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Contenuto delle slide completo, Slide di Psicopatologia

Contenuto delle slide della parte di pragmatica della comunicazione

Tipologia: Slide

2022/2023

Caricato il 27/02/2024

giulia-bartolucci-5
giulia-bartolucci-5 🇮🇹

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Scarica Contenuto delle slide completo e più Slide in PDF di Psicopatologia solo su Docsity! LA COMUNICAZIONE PATOLOGICA Comunicare = (da communis, comune) rendere comune, far parte ad altri di ciò che è proprio Per “Comunicazione Patologica” si intende ogni forma comunicativa inefficace o che provoca una rottura al livello di relazione • TRAINING ASSERTIVO L’individuo può manifestare tre stili comunicativi: >STILE PASSIVO >STILE AGGRESSIVO >STILE ASSERTIVO • COLLOQUIO CLINICO > Il colloquio è il metodo principe per perseguire gli obiettivi della Psicologia clinica > Colloquio (Cum+loqui) significa letteralmente “parlare insieme”. > Clinico (da Κλινική) significa “che cura il malato a letto” e quindi “che studia il malato e la possibile cura”. È lo strumento principe che consente di esplorare la vita interiore del paziente ed è uno strumento insostituibile in tutte le fasi della terapia. La Terapia Psicologica è costituita da varie FASI che possiamo così suddividere: accoglienza, conoscenza, consapevolezza e intervento terapeutico. In ciascuna di queste fasi il COLLOQUIO è lo strumento principale per il raggiungimento di obiettivi diversi che caratterizzano la terapia. • RELAZIONE TERAPEUTICA La relazione terapeutica in campo psicologico è caratterizzata dallo strutturarsi di un rapporto interpersonale in cui si assiste ad un flusso continuo e reciproco di comunicazioni (di tipo verbale e non-verbale) che costituisce l’essenza della terapia, ovverosia il colloquio clinico. I PRINCIPI DELLA COMUNICAZIONE • DEFINIZIONE= (da communis, comune) Mettere in comune, rendere partecipe, trasferire, condividere: - Informazioni - Stati d’animo - Sentimenti - Sensazioni - Bisogni - Conoscenze - Esperienze - Pensieri ...ciò che si mette in comune con l’altro sono le cose che si trovano dentro alla nostra testa. Comunicare è molto più del semplice parlare! • GLI ELEMENTI DI BASE Ogni messaggio che viene inoltrato ha almeno un EMITTENTE (E) e un RICEVENTE (R). ma il messaggio che parte non è mai quello che giunge a destinazione; ogni messaggio ha un grado di distorsione naturale, dovuto a una serie di fattori. • I FATTORI DI DISTORSIONE A - SCHEMI MENTALI DELL’EMITTENTE: Quando E decide di comunicare qualcosa, è costretto a verbalizzare ciò che vuole dire (Codificare). Questo lavoro però è influenzato dal contenuto stesso del nostro apparato psichico. Gli elementi che potrebbero distorcere in partenza il messaggio sono: - Dare per scontato che l’altro condivida il mio bagaglio informativo: dire di aver visto un albero non è una efficace comunicazione, in quanto ognuno ha in mente un suo prototipo di albero e quindi R può immaginare un pino mentre E ha visto un cipresso. - Non contestualizzare il messaggio: dando per scontato che R ha l’attenzione focalizzata sull’argomento - Sorvolare su alcuni dettagli importanti: se E sta parlando di una sua teoria potrebbe dimenticarsi alcune informazioni che in passato gli sono servite per giungere alla sua idea. Se R non ha queste informazioni non potrebbe capire il messaggio inviatogli. - Utilizzare una Comunicazione non Verbale non adeguata: se E, dopo un litigio con la moglie, usa un tono minaccioso per offrire una caramella a suo figlio, questi, R, potrebbe comprendere l’esatto contrario dell’intenzione del comunicante. B - SCHEMI MENTALI DEL RICEVENTE: Ogni volta che ci mettiamo in ascolto, il nostro cervello filtra le informazioni in entrata, le scompone e poi le ricompone. È chiaro allora come il lavoro di Decodifica possa presentare qualche errore. Gli elementi che potrebbero distorcere il messaggio in arrivo sono: - Interpretare ciò che l’altro dice: se il messaggio di E presenta qualche ambiguità, R può attribuire significati che sono espressione del proprio mondo. - Riempire i buchi informativi: lo stesso accade quando nella comunicazione di E ci sono dei vuoti informativi; allora R può colmare questi vuoti con elementi provenienti dalla propria memoria - Accettare acriticamente il primo significato che percepiamo: a volte ci vuole un lavoro di decodifica più articolato; se R non ha tempo o interesse, potrebbe pensare di aver capito quando invece non è così. È ciò che capita quando qualcuno ci parla mentre siamo impegnati in un’altra conversazione: ci ritroviamo ad aver annuito in risposta a un messaggio che nemmeno ci ricordiamo. ASCOLTO ATTIVO Uno degli aspetti della comunicazione che incide di più nel renderla efficace. 1°. Silenzio. Lascia tempo all'altro per dire ciò che vuole mentre tu raccogli informazioni utili. Restando in silenzio gli dai attenzione e lo fai sentire ascoltato. 2°. Dare dei segnali di interesse all'altro, che lo facciano continuare. Puoi fargli capire che lo ascolti e che sei interessato sia con delle parole che con dei messaggi non verbali. 3°. Ascolta invitando ad approfondire alcuni aspetti che ti interessano. 4°. Quando pensi di aver capito il punto di vista dell'altro inizia a riflettere e a riassumere. E' il modo in cui appuri di aver compreso veramente. Inoltre darai all'altro la possibilità di correggerti. q Essere disponibili q Essere presenti e solleciti positivamente q Essere curiosi q Manifestare interesse q Non interrompere q Non distrarsi q Capire cosa vuole comunicare l’interlocutore q Capire a quale scopo lo sta comunicando q Sospendere i giudizi di valore q Mettersi nei panni dell’altro L’ASCOLTO ATTIVO O EMPATICO v Ci si mette nei panni dell’altro v Si entra nella sua ottica v Si cerca di capire la sua mappa mentale v Ci si sforza di condividere le sensazioni che manifesta TECNICHE VERBALI PER FAVORIRE L’ASCOLTO q Parafrasare i contenuti q Esplicitare le implicazioni del messaggio ricevuto q Interpretare gli stati d’animo dell’interlocutore q Stimolare ulteriori chiarimenti q Rassicurare TECNICHE NON VERBALI PER FAVORIRE L’ASCOLTO q Guardare con attenzione q Prendere nota mantenendo il contatto visivo q Esprimere sentimenti in modo empatico q Assentire q Silenzio COME FAVORIRE L’ASCOLTO ATTIVO 10 regole: 1. Lasciar parlare l’altro 2. Mostrare all’interlocutore che è libero di esprimersi 3. Resistere alle distrazioni (evitare di fare o di pensare ad altro) 4. Osservare il linguaggio non verbale dell’interlocutore 5. Cercare di capire la posizione dell’altro 6. Essere pazienti 7. Restare calmi 8. Evitare critiche 9. Inviare feedback facendo domande e osservazioni 10. Guardare negli occhi, ascoltare gli sguardi e quindi: prestare attenzione alla persona, ₺ ₺ SEMPRE IL TRAINING ASSERTIVO q “TRASFERIMENTO DI INFORMAZIONI” da un soggetto ad un altro mediante processi bilaterali di trasmissione, ricezione, interpretazione. (comunicazione come scambio) q “RELAZIONE SOCIALE” (comunicazione come interazione) Più o meno stabile Più o meno profonda q L’assertività è un tema che riguarda le relazioni interpersonali. Il termine “assertività” indica la capacità di un individuo di conoscere le proprie esigenze e di esprimerle nel proprio ambiente. - L’assertività è un tema che riguarda le relazioni interpersonali. - Assertività, aggressività e passività sono i tre macro-stili. - Aggressività e passività quando prevalenti presentano dei limiti piuttosto impattanti a livello relazionale e necessitano di un vero e proprio training assertivo che nell’ambito di una psicoterapia di tipo cognitivo-comportamentale ad es. si colloca a valle, nel senso che il cambiamento a valle porta un feedback a monte come vedremo nella lezione sull’assertività e anche dopo con l’analisi funzionale. L’individuo può manifestare tre stili comunicativi: > STILE PASSIVO > STILE AGGRESSIVO > STILE ASSERTIVO - Aggressivo: Io+ Tu- Emozione rabbia prevalente, comportamento di prevaricazione - Passivo: Io- Tu+ Emozione senso di colpa e paura delle ritorsioni o di perdere la relazione, comportamento cedere ad ogni richiesta dell’altro. - Assertivo: IO+/- e Tu +/- > Emozione senso di parità. Lettura di me e rispetto dei diritti fondamentali COMUNICAZIONE VERBALE - ASSERTIVA Ø Personalizzata, esplicita, coerente ed in linea con scelte, valori e obiettivi personali; Ø Lascia spazio all’interlocutore, uso di strutture ipotetiche; Ø Assenza di rigidità e dogmatismi. - PASSIVA Ø Tendenza alla spersonalizzazione del linguaggio; Ø Linguaggio indiretto e poco chiaro; Ø Incertezza del contenuto; Ø Mancanza di riferimenti a sé. - AGGRESSIVA Ø Assonanza con i propri obiettivi e scopi ma in un contesto di assolutismo e rigidità; Ø Nega lo spazio all’interlocutore; Ø Uso di espressioni e verbi perentori. COMUNICAZIONE NON VERBALE - ASSERTIVA Sguardo: costante e prolungato, simmetrico Gestualità: varia, appropriata al contenuto verbale,può rinforzare o sostituire l’espressione verbale con notevole efficacia nel messaggio Posizione del corpo: dinamica, espressiva, appropriata alle varie situazioni, tendenza a mettere in asse tutte le parti del corpo Voce: timbro modulato a seconda della situazione, medio-alta, fluida nell’esposizione, sicura, chiara, aperta e piena Mimica facciale: ricca ed espressiva, adeguata al significato degli stati d’animo e in correlazione con il significato verbale - PASSIVA Sguardo: sfuggente, tendenzialmente verso il basso, non lo sostiene Gestualità: limitata nella quantità, ripetitva, monotona, non correlata al significato della comunicazione verbale, incerta, esecuzione superficiale, rapida e inadeguata Posizione del corpo: tendenzialmente curva, atteggiamento inespressivo Voce: timbro basso, altezza bassa, tremante Mimica facciale: povera, goffa, stereotipata, inespressiva, rigida, poco espansiva, inadeguata al significato del contenuto - AGGRESSIVA Sguardo: insistente, invadente e inadeguato, tendenzialmente dall’alto in basso Gestualità: copiosa e plateale, invadente dello spazio altrui, scarsa scioltezza Posizione del corpo: statica nell’atteggiamento di prevaricazione, allargamento o divaricazione delle gambe POSSIAMO CONSIDERARCI AGGRESSIVI SE: > vogliamo che gli altri si comportino come fa piacere a noi; > non modifichiamo la nostra opinione su qualcuno o su qualche cosa; > decidiamo per gli altri senza ascoltare il parere dei diretti interessati; > non accettiamo di poter sbagliare; > non chiediamo “scusa” per un nostro eventuale errato comportamento; > non ascoltiamo gli altri mentre parlano; > interrompiamo frequentemente il nostro interlocutore; > giudichiamo gli altri e li critichiamo; > usiamo “strategie colpevolizzanti o inferiorizzanti”; > ci consideriamo i “migliori > Se riteniamo di avere tutte queste caratteristiche, beh, siamo realmente delle persone non molto amate! Ma anche non essere amati non ci importa, in quanto sono gli altri che sbagliano! Il comportamento aggressivo è quel tipo di comportamento interpersonale attraverso il quale una persona viola e calpesta i diritti di una altra persona. Lo scopo dell’aggressivo è di dominare, umiliare, o "sottomettere l'altra persona" piuttosto che esprimere semplicemente le proprie oneste emozioni e pensieri. IL COMPORTAMENTO MANIPOLATORIO IL MECCANISMO DEL COMPORTAMENTO PASSIVO IL MECCANISMO DEL COMPORTAMENTO AGGRESSIVO 1. Tendenza a portare una persona sulle proprie posizioni, a comportarsi e ad agire come vogliamo noi, per ottenere compiacenza 2. Disinteresse per gli altri tipi di soluzione comportamentali da quella che si vuole ottenere in partenza Tendenza a portare una persona sulle proprie posizioni, a comportarsi e ad agire come vogliamo noi, per ottenere compiacenza Disinteresse per gli altri tipi di soluzione comportamentali da quella che si vuole ottenere in partenza • Esempio: La tua partner si scarica spesso di alcune responsabilità per farti fare ciò che vuole (manipolandoti). Usando frasi come. “Sei un tesoro…se non ci fossi tu, io non potrei tirare avanti…Dio alla fine ti premierà perché sei una persona fantastica…ecc.”. QUESTO È UNO STILE MANIPOLATIVO/AGGRESSIVO, NON CERTO ASSERTIVO!! Assertivamente, la tua compagna si dovrebbe prendere le sue responsabilità. Lei potrebbe dirti: “Capisco che il mio comportamento ti infastidisca quando ti costringo a fare, ma è esattamente quello che voglio da te”. Quindi lei ti sta insegnando quello che vuole che tu faccia, semplicemente perché LEI VUOLE COSI’. Tu, in questo modo, non cadi nel tranello di diventare ansioso, arrabbiato o sentirti colpevole. Non sussiste la polarizzazione buono/cattivo. Non devi piacere obbligatoriamente alla tua compagna, affannandoti in sua vece a sollevarla da molti compiti e sostituendoti a lei. • Siamo educati fin dalla nascita ad essere ricettivi alle manipolazioni attraverso il senso di colpa, l'inadeguatezza, e le emozioni di ansia. Fondamentalmente, ogni bambino cerca approvazione. CRITICHE COSTRUTTIVE: La critica è sempre al comportamento e mai alla persona. E' rivolta al comportamento, E' precisa Mira a migliorare la prestazione, Mantiene aperto il dialogo, Non offende l'altra persona Gli altri non sanno cosa ci aspettiamo da loro. Se quindi vogliamo un cambiamento nel comportamento di una persona, dobbiamo dirlo in maniera esplicita. CRITICHE AGGRESSIVE O MANIPOLATIVE: Esercitare una sorta di controllo emotivo e comportamentale E' rivolta alla persona, E' imprecisa o generalizza, Punta a colpevolizzare l'altro, Tende a chiudere il dialogo, Genera rabbia, ansia e senso di colpa IL COMPORTAMENTO ASSERTIVO La persona assertiva tende ad esprimere con tranquillità, obiettività e determinazione il proprio punto di vista, ad esprimere ciò che desidera, ciò che sa e cosa si sente senza suscitare l’ostilità dell’ambiente. ASSERERE = affermare con cognizione di causa ’’assicurare’’ > Il comportamento assertivo è quel tipo di stile interpersonale per mezzo del quale una persona manifesta e difende i propri diritti legittimi in modo che i diritti dell’altro non vengano violati. > Il comportamento assertivo è diretto, onesto, ed esprime adeguatamente le proprie sensazioni, opinioni e convinzioni. > C’è un’alta considerazione, ma non deferenza, nei confronti delle altre persone. ESEMPIO: E’ il tuo turno quando il commesso dice: "chi è il prossimo?" Stai per rispondere ma la persona accanto ti precede: " sono io ". Tu ti giri verso di lei e: Sorriso (non-assertivo, accomodante) Atteggiamento (tentativo non assertivo ed indiretto di comunicare i propri diritti) Mormori sottovoce qualcosa con il respiro pesante, ma non dici niente (repressione non assertiva dei tuoi desideri) Dici: “credo che io sia arrivato prima di te”. (espressione diretta, positiva dei tuoi diritti e desideri) Dici: “no, non tocca a te; Io sono il primo e tu non puoi approfittarti” . (Aggressivo, ostile, reazione eccessiva.) - L’assertività è un tema che riguarda le relazioni interpersonali. - Assertività, aggressività e passività sono i tre macro-stili. Aggressività e passività quando prevalenti presentano dei limiti piuttosto impattanti a livello relazionale e necessitano di un vero e proprio training assertivo che nell’ambito di una psicoterapia di tipo cognitivo- comportamentale ad es. si colloca a valle, nel senso che il cambiamento a valle porta un feedback a monte come vedremo nella lezione sull’assertività e anche dopo con l’analisi funzionale. ADDESTRAMENTO ASSERTIVO: > “Parlare in prima persona” (ovvero l’uso del pronome “IO”) > Quando (la persona descrive il suo comportamento) > Gli effetti (la persona descrive come il comportamento si manifesta) > Io sento (la persona descrive le sensazioni) > Io preferisco (la persona descrive ciò che vuole) IL TRAINING ASSERTIVO • L'assertive training è un addestramento per far prendere consapevolezza e per esprimere direttamente ed in modo efficace le proprie esigenze e facilitare le relazioni interpersonali condizionate da forti ansie sociali. Lavoro dipende dalla motivazione. Aggressivo: decentramento (aiuto a entrare di più nei panni dell’altro, anche quando l’altro riceve il suo comportamento Passivo: ascolto di sé ed espressione a) analisi dei principi, valori ed obiettivi che caratterizzano i 3 sistemi: – affermatività; non affermatività; aggressività. b) aspetti cognitivi che producono un comportamento affermativo: – Es. diritti affermativi; eliminazione idee irrazionali; dialogo interno c) analisi del rapporto interpersonale (identificazione delle caratteristiche comunicative): – Es. significato dei ruoli, forma verbale; contenuto verbale; segnali comunicativi non verbali. d) addestramento all'acquisizione di nuove abilità sociali (social skills): – Es. controllo dell’atteggiamento dell'interlocutore; mantenimento di un ruolo affermativo. Idee irrazionali: Ellis (RET 1962) Non sono gli avvenimenti (A) a generare gli stati emotivi (C), ma il modo di interpretarli (B). Raggruppò le convinzioni irrazionali in tre doverizzazioni di base: 1. Doverizzazioni su se stessi ("Io devo agire bene ed essere approvato da tutti, altrimenti sono completamente un incapace e sarà terribile"); 2. Doverizzazioni sugli altri ("Gli altri devono trattarmi bene ed agire come io penso che debbano assolutamente agire, altrimenti sono delle carogne, dei mascalzoni e meritano di essere puniti"); 3. Doverizzazioni sulle condizioni di vita ("Le cose devono andare come voglio io, altrimenti la vita sarà insoppportabile"). Il dialogo interno enfatizza i sentimenti che abbiamo verso gli altri e noi stesso. Spesso questi pensieri, questo dialogo interno è così veloce e automatico che non ce ne rendiamo conto e abbiamo, così, l’impressione che siano le situazioni esterne che ci fanno sentire in quel particolare modo e che ci costringono a comportarci in quella particolare maniera. È la nostra interpretazione della situazione, di ciò che sta succedendo, che influisce sulla qualità degli stati d’animo. EVENTO ESTERNO/INTERPRETAZIONE DELL’EVENTO/EMOZIONI E COMPORTAMENTI Accettando la semplice verità dell’esistenza del dialogo interno, che possiamo acquisire il controllo sulla nostra vita, senza sentirci impotenti e in balia degli eventi esterni. Se ci rendiamo conto che le nostre reazioni alle situazioni sono controllabili, il nostro senso di efficacia aumenta. Rendersi conto che siamo i soli responsabili del nostro dialogo interno ci permette di scegliere se seguire quello che ci suggerisce, se ci è utile, o meno, se ci fa star bene o male e se modificarlo, in modo diverso. Ancora una parola sul contenuto. Noi incoraggiamo ad esprimere i vostri sentimenti e ad assumervene la responsabilità. Notate la differenza fra "io sono esasperato" e " tu sei un …". Non è necessario degradare l'altra persona (aggressività) al fine di esprimere i vostri sentimenti (affermatività). La meta finale è esprimere voi stessi onestamente e spontaneamente, nella maniera giusta per voi. TUTTAVIA... • I rapporti interpersonali possono essere fonte di stress intenso e duraturo. Apprendere a gestire le situazioni sociali con una comunicazione ASSERTIVA, chiara e diretta, può essere la soluzione migliore e più funzionale, specie se si hanno interlocutori predisposti all’ascolto ed al dialogo. • Purtroppo non sempre i nostri rapporti interpersonali sono caratterizzati da linearità ed onestà intellettuale. • A volte gli interlocutori, infatti, sono aggressivi e/o manipolativi e tentano di interferire nella nostra vita a volte in maniera prepotente, a volte in maniera subdola • Quando i nostri interlocutori non vogliono sentir parlare delle nostre ragioni, perché ritengono di avere assolutamente ragione o perché intendono attaccarci o manipolarci, utilizzare stili comunicativi prettamente assertivi non risulta funzionale, per cui ripieghiamo su tecniche che servono a difenderci dagli “attacchi” o dall’ostinatezza altrui. Le tecniche difensive nella comunicazione o tecniche comunicative di protezione: • DISCO ROTTO • ANNEBBIAMENTO • ASSERZIONE NEGATIVA • INCHIESTA o INDAGINE NEGATIVA • DISCRIMINAZIONE DEGLI ARGOMENTI • DISARMO DELLA COLLERA/ AGGRESSIVITA DISCO ROTTO Consiste nel ripetere sempre la stessa affermazione: sia in risposta ad una richiesta che si vuole rifiutare, sia per esigere il rispetto di un diritto. Usando ripetitivamente le stesse parole, con tono calmo e tranquillo, non si forniscono giustificazioni o spiegazioni al proprio comportamento ma si ribadisce il proprio punto di vista rispetto a ciò che si desidera Quando ad esempio si vuole rifiutare una richiesta, ripetere semplicemente affermazioni quali “mi dispiace ma non posso farlo", "grazie, non sono interessato"... non offre occasioni per insistere come invece accade se si risponde "lo farei volentieri ma ho già un impegno" cui si può replicare "puoi farlo più tardi, non ho fretta", ANNEBBIAMENTO • Riconoscere il punto di vista dell'interlocutore, senza però cambiare la propria opinione. Si può rispondere ad esempio "Ho capito il tuo punto di vista, ma per me …” oppure "Quello che tu dici potrebbe essere vero se però …”. • Utile per ridurre l'aggressività dell'altro ed indurlo a prestare attenzione alle proprie opinioni. ASSERZIONE NEGATIVA • Riconoscere un proprio errore, senza provare ansia o svalutandosi, eventualmente anche scusandosi. • Ad esempio "Si, effettivamente avrei potuto evitare di … ma io penso che …” oppure "Mi rendo conto di averti fatto aspettare tanto e ti chiedo di scusarmi, però io …”. Utile per ridurre l'aggressività dell'interlocutore. Esempio • Impiegato: Vedo che continui a fare errori nella stesura dei rapporti. • Collega: Hai ragione. Non sempre riesco ad affrontare tutte queste righe e questi numeri (asserzione negativa). • Impiegato: Ma non riesci proprio a fare più attenzione? • Collega: Sono d'accordo con te, l'attenzione è molto utile in questi casi (……………….). Potrei migliorare la mia capacità di concentrazione (asserzione negativa). INCHIESTA O INDAGINE Chiedere informazioni, indagare, su una critica ricevuta. Se la critica è costruttiva, consente di avere informazioni utili per capire l'errore commesso, se invece è manipolativa viene interrotta perché non ha elementi su cui basarsi. Esempio di critica manipolativa: "Hai sbagliato ancora, non sai fare niente!", "spiegami per favore cos’ho sbagliato", "hai sbagliato tutto". Una critica costruttiva con inchiesta negativa "Hai sbagliato ancora, non sai fare il lavoro", "spiegami per favore cosa ho sbagliato", "hai commesso questo errore ...". DISCRIMINAZIONE DEGLI ARGOMENTI • Si tratta di cogliere in un messaggio critico solo la parte sulla quale si è disposti a discutere e dare spiegazioni. • Bisogna farsi scivolare addosso alcune parti della critica e rispondere solo a quelle sensate. Il che permette di lasciare esaurire l'aggressività spostando l'attenzione su una parte costruttiva della critica. DISARMO DELLA COLLERA/AGGRESSIVITA’ • Consiste nell’opporre ad una critica violenta un comportamento estremamente calmo, subordinando la propria partecipazione al dialogo alla riduzione dell'aggressività dell‘altro. • Esempio: • "Posso capire che tu sia irritato in questo momento, e perciò ti chiedo di rimandare questo discorso a più tardi“, oppure • "Non intendo continuare a discutere in questi termini. Quando saremo più calmi, riprenderemo l'argomento". Lo sviluppo del comportamento affermativo: cambiamento del comportamento e degli atteggiamenti • cambiare l'atteggiamento di una persona prima di mutarne il comportamento oppure • il comportamento può essere cambiato per primo e nella maggioranza dei casi è più facile e di maggiore efficacia agire in tal senso. Oltre al contenuto oggettivo del linguaggio, ossia i dati che esso trasmette in superficie, c’è anche un aspetto che definisce la relazione stessa dei soggetti interessati. In ogni situazione comunicativa non si trasmette mai semplicemente un’informazione o un indizio, ma anche istruzioni precise su come trattare quest’informazione, come interpretarla, su quale piano comunicativo, se prenderla sul serio o meno. Si tratta di indicazioni informali che il discorso dà su se stesso: ecco perché si parla di metacomunicazione. dal greco μετὰ, meta = oltre. La metacomunicazione si attiva attraverso elementi non verbali e impliciti, che definiscono il contesto specifico dell’interazione. La metacomunicazione, inoltre, è strettamente collegata al problema della consapevolezza del sé e di come viene comunicato agli altri. Per fare un esempio molto semplice, ma allo stesso tempo pratico, la frase “apri la finestra” esprime un contenuto (la richiesta di aprire la finestra) e potrebbe essere pronunciato con tono tranquillo o aggressivo o di pacato potere o di sottomissione, stabilendo due tipi di relazioni diverse con l’interlocutore. In sostanza, conta “che cosa diciamo” e anche “come lo diciamo”. Ogni comunicazione comporta di fatto un aspetto di metacomunicazione che determina la relazione tra i comunicanti. Ad esempio, un individuo che proferisce un ordine, oltre al contenuto (cioè la volontà che il destinatario del messaggio compia una determinata azione), esprime anche la relazione che intercorre tra chi comunica e chi è oggetto della comunicazione, nel caso particolare quella di superiore/subordinato. Quindi, il contenuto di ogni messaggio va interpretato in base alla relazione esistente tra i soggetti che interagiscono. La frase “Chiudi la porta” esprime un contenuto (la richiesta di chiudere la porta) e potrebbe essere pronunciato con tono tranquillo o aggressivo, stabilendo due tipi di relazioni diverse con l’interlocutore. In sostanza, conta “che cosa diciamo” e anche “come, lo diciamo”. Ogni comunicazione comporta di fatto un aspetto di metacomunicazione che determina la relazione tra i comunicanti, nel caso particolare quella di up/down. ´ Sul contenuto possiamo accordarci o, se c’è una verità, confrontarci con essa. Sulla relazione invece bisogna avere la capacità di metacomunicare, cioè di parlare della relazione. ´ Spesso il disaccordo è a livello della relazione, ma la discussione resta centrata a livello di contenuto e l’aspetto relazionale rimane fuori portata. I due livelli sono strettamente legati ´ Quando si rimane a livello di contenuto le cose sono facili. ´ Quando ci spostiamo invece a livello di relazione, le cose si complicano. ´ Prendendo entrambi i livelli comunicativi, di contenuto e di relazione, abbiamo tre possibilità: ´ Conferma: Accettare te e ciò che dici o fai ´ Rifiuto: Accettare te ma non quello che dici o fai ´ Disconferma: Non c’è più vero o falso, ma solo la non considerazione del parlante.”tu non esisti!”, l’emittente non viene preso in considerazione dal ricevente. Spesso frutto dell’impenetrabilità: Mancanza di consapevolezza delle percezioni interpersonali. Che ciascuna parte si accorga del punto di vista dell’altra è la condizione che consente un’interazione efficace e non disturbata. Assioma 3: La punteggiatura della sequenza di scambi comunicativi La comunicazione è sempre bidirezionale e caratterizzata da continui scambi di turno di parola. Le sequenze d’azione, infatti, devono essere considerate non isolate, ma concatenate. È essenziale stabilire chi agisce e chi reagisce, chi trasferisce informazione e chi la riceve: questo significa punteggiare la comunicazione 3°ASSIOMA:il flusso comunicativo è espresso secondo la punteggiatura degli eventi. A seconda della “punteggiatura” usata, cambia il significato dato alla comunicazione e alla relazione. La comunicazione comprende diverse versioni della realtà, che si creano e modificano durante l’interazione tra più individui. Queste diverse interpretazioni dipendono dalla punteggiatura della sequenza degli eventi, ossia dal modo in cui ognuno tende a credere che l’unica versione possibile dei fatti sia la propria. Nella vita di coppia, per esempio, il rischio è quello di osservare la situazione esclusivamente dal proprio punto di vista, usando cioè la propria punteggiatura e non riuscendo a cogliere quella dell’altro. In particolare, nelle relazioni conflittuali può accadere che si ritenga in torto sempre e solo l’altra parte, come conseguenza di una distorta visione della punteggiatura nella relazione. Ognuno nel flusso vede solo il suo punto di vista, che è la fotografia della sua realtà vissuta e sofferta (marito chiuso/moglie brontola moglie brontola/marito chiuso) È la versione dello stesso evento, ma con disaccordi sulla punteggiatura: i due interlocutori non sono d’accordo su quale sia la causa e quale l’effetto. Ogni parlante accusa l’altro di essere la causa del proprio comportamento. Il problema della punteggiatura è risolvibile solo a livello di metacomunicazione, cioè ad un livello in cui si parla della relazione, e non dei contenuti degli scambi comunicativi. La sequenza di eventi viene punteggiata dai parlanti secondo il loro punto di vista. Generalmente si suppone che l’altro abbia le stesse informazioni che abbiamo noi, e che da queste trarrà le nostre stesse conclusioni. Anche nel caso di punteggiature differenti, non sarà possibile risolvere i conflitti comunicativi fino a che la comunicazione stessa, e quindi la definizione della relazione tra i comunicanti, non diventerà l’oggetto della loro comunicazione, ossia fino a che non cominceranno a metacomunicare. ´ In genere si ha patologia quando i due comunicanti non condividono le stesse informazioni (Es. della lettera persa). Nascono equivoci o interpretazioni errate che influiscono sull’iniziativa comunicativa Un esempio di patologia della punteggiatura è la profezia che si autodetermina. Il soggetto crede che i suoi comportamenti siano effetto del comportamento altrui (errata interpretazione). Assioma 4: Comunicazione numerica e comunicazione analogica Il linguaggio numerico (Comunicazione verbale) ha una sintassi logica complessa e di estrema efficacia ma manca di una semantica adeguata alla relazione; il linguaggio analogico (Comunicazione non-verbale e para-verbale) ha la semantica ma non ha nessuna sintassi per definire in modo non ambiguo la natura delle relazioni. Sono importanti entrambe e devono essere coerenti Sintassi è lo studio delle regole formali di una frase… Semantica è lo studio dei significati e dei simboli anche complessi che vengono così compresi. Sono importanti entrambe e devono essere coerenti. L’attività di comunicare comporta la capacità di coniugare questi due linguaggi e tradurli rispettivamente (può essere difficile). Il linguaggio numerico presenta una sintassi complessa e molto efficace, poiché è regolata da norme precise, ma è spesso 3 meno adatto a esprimere emozioni o a definire la relazione che esiste fra due persone. Per questo motivo si dice che manca di una semantica adeguata nel settore della relazione. Il linguaggio analogico, invece, ha la semantica, ma non ha alcuna sintassi adeguata per definire in un modo che non sia ambiguo la natura delle relazioni: non esiste una «grammatica delle emozioni»; non esistono, cioè, norme costanti e codificate in grado di decifrare univocamente i comportamenti umani: non è detto che «ridere» corrisponda sempre a «felicità». ´ Gli errori capitano quando si cerca di tradurre il materiale analogico in quello numerico. ´ Watzlawick sottolinea come la prima conseguenza di un guasto nella comunicazione sia la perdita parziale della capacità di metacomunicare con un metodo numerico (verbale) sulle circostanze verbali della relazione. ´ Ricordiamo infatti che sebbene il modulo numerico sia il più adatto a veicolare il contenuto, mentre il modulo analogico la relazione, non significa che si possa metacomunicare solo con il modulo analogico. Anzi, il modulo numerico risulta il più adatto a risolvere incomprensioni in questo senso, sebbene attraversi i problemi di traduzione suddetti) Assioma 5: Interazione complementare e simmetrica Tutti gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari, a seconda che siano basati sull’uguaglianza o sulla differenza. 5°ASSIOMA: la Scuola di Palo Alto individua due tipologie di relazioni che si possono instaurare tra individui che interagiscono tra loro, riguardanti la posizione di leadership assunta durante la conversazione. Gli scambi comunicativi possono essere simmetrici o complementari. Si ha un’interazione simmetrica quando gli interlocutori si considerano sullo stesso piano, e quindi di pari livello: nessuno dei due sembra voler essere sottomesso dall’altro, arrivando spesso ad accesi scontri e toni aggressivi. L’interazione complementare, al contrario, si verifica quando gli interlocutori non si considerano sullo stesso piano; ciò emerge chiaramente dai loro scambi, che pongono uno dei due in una posizione di superiorità (one-up) e l’altro in una posizione subordinata (one-down): ne sono un classico esempio le interazioni tra dipendenti e datori di lavoro, o tra genitori e figli. È fondamentale avere chiaro in mente che le relazioni simmetriche e quelle complementari non devono essere equiparate a “buona” e “cattiva”: si tratta solo di una suddivisione che ci permette di classificare ogni interazione comunicativa in uno dei due gruppi indentificati. Tutti gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari, a seconda che siano basati sull’uguaglianza o sulla differenza. Uguaglianza un parlante tende a rispecchiare il comportamento dell’altro, creando un’interazione simmetrica. vede di fronte due persone che si conoscono; ognuno dei due ha delle idee e delle aspettative rispetto all’altro e queste possono influenzare il colloquio. Capita a volte che una persona amica ci chieda di poter confidarci alcuni suoi problemi: questa è una situazione che va ben valutata, in quanto il venire a conoscenza di informazioni intime potrebbe creare imbarazzi e difficoltà nelle successive interazioni amicali. Inoltre si pensa che fornire un sostegno a una persona amica o comunque conosciuta infici l’imparzialità di base che dovrebbe sostenere ogni colloquio clinico. Ogni corrente psicologica e psicoterapeutica ha una propria posizione a riguardo, ma è evidente come il buon senso e la professionalità dello psicologo sia sempre e comunque il parametro ultimo con cui giudicare queste situazioni. • Modalità di invio È importante considerare anche in che modo il paziente è arrivato a chiederci il colloquio; tale valutazione può fornirci alcune informazioni sulle motivazioni e le intenzioni alla base della richiesta. La persona potrebbe aver trovato il numero sull’elenco telefonico, scegliendo a caso tra i nomi presenti, oppure aver seguito il consiglio di un medico o il suggerimento di un conoscente. A volte capita che ci sia un intermediario, il medico o il conoscente appunto, a contattarci per prendere l’appuntamento; possiamo sfruttare questa situazione per chiedere alcune informazioni utili, come il tipo di motivazione e le aspettative riguardanti il colloquio. • Richieste e aspettative del paziente Una delle prime cose da chiedere è quale scopo il paziente si prefigge nel venire a colloquio. Se infatti il motivo della richiesta non rientra nelle nostre competenze o non è congruo con il nostro sistema di valori, possiamo anche rifiutare di fissare l’appuntamento e rimandare, almeno nel primo caso, a qualche altro professionista. L’aspirante paziente potrebbe anche avere delle aspettative riguardanti i tempi e i modi dei colloqui, come ad esempio il pensare di effettuare una perizia psicologica in una seduta soltanto o di risolvere il proprio problema grazie a un consiglio mirato da parte dello psicologo. • Condizioni personali dello psicologo Alcune condizioni in atto dello psicologo possono influenzare negativamente il colloquio. A volte è necessario prendere tempo o non rendersi disponibile qualora si avverta l’esigenza di non coinvolgersi per qualche motivo nella relazione. Facciamo qualche esempio: dovremmo rimandare l’appuntamento e, se c’è urgenza, fornire il numero di un collega se ci rendiamo conto che siamo troppo impegnati o che sono presenti alcune condizioni di salute negative. Oppure potremmo rifiutare se percepiamo qualche resistenza fondata, come il non voler affrontare una situazione di lutto se ne abbiamo appena vissuta una simile, o il non sentirsi in grado di trattare alcuni tipi di sofferenza particolari (tossicodipendenze, alcolismo, patologie infantili ecc.) FINALITA’ Esistono varie modalità di colloquio in base allo scopo per cui è stato richiesto. Prima abbiamo parlato delle finalità intime del paziente, mentre qui tratteremo delle finalità estrinseche, dichiarate del colloquio. Il colloquio può essere finalizzato: • a una valutazione dello stato psicologico del soggetto, in genere all’interno di una perizia: gli incontri sono pochi e utili a raccogliere informazioni sulla storia di vita e a discutere quelle derivanti da altri strumenti di rilevazione, come questionari e test. • a una consulenza: il soggetto ha bisogno di aiuto e si rivolge a noi per chiarire la natura del problema e avere un indirizzo per la soluzione. In questo caso si raccolgono gli elementi necessari a comprendere la situazione e la condizione psichica e si cercano delle soluzioni verso le quali si indirizza la persona. • a una terapia: i colloqui sono frequenti e ripetuti per un periodo medio-lungo; seguono un programma più o meno rigido in base al modello adottato. • a un sostegno psicologico: sono colloqui ripetuti per un certo lasso di tempo volti in genere a “sostenere” la persona in un periodo difficile (lutto, incidente, crisi esistenziali ecc.). A differenza della terapia non c’è un progetto terapeutico da seguire. • a una simulazione: durante il training per la preparazione all’esercizio della professione si possono effettuare colloqui “finti” tra gli allievi o tra allievo e docente. Le simulate rappresentano una tecnica molto usata nelle scuole di psicoterapia. SETTING Con il termine “setting” si intendono tutte quelle caratteristiche che fanno da contorno a un colloquio: luogo, durata, regole del rapporto. • Luogo: per svolgere un colloquio bisogna avere a disposizione un luogo idoneo: tipo di struttura, condizioni della stanza e dell’arredo, posizionamento dei due attori, presenza di terzi ecc. In particolare deve essere rispettata la privacy del paziente, facendo attenzione a isolare bene la stanza e a non rendere possibile a terzi l’individuazione dell’identità del soggetto. • Durata: in genere i colloqui durano 50 minuti o un’ora e hanno una frequenza settimanale, bisettimanale o mensile, a seconda della fase della terapia e dagli accordi iniziali presi con il paziente. • Regole del rapporto: Regole del rapporto: sono tutte quelle regole che vengono discusse nel contratto terapeutico: pagamento della seduta mancata, modalità di pagamento, osservazione degli impegni presi ecc. Ø La prima definizione di contratto effettuabile in questa fase riguarda quegli aspetti più razionali ed espliciti della relazione terapeutica che possono essere espressi e concordati verbalmente. Ø Descrivere sommariamente le regole generali che la guideranno e la cornice all' interno della quale si svolgerà il lavoro psicoterapeutico. Ø Definizione del lavoro terapeutico: ruoli diversi e complementari paziente/terapeuta QUANTO TEMPO CI VORRA’? La durata del trattamento é ovviamente non prevedibile in partenza. Di fronte alla richiesta, che quasi tutti i pazienti avanzano in prima seduta, di sapere "quanto tempo ci vorrà", usualmente si risponde che l'unica cosa che può essere fornita é una generica indicazione di minima e di massima valida in generale, non tanto per il caso specifico. Si può andare da un minimo di alcuni mesi a un massimo di alcuni anni. Aggiungiamo però che sulla durata effettiva della terapia incidono diversi fattori che possono essere individuati oltre che nella gravità del problema presentato e nella capacità del paziente di lavorare su sé stesso, anche nel tipo di obiettivi che egli si pone rispetto ai suoi problemi. Il cambiamento. Torneremo successivamente su questo aspetto che implica il problema, certamente di non facile soluzione, di che cosa può essere considerala "guarigione" o, in altre parole, dei criteri di chiusura di un processo psicoterapeutico. Per il momento intendiamo sottolineare soltanto il fatto che i livelli di soluzione di un problema possono essere diversi e che, evidentemente, a ognuno di essi corrisponde una durata notevolmente differenziata dell'iter terapeutico. Talvolta, nella prima seduta, il paziente arriva accompagnato da un familiare o da un amico che entrano spontaneamente, assieme a lui, nella stanza della terapia; può capitare che sia anche lo stesso paziente a richiedere esplicitamente il permesso di farsi accompagnare, per affrontare con minor ansia una situazione che vive come nuova e sconosciuta. In questi casi lasciamo il paziente libero di decidere ciò che preferisce e diamo inizio alla prima seduta in presenza del familiare… Ovviamente, trascorsi alcuni minuti ed effettuate queste osservazioni, invitiamo il familiare a uscire dalla stanza facendo presente che la terapia implica una relazione esclusivamente diadica. Una volta raccolto il "come" e il "perché" il paziente è arrivato fino a noi, iniziamo a farci illustrare i problemi che gli procurano sofferenza e per i quali richiede il nostro aiuto. Saper condurre un colloquio clinico rappresenta un prerequisito indispensabile per il lavoro psicoterapeutico. I criteri di base per la conduzione del colloquio sono ovviamente gli stessi sia in fase di assessment che nel corso della terapia; ma agli obiettivi diversi delle due fasi corrispondono anche diverse specificità metodologiche. Essere soprattutto capaci di ascoltare, saper intervenire il meno possibile - solo lo stretto necessario per indirizzare il racconto del paziente nella direzione da noi desiderata - rappresenta il primo requisito per la conduzione di un buon colloquio. L'esigenza di raccogliere una certa quantità e un certo tipo di informazioni preliminari in un limitato arco di tempo implica la necessità di guidare il paziente con interventi e domande che seguano una precisa struttura logica e temporale; al paziente possono però essere forniti semplicemente degli spunti che lo inducano a parlarci di ciò che vogliamo sapere, ma che gli permettano contemporaneamente di strutturare il suo racconto nella più completa autonomia. Saper ascoltare significa anche saper utilizzare il silenzio. Il silenzio può rappresentare un momento in cui vengono ricercati ricordi, ricostruite sensazioni, rielaborate immagini; può essere un veicolo per comunicare emozioni, per permettere al linguaggio non verbale di esprimersi: può essere un modo per darsi coraggio e raccontare esperienze o fatti particolarmente dolorosi della propria vita. Saperlo affrontare significa anche saper discriminare questo tipo di silenzio, il "silenzio pieno", dal "silenzio vuoto" quando il paziente si inceppa, non sa più cosa dire e ha quindi bisogno di essere stimolato, ha bisogno di un incentivo per continuare il suo racconto. Silenzio e gestualità corporea come metacomunicazione. LA CONDUZIONE DEL COLLOQUIO CLINICO SUGGERIMENTI: A) Modalità di porre le domande: • Porre domande aperte: per evitare risposte monosillabiche (Sì/No) • Formulare una domanda per volta, in modo chiaro, esplicito, incisivo • Utilizzare un linguaggio comprensibile per il paziente • Evitare di sottoporre il paziente a una sorta di interrogatorio • Non accontentarsi di risposte vaghe o ambigue • Non interrompere il paziente per chiedere chiarimenti, attendere che abbia finito il discorso B) Ciò che lo psicologo dovrebbe evitare di fare: • Non interpretare, non fornire spiegazioni • Evitare rassicurazioni e non minimizzare i problemi del paziente • Non giudicare • Evitare esclamazioni di sorpresa, evitare di compiangere il paziente per ciò che ci racconta Incoraggia il paziente con un tono calmo, privo di accelerazioni. Si instaura quindi un’abitudine ad analizzare insieme al paziente il significato delle parole da lui pronunciate. Ci vuole tempo. Infatti il terapeuta si prende tempo per conoscere bene l‘oggetto d‘indagine, per la riflessione sui dati, osservando ciò che è presente e ciò che manca per comprendere in modo chiaro e distinto la natura. DIMENSIONI FONDAMENTALI 1) DIGNITA’ DI ESPRESSIONE DEL PAZIENTE 2) ATTEGGIAMENTO UMILE DELLO PSICOLOGO 3) SI FORNISCE UN METODO NON UNA PANACEA 4) SI FA RIFERIMENTO A VERITA’ UNIVERSALI, NON A VERITA’ PERSONALI 5) ATTESA DEL CONSENSO 1. DIGNITA’ DI ESPRESSIONE DEL PAZIENTE: (mentre vengono riconfermate le dimensioni essenziali, rispetto particolare conferito al pz). - DISPOSIZIONE A SPECIALIZZARSI NELL’ADESIONE A DETERMINATE VIRTÙ L’uso della prudenza, della fortezza, della moderazione e della giustizia divengono abiti che orientano correttamente le dimensioni costituenti di ogni essere umano, ovvero l’intelletto, la volontà e l’azione. Paziente e terapeuta, pur ammettendo una diversità di ruoli e l’asimmetria delle posizioni, sono avvicinati dalla definizione comune di esseri umani, e si riconosce nell’uno e nell’altro un identico anelito alla realizzazione delle proprie potenzialità. 2. Il ruolo del terapeuta è quindi quello di educare il paziente, con un atteggiamento di “umiltà”, alla conoscenza dei “principi ordinati“, utili a correggere pensieri e azioni negli aspetti evidentemente disfunzionali, rispettando la particolarità delle sue motivazioni e l’autenticità del suo orientamento di personalità. Pertanto, il terapeuta, con atteggiamento di umiltà, attende i tempi di comprensione del paziente, si cala con pazienza nella particolarità degli episodi contestuali che lo riguardano, entra dentro la patologia in profondità sino a sentire l’orrore del paziente insieme con lui, fino a toccarne con mano la morsa del condizionamento e a sperimentarne la privazione di libertà. Il terapeuta sostanzialmente, accoglie il consenso del paziente e lo invita ad intraprendere un viaggio che li condurrà alla conoscenza oggettiva e causale del disturbo. 3. Il paziente viene gradualmente dotato degli stessi “strumenti oggettivi” che il terapeuta impiega, per apprendere ad autosservarsi, fino a riscoprire la positività dei valori e delle motivazioni che ne hanno sempre orientato il pensiero e l’azione. Attraverso tale “ acquisizione del metodo”, il paziente può giungere a possedere una visione prospettica della sua espressione unica e con la quale il terapeuta mira a relazionarsi intimamente fin dai primi colloqui. 4. Allo stesso tempo, si ritengono importanti per il paziente l’utilizzo dell’autorivelazione e il riferimento alle manifestazioni disfunzionali dell’essere umano, cosicchè sia possibile mostrargli come un intendimento disordinato del valore primario cui aderisce possa tradursi in patologia, bloccando o limitando le sue infinite possibilità di espressione e di libertà. 5. Come si è detto, compito del terapeuta è quello di trasmettere al paziente i principi ordinati utili a correggerne il pensiero e l’azione, e fondamentale è pertanto “l’attesa del consenso” da parte del paziente rispetto alla positività dell’indicazione fornitagli e la cautela del terapeuta a proporre, a introdurre, inizialmente la novità in quelle zone che il paziente percepisce come non pericolose. (Allorché il terapeuta, in seguito a riflessione, individua i principi ordinati che siano più utili da proporre al paziente per la sua correzione, egli li riattualizza per sé e li riconferma nelle loro proprietà funzionali di guida personale del proprio pensiero e della propria azione: è attraverso questo processo che si intravede la possibilità di una contemporanea maturazione di paziente e terapeuta). CONCLUSIONE La relazione terapeutica nell’approccio eziologico si definisce pertanto negli elementi essenziali di: - lotta in alleanza contro il condizionamento - riconquista della libertà di espressione dell’individuo - cura particolare per l’autenticità della persona ANALISI FUNZIONALE La Sintomatologia Lo psicoterapeuta parte dal sintomo patognomonico del paziente, quello che gli dà impedimento (-, inciampo con ) La sintomatologia può essere investigata secondo 2 dimensioni principali: 1. DIACRONICA è la dimensione orizzontale 2. STRUTTURALE è la dimensione verticale, profonda Investigare la dimensione orizzontale o diacronica significa muoversi verso la scoperta di cause che si svolgono nel tempo e nello spazio Le variabili che si esplicitano nel tempo vengono chiamate antecedenti o conseguenti Quando si parla di analisi funzionale dell’azione si intende, pertanto, l’analisi del contributo specifico di ogni elemento della sequenza comportamentale nel mantenimento della stessa. È l’analisi delle relazioni funzionali tra tali elementi; ossia, l’analisi di come al cambiare dell’uno cambiano gli altri e di come ognuno contribuisce all’espletarsi della sequenza comportamentale completa. L’analisi funzionale dell’azione è quindi uno strumento d’indagine orizzontale: è un analisi in estensione, che descrive legami di causalità tra oggetti d’indagine differenti, dando ragione delle reciproche interdipendenze, a differenza degli strumenti d’indagine verticale, dove l’analisi svolta è in profondità e si descrivono legami di causalità tra gradazioni differenti di uno stesso oggetto d’indagine, dando ragione del loro differente livello di generalità e della loro subordinazione causale. L’analisi dei rapporti tra eventi antecedenti o conseguenti e la risposta disadattiva viene chiamata ANALISI FUNZIONALE Per aiutare l’intelligenza a procedere verso questo obiettivo è consigliata la procedura dell’ANALISI FUNZIONALE A 7 COLONNE L’APPROCCIO COMPORTAMENTALE Il comportamentismo studia il comportamento nella sua manifestazione direttamente osservabile. Limita la sua analisi, pertanto, a ciò che viene prima del comportamento in esame ed a ciò che ne segue. Gli elementi ritenuti essenziali per lo studio funzionale del comportamento sono: - A: l’ANTECEDENTE: evento stimolo che precede il comportamento in esame - B: il COMPORTAMENTO: l’unità comportamentale, l’azione - C: la CONSEGUENZA: evento che segue il comportamento in esame e che funge da rinforzo del comportamento emesso. Tale modello non prende in considerazione elementi interni non osservabili direttamente (pensieri, emozioni, motivazioni) perché non ritenuti essenziali. L’ APPROCCIO COGNITIVO-COMPORTAMENTALE Tale approccio esprime l’esigenza di inserire elementi non direttamente osservabili, perché ritenuti essenziali per lo studio del comportamento. In esso, dunque, gli elementi inseriti nell’analisi funzionale sono: - A: l’ANTECEDENTE: l’evento attivante - B: il PENSIERO: il sistema di convinzioni, pensieri, valutazioni. - C: le CONSEGUENZE EMOTIVE e COMPORTAMENTALI. Tale modello ritiene indispensabile inserire, tra lo stimolo e la risposta, l’attività mentale che valuta e attribuisce significati allo stimolo e che quindi produce quella determinata risposta. Secondo tale modello i problemi dell’individuo sono rappresentati nell’elemento C, ossia sono risposte emotive e comportamentali, che sono causate dal B, ossia dal sistema di valutazione dell’individuo, e non direttamente dall’A, dallo stimolo attivante. Il lavoro di risoluzione dei problemi è quindi svolto sul B, sulla modifica delle convinzioni e dei pensieri che hanno causato emozioni e comportamenti disfunzionali. L’APPROCCIO COGNITIVO-COMPORTAMENTALE CAUSALE Rispetto alle analisi funzionali tradizionali gli elementi 1 e 2 sono del tutto nuovi, mentre, per quanto riguarda le altre 5 colonne, si può ipotizzare un parallelo di questo tipo: - all’A tradizionale corrisponde la colonna 3 relativa all’antecedente - al B troviamo tre colonne, dalla 4 alla 6. Pensieri, emozioni ed azioni vengono tutti inseriti nel termine medio. Giorno……………………………. ora………………… INTERESSE PRIORITARIO CRITERI ANTECEDENTE PENSIERI EMOZIONI AZIONE FINE SPECIFICO DELL’AZIONE L’analisi funzionale a 7 colonne è uno strumento che rende ragione del concatenamento causale tra tutti gli elementi di una sequenza comportamentale. 1. INTERESSE PRIORITA RIO 2. CRITE RI 3. ANTECEDE NTE 4. PENSIERO AUTOMATI CO 5. EMOZIO NE 6. AZIO NE 7. FINE DELL’AZIO NE ANTECEDENTE per partire dalla terza colonna bisogna aver scelto un esperienza che agli occhi dell’investigatore appare avere un certo significato e che lo attira a volerne conoscere i rapporti funzionali. Un’esperienza che fa parte del gruppo di esperienze che insieme costituiscono l’esperienza sintomatologica indicata dal paziente Nella colonna 3 va inserita una situazione in cui avviene qualcosa di particolare, qualcosa di rilevante, qualcosa di problematico, che innesca o risposte emotive forti, o pensieri automatici sgradevoli, o azioni disfunzionali. Risponde alla domanda: “Qual è l’evento particolare che ha innescato quella specifica reazione?” Può trattarsi di qualsiasi cosa che è stata valutata attraverso un pensiero, che ha prodotto un’emozione e che ha generato un’azione. Quindi antecedenti possono essere: Eventi reali: stimoli ambientali, un invita a cena, un incontro con una persona Ricordi di eventi recenti o passati: ricordo di un insuccesso, di un evento doloroso Anticipazioni di eventi che si crede possano verificarsi: “mi inviteranno a quella cena”, “arriverà un temporale”, “mi chiederà quell’argomento che non so” Sensazioni fisiche: tachicardia, giramenti di testa Sentimenti / Emozioni / Stati d’animo: tristezza, agitazione, malessere Pensieri Azioni: “mi espongo”, “dico una frase” Conseguenze di azioni: “il mio amico si è offeso per il mio scherzo”. Ognuna di queste categorie può innescare una sua specifica sequenza comportamentale e quindi ognuna può essere inserita nella colonna dell’antecedente per analizzare le relazioni funzionali e causali con gli altri elementi che contribuisce ad innescare. PENSIERO AUTOMATICO Nella colonna 4, rientra il pensiero che immediatamente segue la situazione indicata nell’antecedente. Si tratta del pensiero automatico, che viene da sé, quel pensiero che il paziente forse vorrebbe che non venisse. Il pensiero automatico può essere immagine o pensiero, o parte di tutte e due. Ma è fatto anche di più parti. Nella colonna 4 vanno inseriti i pensieri automatici. Essi sono involontari e arrivano senza il consenso della persona. La colonna dei pensieri include le seguenti possibilità: Immagini: utili quando si fa fatica ad esprimere verbalmente i contenuti dei propri pensieri. Inferenze: ipotesi, predizioni su ciò che sta accadendo o accadrà o è accaduto. Valutazioni: giudizi. I P.A. sono elicitati dalle situazioni attivanti (antecedenti), ma non possono trovare in esse il proprio fondamento causale Se così fosse ogni uomo si comporterebbe alla stessa maniera Ci deve essere allora qualcosa a monte che giustifichi l’esistenza dei P.A. EMOZIONI Nella colonna 5 vanno inseriti emozioni, stati d’animo, sentimenti, reazioni vegetative. Tali elementi sono molto importanti perché le persone cercano aiuto soprattutto quando le proprie reazioni emotive sono elevate, creano disagio, provocano disfunzioni nella vita. Sono due gli aspetti importanti da valutare: Il tipo di emozione Le persone possono essere inibite nel comunicare emozioni intense, oppure non coscienti perché abituate ad evitare l’espressione di tali vissuti, oppure carenti nelle abilità di introspezione ed auto- osservazione, oppure ancora non hanno un lessico adeguato. Per tutti questi motivi è dunque importante verificare la presenza di tali stati emotivi e capire di che tipologia essi siano. È quindi utile aiutare le persone ad acquisire un lessico emotivo, suggerendo le emozioni base e spiegando le differenziazioni più sottili e gli aspetti particolari delle stesse. L’intensità dell’emozione È altresì importante stabilire dove l’esperienza emotiva si colloca su una scala d’intensità. Può essere utile a tale scopo usare una scala da 0 a 10, in cui la persona può registrare la sensazione soggettiva legata alla forza dell’emozione provata, oppure è possibile fare riferimento alle reazioni fisiologiche: tanto più esse sono elevate, tanto più è possibile dedurne un’intensità elevata della reazione emotiva. L’AZIONE L’azione di cui si parla è quella che immediatamente è la prima a partire, quella che statisticamente parte più facilmente, è l’azione principale che segue ad una certa emozione o sentimento, che ha seguito un certo pensiero, che ha seguito un antecedente. A volte un’azione può anche essere rappresentata da un pensiero Nella colonna 6 vanno inserite le azioni, i comportamenti dell’individuo. In essa è possibile specificare sia i comportamenti realizzati, ossia le azioni vere e proprie, i correlati comportamentali delle emozioni e le verbalizzazioni, ma anche gli impulsi ad agire, sia quelli che non hanno condotto all’emissione di un comportamento, sia quelli che hanno condotto al blocco del comportamento. In questa colonna possono inoltre essere inserite anche le manovre di pensiero. FINE SPECIFICO DELL’AZIONE Il fine specifico dell’azione è una finalità che l’azione intenderebbe raggiungere, ma che il protagonista dell’azione non ricorda e non ha presente alla sua coscienza. Per cui bisogna trovare ciò che lui si attende e spera compiendo quella specifica azione e che non pronuncia più, che non conosce più mentre agisce. Non esiste un’azione che non abbia un fine, e nessuna azione è perciò scindibile dai fini per cui viene svolta. Il fine di una sequenza comportamentale, pertanto, è lo scopo a cui l’individuo tende tramite essa, ma è anche il “motore” che muove il soggetto verso quella determinata classe di azioni. E’ ciò che spinge l’uomo ad agire, ma indica anche quello che avrebbe voluto e desiderato che accadesse tramite quell’agire. Es. Azione: “vado a vedere i messaggi sul cellulare di mio marito” Fine: “verificare che non abbia un’altra donna” Si prenda ad esempio una semplice azione di controllo come quella messa in atto dalla signora M. , vale a dire “ispezionare i messaggi sul cellulare del marito” e se ne indichi il fine, ossia “verificare che non abbia un’altra donna”. E’ facile comprendere come tale fine corrisponda: sia a ciò che ha spinto la paziente all’azione di controllo (“voglio verificare che mio marito non abbia un’altra donna, quindi muovo la mia azione in tale direzione e attivo il comportamento di controllo del cellulare”); L’Analisi Funzionale a 7 colonne: quali sono gli elementi essenziali? Gli elementi essenziali sono: - Antecedente: qualsiasi evento, osservabile o meno, che è in grado di innescare una specifica sequenza comportamentale. Possono quindi essere inseriti in questa colonna anche pensieri, emozioni, azioni, ecc.. - Pensiero: immagini, inferenze, giudizi, dialogo interno, che seguono l’antecedente. -Emozione: emozioni, stati d’animo, sentimenti, reazioni fisiologiche. -Azione: il comportamento oggetto dell’indagine funzionale. Può essere un’azione realizzata, ma anche un impulso ad agire. -Fine dell’azione: descrizione della finalità specifica dell’azione in oggetto, dello scopo a cui il soggetto tende attraverso l’azione, del “motore” che spinge il soggetto verso quella determinata azione. Comprende anche la conseguenza dell’azione, ma solo quella attesa e desiderata dal soggetto. -Interesse Prioritario: descrizione dell’interesse costante e prevalente che dà significato a ciascun fine specifico dell’azione, derivante dalla rilevazione di un fine comune nella modalità di agire del singolo soggetto. Corrisponde al valore di maggior significato per la persona, a quel valore che maggiormente deve essere tutelato allo scopo di salvaguardare la stessa integrità dell’individuo. -Criteri: descrizione delle norme generali che servono per la valutazione della presenza o assenza di minacce all’Interesse Prioritario da tutelare (criterio normativo) e categorizzazione delle situazioni minacciose (criterio operativo). PENSIERI AUTOMATICI Passaggio dal modello S – R al modello S - O - R I pensieri automatici sono “le immagini o le parole reali che attraversano la mente di una persona”. Il pensiero automatico ha la funzione di interpretare immediatamente la realtà e trae origine dallo schema cognitivo dell’individuo; inoltre è dal pensiero automatico che hanno origine la coloritura emozionale e l’azione. I P.A. sono elicitati dalle situazioni attivanti (ANTECEDENTI), ma non possono trovare in esse il proprio fondamento causale. Se così fosse ogni uomo si comporterebbe alla stessa maniera. Ci deve essere allora qualcosa a monte che giustifichi l’esistenza dei P.A. Quel “qualcosa” che pre-esiste nel sistema cognitivo dell’individuo e che dà ragione della natura dei Pensieri Automatici presenta 2 aspetti: 1. Categorizza le situazioni 2. Fornisce delle norme di riferimento I criteri aiutano l’individuo a interpretare la realtà e pertanto esistono primariamente alla situazione attivante. Il criterio è una regola, è ciò che giudica la presenza o assenza di minaccia al valore o all’opportunità di crescita di questo valore (A. Tamburello). Il criterio è qualcosa di stabile e sempre in funzione, come un’antenna o un rivelatore, e ha il compito di sondare continuamente il terrirorio, sia interno che esterno, alla ricerca di possibili minacce o di possibili occasioni. È sia una sorta di norma di riferimento per il soggetto Criterio Normativo Ha il compito di fornire all’individuo norme generali per la valutazione della presenza o assenza di minaccia al valore. Il criterio normativo deriva direttamente dall’interesse prioritario; anzi, l’interesse prioritario può avere più criteri normativi in funzione per la propria tutela. Ma il criterio è anche uno strumento operativo atto a cogliere minacceCriterio Operativo Hanno la funzione di categorizzare le situazioni minacciose. I Criteri Operativi hanno origine nel confronto dei Criteri Normativi con l’esperienza. I pensieri automatici non possono confondersi con i criteri. Infatti i primi sono provocati da una situazione e quindi si presentano secondariamente, mentre i criteri sono a monte e sono relativamente stabili. METODO CONSIGLIATO: - Ricavare dall’Antecedente i Criteri Operativi - Ricavare dal Pensiero Automatico i Criteri Normativi Esempio: 1 Interesse Prioritario 2 Criteri 3 Antecedente 4 Pensieri 5 Emozioni 6 Azione 7 Fine dell’azione Salute Preservare la mia salute fisica e psichica Controllare l’imprevedibilità che può turbare. Valutare il grado di minaccia e le possibilità di fuga; analisi del campo “Mi trovavo dinanzi a una gradinata ricoperta da volatili” “Mi assaliranno, impazzirò, soccomberò!” “Tachicardia, sudorazione, senso di svenimento. Dolore al petto. Mancanza d’aria. Inchiodata al suolo. Terrore” “Mi sono rifiutata di salire, di proseguire e sono andata via” “Far diminuire l’ansia e le emozioni spiacevoli per tutelare la mia salute” 1. Il fine dell’azione è: 1) La conseguenza dell’azione messa in atto dal soggetto 2) L’evento che segue l’azione e che rinforza il comportamento emesso 3) Lo scopo a cui il soggetto tende attraverso la sua azione 4) Nessuna delle tre 2. Nell’analisi funzionale, da cosa si originano i pensieri automatici? 1) Dall’Antecedente 2) Dall’Interesse Prioritario 3) Dai Criteri Normativi 4) Dai Criteri Operativi 3. Nell’analisi funzionale, da cose prende significato l’antecedente? 1) Dai pensieri automatici 2) Dall’Interesse Prioritario 3) Dai Criteri Normativi 4) Dai Criteri Operativi
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