’omissione deve riguardare un comando che discende dalla legge. Vi sono comunque casi non riparabili ai sensi dell’art. 130. - L’eliminazione dell’errore o dell’emissione non deve comportare una modifica essenziale dell’atto Competente a procedere alla correzione è il giudice autore dell’atto o se questo è stato impugnato la correzione è disposta dal giudice competente a conoscere dell’impugnazione. Il procedimento si svolge in camera di consiglio disciplinato dall’art. 127. L’ordinanza conclusiva deve essere notificata per intero ed è ricorribile per cassazione. Viene poi annotata nell’atto originale. Vi sono però casi in cui è resa in modo esplicito l’applicazione dell’art. 130 e in ragione del criterio di specialità, anche laddove le condizioni posto dall’art. 130 possono essere superate. Come disposto dal comma 1-bis, quando nella sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti (patteggiamento) si devono rettificare solo la specie e la quantità della pena per errore di denominazione o di computo, la correzione è disposta del giudice che ha emesso il provvedimento. Se questo è impugnato, alla rettificazione provvede la Corte di Cassazione ai sensi dell’art. 619, comma 2. Poteri coercitivi del giudice L’art. 131 attribuisce al giudice il potere di avvalersi della polizia giudiziaria per porre in essere atti come l’accompagnamento coattivo disciplinato dall’art 132. L’accompagnamento coattivo può essere adottato anche per reati di minima entità per i quali non è consentita l’emissione di una misura coercitiva personale. È disposto nei casi previsti dalla legge, con decreto motivato attraverso il quale il giudice ordina di condurre l’imputato alla sua presenza. L’accompagnamento coattivo dovrebbe essere preceduto da un avviso notificato o da un decreto di citazione, può essere disposto in sede di incidente probatorio, nel dibattimento ma non nell’udienza preliminare. Il decreto ha una durata massima di 24ore. L’art. 133 disciplina invece l’accompagnamento coattivo di altri soggetti come i testimoni, i periti ecc. qualora questi omettano di comparire nel luogo e nel tempo stabiliti senza addurre un legittimo impedimento. I principi in materia di documentazione degli atti La documentazione può definirsi come l’attività attraverso cui un atto viene inserito e conservato nella sequenza procedimentale affinché giudice e parti possano controllarne la regolarità ed averne memoria ai fini delle decisioni che si dovranno adottare in primo grado e nei giudizi di impugnazione. L’attività di documentazione produce come risultato un documento avente natura rappresentativa di un’entità distinta dalla propria materialità consistente ad esempio in un supporto cartaceo. Un sistema processuale in cui la formazione della prova avviene di solito in sede dibattimentale impone di servirsi di tecniche documentative diverse dalla redazione del verbale con caratteri comuni. Modalità di documentazione Ai sensi dell’art. 134 la documentazione si effettua mediante verbale. Con il termine documentazione si fa riferimento all’attività diretta a cristallizzare in un documento una 30 certa attività materiale, così da consentire al giudice e alle parti la disponibilità, il controllo e la memoria di tutto quanto sia svolto oralmente. Viene esclusa la modalità documentativa che si sostanzia nella semplice annotazione la quale è praticabile solo per gli atti del PM o della polizia giudiziaria. Il verbale è redatto in forma integrale o forma riassuntiva e la scelta tra le due forme è rimessa al giudice. Nell’udienza preliminare di regola il verbale è redatto in forma riassuntiva. Al secondo comma è stabilito che il verbale viene redatto con la stenotipia o altro strumento meccanico. Laddove l’utilizzo di questi mezzi sia impossibile si può ricorrere alla scrittura manuale. Per il verbale in forma riassuntiva è ammessa anche la riproduzione fonografica. Il comma 4 dispone che quando le modalità previste dai precedenti commi sono insufficienti, può essere aggiunta la riproduzione audiovisiva. La recente disciplina ha voluto estendere la riproduzione audiovisiva per le dichiarazioni rese dalla persona offesa che versi in condizioni di particolare vulnerabilità. Nel redigere il verbale con la stenotipia o con altri mezzi meccanici, come disciplinato dagli artt. 135, 136 e 137, l’ausiliare del giudice se sfornito delle necessarie competenze può essere autorizzato a farsi assistere. Il contenuto del verbale si sostanzia oltre che nei riferimenti cronologici, anche nelle generalità delle persone intervenute, nelle indicazioni delle cause, della mancata presenza di coloro che sarebbero potuti intervenire ecc. Le formalità della sottoscrizione sono disciplinate dall’art. 137 il quale prevede la firma su ogni foglio da parte del pubblico ufficiale che lo ha redatto, dal giudice e dalle parti che sono intervenute. Se qualcuno degli intervenuti non vuole o non è in grado di sottoscrivere deve esserne fatta menzione indicandone i motivi. Le trascrizioni e le riproduzioni Ai sensi dell’art. 138, i nastri impressi con i caratteri della stenotipia sono trascritti in caratteri comuni non oltre il giorno successivo a quello cui sono stati formati. Essi sono uniti a gli atti del processo, insieme con la trascrizione. Qualora la persona che ha impresso i nastri è impedita, il giudice dispone che la trascrizione sia affidata a persona idonea, anche estranea all’amministrazione. Anche la riproduzione fonografica o audiovisiva è effettuata da personale tecnico o da persona estranea all’amministrazione dello Stato. Quando si effettua la riproduzione fonografica nel verbale, ai sensi dell’art. 139, è indicato il momento di inizio e di cessazione delle operazioni di riproduzione. Per la parte in cui la riproduzione fonografica, per qualsiasi motivo, non ha avuto effetto o non è chiaramente intelligibile, fa prova il verbale redatto in forma riassuntiva. La trascrizione della riproduzione è effettuata da personale tecnico giudiziario. Il giudice può disporre che essa sia affidata a persona estranea all’amministrazione dello Stato. Quando le parti vi consentono, il giudice può disporre che non sia effettuata la trascrizione. Ai sensi dell’art. 140 il giudice dispone che si effettui solo la redazione in forma riassuntiva, quando gli atti da verbalizzare hanno contenuto semplice o limitata rilevanza o quando si verifica una contingente indisponibilità di strumenti di riproduzione o di ausiliari tecnici. Il giudice vigila affinché sia riprodotta nell’originaria genuina espressione la parte essenziale delle dichiarazioni quando il verbale viene redatto in forma riassuntiva. Le cause di nullità del verbale ai sensi dell’art. 142 sono limitate a incertezza sulle parti intervenute o se manca la sottoscrizione del pubblico ufficiale che lo ha redatto. Il comma 1 prevede una ‘clausola di salvezza’ la quale si riferisce alla disciplina delle ricognizione, da cui si apprende che la mancata menzione nel verbale di determinati adempimenti e dichiarazioni o delle modalità di svolgimento, si determina la nullità del mezzo di prova. La documentazione dell’interrogatorio del detenuto L’art 141bis regola la documentazione dell’interrogatorio che si svolge al fuori dell’udienza di chi è in stato di detenzione, stabilendo che tale atto deve essere documentato integralmente con mezzi di riproduzioni fonografica o audiovisiva. Affinchè possa applicarsi tale disciplina speciale devono ricorrere 3 condizioni: In primo luogo, deve trattarsi di un interrogatorio, quindi non deve trattarsi di dichiarazioni spontanee rese dall'indagato di propria iniziativa. Poi la persona deve trovarsi in stato di detenzione, ossia in carcere (art. 285) od in luogo di cura (art. 286) o agli arresti domiciliari. Infine, l'interrogatorio deve svolgersi al di fuori del contesto spaziale e temporale 31 dell'udienza, di conseguenza non vengono in rilievo quelli svoltisi in sede di convalida dell'arresto in flagranza, del fermo o nell'udienza preliminare. Se si dovessero rendere indisponibili gli appositi strumenti per la riproduzione fonografica o audiovisiva, il giudice o il PM possono nominare un perito o un consulente tecnico. La trascrizione non è obbligatoria ma avviene solo su richiesta di almeno una delle parti. È prevista dalla stessa disposizione l’inutilizzabilità dell’interrogatorio se questo non viene documentato come quanto disposto (audiovisione o rip. fonografica). L’inutilizzabilità in questo caso non investe tanto l’atto in se, quanto la sua utilizzabilità a fini probatori. La partecipazione a distanza La partecipazione a distanza consiste in una fase dell’udienza effettuata tramite collegamento a distanza realizzato con una connessione audio-video. L’art. 146bis comma 1 disp. att. considera la condizione di chi si trova in stato di detenzione, non necessariamente carceraria, per uno dei delitti facente parte della famiglia dei reati indicati nella disposizione (dagli art. 51 e 407). Tale persona partecipa a distanza alle udienze dibattimentali dei processi nei quali è imputata, anche relativi a reati per i quali sia in libertà (ad esempio per svolgere servizi sociale). Il comma 1bis contempla anche le persone ammesse a programmi e misure di protezione. Pure per loro scatta la partecipazione a distanza obbligatoria nelle udienze dibattimentali. Se però il giudice lo ritiene necessario anche su istanza di parte, attraverso un decreto motivato, può la presenza (fisica) alle udienze delle persone se lo ritiene necessario. Questa possibilità viene però del tutto esclusa per coloro che sono assoggettati al regime ex art. 41-bis ord. penit. Oltre gli specifica casi previsti dai commi 1 e 1bis il giudice ha la facoltà di disporre la partecipazione a distanza di qualsiasi imputato sulla base di parametri oggettivi: qualora il dibattimento sia di particolare complessità e sia necessario evitare ritardi nel suo svolgimento, o quando si deve assumere la testimonianza di una persona in stato di detenzione presso un istituto penitenziario. È poi consentito al difensore o ad un suo sostituto di essere presente nel luogo in cui si trova l’imputato. Mentre, l’imputato e il difensore presente nell’aula di udienza hanno diritto di comunicare riservatamente. Il luogo dove l'imputato si collega in audiovisione è equiparato all'aula di udienza. Ciò prevede che il potere di direzione del dibattimento resta affidato al presidente del collegio. Così come per i reati commessi nella postazione remota vigono le regole proprie dei reati commessi in udienza. La persona che è incaricata di stare nella postazione remota è un ausiliario abilitato ad assistere il giudice in udienza e da esso designato. L’ausiliario è demandato ad attestare l’identità dell’imputato, a dare atto dell’osservanza delle norme relative alle modalità di collegamento a distanza, della riservatezza delle consultazioni tra l’imputato e i suoi difensori. La videoconferenza può interrompersi con la conseguente partecipazione fisica dell’imputato. Questo accade se è necessario procedere ad un confronto o ad una ricognizione dell’imputato o comunque di un altro atto che implichi l’osservazione della persona (comma 7). La partecipazione a distanza andrebbe disposta prima dell’inizio della prima udienza dibattimentale soprattutto per rendere più agevole l’opera della difesa. Il terzo comma dispone l’adozione di uno standard tecnico più elevato rispetto a quello previsto per l’esame a distanza. Il collegamento deve essere contestuale, reciproco ed effettivo. Le documentazioni delle dichiarazioni confluiranno nel verbale tenuto dall’ausiliario del giudice che siede nell’aula di udienza Si applicano in quanto compatibili le disposizioni dell’art. 146bis, anche nel procedimento in camera di consiglio. Nei procedimenti in camera di consiglio dove la presenza è facoltativa, se l’imputato che risulta detenuto o internato in luogo posto fuori della circoscrizione del giudice, ne fa richiesta, deve essere sentito prima del giorno dell’udienza dal magistrato di sorveglianza del luogo. 32 Nei casi di urgenza il giudice può disporre anche su richiesta di parte che le persone diverse dall’imputato siano avvisate o convocate a mezzo telefono. Devono essere annotati sull’avviso cartaceo originale diverse informazioni quali il numero chiamato, il nome, le funzioni ecc della persona che riceve la comunicazione. La comunicazione ha valore di notificazione con effetto dal momento in cui è avvenuta. Comunque, la notificazione per mezzo di telefono è esclusa per l’imputato in quanto lo stesso non può essere sottoposto a rischio di una notifica non efficace perché incerta relativamente ai soggetti soprattutto che la ricevono. Questa forma di notifica ha carattere sussidiario per far fronte a situazioni di emergenza. Le notifiche di atti del pubblico ministero sono eseguite innanzitutto dall’ufficiale giudiziario, l’intervento della polizia giudiziaria è solo sussidiario. Per quanto riguarda le notifiche richieste dalle parti private è consentito sostituire alle forme ordinarie l’invio di copia dell’atto effettuato dal difensore mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento. Le notificazioni all’imputato Le notificazioni all’imputato detenuto sono eseguite nel luogo di detenzione mediante consegna di copia alla persona. Nel caso il cui l’imputato dovesse rifiutare la ricezione, facendone menzione la copia viene consegnata al direttore dell’istituto o chi ne fa le veci. Nello stesso modo si provvede quando non è possibile consegnare la copia direttamente all'imputato, perché legittimamente assente. Quando invece si deve consegnare all’imputato libero, l’art. 157 in primis stabilisce la preferenza della consegna dell’atto a mani proprie dovunque l’imputato si trovi. Se non è possibile, la notificazione viene eseguita nella casa di abitazione o nel luogo in cui il soggetto esercita abitualmente l’attività lavorativa, consegnando la copia ad un convivente, anche temporaneo, al portiere o a chi ne fa le veci. La giurisprudenza ritiene valido consegnatario chi sia legato al destinatario da un rapporto di collaborazione, nell’espletamento di faccende di faccende in abito domestico. Qualora tali luoghi non siano conosciuti, la notificazione è eseguita nel luogo dove l’imputato a temporanea dimora o recapito. Il portiere o chi ne fa le veci, provvede a sottoscrivere l’originale dell’atto notificato mentre l’ufficiale giudiziario deve dare notizia al destinatario, mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento. È fatto divieto di consegnare la copia ad un minore di 14 anni o chi versi n stato di manifesta incapacità di intendere e di volere. L’autorità giudiziaria deve disporre che si rinnovi la notificazione quando la copia sia stata consegnata alla persona offesa e risulti o appaia probabile che l’imputato non abbia avuto effettiva conoscenza dell’atto notificato. Inoltre se la consegna è fatta nelle mani di persona diversa dal destinatario, il plico deve consegnarsi chiuso, mentre la relazione della notifica deve essere effettuata secondo quanto disposto dall’art. 148 comma 3. Se la prima notificazione non è andata a buon fine ossia se le persone mancano, non sono idonee o si rifiutano, c’è l’obbligo per un secondo accesso per cercare l’imputato presso l’abitazione, o nella sede del lavoro abituale, i luoghi di dimora o di recapito. L’ora e il giorno del secondo accesso devono essere diversi dal primo. Se neanche il secondo accesso va a buon fine allora l’atto andrà depositato nel comune dove l’imputato ha l’abitazione o dove esercita abitualmente la sua attività lavorativa. Viene affisso sulla porta di casa o del luogo lavorativa l’avviso del deposito. L’ufficiale giudiziario invia inoltre una raccomandata con avviso di ricevimento. Dal giorno del ricevimento della raccomandata iniziano a decorrere gli effetti. Le successive dichiarazioni sono eseguite nel caso sia stato nominato al difensore di fiducia il quale può rifiutarsi solo immediatamente. Le notificazioni all’imputato latitante o evaso sono eseguite mediante consegna di copia al difensore il quale se non è stato nominato, viene designato d’ufficio. Se l’imputato è interdetto o infermo di mente le notificazioni vengono effettuate sia al soggetto che al tutore o curatore. Se l’imputato risiede o ha dimora all’estero viene inviata la raccomandata all’indirizzo di residenza o dimora indicato alla quale segue l’obbligo per il soggetto di dichiarare o eleggere 35 un domicilio nel territorio dello Stato. Se entro 30 giorni non perviene una risposta, le notificazioni sono consegnate al difensore. Qualora il giudice o il PM non abbiano notizie del luogo di residenza all’estero, non possono emettere subito il decreto di irreperibilità ma prima devono essere effettuate delle ricerche sia nel territorio dello Stato sia all’estero. La questione dell’irreperibilità ed i suoi effetti Condizione essenziale per far luogo alla dichiarazione di irreperibilità è l’impossibilità di eseguire la notificazione. Il giudice o il PM devono prima disporre nuove ricerche le quali devono essere effettuate in via successiva nel luogo di nascita, di ultima residenza, dimora, il luogo dove il soggetto esercita abitualmente attività lavorativa. Qualora le ricerche non abbiano dato esito, il giudice o il PM provvedono ad emettere il decreto e se l’imputato è privo di un difensore ne nominano uno d’ufficio. A seguito dell’emissione del decreto le notificazioni vanno eseguite mediante consegna di copia al difensore. L’irreperibilità è una situazione di fatto accertata in un determinato momento che può sempre modificarsi. Per questo, il decreto ha un’efficacia limitata alla singola fase procedimentale o al singolo grado di giudizio e sarà necessaria la rinnovazione delle ricerche e l’emissione di un nuovo decreto di irreperibilità nelle fasi successive. Quindi l’irreperibilità dichiarata nel corso delle indagini preliminari perde efficacia con la pronuncia del provvedimento che definisce l’udienza preliminare o con quella che chiude le indagini preliminari. La l. 67/2014 ha tra le altre cose soppresso il procedimento in contumacia. Ad oggi solo laddove viene dimostrata la consapevolezza dell’imputato dell’esistenza del procedimento, il processo potrà proseguire. Quindi se non risulta con certezza che l’imputato è a conoscenza del procedimento, il giudice dovrà ordinare la sospensione del processo. (Art. 159) L’elezione del domicilio 2 (Artt. 161-162 e seguenti) Nel primo atto compiuto con l’intervento della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato, si chiede a quest’ultimo determinare il luogo dove dovranno essergli notificati gli atti attraverso un’apposita dichiarazione o elezione di domicilio. Lo stesso ha poi l’obbligo di comunicare ogni mutamento del domicilio e che in mancanza di questa le notificazioni verranno eseguite mediante consegna al difensore. In ambito residuale si colloca l’invito a dichiarare o ad eleggere domicilio, formulato con l’informazione di garanzia o con il primo atto notificato. Nel caso di impossibilità di procedere alla notifica presso il domicilio eletto o dichiarato, le notifiche vanno fatte al domicilio del difensore che diviene domiciliatario. Il domicilio dichiarato, il domicilio eletto e ogni mutamento sono comunicati con dichiarazione verbale o mediante telegramma o lettera raccomandata con sottoscrizione notarile. L’elezione, la dichiarazione o il mutamento esplicano i loro effetti dal momento nel quale giungono a conoscenza dell’autorità giudiziaria. L’elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio non ha effetto se unitamente alla relativa dichiarazione, l’autorità non riceve l’assenso del difensore domiciliatario. La determinazione del domicilio vale per ogni stato e grado del procedimento. Le notificazioni a soggetti diversi dall’imputato La segreteria del pubblico ministero svolge oltre che il compito di notificatore, anche quello di destinatario da parte delle notificazioni eseguite direttamente dalle parti o dai difensori. Il 2 Differenza domicilio dichiarato e domicilio eletto: il domicilio eletto prevede che, oltre al luogo (che può essere diverso da quello di residenza o di domicilio), l’indagato (o imputato) indichi anche la persona alla quale vuole che vengano consegnati. Il domicilio dichiarato vi è una relazione fisica tra il soggetto e il luogo. La dichiarazione di domicilio presuppone che la notifica (ovvero la consegna dell’atto) debba essere fatta nelle mani dell’indagato stesso, fermo restando le dovute eccezioni indicate espressamente dal codice. 36 pubblico ufficiale, ricevuta la notifica, annota sia sull’originale che sulla copia dell’atto le generalità di chi ha eseguito la consegna e la data in cui questa è avvenuta. Le notificazioni invece alla persona offesa, alla parte civile, al responsabile civile, al civilmente obbligato per la pena pecuniaria, (Art. 154) sono sottoposte alla disciplina per la prima notificazione all’imputato non detenuto (art. 157). Nel momento in cui la notificazione prevista dall’art. 154 a causa del numero elevato delle persone offese o per l’impossibilità di identificarne alcune, l’art. 155 demanda all’autorità giudiziaria il potere di notificare per pubblici annunzi. La notificazione in questo caso si ha per avvenuta quando l’ufficiale giudiziario deposita una copia dell’atto nella segreteria o nella cancelleria dell’autorità procedente. Dato che la parte civile deve provvedere a nominare un difensore all’atto di costituzione (art. 78, comma 1) le notificazioni una volta che appunto viene fatta la nomina, sono eseguite presso tale soggetto. Ciò vale anche per il responsabile civile e il civilmente obbligato per la pena pecuniaria. Se questi dopo essere stati citati non provvedono a costituirsi, rimane l’onere di dichiarare o eleggere il proprio domicilio. Se si tratta di pubbliche amministrazioni, di persone giuridiche o di enti privi di personalità giuridica, le notificazioni sono eseguite nelle forme stabilite per il processo civile. Fino a quando il responsabile civile e il civilmente obbligato non si costituiscono, la notifica va effettuata al domicilio dichiarato o eletto dalla parte o, in mancanza, con deposito in cancelleria, successivamente questa va eseguita presso il domicilio del difensore. Mentre per quanto riguarda la parte civile, esistendo questa solo in quanto costituita, altrimenti resta persona offesa, la notifica va eseguita solo presso il domicilio del difensore. La relazione di notificazione e le cause di nullità L'ufficiale giudiziario certifica l'eseguita notificazione mediante relazione da lui datata e sottoscritta, apposta in calce all'originale e alla copia dell'atto. La relazione indica la persona alla quale è consegnata la copia e le sue qualità, nonché il luogo della consegna, oppure le ricerche, anche anagrafiche, fatte dall'ufficiale giudiziario, i motivi della mancata consegna e le notizie raccolte sulla reperibilità del destinatario. Per quanto riguarda il regime delle nullità, oltre a quelle previste dall’art. 171 devono aggiungersi quelle previste in via generale dall’art. 178. L’elenco comprende: l’incompletezza dell’atto, l’incertezza assoluta, il difetto della sottoscrizione nella relazione della copia notificata ecc. Regole generali in materia di termini Il legislatore instaura relazioni cronologiche tra i singoli atti così un atto non può validamente essere posto in essere prima che se ne realizzi un altro. I termini processuali assegnano dei limiti cronologici all’attività dei soggetti del procedimento o possono determinare la cessazione degli effetti dell’atto. Vengono distinti i termini dilatatori dai termini acceleratori. I termini dilatatori fanno si che un atto non possa compiersi o produrre effetti prima che il relativo termine sia decorso. Se viene compiuto un atto prima dello scadere di questo termine, esso risulta affetto da nullità speciale. I termini acceleratori stimolano l’evolversi del procedimento o di situazioni ad esso collegate. La loro caratteristica è la predeterminazione di un periodo di tempo utile per il compimento dell’atto. I termini acceleratori si distinguono in termini ordinatori e sono quelli le cui conseguenze sono prive di rilevanza di natura processuale, ed in termini perentori la cui scadenza comporta la perdita del potere di compiere l’atto al quale ineriscono e la conseguente decadenza del corrispondente potere. La decadenza è situata tra i motivi di ricorso accanto ai vizi dell’atto, non rientra in una specie di invalidità degli atti del procedimento. I termini stabiliti a pena di decadenza sono improrogabili eccetto quando espressamente previsto. Vanno menzionate ad esempio la proroga per le indagini preliminari o quella dei termini per la custodia cautelare. 37 preliminari o dell'udienza preliminare. Per le nullità concretizzatesi nel giudizio, il limite è dato dalla sentenza del grado successivo. Se la parte assiste al compimento dell'atto, la nullità deve essere dedotta "prima del suo compimento o se ciò non è possibile, immediatamente dopo" (art. 182 comma 2 c.p.p.). La parte, se non deduce la nullità in tale periodo, decade dal potere di farlo in un tempo successivo, peraltro permane la possibilità che sia il giudice a dichiarare la nullità fino allo spirare dei termini stabiliti dall'art. 180 comma 1 c.p.p. - La partecipazione al procedimento da parte del p.m. comprende gli atti compiuti a seguito e in collegamento con il promovimento dell'azione penale. Rientrano nella previsione dell'art. 180 c.p.p., sia le ipotesi in cui difetti la partecipazione del p.m. quando questa è prescritta come necessaria (art. 420 c.p.p. per l'udienza preliminare e art. 480 c.p.p. per il dibattimento), sia i casi in cui il previsto intervento facoltativo (art. 127 c.p.p. per le udienze camerali) dell'attore pubblico non possa concretizzarsi. - L'intervento dell'imputato o delle altre parti private concerne tutti quei casi, in cui la legge garantisce la partecipazione personale al processo in vista dell'esercizio dei poteri o facoltà che ad essa sono legati. Causa di nullità è, pertanto, l'inosservanza: "delle norme che prescrivono atti e cautele preordinate al fine di mettere il soggetto in condizione di intervenire utilmente". ESEMPI: l'informazione di garanzia (art. 369 c.p.p.); la notifica, ai sensi dell'art. 429 commi 2 e 4 c.p.p., del decreto che dispone il giudizio; l'inosservanza da parte del giudice del dibattimento delle regole concernenti la rinnovazione della citazione (art. 485 c.p.p.) oppure la sospensione o il rinvio del dibattimento ex art. 486 c.p.p.; l'omessa notifica alle parti private e ai difensori del decreto del presidente che anticipa o differisce l'udienza dibattimentale (art. 465 c.p.p.); la notifica alla persona sottoposta alle indagini dell'ordinanza con la quale il giudice accoglie la richiesta di incidente probatorio (artt. 398 c.p.p. e 401 c.p.p.); la citazione delle parti per il giudizio d'appello (art. 601 c.p.p.) . - L'assistenza si riferisce al complesso delle attività svolte dal difensore per far valere i diritti e gli interessi dell'imputato. La presenza del difensore può essere necessaria (nei casi ex art. 179 c.p.p. visti in precedenza) o facoltativa. In questa seconda ipotesi la mancata partecipazione del difensore, dovuta ad invalida od omessa comunicazione dell'avviso (o della sua notificazione), comporta una nullità a regime intermedio. ESEMPI: l'udienza in camera di consiglio (art. 127 c.p.p. comma 1 e 3) e l'assistenza agli accertamenti tecnici non ripetibili del p.m. (art. 360 c.p.p.). In tutte queste circostanze è obbligatorio che l'avviso contenga il giorno, l'ora e il luogo in cui si procederà. Le nullità relative Sono disciplinate dall’art. 181 c.p.p.: sono tutte le nullità speciali che non rientrano nelle ipotesi di nullità assoluta o intermedia, sono residuali agli artt. 179 e 180 c.p.p. Rientrano in questa tipologia tutte le nullità speciali, e cioè richiamate da singole norme, che non sono riconducibili ai regimi di nullità assoluta o intermedia: si ragiona per esclusione. Sono sanabili, carattere comune alle intermedie. Sono dichiarate dal giudice su eccezione di parte e, più precisamente, della parte interessata. Al giudice è precluso, di regola, il potere di rilevare tali nullità d’ufficio, salvo che tale facoltà sia lui espressamente concessa dalla norma che prevede la nullità relativa come pena per la sua violazione. I commi 2 e 4 dell’art. 181 stabiliscono diversi termini perentori per eccepire le nullità relative, a seconda della fase processuale in cui il vizio si è verificato. - le nullità concernenti gli atti delle indagini preliminari, l’incidente probatorio e l’udienza preliminare devono essere eccepite prima che sia pronunciato il provvedimento ex art. 424 c.p.p. (sentenza di non luogo a procedere o il decreto che dispone il giudizio. Ove, per qualunque motivo, il giudice non vi provveda prima del giudizio, le parti devono riproporre l’eccezione tra le questioni preliminari del giudizio stesso. - le nullità verificatesi nel giudizio devono essere eccepite con l’impugnazione della sentenza. La deducibilità e le sanatorie 40 L’art. 182 è rubricato deducibilità delle nullità. Al primo comma è disposto che le nullità relative e quelle di regime intermedio (Escluse quelle assolute) non possono essere dedotte ne da chi vi ha dato o concorso a darvi causa ne da chi non ha interesse all’osservanza della disposizione violata. Al secondo comma invece è posto un limite temporale in quanto è previsto che la nullità deve essere eccepita prima del compimento dell’atto o se non è possibile, immediatamente dopo quando la parte vi assiste. Negli altri casi invece deve essere eccepita entro i termini previsti dagli artt. 180 e 181 comma 2, 3 e 4. L’art. 182 non pone limiti di legittimazione alla deducibilità delle nullità assolute, tenuto conto della particolare rilevanza dei vizi sanzionati, a differenza invece delle nullità intermedie e relative. L’art. 183 disciplina le sanatorie generali delle nullità. Le nullità sono sanate attraverso la tradizionale acquiescenza ossia quando la parte interessata ha rinunciato espressamente ad eccepirle o ha accettato gli effetti dell’atto. La seconda ipotesi di sanatoria segue il cd. Principio del raggiungimento dello scopo, in considerazione del fatto che l’atto anche se invalido, ha ugualmente espletato la sua funzione. Se la parte si è avvalsa di esercitare la facoltà preordinata dall'atto omesso o nullo. Esempio: difensore abbia regolarmente presentato i motivi di appello contro la sentenza di primo grado. In tal caso non può contestare la mancata notificazione dell’avviso di deposito della sentenza stessa. L’articolo apre con una clausola di salvezza riferibile alle nullità assolute che sono insanabili. L’art. 184 prevede una sanatoria speciale che scatta nei confronti del pubblico ministero, delle parti private e dei difensori. La comparizione deve essere personale e volontaria quindi quella del difensore non funge da sanatoria rispetto a quella dell’imputato e non opera come sanatoria l’accompagnamento coattivo. Se la parte che è stata invalidamente citata o avvisata a comparire, compare ugualmente o rinuncia, esercita la facoltà che l’atto era preordinato a produrre, cioè quella di consentirgli di partecipare al procedimento. Gli effetti della dichiarazione di nullità La nullità di un atto rende invalidi gli atti consecutivi che dipendono da quello dichiarato nullo (c.d. principio della nullità derivata). Il giudice che dichiara la nullità di un atto ne dispone la rinnovazione, qualora sia necessaria e possibile. .La dichiarazione di nullità comporta la regressione del procedimento allo stato o al grado in cui è stato compiuto l`atto nullo, salvo che sia diversamente stabilito. Capitolo 3 – Le prove Oggetto della prova Con l’art. 187 si sancisce che non ogni conoscenza può essere oggetto di prova, ma solo quelle utili all’accertamento del fatto e alle ulteriori questioni connesse. Viene enunciato il principio di pertinenza della prova in base al quale la prova serve per accertare l’esistenza di determinati fatti considerati rilevanti ai fini della decisione. L’art. 187 del codice di procedura penale, stabilisce che sono oggetto di prova i fatti che si riferiscono all’imputazione, alla punibilità e alla determinazione della pena o della misura di sicurezza. Sono anche oggetto di prova, i fatti dai quali dipende l’applicazione di norme processuali, nonché, se vi è costituzione di parte civile, i fatti che riguardano la responsabilità civile che deriva dal reato. E' utile effettuare un'ulteriore distinzione relativa alle prove dirette e a quelle indirette: le prime hanno lo scopo di provare un determinato fatto oggetto di prova (ad es. la testimonianza di chi ha assistito direttamente ad un furto), mentre quelle indirette definite anche indiziarie hanno lo scopo di provare un fatto che attraverso un ragionamento logico consente di desumere il fatto oggetto di prova (ad. es. la testimonianza di chi ha visto il presunto ladro di autoradio con una autoradio in mano vicino ad un'auto). Prove atipiche e garanzie per la libertà morale della persona L’art. 189 tratta riguardo le prove non disciplinate dalla legge. Quando si ha a che fare con una prova non riconducibile a nessuna delle figure probatorie legislativamente predeterminate, spetterà al giudice il potere di decidere se la medesima possa trovare 41 ingresso in sede processuale. Essa deve risultare idonea ad assicurare l’accertamento dei fatti e non deve pregiudicare la libertà morale della persona. Si tratta in quest’ultimo caso dell’applicazione del principio secondo cui non possono essere utilizzati, neppure con il consenso della persona interessata tecniche o metodi probatori idonei ad influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti. Diritto alla prova e criteri di ammissione Alle parti è riconosciuto il diritto alla prova, che rappresenta un aspetto essenziale del diritto di difesa. Tale diritto compendia essenzialmente il potere positivamente riconosciuto a ciascuna delle parti di: a) ricercare le fonti di prova; b) chiedere l’ammissione del relativo mezzo; c) partecipare alla sua assunzione; d) proporre una valutazione del risultato al momento delle conclusioni. Il diritto alla prova si manifesta, innanzitutto, nel diritto di ricercare le fonti di prova e di ottenerne l’ammissione: l’art. 190 c. 1 c.p.p. prevede infatti che “le prove sono ammesse a richiesta di parte. Il giudice provvede senza ritardo con ordinanza escludendo le prove vietate dalla legge e quelle che manifestamente sono superflue o irrilevanti” Il potere di ammissione della prova compete invece al giudice che, nel suo concreto esercizio, deve attenersi ai seguenti criteri: a) la prova deve essere pertinente, cioè riguardare l’esistenza del fatto storico indicato nell’imputazione, o comunque uno dei fatti indicati nell’art. 187 c.p.p.; b) la prova non deve essere vietata dalla legge (v. art. 220 c.p.p.); c) la prova non deve essere superflua, cioè sovrabbondante, ossia convergere verso l’acquisizione al processo di un medesimo risultato conoscitivo cui mirano una pluralità di altri mezzi di prova, in quanto, in siffatti casi, la sua assunzione sarebbe inutile; d) la prova deve essere rilevante, tale cioè che il suo probabile risultato sia idoneo a dimostrare l’esistenza del fatto da provare. Tale disposizione, dunque, plasma e limita in maniera decisa il potere che compete al giudice in ordine alla ammissione dei mezzi di prova: la prova pertinente deve fare ingresso nel processo, a meno che non sia manifestamente superflua o irrilevante, ovvero si ponga in contrasto con un esplicito divieto legale; la presenza dell’avverbio manifestamente sta dunque a significare che, in caso di dubbio sull’utilità o la rilevanza di una prova, il giudice ha il dovere di disporne l’ammissione, risolvendosi la sua valutazione in una mera verifica di segno negativo. Il giudizio di ammissibilità non investe pertanto l’attendibilità della prova, riservata al momento successivo della valutazione. Quegli stessi criteri di cui si è appena detto dovranno guidare il giudice anche nel provvedere sulla eventuale revoca delle ordinanze ammissive, laddove, in ragione delle sopravvenute acquisizioni probatorie, gli sviluppi dell’istruttoria rendano manifestamente inutile o irrilevante la prova precedentemente ammessa. In questi casi, tuttavia, la revoca del provvedimento è subordinata al fatto che siano state “sentite le parti in contraddittorio” (190 c. 3 c.p.p.). Il principio dispositivo, cui mostra di ispirarsi il codice di procedura penale con l’art. 190 c.p.p., risulta tuttavia temperato dal riconoscimento di poteri di iniziativa probatoria officiosi, a carattere integrativo, esercitabili dal giudice nelle ipotesi in cui il quadro probatorio introdotto dalle parti impedisca al processo di assolvere al meglio la sua funzione di accertamento (si vedano in particolare gli artt. 422 c. 1, 441 c. 5 e 507 c.p.p.) L’area di incidenza dei principi espressi nell’art. 190 risulta estendersi per tutto l’arco del procedimento. Prove illegittimamente acquisite e sanzione di inutilizzabilità L’art. 191 mira a riaffermare il principio di legalità della prova: solo le prove acquisite in modo conforme alle previsioni di legge possono essere utilizzate ai fini della corretta formazione del convincimento del giudice. Tale nozione non riguarda solo le prove oggettivamente vietate dalla legge, ma anche quelle formate o acquisite in violazione di 42 dell’esistenza del segreto. Qualora il segreto sia confermato e per la definizione del processo risulti essenziale la conoscenza di quanto coperto dal segreto di stato, il giudice dichiara non doversi a procedere per l’esistenza del segreto di stato. Comunque, se entro 30 giorni dalla notificazione della richiesta non si riceve conferma dal Presidente del Consiglio dei ministri, l’autorità giudiziaria acquisisce la notizia e provvede per l’ulteriore corso del procedimento. Resta la possibilità per il giudice di ricorrere ad altri strumenti di prova, purché gli stessi non incidano sul medesimo oggetto. Nel caso sia stato confermato il Segreto di stato e l’autorità giudiziaria non condivida l’opposizione del segreto potrà decidere di sollevare il conflitto di attribuzioni nei confronti del Presidente del Consiglio dinnanzi la Corte Costituzionale. La procedura di controllo da parte della consulta sarà oggetto di specifica analisi ma è necessario evidenziare che in nessun caso il segreto di Stato è opponibile alla Corte Costituzionale. Se nel corso dell’esame un testimone rende dichiarazioni contraddittorie incomplete o contrastanti con le prove già acquisite, il presidente o il giudice glielo fa rilevare rinnovandogli l’obbligo di dire la verità. Possono verificarsi due casi: il caso in cui il testimone si rifiuta di deporre, allora il giudice trasmette immediatamente gli atti al pm; il caso in cui dichiara il falso dove il giudice trasmette gli atti al pm dopo la definizione della fase processuale dove è coinvolto il testimone. L’esame delle parti A differenza della testimonianza, che per il teste è attività doverosa, l’esame delle parti è un mezzo di prova che si assume su base volontaria: la parte privata non può essere sottoposta ad esame se non ne fa richiesta o non vi consente. Una volta manifestata la volontà ad essere esaminati, la parte perde la possibilità di esercitare la strategia del silenzio. All’esame delle parti si applicano le disposizioni riguardati l’oggetto e i limiti della testimonianza (Art. 194), il non obbligo a deporre su fatti dai quali potrebbe emergere una sua responsabilità penale (Art. 198 c.2) e tutte le regole previste per l’esame testimoniale e se è esaminata una parte diversa dall’imputato anche le regole riguardanti la testimonianza indiretta. Non è esplicitamente prevista la facoltà di non rispondere ma si stabilisce che dell’eventuale rifiuto di rispondere venga fatta menzione nel verbale. Nel dibattimento, le persone imputate in un procedimento connesso a norma dell’art. 12, c. 1 lett a), nei confronti delle quali si procede o si è proceduto separatamente e che non possono assumere l’ufficio di testimone, sono esaminate su richiesta di parte o in caso di testimonianza indiretta (Art. 195), anche d’ufficio. Le similitudini rispetto alla prova testimoniale si limitano all’obbligo di presentazione e al potere del giudice di ottenerne, con l’assistenza della forza pubblica, la presenza in dibattimento. L’imputato di reato connesso o collegato, essendo parte, sebbene in un separato processo, ha la facoltà di non rispondere; inoltre non ha, al contrario del testimone, l’obbligo di dire la verità, pertanto non è tenuto a prestare giuramento. Viene esaminato con l’assistenza di un difensore.  È un mezzo di prova, che può essere attivato solo nel dibattimento o nell'incidente probatorio. Esso consiste nella raccolta delle dichiarazioni rese da una persona in qualità di parte processuale. L'esame non costituisce un obbligo per le parti, ma solo una facoltà. Pertanto, dal suo eventuale rifiuto non possono trarsi deduzioni sfavorevoli. È condotto dalle altre parti. La parte esaminata (es. l'imputato) non ha obbligo di veridicità, ma, avendo accettato di sottoporsi all’esame, è tenuta a rispondere a tutte le domande salvo quelle da cui potrebbe emergere una sua responsabilità penale. Il rifiuto di rispondere a talune domande è suscettibile di valutazione probatoria sfavorevole. Fa eccezione la parte civile che assume le vesti e gli obblighi del testimone allorché essa, oltre ad essere titolare di una situazione propria sostanziale, è a diretta conoscenza dei fatti oggetto dell'imputazione penale sui quali è in grado di testimoniare. Ai sensi dell'art. 503 l'esame si svolge nel 45 seguente ordine: prima la parte civile, poi il responsabile civile, la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria ed, infine, l'imputato. Le domande (esame) vengono poste per primo dal difensore o P.M. che ha richiesto la prova; successivamente le altre parti possono porre domande (controesame). Nel corso dell'escussione le parti possono procedere alle contestazioni. Confronti, ricognizioni ed esperimenti giudiziali I confronti sono ammessi solo fra persone già esaminate o interrogate quando vi è disaccordo fra esse su fatti o circostanze importanti. La funzione propulsiva è attribuita al giudice il quale richiamate le precedenti dichiarazioni ai soggetti tra i quali deve svolgersi il confronto, chiede loro se le confermano o le modificano, invitandoli alle reciproche contestazioni. Nel verbale viene fatta menzione delle domande rivolte al giudice, delle dichiarazioni rese dalle persone messe a confronto e di quanto altro è avvenuto durante il confronto. La ricognizione è un mezzo di prova basato sul ricordo o una precedente esperienza del soggetto chiamato ad effettuare il riconoscimento; esso è disposto e controllato dal giudice. Il legislatore ha circondato l’atto di particolari cautele tracciandone una analitica disciplina delle procedure preliminari, volte a scongiurare ogni distorsione e comunque, ad offrire al giudice informazioni utili per la corretta valutazione della prova. Sia nel caso dei confronti che delle ricognizioni, è innegabile che la persona chiamata a compiere l’atto Quanto all’esperimento giudiziale è un mezzo di prova attraverso il quale viene riprodotta una situazione collegata ai fatti dell’imputazione, sulla base di una descrizione delle parti o dei testimoni o di una supposizione del giudice. È ammesso quando occorre accertare se un fatto possa essere avvenuto in un determinato modo. (artt. 218-219). La perizia L’art. 220 disciplina l’istituto, collocato tra i mezzi di prova, della perizia la quale è ammessa quando occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazione che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche per la verifica del tema di prova. La perizia viene esclusa su determinati oggetti come ad esempio il carattere e la personalità dell’imputato, le qualità psichiche quindi la perizia psicologia e criminologica. Per quanto riguarda la nomina del perito, esso viene scelto tra gli scritti negli appositi albi o tra persone fornite di particolare competenza nella disciplina. Il giudice può disporre perizia collegiale quando le indagini e le valutazioni risultano di notevole complessità o comunque richiedono distinte conoscenze in differenti discipline. Il perito ha l’obbligo di prestare il suo ufficio salvo che ricorra uno dei motivi di astensione previsti dall’art. 36. Non può inoltre prestare ufficio il minorenne, interdetto, inabilitato ecc. ulteriore limite è posto nei casi di rinnovazione di perizia già dichiarata nulla dove il giudice cura che il nuovo incarico sia affidato ad altro perito. Quando esiste un motivo di astensione. Il perito ha l’obbligo di dichiararlo in quanto deve essere soggetto che gode di terzietà. Il giudice può disporre anche d’ufficio la perizia con ordinanza motivata contente tra l’altro la nomina e l’enunciazione dell’oggetto delle indagini. L’art. 224bis è stato destinato a disciplinare i provvedimenti del giudice nel caso di perizie che richiedono il compimento di atti idonei ad incidere sulla libertà personale. Vi si prevede che, quando si proceda per delitti di una certa gravità ed è necessario compiere atti idonei a incidere sulla libertà personale quale prelievo dei capelli, di saliva, e manchi il consenso della persona interessata, il giudice può disporne con ordinanza l’esecuzione coattiva se risulta indispensabile per la prova dei fatti. Per quanto riguarda lo svolgimento delle operazioni peritali, esse non potranno contrastare con i divieti di legge ne potranno mettere in pericolo la vita, l’integrità, fisica o la salute e nemmeno provocare sofferenze. Concluse le formalità di conferimento dell’incarico il perito procede ai necessari accertamenti e risponde ai quesiti con parere raccolto nel verbale. Se per la complessità, il perito non ritiene di poter dare immediata risposta, può chiedere un termine al giudice. Quando non ritiene di concedere il termine, il giudice provvede alla sostituzione del perito, 46 altrimenti fissa la data non oltre 90 giorni entro il quale il perito dovrà dare risposta. Il termine qualora sia prorogato non può superare i 6 mesi. Il perito può essere autorizzato ad assistere all’esame delle parti e all’assunzione di prove e anche di servirsi di ausiliari di sua fiducia per lo svolgimento di attività materiali. È consentito che raccolga informazioni dall’imputato, dall’offeso o da altre persone precisando che gli elementi così acquisiti potranno essere utilizzati solo ai fini della perizia. La perizia viene solitamente raccolta in una relazione scritta. La figura del consulente tecnico assiste le parti in tutte le loro attività ed esercita diritti e facoltà riconosciute dalla legge. I consulenti hanno un rapporto interno con la parte per prestarle adeguata collaborazione e un rapporto esterno nei confronti del giudice. Non può essere nominato consulente tecnico chi si trova nelle condizioni di incapacità, minore età ecc. Il consulente tecnico può essere nominato dalle parti una volta disposta la perizia e questi possono presentare al giudice richiesta, osservazioni e riserve. Nel corso delle operazioni i consulenti possono proporre al perito specifiche indagini e formulare osservazioni. Tuttavia anche quando non è stata disposta perizia, ciascuna parte può nominare consulenti tecnici il quali possono esporre al giudice propri pareri anche presentando memorie ai sensi dell’art. 121. (vedi art. 223). La prova documentale Ai sensi dell’art.134 è consentita l’acquisizione di scritti o di altri documenti che rappresentino fatti, persone o cose mediante la fotografia o altro mezzo. La norma chiarisce che per l’ammissione della prova documentale è necessario che il documento risulti formato materialmente fuori dal processo, ma non necessariamente prima del procedimento e che l’oggetto della documentazione attenga al contesto del fatto oggetto del processo. Quindi la prova documentale è una prova precostituita e non lo è quella formatasi nel procedimento in corso. Viene innanzitutto ammessa l’acquisizione dei documenti necessari al giudizio sulla personalità dell’imputato e della persona offesa quali certificati del casellario giudiziale, della documentazione esistente presso uffici del servizio sociale e quelli di sorveglianza, delle sentenze irrevocabili di giudici italiani e sentenze straniere riconosciute. Per quanto riguarda i documenti costituenti corpo del reato essi devono essere acquisiti qualunque sia la persona che li abbia formati o li detenga. Per i documenti provenienti dall’imputato è permessa l’acquisizione d’ufficio anche se sequestrati presso altri o da altri prodotti. 3. Ai fini della relativa verifica, il documento è sottoposto al riconoscimento da parte delle parti e dai testimoni mentre per i documenti anonimo è prescritto che gli stessi non possono essere acquisiti a meno che non costituiscano corpo del reato o provengono comunque dall’imputato. (art. 240 c.1). Per quanto riguarda i documenti, i supporti che contengono conversazioni, intercettazioni illegalmente formati o acquisiti, il Pm deve disporne l’immediata secretazione e la custodia in luogo protetto. Una volta acquisiti i documenti, gli atti e i supporti, viene fatta richiesta al giudice di distruzione entro 48 ore. Il legislatore, garantendo l’art. 15 Cost. riguardo la inviolabilità della libertà e della segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, limitabili solo per atto motivato dell’autorità giudiziaria e con le dovute garanzie stabilite dalla legge, ha inteso apprestare adeguate misure di contrasto alla acquisizione e detenzione illegale e alla indebita diffusione di contenuti e dati relativi ad intercettazioni illecitamente effettuate, in funzione di una più efficace tutela di beni aventi rilevanza costituzionale, quali la libertà, la segretezza delle comunicazioni e il diritto alla riservatezza. Quanto alla falsità dei documenti, è stabilito che il giudice dopo la definizione del procedimento debba informare il PM qualora ritenga falsi i documenti. Il nuovo codice non 3 Per la sua intrinseca attitudine probatoria, il documento che costituisca corpo del reato deve essere acquisito al processo (attraverso il normale canale del sequestro giudiziario: artt. 253 ss.) qualunque sia la persona che lo abbia formato o che lo detenga. Si pensi, ad esempio, alla videocassetta contenente il film osceno o alla scrittura nella quale si è concretata la diffamazione: indipendentemente dall’identità (che potrebbe, allo stato, anche essere ignota) di chi lo abbia formato e a prescindere dal soggetto che lo detenga, il documento (nel quale è incorporato un estremo essenziale del fatto-reato) deve essere coercitivamente appreso al processo. 47 intercettazioni del flusso di comunicazioni relativo a sistemi informatici o telematici. In considerazione della particolare invasività di tale mezzo di prova, è consentito il suo utilizzo solo per reati di maggior rilevanza o per reati la cui prova può essere captata solo con l’intercettazione (Es. molestie telefoniche). L’art. 266 quindi definisce in primis i limiti oggettivi entro i quali deve ritenersi ammissibile l’intercettazione. Per quanto riguarda le intercettazioni ambientali, ossia quella tra presenti si può procedere attraverso appositi strumenti di ascolto. Tuttavia, in via generale, nei luoghi di domicilio tale intercettazione è consentita solo se vi risulti in corso di svolgimento l’attività criminosa. L’art. 267 disciplina i presupposti e le forme del provvedimento relativo alle operazioni di intercettazione. Di regola l’intercettazione può essere disposta dal PM a seguito dell’autorizzazione del giudice per le indagini preliminari il quale provvederà con decreto motivato quando in presenza di gravi indizi di reato le intercettazioni risultano indispensabili. Nei casi di urgenza dove cioè il ritardo provocherebbe gravi pregiudizi alle indagini, si ammette che l’iniziativa di disporre l’intercettazione possa venire direttamente assunta dal PM con decreto il quale dovrò poi essere convalidato entro 48 ore. Il decreto del PM che dispone l’intercettazione indica le modalità e la durata delle operazioni la quale non può superare i 15 giorni prorogabile dal giudice per altri 15 giorni. Una disciplina particolare è dettata con riferimento alle indagini relative ai delitti di criminalità organizzata o al delitto di minaccia telefonica. Quando l’intercettazione risulta necessaria per lo svolgimento delle indagini, essa può essere autorizzata dal giudice anche solo in presenza di sufficienti indizi di reato. La durata è allungata rispetto ai termini ordinari a 40 giorni prorogabile per altri 20. Quando poi si tratta di conversazione tra presenti sempre nell’ambito di delitti di criminalità organizzata l’operazione può essere autorizzata e disposta anche quando non vi è motivo di ritenere che nei luoghi predetti si stia svolgendo attività criminosa. Solo l’uso del del captatore informatico rimane circoscritto a quando previsto dal 266 comma 2bis. Il PM deve annotare in un apposito registro riservato tutti i decreti che abbiano disposto, autorizzato, convalidato o prorogato le intercettazioni, i tempi. Queste operazioni devono essere compiute per mezzo degli impianti installati nella procura eccetto in alcuni casi. L’art. 268 stabilisce che le comunicazioni intercettate siano sempre registrate e che nel verbale venga trascritto anche sommariamente il loro contenuto. È fatto divieto di trascrivere nel verbale le comunicazioni o conversazioni a diverso titolo irrilevanti. Dopo la scadenza del termine stabilito per lo svolgimento delle operazioni, i verbali e le registrazioni sono immediatamente trasmessi a PM che può anche disporre il differimento della loro trasmissione per il tempo occorrente all’ufficiale di polizia per consultarne le risultanze a fini investigativi, in caso di indagini complesse. I verbali e le registrazioni sono conservati in un apposito archivio riservato presso l’ufficio del PM che ha chiesto ed eseguito le intercettazioni e sono coperti da segreto. Al GIP e ai difensori dell’imputato è in ogni caso consentito l’accesso all’archivio e all’ascolto senza estrarne copia. Entro 5 giorni dalla conclusione delle operazioni, il PM deposita le annotazioni, i verbali e le registrazioni e l’elenco delle comunicazioni che reputa rilevanti, dandone avviso ai difensori affinché ne prendano cognizione. Entro i successivi 5 giorni il PM deve presentare al giudice la richiesta di acquisizione delle intercettazioni depositate e i difensori avranno la facoltà di chiedere l’acquisizione delle intercettazioni secondo loro rilavanti e l’eliminazione delle parti superflue o per cui è vietata la trascrizione. Ai sensi dell’art. 268quater, il giudice trascorsi 5 giorni dalla presentazione delle richieste, con ordinanza dispone l’acquisizione delle intercettazioni richieste. Egli filtra nuovamente le intercettazioni escludendo quelle manifestatamente irrilevanti. Con l’ordinanza di acquisizione viene meno il segreto: gli atti vengono inseriti nel fascicolo delle indagini e solo a questo punto i difensori possono estrarne copia mentre le intercettazioni escluse, quindi non acquisite tornano nell’archivio privato. 50 Può verificarsi il caso in cui le intercettazioni debbano essere utilizzate prima della conclusione delle operazioni e comunque prima che vengano formalmente acquisite dal giudice e ciò accade a fronte di una richiesta di applicazione di una misura cautelare. A tutela della riservatezza soprattutto nell’ordinanza cautelare, siano riportati i brani essenziali delle comunicazioni o conversazioni intercettate. Una volta eseguita la misura cautelare, l’ordinanza va depositata in cancelleria La documentazione delle intercettazioni non acquisite deve essere di regola conservata nell’archivio riservato fino al passaggio in giudicato della sentenza in modo da consentirne l’eventuale recupero anche nei gradi di giudizio successivi. Tuttavia, gli interessati possono richiederne la distruzione. I risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza o comunque quando la conversazione o comunicazione costituisca essa stessa corpo del reato. La legge prevede dei divieti di utilizzazione dei risultati come nel caso in cui non siano stati rispettati i limiti di ammissibilità delle intercettazioni, nel caso in cui non siano rispettate regole circa la competenza a disporre le intercettazioni, le prescrizioni del decreto e le modalità previste. È fatto divieto inoltre nel caso in cui le intercettazioni riguardino conversazioni relative a persone vincolate dal segreto professionale e abbiano ad oggetto fatti conosciuti per ragioni del loro ministero, ufficio o professione. In tutti questi casi le intercettazioni sono distrutte. Nel caso in cui invece tutte le regole sono state rispettate ma la documentazione ottenuta da intercettazioni non è necessaria al procedimento, gli stessi soggetti interessati possono richiedere la distruzione e spetterà poi al giudice decidere. Per le intercettazioni casuali dei membri del parlamento, solo qualora il GIP le ritiene rilevanti viene chiesta l’autorizzazione alla camera di appartenenza. Capitolo 4 – Misure cautelari Riserva di legge e riserva di giurisdizione in materia di misure cautelari L’art. 272 sancisce il principio di legalità, la norma dispone infatti che nel rispetto dei diritti costituzionalmente garantiti (libertà personale art. 13), la libertà della persona può essere limitata con misure cautelari soltanto quando è disposto dalla legge. A questa riserva di legge si affianca la riserva di giurisdizione prevista invece dall’art. 279 il quale tratta della competenza funzionale. La competenza a provvedere sull’applicazione, sulla revoca o sulla modifica delle misure cautelari spetta al giudice che procede. Al PM è riconosciuto solo il potere di disporre il fermo di indiziati. I presupposti della probabilità di effettiva consumazione del reato (fumus commissi delicti) e del periculum libertatis L’art. 273 individua al primo comma la presenza di gravi indizi di colpevolezza come condizioni generali di applicabilità delle misure in questione. Con il termine indizio di colpevolezza si indica quegli elementi di prova che inducono a ritenere estremamente probabile che l’imputato sia effettivamente responsabile del fatto contestato. Gli indizi necessari per l’adozione di una misura cautelare non coincidono con quelli necessari per l’eventuale successiva condanna, ma devono lasciare ritenere probabile la colpevolezza dell’imputato. Sono utilizzabili come fonti di prova le dichiarazioni dei coimputati, o di imputati in un procedimento connesso solo se tali dichiarazioni risultano corredate da altri elementi probatori idonei a confermare l’attendibilità, e la testimonianza indiretta solo con indicazione della fonte. Non sono utilizzabili le intercettazioni illegittimamente captate. Nessuna misura può essere applicata se risulta che il fatto è stato compiuto in presenza di una causa di giustificazione, di non punibilità o se sussiste una causa di estinzione del reato (art. 150 e seguenti c.p.) morte del reo, amnistia, remissione) o della pena che potrebbe essere irrogata. L’art. 274 si occupa del periculum libertatis, predeterminando le esigenze cautelari che devono già da sole idonee a giustificare l’adozione delle misure cautelari personali. a) Pericolo di inquinamento delle prove: deve essere concreto e attuale. 51 b) Pericolo di fuga: anche in questo caso il legislatore vuole precisare che il pericolo deve essere concreto e attuale. Le situazioni di concreto e attuale pericolo non possono essere desunte esclusivamente dalla gravità del titolo di reato per cui si procede. c) Commissione di altri reati o recidiva: a tutela della collettività. Il parametro di valutazione dell’esigenza cautelare in questione è rintracciabile nelle specifiche modalità e circostanze del fatto e dalla personalità dell’imputato. Tuttavia le situazioni di concreto e attuale pericolo non possono essere desunte esclusivamente dalla gravità del titolo di reato per cui si procede. È comunque disposta la illegittimità di qualsiasi provvedimento di adozione o di mantenimento delle misure cautelari che risultino finalizzate a conseguire la confessione dell’imputato. Le misure possono quindi essere disposte e mantenute solo quando persistono una delle esigenze disposte dall’art. 274. È sufficiente la presenza di almeno una delle esigenze cautelari. L’esercizio del diritto al silenzio da parte dell’imputato può essere fondamento per l’applicazione della misura cautelare. Principi di adeguatezza e di proporzionalità nella scelta delle misure Una volta accertata la sussistenza di almeno una delle esigenze cautelari descritte dal 274, l’art. 275 detta alcuni criteri fondamentali. Viene innanzitutto enunciato il principio di adeguatezza in forza del quale il giudice, nell’individuare quale misura debba essere disposta, sarà obbligato a tener conto della specifica idoneità di ciascuna, rapportandola alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto con la conseguenza che dovrò essere scelta la misura meno gravosa. A questo si affianca il principio di proporzionalità in base al quale ogni misura deve essere proporzionale all’entità del fatto e alla sanzione che sia stata o si ritiene possa essere irrogata. Il giudice dovrà tener conto non solo dell’attitudine della misura stessa a soddisfare le esigenze cautelari verificate caso per caso, ma anche della sua congruità e gravità del fatto. Il comma 2bis inoltre detta un divieto in capo al giudice di disporre la custodia cautelare in carcere o domiciliare quando ritiene che con la sentenza possa essere concessa la sospensione condizionale della pena. Divieto che opera anche quando il giudice ritiene che all’esito del giudizio, la pena detentiva irrogata non sarà superiore a 3 anni. Vi sono inoltre altri limiti: la custodia in carcere può essere disposta in sostituzione della misura non carceraria quando sono state violate le connesse prescrizioni per quanto riguarda ad esempio gli arresti domiciliari. Può farsi ricorso alla carcerazione quando gli arresti domiciliari non possono essere disposti per mancanza di un luogo idoneo per l’esecuzione o quando si procede per una serie di delitti indicati dalla norma quali ad esempio stalking, furto in abitazione ecc. Il comma 1 bis dell’art. 275 prevede che l’esame delle esigenze cautelari debba essere condotto tenendo conto anche dell’esito del procedimento, delle modalità del fatto e degli elementi sopravvenuti, dai quali possa emergere che, a seguito della sentenza risulta una delle esigenze indicate dal 274 lett. b e c. Secondo quanto disposto dal comma 2 ter il giudice d’appello deve anche d’ufficio adottare i provvedimenti previsti quindi in deroga alla regola generale per cui il giudice procedente applica le misure cautelari su richiesta del PM, nel caso di sentenza di condanna pronunciata in 2 grado, contestualmente alla sentenza il giudice dovrà obbligatoriamente anche senza la richiesta del PM valutare o meno la sussistenza delle esigenze cautelari e degli altri presupposti indicati dallo stesso comma, ed applicare sempre la misura cautelare personale più adeguata. In via generale la custodia in carcere può essere disposta solo quando le altre misure coercitive o interdittive, risultano inadeguate e quindi il ricordo alla carcerazione è una vera e propria extrema ratio. Altre applicazioni del principio di adeguatezza Il comma 4 dell’art. 275 delinea una serie di casi nei quali è vietata l’applicazione della misura carceraria. Ci si riferisce ai casi in cui siano imputati donne incinte, madri con prole 52 La richiesta del PM necessaria ad attivare l’esercizio del potere cautelare del giudice non è però vincolante per quanto concerne la tipologia della misura oggetto della richiesta: il giudice può disporre una misura cautelare meno grave non invece una misura più grave. È infine che previsto dal comma 2bis che il PM possa chiedere al giudice, nell’interesse della persona offesa, l’applicazione delle misure patrimoniali provvisorie. Il procedimento di adozione del provvedimento cautelare non prevede l’instaurazione del contraddittorio, l’unica eccezione è rappresentata dalla sospensione dall’esercizio di un pubblico servizio o ufficio per la quale il codice prescrive al giudice di procedere all’interrogatorio dell’indagato di un delitto contro la PA. Quanto agli aspetti formali del provvedimento del giudice, tra i requisiti del 292 va segnalato quello relativo alla sua motivazione il quale riveste una funzione di garanzia, ponendo le condizioni essenziali per una piena e completa esplicazione del diritto di difesa dell’indagato/ imputato in sede di interrogatorio e di impugnazione del provvedimento. La finalità della riforma sulle misure cautelari è quella di rafforzare l’obbligo di autonoma valutazione da parte del giudice, soprattutto per evitare il rischio che le motivazioni si fondino esclusivamente sulle osservazioni del PM. Si prescrive inoltre la predeterminazione della durata della misura quando questa è stata disposta al fine di garantire l’acquisizione o la genuinità della prova funzionale allo specifico caso in cui le misure sono state disposte per esigenze probatorie. Tra gli obblighi di motivazione rientra anche quello relativo alla scelta della misura carceraria: il giudice deve indicare le specifiche ragioni per cui non ritiene idonea la misura degli arresti domiciliari con le relative procedure di controllo adottabili. Tutti i requisiti stabiliti nell’art. 292 comma 2 sono stabiliti a pena di nullità rilevabile anche d’ufficio. Tale nullità è sottoposta alle regole generali di deducibilità e di sanatoria (Artt. 181-183). L’ordinanza è nulla inoltre se non contiene la valutazione degli elementi a carico e a favore dell’imputato. Gli adempimenti esecutivi e le garanzie difensive Tra gli adempimenti diretti a dare esecuzione alle ordinanze recanti una misura cautelare, dall’art. 293 emergono quelli funzionali a consentire l’esercizio della difesa. In primis, chi di dovere (ufficiale o agente) incaricato di eseguire l’ordinanza, consegna all’imputato copia del provvedimento insieme ad una comunicazione scritta in una comprensibile dall’imputato nella quale sono riportati tutti i diritti di cui gode l’imputato. Le ordinanze che dispongono invece misure diverse dalla custodia cautelare invece sono notificate all’imputato. In ogni caso dopo la loro notificazione o esecuzione, le ordinanze sono depositate nella cancelleria del giudice che le ha emesse insieme alla richiesta del PM e agli atti presentati con la stessa. L’avviso del deposito è notificato al difensore il quale ha diritto di riesame e di copia dei verbali delle comunicazioni ed intercettazioni. Nei confronti del latitante, ossia colui che si sottrae volontariamente alla custodia cautelare, arresti domiciliari, divieto di espatrio, obbligo di dimora, il codice enuncia la regola volta a circoscrivere l’operatività degli effetti dell’ordinanza solo al procedimento penale nel quale è stata dichiarata. Nei confronti dei latitanti l’utilizzo delle intercettazioni di conversazioni e comunicazioni possono essere utilizzate anche per agevolare le ricerche del latitante e allo stesso scopo possono essere effettuate intercettazione di comunicazioni tra presenti quando si tratta di latitanti che abbiano commesso uno dei delitti indicati. Quando è necessario per acquisire rilevanti elementi probatori o è necessario per la cattura dei responsabili dei delitti indicati dalla stessa legge, è ammesso il ritardo dell’esecuzione. Per quanto riguarda le traduzioni ossia le attività di accompagnamento coattivo, da un luogo ad un altro, di soggetti detenuti, internati, fermati, arrestati o comunque in condizione di restrizione della libertà personale oltre a dover essere eseguite, nel tempo più breve possibile, dal Corpo di polizia penitenziaria, con le modalità stabilite dalle leggi, anche adottando ogni opportuna cautela per proteggere le persone da curiosità esterne. L’applicazione delle manette è obbligatoria solo quando lo richiedono determinate circostanze come ad esempio la pericolosità del soggetto. Insieme a questo, agli adempimenti successivi all’esecuzione della misura della custodia cautelare appartiene anche l’istituto dell’interrogatorio dell’indiziato per il quale è 55 competente fino all’apertura del dibattimento, il giudice che ha disposto la misura se non l’ha fatto durante l’udienza di convalida o del fermo dell’indiziato. Interrogatorio della persona in stato di custodia L'Interrogatorio di garanzia è un adempimento che il giudice è tenuto a compiere quando (durante le indagini preliminari o durante l'udienza preliminare o fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento) decide in ordine a una misura coercitiva o restrittiva. Il giudice competente a provvedere all'interrogatorio di garanzia è quello che ha deciso in ordine all'applicazione della misura cautelare. L'interrogatorio di garanzia è sottoposto a termini ben precisi che sono di massimo cinque giorni dall'inizio e dall'esecuzione della custodia in caso di custodia cautelare in carcere e di massimo dieci giorni dall'esecuzione del provvedimento o dalla sua notificazione con riferimento a tutte le altre misure cautelari, sia coercitive che interdittive. Se il pubblico ministero ne fa espressa istanza nella richiesta di custodia cautelare, l'interrogatorio della persona sottoposta a tale misura deve invece avvenire entro il termine di quarantotto ore. La conseguenza del mancato rispetto dei termini sopraindicati comporta come conseguenza la perdita di efficacia della misura cautelare. Chiaramente, le predette tempistiche non riguardano il caso in cui il giudice che ha deciso in ordine all'applicazione della misura cautelare abbia proceduto all'interrogatorio nel corso dell'udienza di convalida dell'arresto o del fermo di indiziato di delitto. Può accadere, in ogni caso, che vi sia un impedimento assoluto a porre in essere l'interrogatorio di garanzia entro i termini previsti dalla legge. In tal caso il giudice deve dare atto dell'impedimento con decreto motivato e il termine inizia nuovamente a decorrere quando gli è comunicata o è comunque accertata la cessazione dell'impedimento. Una particolare disciplina, posta a ulteriore garanzia del diritto di difesa dell'indagato, è prevista nel caso in cui quest'ultimo si trovi in stato di custodia cautelare. Con riferimento a tale ipotesi, infatti, il comma 6 dell'articolo 294 c.p.p. dispone che non è possibile l'interrogatorio da parte del pubblico ministero sino a che non vi sia stato l'interrogatorio di garanzia del giudice. Del resto i due interrogatori hanno due funzioni ben distinte: mentre il primo è volto all'acquisizione di ulteriori elementi probatori ed è quindi "investigativo", l'interrogatorio del giudice è volto a garantire la correttezza formale dell'applicazione della misura cautelare. Attraverso l'interrogatorio di garanzia il giudice è chiamato a valutare la permanenza delle condizioni di applicabilità della misura cautelare e delle esigenze cautelari prevista dagli articoli 273, 274 e 275 del codice di rito. Se ne ricorrono i presupposti, di conseguenza, il giudice può anche disporre la sostituzione della misura disposta o addirittura la sua revoca. L'interrogatorio di garanzia è condotto nel rispetto delle regole generali per l'interrogatorio (art. 64 c.p.p.) e delle norme in materia di interrogatorio nel merito (art. 65 c.p.p.). Ciò vuol dire che l'indagato deve intervenire libero all'interrogatorio anche se si trova in stato di custodia cautelare (pur con l'adozione delle cautele necessarie per prevenire il pericolo di fuga o di violenze) e che non possono essere mai utilizzati, neppure con il consenso dell'interrogato, metodi o tecniche idonei a influire sulla sua libertà di autodeterminazione o ad alterarne la capacità di ricordare e di valutare i fatti. Inoltre, prima dell'inizio dell'interrogatorio, la persona deve essere avvertita che le sue dichiarazioni potranno sempre essere utilizzate nei suoi confronti; che, salvo quanto disposto dall'articolo 66, comma 1, c.p.p., ha facoltà di non rispondere ad alcuna domanda, ma comunque il procedimento seguirà il suo corso e che se renderà dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri, assumerà, in ordine a tali fatti, l'ufficio di testimone, salve le incompatibilità e le garanzie previste dal codice. Per quanto riguarda le norme in materia di interrogatorio nel merito, l'autorità giudiziaria deve contestare all'indagato in forma chiara e precisa il fatto che gli è attribuito, rendergli noti gli elementi di prova esistenti contro di lui e comunicargliene le fonti, se ciò non arreca pregiudizio alle indagini. L'indagato deve quindi essere invitato ad esporre quanto ritiene utile per la sua difesa e deve ricevere le domande direttamente dal giudice. Se rifiuta di rispondere, ne deve essere fatta menzione nel verbale, eventualmente anche riportando i connotati fisici e di eventuali segni particolari della persona. All'interrogatorio di garanzia ha l'obbligo di intervenire anche il difensore al quale, di conseguenza, deve essere dato tempestivo avviso del compimento dell'atto. L'avviso va 56 dato anche al pubblico ministero, che, tuttavia, può decidere liberamente se presenziare o meno. Computo dei termini di durata delle misure Gli effetti della custodia cautelare decorrono dal momento della cattura, arresto o fermo, mentre gli effetti delle altre misure decorrono dal momento della notifica dell’ordinanza. Se nei confronti di un imputato sono emesse più ordinanze che dispongono la medesima misura per uno stesso fatto o per fatti diversi commessi prima dell’emissione della prima ordinanza in relazione ai quali sussiste connessione, i termini decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima ordinanza e sono determinati in base alla violazione più grave. Nel calcolo dei termini della custodia cautelare si tiene conto dei giorni in cui sono tenute le udienze e di quelli impiegati per la deliberazione della sentenza nei giudizi di primo grado e delle impugnazioni solo ai fini della determinazione della durata complessiva della custodia. Se l’imputato è detenuto per un altro reato o internato per misura di sicurezza, gli effetti decorrono dal giorno in cui è notificata l’ordinanza che la dispone, se sono compatibili con lo stato di detenzione o internamento; altrimenti decorrono dalla cessazione di questo.  Il divieto della contestazione a catena è diretto ad evitare che venga dilatata la durata della misura cautelare con l’artificiosa emissione, in tempi diversi, di più ordinanza coercitive per lo stesso fatto o per fatti diversi o connessi, nonostante l’esistenza nel processo, al momento della emanazione del primo provvedimento, di indizi gravi e sufficienti per emanare un’unica ordinanza per tutti i reati. L’art. 298 prevede che l’ordine di carcerazione nei confronti di un imputato sottoposto ad una misura cautelare per un diverso reato, determini la sospensione dell’esecuzione della misura, a meno che gli effetti di questa sono compatibili con l’espiazione della pena. I provvedimenti di revoca e di sostituzione L’istanza di revoca, mira a verificare la sussistenza attuale delle condizioni di applicabilità delle misure, in riferimento sia a fatti sopravvenuti che a fatti originari e contemporanei a seguito magari di una valutazione diversa. Allo stesso modo si ha una sostituzione quando la misura applicata non appare più proporzionata e idonea all’entità del fatto o alla sanzione che si ritiene possa essere irrogata. Sia del provvedimento di revoca che di sostituzione si da comunicazione al difensore della persona offesa qualora hanno ad oggetto delitti commessi con violenza alla persona. Il giudice procede solo dietro richiesta del PM o dell’imputato e vi provvede entro 5 giorni dal deposito della richiesta. Il giudice può procedere d’ufficio in sede di udienza preliminare, o in giudizio. Anche nel corso delle indagini preliminari si ammette che il giudice possa assumere d’ufficio l’iniziativa della revoca o sostituzione quando risulta già investito del procedimento per l’esercizio di uno dei poteri appartenenti alla sua competenza funzionale: in particolare quando assume l’interrogatorio dell’indiziato in stato di custodia cautelare o quando sia richiesto della proroga del termine per le indagini preliminari (Art. 406). Prima di provvedere alla revoca o alla sostituzione, il giudice deve sempre sentire il PM, il quale dovrà esprimere il proprio parere nei giorni successivi. Il giudice prima di provvedere può sottoporre ad interrogatorio della persona sottoposta alla misura. L’interrogatorio diventa doveroso quando è lo stesso imputato a richiederlo e quando l’istanza di revoca o sostituzione è basata su elementi nuovi o diversi rispetto a quelli già valutati. Particolari fattispecie di estinzione automatica delle misure Il fenomeno estintivo della revoca e della sostituzione presuppone un provvedimento giurisdizionale di accertamento sulla carenza o sulla diversa intensità dei relativi presupposti, il codice prevede altre figure di estinzione caratterizzate dall’automatismo degli effetti. Le misure cautelari, in quanto atti inseriti incidentalmente in un altro procedimento, non possono non risentire dell’esito del giudizio. In caso di pronuncia favorevole all’imputato quale l’archiviazione, la sentenza di non luogo a procedere o di proscioglimento, cessano per il venir meno dei gravi indizi di colpevolezza. Le misure cautelari perdono efficacia anche quando la pena irrogata con una sentenza di condanna sia dichiarata estinta o 57 - Nei casi previsti dal comma 2, la sospensione è disposta dal giudice, su richiesta del pubblico ministero, con ordinanza appellabile a norma dell'articolo 310. (Sussistendo i requisiti del comma secondo, la sospensione non opera ex officio, ma solo su richiesta del P.M. e qualora questa manchi si verificherà ex lege il congelamento del corso dei termini di custodia ex art. 297, comma 4, parimenti al caso in cui non venga pronunciato il provvedimento di sospensione) - I termini previsti dall'articolo 303, comma 1, lettera a), sono sospesi, con ordinanza appellabile a norma dell'articolo 310, se l'udienza preliminare è sospesa o rinviata per taluno dei casi indicati nel comma 1, lettere a) e b), del presente articolo. - Le disposizioni di cui alle lettere a) e b) del comma 1, anche se riferite al giudizio abbreviato, e di cui al comma 4 non si applicano ai coimputati ai quali i casi di sospensione non si riferiscono e che chiedono che si proceda nei loro confronti previa separazione dei processi. - La durata della custodia cautelare non può comunque superare il doppio dei termini previsti dall'articolo 303, commi 1, 2 e 3 senza tenere conto dell'ulteriore termine previsto dall'articolo 303, comma 1, lettera b), numero 3bis) e i termini aumentati della metà previsti dall'articolo 303, comma 4, o, se più favorevole, i due terzi del massimo della pena temporanea prevista per il reato contestato o ritenuto in sentenza. A tal fine la pena dell'ergastolo è equiparata alla pena massima temporanea. - Nel computo dei termini di cui al comma 6, salvo che per il limite relativo alla durata complessiva della custodia cautelare, non si tiene conto dei periodi di sospensione di cui al comma 1, lettera b).” Per quanto concerne la sospensione, la norma in esame, dopo aver stabilito la competenza del giudice a provvedere, anche d'ufficio, con ordinanza appellabile, vengono individuate varie situazioni atte a determinarla, tutte relative alla fase del giudizio. Da un lato, come risulta dalla lettera a), vi sono le ipotesi di sospensione o di rinvio del dibattimento per impedimento dell'imputato o del difensore, o dietro richiesta dei medesimi, dall'altro lato, alla lettera b), le ipotesi di sospensione o rinvio del dibattimento per via della mancata presentazione, allontanamento o della mancata partecipazione di uno o più difensori, qualora gli imputati ne rimangano privi di assistenza. A tali ipotesi va aggiunta quella di cui alla lettera c), ossia della sospensione dei termini di custodia, durante la pendenza dei termini di cui all'art. 544 commi 2 e 3 per la redazione differita dei motivi della sentenza. La lettera c) bis si occupa delle medesime situazioni, ma nell'ambito del giudizio abbreviato, mentre il comma 4 in relazione invece all'udienza preliminare. Il comma 5 stabilisce che le ipotesi di sospensione non si applicano all'interno del processo cumulativo, nei confronti dei coimputati cui le medesime ipotesi non si riferiscono, sempreché questi ultimi chiedano che nei loro confronti si proceda previa separazione dei processi. Nei casi di particolare complessità dei dibattimenti e dei giudizi abbreviati relativi ai gravi delitti di cui all'art. 407 comma 2 lett. a), il regime della sospensione può essere esteso anche ai periodi di tempo in cui sono tenute le udienze o si delibera la sentenza nella fase del giudizio. l comma 6 individua un limite, operante su due livelli. In particolare, da un lato, avendo riguardo alla durata della custodia nelle diverse fasi del procedimento, si stabilisce che, anche nelle ipotesi di sospensione dei termini, tale durata non possa in ogni caso superare il doppio dei termini intermedi di cui all'art. 303 commi 1, 2 e 3. Dall'altro lato, avendo riguardo alla durata complessiva della custodia, si stabilisce che la durata non possa comunque superare i termini di cui all'art. 303 comma 4 aumentati della metà, ovvero, quando risulti più favorevole, il tradizionale limite commisurato ai due terzi del massimo della pena temporanea prevista per il reato contestato o ritenuto in sentenza (salva l'equiparazione dell'ergastolo alla pena massima temporanea). Nel computo dei termini di cui sopra, non si tiene conto dei periodi di sospensione di cui al comma 1, salvo che per calcolare il limite della durata complessiva della custodia cautelare (v. art. 303). Provvedimenti adottabili nei confronti dell’imputato scarcerato per decorrenza dei termini All’imputato scarcerato per decorrenza dei termini di custodia possono essere applicate altre misure coercitive se permangono le esigenze cautelari. È però escluso che possa applicarsi la 60 misura degli arresti domiciliari in quanto tale misura è equiparata, negli effetti, alla custodia cautelare. Al fine dell’applicazione della misura occorre una verifica in positivo della persistenza delle condizioni di applicabilità. Le misure coercitive possono essere applicate cumulativamente quando si procede per uno dei delitti specificatamente indicati. La custodia cautelare può tuttavia essere rinnovata se si verificano due situazioni: la prima riguarda l’imputato scarcerato che abbia dolosamente trasgredito alle prescrizioni inerenti ad una delle misure cautelari applicategli sempre che ovviamente sussistano le condizioni richieste dal 274, mentre la seconda riguarda la sopravvivenza a carico dello stesso soggetto di una sentenza di condanna di primo e secondo grado quando sussiste il pericolo di fuga. Con il rispristino i termini relativi alla fase in cui il procedimento si trova, decorrono nuovamente ma ai fini del calcolo del termine complessivo della custodia si tiene conto anche della custodia anteriormente subita. Qualora l’imputato trasgredendo alle nuove misure stia per darsi alla fuga, è previsto che gli ufficiali e gli agenti di polizia possano procedere al suo fermo. Termini di durata massima delle misure cautelari non custodiali Tutte le altre misure coercitive diverse dalla custodia cautelare perdono efficacia quando dall’inizio della loro esecuzione è decorso un periodo di tempo pari al doppio dei termini previsti dal 303. Le misure interdittive invece non possono avere durata superiore a 12 mesi e perdono efficacia quando è decorso il termine fissato dal giudice nell’ordinanza. Qualora si ritenga necessario il giudice può disporne una rinnovazione sempre non superando il limite massimo di 12 mesi. Il procedimento di riesame dei provvedimenti coercitivi dinanzi al tribunale (309 c.p.p.) È un mezzo di impugnazione azionabile unicamente dall’indagato o dal suo difensore, volto a realizzare un controllo di merito sull’ordinanza applicativa di una misura coercitiva. La richiesta di riesame non necessita di esplicitazione di motivi (a differenza dell’appello) e la decisione è ancorata a termini brevi, pena la perdita di efficacia della misura. Il termine infatti è di dieci giorni per l’imputato dalla esecuzione o notificazione del provvedimento e di dieci giorni per il difensore dell'imputato dalla notificazione dell'avviso di deposito dell'ordinanza che dispone la misura. Dal calcolo di questi giorni debbono escludersi i giorni per i quali è stato disposto il differimento del colloquio, a norma dell'articolo 104, comma 3. La richiesta di riesame è presentata nella cancelleria del tribunale in composizione collegiale, del luogo nel quale ha sede la corte di appello o la sezione distaccata della corte di appello nella cui circoscrizione è compreso l'ufficio del giudice che ha emesso l'ordinanza. Il presidente del tribunale in composizione collegiale da immediato avviso all'autorità giudiziaria procedente la quale, entro il giorno successivo, e comunque non oltre il quinto giorno, trasmette al tribunale gli atti su cui si è fondata la richiesta dell’applicazione delle misure insieme a tutti gli elementi sopravvenuti a favore della persona sottoposta alle indagini. (Comma 5) Con la richiesta di riesame possono essere enunciati anche i motivi e l'imputato può chiedere di comparire personalmente. Chi ha proposto la richiesta ha, inoltre, facoltà di enunciare nuovi motivi davanti al giudice del riesame facendone dare atto a verbale prima dell'inizio della discussione. Il procedimento davanti al tribunale si svolge in camera di consiglio nelle forme previste dalla legge. L'avviso della data fissata per l'udienza è comunicato, almeno tre giorni prima, al pubblico ministero presso il tribunale competente e, se diverso, a quello che ha richiesto l'applicazione della misura; esso è notificato, altresì, entro lo stesso termine, all'imputato ed al suo difensore. Fino al giorno dell'udienza gli atti restano depositati in cancelleria, con facoltà per il difensore di esaminarli e di estrarne copia. Entro dieci giorni dalla ricezione degli atti il tribunale, a meno che deve dichiarare l'inammissibilità della richiesta, annulla, riforma o conferma l'ordinanza oggetto del riesame decidendo anche sulla base degli elementi addotti dalle parti nel corso dell'udienza. Il tribunale può annullare il provvedimento impugnato o riformarlo in senso favorevole 61 all'imputato anche per motivi diversi da quelli enunciati o può confermarlo per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento stesso. Il tribunale annulla il provvedimento impugnato se la motivazione manca o non contiene l'autonoma valutazione, a norma dell'articolo 292, delle esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi forniti dalla difesa. Ai sensi del comma 10 dell'art. 309, l'ordinanza che dispone la misura cautelare perde efficacia e "salve eccezionali esigenze cautelari specificamente motivate, non può essere rinnovata": a) se la trasmissione degli atti al Tribunale del riesame non avviene nel termine di 5 giorni dalla richiesta; b) se il dispositivo, ossia la decisione sulla richiesta di riesame non interviene nei 10 giorni successivi alla ricezione degli atti da parte del Tribunale; c) se l'ordinanza del Tribunale, contenente la motivazione, non viene depositata nella cancelleria entro 30 giorni dalla decisione, prorogabili a 45 se la redazione della motivazione risulta complessa a causa della gravità dell'evento e il numero degli arrestati a cui è applicata la misura cautelare. L'ordinanza del tribunale deve essere depositata in cancelleria entro trenta giorni dalla decisione salvi i casi in cui la stesura della motivazione sia particolarmente complessa per il numero degli arrestati o la gravità delle imputazioni. In tali casi, il giudice può disporre per il deposito un termine più lungo, comunque non eccedente il quarantacinquesimo giorno da quello della decisione. Trattandosi di un mezzo di impugnazione che la legge riserva esclusivamente all'imputato/indagato e al suo difensore, il Tribunale competente a decidere non potrà applicare una misura cautelare più afflittiva di quella che è stata irrogata, potendo solo confermare quanto già statuito dal giudice competente. Disciplina dell’appello e del ricorso per cassazione in materia di misure cautelari personali L'art. 310 c.p.p. prevede la misura residuale dell'appello contro le ordinanze non comprese nell'art. 309 c.p.p. ossia quelle di natura interdittiva. Questo mezzo di impugnazione può essere proposto:  dal PM se la sua richiesta di misura cautelare è stata respinta;  dall’imputato e dal suo difensore se è stata applicata una misura interdittiva o se è stata rigettata una richiesta di revoca, modifica, estinzione o sostituzione di una misura cautelare. L'appello cautelare è proponibile dal pubblico ministero, dall'imputato e dal suo difensore contro le ordinanze che dispongono misure cautelari che non possono essere sottoposte a riesame, come le misure interdittive (sospensione dall'esercizio della potestà genitoriale, dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio, divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali o imprenditoriali). In particolare, il PM può proporre appello nei confronti delle ordinanze del G.I.P che rigettano o accolgono in parte le sue richieste. L'appello, diversamente dal riesame è un mezzo d'impugnazione devolutivo che come tale richiede l'enunciazione espressa dei motivi a pena di inammissibilità dell'atto con cui si propone. Attraverso l'indicazione precisa dei motivi si delimita il territorio decisionale del giudice. In sede di appello infatti non è consentito enunciare motivi nuovi nel corso dell'udienza né valutare un oggetto diverso rispetto a quello indicato nell'atto di impugnazione. Il comma 2 dell'art. 310 c.p.p. prevede che al giudizio di appello si applichino le disposizioni di cui ai commi 1, 2, 3, 4 e 7 dell'art. 309 c.p.p. Esso infatti deve esser proposto entro 10 giorni dalla notifica o esecuzione dell'ordinanza che si vuole appellare, presso la cancelleria del Tribunale in composizione collegiale, del luogo nel quale ha sede la Corte di Appello o la sezione distaccata della Corte di Appello nella cui circoscrizione si trova l'ufficio del giudice che ha emanato l'ordinanza. Presentato l'appello deve esserne dato immediato avviso all'autorità giudiziaria procedente che, entro il giorno successivo, trasmette al Tribunale il provvedimento appellato e gli atti su cui si fonda. Come per il riesame, fino al giorno dell'udienza gli atti restano in cancelleria e il difensore può esaminarli ed estrarne copia. Il Tribunale decide in camera di consiglio entro 20 giorni dalla ricezione degli atti con 62 della sentenza di condanna irrevocabile il sequestro viene convertito in pignoramento (art. 320 c.p.p.). La misura cautelare reale del sequestro preventivo è disposto:  con decreto motivato del giudice su richiesta del PM: “Quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati. Prima dell'esercizio dell'azione penale provvede il giudice per le indagini preliminari. Il giudice può altresì disporre il sequestro delle cose di cui è consentita la confisca.”  Con decreto motivato del PM o della Polizia Giudiziaria che va convalidato dal Giudice entro 48 ore quando "nel corso delle indagini preliminari non è possibile, per la situazione di urgenza, attendere il provvedimento del giudice. Il sequestro perde efficacia se non sono osservati i termini previsti dal comma 3-bis (48 ore) ovvero se il giudice non emette l'ordinanza di convalida entro dieci giorni dalla ricezione della richiesta. Copia dell'ordinanza è immediatamente notificata alla persona alla quale le cose sono state sequestrate. Anche i provvedimenti che dispongono le misure cautelari reali sono suscettibili di impugnazione, così come i provvedimenti cautelari personali, mediante il riesame, l'appello e il ricorso per cassazione. Mediante il riesame si può chiedere un controllo del provvedimento di sequestro sia per quando concerne la legittimità sia per quanto concerne il merito ed al relativo procedimento si applicano le norme previste per il riesame delle misure cautelari. Mentre contro l'ordinanza di sequestro conservativo la richiesta di riesame può essere proposta da chiunque vi abbia interesse, contro il decreto di sequestro preventivo la richiesta di riesame può essere proposta dall'imputato e dal suo difensore, dalla persona alla quale le cose sono state sequestrate e da quelle che avrebbe diritto alla loro restituzione. Per quanto concerne l'appello si tratta di un mezzo di impugnazione previsto soltanto contro le ordinanze in materia di sequestro preventivo e contro il decreto di revoca del provvedimento di sequestro emesso dal p.m. L'appello è proponibile dal p.m., dall'imputato e dal suo difensore, dalla persona alla quale le cose sono state sequestrate e da quella che avrebbe diritto alla loro restituzione. Infine, il ricorso per cassazione è proponibile per violazione di legge nei confronti delle ordinanze emesse in sede di riesame e di appello dal p.m., dall'imputato e dal suo difensore, dalla persona alla quale le cose sono state sequestrate e da quella che avrebbe diritto alla loro restituzione. Capitolo 5 – Indagini preliminari e udienza preliminare Finalità e caratteri essenziali La fase delle indagini preliminari allude ad una attività di individuazione e di raccolta di dati utili a stabilire se il processo debba o meno essere instaurato. Dal momento in cui riceve una notizia di reato, il PM è chiamato ad effettuare una scelta: deve decidere se esercitare l’azione penale o avanzare richiesta di archiviazione. Il PM dovrò verificare se la notizia è fondata e se sussistono gli elementi idonei a sostenere l’accusa in giudizio. A tale scopo svolge direttamente o a mezzo della polizia giudiziaria, le indagini preliminari le quali possono concretizzarsi in atti tipici, espressamente previsti e regolati dalle norme del c.p.p., o in presupposti o modalità di svolgimento ed in atti atipici, cioè non previsti dalle norme processuali purchè utili per le determinazioni inerenti all’esercizio penale. A norma dell’art. 327, il PM dirige le indagini e dispone direttamente della polizia giudiziaria che, anche dopo la comunicazione della notizia di reato, continua a svolgere attività di propria iniziativa secondo le modalità indicate nei successivi articoli. Il segreto sugli atti di indagine Per impedire la conoscenza degli atti investigativi compiuti dal PM e dalla polizia giudiziaria possa pregiudicare l’attività di individuazione e raccolta degli elementi necessari per 65 l’esercizio dell’azione penale, si impone che i soggetti che partecipano e che concorrono alla formazione degli atti siano tenuti all’obbligo del segreto. Il segreto riguarda gli atti di indagine compiuti dal PM e dalla polizia giudiziaria, le richieste del PM di autorizzazione al compimento di atti di indagine e gli atti del giudice che provvedono su tali richieste. Il segreto cade ogni volta che l’imputato può o deve venire a conoscenza dell’atto e ciò avviene ad esempio quando per la formazione dell’atto è necessaria la sua presenza, o perché semplicemente per legge rientra tra gli atti che debbono essere conosciuti da lui e dal suo difensore. Lo stesso articolo 329 il quale al comma 1 dispone il segreto, nei commi successivi prevede delle possibilità di deroga al regime di segretezza. Quando è necessario per la prosecuzione delle indagini, il PM può consentire con decreto motivato la pubblicazione di singoli atti o parte di essi esempio è la pubblicazione di identikit per dare impulso alle indagini. Il 3 comma prevede una duplice ipotesi: sempre che sia necessario per la prosecuzione delle indagini, il PM può prorogare con decreto motivato, il segreto su singoli atti anche quando l’imputato lo consente o quando la conoscenza dell’atto può ostacolare le indagini riguardanti altre persone o può disporre un divieto di pubblicare il contenuto di singoli atti o notizia specifiche. Il segreto si mantiene comunque a norma del comma 1 fino alla chiusura delle indagini preliminari. I diritti della difesa e il ruolo delle parti private I difensori ai sensi dell’art. 327-bis, possono svolgere investigazioni per ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito fin dal momento dell’assunzione dell’incarico che può essere conferito in ogni stato e grado del procedimento. L’esigenza di dare attuazione ad uno dei fondamentali principi del cd. Giusto processo, ossia parità tra accusa e difesa nella vicenda processuale (Art. 111 Cost.) ha portato al legislatore a contrapporre ai tradizionali strumenti investigativi a disposizione del magistrato inquirente, finalizzati all’accertamento della responsabilità penale, la facoltà del difensore di svolgere indagini nell’interesse del proprio assistito. La stessa collocazione della norma (art. 327bis) sottolinea simbolicamente il ruolo da protagonista nelle indagini preliminari riconosciuto dal codice anche al difensore. Il difensore tramite mandato può essere abilitato a svolgere indagini anche prima che si insaturi un procedimento penale e per la mera eventualità che ciò avvenga (attività investigativa preventiva). Il difensore può procedere alle investigazioni personalmente o conferire un apposito incarico ad un sostituto o ad investigatori privati e ai soggetti chiamati a collaborare con il difensore sono riconosciute le stesse garanzie di libertà. Gli investigatori privati però è imposto il rispetto di particolari requisiti al fine di garantire professionalità e il corretto esercizio dell’attività. Il ruolo del giudice per le indagini preliminari Il GIP interviene su richiesta del PM, delle parti private e della persona offesa dal reato ed esclusivamente nei casi previsti dalla legge. Tra i suoi compiti principali vi sono poteri di controllo in ordine a decisioni incidenti sulle libertà fondamentali, sui diritti alla proprietà e alla disponibilità dei beni. Il giudice per le indagini preliminari esplica una funzione di garanzia e di controllo. Egli interviene inoltre quando è necessario tutelare il diritto di difesa come ad esempio compiere accertamenti sulla capacità dell’imputato, autorizzare il difensore a conferire, ricevere dichiarazioni o assumerle da persone detenuta nel corso delle indagini difensive. Ha poteri di controllo sui tempi di svolgimento delle indagini, sui presupposti per il loro ulteriore sviluppo e soprattutto un controllo sulla legittimità dell’attività del pubblico ministero. Una funzione di garanzia sulle libertà fondamentali, sui diritti di proprietà e disponibilità dei beni, sull’inviolabilità del domicilio e della riservatezza, sulla tutela del diritto di difesa. Le funzioni attribuite al GIP sono preordinate a garantire l’indagato nella fase delle indagini preliminari, e tra i suoi provvedimenti più importanti c’è l’ordinanza per applicare una misura cautelare su richiesta del Pubblico Ministero. 66 Il giudice per le indagini preliminari non esercita di regola un potere decisionale dato che il suo giudizio è soltanto quello che introduce al processo (fase processuale). Opera come soggetto munito di poteri giurisdizionali se le parti si orientano verso una procedura alternativa al dibattimento. Egli è chiamato a definire il processo quando: il PM chiede il decreto penale di condanna, le parti si accordano per il patteggiamento, l’imputato richiede di giudizio abbreviato, imputato richiede la sospensione della pena con messa alla prova. Il giudice per le indagini preliminari è competente ad accogliere o rigettare la richiesta di archiviazione avanzata dal pubblico ministero; è necessario un vaglio del gip per un controllo giurisdizionale sull’operato del PM, nel rispetto del principio di obbligatorietà dell’azione penale. Nell’ambito di indagini relative ad un reato per cui procede la DDA (direzione distrettuale antimafia) le funzioni del giudice sono svolte dal GIP presso il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente. Per le stesse indagini le funzioni del PM sono svolte dal Procuratore Distrettuale Antimafia. Inoltre, dopo l’esercizio dell’azione penale, anche le funzioni di giudice dell’udienza preliminare GUP devono essere svolte da un magistrato del tribunale del capoluogo. Avvio del procedimento: la notizia di reato Il procedimento prende avvio a seguito dell’acquisizione di una notizia di reato. Il PM e la polizia giudiziaria prendono notizia dei reati di propria iniziativa e ricevono le notizie di reato presentate o trasmesse attraverso notizie qualificate quindi definite nel codice: - Denuncia da parte di pubblici ufficiali e incaricati di pubblico servizio: sono sottoposti ad obbligo di denuncia qualora ne abbiano notizia nell’esercizio o a causa delle loro funzioni o servizio. Tra i pubblici ufficiali sono ricompresi anche i magistrati i quali se nel corso di un procedimento amministrativo o civile emerge un fatto nel quale può configurarsi un reato perseguibile d’ufficio, l’autorità che precede redige e trasmette senza ritardo la denuncia al PM. La denuncia, redatta per iscritto e se proveniente da più persone anche in un unico atto, deve contenere gli elementi essenziali del fatto, il giorno dell’acquisizione del fatto e le fonti di prova già note. - Denuncia da parte di privati presentata oralmente o per iscritto, personalmente o a mezzo di un procuratore speciale. Le denuncia anonime non possono essere utilizzate salvo quanto disposto dall’art. 240. - Referto: è la notizia di reato proveniente dai soggetti che esercitano una professione sanitaria, i quali abbiano prestato la loro opera in casi che possano configurare delitto perseguibile d’ufficio. Al di fuori di queste, la notizia può derivare da qualsiasi fonte che si palesi alle autorità competenti anche nell’attività loro riconosciuta di prendere notizia di reati di propria iniziativa. Ricadono nelle ‘notizie non qualificate’ tutti gli eventi idonei a prospettare la possibilità di commissione di un reato. L’agente o l’ufficiale di polizia giudiziaria ha l’obbligo di comunicare qualora abbia notizia di un reato. Al contrario il magistrato addetto all’ufficio della procura fuori dall’esercizio delle sue funzioni, ha facoltà di segnalarli al titolare dell’ufficio. Iscrizione della notizia di reato nel registro (Art. 335) La notizia di reato deve essere iscritta in un apposito registro non appena viene acquisita dal PM o a questo sia comunicata. Il PM ha il compito di iscrivere immediatamente ogni notizia di reato anche quando risulta contro ignoti e allo stesso spetta il compito di aggiornarla qualora muti la qualificazione giuridica del fatto o risulta diversamente circostanziato. La giurisprudenza ha individuato un possibile rimedio all’assenza di una sanzione in caso di inottemperanza all’obbligo di iscrizione prospettando l’eventualità di una retrodatazione dell’inizio del termine di durata delle indagini tutte le volte che viene accertata la tardiva iscrizione. Nel caso in cui il PM si trovi dinnanzi una pseudo-notizia di reato questa dovrà essere iscritta in un diverso registro. 67 gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant'altro possa servire per l'applicazione della legge penale [347-357 c.p.p.]. Svolge ogni indagine e attività disposta o delegata[131, 370 c.p.p.; att. 77] dall'autorità giudiziaria. Le funzioni indicate nei commi 1 e 2 sono svolte dagli ufficiali e dagli agenti di polizia giudiziaria.” Da quanto emerge dal primo comma, i compiti che debbono essere svolti dalla polizia giudiziaria dono molteplici: innanzitutto devono apprendere le notizie di reato e portarle a conoscenza del pubblico ministero (si veda l'art. 347 c.p.p.); evitare che i reati causino ulteriori conseguenze (funzione repressiva), svolgere attività investigativa per risalire agli autori del reato (si veda l'art. 348 c.p.p.) e assicurano le fonti di prova. Possono quindi provvedere, ove ne sussistono i presupposti ad effettuare arresti in flagranza o fermo di indiziato, nonchè a compiere sequestro del corpo del reato e delle cose a questo pertinenti, accertamenti o rilievi sullo stato dei luoghi e delle cose. Sebbene la polizia giudiziaria abbia il dovere di far rispettare la legge impedendo che i reati e le loro conseguenza siano protratte o causino ulteriori danni, essa è comunque vincolata dalla legge circa le modalità e la tipologia di atti che può compiere nel rispetto di quest'ultima. Anche quando la polizia agisce dietro impulso del pubblico ministero o del giudice che li autorizza a compiere determinati atti, si tratta comunque di poteri che già spettano alla polizia giudiziaria, ma la cui esecuzione è ordinata dall'autorità giudiziaria. Art. 348 c.p.p.: “Anche successivamente alla comunicazione della notizia di reato [347], la polizia giudiziaria continua a svolgere le funzioni indicate nell'articolo 55 raccogliendo in specie ogni elemento utile alla ricostruzione del fatto e alla individuazione del colpevole. Al fine indicato nel comma 1, procede, fra l'altro: a) alla ricerca delle cose e delle tracce pertinenti al reato nonché alla conservazione di esse e dello stato dei luoghi [352, 353, 354]; b) alla ricerca delle persone in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti [351]; c) al compimento degli atti indicati negli articoli seguenti. Dopo l'intervento del pubblico ministero, la polizia giudiziaria compie gli atti a essa specificamente delegati a norma dell'articolo 370, esegue le direttive del pubblico ministero ed inoltre svolge di propria iniziativa, informandone prontamente il pubblico ministero, tutte le altre attività di indagine per accertare i reati o richieste da elementi successivi emersi e assicura le nuove fonti di prova. La polizia giudiziaria, quando, di propria iniziativa o a seguito di delega del pubblico ministero, compie atti od operazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, può avvalersi di persone idonee le quali non possono rifiutare la propria opera.” L’attività di investigazione svolta dalla Polizia Giudiziaria di propria iniziativa si colloca all’inizio delle indagini preliminari, a decorrere dal momento in cui la Polizia Giudiziaria ha acquisito la notizia di reato e consiste nella raccolta di ogni elemento utile alla ricostruzione del fatto (c.d. fonti di prova) ed alla individuazione del colpevole (art. 348 comma 1 c.p.p.), procedendo sia alla ricerca e conservazione delle cose e delle tracce pertinenti al reato (c.d. fonti di prova reali) sia alla ricerca di persone in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti (c.d. fonti di prova personali) nonché al compimento di atti specificamente indicati (artt. 340-354 c.p.p.). L'attività di investigazione può consistere nel compimento di «atti tipici» di indagine, espressamente disciplinati dal Codice (ad esempio, le perquisizioni artt. 247 – 252, 352; le sommarie informazioni dall’indagato e da altre persone artt. 350 e 351), e di «atti atipici» (o informali) e cioè quella attività che, pur non essendo espressamente disciplinata dal codice, non è da questo vietata e anzi rientra nelle regole della buona tecnica di indagine. Dopo l’intervento del PM, la polizia deve compiere gli atti ad essa delegati ed eseguire le direttive. Comunque la polizia continua a svolgere di propria iniziativa tutte le altre attività di indagine per accertare i reati o le indagini richieste da elementi successivamente emersi e 70 assicura le nuove fonti di prova. L’unico limite riguarda l’obbligo di informare prontamente il PM. Identificazione della persona sottoposta alle indagini e delle altre persone L’art. 349 disciplina la prima attività tipica della polizia giudiziaria, ossia quella di procedere alla identificazione delle persone indagate e di quelle in grado di riferire circa l'andamento dei fatti. Quando procede alla identificazione, la polizia giudiziaria deve osservare innanzitutto le disposizioni di cui all'art. 66, invitando cioè il soggetto a dichiarare le proprie generalità e quant'altro possa valere a identificarlo, ammonendo l'indagato circa le conseguenze per il rifiuto o per il mendacio; lo invita inoltre ad eleggere il proprio domicilio per le notificazioni ex art. 161. Alla identificazione dell'indagato può procedersi anche, ove occorra, tramite rilievi dattiloscopici, fotografici e antropometrici, nonché ad altri accertamenti. Tali atti devono ad ogni modo compiersi senza pregiudizi per la libertà personale diversi da quelli consistenti nella momentanea ed eventuale immobilizzazione dell'individuo al fine di fotografare o misurare. A tale regola fa eccezione il prelievo di materiale biologico finalizzato alla tipizzazione genetica dell'indagato. Se manca il consenso,, la p.g. Procede coattivamente, previa autorizzazione del pubblico ministero (oppure resa in forma orale e poi confermata per iscritto). Il comma 4 tratta del c.d. fermo identificativo. Se l'indagato o la persona a conoscenza di circostanze utili rifiuta di farsi identificare ovvero fornisce generalità o documenti di identificazione in relazione ai quali sussistono sufficienti elementi per ritenerne la falsità, la polizia giudiziaria la accompagna nei propri uffici e ivi la trattiene per il tempo strettamente necessario per la identificazione e comunque non oltre le dodici ore ovvero, previo avviso anche orale al pubblico ministero, non oltre le ventiquattro ore, nel caso che l'identificazione risulti particolarmente complessa oppure occorra l'assistenza dell'autorità consolare o di un interprete. In tal caso il soggetto può chiedere di avvisare un familiare o un convivente. Tuttavia, per ovvie ragioni di tutela della libertà personale del soggetto, del fermo identificativo deve essere dato avviso immediato al pubblico ministero, il quale, se non ritiene che sussistano i presupposti, ne ordina il rilascio. L’assunzione di sommarie informazioni L'assunzione di sommarie informazioni6 da parte della persona indagata compiuta dagli ufficiali di polizia giudiziaria (non da semplici agenti) è subordinato alla sussistenza dei medesimi requisiti previsti per l'interrogatorio delegato di cui all'art. 370 comma 1, ossia: - stato di libertà dell'indagato; - obbligatoria presenza del difensore. Le sommarie informazioni sono assunte con le modalità e con gli avvertimenti previsti dall'art. 64. Non è invece prevista l'applicabilità dell'art. 65, il che sta a significare che l'ufficiale procedente non è tenuto a contestare all'indagato il fatto addebitatogli e a rendergli noti gli elementi di prova a suo carico. A differenza "dell’interrogatorio delegato", l’assunzione delle sommarie informazioni dalla persona sottoposta alle indagini, non prevede la contestazione all’indagato del fatto che gli è attribuito e le indicazioni degli elementi di prova esistenti a suo carico né lo invitano ad esporre quanto ritiene utile alla propria difesa (art. 65 c.p.p.). Le informazioni così assunte possono essere utilizzate in dibattimento per le contestazioni ai sensi dell’art. 503 al fine di valutare la credibilità delle dichiarazioni rilasciate in quel contesto. Atto tipico di investigazione "indiretta", mediante il quale gli Ufficiali di polizia giudiziaria, nella immediatezza o sul luogo del fatto, assumono notizie e indicazioni utili ai fini della immediata prosecuzione delle indagini, dalla persona indagata anche se arrestata o fermata e non può avvalersi dell’assistenza tecnica di un difensore. L’atto è legittimamente compiuto anche senza la presenza del difensore. 6 Dichiarazioni rilasciate, durante un interrogatorio su iniziativa dell'ufficiale di polizia, dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini e per questo soggette a precise garanzie: rispetto delle modalità previste dall'art. 64, stato di libertà dell'indagato e obbligatoria presenza del difensore (art. 350). La polizia giudiziaria può poi assumere sommarie informazioni anche dai potenziali testimoni ex art. 351. 71 Trattasi di dichiarazioni "sollecitate" dalla Polizia Giudiziaria (assunte) nella immediatezza cronologica del fatto, anche in luogo diverso dalla sua commissione (ad esempio in Ufficio), o sul luogo del reato, anche se non nella immediatezza della sua consumazione. Tali particolari circostanze di luogo o tempo legittimano l'assunzione dell'atto anche in mancanza del difensore ed anche nei confronti di indagati in stato di arresto. Queste sono inutilizzabili processualmente, servono solo per proseguire le indagini. La polizia può infine ricevere dichiarazioni spontanee dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini durante le quali la legge sembrerebbe non prevedere le garanzie dell’art. 64 o l’assistenza difensiva. Sono dichiarazioni che l’indagato rende di sua iniziativa senza che siano stimolate da domande o contestazioni degli inquirenti. Sono pienamente utilizzabili nelle indagini, nell’udienza preliminare e nei riti quali il patteggiamento, il rito abbreviato mentre nel dibattimento sono utilizzabili solo per le contestazioni. Oltre che dalla persona sottoposta alle indagini (v. art. 350), la polizia giudiziaria può assumere informazioni anche dai potenziali testimoni, ossia da persone che possono riferire circostanze utili ai fini delle indagini. A tale atto investigativo, oltre ad applicarsi le disposizioni concernenti la testimonianza (artt. 197 – 203), segue l'obbligo del testimone di rispondere secondo verità alle domande a lui rivolte, con la precisazione, che, non esistendo nel nostro ordinamento una fattispecie penale ad hoc per le false informazioni alla polizia giudiziaria, il testimone potrà, sussistendone i presupposti, rispondere solamente dei reati di favoreggiamento o calunnia. L'art. 381 comma 4 bis vieta tuttavia l'arresto in flagranza del testimone per reati concernenti il contenuto delle dichiarazioni. Per quanto concerne il valore probatorio delle informazioni e delle dichiarazioni, esse possono essere usate per le contestazioni ex art. 500 ed è inoltre consentito darne lettura nel caso di irrepetibilità sopravvenuta non prevedibile. Inoltre, la polizia giudiziaria può altresì assumere informazioni da persone imputate in un procedimento connesso o imputate in un reato collegato a quello per cui si procede nei casi di cui all'articolo 371 comma 2 lett. b). In tale caso, l'ufficiale di polizia giudiziaria deve informare, prima dell'inizio dell'interrogatorio, che il dichiarante potrà assumere l'ufficio di testimone assistito nei casi previsti dall'art. 64. Da ultimo, il comma 1 ter, al fine di tutelare soggetti particolarmente deboli ed al fine di escludergli inutili patimenti, prevede che per i reati elencati il funzionario si avvalga dell'ausilio di un esperto in psicologia o psichiatria infantile o comunque di un esperto qualificato, e che sia fatto il possibile per evitargli di rendere più volte sommarie informazioni.  RICORDA: sono fonti di prova e non prove Perquisizioni, accertamenti urgenti, acquisizione di plichi Nell'espletamento delle indagini talvolta devono essere compiute determinate attività connotate dall'urgenza, al fine di non compromettere l'esito degli accertamenti investigativi. L’art. 352 disciplina le perquisizioni, sia personali che locali, le quali possono essere eseguite dagli ufficiali di polizia giudiziaria (e nei casi di particolare urgenza anche dai semplici agenti) anche in assenza di un preventivo decreto del pubblico ministero, in due casi: - in flagranza di reato o in caso di evasione, quando si ha fondato motivo di ritenere che sulla persona si trovino occultate cose o tracce pertinenti al reato che possono essere cancellate o disperse o che tali cose o tracce si trovino in un determinato luogo o che in tale luogo si trovi la persona indagata o l'evaso; - quando si deve procedere alla esecuzione di un'ordinanza che dispone la custodia cautelare o la carcerazione nei confronti di un imputato o di un condannato per i gravi delitti di cui all'art. 380 o al fermo di una persona indiziata di delitto sempre che vi siano particolari motivi di urgenza che non consentano l'emissione di un tempestivo decreto di perquisizione; - nella flagranza di reato o nei casi di cui al punto precedente, per conservare o impedire l'alterazione di sistemi informatici o telematici, qualora vi sia motivo di ritenere che contengano tracce o dati pertinenti al reato. Per quanto concerne la perquisizione domiciliare, la norma opera una deroga ai normali limiti temporali di cui all'art. 251, quando il ritardo può pregiudicarne l'esito. 72 Il prelievo coattivo di campioni biologici e le indagini genetiche Nel caso in cui vi sia la necessità di procedere ad accertamenti che comportino il prelievo di capelli o di saliva e manchi il consenso dell'interessato, il comma 2bis dell'art. 349 dispone che la polizia giudiziaria provveda al prelievo in maniera coattiva, previa autorizzazione scritta o orale del pubblico ministero, nei soli casi in cui l'accertamento risulti assolutamente indispensabile per la prova dei fatti. Quando non vi è urgenza il p.m. deve preventivamente ottenere l'autorizzazione del giudice per le indagini preliminari, che dispone gli accertamenti tramite ordinanza, se ricorrono i presupposti. Qualora invece vi sia urgenza e quando vi è fondato motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare un pregiudizio grave ed irreparabile per le indagini, il p.m. può comunque procedere con decreto motivato provvedendo a disporre l’accompagnamento coattivo se la persona da sottoporre alle operazioni non si presenta senza addurre un legittimo impedimento o dispone l’esecuzione coattiva delle operazioni, se la persona rifiuta di sottoporvisi. In tal caso il p.m. deve richiedere entro quarantotto ore la convalida del decreto al giudice per le indagini preliminari, il quale a sua volta è tenuto a provvedere entro quarantotto ore tramite ordinanza. Il comma 3 bis, sorto per dare concreta attuazione ai nuovi reati di omicidio stradale e di lesioni stradali colpose (artt. 589 bis e 590 c.p.), le operazioni di accertamento dello stato di ebbrezza alcolica o di alterazione correlata all'uso di stupefacenti possono essere compiute ed autorizzate anche oralmente (ma poi comunque confermate per iscritto) qualora vi sia fondato motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare un grave ed irreparabile pregiudizio per le indagini. Appare chiaro come in questi casi vi sia una particolare urgenza, determinata dal fatto che con il passare del tempo scende il tasso alcolemico o il tasso di presenza di sostanza stupefacente nel sangue. Gli ufficiali di polizia giudiziaria procedono ad ogni modo all'accompagnamento dell'interessato presso il più vicino ospedale al fine di sottoporlo al necessario prelievo o accertamento e si procede all'esecuzione coattiva delle operazioni se la persona rifiuta di sottoporvisi. Del decreto e delle operazioni da compiersi è data tempestivamente notizia al difensore dell'interessato, che ha facoltà di assistervi, senza che ciò possa comportare pregiudizio nel compimento delle operazioni. Entro le quarantotto ore successive, il pubblico ministero richiede la convalida del decreto e degli eventuali ulteriori provvedimenti al giudice per le indagini preliminari, che provvede al più presto e comunque entro le quarantotto ore successive, dandone immediato avviso al pubblico ministero e al difensore. In ogni caso il dato conoscitivo ottenuto deve essere comparato con altro profilo da compiersi avvalendosi di elementi emersi nell’ambito dello stesso procedimento o ricorrendo alle risorse della banca dati. Assunzione di informazioni e l’individuazione di persone e di cose Il pubblico ministero può raccogliere informazioni dalle persone in grado di riferire circostanze utili ai fini delle indagini attraverso le forme previste dall’art. 362. È un atto di indagine omologo alla testimonianza ma utilizzabile solo nelle indagini preliminari e solo nei casi di contestazione o di irripetibilità sopravvenuta anche nel dibattimento. Parallelamente alle dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria (v. art. 350), anche alle informazioni rese al p.m. si applicano le norme in materia di incompatibilità a testimoniare, testimonianza assistita, obblighi del testimone, facoltà di astensione dei prossimi congiunti e segreti (artt. rispettivamente da 197 sino a 203). Tuttavia, a differenza della ipotesi di false informazioni alla polizia giudiziaria, per cui non è previsto un autonomo titolo di reato, ma solamente la configurabilità del favoreggiamento personale o reale, il rifiuto di rispondere o il mendacio o la reticenza nei confronti del p.m. sono perseguibili penalmente ai sensi dell'art. 371 bis c.p. Da ultimo, il comma 1 bis, al fine di tutelare soggetti particolarmente deboli ed al fine di escludergli inutili patimenti, prevede che per i reati elencati il pubblico ministero si avvalga dell'ausilio di un esperto in psicologia o psichiatria infantile o comunque di un esperto 75 qualificato, e che sia fatto il possibile per evitargli di rendere più volte sommarie informazioni. L’art. 362 disciplina in particolare l'interrogatorio di persone imputate in un procedimento connesso a norma dell'art. 12 e le persone imputate in un reato collegato a quello per cui si procede di cui all'art. 371 comma 2 lett. b). Tale interrogatorio segue la disciplina dell'art. 210, il che significa: - che del dichiarante può essere disposto l'accompagnamento coattivo; - che al dichiarante va garantita l'assistenza difensiva; - che il dichiarante ha facoltà di non rispondere e di ciò deve essere avvertito; - che se il dichiarante è imputato o indagato di reato connesso ex art. 12lett. c) o di reato collegato ex art. 371 comma 2 lett. b) e non ha precedentemente reso dichiarazioni concernenti responsabilità dell'indagato, il p.m. lo deve avvertire che potrebbe assumere le vesti di testimone assistito ex art. 197 bis. Tra gli atti di natura dichiarativa rientra anche l’istituto dell’individuazione di persone o di cose disciplinato dall’art. 361. La norma disciplina l'individuazione di persone, di cose o di quanto altro possa essere oggetto di percezione sensoriale (ad es. odori o voci). Tale fonte di prova può essere utilizzata quando sia necessaria per l'ulteriore prosecuzione delle indagini, presentando o sottoponendo in immagine ciò che deve essere riconosciuto dal soggetto interpellato. Dal punto di vista strutturale l'atto investigativo in esame corrisponde ad una ricognizione (artt. 213 – 217), da cui tuttavia si differenzia perché può essere effettuata anche in assenza del difensore dell'indagato ed in maniera informale. In un'ottica di bilanciamento dell'assenza di particolari formalità, l'atto di individuazione presenta una valenza meramente investigativa e propulsiva delle indagini preliminari. Il parallelismo con la disciplina della ricognizione si scorge chiaramente anche dal terzo comma, tramite cui si prescrive che se vi è fondata ragione di ritenere che la persona chiamata alla ricognizione possa subire intimidazione o altra influenza dalla presenza di quella sottoposta a ricognizione, il giudice dispone che l'atto sia compiuto senza che quest'ultima possa vedere la prima. Interrogatorio della persona sottoposta alle indagini  Il nostro sistema processuale distingue nettamente l’esame dell’imputato dall’interrogatorio della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato stesso, essendo il primo collocato tra il mezzi di prova (artt. 208-210 c.p.p.), il secondo disciplinato dagli artt. 64-65, nonché da altre disposizioni riferite, comunque, a contesti diversi dall’udienza dibattimentale. Nella fase delle indagini preliminari, procede ad interrogatorio dell’indagato tanto il pubblico ministero, che il giudice per le indagini preliminari, nonché la polizia giudiziaria – su delega – nei confronti di chi si trovi a piede libero mediante invito a presentarsi (ove, poi, la persona non vi ottemperi, si noti che l’accompagnamento coattivo può essere disposto solo a seguito di autorizzazione del giudice). Il pubblico ministero è libero di scegliere il momento in cui procedere a interrogatorio, salvo che l’indagato sia sottoposto a custodia cautelare, poiché in tal caso l’interrogatorio del giudice deve precedere quello del pubblico ministero. Il pubblico ministero è anche libero di non procedervi nel corso delle indagini, potendo egli formulare richiesta di archiviazione senza sentire le parti. Ai sensi dell’art. 415 bis, se il pubblico ministero non intende presentare richiesta di archiviazione, deve notificare all’indagato e al suo difensore, alla scadenza del termine di durata delle indagini preliminari, un avviso di conclusione delle medesime, il quale deve contenere, tra altro, l’avvertimento che l’indagato ha la facoltà, entro 20 giorni, di presentarsi per rilasciare dichiarazioni o chiedere di essere interrogato. Il pubblico ministero deve, in tal caso, procedere all’interrogatorio e all’inosservanza di tale prescrizione, nonché di quella relativa alla notifica dell’avviso ex art. 415 bis, segue una nullità a regime intermedio della richiesta di rinvio a giudizio o del decreto di citazione diretta giudizio. L’indagato comunque ha facoltà di presentarsi al PM per rilasciare dichiarazioni spontanee e di fronte alla richiesta di essere sentito il PM potrà: o raccogliere quanto l’indagato 76 dichiarerà oppure potrà contestare il fatto e convertire il colloqui in un atto equivalente per ogni effetto all’interrogatorio che dovrà svolgersi di conseguenza secondo quanto disposto dagli artt. 64 e 65 e con le garanzie difensive dettate dall’art. 364. Qualora invece è il PM a voler sentire di propria iniziativa l’indagato, dovrà inviare un invito a presentarsi e disporre su autorizzazione del giudice se necessario, l’accompagnamento coattivo. L’invito il cui contenuto è stabilito dalla legge, dovrà essere consegnato almeno 3 giorni prima di quello fissato per la comparizione. Documentazione degli atti della polizia giudiziaria e del PM Sia la polizia giudiziaria che il pubblico ministero sono tenuti a documentare la propria attività di indagine nel momento stessa in cui essa viene svolta ovvero al più tardi in un momento immediatamente successivo, qualora ricorrano insuperabili circostanze, da indicarsi nello specifico, che impediscano la documentazione contestuale. La documentazione dell'attività di polizia giudiziaria è demandata agli stessi ufficiali ed agli agenti di polizia, mentre la documentazione degli atti del pubblico ministero è attribuita all'ufficiale di polizia giudiziaria o all'ausiliario che assiste il magistrato. Ai sensi del comma 6 dell’art. 373, l'atto documentato è nullo qualora vi sia incertezza assoluta sulle persone intervenute o se manca la sottoscrizione del pubblico ufficiale che lo ha redatto. Gli atti di maggiore importanza come le denunce, le querele, le ispezioni, l’interrogatorio dell’indagato, gli accertamenti tecnici, vengono di regola documentati tramite verbale, con le modalità di cui al titolo III, Libro II. Per quanto riguarda invece la documentazione delle altre attività di indagine preliminare del p.m., si può redigere verbale in forma riassuntiva. Per contro, tutte le attività non rientranti nel detto elenco possono essere semplicemente annotate secondo le modalità precisate dall'articolo 357. Per quanto riguarda invece la documentazione delle altre attività di indagine preliminare del p.m., si può redigere verbale in forma riassuntiva. Per contro, tutte le attività non rientranti nel detto elenco possono essere semplicemente annotate secondo le modalità precisate dall'articolo 357. Sia le annotazioni della polizia giudiziaria che quelle del PM devono rispettare alcuni parametri contenutistici, e dunque devono contenere l'indicazione dell'ufficiale o dell'agente di polizia giudiziaria che ha compiuto le attività di indagine, del giorno, dell'ora e del luogo in cui sono state eseguite e la enunciazione succinta del loro risultato. Le misure precautelari 8 Le misure precautelari, così come definite dalla dottrina, assumono un ruolo di rilevante importanza nel codice di procedura panale e si configurano come istituti che consentono la provvisoria restrizione della libertà personale. Nel titolo VI del libro V del codice sono disciplinati: l’arresto in flagranza, il fermo e l’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare. Tali provvedimenti rappresentano una deroga alla riserva di giurisdizione (precedono qualsiasi valutazione giurisdizionale) e sono riconducibili a casi eccezionali di necessità e d’urgenza indicati tassativamente dalla legge. Le misure precautelari sono destinate a decadere se non convalidate, attraverso una procedura assistita da rigide cadenze temporali. Arresto e fermo, al fine di sottolinearne la natura ibrida, vengono tradizionalmente definiti come misure pre-cautelari, e condividono le regole procedurali di cui agli articoli 386 e seguenti, oltre al fatto che sono consentiti solamente per determinati reati (considerati necessari destinatari di differente tutela). In un'ottica di necessario bilanciamento con la natura pre-cautelare dell'arresto e del fermo, l'art. 385 stabilisce comunque il principio secondo il quale essi non sono consentiti allorché, tenuto conto delle circostanze, appaia che il fatto stato commesso nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima ovvero in presenza di una causa di non punibilità (v. artt. 50 e ss. c.p.). 8 Arresto e fermo non sono misure cautelari, bensì misure pre-cautelari. Cosa significa? In pratica, mentre le misure cautelari vere e proprie devono essere disposte obbligatoriamente dall’autorità giudiziaria con ordinanza, le misure pre-cautelari, come suggerisce il nome, intervengono ancor prima delle misure cautelari e, pertanto, non necessitano di un provvedimento del giudice. 77 per il passaggio di consegne al pm, il quale rivolge al giudice le richieste per l’esecuzione del provvedimento. All’arrestato o al fermato deve essere consegnata una comunicazione scritta contenetene: la facoltà di nominare un difensore di fiducia e di essere ammesso al patrocinio a spese dello stato nei casi previsti dalla legge, diritto di ottenere informazioni in merito all’accusa, diritto all’interprete e alla traduzione degli atti fondamentali, diritto di avvalersi della facoltà di non rispondere, diritto ad accedere agli atti sui quali si fonda l’arresto o il fermo, diritto di essere condotto davanti all’autorità giudiziaria per la convalida entro novantasei ore dall’avvenuto arresto o fermo, diritto di comparire davanti al giudice per rendere l’interrogatorio e di proporre ricorso per cassazione contro l’ordinanza che decide sulla convalida dell’arresto o del fermo. La polizia giudiziaria con il consenso dell’arrestato o del fermato deve senza ritardo dare notizia ai familiari dell’arresto o del fermo, devono informare immediatamente il difensore di fiducia eventualmente nominato o quello d’ufficio designato dal pubblico ministero. L’arrestato viene posto a disposizione del PM, al più presto e non oltre le ventiquattro ore dall’arresto o dal fermo. Nel medesimo termine deve essere trasmesso il relativo verbale contenente l’eventuale nomina del difensore di fiducia, l’indicazione del giorno, dell’ora e del luogo in cui l’arresto o il fermo è stato eseguito, l’enunciazione delle ragioni che lo hanno determinato, la menzione dell'avvenuta consegna della comunicazione scritta o dell'informazione orale fornita al fermato o all'arrestato. Il comma 7 del 386 sancisce l'inefficacia della misura, e quindi il dovere di rilasciare immediatamente l'arrestato o il fermato (o di permettere il rientro nel proprio domicilio all'allontanato, anche se probabilmente il giudice emetterebbe subito un'ordinanza cautelare al fine di tutelare la persona offesa convivente), qualora non venga rispettato il tempo di cui al comma 3 (24 ore) per mettere il soggetto a disposizione del pubblico ministero. Una volta che sia stato eseguito l'arresto o il fermo, il P.M. è gravato di alcuni precisi poteri e doveri (artt. 388-390 c.p.p.), ovverosia: - interrogare l’arrestato o il fermato, dandone tempestivo avviso al difensore, informandolo del fatto per cui si procede e delle ragioni che hanno determinato il provvedimento e comunicandogli gli elementi a suo carico e, se non può derivarne pregiudizio per le indagini, le fonti; - disporre con decreto motivato la liberazione dell’arrestato o del fermato a) se risulta che l’arresto o il fermo sono stati eseguiti per errore di persona o fuori dei casi previsti dalla legge; b) se l’arresto o il fermo sono divenuti inefficaci perché l’arrestato o fermato non è stato messo a disposizione del P.M. e il verbale dell’atto non è stato trasmesso a costui entro 24 ore dall’arresto o fermo oppure perché lo stesso P.M. entro 48 ore dall’arresto o fermo non ha chiesto la convalida al giudice; c) se ritiene di non dover chieder al giudice l’applicazione all’arrestato o fermato di una misura coercitiva; Se non ne ordina la liberazione, Il PM entro quarantotto ore dall’arresto o dal fermo dovrà chiedere la convalida al giudice per le indagini preliminari, competente in base al luogo dove l’arresto o il fermo è stato eseguito. Successivamente, nel caso in cui non partecipi all’udienza di convalida in quanto è una sua facoltà, potrà trasmettere al giudice le richieste in ordine alla libertà personale con gli elementi su cui le stesse si fondano. Il giudice (GIP) fissa l’udienza di convalida entro le 48 ore successive dandone avviso sia al PM che al difensore e all'arrestato o fermato già liberato. L’udienza si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria del difensore dell’arrestato o del fermato o di un suo sostituto nominato dal giudice se non reperito o non comparso. Il giudice provvede anche a dare o a completare la comunicazione o l'informazione al fermato o all'arrestato, laddove esse non siano state adeguatamente date in sede di arresto o fermo. Il P.M., se comparso (presenza facoltativa del P.M.), indica i motivi dell’arresto o del fermo e formula le richieste in ordine all’applicazione di misure cautelari. Il G.I.P. interroga l’arrestato o il fermato, se comparso, ed il suo difensore. A questo punto il G.I.P. può: - convalidare con ordinanza (c.d. ordinanza di convalida) l’arresto o il fermo quando risultino legittimamente eseguiti ed osservati i termini per mettere a disposizione del 80 P.M. l’arrestato/fermato, trasmettere il verbale e richiedere la convalida delle misure adottate. - non convalidare l’arresto o il fermo. In entrambi i casi l’ordinanza è impugnabile con ricorso per cassazione sia dall’arrestato/fermato (nel caso di convalida) sia dal P.M. (nel caso di mancata convalida). In ogni caso l’arresto o il fermo cessano di avere efficacia se l’ordinanza di convalida non è pronunciata o depositata nelle 48 ore successive al momento in cui l’arrestato o il fermato sono stati posti a disposizione del giudice. Poiché l’ordinanza di convalida attiene solo al controllo giurisdizionale sull’atto privativo di libertà operato dalla P.G. o dal P.M. ma non vale a legittimare l’ulteriore protrazione dello stato di arresto o fermo, se il G.I.P. non dispone anche l’applicazione di una misura coercitiva deve in ogni caso ordinare l’immediata liberazione dell’arrestato/fermato. Pertanto, sia nell’ipotesi di mancata convalida che in quella di convalida non seguita dall’irrogazione di una misura coercitiva, il G.I.P. dovrà disporre la liberazione dell’arrestato/fermato. Ovviamente nel caso di mancata convalida potrebbe avere come conseguenza una eventuale riparazione per ingiusta detenzione. L’assistenza del difensore agli atti di indagine del PM e della polizia giudiziaria L’art. 364 offre una serie di garanzie difensive alla persona sottoposta alle indagini, operando un bilanciamento tra esigenze investigative ed il diritto ad usufruire della necessaria assistenza difensiva tecnica. Il difensore ha facoltà di assistere all’atto con il relativo diritto di essere preavvertito nel momento in cui la polizia giudiziaria procede alla raccolta di sommarie informazioni dell’indagato. Le sommarie informazioni sono assunte con la presenza del difensore. Per quanto riguarda invece l’attività condotta dal PM, il difensore deve essere avvisato senza ritardo degli accertamenti tecnici che dovranno svolgersi mentre nei casi in cui si dovrà procedere ad interrogatorio, ispezione, individuazione di persone o confronto l’avviso è dato almeno 24 ore prima del compimento degli atti. Il termine può essere non rispettato nei casi in cui vi sia assoluta urgenza, quando vi sia fondato motivo di ritenere che il ritardo possa pregiudicare il buon esito delle operazioni. In tali ipotesi, il p.m. può procedere anche prima del termine fissato, dandone tempestivo avviso al difensore. Qualora proceda ad ispezione e vi sia pericolo che le tracce o gli altri effetti materiali del reato possano venire alterati il legislatore ha stabilito una ulteriore deroga, prevedendo che il PM possa addirittura omettere l'avviso, specificando a pena di nullità i motivi della deroga e le modalità dell'avviso Ad ogni modo, in tutti i casi enucleati, il difensore ha sempre la facoltà di intervenire, a prescindere dalla sussistenza o meno dell'avviso. Tra gli atti a iniziativa della polizia giudiziaria rientrano le perquisizioni, accertamenti urgenti su luoghi, cose e persone, sequestri e l’immediata apertura di plichi sigillati. Tra gli atti invece compiuti dal PM nel procedere ad esempio a perquisizione o a sequestro, è tenuto a chiedere alla persona sottoposta alle indagini se vuol essere assistita. La legge infine non prevede nessun diritto di assistere all’assunzione di informazioni da persone a conoscenza di notizie utili, all’interrogatorio dell’imputato in un procedimento connesso. Il difensore che non abbia assistito all’atto può comunque accedere alla sua documentazione e esaminarla e di estrarne copia. Acquisizione di notizie dalle persone informate su i fatti Il difensore, sin dal momento del conferimento dell'incarico professionale, ha facoltà di svolgere investigazioni al fine di ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito (art. 327 bis). L'indagine difensiva può inoltre essere svolta anche dal sostituto, da investigatori privati autorizzati e, quando siano necessarie specifiche competenze, da consulenti tecnici. Per quanto concerne più da vicino l'acquisizione di notizie da fonti dichiarative, il difensore ed il suo sostituto possono scegliere fra tre modalità operative: 81 - possono limitarsi ad acquisire notizie utili a fini investigativi tramite un colloquio non documentato con le persone in grado di riferire notizie utili. Tale approccio informale è consentito anche agli investigatori ed ai consulenti tecnici; - possono richiedere ai potenziali testimoni di rilasciare una dichiarazione scritta, ed in tal caso la dichiarazione deve essere sottoscritta dal dichiarante ed autenticata dal difensore o dal sostituto, il quale a sua volta è tenuto a redigere apposita relazione, in cui devono essere contenuti gli elementi di cui al comma 3 dell’art. 391bis; - possono chiedere ai potenziali testimoni di rendere informazioni documentate (dallo stesso difensore o dal sostituto). Nonostante il silenzio della legge, si ritiene comunemente che anche nel relativo verbale debbano esserci gli avvertimenti di cui al comma 3. Premesso che all'assunzione di tali dichiarazioni non possono assistere la persona sottoposta alle indagini, la persona offesa e, dopo l'esercizio dell'azione penale, le altre parti private, al fine di non condizionare il dichiarante, se la persona richiesta di fornire informazioni accetta, egli risponde penalmente dell'eventuale falsità di quanto dichiarato, ai sensi dell'art. 371 bis c.p.. Oltretutto, qualora dalle dichiarazioni emergano indizi di reità a suo carico (per il fatto in oggetto, non certo per le dichiarazioni eventualmente mendaci), il difensore è tenuto ad interrompere l'atto, e le precedenti dichiarazioni non potranno essere utilizzate contro di lui. Se, per contro, il potenziale testimone si rifiuta, il difensore che non intenda desistere ha a sua disposizione due rimedi: 1) può chiedere al pubblico ministero di disporre l'audizione del potenziale testimone. Il p.m., ricevuta la richiesta, fissa l'audizione entro sette giorni. Nonostante la apparente obbligatorietà dell'atto, il p.m. conserva comunque un certo margine di discrezionalità nel disporre l'audizione; 2) può chiedere che venga disposto l'incidente probatorio (v. art. 392), al cospetto del giudice per le indagini preliminari, anche al di fuori delle ipotesi previste dall'art. 392. Va comunque precisato che, in ogni caso, la norma fa salve le incompatibilità di cui all'art. 197 comma 1. Il difensore però può acquisire informazioni da persona sottoposta alle indagini o imputata nello stesso procedimenti, in uno connesso o per un reato collegato. È richiesto l’intervento del giudice quando deve essere sentita una persona detenuta. Richiesta di documenti alla Pubblica Amministrazione e l’accesso ai luoghi Oltre che all’acquisizione di dichiarazioni, le investigazioni difensive possono consistere nell’acquisiione di elementi probatori di carattere reale. L’art. 391quater attribuisce al difensore la possibilità di rivolgersi alla PA per prendere visione o acquisire copia di documenti formati o detenuti stabilmente dall’amministrazione stessa. Il difensore è l’unico soggetto legittimato. L'istanza deve essere rivolta all'amministrazione che ha formato il documento o lo detiene stabilmente. L’amministrazione dinnanzi alle circostanze che rendono rilevante il documento indicate dal difensore, può anche rifiutare l’accesso agli atti. Nel caso in cui la PA abbia rifiutato, differito o limitato l’accesso ai documenti o in caso di mancata risposta entro 30 giorni, il difensore potrà sollecitare il PM ad intervenire per l’ottenimento dei documenti. Se il PM non vuole dar corso alla richiesta del difensore, dovrà trasmetterla al GIP il quale dovrà valutare la fondatezza della richiesta. Al difensore, ai sostituti e i suoi ausiliari, possono effettuare un accesso ai luoghi per osservare direttamente l’ambiente in cui si sono svolti i fatti. Effettuato l’accesso, avranno facoltà di prendere visione dello stato dei luoghi, delle cose che potrebbero risultare rilevanti ai fini delle indagini. L’attività è di tipo ricognitivo di osservazione e raccolta non può quindi causare modificazioni dello stato delle cose poiché non deve allo stesso tempo interferire con l’attività di ricerca svolta dall’accusa. In assenza di divieti espressi da parte della legge, l’indagato ha la possibilità di accedere ai luoghi per contribuire alla ricostruzione dei fatti. Per poter accedere ai luoghi privati o comunque non aperti al pubblico, i soggetti della difesa dovranno ottenere il consenso del soggetto che ha la disponibilità della cosa. Se non ottengono il consenso, l’accesso può essere autorizzato dal giudice su richiesta del difensore. 82 inammissibilità, la prova da assumere, i fatti che ne costituiscono oggetto e la sua rilevanza; le persone nei confronti delle quali si rivolge la formazione della prova nonché, al fine di permettere al giudice una valutazione circa l'effettiva opportunità dell'incidente probatorio, le ragioni per le quali si ritiene la prova non rinviabile al dibattimento. Depositata la richiesta nella cancelleria del GIP, il richiedente deve notificare a tutte le parti interessate la richiesta stessa e la prova della notifica presso la cancelleria. Inizia a decorrere dalla data della notifica il termine di 2 giorni entro i quali il PM e l’indagato possono presentare deduzioni sull’ammissibilità della richiesta, depositare documenti, indicare fatti che possono essere oggetto di prova, persone interessate alla prova stessa. Se la richiesta è formulata dall’indagato il PM può richiedere il differimento dell’incidente probatorio quando la sua esecuzione pregiudicherebbe uno o più atti di indagine preliminare. Entro due giorni il giudice provvede con ordinanza a dichiarare: inammissibile la richiesta se mancano i requisiti formali, può rigettarla e in entrambi casi ne da comunicazione immediata al PM. Qualora invece accogliesse la richiesta fissa l’udienza per l’incidente probatorio. Scaduto il termine previsto per le deduzioni o quello conseguente la richiesta di differimento dell’incidente probatorio, il giudice quindi decide sulla richiesta con ordinanza non impugnabile. Con l’ordinanza che accoglie la richiesta, il giudice stabilisce: l’oggetto della prova, le persone interessate all’assunzione della prova, la data dell’udienza. Con un preavviso di due giorni, le parti hanno la facoltà di prendere cognizione ed estrarre copia delle dichiarazioni già rese dalle persone da esaminare. Per esigenze di concentrazione, qualora si debba procedere a più incidenti probatori per lo stesso procedimento, essi vanno eseguiti il medesimo giorno, a meno che ne derivi un ritardo, pregiudicando in qualche modo il buon esito dell'assunzione probatoria. Per quanto riguarda la documentazione, le dichiarazioni testimoniali devono essere documentate integralmente con mezzi di riproduzione fonografica e audiovisiva. Dell’interrogatorio è anche redatto verbale in forma riassuntiva mentre la trascrizione della riproduzione è disposta solo su richiesta delle parti. Quando è necessario procedere all’esame di una persona offesa che versa in condizione di particolare vulnerabilità, il giudice deve adottare modalità protette. L’udienza si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria del PM e del difensore dell’indagato (se manca quello di fiducia deve esserne disposto uno d’ufficio). La partecipazione del difensore della persona offesa è invece facoltativa. Per i particolari reati elencati dal comma 5 bis, i quali richiedono un'assunzione probatoria particolarmente attenta alla sfera psicologica della persona offesa o di altre persone informate sui fatti, il giudice stabilisce di volta in volta quale siano le modalità migliori di assunzione della prova. L'udienza può infatti svolgersi anche in luogo diverso dal tribunale, con l'ausilio di strutture specializzate di assistenza, assicurando comunque una adeguata documentazione dell'atto. L’indagato e la persona offesa hanno diritto di assistere all’incidente probatorio quando si deve esaminare un testimone o un'altra persona, mentre negli altri casi è richiesta l’autorizzazione del giudice. Le prove vengono assunte con le forme stabilite per il dibattimento: il soggetto verrà sottoposto ad esame e controesame se si tratta di prove dichiarative. Il difensore della persona offesa però può solo chiedere al giudice di rivolgere domane alle persone sotto esame. Dopo l’assunzione i verbali, le cose e i documenti acquisiti nell’incidente probatorio sono trasmessi al PM e saranno inclusi nel suo fascicolo in attesa di transitare in quello del dibattimento. I difensori nel frattempo possono prendere visione ed estrarne copia. Una volta che le prove siano state assunte sono utilizzabili in dibattimento ma solo nei confronti degli imputati i cui difensori abbiano partecipato alla loro assunzione (art. 403 c.p.p.). 85 Chiusura delle indagini Ragionevole durata del procedimento e limiti al potere investigativo L’art. 405 disciplina i termini di durata delle indagini preliminari, entro cui il pubblico ministero è tenuto ad esercitare l'azione penale. Le finalità della previsione di un termine massimo delle indagini preliminari sono quelle di assicurare ritmi accelerati alla fase investigativa e di tutelare l’interesse dell’indagato e della persona offesa ad una tempestiva definizione della vicenda processuale. Il termine inizia a decorrere dal momento in cui l’indagato viene iscritto nel registro delle notizie di reato. Termini di durata massima delle indagini e il procedimento di proroga Tranne nelle ipotesi in cui si proceda contro soggetti ignoti, le indagini preliminari devono concludersi di regola entro sei mesi dalla data in cui il nome della persona cui è attribuito il reato viene iscritto nell'apposito registro, a pena di inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti dopo la scadenza del termine. Il termine è pari ad un anno qualora si proceda per i gravi delitti di cui all'art. 407 comma 2 lett. a). Entro lo stesso termine deve essere richiesta l’archiviazione alla quale procede il PM attraverso l’invio di avviso di conclusione delle indagini. Prima che scada il termine previsto per la chiusura delle indagini però, il PM può chiedere al giudice una proroga di sei mesi purché ricorra una giusta causa, indicando la notizia di reato ed esponendo i motivi per i quali è necessario un tempo maggiore rispetto a quello ordinariamente previsto. Se poi le indagini sono particolarmente complesse o vi è un'oggettiva impossibilità di concluderle entro il termine prorogato, il pubblico ministero può chiedere ulteriori proroghe, ciascuna di durata massima pari a sei mesi. Se si procede per i reati di cui agli articoli 572, 589, 2° comma e 590, terzo comma e 612-bis c.p. la proroga può essere concessa una sola volta. A cura del giudice, la richiesta di proroga è notificata all'indagato e alla persona offesa dal reato che ha dichiarato di voler esserne informata. Tali soggetti vengono anche avvisati della possibilità di presentare memorie9 entro cinque giorni dalla notificazione. La proroga è autorizzata dal giudice con ordinanza emessa in camera di consiglio, senza l'intervento né del PM né dei difensori (quindi non fissa un’udienza). Se invece ritiene che la proroga non vada concessa allo stato degli atti, il giudice fissa la data dell'udienza in camera di consiglio e ne fa notificare avviso al p.m., all'indagato ed eventualmente alla persona offesa. Il giudice a seguito dell’udienza che deve essere fissata entro 10 giorni e la quale deve essere svolta secondo quanto previsto dall’art. 127 (presenza delle parti) può autorizzare il PM a proseguire le indagini o respingere definitivamente la proroga, fissando un termine non superiore a 10 giorni per la formulazione delle richieste conclusive delle indagini. Il contraddittorio invece non è concesso per i delitti specificatamente indicati dagli artt. 51 comma 3bis e 407 comma 2 lett. a nn. 4 e 7bis. Le proroghe, anche qualora ammesse, non possono in ogni caso protrarre la durata complessiva delle indagini preliminari troppo a lungo. L'articolo 407 del codice di procedura penale, infatti, stabilisce che la durata complessiva delle indagini può essere al massimo di diciotto mesi o due anni se si tratta di reati gravi ricompresi nell'elenco dettagliato di cui al secondo comma. Il rispetto dei predetti termini è molto importante posto che, secondo il disposto dell’articolo 407, comma 3, c.p.p., qualora il p.m. non eserciti l’azione penale e non richieda l’archiviazione nel termine stabilito dalla legge o prorogato dal giudice, gli atti di indagine preliminare compiuti dopo la scadenza del termine non possono essere utilizzati. Per quanto riguarda invece gli atti di indagine compiuti dopo la presentazione della richiesta di proroga e prima della comunicazione del provvedimento del giudice, gli stessi sono utilizzabili a meno che il provvedimento non sia negativo e gli atti non siano successivi alla data di scadenza del termine originariamente previsto per le indagini. Archiviazione della notizia di reato 9 Atti processuali mediante i quali le parti illustrano per iscritto la propria posizione sui punti di fatto e di diritto oggetto della controversia. Possono essere presentate al giudice dal difensore o dalla parte in ogni stato e grado del procedimento civile e in alcune fasi del procedimento penale. 86 L'azione penale rappresenta l'atto tramite il quel il pubblico ministero, formulando l'imputazione, instaura il processo, determinando l'esercizio della giurisdizione penale innescando la sequenza processuale destinata a sfociare nell'emanazione di una sentenza. Il comma 1 dell’art. 408 stabilisce che il PM deve presentare richiesta di archiviazione al giudice se la notizia di reato è infondata. La richiesta di archiviazione è l'atto con cui il pubblico ministero manifesta la propria volontà di non esercitare l'azione penale in relazione ad una determinata notizia di reato. Ai sensi dell’articolo 408, il pubblico ministero presenta al giudice richiesta di archiviazione se la notizia di reato è infondata, o, ex art. 125 disp. att., se gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non sono idonei a sostenere l'accusa in giudizio. La richiesta va inoltre presentata, ai sensi degli artt. 411 e 415 quando manchi una condizione di procedibilità, quando il reato è estinto o il fatto non è previsto dalla legge come reato o il caso in cui l'autore sia rimasto ignoto. La richiesta di archiviazione è rivolta quindi dal PM al giudice affinché valuti la sussistenza delle condizioni legittimanti l’archiviazione. Con la richiesta, viene trasmesso anche il fascicolo contenente la notizia di reato, la documentazione relativa alle indagini e i verbali compiuti davanti al GIP. A questo punto può: - essere emanato decreto di archiviazione senza alcuna formalità di procedura laddove il giudice concordi con la richiesta. Nessun contraddittorio quindi precederà quel provvedimento. L’assenza del contraddittorio si regge sull’idea che l’indagato non ha possibilità di ottenere un provvedimento a lui più favorevole. Il decreto sarà impugnabile solo nel caso in cui siano stati lesi i diritti dell’offeso. Non sarà mai impugnabile dalla persona sottoposta alle indagini e la notifica gli perverrà soltanto nel caso in cui sia stata sottoposta a custodia cautelare in vista di un suo eventuale interesse a richiedere la riparazione per l’ingiusta detenzione - essere emanato un decreto di archiviazione come esito di un procedimento in camera di consiglio da svolgersi secondo quanto disposto dall’art. 127. Questo accade quando il giudice non è immediatamente convinto della infondatezza del reato e ritiene quindi opportuno ascoltare i soggetti portatori di interessi. In questo caso, il giudice fisserà entro 3 mesi l’udienza e della data fissata deve esserne data notifica al PM, all’indagato, al suo difensore e alla persona offesa. La notifica deve pervenire anche al Procuratore Generale presso la Corte d’Appello per i provvedimenti di sua competenza. Opposizione dell’offeso dal reato alla richiesta di archiviazione Alla persona offesa spetta il potere di opporti alla richiesta di archiviazione. Ai sensi dell’art. 410, con l’opposizione alla richiesta di archiviazione, la persona offesa chiede che le indagini proseguano indicando l’oggetto dell’investigazione suppletiva e i relativi elementi di prova a pena dell’inammissibilità. La ratio della disposizione è ovviamente quella di evitare un utile dispendio di attività processuale. Il diritto all’opposizione si fonda sull’indicazione da parte dell’offeso di lacune investigative. Se l’opposizione è inammissibile e la notizia di reato è infondata, il giudice dispone l’archiviazione con decreto motivato restituendo gli atti al PM. Al contrario qualora ritenga fondata l’opposizione o comunque non ammissibile l’archiviazione del reato, il giudice procederà ai sensi dell’art. 409 c. 2,3,4 e 5. Il procedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto L’art. 411 prevede che qualora l'archiviazione sia richiesta per particolare tenuità del fatto (v. art. 131 bis c.p.), similmente a quanto previsto dall'ultimo comma dell'art. 408, il pubblico ministero deve avvisare l'indagato e la persona offesa, unitamente alla precisazione che entro dieci giorni possono prendere visione degli atti e presentare opposizione indicando, a pena di inammissibilità, le ragioni del dissenso. Chiari i motivi per cui la persona offesa ha interesse ad opporsi all'archiviazione, per quanto concerne l'indagato il suo interesse sta nel fatto che la particolare tenuità del fatto non esclude eventuali responsabilità civili (v. art. 87 Tale prescrizione vale, nel dettaglio, per l'omicidio colposo commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro e per l'omicidio stradale. Prima di presentare la richiesta di rinvio a giudizio, il pubblico ministero deve rispettare alcune specifiche prescrizioni. In particolare, deve notificare l'avviso della conclusione delle indagini preliminari (con il contenuto stabilito dall'articolo 415-bis c.p.p.) all'indagato, al suo difensore e, se si procede per il reato di maltrattamenti contro familiari o conviventi o per il reato di atti persecutori, al difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa. Inoltre, se l'indagato ha chiesto nei termini di essere sottoposto a interrogatorio, il PM, prima di depositare la richiesta di rinvio a giudizio, deve invitarlo a rendere l'interrogatorio ai sensi dell'articolo 375, comma 3, del codice di rito. [ Il giudice, a pena di nullità, deve far notificare all'imputato ed alla persona offesa l'avviso del giorno, del luogo e dell'ora in cui avverrà l'udienza. Va precisato che l'omessa notifica dell'avviso all'imputato determina nullità assoluta ex art. 179, dovendosi riconoscere all'avviso la natura sostanziale e contenutistica di un atto di citazione. L'avviso è altresì comunicato al pubblico ministero ed al difensore dell'imputato, con l'avvertimento che essi possono prendere visione del fascicolo del pubblico ministero relativo agli atti di indagine, ed eventualmente degli atti di indagini compiuti dopo la richiesta di rinvio a giudizio. ] In assenza di questi preliminari adempimenti, la richiesta di rinvio a giudizio è affetta da nullità. Il giudice, entro cinque giorni dal deposito della richiesta di rinvio a giudizio, fissa con decreto il giorno, l'ora e il luogo dell'udienza preliminare in camera di consiglio, tenendo conto che tra la data della richiesta e la data dell'udienza non possono trascorrere più di trenta giorni. La richiesta di rinvio a giudizio, quindi, segna il passaggio dalla fase procedimentale a quella processuale: nell'udienza preliminare l'indagato assume la qualità di imputato ed è possibile la costituzione di parte civile nonché l'accesso al processo delle altre parti quali il responsabile civile ed il civilmente obbligato per la pena pecuniaria. La celebrazione dell'udienza preliminare è un diritto cui l'imputato può rinunciare chiedendo il giudizio immediato, ovvero l'immediata celebrazione dell'udienza dibattimentale, con dichiarazione presentata in cancelleria almeno tre giorni prima della data prevista per l'udienza preliminare. Va precisato che il giudizio immediato può essere richiesto anche dal pubblico ministero, qualora ricorrano i presupposti di cui all'art. 453. Accertamenti relativi alla costituzione delle parti L’udienza si svolge in camera di consiglio con la necessaria partecipazione del PM e del difensore dell’imputato. Al termine della discussione il giudice potrà pervenire a due distinti risultati: se il processo non dovrà essere instaurato il giudice emetterà sentenza di non luogo a procedere qualora invece ravvisi l’esistenza di elementi per il dibattimento dovrà pronunciare un decreto con il quale dispone il giudizio. Innanzitutto, come primo passo il giudice deve ai sensi dell’art. 420 comma 2, procedere a verificare la regolare costituzione delle parti e qualora ravvisi nullità degli avvisi, citazioni, comunicazione e delle notificazioni, deve provvedere a rinnovarli. Per quanto riguarda nello specifico l’imputato, la sua presenza non è necessaria, egli infatti ha la facoltà di assentarsi. Verificata la correttezza della notificazione è necessario accertare se l’assenza dell’imputato possa essere la conseguenza di un impedimento, di una mancata conoscenza dell’addebito o se derivi semplicemente da un suo disinteresse e solo in quest’ultimo caso il giudice potrà procedere. L’imputato ha la facoltà, tramite rinuncia espressa, di rinunciare ad assistere. Nel momento in cui non vi sia una rinuncia espressa, allora il giudice dovrà accertare se si versi nelle situazioni in cui si presume la conoscenza del processo. Questa si presume e quindi si procede in sua assenza quando, nel corso del procedimento abbia dichiarato o eletto domicilio, quando sia stato arrestato, fermato o sottoposto a custodia cautelare, o quando 90 abbia nominato un difensore di fiducia e nel caso in cui l’imputato sia assente nonostante abbia ricevuto personalmente l’avviso dell’udienza. Non sarà possibile procedere quando l’imputato, anche se detenuto (e quindi secondo quanto sopra detto si dovrebbe procedere anche in sua assenza) non si presenta alla prima udienza e risulti che l’assenza è dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento. In tale ipotesi il giudice con ordinanza rinvia ad una nuova udienza e dispone il rinnovo dell’avviso. Allo stesso modo deve precedere il giudice quando appare probabile che l’assenza dell’imputato sia dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito o forza maggiore. Dato che la probabilità sia valutata dal giudice non è oggetto di discussione e ne motivo di impugnazione. L’imputato è ammesso a dimostrare che la prova dell’impedimento gli è pervenuta con ritardo senza sua colpa (art. 420bis c.4 quinto periodo). Il giudice è inoltre tenuto a rinviare le udienze successive alla prima, anche nel caso in cui l’imputato anche se detenuto, non si presenta all’udienza e risulta che l’assenza è dovuta ad assoluta impossibilità di comparire. Quando si procede in sua assenza, l’imputato viene rappresentato dal difensore così come accade per l’imputato che, dopo essere comparso si allontana dall’aula o che presente ad un’udienza non compare alle successive. Qualora in tutte le ipotesi di conoscenza presunta, l’imputato subentri in un secondo momento prima della decisione, l’ordinanza che ha disposto di procedere in sua assenza viene revocata. All’imputato spetta il diritto di provare che era a conoscenza del processo ma non della sua celebrazione, senza sua colpa. Se l’imputato riesce a darne prova, il giudice rinvia l’udienza e l’imputato può chiedere l’acquisizione di atti e documenti che porterebbero alla formulazione e all’illustrazione delle conclusioni durante la discussione. Nel giudizio di primo grado l’imputato avrà diritto di formulare richiesta di prove ai sensi del 493 e restando comunque validi gli atti regolarmente compiuti in precedenza, l’imputato può chiedere la rinnovazione di prove già assunte e può formulare richieste per il giudizio abbreviato e per il patteggiamento. La tutela in questione si estende anche ai gradi di giudizio successivi ed inoltre quando l’imputato provi la sua incolpevole mancata conoscenza, dovrà essere investito nuovamente del processo il giudice di primo grado. Infine la presunzione che consente al giudice di procedere anche nei casi in cui non vi sia la certezza del disinteresse dell’imputato potrà essere ribaltata anche a seguito del passaggio in giudicato della senza pronunciata in absentia. Nel caso in cui, risulta la mancata conoscenza del processo solo una volta definito il processo, l’imputato può chiedere la rescissione del giudicato. Grava comunque sull’imputato/condannato l’onore della prova che l’assenza è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo ed è concesso solo al condannato al sottoposto a misura di sicurezza con sentenza passata in giudicato, nei cui confronti si sia proceduto in assenza. Oltre che alla mancata conoscenza della celebrazione del processo, la tutela si estende anche nei casi in cui l’imputato dimostri che versava nell’assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento e che la prova dell’impedimento è pervenuta con ritardo senza sua colpa. Il giudice revoca l’ordinanza quando risulta che il procedimento doveva essere sospeso ai sensi dell’art. 420quater, ossia quando è assente l’imputato e non ricorrano: nullità della notificazione, nessuna delle ipotesi come la conoscenza certa dell’udienza o la notificazione personale dell’atto, o impossibilità per caso fortuito, forza maggiore. Il giudice a questo punto rinvia il processo disponendo che l’avviso contenente la data della nuova udienza sia notificata personalmente all’imputato. Qualora anche in questo modo non sia stata ottenuta la presenza dell’imputato o nemmeno la sua espressa rinuncia o presunta, il giudice dovrà sospendere il processo. Durante la sospensione del processo il giudice acquisisce a richiesta di parte le prove non rinviabili e inoltre si è stabilito che si può procedere alla separazione di eventuali procedimenti connessi per gli imputati nei confronti dei quali la causa di sospensione non opera. Si procede quindi alla separazione dei processi e alla separazione tra azione penale e azione civile (diversamente da quanto stabilito dall’art. 75 comma 3). 91 Almeno 1 volta l’anno il giudice dovrà disporre nuove ricerche dell’imputato per la notifica dell’avviso. Il giudice sarà tenuto a revocare l’ordinanza di sospensione in 4 casi: 1) se le ricerche dell’imputato hanno avuto esito positivo 2) se l’imputato nel frattempo ha nominato un difensore di fiducia 3) in ogni altro caso in cui vi sia la prova certa che l’imputato è a conoscenza del procedimento avviato nei suoi confronti 4) qualora debba essere pronunciata sentenza ai sensi dell’art.129 Con l’ordinanza di revoca della sospensione, il giudice fissa la data per la nuova udienza disponendo le relative notifiche. La presenza del difensore è necessaria e qualora non sia presente il giudice deve provvedere a disporne uno d’ufficio. Il giudice tuttavia deve provvedere a rinviare l’udienza in caso in cui l’assenza del difensore sia dovuta ad un legittimo impedimento il quale oltre ad essere prontamente comunicato deve derivare da una impossibilità di comparire assoluta. L’adesione del difensore ad uno sciopero costituendo espressione di un diritto di libertà impone il rinvio anche delle udienze camerali. Svolgimento dell’udienza e integrazioni probatorie Una volta effettuati gli accertamenti se non sussistono particolari irregolarità (assenza, nullità dell'avviso di cui all'art. 419, sospensione del processo ecc.) il giudice dichiara aperta la discussione. Il pubblico ministero espone sinteticamente i risultati delle indagini preliminari e gli elementi di prova che giustificano la richiesta di rinvio a giudizio. Prendono poi la parola i difensori della parte civile, del responsabile civile, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria e da ultimo, dell'imputato. L'imputato può chiedere ed ottenere che gli sia consentito di essere interrogato. Il PM prende la parola due volte: la prima per esporre i fatti e gli elementi di prova; la seconda per replicare alle osservazioni delle parti, ma solo una volta. In seguito, il pubblico ministero ed i difensori formulano le rispettive conclusioni, basandosi su quanto introdotto nel fascicolo di cui all'art. 416. Se il giudice ritiene che quanto esposto dalle parti sia sufficiente e di essere già in grado di poter decidere allo stato degli atti, dichiara chiusa la discussione. Tuttavia anche durante la discussione le parti possono fare richiesta di incidente probatorio o addirittura può verificarsi il caso in cui sia il giudice stesso a fare richiesta di acquisizione di altre prove. Il giudice infatti potrà emettere un’ordinanza con la quale, se le indagini preliminari sono incomplete fissa un termine per il loro compimento e la data della nuova udienza preliminare. Del provvedimento di integrazione deve esserne data comunicazione al procuratore generale presso la corte d’appello il quale può disporre con decreto motivato l’avocazione delle indagini applicandosi in quanto compatibile l’art. 412 c. 1. Ù Quindi se all'esito dell'udienza preliminare, il giudice ritiene che quanto esposto dalle arti sia sufficiente e di essere già in grado di poter decidere allo stato degli atti, dichiara chiusa la discussione ai sensi dell'art. 421. Al contrario, quando ritiene di non poter decidere allo stato degli atti, ma che, diversamente da quanto prescritto dall'art. 421 bis, non siano necessarie ulteriori indagini, dispone d'ufficio l'assunzione di prove, evidentemente quando appare chiara la decisività di queste ultime, e la non necessarietà di attività investigative suppletive. Il giudice assumerà egli stesso un’attività istruttoria ma in questo caso l’integrazione probatoria è regolata da un criterio restrittivo: il giudice potrà disporre l’assunzione delle prove delle quali appare evidente la decisività ai fini della sentenza di non luogo a procedere. Tale strumento infatti non può essere utilizzato per rafforzare le fonti di prova dell’accusa, altrimenti verrebbe vulnerata la terzietà del giudice. Altra differenza con il 421bis è che in tale ipotesi l’integrazione viene svolta in udienza (quindi in contraddittorio) direttamente dal giudice. Quando infatti non è possibile disporne nell’udienza in corso, allora il giudice fisserà 92 suo difensore di preparare adeguatamente la propria linea difensiva. Nei casi in cui si proceda per i delitti di cui agli articoli 589, comma 2 e 589 bis c.p., il termine non deve essere superiore a sessanta giorni. Si dispone inoltre che la notifica del decreto all'imputato contumace, nonché all'imputato ed alla persona offesa comunque non presenti alla lettura del provvedimento all'esito dell'udienza preliminare, deve essere eseguita almeno venti giorni prima del giudizio. L’art. 431 disciplina il fascicolo per il dibattimento. In seguito all'emissione del decreto che dispone il giudizio, segue un'attività di estrema importanza per la fase dibattimentale, ossia la formazione, nel contraddittorio tra le parti, del fascicolo per il dibattimento, cui il giudice provvede immediatamente o, se una delle parti ne fa richiesta, in un'apposita udienza successiva, da svolgersi entro quindici giorni. I fascicoli sono due: - uno per il dibattimento, da trasmettere alla cancelleria del giudice competente per la fase dibattimentale unitamente al decreto che dispone il giudizio ed all'eventuale provvedimento di applicazione di misure cautelari (se ancora in esecuzione); - l'altro, il fascicolo del pubblico ministero, destinato ad essere conservato nella segreteria del p.m., con facoltà dei difensori di prenderne visione ed estrarne copia. Questo rappresenta uno dei momenti processuali più importanti del nostro sistema, avendo la funzione di garantire il principio secondo cui la formazione della prova deve avvenire nel contraddittorio delle parti e di evitare che il Giudice del dibattimento, nel decidere, sia influenzato dalle prove raccolte unilateralmente dalle parti durante le indagini. E così, gli atti raccolti nel contraddittorio delle parti o che sono nati fin dall’inizio come atti non ripetibili, verranno inseriti nel fascicolo per il dibattimento; essi potranno essere conosciuti dal Giudice di tale fase processuale e utilizzati ai fini della decisione (art. 431 c.p.p.). Tutti i rimanenti atti verranno invece inseriti nel fascicolo del Pubblico Ministero, compresi dunque quelli compiuti dalla Polizia giudiziaria e dalla difesa delle parti private. Tuttavia le parti possono tramite un accordo permettere l’acquisizione al fasciolo per il dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del PM. Attività integrativa di indagine del PM e del difensore La legge prevede un’attività integrativa di indagine sia da parte del PM che da parte del difensore successivamente all’emissione del decreto che dispone il giudizio ad eccezione però degli atti per i quali è prevista la partecipazione dell’imputato o del difensore di questo. La documentazione comunque viene immediatamente depositata nella segreteria del PM con facoltà per le parti di prenderne visione. L’art. 431bis pone un limite: è fatto divieto che le parti possano anticipare l’escussione di una persona che è in procinto di essere sentita da giudice con la possibilità di condizionare la genuinità dell’imminente esame. La predisposizione trova applicazione in sede predibattimentale e in udienza preliminare in caso di integrazione probatoria. Capitolo 7 – Giudizio La fase del giudizio Il giudizio si può considerare di tipo accusatorio quando la formazione delle prove avviene pubblicamente nel contraddittorio delle parti davanti al giudice che ha il compito di decidere il merito. Nel processo inquisitorio invece le prove vengono formate unilateralmente, fuori dall’udienza pubblica, dallo stesso organo investito della funzione di svolgere le indagini e di formulare l’accusa, con la partecipazione solo eventuale della difesa. 95 Il dibattimento è la fase centrale del processo penale in quanto durante il dibattimento si procede alla raccolta ed acquisizione delle prove nel rispetto del contraddittorio delle parti. Nel giudizio si distinguono atti preliminari, il dibattimento vero e proprio e gli atti successivi che comprendono la deliberazione e la pubblicazione della sentenza. Atti preliminari al dibattimento: estensione e contenuti della fase La fase degli atti preliminari del dibattimento si estende dalla conclusione dell’udienza preliminare gli atti introduttivi del dibattimento. Si assume come momenti iniziale la ricezione del decreto che dispone il giudizio (art. 465) e come momento finale la costituzione delle parti (art. 484). Il decreto che dispone il giudizio, è quella decisione presa dal giudice qualora non sussistano i presupposti per l’emanazione della sentenza di non luogo a procedere. L’udienza dibattimentale è fissata dal giudice che dispone il giudizio (GUP). Ai sensi dell’art. 429, il decreto va notificato all’imputato assente nell’udienza preliminare o comunque all’imputato o alla persona offesa che al momento della lettura del provvedimento era assente. All’interno del decreto devono essere indicati il luogo, il giorno e l’ora della comparizione. Il codice all’art. 465 prevede che il Presidente del Tribunale o della Corte d’Assise una volta ricevuto il decreto può anticipare o differire l’udienza per giustificati motivi. L’art. 132bis disp. att. indica le categorie dei processi a cui va assicurata la priorità assoluta. Anche della fase predibattimentale (come nell’udienza preliminare e nelle indagini preliminari) può essere fatta richiesta di incidente probatorio (Art. 392) e quest’assunzione di prove non rinviabili spetta al Presidente del Tribunale o della corte d’Assise su richiesta di parte. I verbali degli atti compiuti verranno inserti nel fascicolo per il dibattimento. La sentenza di proscioglimento anticipata è di competenza dell’intero collegio e viene emessa se l’azione penale è improcedibile, se il reato è estinto o se l’imputato non è punibile per particolare tenuità del fatto. La sua eventuale emanazione risponde all’inutilità di procedere al dibattimento quando la conclusione è già scontata. Viene data prevalenza al proscioglimento di merito, rispetto al proscioglimento per estinzione del reato11. Nel predibattimento però non può essere pronunciato proscioglimento nel merito e quindi in tale ipotesi la sentenza non può essere anticipata ma occorre procedere al dibattimento. Il proscioglimento anticipato non è possibile in nessun caso se il PM o l’imputato si oppongono. Quest’ultimo ha infatti un vero e proprio diritto al giudizio di merito. Comunque se emessa, la sentenza di proscioglimento anticipata è inappellabile essendo intervenuta con il consenso delle parti. Nel lasso di tempo precedente la comparizione, il fascicolo per il dibattimento rimane depositato nella cancelleria del giudice competente per il giudizio (art. 432) e le parti hanno la facoltà di prenderne visione e di estrarne copia. Quanto al fascicolo del PM, è visibile nella segreteria del PM. Almeno 7 giorni prima della data fissata per il dibattimento, le parti presentano le liste dei testimoni, consulenti e periti con l’indicazione delle circostanze su cui deve vertere l’esame. Non sono consentite prove a sorpresa e ciascuna parte deve conoscere i fatti che le altre intendono provare. Il decreto del presidente ha il solo scopo di autorizzare la citazione delle persone indicate rendendone obbligatoria la comparizione la quale viene negata solo per le testimonianze vietate dalla legge. L’art. 468 non menziona l’esame delle parti le quale possono essere assunte senza bisogno di preavviso cos’ come l’esame dell’imputato. Il presidente ha potere di disporre la citazione delle persone suddette, anziché all’inizio del dibattimento, anche per le udienze successive. La parte oltre a deporre la lista deve insieme ad essere deporre richiesta di acquisizione dei verbali di prova provenienti da altri procedimenti ai sensi del 238. 11 Estinzione del reato: morte del reo; amnistia; prescrizione. 96 È disposta d’ufficio la citazione del perito nominato nell’incidente probatorio. Pubblicità e disciplina dell’udienza dibattimentale La disciplina dell’udienza e la direzione del dibattimento spettano al presidente, il quale può avvalersi della forza pubblica. La discrezionalità del presidente è vincolata quando si tratta di disciplinare l’accesso all’aula, poiché entra in gioco il principio di pubblicità dell’udienza. L’art. 471 non consente la presenza ad alcune categorie di persone e impone l’espulsione di coloro che turbano il regolare svolgimento dell’udienza. Per la decisione di procedere a porte chiuse, è competente il collegio, il quale decide con ordinanza revocabile, sentite le parti. Particolare attenzione è data alla tutela della riservatezza delle parti private e dei testimoni, limitatamente all’assunzione di specifici mezzi di prova e alla tutela dei minori. L’art. 472 dispone inoltre che il dibattimento o alcuni atti di esso si svolgano a porte chiuse quando la pubblicità può nuocere al buon costume o se vi è richiesta dell’autorità competente, quando la pubblicità può comportare la diffusione di notizie da mantenere segrete nell’interesse dello stato. E’ doveroso procedere a porte chiuse al momento della ricognizione delle persone che hanno cambiato generalità a scopo di protezione, o quando la persona offesa lo richiede per specifici reati come quello di pedofilia. Al presidente è attribuito il potere di ammonire l’imputato che si comporti in modo da impedire il regoalre svolgimento dell’udienza e di allontanarlo qualora persista. Vi è il divieto di arresto del testimone in udienza. Per quanto riguarda le riprese audio visive del dibattimento per fini di divulgazione, ai fini dell'esercizio del diritto di cronaca, il giudice con ordinanza, se le parti consentono, può autorizzare in tutto o in parte la ripresa fotografica, fonografica o audiovisiva o la trasmissione radiofonica o televisiva del dibattimento, purché non ne derivi pregiudizio al sereno e regolare svolgimento dell'udienza o alla decisione. L'autorizzazione può essere data anche senza il consenso delle parti quando sussiste un interesse sociale particolarmente rilevante alla conoscenza del dibattimento. Anche quando autorizza la ripresa o la trasmissione a norma dei commi 1 e 2, il presidente vieta la ripresa delle immagini di parti, testimoni, periti, consulenti tecnici, interpreti e di ogni altro soggetto che deve essere presente, se i medesimi non vi consentono o la legge ne fa divieto. L’art. 477 tratta della durata e della prosecuzione del dibattimento. Qualora non è in modo assoluto eseguire il dibattimento in una sola udienza, il presidente dispone che esso venga proseguito nel giorno seguente non festivo. Il dibattimento può essere sospeso solo per motivi di assoluta necessità e per un termine non superiore a 10 giorni. Partecipazione al dibattimento a distanza La legge n. 11 del 1998 ha introdotto la disciplina della partecipazione al procedimento penale a distanza dell’imputato detenuto, quando è opportuno evitare il suo spostamento nel luogo dell’udienza. L’obbiettivo è quello di ridurre i rischi connessi con i frequenti spostamenti dei detenuti, di ridurre i tempi del dibattimento. La presenza all’udienza dibattimentale è sostituita da un collegamento audiovisivo, che assicuri la contestuale visibilità delle persone che si trovano nel luogo collegato con l’aula dell’udienza. Sono sorti dubbi riguardo al soddisfacimento di tutte le garanzie dovute all’imputato riguardo il diritto di difesa alla quale la Corte Costituzionale ha risposto affermando che ciò che è importante è garantire l’effettiva partecipazione personale e consapevole all’imputato e che quindi i mezzi tecnici siano del tutto idonei a realizzare quella partecipazione. Verbale di udienza Il verbale svolge principalmente funzione di promemoria a conforto del giudice che deve decidere, lo stesso verrà poi inserito nel fascicolo per il dibattimento. È redatto dall’ausiliario che assiste il giudice e in esso vengono indicati: il luogo, la data, l’ora di apertura e di 97
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