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CONSO – V. GREVI – M. BARGIS, Compendio di procedura penale, Dispense di Diritto Processuale Penale

Riassunto del testo di Conso, Grevi, Bargis, "Compendio di procedura penale " utile per la preparazione dell'esame di Diritto processuale penale con il prof. Rafaraci

Tipologia: Dispense

2019/2020

In vendita dal 18/08/2020

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Scarica CONSO – V. GREVI – M. BARGIS, Compendio di procedura penale e più Dispense in PDF di Diritto Processuale Penale solo su Docsity! INDICE CAPITOLO 1 – SOGGETTI .................................................... 9 1. PREMESSA ........................................................... 9 2. LA GIURISDIZIONE PENALE ............................................ 9 3. PROFILI ORDINAMENTALI .............................................. 9 4. QUESTIONI PREGIUDIZIALI E SOSPENSIONE DEL PROCESSO .............. 10 5. LA COMPETENZA: PER MATERIA, PER TERRITORIO E PER CONNESSIONE .... 11 6. LA C.D. COMPETENZA FUNZIONALE .................................... 12 7. LE “ATTRIBUZIONI” DEL TRIBUNALE .................................. 13 8. LA DISCIPLINA DELLA RIUNIONE E DELLA SEPARAZIONE DEI PROCESSI ... 13 9. I PROCEDIMENTI DI VERIFICA DELLA GIURISDIZIONE E DELLA COMPETENZA 14 10. IL CONTROLLO SUL CORRETTO RIPARTO DI “ATTRIBUZIONI” FRA TRIBUNALE MONOCRATICO E TRIBUNALE COLLEGIALE ........................ 16 11. LE CAUSE PERSONALI DI ESTROMISSIONE DEL GIUDICE: INCOMPATIBILITA’, ASTENSIONE E RICUSAZIONE .......................... 16 12. LA RIMESSIONE DEL PROCESSO ...................................... 18 13. LA POSIZIONE DI PARTE DEL PM E LA SUA FUNZIONE TIPICA ......... 19 14. L’ORGANIZZAZIONE E LA DISTRIBUZIONE DEL LAVORO TRA GLI UFFICI: LORO RAPPORTI ........................................................ 19 15. L’ASTENSIONE..................................................... 21 16. I RAPPORTI ALL’INTERNO DELL’UFFICIO ............................ 21 17. UFFICI DEL PM DISTRETTUALE ...................................... 21 18. LE FUNZIONI ED I SOGGETTI DI POLIZIA GIUDIZIARIA ............... 23 19. L’ORGANIZZAZIONE DELLA POLIZIA GIUDIZIARIA E LA SUA DIPENDENZA FUNZIONALE DALL’ATTIVITA’ GIUDIZIARIA ............................... 23 20. I RAPPORTI DI SUBORDINAZIONE .................................... 24 21. L’IMPUTATO E LA PERSONA SOTTOPOSTA AD INDAGINI ................. 24 22. LE DICHIARAZIONI RESE DALL’IMPUTATO ............................ 25 23. L’INTERROGATORIO ................................................ 25 triplice avviso: ..................................................... 26 24. L’IDENTIFICAZIONE E L’ESISTENZA IN VITA DELL’IMPUTATO ......... 26 25. INFERMITA’ MENTALE E PARTECIPAZIONE COSCIENTE .................. 27 27. I RAPPORTI TRA AZIONE CIVILE DA REATO E AZIONE PENALE ......... 29 28. IL RESPONSABILE CIVILE .......................................... 29 29. IL CIVILMENTE OBBLIGATO PER LA PENA PECUNIARIA E L’ENTE RESPONSABILE PER L’ILLECITO AMMINISTRATIVO DIPENDENTE DA REATO ..... 30 30. LA PERSONA OFFESA DAL REATO ..................................... 31 31. I DIRITTI E LE FACOLTA’ DELLA PERSONA OFFESA ................... 31 32. GLI ENTI E LE ASSOCIAZIONI RAPPRESENTATIVI DI INTERESSI LESI DAL REATO ................................................................. 31 33. IL QUERELANTE ................................................... 32 34. IL DIFENSORE DI FIDUCIA DELL’IMPUTATO .......................... 32 35. IL DIFENSORE D’UFFICIO .......................................... 33 36. PATROCINIO DEI NON ABBIENTI E POTERI DEL DIFENSORE ............. 34 37. IL DIFENSORE DELLE PARTI EVENTUALI, DELLA PERSONA OFFESA E DEGLI ENTI RAPPRESENTATIVI DI INTERESSI LESI DAL REATO .................... 34 38. IL SOSTITUTO DEL DIFENSORE ...................................... 35 39. LE GARANZIE DI LIBERTA’ DEL DIFENSORE .......................... 35 41. L’ABBANDONO DELLA DIFESA E IL RIFIUTO DELLA DIFESA D’UFFICIO .. 36 42. INCOMPATIBILITA’, NON ACCETTAZIONE, RINUNCIA E REVOCA DEL DIFENSORE ............................................................. 36 43. GLI AUSILIARI DEL GIUDICE E DEL PM ............................. 37 CAPITOLO 2 – ATTI ....................................................... 38 1. PREMESSA .......................................................... 38 2. LA LINGUA DEGLI ATTI .............................................. 38 3. LA SOTTOSCRIZIONE E LA DATA ...................................... 38 4. IL DIVIETO DI PUBBLICAZIONE ...................................... 39 5. LA CIRCOLAZIONE DI COPIE E DI INFORMAZIONI ....................... 40 6. MEMORIE, RICHIESTE E DICHIARAZIONI DELLE PARTI .................. 41 7. LA GARANZIA DELLA LEGALITA’ ...................................... 41 8. LE FORME DEI PROVVEDIMENTI ....................................... 41 9. IL PROCEDIMENTO IN CAMERA DI CONSIGLIO ........................... 42 10. L’IMMEDIATA DECLARATORIA DI CAUSE DI NON PUNIBILITA’ E LA CORREZIONE DEGLI ERRORI MATERIALI ................................... 43 11. I POTERI COERCITIVI ............................................. 43 12. I PRINCIPI IN MATERIA DI DOCUMENTAZIONE DEGLI ATTI ............. 44 13. LE MODALITA’ DELLA DOCUMENTAZIONE .............................. 44 14. LE TRASCRIZIONI E LE RIPRODUZIONI .............................. 44 15. LA DOCUMENTAZIONE DELL’INTERROGATORIO DEL DETENUTO ............. 45 16. LA PARTECIPAZIONE A DISTANZA .................................... 46 17. L’ESAME A DISTANZA .............................................. 47 18. LA TRADUZIONE DEGLI ATTI ........................................ 47 19. LE LINEE DI FONDO DEL REGIME DELLE NOTIFICAZIONI ............... 48 20. GLI ORGANI E LE FORME DELLE NOTIFICAZIONI DISPOSTE DAL GIUDICE O RICHIESTE DALLE PARTI ................................................ 49 21. LE NOTIFICAZIONI ALL’IMPUTATO ................................... 50 22. L’IRREPERIBILITA’ ED I SUOI EFFETTI ............................ 51 23. L’ELEZIONE DI DOMICILIO ......................................... 51 24. LE NOTIFICAZIONI A SOGGETTI DIVERSI DALL’IMPUTATO .............. 52 25. LA RELAZIONE DI NOTIFICAZIONE E LE CAUSE DI NULLITA’ .......... 52 26. LE REGOLE GENERALI IN MATERIA DI TERMINI ....................... 53 27. LA RESTITUZIONE NEL TERMINE ..................................... 54 28. L’INVALIDITA’ DEGLI ATTI ........................................ 55 29. IL PRINCIPIO DI TASSATIVITA’ DELLE NULLITA’ E LA TECNICA DI PREVISIONE ............................................................ 55 30. LE NULLITA’ ASSOLUTE ............................................ 56 31. LE NULLITA’ INTERMEDIE .......................................... 56 c. la rappresentanza dell’imputato. ................................. 57 34. L’IMPUGNAZIONE DEL PROVVEDIMENTO DI ARCHIVIAZIONE E LA RIAPERTURA DELLE INDAGINI ........................................... 114 35. L’AVOCAZIONE.................................................... 114 36. L’AVVISO DI CONCLUSIONE DELLE INDAGINI ........................ 115 37. LA RICHIESTA DI RINVIO A GIUDIZIO ............................. 115 38. L’UDIENZA PRELIMINARE: LA CONVOCAZIONE DELLE PARTI ............ 116 39. LA COSTITUZIONE DELLE PARTI .................................... 116 40. LO SVOLGIMENTO DELL’UDIENZA .................................... 117 41. LE NUOVE CONTESTAZIONI ......................................... 118 42. LA CONTUMACIA E L’ASSENZA ...................................... 118 43. LA SENTENZA DI NON LUOGO A PROCEDERE .......................... 119 44. L’IMPUGNAZIONE DELLA SENTENZA .................................. 120 45. IL DECRETO CHE DISPONE IL GIUDIZIO ............................ 120 46. I FASCICOLI ..................................................... 120 47. L’ATTIVITA’ INTEGRATIVA D’INDAGINE ............................ 121 48. LA REVOCA DELLA SENTENZA DI NON LUOGO A PROCEDERE ............. 121 49. IL PROCEDIMENTO PER REATI MINISTERIALI ........................ 122 CAPITOLO 6 – PROCEDIMENTI SPECIALI ..................................... 123 1. CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE SULLA NOZIONE DI SPECIALITA’ ....... 123 2. RAGIONI DELLA “SPECIALITA’” ..................................... 123 3. RAPPORTI FRA PROCEDIMENTI SPECIALI .............................. 124 4. GIUSTIZIA “CONSENSUALE” E CORRISPONDENTI FORME DI “SPECIALITA’” 124 5. PROCEDIMENTO DI OBLAZIONE ........................................ 124 6. APPLICAZIONE DELLA PENA SU RICHIESTA DELLE PARTI ............... 125 7. Segue: INTRODUZIONE E SVOLGIMENTO PROCEDURALE................... 126 8. Segue: SENTENZA .................................................. 128 9. Segue: AZIONE CIVILE E PATTEGIAMENTO ............................ 128 10. GIUDIZIO ABBREVIATO. GENERALITA’ .............................. 128 11. Segue: AMBITO DI APPLICAZIONE E PRESUPPOSTI ................... 129 12. Segue: FASE INTRODUTTIVA ....................................... 129 13. Segue: SVOLGIMENTO PROCEDURALE ................................. 131 14. Segue: LA SENTENZA ............................................. 133 15. GIUDIZIO IMMEDIATO RICHIESTO DALL’IMPUTATO .................... 134 16. PROCEDIMENTI SPECIALI ESPRESSIONE DI GIUSTIZIA “CONFLITTUALE” 134 17. GIUDIZIO IMMEDIATO RICHIESTO DAL PM ........................... 134 18. Segue: GIUDIZIO IMMEDIATO “CUSTODIALE” (art. 453 comma 1--‐bis) . 136 19. Segue: GIUDIZIO IMMEDIATO “OBBLIGATORIO” (art. 464 comma 1) .. 136 20. GIUDIZIO DIRETTISSIMO .......................................... 137 21. Segue: GIUDIZIO DIRETTISSIMO DAVANTI AL GIUDICE MONOCRATICO .. 137 22. Segue: GIUDIZI DIRETTISSIMI ATIPICI ........................... 138 24. PROCEDURE SPECIALI DI CARATTERE MISTO ......................... 139 25. PROCEDIMENTO PER DECRETO ....................................... 139 26. Segue: FASE INTRODUTTIVA E SVOLGIMENTO PROCEDURALE ............ 139 27. IL DECRETO PENALE .............................................. 140 28. OPPOSIZIONE A DECRETO PENALE ................................... 140 29. GIUDIZIO DIRETTISSIMO SU ACCORDO DELLE PARTI .................. 141 30. CONTESTAZIONE SUPPLETIVA DEL “FATTO NUOVO” .................... 141 dibattimento. ....................................................... 141 31. DEFERIMENTO DEL GIUDIZIO AD UN GIURI’ D’ONORE ................. 141 CAPITOLO 7 – GIUDIZIO .................................................. 143 1. LA FASE DEL GIUDIZIO ............................................. 143 2. CARATTERISTICHE DEL GIUDIZIO NEL SISTEMA ACCUSATORIO ........... 143 3. INDAGINI PRELIMINARI E DIBATTIMENTO ............................. 144 4. DAL “PRINCIPIO DI NON DISPERSIONE DELLA PROVA” ALLA MODIFICA DELL’ART. 111 ........................................................ 144 5. LA LEGGE DI ATTUAZIONE DEL “GIUSTO PROCESSO” E L’ATTUALE RUOLO DEL DIBATTIMENTO......................................................... 145 6. ATTI PRELIMINARI AL DIBATTIMENTO: ESTENSIONE E CONTENUTI DELLA FASE ................................................................. 145 7. PUBBLICITA’ E DISCIPLINA DELL’UDIENZA DIBATTIMENTALE. SOSPENSIONE E RINVIO ............................................................. 146 8. PARTECIPAZIONE AL DIBATTIMENTO ED ESAME A DISTANZA ............. 148 9. VERBALI DI UDIENZA ............................................... 149 10. COSTITUZIONE DELLE PARTI E CONTUMACIA ......................... 149 11. QUESTIONI PRELIMINARI, ESPOSIZIONE INTRODUTTIVA E RICHIESTE DI PROVA ................................................................ 150 12. IL FASCICOLO PER IL DIBATTIMENTO: LETTURA--‐ACQUISIZIONE DEI VERBALI 151 13. IL FASCICOLO DEL PM E LE CONTESTAZIONI ........................ 152 14. CONTESTAZIONI NELL’ESAME TESTIMONIALE ......................... 152 15. I LIMITI DI UTILIZZABILITA’ DELLE PRECEDENTI DICHIARAZIONI ... 153 16. CONTESTAZIONI E LETTURE NELL’ESAME DELLE PARTI E DELL’IMPUTATO IN PROCEDIMENTO SEPARATO ............................................ 153 17. LE ALTRE LETTURE CONSENTITE E LE LETTURE VIETATE .............. 154 18. L’ESCUSSIONE DELLA PROVA ....................................... 155 19. DIVIETI DI UTILIZZAZIONE ....................................... 156 20. MODIFICAZIONI DELL’ACCUSA ...................................... 157 21. DELIBERAZIONE E PUBBLICAZIONE DELLA SENTENZA .................. 158 22. CONTENUTO DELLA DECISIONE ...................................... 159 CAPITOLO 8 – PROCEDIMENTO DAVANTI AL TRIBUNALE IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA ....................................................................... 160 1. PREMESSA ......................................................... 160 3. LA FASE DELLE INDAGINI PRELIMINARI .............................. 161 4. LE FORME DI ESERCIZIO DELL’AZIONE PENALE ........................ 162 5. I CASI DI CITAZIONE DIRETTA A GIUDIZIO .......................... 162 6. PROCEDIMENTI CONNESSI E CITAZIONE DIRETTA A GIUDIZIO ........... 163 7. I CONTENUTI DEL DECRETO DI CITAZIONE A GIUDIZIO ................ 163 8. LA NULLITA’ DEL DECRETO DI CITAZIONE A GIUDIZIO ................ 163 9. LA NOTIFICAZIONE DEL DECRETO DI CITAZIONE E LA TRASMISSIONE DEGLI ATTI AL GIUDICE DELL’UDIENZA DI COMPARIZIONE IN DIBATTIMENTO ...... 164 10. GLI ATTI URGENTI ............................................... 164 12. I PROCEDIMENTI SPECIALI ........................................ 165 13. IL DIBATTIMENTO ................................................ 165 CAPITOLO 9 – IMPUGNAZIONI .............................................. 166 1. RILIEVI INTRODUTTIVI ............................................. 166 2. PRINCIPIO DI TASSATIVITA’ DELLE IMPUGNAZIONI .................... 167 3. IMPUGNABILITA’ OGGETTIVA ......................................... 167 4. TITOLARI DEL DIRITTO D’IMPUGNAZIONE: a) IMPUGNAZIONE DEL PM .... 168 5. Segue: b) IMPUGNAZIONE DELL’IMPUTATO E DEL SUO DIFENSORE ....... 168 6. Segue: c) IMPUGNAZIONE DEL RESPONSABILE CIVILE E DEL CIVILMENTE OBBLIGATO ............................................................ 169 7. Segue: d) IMPUGNAZIONE DELLA PARTE CIVILE E DEL QUERELANTE ..... 169 8. Segue: e) IMPUGNAZIONE DELLA PERSONA OFFESA PER I REATI DI INGIURIA E DIFFAMAZIONE (ABROGATO) ................................. 170 9. L’INTERESSE AD IMPUGNARE ......................................... 170 10. FORMA E MODALITA’ DI PRESENTAZIONE DELL’IMPUGNAZIONE ......... 170 11. TERMINI PER IMPUGNARE E PER LA PRESENTAZIONE DI MOTIVI NUOVI . 171 12. PLURALITA’ DI MEZZI D’IMPUGNAZIONE CONTRO LA MEDESIMA SENTENZA E CONVERSIONE DEL RICORSO IN APPELLO ................................. 172 13. INAMMISSIBILITA’ DELL’IMPUGNAZIONE ............................ 173 14. RINUNCIA ALL’IMPUGNAZIONE ...................................... 174 15. ESTENSIONE DELL’IMPUGNAZIONE ................................... 174 16. SOSPENSIONE DELL’ESECUZIONE DEL PROVVEDIMENTO IMPUGNATO ...... 175 17. CONDANNA ALLE SPESE ............................................ 175 18. L’APPELLO: PREMESSA ............................................ 175 19. APPELLABILITA’ OGGETTIVA ....................................... 175 20. APPELLABILITA’ SOGGETTIVA E GIUDICE D’APPELLO ................. 177 21. L’APPELLO INCIDENTALE .......................................... 177 22. LA COGNIZIONE DEL GIUDICE D’APPELLO: a) IL PRINCIPIO DEL TANTUM DEVOLUTUM QUANTUM APPELLATUM E LE SUE ECCEZIONI .................... 178 23. Segue: b) RAPPORTI FRA COGNIZIONE DEL GIUDICE D’APPELLO E CONTENUTO DELLA DECISIONE; IL DIVIETO DELLA REFORMATIO IN PEIUS ... 178 24. GIUDIZIO D’APPELLO IN CAMERA DI CONSIGLIO ..................... 179 25. PROVVEDIMENTI IN CAMERA DI CONSIGLIO IN ORDINE ALL’ESECUZIONE DELLE CONDANNE CIVILI ............................................... 179 26. ATTI PRELIMINARI AL GIUDIZIO D’APPELLO ........................ 180 27. DIBATTIMENTO D’APPELLO: a) LINEE GENERALI ..................... 180 28. Segue: b) LA RINNOVAZIONE DELL’ISTRUZIONE DIBATTIMENTALE ..... 181 29. SENTENZE CONCLUSIVE DEL GIUDIZIO D’APPELLO .................... 181 30. IL RICORSO PER CASSAZIONE: PREMESSA ........................... 183 31. RICORRIBILITA’ OGGETTIVA E SOGGETTI LEGITTIMATI ............... 183 32. MOTIVI DI RICORSO E COGNIZIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE ..... 184 b. Inosservanza od erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale; ....................................................... 184 33. PROBLEMATICHE RELATIVE ALL’ART. 606 Comma 1 lett. e........... 184 b. La Corte Costituzionale, nella particolare composizione che risulta dall’art. 135.7 Cost., riguardo alle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica per alto tradimento o per attentato alla Costituzione. La categoria dei giudici ordinari comprende: a. Giudice di pace: onorario e monocratico; b. Giudice per le indagini preliminari: monocratico; c. Giudice dell’udienza preliminare: monocratico. Con riguardo ad esso, per evitare condizionamenti derivanti dalle attività compiute nel corso delle indagini preliminari, è previsto che debba essere diverso da quello che ha svolto le funzioni di gip. Al fine di assicurare un’elevata qualificazione professionale dei gup e l’intento di creare le premesse per la loro terzietà, è stata fissata la regola della temporaneità delle funzioni. Qualora dopo 6 anni sia in corso il compimento di un atto, l’esercizio delle funzioni viene prorogato sino al compimento dell’atto in questione; al di fuori di quest’ipotesi, tali disposizioni possono essere derogate solo “per imprescindibili e prevalenti esigenze di servizio”; d. Tribunale ordinario: a seconda della gravità del reato, esso giudica in composizione monocratica o collegiale; e. Corte d’assise: giudice collegiale composto da 8 magistrati, di cui 2 togati e 6 laici; f. Corte d’appello: collegiale, composta da 3 magistrati; g. Corte d’assise d’appello: collegiale; h. Magistrato di sorveglianza: monocratico; i. Tribunale di sorveglianza: collegiale, composto da 4 membri, di cui 2 togati e 2 laici; j. Corte di cassazione: divisa in 7 sezioni, ciascuna delle quali giudica con 5 componenti. 4. QUESTIONI PREGIUDIZIALI E SOSPENSIONE DEL PROCESSO Il giudice penale deve risolvere ogni questione che si ponga come antecedente logico--‐giuridico della decisione di cui è investito, attraverso una pronuncia incidentale che può avere natura civile, amministrativa o penale, la quale ha rilevanza solo all’interno del procedimento in cui è inserita (cognitio incidenter tantum). A tale regola sono state previste delle eccezioni che possono essere suddivise in 2 categorie: a. Da un lato vi sono quelle disposizioni che, in caso di controversia sulla proprietà delle cose sequestrate, devolvono la relativa risoluzione al giudice civile; b. Dall’altro vi sono invece quelle che, occupandosi specificamente delle questioni da cui dipende la decisione definitiva, disciplinano i presupposti e il modo dell’eventuale sospensione. Tutto ciò vale particolarmente per le questioni pregiudiziali relative allo stato di famiglia o di cittadinanza: in questi casi il giudice può sospendere il processo quando ricorrono 3 condizioni: a. Deve effettivamente sussistere un rapporto di pregiudizialità tra la risoluzione della controversia sullo stato di famiglia o di cittadinanza e la decisione del giudizio penale; b. La questione pregiudiziale deve essere seria; c. Deve essere già stata proposta l’azione a norma delle leggi civili. Se manca una di tali condizioni il giudice deve decidere in via incidentale. Nel caso di sospensione, il giudice pronuncia ordinanza impugnabile in cassazione. Durante la sospensione possono essere compiuti solo gli atti urgenti, purché non riguardanti la questione che ha determinato la sospensione. Alla sentenza irrevocabile intervenuta in sede extrapenale è riconosciuta efficacia di giudicato. La seconda ipotesi di sospensione del processo penale a causa di una questione pregiudiziale è quella prevista dall’art. 479 quando la controversia da risolvere verte su una qualsiasi altra questione di competenza del giudice amministrativo o civile; sospensione questa che può essere disposta solo nel corso del dibattimento. Suoi requisiti sono: a. La risoluzione della controversia deve condizionare la decisione sull’esistenza del reato; b. La controversia deve essere di particolare complessità; c. Deve essere già in corso il relativo procedimento davanti al giudice civile o amministrativo. La sospensione del dibattimento è disposta con ordinanza impugnabile in cassazione ed è escluso che l’impugnazione abbia effetto sospensivo. Il giudice può revocare, anche d’ufficio, l’ordinanza di sospensione quando il giudizio civile o amministrativo non sia concluso entro 1 anno; la sentenza extrapenale non ha efficacia vincolante, entrando solo a far parte del materiale probatorio destinato a costituire la base per la formazione del libero convincimento del giudice. Infine, i processi penali nei confronti del Presidente della Repubblica, del Presidente della Camera o del Senato e del Presidente del Consiglio sono sospesi dalla data di assunzione sino alla cessazione della carica o della funzione, anche se relativi a fatti antecedenti l’assunzione della carica o funzione. 5. LA COMPETENZA: PER MATERIA, PER TERRITORIO E PER CONNESSIONE La disciplina della competenza consiste nell’insieme di regole giuridiche che consentono la distribuzione, orizzontale e verticale, delle questioni penali, in modo tale che risulti predeterminato il giudice legittimato a conoscere di ogni procedimento. Con riguardo alla competenza per materia, bisogna anzitutto dire che il codice ha operato la suddivisione tenendo conto sia del tipo di reato (criterio qualitativo), sia del livello della pena edittale (criterio quantitativo). L’art. 4 dispone che bisogna tener conto del massimo della pena stabilito dalla legge per ogni reato consumato o tentato, mentre bisogna escludere l’incidenza della continuazione, della recidiva e delle circostanze del reato, salvo si tratti delle aggravanti per le quali la legge prevede una pena di specie diversa o di quelle ad effetto speciale. Alla corte d’assise sono affidati: a. I delitti puniti con l’ergastolo o con la reclusione non inferiore nel massimo a 24 anni, eccezion fatta per i delitti di tentato omicidio, di rapina e di estorsione, nonché i delitti di sequestro di persona a scopo di estorsione; b. I delitti consumati di omicidio del consenziente, istigazione o aiuto al suicidio, omicidio preterintenzionale; c. Ogni delitto doloso da cui sia derivata la morte di una o più persone, escluse le ipotesi di morte come conseguenza non voluta di altro reato, di morte avvenuta in seguito a rissa e di morte derivante da omissione di soccorso; d. I delitti di riorganizzazione del partito fascista, di genocidio e quelli contro la personalità dello Stato puniti con pena non inferiore nel massimo a 10 anni. Per quanto riguarda il tribunale, la sua competenza si ricava per sottrazione rispetto ai reati di competenza della corte d’assise o del giudice di pace. Nella competenza per territorio la regola fondamentale è quella del luogo in cui il reato è stato consumato. Ad essa il legislatore fa seguire: a. Altre regole di carattere generale che derogano al criterio del locus commissi delicti in ragione della particolare configurazione della fattispecie delittuosa. Tali ipotesi sono quelle del reato che abbia cagionato la morte di una o più persone, del reato permanente e del delitto tentato. Nel primo caso si è preferito radicare la competenza nel luogo in cui è avvenuta l’azione o omissione. Nelle altre 2 ipotesi si è optato, rispettivamente, per il criterio del luogo in cui ha avuto inizio la consumazione anche se dal fatto è derivata la morte di una o più persone, e per il criterio del luogo in cui è stato compiuto l’ultimo atto diretto a commettere il reato; b. Talune regole suppletive che consentono di individuare il giudice territorialmente competente quando non sia possibile ricorrere alle regole generali. Prioritario è il criterio del luogo in cui è avvenuta una parte dell’azione o omissione; seguono il criterio della residenza, della dimora e del domicilio dell’imputato; ed infine quello del luogo in cui ha sede l’ufficio del PM che ha provveduto per primo ad iscrivere la notizia di reato. In 2 casi il codice stesso ha creato regole ad hoc: a. Una prima deroga riguarda i procedimenti relativi ai delitti di mafia, schiavitù, tratta di persone e sequestro per estorsione. In tal caso le funzioni di gip, nonché quelle di gup, sono esercitate da un magistrato appartenente al tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente; b. La seconda deroga nasce dal presupposto dell’esistenza di un procedimento in cui un magistrato assuma il ruolo di imputato o di persona offesa, e che sia di competenza di un ufficio giudiziario ricompreso nel distretto di corte d’appello in cui lo stesso magistrato esercita le proprie funzione o le esercitava al momento del fatto. In questi casi la competenza spetta al giudice, ugualmente competente per materia, che ha sede nel capoluogo del distretto di corte d’appello determinato dalla legge, sulla base di una tabella incentrata sul criterio della circolarità. La competenza per connessione comporta il confluire davanti ad un unico giudice di procedimenti riservati a giudici diversi. La connessione si ha: a. Se il reato per il quale si procede è stato commesso da più persone in concorso o in cooperazione tra loro, ovvero se più persone, con condotte indipendenti, hanno determinato l’evento; b. Se una persona è imputata di più reati commessi con una sola azione od omissione (concorso formale) ovvero con più azioni od omissioni esecutive di uno stesso disegno criminoso (reato continuato); c. Se dei reati per cui si procede taluni sono stati commessi per eseguire o per occultare gli altri. Per la determinazione del giudice competente nel caso di procedimenti connessi prioritario è il criterio del giudice superiore, per cui i procedimenti di competenza del tribunale sono attribuiti alla corte d’assise; quando invece ci si muove solo sul piano della competenza territoriale prevale il giudice competente per il reato più grave o, in caso di pari gravità, quello competente per il primo reato. 6. LA C.D. COMPETENZA FUNZIONALE Riguardo alla suddivisione per gradi, è possibile distinguere tra giudici di pace, tribunale ordinario e corte d’assise (giudici di primo grado), tribunale monocratico, corte d’appello e corte d’assise d’appello (giudici di secondo grado), corte di cassazione, cui è demandato il controllo di legittimità sulle decisioni assunte nei gradi precedenti. cui viene dichiarata l’incompetenza: a. Nel corso delle indagini preliminari, il giudice pronuncia ordinanza e dispone la restituzione degli atti al PM; b. Dopo la chiusura delle indagini preliminari e in sede di dibattimento di primo grado, il giudice pronuncia sentenza e ordina la trasmissione degli atti al PM presso il giudice competente; c. In grado d’appello, se il giudice rileva che su un reato di competenza della corte d’assise ha giudicato il tribunale, oppure che su un reato di competenza del tribunale ha giudicato il giudice di pace, pronuncia sentenza di annullamento e ordina la trasmissione degli atti al PM presso il giudice di primo grado; nell’ipotesi inversa, pronuncia invece nel merito, anche quando l’eccezione di incompetenza sia stata riproposta con i motivi d’appello. Con riferimento all’incompetenza per territorio o per connessione, è prevista la pronuncia di una sentenza di annullamento da parte del giudice d’appello e la trasmissione degli atti, rispettivamente, al PM presso il giudice di primo grado e direttamente a quest’ultimo; d. Nel giudizio innanzi alla corte di cassazione, quest’ultima è tenuta a dichiarare, anche d’ufficio, l’incompetenza per materia derivante dall’avere un tribunale giudicato un reato di competenza della corte d’assise; può essere eventualmente dichiarata anche l’incompetenza per territorio o per connessione, purché la relativa eccezione sia stata riproposta nei motivi del ricorso per cassazione. La decisione della corte di cassazione sulla giurisdizione o sulla competenza è vincolante nel corso del processo, ma può essere superata solo quando risultano nuovi fatti che implicano la modificazione della giurisdizione o della competenza del giudice superiore. Il mancato rispetto delle norme sulla competenza non determina l’inefficacia delle prove acquisite (principio della conservazione degli atti), con la sola parziale eccezione delle dichiarazioni rese al giudice incompetente per materia che, se ripetibili, possono essere usate solo in sede di udienza preliminare. Le misure cautelari disposte da un giudice incompetente cessano di avere efficacia se entro 20 gg. dall’ordinanza di trasmissione degli atti al giudice competente non sono confermate da quest’ultimo. Il conflitto tra giudici si determina quando 2 o più giudici contemporaneamente prendono (conflitto positivo) o rifiutano di prendere (conflitto negativo) cognizione del medesimo fatto attribuito alla stessa persona. Si può avere: a. Conflitto di giurisdizione, quando il contrasto intercorre tra uno o più giudici ordinari e uno o più giudici speciali; b. Oppure conflitto di competenza, quando sono coinvolti due o più giudici ordinari. Di fronte all’impossibilità di stabilire preventivamente un elenco esaustivo delle varie ipotesi di conflitto, il legislatore ha fatto ricorso alla categoria dei conflitti “analoghi”. Il procedimento di conflitto nasce in seguito ad una “denuncia” di parte, privata o pubblica, o ad una “rilevazione” d’ufficio del giudice. Esso non comporta la sospensione del processo in corso ed è risolto dalla corte di cassazione con sentenza in camera di consiglio. Quindi, il conflitto cessa: a. O per effetto dell’iniziativa di uno dei giudici che dichiari la propria competenza, in caso di conflitto negativo, o la propria incompetenza, in caso di conflitto positivo; b. Oppure bisogna attendere la sentenza vincolante della corte di cassazione. 10. IL CONTROLLO SUL CORRETTO RIPARTO DI “ATTRIBUZIONI” FRA TRIBUNALE MONOCRATICO E TRIBUNALE COLLEGIALE L’inosservanza delle disposizioni sull’attribuzioni di un reato ad una determinata composizione del tribunale deve essere rilevata o eccepita, a pena di decadenza, prima della conclusione dell’udienza preliminare ovvero, nei processi in cui si prescinde da tale udienza, entro il termine previsto dall’art. 491.1. la relativa regolamentazione ricalca quella sull’incompetenza per territorio e per connessione. La diversificazione riguarda la forma del provvedimento giudiziale con cui viene dichiarata l’erronea attribuzione del reato. In sede di udienza preliminare, bisogna prendere in considerazione l’ipotesi in cui il giudice ritenga che si debba prescindere dall’udienza de qua, in quanto il reato rientra tra quelli rispetto ai quali è prevista la citazione diretta a giudizio da parte del PM. In tal caso, il gup dispone che gli atti vengano trasmessi al PM, affinché questi provveda ad emettere il decreto di citazione a giudizio. Qualora, invece, l’inosservanza delle regole sull’attribuzione del reato viene rilevata nel dibattimento di primo grado, il giudice procede diversamente a seconda che il dibattimento sia stato instaurato in seguito ad udienza preliminare oppure a decreto di citazione diretta a giudizio: a. Nel primo caso è sufficiente trasmettere gli atti, con ordinanza, al giudice competente; b. Nel secondo, essendo stato l’imputato indebitamente privato dell’udienza preliminare, occorre una regressione del processo; deve essere quindi disposta, con ordinanza, la trasmissione degli atti al PM, per consentirgli di esercitare l’azione penale tramite la richiesta di rinvio a giudizio. La questione sulla violazione delle regole sulle attribuzioni può essere affrontata anche nel giudizio d’appello e in quello di cassazione: a. Quanto al giudice di appello, qualora questi ritenga che dovesse giudicare il tribunale in composizione collegiale, pronuncia sentenza di annullamento e ordina la trasmissione degli atti al PM presso il giudice di primo grado. Pronuncia, invece, nel merito, qualora ritenga che il reato appartenesse alla cognizione del tribunale in composizione monocratica; b. Quanto alla corte di cassazione, bisogna distinguere tra attribuzione viziata per difetto o per eccesso: nel primo caso, pronuncia sentenza di annullamento e ordina la trasmissione degli atti al PM; nel secondo caso vale la stessa regola, purché il ricorso riguardi una sentenza inappellabile o si tratti di un ricorso per saltum. Al di fuori di queste ipotesi, l’errore di attribuzione è irrilevante. 11. LE CAUSE PERSONALI DI ESTROMISSIONE DEL GIUDICE: INCOMPATIBILITA’, ASTENSIONE E RICUSAZIONE Le cause di incompatibilità sono previste autonomamente negli artt. 34 e 35 ma risultano ricomprese nella stessa disciplina delle ipotesi di astensione e ricusazione. Le cause di incompatibilità sono stabilite, in parte, dalle leggi di ordinamento giudiziario e, in parte, dal codice di rito. Le prime riguardano solo la costituzione dell’organo giudicante e prefigurano alcune condizioni dirette ad assicurare che il giudice non solo sia, ma anche appaia imparziale. Per quanto riguarda le seconde, bisogna distinguere tra l’incompatibilità per ragioni di parentela, affinità o coniugo (art. 35), e l’incompatibilità determinata da atti compiuti nel procedimento (art. 34). Quest’ultima species contempla 4 gruppi di situazioni: a. Il giudice che ha pronunciato o ha concorso a pronunciare sentenza in un grado del procedimento non può esercitare funzione di giudice negli altri gradi; b. Non può partecipare al giudizio il giudice che ha pronunciato il provvedimento conclusivo dell’udienza preliminare o ha disposto il giudizio immediato o ha emesso decreto penale di condanna, e neppure quello che ha deciso sull’impugnazione della sentenza di non luogo a procedere. Tale previsione normativa è stata poi ampliata da una serie di interventi della Corte costituzionale; c. Il giudice che in un determinato procedimento ha esercitato le funzioni di gip non può in quello stesso procedimento emettere il decreto penale di condanna, né partecipare al giudizio, ed è incompatibile alla funzione di gup. Tale disposizione è stata poi precisata dal comma 2--‐ter, che esclude la ricorrenza di una situazione di incompatibilità quando il gip si sia limitato ad adottare taluni provvedimenti, ritenuti inidonei a determinare una situazione di pregiudizio; d. Infine, non può esercitare l’ufficio di giudice in un determinato procedimento chi, in quello stesso procedimento, ha esercitato funzioni di PM o ha svolto atti di polizia giudiziaria ovvero un altro ruolo idoneo a comprometterne l’imparzialità. Per la stessa ragione, è incompatibile all’ufficio di giudice chi ha proposto la notizia di reato e chi ha deliberato o ha concorso a deliberare l’autorizzazione a procedere. Per quanto riguarda le cause di astensione e di ricusazione, esse sono disciplinate unitariamente nella disposizione sull’astensione, anche se non si può parlare di una totale coincidenza: a. infatti, non costituisce motivo di ricusazione l’ipotesi in cui sussistano gravi ragioni di convenienza; b. e, viceversa, non costituisce motivo di astensione la manifestazione indebita da parte del giudice, nell’esercizio delle sue funzioni e prima che sia pronunciata sentenza, del proprio convincimento sui fatti oggetto dell’imputazione. Oltre che nell’ipotesi sopra richiamata, ha l’obbligo di astenersi il giudice che abbia interesse nel procedimento; che sia tutore, curatore, procuratore o datore di lavoro di una delle parti private ovvero che sia prossimo congiunto del difensore, procuratore o curatore di una delle parti; che abbia dato consigli o manifestato il suo parere sull’oggetto del procedimento fuori dell’esercizio delle funzioni giudiziarie; che sia in rapporto di grave inimicizia con una delle parti private. È ulteriormente previsto l’obbligo di astensione (e la ricusabilità del giudice) quando alcuno dei prossimi congiunti del giudice o del coniuge è offeso, danneggiato dal reato o parte privata; quando un prossimo congiunto svolge o ha svolto nello stesso procedimento funzioni di PM. Dal punto di vista del procedimento: a. per l’astensione si prevede la presentazione di una dichiarazione di astensione al presidente della corte o del tribunale, il quale decide con decreto senza formalità di procedura; b. per la ricusazione, il procedimento inizia con la presentazione della dichiarazione nella cancelleria del giudice competente. Da tale presentazione scatta il divieto per il giudice ricusato di pronunciare sentenza fino a che non sia intervenuta l’ordinanza di inammissibilità o di rigetto della dichiarazione stessa. Il tribunale, o la corte, competente a decidere sulla ricusazione pronuncia ordinanza d’inammissibilità, oltre che per mancanza di legittimazione soggettiva e per inosservanza di forme e termini, anche per manifesta infondatezza dei motivi addotti. Su tale ordinanza è ammesso il ricorso per cassazione. Superata la fase dell’ammissibilità, la corte decide, in camera di consiglio, sul merito della ricusazione e può disporre che il giudice ricusato sospenda temporaneamente ogni attività processuale o si limiti al compimento degli atti urgenti. L’unico divieto posto a carico d’impugnazione, così come accade sempre per i magistrati della procura generale presso la corte di cassazione relativamente a tale giudizio. Durante la fase delle indagini preliminari si apre una serie di canali informativi tra procure della Repubblica e relative procure generali presso la corte d’appello, e viceversa. L’unico strumento attraverso il quale il procuratore generale presso la corte d’appello subentra, nella titolarità delle indagini preliminari, al procuratore della Repubblica del suo distretto è l’avocazione, la quale scatta in maniera automatica: a. Nel caso d’impossibilità di provvedere alla tempestiva sostituzione del magistrato designato a seguito di astensione o di incompatibilità; b. Nel caso di omessa tempestiva sostituzione del magistrato da parte del capo dell’ufficio, quando ricorrono alcune tra le fattispecie che avrebbero imposto al giudice di astenersi e consentito alle parti di ricusarlo; c. Nel caso di omessa presentazione, nei termini prefissati, della richiesta di archiviazione ovvero di omesso esercizio dell’azione penale. Una particola ipotesi è quella del procuratore generale che, assunte le necessarie informazioni, dispone, con decreto motivato, l’avocazione delle indagini preliminari per una serie di delitti di criminalità organizzata quando, trattandosi di indagini collegate, non risulti effettivo il coordinamento tra i diversi uffici e non abbiano dato esito le riunioni disposte o promosse dal procuratore generale. In aggiunta al vincolo del decreto motivato, si prevede che copia del provvedimento con cui il procuratore generale presso la corte d’appello dispone l’avocazione delle indagini preliminari è sempre trasmessa al CSM ed ai procuratori della Repubblica interessati. Ciò consente a questi ultimi di proporre reclamo al procuratore generale presso la corte di cassazione, il quale, se accoglie il reclamo, revoca il decreto di avocazione e dispone la restituzione degli atti. Gli effetti dell’avocazione perdurano durante l’intero processo di primo grado. Se il PM ritiene che la competenza a conoscere il reato spetti ad un giudice diverso da quello presso cui esercita le sue funzioni, trasmette tempestivamente gli atti all’ufficio del PM presso il giudice competente. L’ufficio che ha ricevuto gli atti, ove dissenta, demanda la risoluzione del contrasto negativo al procuratore generale presso la corte d’appello o a quello presso la corte di cassazione, qualora appartenga ad un diverso distretto, trasmettendogli tutti gli atti del procedimento. Gli atti compiuti prima della trasmissione o della designazione conservano l’efficacia che è loro propria. Regole in parte analoghe valgono nel caso di contrasto positivo. Quando il PM procedente riceve notizia che presso un altro ufficio sono in corso indagini preliminari, ne informa il PM presso quest’ufficio, richiedendogli la trasmissione degli atti. A sua volta, il PM che ha ricevuto la richiesta, ove non ritiene di aderirvi, ne informa il procuratore generale presso la corte d’appello ovvero quello presso la corte di cassazione. Assunte le necessarie informazioni, il procuratore generale determina con decreto motivato quale ufficio debba procedere. Quando invece 2 gip sono investiti contemporaneamente di una richiesta relativa al medesimo fatto, si verifica un conflitto positivo di competenza che sarà risolto dalla corte di cassazione. È previsto poi un controllo sulla legittimazione del PM a svolgere le indagini preliminari con riguardo alla competenza per territorio e per connessione, proponibile dalla persona sottoposta alle indagini, dalla persona offesa, nonché dai rispettivi difensori. La richiesta di trasmettere gli atti al giudice competente è depositata presso la segreteria del PM procedente, a pena di inammissibilità, corredata delle ragioni poste a sostegno dell’indicazione del diverso ritenuto competente. Il PM, entro 10 gg., deve o accogliere la richiesta, trasmettendo gli atti al PM istituito presso il giudice ritenuto competente, o di rigettarla. In quest’ultimo caso, il richiedente può ancora investire della questione, nei successivi 10 gg., il procuratore generale presso la corte d’appello o presso la corte di cassazione. Nel termine di 20 gg. dal deposito della richiesta il procuratore generale provvede con decreto motivato dandone comunicazione al richiedente e agli uffici interessati. La richiesta non può essere riproposta salvo che si fondi su fatti nuovi e diversi. 15. L’ASTENSIONE L’astensione, non è obbligatoria sotto il profilo processuale, si fonda su gravi ragioni di convenienza, presuppone una dichiarazione motivata, ed è decisa dal capo dell’ufficio o dal procuratore generale presso la corte d’appello o presso la corte di cassazione, se riguarda i capi degli uffici. La sostituzione è effettuata con un magistrato appartenente al medesimo ufficio, ma tale regole è derogabile quando si tratta del capo dell’ufficio, nel qual caso può essere designato un altro magistrato del pubblico ministero appartenente ad un diverso ufficio, ugualmente legittimato per materia. 16. I RAPPORTI ALL’INTERNO DELL’UFFICIO Ogni ufficio del pubblico ministero si compone del titolare e di uno o più magistrati addetti all’ufficio (sostituti procuratori). Nelle procure della Repubblica presso i tribunali ordinari possono essere istituiti posti di procuratore aggiunto in proporzione all’organico dell’ufficio. Alle procure presso le sezioni distaccate delle corti d’appello sono poi preposti avvocati generali alla dipendenza del procuratore generale. I titolari dirigono gli uffici e ne organizzano l’attività, secondo i criteri di buon andamento ed imparzialità che ispirano il funzionamento della PA. Esercitano poi essi stessi le funzioni di PM, quando non designano uno o più tra gli altri magistrati dell’ufficio; inoltre può anche procedere ad una designazione congiunta in considerazione del numero degli imputati o della complessità delle indagini o del dibattimento. Il PM esercita le sue funzioni in piena autonomia nell’udienza, anche se ciò non toglie che il capo dell’ufficio può impartire direttive sulle premesse dell’udienza. Tale autonomia comporta che le cause di sostituzione sono circoscritte, le quali possono essere ricondotte a 3 distinti gruppi: a. Un primo gruppo comprende le cause che consentono una valutazione discrezionale da parte del capo dell’’ufficio; b. Un secondo concerne alcune situazioni in presenza delle quali il giudice sarebbe obbligato ad astenersi; c. Un terzo riguarda la sostituzione effettuata col consenso del magistrato interessato. nella fase delle indagini preliminari, il PM gode di una certa autonomia, tuttavia il capo dell’ufficio può fissare regole generali per la miglior efficienza dell’ufficio, nonché dettare singole direttive. Il magistrato che non si adegui a tale disposizioni può essere sostituito con un provvedimento motivato, salvo il potere dello stesso magistrato di chiedere di essere sostituito. Infine, solo il procuratore della Repubblica può intrattenere, personalmente o per il tramite di un magistrato dell’ufficio appositamente delegato, rapporti con i mass--‐media. 17. UFFICI DEL PM DISTRETTUALE Sono stati introdotti una serie di deroghe alla divisione del lavoro e sui rapporti tra gli uffici del PM al fine di creare una sorta di procedimento speciale per i reati di associazione mafiosa, di sequestro di persona a scopo estorsivo e di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. Il proposito di potenziare l’ufficio del PM con riguardo a tali reati si è concretizzato nell’art. 3 d.l. n. 90/2008, contenente misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza rifiuti in Campania e ulteriori disposizioni di protezione civile. In particolare, il comma 1 di tale art. assegna le funzioni di PM nelle indagini preliminari e nei procedimenti di primo grado al procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli, con riferimento ai reati sulla gestione rifiuti e in materia ambientale in Campania, nonché a quelli ad essi connessi. Nei casi in cui tali procedimenti concernono la criminalità organizzata, il comma 3 attribuisce al procuratore generale presso la corte d’appello di Napoli poteri di designazione del PM per le udienze dibattimentali. Per tutti i reati indicati dall’art. 51 commi 3--‐bis, 3--‐quater e 3- -‐quinquies le funzioni di PM nelle indagini preliminari e nei procedimenti di primo grado sono attribuite all’ufficio sito presso il tribunale del capoluogo del distretto di corte d’appello. Il procuratore della Repubblica presso quest’ultimo costituisce una direzione distrettuale antimafia per la trattazione dei procedimenti relativi ai reati di associazione mafiosa, designando i magistrati che devono farne parte per almeno 2 anni, inoltre, può anche essere istituito un posto di procuratore aggiunto per ragioni riguardanti lo svolgimento dei compiti della direzione distrettuale. Il procuratore distrettuale designa per l’esercizio delle funzioni di PM nei procedimenti in discorso i magistrati addetti alla direzione, ma, su richiesta del procuratore distrettuale, il procuratore generale presso la corte d’appello, per giustificati motivi, può disporre che le funzioni di PM per il dibattimento siano esercitate da un magistrato designato dal procuratore della Repubblica presso il giudice competente. Nonostante tutto, possono sempre sorgere contrasti, positivi o negativi, trai i diversi uffici del PM sulla relativa legittimazione a procedere: a. Se il contrasto si verifica tra diverse direzioni distrettuali, la risoluzione è affidata al procuratore generale presso al corte di cassazione, ma il procuratore nazionale antimafia ha una funzione consultiva; b. Se, invece, il contrasto insorge all’interno del medesimo distretto, il compito spetta al procuratore generale presso al corte d’appello. Alla direzione nazionale antimafia è preposto un magistrato di cassazione (il procuratore nazionale antimafia), nominato con delibera del CSM di concerto col Ministro della giustizia; tale incarico dura 4 anni e può essere rinnovato una sola volta. Alla direzione sono addetti, quali sostituti, 20 magistrati con funzioni di magistrati di corte d’appello, anch’essi nominati dal CSM, sentito il procuratore nazionale antimafia, sulla base di specifiche attitudini ed esperienze. Il procuratore nazionale antimafia può poi avvalersi della direzione investigativa antimafia (DIA) e dei servizi centrali e interprovinciali delle forze di polizia, impartendo loro le direttive volte a regolarne l’impiego a fini investigativi. Il procuratore nazionale antimafia è investito di due nuclei di funzioni: a. Quelle di impulso al coordinamento hanno il compito di assicurare il collegamento investigativo anche tramite i magistrati della direzione nazionale antimafia. Il procuratore può inoltre impartire ai procuratori distrettuali specifiche direttive, alle quali devono attenersi per prevenire e risolvere contrasti sulla modalità relative al coordinamento delle attività d’indagine. Sempre il procuratore nazionale indice riunioni tra i procuratori distrettuali interessati per risolvere i contrasti che hanno o dell’emissione del decreto di citazione a dibattimento per il giudizio di revisione. Alla persona sottoposta alle indagini preliminari sono estese tutte le garanzie e i diritti attribuiti a chi ha assunto la qualità d’imputato. Più precisamente, taluno diviene persona sottoposta alle indagini a seguito, anzitutto, del ricevimento di una notizia qualificata di reato contenente un’incolpazione nei confronti di un soggetto determinato. Se si tratta di notizie inqualificate, la persona può dirsi sottoposta alle indagini a seguito di una valutazione di attendibilità delle medesime. Con la nozione di indizio, invece, ci si riferisce ad u risultato conoscitivo indispensabile per adottare alcune misure nel corso della fase delle indagini preliminari o per farne scaturire determinati effetti diversi dalla decisione sul dovere di punire. 22. LE DICHIARAZIONI RESE DALL’IMPUTATO In base all’art. 62, le dichiarazioni rese nel corso del procedimento dall’imputato e dalla persona sottoposta alle indagini non possono formare oggetto di testimonianza: a. In primo luogo, ciò non riguarda solo le dichiarazioni sollecitate, ma anche quelle che il soggetto rilascia di propria iniziativa; b. In secondo luogo, il divieto vale nei confronti di coloro a carico dei quali, per effetto delle dichiarazioni rese, emergano indizi di reità e di coloro che, fin dall’inizio, dovevano essere sentiti in qualità di imputato o di persona sottoposta alle indagini; c. In terzo luogo, sono coperte dall’art. 62 le dichiarazioni rese dinnanzi all’autorità giudiziaria, alla polizia giudiziaria e ad altre persone abilitate a riceverle; d. Infine, è anche inibito a testimoniare chi riferisca, anche avendolo appreso da altri, il contenuto delle dichiarazioni dell’imputato o dei soggetti a lui assimilati. L’acquisizione illegittima di tali testimonianze comporta la loro inutilizzabilità. La disciplina delle dichiarazioni indizianti (art. 63) completa la regola per cui nessuno può essere obbligato a deporre su fatti dai quali potrebbe emergere la propria responsabilità penale. Profilatisi gli indizi, in capo all’autorità procedente, si determinano 3 obblighi distinti: a. Quello di interrompere l’esame come pure l’eventuale assunzione di informazioni; b. Quello di avvertire la persona che potranno essere svolte indagini nei suoi confronti per effetto della mutata veste processuale; c. Quello di avvertire l’indiziato che le sue dichiarazioni potranno essere utilizzate nei suoi confronti. 23. L’INTERROGATORIO Nella fase delle indagini preliminari, il PM procede all’interrogatorio della persona sottoposta a misura cautelare, dell’arrestato o del fermato e di chi si trova a piede libero mediante invito a presentarsi. Il PM è libero di scegliere il momento in cui procedere all’interrogatorio, salvo si tratti di persona sottoposta a custodia cautelare, nel qual caso l’interrogatorio del giudice deve precedere quello del PM. Quest’ultimo, ove non intenda formulare richiesta di archiviazione, deve notificare, prima della scadenza del termine di durata delle indagini preliminari, un avviso di conclusione delle stesse indirizzandolo alla persona sottoposta ad indagini e al difensore. Tale avviso contiene l’avvertimento che l’indagato, entro 20 gg., può presentarsi per rilasciare dichiarazione o chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio. Al mancato invio dell’avviso consegue la nullità della richiesta di rinvio a giudizio o del decreto di citazione a giudizio del PM. Se il PM ne fa istanza nella richiesta di custodia cautelare, l’interrogatorio deve avvenire entro 48 ore. Esercitata l’azione penale, l’imputato è libero di sottoporsi ad interrogatorio in sede di udienza preliminare, così come nel giudizio abbreviato. All’interrogatorio del PM si suole attribuire un prevalente carattere investigativo perché finalizzato alle determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale, mentre a quello condotto dal giudice si è soliti attribuire una finalità di controllo e di garanzia. Il difensore ha il diritto di essere avvisato del compimento dell’atto così da potervi assistere, anzi, la sua presenza diviene, talora, condizione di validità. Per quanto invece riguarda la difesa personale, l’interrogatorio è modellato in maniera idonea a garantire una partecipazione libera e cosciente da parte del soggetto. Assimilate all’interrogatorio sono infine le dichiarazioni rilasciate dalla persona sottoposta alle indagini a seguito della presentazione spontanea al PM. Nel corso dell’interrogatorio non possono essere usati metodi o tecniche idonei ad influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare le capacità mnemoniche o valutative. Prima che inizi l’interrogatorio, l’organo procedente ha l’obbligo di rivolgere alla persona interrogata un triplice avviso: a. Il soggetto deve essere edotto che le sue dichiarazioni potranno sempre essere usate nei suoi confronti; b. Deve essere avvertito che egli ha la facoltà di non rispondere ad alcuna domanda ma che, in ogni caso, il procedimento proseguirà il suo corso. Alla omissione di questi primi 2 avvisi la legge ricollega l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese;Infine, deve essere avvertito che se renderà dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri, in ordine a tali fatti assumerà l’ufficio di testimone. Al mancato avvertimento in discorso la legge ricollega una duplice sanzione: per un verso, la persona interrogata non potrà assumere, in ordine ai fatti riferiti riguardanti la responsabilità di altri, l’ufficio di testimone; per altro verso, le eventuali dichiarazioni contro altri non saranno utilizzabili nei confronti dei terzi coinvolti. Una volta che il soggetto abbia dichiarato di voler rispondere, vi è l’obbligo di contestargli in forma chiara e precisa il fatto attribuitogli, di rendergli noti gli elementi di prova a suo carico e di comunicargliene le fonti. Riguardo allo svolgimento dell’atto, la tecnica adottata è quella delle domande poste invia diretta dal solo organo procedente, il che vale anche per l’interrogatorio che l’imputato ha la facoltà di rendere in sede di udienza preliminare. 24. L’IDENTIFICAZIONE E L’ESISTENZA IN VITA DELL’IMPUTATO Nel primo atto del procedimento in cui è presente l’imputato, l’autorità giudiziaria lo invita a dichiarare le proprie generalità, ammonendolo sulle conseguenze nel caso di rifiuto o di generalità false; i medesimi inviti sono poi fatti dall’autorità giudiziaria alla persona sottoposta alle indagini. L’impossibilità di attribuire all’imputato le sue esatte generalità è irrilevante perché non pregiudica il compimento di alcun atto da parte della polizia giudiziaria o dell’autorità giudiziaria, purché sia certa l’identità fisica della persona. L’attribuzione di generalità erronee risulta essere alla stregua di un mero errore materiale, correggibile mediante il relativo procedimento in camera di consiglio. L’autorità giudiziaria, in ogni stato e grado del procedimento, deve comunicare a quella competente ai fini dell’applicazione della legge penale la circostanza che l’indagato è già stato segnalato come autore di reato commesso antecedentemente o successivamente a quello per il quale si procede, magari sotto diverso nome. Diverso è il profilo dell’identità fisica dell’imputato, che si sostanzia nella coincidenza tra la persona nei cui confronti è esercitata l’azione penale e quella che in effetti è assoggettata a processo. Tocca al PM, durante le indagini preliminari, disporre gli accertamenti del caso; se, invece, il dubbio sorge nel processo, le determinazioni saranno tratte dal gup o dal giudice del dibattimento. In caso di errore sull’identità fisica che risulti nel corso delle indagini preliminari, il PM può richiedere il decreto di archiviazione; se l’errore, invece, risulta nel processo, il giudice, sentiti il PM e l’imputato, pronuncia sentenza di non luogo a procedere. Quando l’autorità giudiziaria ritenga che l’imputato o la persona sottoposta alle indagini sia minorenne, trasmette gli atti al procuratore della Repubblica presso il tribunale minorile. In caso di incertezza sull’esistenza i vita dell’imputato, se il dubbio è risolto nel senso della morte, il PM nel corso delle indagini preliminari chiede l’archiviazione per estinzione del reato, mentre, nel corso del giudizio, il giudice proscioglie. La sentenza erroneamente dichiarativa dell’estinzione del reato per morte dell’imputato non impedisce un nuovo esercizio dell’azione penale per il medesimo fatto a carico della medesima persona. 25. INFERMITA’ MENTALE E PARTECIPAZIONE COSCIENTE Ogni persona fisica è titolare della capacità ad essere parte nel processo penale. Essa difetta negli infanti e negli immuni, da distinguersi in assoluti o relativi, a seconda che l’esenzione dalla giurisdizione valga per tutte le imputazioni o solo per alcune. Nozione distinta è quella della capacità processuale dell’imputato, ossia dell’idoneità ad esercitare i diritti e le facoltà ricollegati all’assunzione di tale qualità. In genere, la capacità processuale dell’imputato coincide con la sua capacità di essere parte, ma esistono alcune eccezioni, la più vistosa delle quali è rappresentata dall’ipotesi dell’infermità mentale dell’imputato sia antecedente che sopravvenuta al fatto costituente reato, il cui presupposto è commisurato sulla inidoneità del soggetto a partecipare coscientemente al processo. La valutazione sull’esistenza dell’infermità mentale dell’imputato non è necessariamente subordinata all’esito di un’indagine peritale disponibile anche d’ufficio, in quanto il giudice può convincersene anche sulla base di elementi ricavabili da perizie appena espletate o da manifestazioni conclamate. Qualora venga disposta la perizia psichiatrica, nel tempo occorrente per il suo svolgimento l’attività giudicante subisce consistenti limitazioni. Il giudice, su richiesta del difensore, può assumere solo le prove che possono condurre al proscioglimento dell’imputato. Se la necessità di provvedere sorge durante le indagini preliminari, la perizia è disposta dal giudice solo su richiesta delle parti con le forme dell’incidente probatorio, restando nel frattempo sospesi i termini per le indagini preliminari. Accertato che lo stato psichico dell’imputato ne impedisce la cosciente partecipazione al procedimento, il giudice emette ordinanza di sospensione del procedimento, la quale, ricorribile per cassazione, produce una pluralità di effetti: a. L’obbligo di nominare un curatore speciale a favore dell’imputato; b. La sospensione non impedisce al giudice di assumere prove, alle condizioni e nei limiti che valgono durante il tempo occorrente per l’espletamento della perizia nel processo, anche su richiesta del per il fatto dell’imputato. Il responsabile civile può essere sia citato su richiesta della parte civile o del PM, sia intervenire volontariamente nel processo penale. La richiesta deve essere proposta al più tardi per il dibattimento. Il giudice procedente ordina la citazione con un decreto che deve contenere: a. Le generalità della parte civile; b. L’indicazione delle domande avanzate nei confronti del responsabile civile; c. l’invito a costituirsi; d. l’indicazione della data e del luogo dell’udienza; e. la data e le sottoscrizioni del giudice e dell’ausiliario. La citazione è nulla qualora, per omissione o erronea indicazione di qualche elemento essenziale, il responsabile civile non sia stato in grado di esercitare i suoi diritti nell’udienza preliminare o nel giudizio, ovvero qualora risulti nulla la relativa notificazione. Il responsabile civile può anche decidere di non costituirsi, il che peraltro non impedisce al giudice di addebitargli, in sentenza, la responsabilità per il fatto dell’imputato; viceversa, può costituirsi, assumendo la qualità di parte e avvalendosi delle relative facoltà. La costituzione può avvenire in ogni stato e grado del processo, anche per mezzo di procuratore speciale, depositando nella cancelleria del giudice procedente o presentando in udienza una dichiarazione che deve contenere, a pena di inammissibilità: a. Le generalità della persona fisica o la denominazione dell’associazione o dell’ente e le generalità del suo legale rappresentante; b. Il nome e cognome del difensore e l’indicazione ella procura; c. La sottoscrizione del difensore. Il responsabile civile può anche intervenire volontariamente nel processo penale, sempre che vi sia stata costituzione di parte civile o il PM abbia agito come supplente, entro l’effettuazione, nel dibattimento di primo grado, degli accertamenti di costituzione delle parti. La parte civile può essere esclusa su richiesta di parte o di ufficio: a. Nel primo caso, legittimati a chiedere l’esclusione sono l’imputato, la parte civile, il PM e lo stesso responsabile civile, il quale ultimo può chiedere quindi la propria esclusione, oltre che per ragioni attinenti alla legittimazione, anche qualora gli elementi di prova raccolti prima della citazione possano recare pregiudizio alla sua difesa. La richiesta di esclusione, sulla quale decide il giudice con ordinanza, deve essere proposta non oltre gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti nell’udienza preliminare o nel dibattimento; b. Nel secondo caso, l’esclusione è disposta, con ordinanza non impugnabile, sia qualora venga accertata la mancanza dei requisiti per la citazione o per l’intervento del responsabile, sia qualora venga accolta dal giudice la richiesta di giudizio abbreviato. 29. IL CIVILMENTE OBBLIGATO PER LA PENA PECUNIARIA E L’ENTE RESPONSABILE PER L’ILLECITO AMMINISTRATIVO DIPENDENTE DA REATO Una persona (fisica o giuridica) può essere assoggettata, in via sussidiaria ed eventuale, ad un’obbligazione civile pecuniaria pari all’importo della multa o dell’ammenda inflitta al condannato, qualora quest’ultimo risulti insolvibile. La persona civilmente obbligata può essere citata, per l’udienza preliminare o per il giudizio, su richiesta del PM o dell’imputato. Per quanto riguarda la citazione, la costituzione e l’esclusione della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria, si rinvia alla normativa prevista per il responsabile civile. Il d. lgs. n. 231/2001 prevede l’irrogazione di sanzioni amministrative a carico degli enti forniti di personalità giuridica, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, qualora vengano accertati reati commessi nel loro interesse o a loro vantaggio da parte di persone che rivestano funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente, nonché di persone che ne esercitino la gestione e il controllo, ed infine di persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza dei soggetti precedentemente menzionati. Se intende partecipare al procedimento penale con il proprio rappresentante legale, l’ente deve costituirsi depositando in cancelleria una dichiarazione contenente, a pena di inammissibilità, oltre alla denominazione e alle generalità del legale rappresentante, il nome del difensore, la sua sottoscrizione e la dichiarazione o l’elezione di domicilio. 30. LA PERSONA OFFESA DAL REATO La persona offesa dal reato è il titolare dell’interesse protetto dalla norma penale che si assume violata, ma ad essa non è attribuita la qualità di parte, bensì quella di soggetto. 31. I DIRITTI E LE FACOLTA’ DELLA PERSONA OFFESA La persona offesa è, anzitutto, legittimata a presentare memorie, ossia elaborati scritti attraverso i quali avanzare istanze, illustrare questioni o toccare temi rilevanti per il processo. A seconda dei casi, le memorie saranno indirizzate al PM o al giudice procedente. Inoltre, la persona offesa può indicare elementi di prova, sia per spingere il PM a verificare meglio una certa ipotesi accusatoria, sia per indurre il giudice ad intraprendere quelle iniziative che la legge gli consente in materia di prova. In tema di capacità processuale, i minori infraquattordicenni e gli interdetti per infermità mentale devono essere rappresentati dai genitori e dal tutore, mentre, trattandosi di ultraquattordicenne o di inabilitato, la legittimazione ad esercitare i loro diritti spetta sia ad essi stessi che ai genitori, al tutore, al curatore. La persona offesa può inoltre nominare un difensore, il quale è legittimato a svolgere anche le investigazioni difensive. Deceduta la persona offesa in conseguenza del reato, i suoi diritti e facoltà sono attribuiti ai prossimi congiunti. Quando invece la morte non si può ritenere collegata al reato di cui è stata vittima, i prossimi congiunti possono entrare nel processo penale solo attraverso la costituzione di parte civile. 32. GLI ENTI E LE ASSOCIAZIONI RAPPRESENTATIVI DI INTERESSI LESI DAL REATO In presenta di taluni requisiti, gli enti e le associazioni rappresentativi di interessi lesi dal reato possono esercitare, in ogni stato e grado del procedimento, i diritti e le facoltà attribuiti alla persona offesa dal reato. Qualora tali enti risultino direttamente danneggiati dal reato, essi possono inserire la loro pretesa civilistica all’interno del processo penale mediante la costituzione di parte civile; al contrario, in mancanza di tale presupposto l’ente collettivo può partecipare al processo in veste di accusatore privato al fianco della persona offesa disposta ad accettare il suo intervento. Affinché l’ente collettivo possa assumere la qualifica di accusatore privato sussidiario si richiede non solo che esso non abbia scopo di lucro, ma anche che gli siano state riconosciute finalità di tutela degli interessi lesi dal reato. Come ulteriore garanzia di affidabilità si esige che il riconoscimento avvenga anteriormente alla commissione del fatto per cui si procede. È stato poi ritenuto necessario il consenso della persona offesa (ad un solo ente), da prestare con atto pubblico o con scrittura privata autenticata, e si è ammessa la possibilità di una revoca in qualsiasi momento dell’iter processuale, con le stesse forme previste per la prestazione del consenso: dopo l’eventuale revoca è esclusa, per la persona offesa, la possibilità di essere nuovamente fiancheggiata da tali enti. Affinché l’ente collettivo possa svolgere il ruolo che gli compete, è necessario che il suo difensore, munito di procura speciale, presenti un atto di intervento, da notificare alle parti quando la presentazione non avviene in udienza. Occorre inoltre che venga presentata la dichiarazione di consenso della persona offesa, nonché la procura del difensore. L’intervento non può avvenire dopo che si è conclusa la fase del dibattimento dedicata alla verifica della costituzione delle parti. Dopo l’intervento, può verificarsi un’estromissione dell’ente collettivo, disposta dal giudice con ordinanza inoppugnabile, in seguito ad un’opposizione di parte o d’ufficio, quando venga riscontrato un motivo di inammissibilità o un vizio riguardante la capacità processuale del soggetto intervenuto. Per quanto attiene, in particolare, all’opposizione, l’ipotesi più articolata è quella in cui vi sia stato un atto di intervento. L’opponente, entro 3 gg. dalla data di notificazione, deve far notificare la dichiarazione scritta di opposizione al rappresentante legale dell’ente, per consentire a quest’ultimo di presentare, entro 5 gg. dalla notifica, le sue controdeduzioni. Se l’intervento è avvenuto prima dell’esercizio dell’azione penale, la decisione è di competenza del gip, mentre sono competenti, rispettivamente, il gup e il giudice del dibattimento rispetto agli interventi verificatisi in tali fasi. 33. IL QUERELANTE Per una serie di reati espressamente indicati dal legislatore è previsto che l’esercizio dell’azione penale da parte del PM sia subordinato ad una esplicita voluntas persecutionis, che la persona offesa è tenuta ad esprimere attraverso la querela. La querela deve essere presentata entro 3 mesi dal giorno della notizia del fatto che costituisce il reato; tuttavia, qualora si debba procedere alla nomina di un curatore speciale tenuto a valutare l’opportunità di presentare querela, il termine decorre dal giorno in cui gli è notificato il decreto di nomina. Occorre poi che non vi sia stata rinuncia alla querela, la quale può essere espressa o tacita. Altra peculiarità è rappresentata dalla regola della indivisibilità della querela, secondo la quale il reato commesso in danno di più soggetti è perseguibile anche quando la querela sia presentata da una sola delle persone offese e, reciprocamente, che, nel caso di concorso di persone nel reato, la querela contro una di esse si estende di diritto anche agli altri concorrenti. Il diritto di querela si estingue in seguito alla morte della persona offesa che non lo abbia ancora esercitato, mentre, in caso contrario, la morte è irrilevante ai fini dell’estinzione del reato. L’estinzione, invece, consegue alla remissione della querela, sempre che il querelato non l’abbia espressamente o tacitamente ricusata, e fermo restando che, se la querela è stata proposta da più persone, affinché si produca l’effetto estintivo, è necessaria la remissione di tutti i querelanti. 34. IL DIFENSORE DI FIDUCIA DELL’IMPUTATO Il difensore dell’imputato (che potranno essere al massimo 2), cui spettano le facoltà ed i diritti riconosciuti all’imputato stesso, è tenuto a dimostrare non solo la scarsa significatività degli elementi di di un solo difensore, munito di procura speciale, da presumere conferita solo per un determinato grado a meno che nell’atto non sia espressa una volontà diversa. La procura può essere apposta in calce o a margine dei vari atti attraverso i quali avviene l’ingresso della parte nel processo penale; al di fuori di tale ipotesi, la procura si può conferire con atto pubblico o scrittura privata autenticata. Il difensore può compiere e ricevere tutti gli atti del procedimento tranne quelli che la legge riserva espressamente al rappresentato, il cui domicilio si intende eletto presso il difensore. Inoltre, in assenza di una procura ad hoc, quest’ultimo non può compiere atti implicanti disposizioni del diritto in contesa. Tale normativa opera anche nei confronti degli enti rappresentativi degli interessi lesi dal reato, mentre lo stesso non vale per la persona offesa, rispetto al quale la nomina di un solo difensore è solo facoltativa. 38. IL SOSTITUTO DEL DIFENSORE Il difensore, sia di fiducia che d’ufficio, può nominare un sostituto. Affinché sia efficace, la designazione deve essere portata a conoscenza dell’autorità procedente con le stesse forme indicate per la nomina del difensore dell’imputato. Quindi, spetta al difensore nominare il sostituto, fatta eccezione per le ipotesi in cui è previsto che alla designazione provveda il giudice ovvero, ma solo nei casi di urgenza e previa adozione di un provvedimento motivato che indichi le ragioni dell’urgenza, il PM o la polizia giudiziaria. Il difensore sussidiario esercita i diritti e assume i doveri del difensore impedito. 39. LE GARANZIE DI LIBERTA’ DEL DIFENSORE Le ispezioni e le perquisizioni, se effettuate negli uffici dei difensori, sono consentite in sole 2 ipotesi: a. Quando il difensore o altre persone che svolgono stabilmente la loro attività nel suo ufficio sono imputati, o anche solo indagati; b. Quando si tratta di rilevare tracce o altri effetti materiali del reato, ovvero di ricercare cose o persone specificamente predeterminate. Questo primo nucleo di garanzie è completato dalla previsione che delimita in negativo il materiale sequestrabile presso i difensori, gli investigatori privati autorizzati, i consulenti tecnici, salvaguardando le carte e i documenti relativi all’oggetto della difesa, sottoponibili a sequestro solo quando costituiscano corpo di reato. Vanno poi evidenziate talune regole di carattere procedurale sempre in merito alle perquisizioni, ai sequestri e alle ispezioni negli uffici dei difensori. Innanzitutto, va ricordato l’avviso, che a pena di nullità l’autorità giudiziaria deve comunicare al locale consiglio dell’ordine per consentire al presidente o ad un suo delegato di presenziare alle operazioni; nel qual caso, su richiesta dell’intervenuto, deve essergli consegnata copia del provvedimento. Inoltre, devono agire in prima persona il giudice o, durante le indagini preliminari, il PM. È vietato il sequestro e ogni altra forma di controllo della corrispondenza tra l’imputato e il proprio difensore, sempre che, da un lato, la corrispondenza sia riconoscibile; dall’altro, l’autorità giudiziaria non abbia fondato motivo di ritenere che si tratti di corpo di reato. È altresì vietata l’intercettazione delle conversazioni e delle comunicazioni che difensori, investigatori privati autorizzati, consulenti tecnici e loro ausiliari effettuino tra di loro, al pari di quelle tra gli stessi e i loro assistiti. Nel caso di inosservanza di tali disposizioni, i risultati delle operazioni compiute non possono essere utilizzati. 40. IL COLLOQUIO DEL DIFENSORE CON L’IMPUTATO PRIVATO DELLA LIBERTA’ PERSONALE All’imputato è riconosciuto il diritto di conferire immediatamente col proprio difensore, o comunque non oltre 7 gg. dal momento in cui è stato eseguito il provvedimento limitativo della libertà personale. Il difensore deve essere immediatamente avvisato dell’esecuzione della misura restrittiva e deve poter accedere al luogo in cui la persona fermata, arrestata o sottoposta a custodia cautelare si trova detenuta. In presenza di specifiche ed eccezionali ragioni di cautela, il colloquio può essere dilazionato per un massimo di 5 gg., ma in tal caso occorre distinguere l’ipotesi in cui la privazione della libertà sia l’effetto di un’ordinanza cautelare da quella in cui consegua ad una misura pre--‐cautelare: a. Nel primo caso la decisione sul differimento del colloquio spetta al gip, che deve provvedere con decreto motivato su richiesta del PM; b. Nel secondo provvede direttamente il PM, che può dilazionare il colloquio fino al momento in cui l’arrestato o il fermato è posto a disposizione del giudice. 41. L’ABBANDONO DELLA DIFESA E IL RIFIUTO DELLA DIFESA D’UFFICIO Trattandosi di abbandono o rifiuto motivati dalla violazione dei diritti della difesa, il consiglio dell’ordine forense, qualora ritenga giustificato il comportamento del difensore, non applica la sanzione disciplinare, neppure in presenza di una sentenza irrevocabile che escluda la violazione. L’autorità giudiziaria, invece, è tenuta a comunicare al consiglio dell’ordine sia i casi di abbandono e di rifiuto della difesa d’ufficio, sia I comportamenti integranti violazioni dei doveri di lealtà e probità, sia la violazione del divieto, per uno stesso difensore, di assumere la difesa di più imputati che abbiano reso dichiarazioni accusatorie nei confronti di un altro imputato. A seguito dell’abbandono della difesa da parte del difensore di fiducia si determina una stasi processuale, finché non si procede alla nomina di un nuovo difensore di fiducia, ovvero, in mancanza, di uno d’ufficio. L’abbandono della difesa delle altre parti private, della persona offesa e degli enti o associazioni non ostacola la prosecuzione del procedimento, in quanto tali soggetti, ove non provvedano ad una nuova nomina, perdono la possibilità di essere attivi in sede processuale. 42. INCOMPATIBILITA’, NON ACCETTAZIONE, RINUNCIA E REVOCA DEL DIFENSORE Il codice ammette che un difensore possa assistere una pluralità d’imputati, purché le diverse posizioni degli assistiti non siano tra loro incompatibili. Incompatibilità si ha quando siano inconciliabili le posizioni degli imputati, ossia l’uno deve avere interesse a sostenere tesi pregiudizievoli all’altro. Una spontanea rimozione dell’incompatibilità si può avere quando l’imputato o gli imputati interessati revochino la nomina del difensore, oppure quest’ultimo rinunci alla difesa. Qualora ciò non avvenga, è previsto un intervento del giudice o, nel corso delle indagini preliminari, del PM, con il quale viene fissato un termine per la sua rimozione da parte dei diretti interessati. L’extrema ratio è rappresentata da un’ordinanza del giudice con la quale viene dichiarata l’incompatibilità e, sentite le parti interessate, si procede alle designazioni dei difensori d’ufficio. Mentre nel caso della revoca il soggetto agente è l’assistito, la non accettazione e la rinuncia sono iniziative del difensore. Questi ultimi sono atti alternativi che, come la revoca, non necessitano di motivazione. Fermo l’obbligo per il difensore che non accetti l’incarico o vi rinunci di darne subito comunicazione all’autorità procedente e a chi lo ha nominato, occorre distinguere tra: a. Non accettazione, che ha effetto dal momento in cui perviene la relativa comunicazione all’autorità procedente; b. Rinuncia e revoca, che sono prive di effetto fino a che la parte non risulta assistita da un nuovo difensore. Anzi, se ai fini di una difesa informata il nuovo difensore si avvale del diritto di ottenere un termine a difesa, la rinuncia e la revoca diventano efficaci solo a partire dalla sua scadenza. A proposito di tale termine a difesa, il difensore ha diritto ad un termine che, di regola, non può essere inferiore a 7 gg. Al di sotto di tale termine si può scendere, fermo restando il limite minimo delle 24 ore, solo se ricorre una di queste 3 situazioni: a. Se vi è il consenso dell’imputato o del suo difensore; b. Se vi sono specifiche esigenze processuali che possono determinare la scarcerazione dell’imputato; c. Se ricorrono specifiche esigenze processuali che possono determinare la prescrizione. 43. GLI AUSILIARI DEL GIUDICE E DEL PM Gli ausiliari sono coloro che affiancano il giudice o il PM svolgendo vari compiti. Per ausiliare in senso stretto si deve intendere il coadiutore istituzionale, cioè quello la cui presenza è contrassegnata dalla continuità e ordinari età (cancelliere, segretario, ufficiale giudiziario, direttore degli istituti penitenziari). L’assistenza del cancelliere è prevista per tutti gli atti posti in essere dal giudice, salvo che la legge disponga altrimenti. Importante è anche l’attività di documentazione, per la quale è prevista la redazione del processo verbale. Tra gli altri compiti che svolge vi sono l’autentificazione degli atti e dei provvedimenti del giudice, la custodia delle cose sequestrate, il rilascio di copie, la notificazione dell’atto d’impugnazione. Anche presso l’ufficio del PM opera un ausiliario che svolge funzioni analoghe a quelle del cancelliere. L’ufficiale giudiziario svolge un’attività ausiliaria nei confronti sia del giudice che del PM, in quanto sua principale funzione è quella di curare l’esecuzione delle notificazioni. Corollario di tale funzione è la relazione di notificazione, che documenta l’attività svolta con riferimento all’atto da notificare. Anche il direttore dell’istituto penitenziario opera come ausiliario sia del giudice che del PM, essendo tenuto a ricevere e ad inoltrare, dopo aver proceduto alla loro iscrizione in apposito registro, l’atto di impugnazione e gli altri atti contenenti dichiarazioni e richieste destinate all’autorità giudiziaria. Vi sono poi 2 divieti di pubblicazione di un atto o di una sua parte, che si caratterizzano per essere disposti dal giudice sentite le parti: a. Il primo riguarda gli atti già utilizzati per le contestazioni, allorché sia scattato il divieto di pubblicazione degli atti del dibattimento, essendosi quest’ultimo svolto a porte chiuse; b. Il secondo investe la riproduzione pubblica, anche parziale, degli atti non segreti dei procedimenti speciali privi della fase dibattimentale, che sarebbero stati pubblicabili con la chiusura delle indagini preliminari o al termine dell’udienza preliminare. È vietata poi la pubblicazione dell’immagine di chi si trovi sottoposto a restrizioni della libertà personale, purché sia ripresa mentre si trova sottoposta all’uso di manette ai polsi ovvero ad altro mezzo di coercizione fisica. Tale divieto è esteso anche all’immagine della persona agli arresti domiciliari o di colui che è tenuto “a braccetto” da due agenti di polizia penitenziaria mentre è condotto all’udienza di convalida dell’arresto. Vietata è anche la pubblicazione delle generalità o dell’immagine del minore che assume la qualità di testimone, persona offesa o danneggiata. L’art. 734--‐bis c.p. prevede una fattispecie contravvenzionale per chi divulghi, senza il suo consenso, le generalità o l’immagine di persona offesa da atti di violenza sessuale. L’art. 115 ha, perciò, previsto una responsabilità disciplinare a carico degli impiegati dello Stato o di altri enti pubblici, ovvero degli esercenti una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato. Normalmente, la sanzione disciplinare concorre con quella penale, ma vi sono ipotesi in cui la prima assume carattere esclusivo. 5. LA CIRCOLAZIONE DI COPIE E DI INFORMAZIONI Chiunque vi ha interesse, può ottenere, a proprie spese, il rilascio di copie, estratti o certificati di singoli atti, compresi quelli incorporati su supporti non cartacei. Il rilascio non può essere ottenuto se si tratta di atti ancora coperti dal segreto sulle indagini o diventati oggetto di un decreto di segretazione. Il diniego dell’autorizzazione non è impugnabile. Il difensore (o un suo sostituto) che presenti all’autorità giudiziaria atti o documenti ha il diritto al rilascio di attestazione dell’avvenuto deposito. Le disposizioni sulla trasmissione di copie e di informazioni da parte del PM o del Ministro dell’interno hanno il fine di agevolare l’attività di investigazione e l’attività di prevenzione dei reati. Benché la stessa autorità giudiziaria procedente può disporre, di propria iniziativa, la trasmissione, organo legittimato a presentare la richiesta è solo il Pm che procede, mentre nessun potere d’iniziativa spetta ai difensori delle parti. In forza dell’art. 118, il Ministro dell’interno può accedere alle fonti informative, anche se può avvalersi di un ufficiale di polizia giudiziaria o del personale della DIA per formulare materialmente la richiesta. Analogo potere di accesso spetta, infine, al presidente del Consiglio dei ministri. La richiesta del PM deve essere finalizzata al compimento delle proprie indagini, circoscrivendone l’ambito sul piano temporale. La circolazione di copie e di informazioni trova spazio quando mancano i presupposti del coordinamento informativo ed investigativo, ovvero quando vi è dissenso tra gli uffici del PM sulla gestione delle indagini, salvo si tratti di procedimenti per reati di criminalità organizzata, o quando le indagini non risultano collegate. La richiesta del Ministero dell’interno è, invece, indirizzata alla prevenzione dei reati, con riferimento, però, ai soli delitti che impongono l’adozione dell’arresto obbligatorio in flagranza. Verificate la propria competenza e quella dell’organo da cui proviene la richiesta motivata, l’autorità giudiziaria può rigettarla o accoglierla. La prima soluzione sarà adottata, oltre che per ragioni di ordine rituale, per l’esigenza di preservare il segreto. L’obbligo di motivare il rigetto non è comunque sanzionato dalla legge processuale. 6. MEMORIE, RICHIESTE E DICHIARAZIONI DELLE PARTI Le parti e i loro difensori possono presentare memorie o richieste scritte al giudice in ogni stato e grado del procedimento. Tale possibilità è estesa alla persona sottoposta alle indagini e la persona offesa. Il giudice deve provvedere entro 15 gg., ma l’obbligo scatta solo in dipendenza di una richiesta ritualmente formulata: non sono tali quelle del soggetto sfornito del diritto a presentarle o che non ha provveduto a depositarle in cancelleria, ne quelle precluse da decadenze ormai verificatesi. L’imputato detenuto o internato può presentare impugnazioni, dichiarazioni o richieste con atto ricevuto dal direttore dell’istituto. Esse, dopo l’iscrizione nell’apposito registro, sono comunicate all’autorità competente immediatamente. Le impugnazioni, le richieste e le altre dichiarazioni sono comunicate, nel giorno stesso o al più tardi in quello successivo, all’autorità giudiziaria competente mediante estratto, copia autentica o raccomandata, ma, nei casi urgenti, è possibile usare mezzi più celeri. 7. LA GARANZIA DELLA LEGALITA’ Indipendentemente dalla comminatoria di sanzioni, le norme del codice devono essere osservate dai magistrati, dai cancellieri e dagli altri organi ausiliari del giudice, compresa la polizia giudiziaria. 8. LE FORME DEI PROVVEDIMENTI Guardando alla forma degli atti, il codice contrappone: a. Gli atti compiuti nel procedimento, inteso come fase delle indagini preliminari, caratterizzati da forme libere, nelle quali prevale la tensione al raggiungimento dello scopo, fino a contemplare atti privi di forma. Tuttavia, tale affermazione risulta essere più di facciata che un effettivo principio normativo; b. Gli atti posti in essere nel processo, caratterizzata da forme vincolate in quanto non ammettono equivalenti. Una disciplina unitaria della forma è prevista solo per quegli atti del giudice che si traducono in provvedimenti, ovvero le sentenze, le ordinanze e i decreti. Le sentenze si caratterizzano per l’idoneità a chiudere uno stato o un grado del procedimento, in quanto contengono una decisione sulla regiudicanda. Per quanto riguarda il loro contenuto, fondamentale è la distinzione tra sentenze di condanna e sentenze di proscioglimento. Le sentenze di proscioglimento costituiscono una categoria molto ampia che comprende: a. Le sentenze di assoluzione pronunciate all’esito del dibattimento con le formule per cui: il fatto non sussiste, l’imputato non l’ha commesso, il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, il reato è stato commesso da persona non imputabile o non punibile per altra ragione. Tali sentenze acquistano l’autorità di cosa giudicata; b. Le sentenze di non luogo a procedere, pronunciate al termine dell’udienza preliminare. Esse, ove non più soggette ad impugnazione, acquistano forza esecutiva, ma non di cosa giudicata, potendo essere revocate; c. Le sentenze di non doversi procedere emesse nei restanti gradi e stati, sempre prive di efficacia in sede extrapenale e di cosa giudicata; d. Le sentenze dichiarative, che verificano l’esistenza di determinate fattispecie, sfornite della portata liberatoria propria delle sentenze di non luogo a procedere e di proscioglimento; e. Le sentenze costitutive, creative di effetti giuridici. A tal punto, meglio si comprende la classica distinzione tra sentenze di merito e sentenze processuali: a. Le prime risolvono la questione relativa al dovere di punire; b. Le seconde sciolgono meri nodi processuali. Le ordinanze servono a governare l’andamento del processo, e di regola sono revocabili. Esso è emesso a seguito dell’instaurazione del contraddittorio tra le parti e deve essere motivato. I decreti esprimono un comando dell’autorità procedente, assumendo natura prevalentemente amministrativa. Essi sono assoggettati al regime della revoca e, se non è diversamente disposto, non abbisognano di motivazione. È prevista la nullità, relativa, per la mancanza di motivazione nelle sentenze, nelle ordinanze e, ove prescritta, nei decreti. La motivazione per relationem, ossia quella che si riporti al contenuto di un altro atto, non è causa di nullità tutte le volte in cui il secondo sia conosciuto o facilmente conoscibile dalla parte. È dato quindi alla parte di controllare l’adeguatezza e la congruità del ragionamento giustificativo del giudice. È ammesso inoltre l’uso di moduli prestampati. Nel caso di provvedimenti collegiali e purché lo richieda un componente del collegio che non abbia espresso voto conforme alla decisione, è compilato sommario verbale contente l’indicazione del dissenziente, della questione o delle questioni alle quali si riferisce il dissenso ed i motivi dello stesso. Il verbale, redatto dal meno anziano tra i componenti togati del collegio e sottoscritto da tutti gli altri, viene conservato in plico sigillato nella cancelleria dell’ufficio: potrà servire a chi ha dissentito, liberandolo da ogni eventuale responsabilità, se i componenti del collegio saranno chiamati a rispondere del loro operato in sede civile. 9. IL PROCEDIMENTO IN CAMERA DI CONSIGLIO Quando bisogna procedere in camera di consiglio, il giudice o il presidente del collegio fissa la data dell’udienza e ne dà avviso alle parti, alle altre persone interessate e ai difensori. Tale avviso deve essere comunicato o notificato almeno 10 gg. prima della data fissata e se l’imputato è privo di difensore, l’avviso è dato a quello di ufficio. Fino a 5 gg. prima dell’udienza possono essere presentate in cancellerie delle memorie. Il PM, gli altri destinatari dell’avviso e i difensori sono sentiti se compaiono; se l’interessato ne fa richiesta ed è detenuto o internato in un luogo fuori della circoscrizione, deve essere sentito prima del giorno dell’udienza dal magistrato di sorveglianza del luogo. L’udienza è rinviata se sussiste un legittimo impedimento dell’imputato o del condannato che ha chiesto di essere sentito, e purché non sia detenuto in un luogo diverso da quello in cui ha sede il giudice. Il procedimento si svolge in udienza, anche se non è ammessa la presenza del pubblico in aula. Compiuti gli atti introduttivi e accertata la regolare costituzione delle parti, nei procedimenti davanti ad organi collegiali la relazione orale è svolta da uno dei componenti del collegio, previa designazione del presidente. Il provvedimento finale ha la forma in genere dell’ordinanza, e deve essere comunicato al PM e notificato alle parti private, alle persone interessate e ai difensori, i quali possono proporre ricorso per cassazione. Tale ricorso non sospende l’esecuzione dell’ordinanza, salvo che il giudice disponga diversamente con decreto motivato. trascrizione simultanea mediante computer. Tale termine è derogato per il verbale del dibattimento, che deve essere trascritto non oltre 3 gg. dalla sua formazione. Se chi ha impresso i nastri è impedito a svolgere l’operazione, il giudice affida la trascrizione ad altra persona idonea anche estranea all’amministrazione dello Stato. Le riproduzioni fonografiche e audiovisive sono trascritte a cura del personale tecnico giudiziario, ed anche tale compito può essere affidato a persone idonee estranee all’amministrazione dello Stato. Inoltre, se le parti vi consentono, il giudice può disporne l’omissione. Le registrazioni fonografiche e audiovisive, nonché le relative trascrizioni, sono poi incluse nel fascicolo del procedimento. Tutte le volte in cui viene effettuata una tale riproduzione, nel verbale è indicato il momento di inizio o di cessazione delle operazioni di riproduzione; se una parte della riproduzione non ha avuto esito o non è intellegibile, fa prova il verbale redatto in forma riassuntiva. L’art. 140 introduce poi una documentazione che, quanto alla forma, è assimilabile al verbale riassuntivo, ma, quanto ai modi, si risolve nella redazione manuale, contestuale e sintetica del verbale, senza l’accompagnamento della riproduzione fonografica. Se viene redatto solo il verbale forma riassuntiva, al giudice spetta l’obbligo di vigilare affinché sia riprodotta genuinamente la parte essenziale delle dichiarazioni e siano descritte le circostanze nelle quali esse sono rese. Nella prassi, è lo stesso giudice che detta all’ausiliario il riassunto delle dichiarazioni rese davanti a lui. La nullità del verbale è prevista nel caso di: a. Incertezza assoluta sulle persone intervenute; b. Mancata sottoscrizione da parte del pubblico ufficiale che ha redatto il verbale; c. Inosservanza delle prescrizioni previste dall’art. 109 comma 1 e 2 (verbale redatto in lingua italiana o nella lingua della minoranza riconosciuta).La mancata menzione nel verbale di determinati adempimenti e dichiarazioni, nonché delle relative modalità di svolgimento, comporta la nullità del mezzo di prova. 15. LA DOCUMENTAZIONE DELL’INTERROGATORIO DEL DETENUTO La documentazione dell’interrogatorio del detenuto è stata fortemente irrigidita dal legislatore; l’art. 141--‐ bis introduce una disciplina speciale che opera in presenza di 3 condizioni: a. Innanzitutto, per interrogatorio si intende sia quello della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato, sia quello dell’imputato in un procedimento per reato connesso o collegato a quello per cui si procede; b. L’interrogato deve essere, a qualsiasi titolo, in stato di detenzione. Ciò comporta che la disciplina speciale opera anche nei confronti di chi sia sottoposto a custodia cautelare per un altro procedimento o stia espiando una pena detentiva per un altro reato; c. La norma non vale per gli interrogatori assunti nel contesto spaziale e temporale dell’udienza. In presenza di tali presupposti, vi è il vincolo di disporre la riproduzione fonografica o audiovisiva integrale, ossia per intero e senza interruzioni. Qualora siano indisponibili gli appositi strumenti o il personale tecnico idoneo, il giudice o il PM possono porvi rimedio mediante la nomina di un perito o di un consulente tecnico, a cui devono essere liquidati i relativi compensi. La trascrizione non è obbligatoria in quanto è disposta solo su richiesta di parte. La documentazione non integrale è inutilizzabile e, in caso contrario, è prevista una sanzione. 16. LA PARTECIPAZIONE A DISTANZA Le innovazioni tecnologiche consentono oggi la partecipazione a distanza all’udienza (videoconferenza o teleconferenza), attraverso una connessione video con una postazione remota. Attualmente ci si avvale di un collegamento via rete telefonica ISDN, ampiamente diffusa sul territorio nazionale e dai costi contenuti. Tuttavia, nonostante i molti pregi, essa ancora non offre una perfetta qualità del segnale video e vi è un intervallo temporale apprezzabile tra il momento in cui la domanda è formulata e quello in cui essa viene percepita dal destinatario. In forza dell’art. 146--‐bis.1 disp. att., la partecipazione a distanza è attivabile in presenza di alcuni presupposti: a. Innanzitutto, deve trattarsi di un dibattimento relativo a reati di associazione a delinquere o di stampo mafioso, di terrorismo, ecc… e devono sussistere gravi ragioni di sicurezza e di ordine pubblico; b. L’imputato deve trovarsi, a qualsiasi titolo, in stato di detenzione in carcere, per cui, attraverso la partecipazione a distanza, vengono evitati ritardi nello svolgimento dell’udienza. Essa non sarà attivata in dipendenza di semplici difficoltà organizzative, mentre, al contrario, valgono fattori quali il numero degli imputati o delle imputazioni e il numero e la natura delle prove da assumere; c. Una terza ipotesi di partecipazione a distanza si delinea con riferimento alla sottoposizione alle misure di cui all’art. 41--‐bis comma 2 ord. pen., in modo tale da evitare che il turismo giudiziario sia sfruttato dall’imputato per mantenere contatti con le organizzazioni criminali. Se occorre procedere a confronto o ricognizione dell’imputato od altro atto che implichi l’osservazione della sua persona, la videoconferenza viene interrotta e ripristinata la partecipazione fisica dell’imputato, e sempreché il giudice, sentite le parti, lo ritenga opportuno. La partecipazione a distanza va disposta anteriormente all’inizio della prima udienza dibattimentale per evitare che essa si tenga con l’imputato presente e, al contempo, per rendere più agevole l’opera della difesa. In assenza del contraddittorio, il provvedimento assume forma di decreto motivato (non impugnabile) che deve essere comunicato al PM e notificato alle parti almeno 10 gg. prima della data fissata per l’udienza. Tale partecipazione può essere disposta anche nel corso dello svolgimento dell’udienza dibattimentale, ed in tal caso il provvedimento assume forma di ordinanza (impugnabile congiuntamente alla sentenza). L’equiparazione della postazione remota all’aula di udienza comporta che al presidente del collegio resta affidato il potere di direzione del dibattimento, ivi compreso quello di decidere sulle questioni relative alle modalità del collegamento audiovisivo, nonché il potere di disciplina dell’udienza. Incaricato di stare nella postazione remota è, di regola, un ausiliare abilitato ad assistere il giudice in udienza e designato dal giudice stesso o, in caso d’urgenza, dal presidente. Solo quando non si procede all’esame dell’imputato può essere designato un ufficiale della polizia giudiziaria, scelto tra coloro che non svolgono, ne hanno svolto attività d’investigazione o di protezione nei confronti dell’imputato. La scelta dipende anche dalle funzioni demandate all’ausiliario: infatti, egli è chiamato non solo ad attestare l’identità dell’imputato, a dare atto dell’osservanza delle norme relative alle modalità del collegamento a distanza nonché della riservatezza delle consultazioni tra l’imputato ed i suoi difensori, ma anche a dare atto delle cautele adottate per assicurare la regolarità dell’esame con riferimento al luogo ove si trova. La documentazione delle dichiarazioni, richieste, eccezioni e quant’altro provenga dalle persone presenti nella postazione remota, confluirà necessariamente nel verbale tenuto dall’ausiliario del giudice che siede nell’aula di udienza. L’indagato, l’imputato o il condannato può nominare anche un secondo difensore per la partecipazione a distanza al processo penale, limitatamente agli atti che si compiono a distanza. Inoltre, il difensore il suo sostituto presenti nell’aula di udienza e l’imputato possono consultarsi riservatamente attraverso l’installazione di apposite linee telefoniche non intercettabili. La partecipazione a distanza dell’imputato è stata estesa anche ai procedimenti che si svolgono in camera di consiglio. 17. L’ESAME A DISTANZA Poiché spesso si registravano attentati all’incolumità dei testimoni, il legislatore ha introdotto l’esame a distanza. Il 1° comma dell’art. 147--‐bis disp. att. Si occupa dell’esame di persone ammesse a programmi o a misure di protezione, anche di tipo urgente e provvisorio, riferendosi alle sole udienze dibattimentali, ma tale disciplina può ben essere estesa anche all’incidente probatorio. Per quanto riguarda il telesame, vi sono ipotesi in cui la sua adozione è discrezionale, ed altre in cui essa è tendenzialmente obbligatoria: a. Quella discrezionale, subordinata alla disponibilità di strumenti tecnici idonei, scatta a seguito di una determinazione che il giudice o il presidente del collegio possono assumere anche d’ufficio, ma solo dopo aver sentito le parti. Qui l’adozione del telesame mira a realizzare obiettivi di semplificazione processuali rimessi ad una richiesta delle parti; b. Il telesame obbligatorio non può dirsi davvero tale; è cmq fatto salvo il caso in cui il giudice ritenga assolutamente necessaria la presenza della persona da esaminare. Tale ipotesi è riferita essenzialmente alla mancata disponibilità o al cattivo funzionamento momentaneo delle apparecchiature tecniche. Vi sono poi due regole speciali che valgono nel caso in cui nei confronti della persona sottoposta ad esame è stato emesso il provvedimento di cambiamento delle generalità: a. Il telesame deve essere condotto sotto le precedenti generalità quando si procede per fatti anteriori al provvedimento che le ha cambiate; b. Inoltre, devono essere disposte le cautele idonee ad evitare che il volto della persona sia visibile. Per quanto attiene alle modalità di conduzione del telesame, il collegamento audiovisivo deve garantire la contestuale visibilità delle persone presenti nel luogo dove la persona sottoposta ad esame si trova. L’ausiliare del giudice ha il compito di documentare le operazioni effettuate, tra le quali spicca quella di dare atto delle cautele adottate per assicurare la regolarità dell’esame. Il telesame si converte in videoconferenza se la persona da esaminare deve essere assistita da un difensore. La partecipazione all’udienza dell’imputato detenuto all’estero, sempreché non possa essere trasferito in Italia, avviene tramite collegamento audiovisivo, in quanto previsto da accordi internazionali; inoltre, la partecipazione all’udienza di un testimone o di un perito che si trova all’estero, può avvenire a distanza secondo le modalità e i presupposti stabiliti in fonti internazionali. 18. LA TRADUZIONE DEGLI ATTI Per interprete si intende sia la persona che riproduce in lingua italiana o in lingua diversa dichiarazioni orali, sia la persona che svolge il medesimo compito nei confronti di atti o documenti scritti. eseguita per telegramma. In presenza di particolari circostanze è poi possibile ricorrere alla forma notificativa innominata a persona diversa dall’imputato, che si realizza ricorrendo a mezzi di comunicazione non tradizionali, purché, nell’apposito decreto motivato posto in calce all’atto, siano indicati il mezzo tecnico prescelto e le modalità ritenute necessarie per far conoscere l’atto al destinatario. Le notifiche di atti del PM, nel corso delle indagini preliminari, sono anzitutto eseguite dall’ufficiale giudiziario, mentre la polizia giudiziaria può provvedere nei soli casi di atti d’indagine o provvedimenti che la stessa è delegata a compiere o è tenuta ad eseguire. Nel caso delle notificazioni richieste dalle parti è consentito sostituire alle forme ordinarie l’invio di copia dell’atto effettuato dal difensore mediante raccomandata con ricevuta di ritorno, nel qual caso la notificazione può dirsi perfezionata con la ricezione della raccomandata secondo le regole fissate dall’ordinamento postale. Il difensore deve poi documentare la spedizione con il deposito in cancelleria della copia dell’atto inviato, l’attestazione della conformità all’originale e l’avviso di ricevimento. 21. LE NOTIFICAZIONI ALL’IMPUTATO Le notificazioni all’imputato detenuto in Italia devono essere eseguite preferibilmente mediante consegna a mani proprie nel luogo di detenzione, anche attraverso l’agente di custodia; modalità particolari sono invece predisposte per l’imputato legittimamente assente perché usufruisce del regime di semilibertà, semidetenzione, ecc.. Per quanto riguarda invece la prima notifica all’imputato libero, anch’essa deve essere preferibilmente eseguita mediante consegna di copia dell’atto a mani proprie, dovunque l’imputato si trovi. Se ciò non è possibile, la notificazione viene eseguita nell’abitazione o nel luogo in cui il soggetto esercita abitualmente la professione, consegnando la copia ad un convivente o al portiere. Qualora tali luoghi non siano conosciuti, la notificazione è eseguita dove l’imputato ha temporanea dimora o recapito. Il portiere sottoscrive l’originale dell’atto notificato, mentre l’ufficiale giudiziario dà notizia al destinatario dell’avvenuta notifica mediante raccomandata con ricevuta di ritorno. Copia dell’atto non può essere consegnata ad un minore di 14 anni o ad un incapace di intendere o di volere. La notificazione va poi rinnovata quando la copia viene consegnata alla persona offesa e risulta, o è probabile, che l’imputato non ha avuto effettiva conoscenza dell’atto notificato. Per tutelare la riservatezza, si prevede che, se la consegna è fatta nelle mani di persona diversa dal destinatario, il plico deve essere consegnato chiuso. Le notificazioni all’imputato militare in servizio attivo sono effettuate con consegna a mani proprie, altrimenti l’atto è notificato presso l’ufficio del comandante del corpo, il quale provvederà ad informare l’interessato annotando la data, l’ora e le modalità in apposito registro. Se la prima notificazione non va a buon fine, occorre un secondo accesso per cercare l’imputato presso l’abitazione, la dimora, il recapito, ecc. Nella relazione di notifica vanno poi indicate le ore dei due accessi, il secondo dei quali deve avvenire in un giorno successivo e ad un orario diverso rispetto al primo. Come estrema ratio, l’atto viene depositato nella casa comunale dove abita l’imputato o, in subordine, o dove esercita abitualmente la sua attività lavorativa; allo stesso tempo, un avviso di deposito viene affisso sulla porta dell’abitazione o del luogo in cui esercita la professione. Del deposito l’ufficiale giudiziario dà comunicazione all’imputato mediante raccomandata con ricevuta di ritorno. Per le notificazioni all’imputato libero successive alla prima, se l’imputato ha nominato un difensore di fiducia, esse possono essere effettuate mediante consegna al suddetto, sempreché l’imputato non abbia dichiarato o eletto domicilio, ovvero il difensore non abbia dichiarato immediatamente all’autorità procedente di non accettare la notificazione. Per quanto riguarda le notificazioni all’imputato residente o dimorante all’estero vi sono 2 ipotesi: a. Se dagli atti risulta il luogo di residenza o di dimora all’estero, occorre inviare una raccomandata con ricevuta di ritorno contenente una sorta di informazione di garanzia, nonché l’invito a dichiarare o eleggere domicilio nel territorio dello Stato. Ove risulti che l’imputato non conosce la lingua italiana, l’invito deve essere tradotto nella lingua ufficiale dello Stato in cui l’imputato risulta essere nato. Se entro 30 gg. il soggetto non risponde all’invito, le notificazioni sono eseguite mediante consegna al difensore. La stessa disciplina vale anche nel caso in cui l’imputato si sia trasferito all’estero successivamente all’emissione del decreto di irreperibilità. b. Se, invece, il giudice o il PM non conoscono il luogo di residenza all’estero, devono disporre ricerche sia nel territorio dello Stato sia all’estero, nei limiti consentiti dalle Convenzioni internazionali. 22. L’IRREPERIBILITA’ ED I SUOI EFFETTI Condizione necessaria della dichiarazione di irreperibilità è l’impossibilità di eseguire la notificazione con le forme dettate per la prima notifica all’imputato non detenuto. In questo caso sorge, in capo al giudice o al PM, l’obbligo di disporre nuove ricerche, a cui provvede la polizia giudiziaria, che investono il luogo di nascita, l’ultima residenza anagrafica, l’ultima dimora, il luogo in cui il soggetto esercita la sua professione, nonché l’amministrazione carceraria centrale (ma tale elenco non è tassativo). Se le ricerche non danno esito positivo, il giudice o il PM emettono l’apposito decreto col quale, ove l’imputato sia privo di difensore, si provvede a designarne uno d’ufficio, il quale assume la rappresentanza dell’irreperibile. L’irreperibilità dichiarata durante le indagini preliminari perde la sua efficacia con la pronuncia del provvedimento che definisce l’udienza preliminare ovvero, se questa manca, con la chiusura delle indagini preliminari. A loro volta, il decreto emesso dal giudice per la notificazione degli atti introduttivi dell’udienza preliminare, ovvero i decreti relativi alla notificazione del provvedimento che dispone il giudizio, perdono efficacia con la pronuncia di primo grado. Infine, l’efficacia del decreto emesso dal giudice di secondo grado o di rinvio cessa con la pronuncia della sentenza. In tutti casi, comunque, ogni decreto di irreperibilità deve essere preceduto da nuove ricerche nei luoghi indicati. 23. L’ELEZIONE DI DOMICILIO Per rendere più efficace il risultato conoscitivo cui sono finalizzate le notificazioni, l’imputato ha l’onere di determinare il luogo in cui dovranno essergli notificati gli atti, attraverso un’apposita dichiarazione o elezione di domicilio. La dichiarazione di domicilio consiste in una manifestazione di scienza intesa ad indicare un luogo che può essere solo la propria abitazione o la sede del proprio lavoro; l’elezione di domicilio, invece, consiste in una manifestazione di volontà che comporta la designazione di un luogo e di un destinatario: nella prassi lo studio del proprio difensore. Le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno recentemente affermato il principio per cui la dichiarazione di domicilio prevale sulla precedente elezione, ancorché non espressamente revocata. L’imputato, o la persona sottoposta alle indagini, ha l’obbligo di comunicare ogni mutamento del domicilio eletto o dichiarato, mentre, in mancanza di tale comunicazione oppure in caso di rifiuto di dichiarare o eleggere domicilio, le notificazioni vengono eseguite mediante consegna al difensore. Nel verbale dovrà essere menzionata la scelta dell’imputato o della persona sottoposta alle indagini. In un ambito residuale si colloca l’invito a eleggere o dichiarare domicilio formulato con l’informazione di garanzia o col primo atto notificato per disposizione dell’autorità giudiziaria. L’imputato è anche avvertito che deve comunicare ogni mutamento del domicilio e che, in caso di mancanza, insufficienza o inidoneità della dichiarazione o elezione, le successive notificazioni saranno eseguite nel luogo in cui il primo atto è stato notificato. La dichiarazione o elezione devono essere effettuate mediante una comunicazione all’autorità che procede, con dichiarazione raccolta a verbale, ovvero mediante telegramma o lettera raccomandata muniti di sottoscrizione autenticata. L’elezione, la dichiarazione o il mutamento di domicilio esplicano i loro effetti nel momento in cui giungono a conoscenza dell’autorità giudiziaria procedente. 24. LE NOTIFICAZIONI A SOGGETTI DIVERSI DALL’IMPUTATO Le parti ed i difensori sono ammessi ad eseguire direttamente le notificazioni al PM mediante la semplice consegna di copia dell’atto nella segreteria del PM. Per le comunicazioni, alla consegna della copia nella relativa segreteria è equiparata la diretta presa visione dell’atto ad opera del PM, seguita dalla sua sottoscrizione. Le notificazioni alla persona offesa, alla parte civile, al responsabile civile ed al civilmente obbligato per la pena pecuniaria seguono le forme prescritte per la prima notificazione all’imputato non detenuto, ma con due deroghe: l’una relativa alla tutela della riservatezza, l’altra relativa al doppio accesso da parte dell’ufficiale giudiziario, cui si aggiunge un’altra previsione circa le ipotesi di irreperibilità, nonché di dimora o residenza all’estero. In tali casi la notificazione si considera avvenuta con il deposito in cancelleria (sempreché l’offeso, dall’estero, non abbia dichiarato o eletto domicilio nel territorio dello Stato). Qualora la persona offesa si avvalga di un difensore, quest’ultimo, per ragioni di economia e di celerità, assume la funzione di domiciliata rio ex lege. Quando, per il numero elevato delle persone offese ovvero per l’impossibilità di identificarne alcune, questo tipo di notificazione risulta difficile, l’autorità giudiziaria può disporre, con decreto esteso in calce all’atto, la notificazione per pubblici annunzi. Copia dell’atto è depositato nella casa comunale del luogo ove si trova l’autorità procedente ed un estratto del medesimo è inserito nella Gazzetta Ufficiale. La notificazione si ha per avvenuta dal momento in cui l’ufficiale giudiziario deposita una copia dell’atto nella segreteria o nella cancelleria dell’autorità procedente, insieme con la relazione di notifica ed i documenti giustificativi. Per quanto riguarda la parte civile, le notificazioni sono eseguite presso il difensore nominato all’atto della costituzione, e la stessa regola vale per il responsabile civile ed il civilmente obbligato costituiti. Se costoro, invece, non si sono costituiti, permane l’obbligo di dichiarare o eleggere domicilio nel luogo in cui si procede, altrimenti le notificazioni sono eseguite mediante deposito in cancelleria. 25. LA RELAZIONE DI NOTIFICAZIONE E LE CAUSE DI NULLITA’ Nella relazione, scritta in calce all’originale ed alle singole copie notificate, l’ufficiale giudiziario indica il richiedente, le richieste effettuate, le generalità della persona a cui è stata consegnata la suoi confronti, ha rinunciato a proporre impugnazione o opposizione. Nella ipotesi in discorso, , la richiesta di restituzione deve essere presentata, a pena di decadenza, entro 30 gg. dal momento in cui l’imputato ha acquisito effettiva conoscenza del provvedimento. Se l’imputato deve essere estradato dall’estero, il termine per la presentazione della richiesta decorre dal giorno in cui l’imputato condannato è stato consegnato all’autorità giudiziaria italiana. Tornando alla disciplina ordinaria, la restituzione non può essere concessa più di una volta per ciascuna parte in ciascun grado. Competente a pronunciarsi sulla richiesta di restituzione, per la fase anteriore all’esercizio dell’azione penale è il gip. Esercitata l’azione, decide il giudice procedente ovvero, se è stata pronunciata sentenza di condanna, il giudice che sarebbe competente sull’impugnazione o sull’opposizione a decreto penale. Se la richiesta è respinta, può essere proposto ricorso per cassazione. Accolta la richiesta, il termine ricomincia a decorrere nella sua misura originaria; gli atti, su richiesta di parte, sono rinnovati dal giudice che ha concesso la restituzione, sempreché ciò sia possibile e sempreché si tratti di atti ai quali la parte avesse diritto di assistere. Se però la restituzione è concessa dalla cassazione, questa può disporre la rinnovazione dell’atto, che però verrà eseguita dal giudice di merito. 28. L’INVALIDITA’ DEGLI ATTI Nel processo penale gli atti sono, nella maggior parte dei casi, a forma vincolata; in questo caso, perfezione dell’atto (cioè conformità allo schema tipico) e sua efficacia (ossia attitudine a produrre effetti giuridici) si implicano reciprocamente. La mancanza anche di un solo elemento della fattispecie non dovrebbe consentire, in linea di principio, la produzione dei relativi effetti; tuttavia l’atto, anche quando le difformità sono rilevanti, quasi mai può dirsi del tutto inefficace. Infatti, ragioni di economia inducono il legislatore ad avvalersi del principio di conservazione degli atti imperfetti, per cui l’atto diviene idoneo a produrre effetti, anche se precari, in attesa di uno dei seguenti sbocchi: a. La sanatoria del vizio, che da vita ad un’altra fattispecie equivalente, dal punto di vista degli effetti, a quella viziata, ma integrata da uno o più fatti ulteriori, ai quali si da il nome di cause di sanatoria; b. La declaratoria d’invalidità dell’atto, che viene dichiarata dal giudice, la quale provoca l’eliminazione degli effetti dell’atto. Il titolo VII disciplina solo la nullità, salvo un unico riferimento all’inammissibilità, che riguarda gli atti di parte o di chi si fa parte. Oltre ai casi in cui l’inammissibilità discende dal compimento dell’atto nonostante la scadenza del relativo termine, spesso il vizio riguarda la forma della domanda o l’omissione di taluni contenuti della stessa. Essa, oggetto di autonomo motivo di ricorso per cassazione, è dichiarabile d’ufficio, in ogni stato e grado del procedimento. L’inutilizzabilità è, invece, talora richiamata con riferimento alla sanzione che consegue all’impiego dibattimentale di un atto delle indagini preliminari in sede probatoria, talvolta con riferimento ai casi di difformità rispetto ai criteri di ammissione oppure di assunzione della prova. Essa può essere rilevata in ogni stato e grado del giudizio, anche d’ufficio. 29. IL PRINCIPIO DI TASSATIVITA’ DELLE NULLITA’ E LA TECNICA DI PREVISIONE Le disposizioni in tema di nullità sono dominate dal principio di tassatività, dal quale discende una serie di corollari. All’interprete non solo non è consentito ricorrere all’integrazione analogica, ma neppure, una volta accertata la causa di nullità, valutare l’esistenza di un conseguente pregiudizio effettivo. Un atto, anche se inficiato da violenza o minaccia è comunque processualmente valido; al massimo, gli interrogatori dell’imputato e le prove affette da vizi della volontà rientrano nell’ambito dell’inutilizzabilità. L’inesistenza giuridica comprende quei vizi tanto macroscopici da indurre il legislatore a non ipotizzarne neppure l’eventualità e all’interprete a negarne la collocazione tra gli atti giuridici. Essa genera un vizio non solo rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, ma anche oltre, in quanto la gravità del vizio è tale da impedire la formazione del giudicato. Nel caso dell’abnormità dei provvedimenti del giudice, l’atto è idoneo ad integrare lo schema normativo minimo, ma si caratterizza per il suo contenuto del tutto estemporaneo, sia sul piano strutturale che su quello funzionale. È soggetta agli ordinari termini di impugnazione e perde rilevanza a seguito della formazione del giudicato. Tra le nullità generali rientrano l’inosservanza di una serie di disposizioni riguardanti il giudice, il PM, l’imputato, le altre parti private, i loro difensori e rappresentanti, nonché la citazione a giudizio della persona offesa dal reato e del querelante. Infine vi sono le nullità speciali, stabilite da un’apposita previsione legislativa. 30. LE NULLITA’ ASSOLUTE Le nullità assolute si caratterizzano perché caratterizzate dall’insanabilità e dall’irrevocabilità del giudicato. Per quanto riguarda il giudice, è causa di nullità assoluta l’inosservanza delle disposizioni riguardanti le condizioni di capacità del giudice ed il numero dei giudici del collegio giudicante. Per quanto riguarda il PM, sono assolute le nullità relative all’iniziativa del medesimo nell’esercizio dell’azione penale. A tale ipotesi devono poi aggiungersi quelle dell’imputazione coatta e della contestazione in udienza del reato connesso o del fatto nuovo. Pertanto, si ha una nullità assoluta quando il giudice decide sul fatto nuovo emerso nell’udienza preliminare o nel corso dell’istruzione dibattimentale senza che lo stesso sia stato formalmente contestato dal PM, oppure quando il fatto descritto nell’imputazione viene sostituito con un altro fatto. Tra le nullità assolute si collocano anche le violazioni delle disposizioni sulla capacità e sulla legittimazione del rappresentante del PM, purché si riflettano sulla sua iniziativa nell’esercizio dell’azione penale. Per quanto attiene all’imputato, una nullità assoluta deriva dall’omessa o invalida citazione al dibattimento di primo grado, oppure tenuto a seguito di giudizio direttissimo instaurato nei confronti di imputato libero o di giudizio immediato, e al dibattimento di secondo grado. Quanto al difensore dell’imputato, è causa di nullità assoluta non solo la sua assenza dal dibattimento di primo e secondo grado, ma pure in ogni altro caso in cui è obbligatoria la sua presenza. 31. LE NULLITA’ INTERMEDIE Le nullità relative sono, al pari di quelle assolute, rilevabili anche d’ufficio, e, al pari di quelle generali, sanabili in un momento anteriore all’irrevocabilità della sentenza. Tali nullità non possono essere rilevate né dedotte se verificatesi prima del giudizio, dopo la deliberazione della sentenza di primo grado, o, se verificatesi nel giudizio, dopo la deliberazione della sentenza del grado successivo. Tra le nullità intermedie figura anzitutto l’inosservanza delle disposizioni sulla partecipazione del PM al procedimento, sempre che tale attività non riguardi l’iniziativa ad esercitare l’azione penale. Essa può poi riguardare l’inosservanza delle disposizioni circa: a. l’intervento, cioè le ipotesi di diretta e personale partecipazione dell’imputato al procedimento; b. l’assistenza, che riguarda le attività svolte dal difensore per far valere i diritti e gli interessi dell’imputato; c. la rappresentanza dell’imputato. 32. LE NULLITA’ RELATIVE Le nullità relative sono quelle non generali, oppure non definite come assolute da specifiche disposizioni di legge. L’interprete, posto innanzi ad una nullità a previsione speciale, dovrà innanzitutto ricondurre la fattispecie tra le nullità generali; andata bene l’operazione, dovrà accertare se essa rientra nell’ambito delle nullità assolute; qualora l’indagine dia esito negativo, dovrà inserire tale ipotesi tra le nullità intermedie. La peculiarità delle nullità relative sta poi nel fatto che esse devono essere dichiarate dal giudice solo su eccezione della parte interessata. Le nullità riguardanti le indagini preliminari o l’incidente probatorio o gli atti dell’udienza preliminare devono essere eccepite in termini distinti a seconda che si tenga o meno l’udienza preliminare: a. Nel primo caso, devono essere eccepite anteriormente alla pronuncia del provvedimento conclusivo dell’udienza; b. Nel secondo, subito dopo aver compiuto per la prima volta l’accertamento della costituzione della parti in giudizio. Quest’ultimo termine vale anche per le nullità che riguardanti il decreto che dispone il giudizio o gli atti preliminari al dibattimento. Gli artt. 3 comma 1 e 9 comma 1 della l. n. 332/1995 hanno introdotto due fattispecie di nullità rilevabili anche d’ufficio: a. La prima riguarda l’indicazione delle esigenze cautelari quando vi sia pericolo per l’acquisizione delle prove; b. La seconda riguarda il contenuto dell’ordinanza che dispone la misura cautelare. 33. LA DEDUCIBILITA’ E LE SANATORIE La deducibilità delle nullità relative e di quelle intermedie trova un triplice limite soggettivo. La nullità non può essere dedotta o eccepita né da chi vi ha dato o concorso a darvi causa, né da chi non ha interesse all’osservanza della disposizione violata. La nullità deve poi essere eccepita prima del compimento dell’atto oppure, se ciò non è possibile, immediatamente dopo. Qualora la parte non abbia assistito al compimento dell’atto, il termine per dedurre la nullità coincide con quelli di sanatoria stabiliti per le nullità relative ed intermedie. La sanatoria consiste in un fatto successivo che determina un’equivalenza di effetti rispetto al corrispondente atto perfetto. La disciplina delle sanatorie generali si incentra su 2 figure: a. La prima riguarda la rinuncia espressa della parte interessata ad eccepire la nullità e l’accettazione degli effetti dell’atto; b. La seconda riguarda, invece, i casi in cui l’atto ha raggiunto lo scopo al quale era preordinato rispetto a tutti gli interessati. Le sanatorie generali operano nei confronti sia delle nullità relative che di quelle intermedie. La nullità di una citazione o di un avviso, ovvero delle relative comunicazioni e notificazioni, è sanata se la parte interessata è comparsa o ha rinunciato a comparire. La parte che invece dichiari di essere comparsa solo per far rilevare l’irregolarità non impedisce il verificarsi della sanatoria, ma ha diritto ad un termine a difesa non 3. L’OGGETTO DELLA PROVA Oggetto della prova sono, da un lato, i fatti che si riferiscono all’imputazione, dall’altro quelli concernenti la punibilità dell’imputato, nonché la determinazione della pena o della misura di sicurezza. Quando poi vi è costituzione di parte civile, il tema probatorio si allarga fino ad includere le questioni derivanti dall’esercizio dell’azione civile in sede penale. L’oggetto della prova è infine esteso ai fatti dai quali dipende l’applicazione di norme processuali. Occorre distinguere tra: a. Prove dirette, aventi per oggetto il fatto da provare; b. Prove indirette o prove indiziarie, che non hanno direttamente ad oggetto il fatto da provare, ma un altro fatto, dal quale il giudice potrà risalire al primo solo attraverso un’operazione mentale di tipo induttivo, fondata sulla logica o su massime di esperienza. Alla distinzione tra prove dirette e prove indirette a volte si fa corrispondere quella tra: a. Prove storiche, se il fatto da provare viene descritto o riprodotto immediatamente davanti al giudice; b. Prove critiche, se è necessario l’intervento di inferenza del giudice, sulla base di un itinerario logico--‐critico. 4. PROVE ATIPICHE E GARANZIE PER LA LIBERTA’ MORALE DELLA PERSONA Quando si ha a che fare con una prova atipica, cioè non riconducibile a nessuna delle figure probatorie legislativamente predeterminate, spetta al giudice decidere, di volta in volta, se la medesima può entrare in sede processuale, in base ad una verifica subordinata a due distinte valutazioni: a. Da un lato, deve essere idonea ad assicurare l’accertamento dei fatti; b. Dall’altro, non deve pregiudicare la libertà morale della persona, in quanto non possono essere utilizzati, neppure col consenso dell’interessato, tecniche o metodi probatori idonei ad influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti. Qualora tale tipo di prova venga ammessa, sarà ancora compito del giudice definire le modalità della sua assunzione, dopo aver sentito le parti. 5. DIRITTO ALLA PROVA E CRITERI DI AMMISSIONE L’art. 190 afferma il principio per cui le prove sono ammesse a richiesta di parte, imponendo al giudice di provvedere senza ritardo con ordinanza alla delibazione di ammissibilità. Si evince quindi che il diritto alla prova riconosciuto alle parti si articola su 2 livelli: a. In primo luogo, come diritto a richiedere l’ammissione di talune prove, salve le ipotesi in cui è consentito al giudice un intervento d’ufficio; b. In secondo luogo, una volta adempiuto tale onere, come diritto ad ottenere la prova richiesta o, comunque, ad ottenere una tempestiva pronuncia sulla richiesta formulata. Tra le specificazioni del diritto alla prova, occorre ricordare il diritto dell’imputato ad ottenere l’ammissione delle prove a discarico sui fatti costituenti oggetto delle prove a carico, nonché quello del PM di ottenere l’ammissione delle prove a carico sui fatti costituenti oggetto delle prove a discarico (c.d. diritto di controprova).Per quanto poi riguarda i criteri della pronuncia sull’ammissibilità della prova, il giudice è vincolato a 2 parametri: a. Da un lato, il giudice deve escludere le prove vietate dalla legge, cioè quelle per le quali esiste un espresso divieto in ordine all’oggetto o al soggetto della prova, ovvero in ordine alla procedura di acquisizione probatoria; b. Dall’altro, lo stesso giudice, dopo aver riscontrato l’insussistenza di divieti legislativi, deve escludere le prove che risultano superflue o irrilevanti. Carattere derogatorio ha la norma dell’art. 190--‐bis, che opera nei soli procedimenti per i delitti di criminalità organizzata. Essa dispone che, nel corso di tali procedimenti, quando è richiesto l’esame di un testimone o di un imputato in un procedimento connesso, che abbiano già reso dichiarazioni in sede di incidente probatorio o in dibattimento, purché nel contraddittorio con la persona nei cui confronti le dichiarazioni dovranno essere utilizzate, l’esame di tali soggetti è ammesso solo se riguarda fatti o circostanza diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni, ovvero quando il giudice o una delle parti lo ritengono necessario sulla base si specifiche esigenze. Tale disciplina è estesa all’esame di un testimone minore di 16 anni nei processi per i delitti di pornografia e di prostituzione minorile. Tale disciplina derogatoria da un lato assicura l’osservanza della garanzia del contraddittorio, dall’altro subordina il potere del giudice di ammettere o meno la rinnovazione dell’esame di tali soggetti ad una valutazione di necessità. I principi espressi nell’art. 190, ovviamente, sono applicabili nell’intero arco del procedimento. 6. PROVE ILLEGITTIMAMENTE ACQUISITE E SANZIONE DI INUTILIZZABILITA’ Le prove illegittimamente acquisite, cioè ammesse o assunte in violazione dei divieti di legge, non sono utilizzabili. Tale inutilizzabilità è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento. Per quanto riguarda la sfera di operatività della sanzione dell’inutilizzabilità, essa va individuata in ogni ipotesi di inosservanza di un divieto sancito dalla legge processuale in materia di ammissione ovvero di acquisizione probatoria, comprese le ipotesi in cui il divieto può emergere solo ex post rispetto al momento acquisitivo, cioè nel momento della valutazione della prova. 7. VALUTAZIONE DELLA PROVA E REGOLE DI CONVINCIMENTO DEL GIUDICE Per quanto attiene al regime di valutazione della prova, opera anzitutto il principio del libero convincimento del giudice. Le valutazioni del giudice devono poi necessariamente accordarsi con la motivazione dei provvedimenti che ne siano derivati, nella quale deve essere dato conto sia dei risultati acquisiti che dei criteri adottati. In particolare, all’interno della motivazione non solo devono essere indicate le prove poste a base della decisione, ma devono anche essere enunciate le ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie. Oltre al limite razionale derivante dall’obbligo della motivazione, il principio del libero convincimento del giudice incontra anche alcuni limiti di tipo normativo, volti a circoscrivere la sfera del libero apprezzamento probatorio del giudice: a. In primo luogo, ai fini del convincimento del giudice non possono essere utilizzati elementi di natura soltanto indiziaria, a meno che gli stessi si qualifichino come gravi, precisi e concordanti. In quest’ultimo caso, gli indizi assumo valenza di prova. b. In secondo luogo, con riferimento alla situazione dei coimputati del medesimo reato, ovvero degli imputati in un procedimento connesso, le dichiarazioni testimoniali provenienti da una di tali persone possono essere valutate solo unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità (c.d. presunzione relativa di inattendibilità). Lo stesso vale per le dichiarazioni rese dall’imputato di un reato collegato a quello per cui si procede, nonché per le dichiarazioni rese dall’imputato che ha assunto l’ufficio di testimone; c. Infine, non possono essere utilizzate ai fini del convincimento del giudice le dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre sottratto all’esame da parte dell’imputato o del suo difensore. 8. LA TESTIMONIANZA Il libro III del codice colloca in 2 titoli separati la disciplina dei singoli mezzi di prova e dei mezzi di ricerca della prova: a. I mezzi di prova offrono al giudice dei risultati direttamente utilizzabili per la decisione; b. I mezzi di ricerca della prova sono invece diretti a permette l’acquisizione di cose, tracce, notizie o dichiarazioni idonee ad assumere rilevanza probatoria. Incominciando dall’area dei mezzi di prova, occorre richiamare l’attenzione in primis sulla testimonianza. L’art. 195 riguardante la testimonianza indiretta: a. da un lato, sancisce l’inutilizzabilità della deposizione di chi non può o non vuole indicare la persona o la fonte da cui ha appreso la notizia al centro dell’esame testimoniale. Di qui deriva il divieto di acquisizione e di impiego delle notizie provenienti dagli informatori confidenziali, dei quali gli organi di polizia e dei servizi di sicurezza non hanno rivelato i nomi; b. dall’altro, prevede che, quando il testimone riferisce fatti o circostanze apprese da persone diverse, queste ultime non solo possono essere chiamate a deporre d’ufficio dal giudice, ma devono comunque esserlo su richiesta di parte, a pena di inutilizzabilità delle dichiarazioni. Qualora non venga avanzata alcuna richiesta, le dichiarazioni rese dal testimone indiretto saranno utilizzabili come una sorta di tacito consenso delle parti alla utilizzabilità dei contenuti della deposizione resa dal testimone “per sentito dire”. In capo agli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria vi è il divieto di deporre sul contenuto di dichiarazioni rese da testimoni, ma limitatamente alle dichiarazioni acquisite tramite sommarie informazioni, verbale di denuncia, querela e istanze presentate oralmente. Quindi, tale divieto opera quando, pur ricorrendone le condizioni, gli organi di polizia non hanno provveduto alla redazione del verbale. Al fine di assicurare sempre un controllo sulla fonte delle deposizioni di “seconda mano”, è esclusa la testimonianza dei soggetti che fanno riferimento a fatti conosciuti da persone titolari di un segreto professionale o d’ufficio, sempreché le medesime persone non abbiano deposto sugli stessi fatti, o non li abbiano divulgati in altro modo, manifestando in tal modo un comportamento incompatibile col mantenimento del vincolo di segretezza. Per quanto riguarda l’area dell’incompatibilità a testimoniare dell’imputato, essa è circoscritta in termini assoluti a chi è coimputato del medesimo reato o imputato in un procedimento connesso, sempreché nei suoi confronti non è già stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, ovvero di condanna o di applicazione della pena. A questa incompatibilità assoluta se ne affianca un’altra riferita alla situazione di chi è imputato per un reato commesso per eseguirne o occultarne altri, salvo che nei suoi confronti non è stata pronunciata sulla base della loro precedente condotta processuale. Più precisamente, la disciplina in questione deve applicarsi anche ai soggetti in questione che in precedenza non hanno reso dichiarazioni riguardanti la responsabilità dell’imputato. 10. CONFRONTI, RICOGNIZIONI ED ESPERIMENTI GIUDIZIALI I confronti sono ammessi esclusivamente fra persone già esaminate o interrogate, qualora vi siano dichiarazioni in contrasto su fatti e circostanze importanti. Per quanto riguarda le modalità dell’atto, viene evidenziata la funzione del giudice, cui spetta il compito di richiamare alle persone in questione le precedenti dichiarazioni e di invitarli alle reciproche contestazioni, quando le medesime siano state confermate. La disciplina delle ricognizioni si caratterizza per l’accuratezza e l’analitica descrizione delle modalità di svolgimento dell’atto. Costituisce causa di nullità anche solamente la mancata menzione, nel verbale, dell’osservanza delle forme prescritte per scandire la relativa procedura. Va poi evidenziata l’attribuzione al giudice del potere di adottare, anche in sede dibattimentale, le necessarie cautele per impedire che la persona chiamata ad effettuare la ricognizione possa subire intimidazioni da parte di quella sottoposta all’atto. Sia nel caso dei confronti, sia nel caso delle ricognizioni, la persona chiamata a compiere l’atto può rilasciare dichiarazioni, le quali, per il loro contenuto, sono assimilabili a quelle rese dall’imputato in sede di interrogatorio ovvero di esame. Di conseguenza, quando si tratta dell’imputato, gli è riconosciuto il diritto di rifiutarsi al compimento dell’atto, nonché la facoltà di non rispondere alle domande che gli vengono rivolte. Gli esperimenti giudiziali sono invece finalizzati ad accertare se un fatto è avvenuto o può essere avvenuto in un determinato modo, attraverso la riproduzione della situazione e la ripetizione delle modalità relative al suo presumibile svolgimento. Sono dettagliatamente previsti i contenuti sia dell’ordinanza che abbia disposto l’esperimento ( tra i quali l’eventuale nomina di un esperto in vista dell’esecuzione di determinate operazioni) sia dei poteri del giudice diretti ad assicurare un efficace e corretto svolgimento dell’atto. In particolare, il giudice deve provvedere affinché l’esperimento possa svolgersi senza offendere sentimenti di coscienza, e senza esporre a pericolo l’incolumità delle persone o la sicurezza pubblica. 11. LA PERIZIA La perizia è disposta quando occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni, le quali richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche (art. 220). Un’ipotesi particolare di perizia è quella per cui l’imputato per un reato di pedofilia o contro la libertà sessuale deve essere sottoposto ad accertamenti per l’individuazione di patologie sessualmente trasmissibili, e ciò ogniqualvolta le modalità del fatto possono prospettare un rischio di trasmissione. Quando il giudice accerta la sussistenza di una delle necessità indicate nell’art. 220, egli è obbligato ad ammettere la perizia anche d’ufficio e prevedere il contenuto della relativa ordinanza, che, accanto alla nomina del perito, dovrà anche recare la sommaria enunciazione dell’oggetto dell’indagine. Non sono ammesse le perizie concernenti il carattere e la personalità dell’imputato, le forme di pericolosità sociale e le sue qualità psichiche indipendenti da cause patologiche. Può essere nominato perito solo il soggetto iscritto in appositi albi professionali, anche se non è escluso il ricorso ad altri esperti di particolare competenza; inoltre, il giudice può disporre una perizia collegiale quando le indagini e le valutazioni risultano di particolare complessità, ovvero quando le medesime richiedono distinte conoscenze in diverse discipline. Sono inoltre vietati i prelievi coattivi di sangue, ovvero di altri tessuti o materiali organici, anche quando necessari per lo svolgimento di una perizia. Tale divieto è però superato dall’attribuzione agli organi di polizia giudiziaria del potere di procedere anche coattivamente al prelievo di capelli o di saliva ai fini dell’individuazione dell’indagato. Una volta conferito l’incarico, con la formulazione dei relativi quesiti, per espletare il suo compito il perito può essere autorizzato ad assistere all’esame delle parti e all’assunzione di altre prove, nonché prendere visione degli atti e delle cose prodotti dalle parti nei limiti in cui i medesimi siano acquisibili al fascicolo dibattimentale. Inoltre, è consentito al perito di raccogliere notizie dall’imputato, dall’offeso o anche da altre persone. Per quanto attiene alla relazione finale della perizia, una novità è rappresentata dalla previsione secondo la quale il perito deve rispondere immediatamente ai quesiti propostigli in forma orale, mediante parere raccolto nel verbale, salvo quando il giudice autorizzi la presentazione di una relazione scritta, quando la stessa risulta indispensabile ad illustrare tale parere. Qualora il perito non sia in grado di fornire una risposta immediata, e sempreché il giudice non ritenga di sostituirlo, è prevista la concessione di un termine, non superiore a 90 gg. (ma prorogabile fino a 6 mesi nei casi di accertamenti di particolare complessità) entro il quale dovrà essere fornito il prescritto parere. Sia il PM che le parti private possono poi nominare, in numero non superiore a quello dei periti, dei consulenti tecnici, che sono autorizzati a partecipare a tutte le operazioni peritali, non solo formulando osservazioni e riserve, ma anche proponendo al perito lo svolgimento di specifiche indagini. Essi possono sempre prendere visione delle relazioni ed essere autorizzati ad esaminare le persone, le cose o i luoghi oggetto della perizia, purché non ne derivi ritardo all’esecuzione della perizia. I consulenti possono essere nominati anche qualora non sia stata disposta perizia, nel qual caso essi possono esporre al giudice il proprio parere su singole questioni. Qualora successivamente alla nomina del consulente il giudice decidesse di disporre la perizia, al consulente sono riconosciuti i diritti e le facoltà ordinariamente previsti. Qualora, invece, la perizia non venisse disposta, il consulente tecnico può svolgere di sua iniziativa le indagini e gli accertamenti in base alla disponibilità delle persone, delle cose o dei luoghi oggetto della consulenza. 12. LA PROVA DOCUMENTALE Per prova documentale si intende ogni cosa idonea a rappresentare fatti, persone o cose attraverso la fotografia, la cinematografia, la fonografia e qualsiasi altro mezzo. Mentre è esclusa la possibilità di acquisire documenti concernenti le voci correnti nel pubblico intorno ai fatti, ovvero la moralità delle parti e dei testimoni, è invece ammessa l’acquisizione dei documenti necessari al giudizio sulla personalità dell’imputato e della persona offesa dal reato, compresi quelli esistenti presso gli uffici pubblici di servizio sociale e gli uffici di sorveglianza. I documenti costituenti corpo del reato devono essere acquisiti qualunque sia la persona che li ha formati o li detiene, mentre i documenti provenienti dall’imputato possono sempre essere acquisiti anche d’ufficio, anche se si tratta di documenti sequestrati presso altri o da altri prodotti. La provenienza dei documenti deve essere verificata sottoponendoli per il riconoscimento alle parti private e ai testimoni, mentre i documenti contenenti dichiarazioni anonime non possono essere acquisiti ne utilizzati, a meno che non si tratti di corpo del reato o provenienti dall’imputato. I documenti concernenti dati e contenuti di conversazioni o comunicazioni, relativi al traffico telefonico e telematico, illegalmente formati o acquisiti, nonché i documenti formati attraverso la raccolta illegale di informazioni, devono essere secretati e custoditi in un luogo protetto dal PM, e il loro contenuto non può essere utilizzato se non come notizia di reato. Inoltre, il PM deve chiedere al gip, in termini molto brevi, la distruzione di tale materiale. Per quanto riguarda l’ipotesi di falsità dei documenti, a parte il caso in cui la stessa venga accertata e dichiarata con la sentenza di condanna o di proscioglimento, il giudice, qualora ritenga falso uno dei documenti acquisiti, dopo la definizione del procedimento deve informare il PM, trasmettendogli copia del documento. L’acquisizione dei verbali di prove di altri procedimenti penali è ammessa solo quando si tratta di prove assunte nell’incidente probatorio o nel dibattimento; ove si tratti di verbali recanti dichiarazioni, essi sono utilizzabili soltanto contro gli imputati i cui difensori abbiano partecipato alla loro assunzione, ovvero nei cui confronti fa stato la sentenza civile. Inoltre, è sempre ammessa l’acquisizione della documentazione di atti compiuti nel corso di altri procedimenti penali, i quali, anche per cause sopravvenute, non sono ripetibili. Al di fuori di tali ipotesi, invece, l’acquisizione e l’utilizzazione dibattimentale dei verbali di altri procedimenti contenenti dichiarazioni è ammessa soltanto nei confronti dell’imputato che vi consenta. In assenza del consenso, essi potranno essere utilizzati solo ai fini delle contestazioni in sede di esame dibattimentale. In ogni caso, qualora tali verbali siano acquisiti, le parti hanno il diritto di ottenere l’esame delle persone che hanno reso tali dichiarazioni. Infine, assume particolare rilievo la disciplina riferita all’avviso di conclusione delle indagini preliminari, nonché all’udienza preliminare, in vista della quale è stabilito che, una volta depositato in cancelleria il fascicolo del PM contente le risultanze delle indagini preliminari, anche il difensore dell’imputato può produrre documenti, che dovranno essere ammessi dal giudice prima dell’inizio della discussione. Ugualmente, devono essere ammessi i nuovi documenti eventualmente prodotti a seguito delle ulteriori indagini, come pure quelli acquisiti dal giudice in virtù dei poteri di integrazione probatoria. Conclusasi l’udienza preliminare con il rinvio a giudizio, tra i documenti in precedenza acquisiti sono destinati a confluire nel fascicolo del dibattimento solo i certificati del casellario giudiziale e i restanti atti indicati nell’art. 236. 13. ISPEZIONI E PERQUISIZIONI Tra i mezzi di ricerca della prova innanzitutto occorre analizzare: a. Le ispezioni, dirette ad accertare sulle persone, nei luoghi o nelle cose, le tracce e gli altri effetti materiali del reato; b. Le perquisizioni, dirette a ricercare il corpo del reato o cose pertinenti al reato sulle persone o in luoghi determinati, ovvero ad eseguire in questi ultimo l’arresto dell’imputato o dell’evaso. Incominciando dall’ispezione personale, si prevede in primis che l’interessato può farsi assistere da una persona di fiducia, purché reperibile ed idonea; inoltre essa deve essere eseguita personalmente dall’autorità procedente o da un medico, nel rispetto della dignità e del pudore della persona che deve soggiacervi. Circa l’ispezione di luoghi o di cose, prima dell’inizio delle operazioni decreto del PM deve innanzitutto stabilire le modalità e la durata delle corrispondenti operazioni. A quest’ultimo proposito, esse non possono durare per oltre 15 gg. (prorogabili dal giudice, con decreto motivato, per periodi successivi di 15 gg.) e devono essere eseguite personalmente dal PM o da un ufficiale di polizia giudiziaria. Con riferimento alle indagini relative ai delitti di criminalità organizzata, di minaccia col telefono e di natura terroristica, si è stabilito che, quando l’intercettazione risulti necessaria, essa possa venire autorizzata dal giudice anche solo in presenza di sufficienti indizi di reato. Le operazioni così autorizzate non possono di regola superare i 40 gg. prorogabili, con decreto motivato, dal giudice (o, nei casi d’urgenza, direttamente dal PM), per periodi successivi di 20 gg. Tornando alla normativa ordinaria, il PM ha l’obbligo di annotare in un apposito registro riservato, secondo il loro ordine cronologico, tutti i decreti che abbiano disposto, autorizzato, convalidato ovvero prorogato le intercettazioni, nonché i tempi di inizio e di conclusione delle operazioni. Inoltre, è previsto che queste ultime devono avvenire solamente attraverso degli impianti installati nella procura della Repubblica presso il tribunale, anche se, in caso di insufficienza o di inidoneità dei medesimi, il PM può autorizzare con decreto motivato l’uso degli impianti pubblico servizio, ovvero di quelli in dotazione alla polizia giudiziaria, qualora sussistano eccezionali ragioni d’urgenza. Nel caso invece di intercettazioni informatiche o telematiche, può essere autorizzato anche l’impiego di impianti appartenenti a privati. Le comunicazioni intercettate devono essere sempre registrate, e nel relativo verbale deve essere trascritto, anche sommariamente, il loro contenuto. I verbali e le registrazioni devono quindi essere immediatamente trasmesse al PM e poi depositate in segreteria entro 5 gg. dalla conclusione delle operazioni. Dopo tale deposito, i difensori delle parti devono essere avvisati della facoltà di esaminare gli atti, nonché di prendere conoscenza delle registrazioni depositate, entro il termine fissato dal PM ed eventualmente prorogato dal giudice. In tal modo, vengono poste le premesse per realizzare il contraddittorio tra il PM e i difensori e per la selezione del materiale, un procedimento quest’ultimo che dovrebbe svolgersi entro (o subito dopo) la chiusura delle indagini preliminari, e nell’ambito di un’apposita udienza camerale. Scaduto il termine riservato ai difensori per prendere conoscenza degli atti, il gip dispone, su richiesta di parte, l’acquisizione delle conversazioni e delle comunicazioni indicate dalle parti stesse, che non appaiano manifestamente irrilevanti. Lo stesso giudice procede poi allo stralcio delle registrazioni e dei verbali relativi alle intercettazioni di cui è vietata l’utilizzazione. A questo punto, il giudice provvede per la trascrizione integrale delle registrazioni destinate ad essere acquisite, salva la facoltà dei difensori di estrarre copia delle trascrizioni e di trasporre le medesime registrazioni su nastro: le trascrizioni così ottenute sono inserite nel fascicolo del dibattimento. I verbali e le registrazioni delle intercettazioni non acquisiti devono essere conservati integralmente presso il PM fino al passaggio in giudicato della sentenza. Tuttavia, quando la relativa documentazione non è necessaria per il procedimento, gli interessati possono chiederne al giudice la distruzione, il quale provvede in camera di consiglio. L’utilizzazione delle intercettazioni in procedimenti diversi è ammessa solo quando le medesime risultano indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza. Qualora l’autorità giudiziaria, attraverso le intercettazioni, acquisisca comunicazioni di servizio di appartenenti ai servizi di sicurezza, la relativa documentazione deve essere immediatamente secretata e custodita in un luogo protetto. La medesima autorità giudiziaria deve quindi trasmettere al presidente del Consiglio copia della documentazione di cui intende avvalersi, per accertarsi che la stessa non sia coperta da segreto di Stato; qualora entro 60 gg. il presidente non oppone tale segreto, l’autorità giudiziaria può acquisire la documentazione trasmessa, mentre, in caso contrario, le è inibita l’utilizzazione delle notizie coperte da segreto. I risultati delle intercettazioni eseguite contra legem non possono essere utilizzati. Quale fonte di inutilizzazione deve poi anche ricomprendersi il principio della necessaria autorizzazione della Camera di appartenenza per poter sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni. Il divieto di utilizzazione viene poi esteso alle intercettazioni riguardanti fatti coperti da segreto professionale. Le registrazioni ed i verbali inutilizzabili devono essere distrutti per ordine del giudice in ogni stato e grado del processo, salvo che i medesimi costituiscano corpo del reato. Un problema particolare sorge a proposito delle conversazioni o comunicazioni cui abbiano preso parte membri del Parlamento, regolarmente intercettate nel corso di procedimenti riguardanti terze persone (intercettazioni c.d. indirette). In tal caso: a. Se il gip ritiene irrilevanti, ai fini del procedimento, i verbali e le registrazioni delle intercettazioni, essi devono essere integralmente distrutti; b. Se il gip, invece, li ritiene rilevanti, per poter utilizzarli deve richiedere l’autorizzazione della Camera di appartenenza del parlamentare, trasmettendo insieme con la richiesta copia integrale dei verbali e elle registrazioni. Nessun problema sorge qualora l’autorizzazione venga concessa, ma lo stesso non può dirsi qualora venga invece negata, in quanto, in tal caso, la documentazione delle intercettazioni deve essere distrutta immediatamente. Così facendo risulteranno inutilizzabili anche le risultanze di intercettazioni indirette recanti elementi probatori a carico o a favore di soggetti non aventi la qualifica parlamentare, o addirittura costituenti esse stesse il corpo del reato. Tuttavia, la Corte costituzionale è intervenuta con una declaratoria di illegittimità di tale normativa nelle parti relative alla sua applicabilità anche nei confronti di soggetti non aventi qualifica parlamentare CAPITOLO 4 MISURE CAUTELARI 1. PREMESSA. IL SISTEMA DELLE MISURE CAUTELARI Il libro IV del cpp risulta essere diviso in 2 titoli: uno riferito alle misure cautelari personali, l’altro alle misure cautelari reali. Non trovano invece collocazioni in questo libro la disciplina dell’arresto in flagranza e del fermo, e nemmeno la disciplina dell’accompagnamento coattivo, il quale è disciplinato dal codice come atto strumentale diretto a soddisfare determinate esigenze di indagine, e non come atto avente finalità cautelari. 2. RISERVA DI LEGGE E RISERVA DI GIURISDIZIONE IN MATERIA DI MISURE CAUTELARI PERSONALI In base all’art. 272, in cui è sancito il principio di legalità, “le libertà della persona possono essere limitate con misure cautelari solamente a norma delle disposizioni del titolo I, libro IV, del cpp. La competenza a provvedere sull’applicazione, sulla revoca, e sulle vicende modificative delle misure cautelari spetta sempre al giudice che procede, mentre al PM è riconosciuto solo il potere di disporre il fermo di indiziati. Occorre inoltre ricordare che senza autorizzazione della Camera cui appartiene, nessun membro del Parlamento può essere arrestato o privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero qualora venga colto nell’atto di compiere un delitto per il quale è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza. In queste ipotesi, l’autorizzazione deve essere richiesta alla Camera d’appartenenza dall’autorità giudiziaria che ha emesso il provvedimento. 3. I PRESUPPOSTI DEL “FUMUS COMMISSI DELICTI” E DEL “PERICULUM LIBERTATIS” Presupposti per l’adozione di una misura cautelare sono il fumus commissi delicti e il periculum libertatis. Per quanto riguarda il primo, ai fini dell’adozione della misura occorre che a carico del destinatario sussistano gravi indizi di colpevolezza, e all’autorità competente è imposto di compiere un seppur sommario accertamento negativo circa la sussistenza di una delle cause di giustificazione o di non punibilità, ovvero di estinzione del reato o della pena. Ai fini della valutazione circa la sussistenza di tali gravi indizi, il giudice può tener conto delle dichiarazioni provenienti da persone che sono imputate per lo stesso reato, o in procedimento connesso, o per un reato collegato, e purché le medesime dichiarazioni siano corredate da altri elementi probatori idonei a confermarne l’attendibilità. Per quanto riguarda, invece, il periculum libertatis, l’art. 274 predetermina le esigenze cautelari che, concorrendo coi gravi indizi di colpevolezza, giustificano l’adozione delle misure cautelari personali. 4. LE DIVERSE ESIGENZE CAUTELARI Secondo l’art. 274 lett. a, le misure cautelari sono anzitutto disposte quando sussistono specifiche ed inderogabili esigenze attinenti alle indagini, esigenze il cui fine è quello di fronteggiare il pericolo di inquinamento delle prove. Tuttavia, le situazioni di pericolo per la genuinità della prova non possono essere individuate nel rifiuto della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato di rendere dichiarazioni, né nella mancata ammissione degli addebiti. Dunque, il cautelari del caso concreto. Inoltre la persona sottoposta a custodia carceraria non può subire limitazioni della libertà, prima del trasferimento in istituto, se non per il tempo e con le modalità strettamente necessarie alla sua traduzione. 8. I CRITERI DI DETERMINAZIONE DELLA PENA AI FINI DELL’APPLICAZIONE DELLE MISURE Per la determinazione della pena agli effetti dell’applicazione delle misure cautelari personali, deve aversi riguardo alla pena stabilita dalla legge per ciascun reato consumato o tentato, senza tener conto né della continuazione, né della recidiva, né delle circostanze del reato. Tuttavia, quando si tratta di delitti concernenti sostanze stupefacenti, si deve sempre tener conto della diminuzione della pena stabilita per i casi di lieve entità. 9. MISURE COERCITIVE E MISURE INTERDITTIVE Sia le misure di coercizione personale che le misure interdittive possono applicarsi soltanto quando si procede per delitti per i quali la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a 3 anni (art. 280). Tale regola, tuttavia, non è priva di eccezioni. Infatti: a. Per quanto riguarda le misure coercitive, è previsto che la custodia cautelare in carcere può essere applicata solo quando si procede per delitti, consumati o tentati, per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 4 anni. Tale limite però non opera nei confronti di chi ha trasgredito le prescrizioni inerenti ad una misura cautelare, per cui nei confronti di tali imputati la misura carceraria potrà essere applicata. b. Per quanto riguarda la c.d. conversione dell’arresto in flagranza o del fermo in una misura coercitiva, essa può aver luogo anche al di fuori dei limiti di pena previsti dagli artt. 274. 1 lett. c e 280, quando l’arresto è stato eseguito per i delitti di peculato, corruzione, violenza o minaccia a pubblico ufficiale, commercio e somministrazione di medicinali guasti, corruzione di minorenni, lesione personale, furto, danneggiamento, ecc; ovvero per uno dei delitti per i quali è consentito anche fuori dei casi di flagranza, dunque, anche con riferimento a determinati delitti punibili con la reclusione non inferiore nel massimo a 3 anni. 10. LA TIPOLOGIA DELLE MISURE COERCITIVE ED IL PRINCIPIO DI GRADUALITA’ In base al principio di gradualità, le misure coercitive sono ordinate in base alla loro progressiva afflittività, a cominciare da misure di contenuto meramente obbligatorio, per finire alle vere e proprie misure detentive. In questa gerarchia si collocano le misure del divieto di espatrio, dell’obbligo di presentazione periodica agli uffici di polizia giudiziaria e dell’allontanamento dalla casa familiare. A queste si aggiungono poi il divieto e l’obbligo di dimora. Per quanto riguarda l’obbligo di dimora, il giudice può imporre all’imputato, oltre alla prescrizione di non allontanarsi senza autorizzazione dal territorio del comune di dimora abituale, o di un comune vicino, anche quella di non allontanarsi dall’abitazione in alcune ore del giorno, senza pregiudizio per le normali esigenze di lavoro. Tale prescrizione risulta essere analoga agli arresti domiciliari, in base ai quali l’imputato non può allontanarsi dalla propria abitazione, o dagli altri luoghi consentiti, se non dietro autorizzazione del giudice e al fine di provvedere ad indispensabili esigenze di vita, ovvero per lavorare nel caso di assoluta indigenza. Gli arresti domiciliari non possono essere concessi agli imputati già condannati per il reato di evasione nei 5 anni precedenti al fatto per cui si procede. Inoltre, il giudice, nel disporre tale misura, può prescrivere l’adozione di particolari procedure di controllo da attuarsi mediante il c.d. braccialetto elettronico; tuttavia, col medesimo provvedimento può anche disporre la misura carceraria allorché l’imputato neghi il proprio consenso a sottoporsi a tali mezzi elettronici. 11. LE FORME DELLA CUSTODIA CAUTELARE Con la custodia in carcere, il giudice dispone che l’imputato sia catturato e immediatamente condotto in carcere per rimanervi a disposizione dell’autorità giudiziaria. Tuttavia, essa deve essere considerata come l’ultima risorsa a disposizione del giudice, cioè come una sorta di estrema ratio. Qualora si tratti di imputato in stato di infermità mentale tale da incidere sulla sua capacità di intendere e di volere, il giudice, in luogo della custodia carceraria, può disporne la custodia cautelare mediante ricovero provvisorio in idonea struttura del servizio psichiatrico ospedaliero, adottando ogni accorgimento necessario per prevenirne il pericolo di fuga. Anche per quanto riguarda gli imputati che versano in gravi condizioni di salute, il giudice può disporne il ricovero provvisorio in adeguata struttura del servizio sanitario nazionale per il tempo necessario, adottando nel contempo i provvedimenti idonei a evitare il pericolo di fuga. Dopo di che, una volta cessate le esigenze del ricovero, il giudice o ripristinerà la custodia carceraria, o disporrà gli arresti domiciliari, o pronuncerà il provvedimento di revoca o sostituzione delle misure. Infine, va ricordato il principio della computabilità per una sola volta della durata delle misure di custodia cautelare ai fini della determinazione della pena da eseguire. Lo stesso principio è poi esteso anche all’ipotesi di custodia cautelare subita all’estero a seguito di una domanda di estradizione, ovvero nel caso di rinnovamento del giudizio. 12. LA TIPOLOGIA DELLE MISURE INTERDITTIVE Per quanto attiene alle misure interdittive, vengono disciplinate, in particolare, la sospensione dall’esercizio della potestà dei genitori; la sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio, peraltro non applicabile agli uffici elettivi ricoperti per diretta investitura popolare; il divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali o imprenditoriali, ovvero determinati uffici direttivi delle persone giuridiche o delle imprese. Riguardo ai criteri di scelta delle misure interdittive, per le quali valgono i principi di adeguatezza e di proporzionalità, va ricordata la possibilità per il giudice di applicare anche solo parzialmente la misura prescelta. Ogni ordinanza applicativa di una misura interdittiva deve essere trasmessa in copia all’organo competente a disporre l’interdizione in via ordinaria. 13. I PROFILI FORMALI DEI PROVVEDIMENTI CAUTELARI La competenza a disporre misure cautelari personali spetta al giudice su richiesta del PM (un’iniziative d’ufficio del giudice è prevista solo in materia di revoca o di sostituzione di misure già applicate). In particolare, il PM deve fornire al giudice non solo gli elementi su cui la richiesta di fonda, ma anche tutti gli altri elementi a favore dell’imputato, nonché le eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate. Qualora il giudice destinatario della richiesta riconosca la propria incompetenza, ma accerti l’urgenza di provvedere sotto il profilo cautelare, egli stesso deve disporre la misura richiesta con lo stesso provvedimento declinatorio di competenza, salva la caducazione della misura applicata qualora, entro 20 gg. dalla trasmissione degli atti al giudice competente, questi non la “conferma” con proprio autonomo provvedimento. Tuttavia, la richiesta formulata dal PM non è vincolante per quanto riguarda la tipologia della misura oggetto della stessa, in quanto il giudice può disporre anche una misura meno grave e non, invece, una misura più grave. Infine, il PM, nell’interesse della persona offesa, può chiedere al giudice l’applicazione di una misura patrimoniale provvisoria. Sulla richiesta del PM il giudice provvede con ordinanza, che deve contenere, a pena di nullità rilevabile anche d’ufficio: a. Le generalità dell’imputato; b. La descrizione sommaria del fatto con l’indicazione delle norme di legge che si assumono violate; c. L’esposizione delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi che giustificano la misura disposta, con l’indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti e dei motivi per i quali essi assumono rilevanza, tenuto conto anche del tempo trascorso dalla commissione del reato; d. L’esposizione dei motivi per i quali sono stati ritenuti non rilevanti gli elementi forniti dalla difesa, nonché, in caso di applicazione della misura carceraria, l’esposizione delle regioni per le quali le esigenze cautelari non possono essere soddisfatte con altre misure; e. La fissazione della data di scadenza della misura, quando la stessa è stata disposta al fine di garantire l’acquisizione o la genuinità della prova; f. La data e la sottoscrizione del giudice. Tali requisiti sono stabiliti a pena di nullità rilevabile anche d’ufficio. 14. GLI ADEMPIMENTI ESECUTIVI E LE GARANZIE DIFENSIVE Le ordinanze, una volta notificate o eseguite, vanno depositate in cancelleria insieme alla richiesta del PM con gli atti presentati da quest’ultimo, e del deposito viene dato avviso al difensore. Quest’ultimo può non solo prendere visione, ma anche estrarre copia sia dell’ordinanza applicativa della custodia cautelare, sia della richiesta del PM con gli atti presentati a corredo della medesima. Mentre le ordinanze applicative della custodia cautelare sono eseguite con la consegna all’imputato di copia del provvedimento e col suo immediato trasferimento in un istituto di custodia, quelle applicative delle misure cautelari non custodiali sono solo notificate all’imputato secondo i modi ordinari. In particolare, in merito alle ordinanze relative alla custodia cautelare, è previsto che l’organo di polizia incaricato dell’esecuzione avverta l’imputato della possibilità di nominare un difensore di fiducia che verrà immediatamente informato. Qualora, invece, il destinatario della misura non venga rintracciato, si prevede la redazione del verbale di vane ricerche da parte del competente organo di polizia, e la successiva dichiarazione di latitanza dell’imputato ad opera del giudice che abbia ritenuto tali ricerche esaurienti. In merito alla disciplina della latitanza, intesa come la volontaria sottrazione non solo ad un ordine di carcerazione ovvero ad una misura di custodia cautelare, ma anche agli arresti domiciliari, all’obbligo di dimora ed al divieto di espatrio, occorre ricordare la regola volta a circoscrivere l’operatività dei suoi effetti al solo procedimento penale nel quale essa è stata dichiarata. Inoltre, il giudice o il PM possono autorizzare l’uso richiesta. Un’iniziativa ex officio è invece riconosciuta al giudice in sede di udienza preliminare e in giudizio. Tuttavia, anche nel corso delle indagini preliminari si ammette che il giudice possa assumere tale iniziativa d’ufficio quando assuma l’interrogatorio dell’indiziato in stato di custodia cautelare, o quando sia richiesto nella proroga del termine per le indagini preliminari, ovvero quando proceda all’assunzione di un incidente probatorio. Prima di provvedere sulla revoca o sulla sostituzione, il giudice deve sempre sentire il PM, il quale dovrà esprimere il proprio parere nei 2 gg. successivi, in caso contrario il giudice potrà senz’altro procedere alla decisione. La stessa regola vale per l’ipotesi in cui la regola o la sostituzione è richiesta dall’imputato dopo la chiusura delle indagini preliminari. In questi casi, il giudice, dopo aver valutato gli elementi addotti a fondamento della richiesta di revoca o di sostituzione, prima di provvedere può sempre procede all’interrogatorio della persona sottoposta alla misura; tale interrogatorio è invece obbligatorio, ove l’imputato lo abbia richiesto, quando l’istanza di revoca o di sostituzione è basata su elementi nuovi o diversi rispetto a quelli già valutati. Qualora, invece, le esigenze cautelari si siano accresciute, il giudice, su richiesta del PM, deve sempre, ove sussistano i presupposti, sostituire la misura originaria con un’altra più rigida, ovvero disporne l’applicazione con modalità più gravose. Il giudice, quando si trova nell’impossibilità di decidere allo stato degli atti sulla richiesta di una parte, può, in ogni stato e grado del procedimento, disporre anche d’ufficio i necessari accertamenti sulle condizioni di salute o sulle qualità personali dell’imputato. Tali accertamenti devono svolgersi con la massima celerità possibile e al più tardi entro 15 gg. dal deposito della richiesta. Nel caso in cui la richiesta di revoca o di sostituzione della misura carceraria sia fondata sulle condizioni di salute particolarmente gravi dell’imputato, e qualora il giudice non ritenga di accogliere la richiesta sulla base degli atti disponibili, devono disporsi gli accertamenti medici del caso attraverso la nomina di un perito ad hoc, il quale dovrà tener conto del parere del medico penitenziario e riferire al giudice antro 5 gg., ovvero, nel caso di rilevata urgenza, entro 2 gg. dall’accertamento. Qualora poi le esigenze diagnostiche non possano essere soddisfatte nell’ambito penitenziario, il giudice potrà disporre il ricovero provvisorio dell’imputato in un’idonea struttura del servizio sanitario nazionale, adottando se del caso adeguate cautele. Infine, durante il periodo compreso tra il provvedimento che dispone gli accertamenti e la scadenza del termine per il loro espletamento, il termine di 5 gg. sancito per la pronuncia del giudice è sospeso. 18. PARTICOLARI FATTISPECIE DI ESTINZIONE AUTOMATICA DELLE MISURE A parte l’ipotesi di estinzione della custodia cautelare a causa dell’omesso interrogatorio dell’indiziato entro il termine previsto, viene stabilita anzitutto l’immediata perdita di efficacia delle misure applicate con riferimento ad un certo fatto quando, per lo stesso fatto e nei confronti della stessa persona, viene disposta l’archiviazione, ovvero viene pronunciata una sentenza di non luogo a procedere o di proscioglimento. In questo caso, l’imputato detenuto deve essere immediatamente posto in libertà subito dopo la lettura del dispositivo, e per il disbrigo delle formalità, lo stesso deve essere riaccompagnato in carcere separatamente dai detenuti e senza uso di mezzi di coercizione. Laddove, invece, la sentenza sia di condanna, le misure già in atto perdono efficacia ogniqualvolta la pena irrogata viene dichiarata estinta o condizionalmente sospesa; e analogamente, la custodia cautelare perde efficacia quando la durata della custodia presofferta è uguale o superiore all’entità della pena irrogata. In tutte queste ipotesi, l’estinzione opera di diritto, sicché il giudice non può fare altro che adottare con ordinanza i provvedimenti necessari per far cessare l’esecuzione delle misure estinte; quando poi la cessazione consegue ad una pronuncia della cassazione, la cancelleria ne comunica immediatamente il dispositivo al procuratore generale presso la Corte medesima perché dia i provvedimenti occorrenti. Riguardo alla situazione dell’imputato destinatario prima di una sentenza di proscioglimento, o di non luogo a procedere, e successivamente condannato per il medesimo fatto, nei suoi confronti possono essere adottate uno o più misure coercitive soltanto quando vi è pericolo di fuga essendo stata irrogata una pena superiore a 2 anni di reclusione, ovvero pericolo di commissione dei gravi delitti indicati nell’art. 274.1 lett. b. In base all’art. 301, le misure applicate per esigenze cautelari di natura probatoria perdono efficacia quando alla scadenza del termine fissato non ne viene ordinata la rinnovazione; in particolare, la rinnovazione può essere disposta dal giudice con ordinanza (su richiesta del PM e solo dopo aver obbligatoriamente sentito il difensore della persona destinataria della misura) anche per più di una volta, purché entro i termini massimi di durata previsti per le corrispondenti misure. La custodia carceraria motivata da esigenze probatorie non può avere una durata superiore a 30 gg., salvo si proceda per delitti di terrorismo, strage, mafia, ecc.. (art. 407.2 lett. a), ovvero salva la presenza di situazioni investigative complesse. Tuttavia, tale termine può essere prorogato ad opera del giudice, su richiesta del PM e previo interrogatorio dell’imputato, sulla base di un’ordinanza che dovrà valutare le ragioni che hanno impedito il compimento delle indagini per le cui esigenze la misura era stata disposta. Attraverso tale procedura, il termine inizialmente fissato potrà essere prorogato per non più di 2 volte e, comunque, entro il limite complessivo di 90 gg. Nulla esclude, però, che, alla scadenza di questo termine, il PM possa chiedere, ed il giudice disporre, la rinnovazione della custodia carceraria sempre per esigenze probatorie. 19. I TERMINI DI DURATA MASSIMA DELLA CUSTODIA CAUTELARE Tra le varie figure di estinzione automatica delle misure cautelari personali assumono un particolare risalto quelle collegate alla disciplina dei termini di durata massima delle misure medesime. Cominciando dalla custodia cautelare, è stata prevista una serie di termini massimi di durata della stessa in relazione ad diversi stati o gradi del procedimento, e con riferimento a ciascuna di tali fasi i suddetti termini intermedi sono stati quantitativamente differenziati o in funzione della gravità dell’imputazione, o in funzione della pena applicata in concreto, quando già vi sia stata sentenza di condanna. Cominciando dalla fase preliminare, la custodia perde efficacia allorché, dall’inizio della sua esecuzione, e senza che sia stato emesso il decreto che dispone il giudizio o l’ordinanza di giudizio abbreviato, siano decorsi i seguenti termini: a. 3 mesi, quando di procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a 6 anni; b. 6 mesi, quando si procede per un delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione superiore nel massimo a 6 anni; c. Un anno, quando si procede per un delitto per il quale è stabilita la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a 20 anni, oppure per uno dei delitti indicati nell’art. 407.2 lett. a (sempreché per questi ultimi sia prevista la pena della reclusione superiore nel massimo a 6 anni). Per quanto riguarda la fase del giudizio di primo grado, secondo il rito ordinario, la custodia perde efficacia quando dal provvedimento che dispone il giudizio (o dalla sopravvenuta esecuzione della custodia stessa), e senza che sia stata pronunciata sentenza di condanna di primo grado, la sua durata ha superato il termine di: a. 6 mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a 6 anni; b. Un anno, quando si procede per un delitto per il quale è prevista la pena della reclusione non superiore nel massimo a 20 anni; c. Un anno e 6 mesi, quando si procede per un delitto per il quale è prevista la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a 20 anni. Occorre poi aggiungere che, qualora si procede per uno dei delitti ex art. 407.2 lett. a, tali termini sono aumentati fino a 6 mesi, e tale termine deve essere imputato al termine previsto per la fase precedente (ove non completamente utilizzato), ovvero ai termini previsti per le fasi successive alla sentenza di condanna in appello, che saranno perciò corrispondentemente ridotti. Infine, per quanto riguarda la fase del giudizio abbreviato, la custodia perde efficacia allorché dall’ordinanza con cui è stato disposto tale giudizio, e senza che sia stata pronunciata sentenza di condanna, la sua durata ha superato il termine di: a. 3 mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a 6 anni; b. 6 mesi, quando si procede per un delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione non superiore nel massimo a 20 anni; c. 9 mesi, quando si procede per un delitto per il quale è stabilita la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a 20 anni. Riguardo alle altre fasi del giudizio, la definizione dei termini massimi intermedi è stata operata facendo riferimento alla pena concretamente irrogata in sede di condanna. Così, per quando riguarda la fase del giudizio di secondo grado, la custodia cautelare perde efficacia quando dalla pronuncia della sentenza di condanna di secondo grado (o dalla sopravvenuta esecuzione della custodia stessa), e senza che sia sta pronunciata sentenza di condanna in appello, è decorso il termine di: a. 9 mesi, se vi è stata condanna alla pena della reclusione non superiore a 3 anni; b. Un anno, se vi è stata condanna alla pena della reclusione non superiore a 10 anni; c. Un anno e 6 mesi se vi è stata condanna alla pena dell’ergastolo o della reclusione superiore a 10 anni. Nel caso di condanna per più reati, per individuare i termini di fase inerenti alla durata della custodia cautelare, bisogna poi far riferimento alla pena complessiva inflitta per tutti i reati per i quali è in corso la misura custodiale. La stessa disciplina si applica, inoltre, nelle fasi di giudizio successive alla pronuncia della sentenza di condanna in appello, e finché la condanna non sia diventata irrevocabile. Tuttavia, quando vi sia già stata condanna anche in primo grado (per lo stesso fatto storico), ovvero quando l’impugnazione sia stata proposta solo dal PM, non bisogna più far riferimento ai termini intermedi di fase, ma bisogna applicare i termini di durata complessiva della custodia. Nel caso di regresso del procedimento ad una diversa fase, o di rinvio dinanzi ad un diverso giudice, a partire dalla data del correlativo provvedimento (ovvero dalla sopravvenuta esecuzione della custodia), riprendono a decorrere ex novo i termini stabiliti con riguardo a 22. I TERMINI DI DURATA MASSIMA DELLE MISURE CAUTELARI NON CUSTODIALI Le misure coercitive diverse dalla custodia cautelare perdono efficacia a seguito del decorso di un periodo di tempo pari al doppio dei termini previsti in rapporto alla custodia. Al contrario, per quanto riguarda le misure interdittive, è fissato un termine di 2 mesi, scaduto il quale si prevede che le stesse perdano efficacia, con l’unica eccezione della possibilità di rinnovazione delle misure disposte per esigenze probatorie entro i limiti temporali definiti per le misure coercitive diverse dalla custodia. Tuttavia, la sopravvenuta estinzione delle misure interdittive non può pregiudicare l’esercizio dei poteri attribuiti al giudice penale o ad altre autorità in materia di pene accessorie, ovvero di misure interdittive di diversa natura.IL PROCEDIMENTO DI RIESAME DEI PROVVEDIMENTI COERCITIVI DINANZI AL TRIBUNALE Il riesame del merito è un mezzo di impugnazione utilizzabile esclusivamente contro le ordinanze che hanno disposto una misura coercitiva, salvo si tratti di ordinanze emesse dietro appello proposto dal PM. Titolare del diritto al riesame è soltanto l’imputato o il suo difensore, salva la previsione per l’uno e per l’altro di un diverso regime di decorrenza del termine di 10 gg. fissato per la proposizione della relativa richiesta. Tuttavia, dal computo di tale termine, devono escludersi i giorni per i quali sia stato disposto il differimento del colloquio tra il difensore e l’imputato detenuto. Competente a decidere sul riesame è il tribunale in composizione collegiale del capoluogo del distretto di corte d’appello in cui ha sede l’ufficio del giudice che ha emesso l’ordinanza impugnata . Una volta presentata la richiesta alla cancelleria del tribunale, a seguito dell’immediato avviso proveniente dal presidente del tribunale, l’autorità giudiziaria procedente deve trasmettere al medesimo tribunale gli atti correlativi entro il giorno successivo a quello dell’avviso, e comunque non oltre il quinto giorno. Quest’ultimo termine deve considerarsi decorrente dal giorno stesso della presentazione della richiesta di riesame. Gli atti da trasmettere sono, anzitutto, quelli già presentati dal PM al giudice in vista dell’adozione del provvedimento, oltre a tutti gli elementi sopravvenuti a favore della persona sottoposta alle indagini. La richiesta di riesame può recare anche l’enunciazione dei motivi, e al proponente è riconosciuta la possibilità di enunciare nuovi motivi dinanzi al tribunale purché ne venga dato atto a verbale prima dell’inizio della discussione. Il tribunale emette la sua decisione entro 10 gg. dalla ricezione degli atti, e, in ogni caso, il procedimento di riesame dovrebbe sempre concludersi, al più tardi, entro 15 gg. dal giorno in cui la richiesta è pervenuta alla cancelleria del tribunale. Il tribunale provvede in camera di consiglio, salva una necessaria abbreviazione (da 10 a 3 gg. prima della data dell’udienza) del termine stabilito per il corrispondente avviso al PM presso lo stesso tribunale, all’imputato e al suo difensore, ai fini della loro eventuale comparizione. In ogni caso, in vista dell’esercizio del contradditorio, fino al giorno dell’udienza gli atti trasmessi al tribunale devono rimanere depositati in cancelleria, con facoltà per il difensore di esaminarli e di estrarne copia. I destinatari dell’avviso hanno il diritto di essere sentiti, se compaiono in udienza; tuttavia, per l’imputato detenuto o internato in un luogo posto fuori della circoscrizione del tribunale si stabilisce che, prima dell’udienza, lo stesso deve essere sentito, dietro sua richiesta, dal magistrato di sorveglianza del luogo, salvo il caso in cui per talune necessità risulti necessaria la sua traduzione anche d’ufficio. L’inosservanza del termine di 10 gg. fissato per la decisione comporta l’immediata caducazione della misura coercitiva disposta con l’ordinanza assoggettata a riesame. A tale ipotesi di caducazione si affianca quella che si concreta quando la trasmissione al tribunale, da parte dell’autorità giudiziaria procedente, degli atti non avviene nei termini prescritti. Il tribunale, in sede di decisione, potrà dichiarare inammissibile la richiesta, annullare, riformare o confermare l’ordinanza, ovvero revocarla. Inoltre l’ordinanza potrà essere annullata o riformata in senso favorevole all’imputato anche per motivi diversi da quelli enunciati nella richiesta, o successivamente ad essa; oppure, potrà essere confermata anche sulla base di ragioni diverse da quelle indicate nella sua motivazione. 23. LA DISCIPLINA DELL’APPELLO E DEL RICORSO PER CASSAZIONE IN MATERIA DI MISURE CAUTELARI PERSONALI L’appello è utilizzabile solo contro le ordinanze in materia di misure cautelari personali diverse da quelle assoggettabili a riesame, e può essere utilizzato dall’imputato, dal suo difensore e dal PM. Per quanto attiene alla proposizione dell’appello, viene richiamata la disciplina del riesame, salva la necessità della contestuale enunciazione dei motivi. La competenza spetta al tribunale del capoluogo del distretto in cui risiede il giudice che ha emesso l’ordinanza appellata, il quale decide con rito camerale entro 20 gg. dalla ricezione dell’ordinanza, nonché degli atti su cui la medesima si sia fondata. Ordinanza ed atti devono essere trasmessi al tribunale, da parte dell’autorità procedente, entro il giorno successivo all’avviso concernente la proposizione dell’appello, e devono rimanere depositati in cancelleria fino al giorno dell’udienza, con facoltà per il difensore di esaminarli e di estrarne copia. Per il resto viene seguita la disciplina generale dell’appello, dal che ne deriva anzitutto che il tribunale vedrà circoscritta la sua cognizione solo ai punti dell’ordinanza appellata cui si riferiscano i motivi tempestivamente proposti. Quando poi il tribunale, accogliendo l’appello del PM, dispone una misura cautelare a carico dell’imputato, l’esecuzione di tale decisione rimane sospesa, finché la medesima non diventa definitiva. Il ricorso per cassazione contro le ordinanze del tribunale a seguito di riesame o di appello, è proponibile dall’imputato, dal suo difensore e dal Pm entro 10 gg. dalla notificazione o, rispettivamente, dalla comunicazione dell’avviso di deposito del provvedimento. Tuttavia, l’imputato ed il suo difensore possono ricorrere in cassazione per violazione di legge “direttamente” contro le ordinanze applicative di una misura coercitiva, prescindendo dalla previa richiesta di riesame, entro i termini sanciti per quest’ultimo; ciò comporta l’inammissibilità del riesame, quantunque eventualmente già richiesto. Il ricorso deve essere presentato presso la cancelleria del giudice a quo, e l’autorità procedente deve trasmettere alla corte, entro il giorno successivo all’immediato avviso, gli atti su cui è fondata l’ordinanza impugnata. La corte decide in camera di consiglio entro 30 gg. dalla ricezione degli atti. Infine, i motivi devono essere enunciati contestualmente al ricorso, e il ricorrente ha la possibilità di enunciare nuovi motivi dinanzi alla corte prima dell’inizio della discussione. 24. L’APPLICAZIONE PROVVISORIA DI MISURE DI SICUREZZA Per quanto riguarda le condizioni di applicabilità provvisoria delle misure consistenti nel ricovero in riformatorio, ovvero in un ospedale psichiatrico giudiziario, ovvero in una casa di curo o di custodia, esse possono essere disposte dal giudice procedente, in qualunque stato e grado del procedimento, e sempre su richiesta del PM, sulla base di gravi indizi di commissione del fatto in capo all’imputato e in assenza di una delle cause di non punibilità o di estinzione. Inoltre, si richiede che il giudice accerti in concreto anche la pericolosità sociale del soggetto contro cui si sta procedendo. Tali soggetti sono, a parte il minorenne, l’infermo di mente, l’ubriaco abituale, ovvero la persona dedita all’uso di sostanze stupefacenti o in stato di cronica intossicazione da alcool o droghe. La pronuncia del provvedimento applicativo della misura deve essere, di regola, preceduta dall’interrogatorio dell’imputato; ove ciò non sia possibile, l’indiziato sottoposto provvisoriamente alla misura di sicurezza deve essere interrogato dal gip non oltre 5 gg. dall’inizio dell’esecuzione della stessa (a pena di caducazione), e al termine di tale interrogatorio il giudice, dopo aver valutato la sussistenza dei presupposti di fatto e di diritto della misura adottata, potrà anche disporne la revoca. Il giudice deve procedere anche d’ufficio, ovvero su richiesta di parte, ad un riesame periodico circa la pericolosità sociale dell’imputato, prescrivendogli nuovi accertamenti allo scadere del sesto mese dalla pronuncia dell’ordinanza (o anche prima), e ad ogni scadenza semestrale. Le ordinanze applicative di tali misure possono essere sottoposte a riesame su richiesta dell’imputato o del suo difensore, mentre le corrispondenze ordinanze di diniego possono essere appellate dal PM. 25. LA RIPARAZIONE PER INGIUSTA DETENZIONE La riparazione per ingiusta detenzione è prevista non solo nel caso dell’errore giudiziario, ma anche nel caso dell’ingiusta detenzione. L’art. 314 ha individuato 2 diverse fasce di ipotesi di detenzione. La prima fascia riguarda la situazione dell’imputato che, dopo aver subito un periodo di custodia cautelare, senza avervi dato causa per dolo o colpa grave, sia stato prosciolto con sentenza irrevocabile per non aver commesso il fatto, ovvero perché il fatto non sussiste, o non costituisce reato, o ancora perché il fatto non è previsto dalla legge come reato. Lo stesso vale per la persona nei cui confronti siano stati pronunciati, al termine delle indagini preliminari, una sentenza di non luogo a procedere, ovvero un provvedimento di archiviazione (come vale anche con riferimento al caso dell’imputato condannato, nella misura in cui la durata della custodia alla quale sia stato sottoposto abbia ecceduto l’entità della pena successivamente applicatagli in via definitiva). Si tratta di ipotesi nelle quali il rapporto tra la natura della decisione liberatoria adottata e la restrizione sofferta dall’imputato risulta sufficiente ad attestare l’”ingiustizia” di tale restrizione. Alla disciplina riparatoria si affianca, per coloro sottoposti a custodia carceraria o agli arresti domiciliari, il diritto di essere reintegrati nel posto di lavoro che occupavano prima dell’applicazione della misura. Le situazioni della seconda fascia sono definite, invece, con riguardo al caso dell’imputato già sottoposto a custodia cautelare nel corso del processo, con riferimento alle ipotesi in cui sia stato accertato con decisione irrevocabile che il relativo provvedimento era stato emesso, o mantenuto, senza che sussistessero le condizioni di applicabilità previste. Il diritto alla riparazione è escluso per quella parte della custodia cautelare che sia stata computata ai fini della determinazione della misura di una pena, ovvero per il periodo in cui le limitazioni siano state sofferte in forza di un altro titolo. La domanda di riparazione (per un ammontare non superiore comunque a € 500.000,00 circa) deve essere proposta, a pena di inammissibilità, entro 2 anni dal giorno in cui sono divenute irrevocabili le sentenze, ovvero è divenuta inoppugnabile la sentenza di non luogo a procedere, ovvero CAPITOLO 5 INDAGINI PRELIMINARI E UDIENZA PRELIMINARE 1. PREMESSA Le indagini preliminari sono l’attività di ricerca e raccolta di informazioni che il PM e la polizia giudiziaria, acquisita la notizia di reato, svolgono per consentire allo stesso PM di decidere se esercitare o meno l’azione penale. Se tali indagini fanno emergere elementi idonei per sostenere un’accusa in giudizio nei confronti della persona cui il reato è attribuito, al loro termine il PM formula l’imputazione ed esercita l’azione penale nei confronti dell’imputato chiedendo al giudice il rinvio al giudizio della corte d’assise o del tribunale (oppure promuovendo un giudizio speciale o emettendo il decreto di citazione diretta innanzi al tribunale in composizione monocratica). Se invece non emergono elementi idonei a sostenere un’accusa, il PM chiede al giudice l’archiviazione della notizia di reato e degli atti delle indagini preliminari. Il giudice, dopo il rinvio a giudizio, svolge l’udienza preliminare per valutare nel contraddittorio delle parti la fondatezza della richiesta. Se la ritiene fondata, dispone con decreto il rinvio dell’imputato al giudizio della corte d’assise o del tribunale; se la ritiene infondata, emette sentenza di non luogo a procedere. Si ricordi che le indagini preliminari sono collocate nel procedimento, e non nel processo, in quanto svolte prima dell’esercizio dell’azione penale; l’udienza preliminare è, invece, parte del processo, in quanto celebrata da un giudice dopo l’esercizio dell’azione penale. 2. IL PUBBLICO MINISTERO Nelle indagini preliminari e nell’udienza preliminare, le funzioni di PM sono esercitate: a. Nei procedimenti per i delitti, consumati o tentati, di schiavitù, rapimento a scopo d’estorsione, associazione a delinquere o di stampo mafioso e di terrorismo, dal procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto di corte d’appello in cui il giudice competente a conoscere di tali delitti ha sede; b. In ogni altro procedimento, dal procuratore della Repubblica presso il tribunale nel cui circondario il reato risulta commesso. Il procuratore esercita le funzioni di PM personalmente oppure designa un magistrato della procura ad esercitarle; può designare anche più magistrati per uno stesso procedimento quando il numero degli indagati o la complessità delle indagini lo richiedono. Inoltre, per i reati di cui sub a, il procuratore di regola designa magistrati addetti alla direzione distrettuale antimafia. Il magistrato investito delle indagini preliminari può svolgerle personalmente oppure valersi della polizia giudiziaria. Può compiere atti anche nel circondario di un altro tribunale oppure richiederne il compimento al procuratore della Repubblica presso quest’ultimo. Due procure della Repubblica possono anche entrare in contrasto perché entrambe ritengono di dover svolgere indagini nei confronti della stessa persona per il medesimo fatto (contrasto positivo), oppure perché entrambe si attribuiscono reciprocamente la legittimazione a procedere per un dato reato (contrasto negativo). Tali contrasti sono risolti dal procuratore generale presso la corte d’appello o, se le procure in contrasto rientrano in diversi distretti di corte d’appello, dal procuratore generale presso la corte di cassazione. Anche la persona sottoposta alle indagini che ha avuto notizia del procedimento, la persona offesa dal reato che ha avuto tale notizia ed i relativi difensori possono chiedere al PM procedente di trasmettere gli atti al PM presso il giudice che essi ritengono competente, depositando nella cancelleria della procura procedente una richiesta indicante tale giudice, nonché, a pena di inammissibilità, le ragioni della richiesta. Il PM investito della richiesta si pronuncia entro 10 gg. dalla presentazione della stessa. Ove esso non l’accolga, il richiedente, nei 10 gg. successivi, può chiedere la determinazione dell’ufficio competente al procuratore generale presso la corte d’appello o, se l’ufficio appartiene ad un altro distretto, al procuratore generale presso la corte di cassazione. Il procuratore generale, assunte le necessarie informazioni,entro 20 gg. dal deposito della richiesta pronuncia decreto motivato di cui dà notizia alle parti e agli uffici del PM interessati. Qualora la richiesta riguardi un reato di mafia, il procuratore generale presso la corte di cassazione, prima di pronunciare, sente il procuratore nazionale antimafia. A pena di inammissibilità, la richiesta può essere riproposta solo per fatti nuovi e diversi. Gli atti di indagine preliminare compiuti dal PM incompetente restano utilizzabili nei casi e modi stabiliti dalla legge. 3. IL GIP E IL GUP Nelle indagini preliminari e nell’udienza preliminare le funzioni di giudice sono esercitate: a. Nei procedimenti per i reati di terrorismo, sequestro a scopo di estorsione, mafia, associazione a delinquere e schiavitù, da un magistrato del tribunale del capoluogo del distretti di corte d’appello in cui il giudice competente per la fase del giudizio ha sede; b. In ogni altro procedimento, da un magistrato del tribunale nel cui circondario il reato risulta commesso. Di regola uno stesso magistrato svolge le funzioni di giudice nel corso delle indagini preliminari. Tale magistrato non può però tenere l’udienza preliminare nel medesimo procedimento, salvo che nel corso delle indagini preliminari egli si sia limitato ad adottare le autorizzazioni sanitarie, i provvedimenti relativi ai permessi di colloquio, alla corrispondenza telefonica e al visto di controllo sulla corrispondenza, nonché i provvedimenti relativi ai permessi, alla restituzione in termine o quello dichiarativo della latitanza. Tale incompatibilità serve ad evitare che il magistrato possa essere pregiudicato dalla valutazione degli indizi di colpevolezza a carico dello stesso soggetto da lui eventualmente operata nel corso delle indagini preliminari. Tanto il gip quanto il gup sono magistrati del tribunale ordinario, che abbiano svolto per almeno 2 anni le funzioni di giudice del dibattimento. I tribunali ordinari costituiti in sezioni devono comprendere una sezione dei giudici incaricati dei provvedimenti previsti dal cpp per la fase delle indagini preliminari e per l’udienza preliminare; ad essa possono essere addetti anche meno di 5 magistrati. Si sul dire la giurisdizione esercitata dal gip è: a. Una giurisdizione senza azione, perché nel corso di tali indagini e, nel caso di archiviazione, anche dopo la loro conclusione, viene esercitata senza che il PM abbia esercitato l’azione penale; b. Una giurisdizione semipiena, in quanto il gip non svolge un procedimento e non dispone di autonomi poteri di acquisizione probatoria, ma si limita a pronunciare nei casi previsti dalla legge, sulle richieste del PM, delle parti private e della persona offesa dal reato; c. Una giurisdizione di garanzia, in quanto a richiesta dei soggetti appena elencati il giudice pronuncia nel corso delle indagini preliminari a tutela dei diritti dell’indagato e della persona offesa dal reato nei confronti delle iniziative del PM, e dopo la conclusione delle indagini preliminari, in caso di richiesta di archiviazione, a garanzia del rispetto del principio di obbligatorietà dell’azione penale. Infine, tale giudice viene anche definito giudice senza fascicolo in quanto, non svolgendo indagini, non dispone di un fascicolo nel quale la documentazione di questa viene raccolta. Il gup, invece, esercita la giurisdizione dopo essere stato sollecitato dal PM con l’esercizio dell’azione penale; inoltre, svolge un proprio procedimento e dispone di un fascicolo, trasmessogli dal PM al momento della presentazione della richiesta di rinvio a giudizio. 4. I SOGGETTI PRIVATI Anche alcuni soggetti privati sono interessati alle indagini ed all’udienza preliminare: a. La persona sottoposta alle indagini preliminari (cfr. pag. 13, cap. 1 par. 21); b. L’imputato (cfr. pag 13, cap. 1 par. 21); c. La persona offesa dal reato (cfr. pag. 18, cap. 1 par. 30--‐31) e il danneggiato civilmente dal reato; d. L’ente o associazione rappresentativi dell’interesse leso dal reato (cfr. pag. 18, cap. 1 par. 32); e. La parte civile (cfr. pag. 16, cap. 1 par. 26); f. Il responsabile civile (cfr. pag. 17, cap. 1 par. 28); g. Il civilmente obbligato per la pena pecuniaria (cfr. pag. 18, cap. 1 par. 29). 5. LA NOTIZIA DI REATO La notizia di reato è l’informazione che un reato sarebbe stato commesso da una o più persone non identificate (notizia generica) o identificate (notizia specifica). L’art. 330 stabilisce che il PM e la polizia giudiziaria prendono notizia dei reati di propria iniziativa e ricevono le notizie di reato presentate o trasmesse a norma degli artt. seguenti. Correntemente vengono chiamati notizia di reato anche gli atti mediante i quali il PM e la polizia giudiziaria acquisiscono l’informazione che un reato sarebbe stato commesso; tali notizie si distinguono in nominate o tipiche o qualificate, cioè disciplinate dalla legge, e innominate o atipiche o non qualificate, cioè non disciplinate dalla legge. La notizia di reato costituisce un presupposto del procedimento penale, ma non fa parte di questo, dal momento che il procedimento inizia col primo atto d’indagine preliminare compiuto dal PM o dalla polizia giudiziaria dopo l’acquisizione della notizia. Per tale ragione: a. La notizia e le suddette condizioni di procedibilità sono efficaci anche se redatte in altra lingua; b. I termini eventualmente stabiliti dalla legge per la presentazione della notizia di reato o delle condizioni di procedibilità non sono termini processuali e quindi non sono suscettibili della restituzione né della sospensione feriale. 6. LA NOTIZIA NOMINATA Vi sono due notizie nominate di reato: la denuncia e il referto. La denuncia è la dichiarazione con cui una qualsiasi persona fisica non esercente una professione sanitaria, porta la commissione di un reato perseguibile d’ufficio a conoscenza del PM o della polizia. I pubblici ufficiali e gli incaricati di pubblico servizio hanno l’obbligo penalmente sanzionato di denunciare i reati non perseguibili a querela di cui abbiano avuto notizia nell’esercizio o causa delle loro risonanza data al reato stesso dal processo (strepitus fori). La querela è presentata dalla persona offesa dal reato o dall’altro soggetto legittimato, personalmente o tramite procuratore speciale, oralmente o per iscritto, al PM, ad un ufficiale di polizia o ad un agente consolare all’estero. L’autorità che riceve la querela attesta la data e il luogo della ricezione, identifica la persona che la presenta (e che deve sottoscrivere il verbale di ricezione, se presentata oralmente), e trasmette il tutto al PM. Il curatore speciale per la querela, previsto per il minore di 14 anni o per l’infermo di mente, è nominato, su richiesta de PM o di un ente avente per scopo l’assistenza dei minori, con decreto motivato dal gip del luogo in cui l’offeso si trova o, se l’esigenza sorge dopo la presentazione della querela, dal giudice che procede. Se il curatore speciale è nominato ai fini della presentazione della querela, il termine per tale scopo decorre per lui dalla notifica del decreto di nomina. Infine, può costituirsi parte civile nell’interesse dell’offeso. La rinuncia espressa a proporre la querela può essere fatta personalmente o a mezzo di procuratore speciale con dichiarazione scritta rilasciata all’interessato o ad un suo rappresentante, oppure con dichiarazione orale verbalizzata da un ufficiale di polizia o da un notaio e sottoscritta dal dichiarante. La remissione della querela è fatta ed accettata nelle forme stabilite per la rinuncia espressa, con dichiarazione resa all’autorità giudiziaria che procede o ad un ufficiale di polizia, il quale la trasmette a tale autorità. Le spese del procedimento sono a carico del querelato, salva diversa statuizione nell’atto di remissione. 11. L’ISTANZA E LA RICHIESTA L’istanza di procedimento è la dichiarazione facoltativa con la quale la persona offesa da un reato commesso all’estero, per il quale è stabilita una pena restrittiva della libertà personale di minore durata rispetto a quanto previsto in Italia, oppure da un reato comune dello straniero all’estero purché si trovi in Italia, chiede al PM di procedere per il reato stesso. La legge richiede tale condizione di procedibilità affinché il costo della celebrazione in Italia di un processo per un reato commesso all’estero sia sopportato solo se lo richiede l’offeso. L’istanza si propone nelle forme della querela. La richiesta di procedimento è la dichiarazione discrezionale con cui un organo pubblico estraneo all’organizzazione giudiziaria manifesta la volontà che il PM proceda per un determinato reato. Il potere di richiesta è conferito al Ministro di giustizia quanto: a. Ai reati commessi all’estero; b. Ai reati perseguibili a querela commessi in danno del Presidente della Repubblica; c. Ai delitti di offesa alla libertà e all’onore di capi e rappresentanti di Stati esteri e di offesa alla bandiera o agli emblemi di tali Stati. La richiesta di procedimento è sottoscritta dall’autorità competente a formularla e presentata al PM. 12. L’AUTORIZZAZIONE A PROCEDERE L’autorizzazione a procedere è la dichiarazione discrezionale con cui un organo pubblico estraneo all’organizzazione giudiziaria, a richiesta del PM, consente che nei confronti di una data persona, o in rapporto ad un determinato reato, l’autorità giudiziaria proceda penalmente oppure compia taluni atti limitativi della libertà. Il potere autorizzativo è conferito: a. Al Parlamento per sottoporre un suo membro a perquisizione personale o domiciliare, ad arresto, ad altra limitazione della libertà personale o a mantenimento in detenzione, salvo che il parlamentare sia colto in flagranza di reato o si debba eseguire nei suoi confronti una sentenza irrevocabile di condanna, nonché ad intercettazione di comunicazione o sequestro di corrispondenza; b. Alla Camera o al Senato per sottoporre il presidente del Consiglio o un Ministro, anche cessati dalla carica, a procedimento penale per un reato ministeriale o per sottoporre i medesimi alle stesse misure sub a; c. Alla Corte costituzionale per sottoporre un giudice ordinario o aggregato di essa a procedimento penale, nonché nel caso in cui il medesimo debba essere sottoposto agli atti sub a; d. Al Parlamento europeo per sottoporre un componente italiano di esso agli atti elencati sub a; e. Al Ministro della giustizia per procedere per i delitti contro la personalità dello Stato; f. Alle assemblee legislative per procedere per il reato di vilipendio delle stesse. L’autorizzazione a procedere è richiesta dalle norme costituzionali o ordinarie: a. Nel procedimento per reati ministeriali, affinché la camera competente possa escludere il procedimento quando ritenga che l’inquisito abbia agito nell’interesse dello Stato, ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di Governo; b. Nei procedimenti per i reati di vilipendio, per consentire al Ministro di giustizia o all’assemblea offesa di valutare se dare spazio allo strepitus fori; c. In ogni altro caso, perché, a garanzia della libertà di taluni organi pubblici o dei loro componenti, si vuole riservare all’organo stesso di valutare se il procedimento penale ha un’apparenza di fondamento. L’autorizzazione è richiesta dal PM all’organo legittimato a concederla e deve indicare il fatto per il quale si intende procedere, le norme di legge che si ritengono violate e gli elementi sui quali la richiesta si fonda. Essa è presentata: a. Se vi è stato arresto in flagranza, immediatamente dopo questo e comunque prima dell’udienza di convalida dell’arresto; b. Negli altri casi prima che il PM presenti richiesta di rinvio a giudizio o proceda con uno dei procedimenti speciali, e comunque entro 30 gg. dall’iscrizione del nome della persona nel registro delle notizie di reato; c. Se la necessità dell’autorizzazione insorge dopo l’esercizio dell’azione penale, subito dopo che il giudice ha disposto la sospensione del processo per carenza di tale condizione. In pendenza della sospensione il giudice, se vi è pericolo nel ritardo, assume le prove richieste dalle parti. Se si procede contro più persone e l’autorizzazione, necessario solo per alcune di loro, tarda ad essere concessa, si può procedere separatamente nei confronti dei soggetti per i quali l’autorizzazione non è necessaria. In difetto di una condizione di procedibilità che può ancora sopravvenire, si possono compiere gli atti di indagine preliminare necessari ad assicurare le forme di prove e, se vi è pericolo nel ritardo, possono essere assunte con incidente probatorio la testimonianza, l’esame della persona sottoposta alle indagini o imputato in un procedimento connesso , il confronto, la perizia e la ricognizione. Se l’autorizzazione a procedere è stata richiesta, ma non ancora concessa, il PM e la polizia possono compiere qualsiasi atto di indagine preliminare eccettuata una sere di atti, e possono anche compiere l’interrogatorio, ma solo se la persona per la quale è prescritta l’autorizzazione lo richiede. L’autorizzazione, una volta concessa, non può essere revocata. 13. IL REGISTRO DELLE NOTIZIE DI REATO Le notizie di reato devono essere iscritte in un registro tenuto dalla procura della Repubblica. Ai fini delle iscrizione la segreteria annota sugli atti che possono contenere la notizia di reato il giorno e l’ora in cui gli stessi sono pervenuti all’ufficio e li sottopone immediatamente al procuratore della Repubblica. Sa la notizia iscritta è generica, nel registro si iscrivono in seguito il nome o i nomi delle persone a cui è attribuito il reato. Si iscrivono anche, come aggiornamento di una iscrizione già effettuata, il diverso nomen juris che successivamente viene attribuito al fatto e le circostanze del reato ravvisate in seguito. L’iscrizione deve avvenire nello stesso giorno in cui la notizia di reato perviene alla procura. Essa comporta: a. Se la notizia è generica, la decorrenza del termine di 6 mesi entro il quale il PM deve chiedere al gip l’archiviazione oppure l’autorizzazione a proseguire le indagini contro ignori, nonché la decorrenza del termine di 90 gg. entro il quale il PM deve presentare al suddetto giudice la richiesta di giudizio immediato; b. Se la notizia è specifica o diviene specifica, la decorrenza dei termini entro i quali il PM deve chiedere l’autorizzazione a procedere se necessaria, nonché concludere le indagini preliminari chiedendo al giudice l’archiviazione, o il rinvio a giudizio, o il decreto di condanna, oppure presentando la richiesta di giudizio direttissimo nei confronti dell’imputato che nell’interrogatorio ha reso confessione. Il termine fissato per l’iscrizione della notizia di reato tuttavia ha carattere meramente ordinatorio, per cui la sua inosservanza non pregiudica la validità degli atti d’indagine preliminarmente compiuti. I registri tenuti dalle procure della Repubblica sono 4: a. Il registro delle notizie di reato a carico di persone ignote, nel quale vengono iscritte le notizie generiche di reato; b. Il registro delle notizie di reato a carico di persone note, nel quale il PM iscrive le notizie che fin dall’origine sono specifiche o che lo divengono; c. Il registro delle notizie anonime di reato; d. Il registro degli atti non costituenti notizia di reato, nel quale il PM registra gli atti che non gli impongono lo svolgimento di indagini preliminari né la richiesta di archiviazione. 14. L’ISPEZIONE DEL REGISTRO Le indagini preliminari sono segrete per evitare che chiunque, conoscendo la loro esistenza, possa ostacolare l’accertamento dei fatti. Per tale motivo il registro delle notizie di reato è segreto, nel senso che non può essere ispezionato da persone diverse da coloro che vi sono addetti e costoro non possono rivelare il suo contenuto a terzi estranei al procedimento. Tuttavia, a garanzia dei diritti d’azione e di difesa della persona offesa dal reato e di quella sottoposta alle indagini, queste due persone ed i loro difensori possono chiedere al PM di comunicare se risulta iscritta una notizia di reato nel registro, il nome della persona alla quale il reato è attribuito e gli eventuali aggiornamenti del’iscrizione. A seguito di tale richiesta, le notizie devono essere fornite salvo abbiano ad oggetto delitti di terrorismo, associazione mafiosa, strage, ecc.. Il PM può disporre con decreto motivato, per esigenze di tutela delle indagini, il segreto sulle iscrizioni per un periodo non superiore a 3 mesi e non rinnovabile. Ove la richiesta di informazioni riguardi una
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