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CONTESTO STORICO DEL DECADENTISMO, D'ANNUNZIO, PASCOLI, SVEVO, PIRANDELLO, UNGARETTI...., Appunti di Italiano

Appunti di letteratura italiana per la classe quinta superiore sul contesto storico del decadentismo, d'Annunzio, Pascoli, Svevo, Pirandello, Ungaretti, Saba, contesto storico dell'ermetismo, Quasimodo, Montale.

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 13/10/2023

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Scarica CONTESTO STORICO DEL DECADENTISMO, D'ANNUNZIO, PASCOLI, SVEVO, PIRANDELLO, UNGARETTI.... e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! DECADENTISMO Il decadentismo è una corrente di portata europea che si diffonde in Francia attorno al 1880 ad opera di un gruppo di poeti che daranno origine a dei circoli artistici, quali Verlaine, Rimbaud, Mallarmé, ammiratori di Baudelaire, e identificati dalla critica come i “poeti maledetti”. Contribuiscono anche le idee di Wagner, che auspicava a una fusione totalizzante di tutte le arti, sopra alle quali doveva regnare la musica come arte di maggiore capacità suggestive e di descrivere l’assoluto. Conducono una vita disordinata, staccata dalla società borghese, non accettando la mentalità, il conformismo, l’ipocrisia. Si isolano, mossi dal desiderio di essere altro rispetto alla realtà superficiale del loro tempo, per rifugiarsi in eladi perduti e paradisi indotti dall’alcool e dalle sostanze stupefacenti. Tutto cio indice la critica a chiamarli sprezzantemente “decadenti”, in quanto la loro protesta allude ad indicare un privilegio spirituale, la consapevolezza di discostarsi dal conformismo che caratterizzava il loro tempo: connotavano un mondo in decadenza in un tempo che andava sempre più distorcendosi. Avvertono in loro la fine di un’epoca, il lento disfarsi della società, e sublimano il loro sentimento di disprezzo in una ferrata opposizione nei confronti della vuotezza valoriale, della falsità, della rozzezza del mondo borghese. Ma è anche un periodo di crisi per gli intellettuali, che vengono declassati, posti ai margini della società in un mondo che si muove prendendo spunto dalla ricchezza e da una spasmodica logica di profitto, fino a soffocare la cultura. Nell’epoca della lotta di classe, l’intellettuale si avvicina dunque alla condizione del proletariato, ma si allontana anche da essi, in quanto ha orrore della massa, non ha niente in comune con la folla che non sa riconoscere la sua grandezza. Maturano a tal proposito la poetica del simbolismo: il mondo è una foresta di simboli, si intesse sulla base di un linguaggio misterioso che la scienza, con il suo raziocinio non riesce a penetrare; solo l’arte è in grado di comprendere quella realtà che si cela oltre le cose apparenti, quel mondo dietro il mondo che si cela nella profondità più recondita delle cose. è una realtà che si manifesta come appannaggio di pochi eletti, di coloro che sanno usare l’arte, e in modo particolare del poeta, che assume il ruolo di un veggente che, tramite intuizioni improvvise è capace di andare oltre la superficialità che riveste tutte le cose; non attraverso la ragione, ma attraverso l’arte e l'intuizione. Il poeta scopre collegamenti apparentemente illogici tra oggetti diversi, ne comprende i legami tramite le analogie: ha la capacità di associare colori, suoni, profumi, tra i quali sa percepire le affinità. La sua è una poesia che rivela il mistero delle cose, l’assoluto, reso tramite lo strumento della parola, che prima di comunicare ha il compito di svelare l’ignoto. E nel descrivere l'ignoto fondamentale è svincolarsi da ogni regola metrica o ritmica, per scegliere le parole che meglio possono far comprendere il mistero oltre la realtà, approdando a una forma di sperimentalismo. Sono parole che vengono scelte guardano all’aspetto fisico, musicale, evocativo, ma che spesso, alla mente vuota della gente restano incomprese. Essere decadenti significa anche mettere in gioco se stessi; è una poesia che fonde l’io con il mondo, per farlo abbracciare una realtà autentica, fuori dalle convenzioni, amorale, irrazionale, illogico, fino a soffocare in una forma di panismo. Si manifestano così i primi appigli sulle teorie dell’inconscio sviluppate dal Freud a partire dal 1899, che vede il sogno come la sublimazione di qualcosa che non conosce inibizioni morali, che proietta in paradisi artificiali e dimensioni irreali. Si diffonde l’estetismo; la realtà si coglie attraverso tutte le percezioni" sensibili" e ricerca di sensazioni rare e senso estetico. L’arte diventa dunque uno strumento privilegiato di conoscenza della realtà, è il poeta, lo scrittore e il musicista sono sacerdoti di un culto inarrivabile agli uomini comuni. L’esteta è dunque un individuo eccezionale che, avendo come unico orizzonte valoriale il bello, riesce a fondere la vita con l’arte, rendendo la stessa vita un'opera d’arte eccezionale e irripetibile. Per i decadenti ci sono alcune situazioni comuni che possono fungere da strumento di conoscenza della realtà, come la malattia, la follia, il sogno, l’incubo, la nevrosi, il delirio, le allucinazioni; accomunati dall’aspetto di essere irrazionali, si sottraggono al controllo della ragione, e permettono di cogliere la realtà vera, conoscendo l'ignoto. L'ALBATRO La realtà vissuta dal poeta decadente viene ampiamente espressa dal francese Baudelaire nella poesia l'Albatro": tramite l’allegoria di questo maestoso uccello, viene infatti messa a nudo l’insofferenza degli eletti, e il conseguente disprezzo che essi subiscono nel mondo comune. L’albatro è un uccelo bellissimo in volo, ma quando viene catturato e portato sulla terra è goffo, ostacolato da quelle ali che poco prima gli davano maestria, straordinarietà e possenza. Il poeta decadente è per Baudelaire proprio come un albatro, maestoso nel mondo creativo che esula dalle cose comuni, detentore di una sensibilità unica, di privilegio; quando esso viene calato tra le persone comuni, è però incompreso. In una realtà materialistica, che brulica di “marinai” affaccendati e accecati dal profitto non c'è più spazio per l’arte disinteressata di chi si svincola dal senso pratico. è una vita che cela degli “abissi amari”, fatta di derisione e incomprensione, in cui il poeta comprende di non essere più un punto di riferimento per la società ( → come lo era Carducci), ma proprio come un albatro, è succube di una società che gli spezza le ali, che lo fa precipitare a terra, nella materialità delle cose futili e terrene. TEMI -ammirazione delle epoche passate che ora sono in decadenza (latinità imperiale, epoca bizantina, ultima storia greca) -lusso raro, prezioso, ricerca dell’inaudito, del sconvolgente, della nevrosi, malattia -predilezione per le cose impure, corrotte, putride, ammalorate; viene esaltata Venezia come città decadente per eccellenza, luogo dove la bellezza e la maestria si fondono con la putredine -morte, distruzione e autodistruzione, ma anche tematiche opposte, volte quasi a esorcizzare la morte, come: -vitalismo come esaltazione piena della vita come puro godimento estetico, che va oltre i vincoli morali -superomismo: celebrazione della forza dell’uomo che domina sui deboli GLI EROI DECADENTI -artista maledetto, colui che supera valori e convenzioni sfiorando l’autolesionismo -esteta, uomo che vuole fare della sua vita un’opera d’arte -inetto: incapace di vivere, colui che non prende parte alla vita che è attorno e si nasconde dietro a volti della malattia; una variante dell’inetto è anche il “fanciullino” di Pascoli, che rifiuta la condizione adulta, percepisce in sé un animo bambino, e questo fa di lui più vicino all’assoluto -donna fatale come manipolatrice perversa e lussuriosa, colei che soffoca e domina l’uomo debole -superuomo: colui che è superiore a tutto e a tutti, individuo eccezionale e dalle qualità assolute COSA ACCOMUNA DECADENTISMO E ROMANTICISMO? Se sono due correnti accomunate dalla volontà di evasione dalla realtà, dalle convenzioni borghesi tramite un nuovo modo di essere e di fare poesia, il romanticismo ha una finalità civile, prende posizione in modo entusiasta. Il decadentismo risente invece della fine di un’epoca, si percepisce il tracollo della società, e ne deriva il rifiuto di qualsiasi impegno civile e sociale. Mentre il romanticismo punta alla totalità, a una visione generale, propone ampie vedute filosofiche e ampie tematiche, il decadentismo pone l’attenzione sul particolare, sui dettagli, sul frammento. COSA ACCOMUNA DECADENTISMO E NATURALISMO?Mentre decadentismo e romanticismo corrispondono a due epoche differenti, naturalismo e decadentismo sono paralleli, ma espressione di gruppi di intellettuali differenti. Il naturalismo ci presenta autori legati all'ordine borghesi, favorevoli al progresso (fiducia che verrà tolta dal verismo), mentre il decadentismo si connota per un radicale rifiuto dell'ideologia borghese, del positivismo, decantando il fallimento della scienza come metodo di conoscenza universale. D’ANNUNZIO D’annunzio è un intellettuale la cui vita straordinaria, la sua sete di assoluto, il suo estetismo colorato di superomismo hanno a condizionato un’epoca; si parla a tal proposito di dannunzianesimo come un’epoca nella quale furono in molti a voler imitare lo stile di vita, ammirandone comportamenti e idee. VITA Gaetano Rapagnetta (nome che cambierà in quanto poco elegante e poetico, adottando il cognome di uno zio) nasce nel 1863 a Pescara, nella classe dell’alta borghesia. Il padre era un uomo facoltoso e dispendioso, e aveva fatto sì che il figlio studiasse nel collegio “cicognini” di Prato, uno dei più prestigiosi del tempo. Gabriele studia, si diploma, e si distingue subito perché a 16 anni (1876) pubblica “primo verae”, la sua prima raccolta di poesie, facendo parlare ampiamente di lui. Enfatizza tale pubblicazione facendo pubblicare sui giornali del tempo un epitaffio, riportante la seguente dicitura: “giovane poeta abruzzese è morto”. Dopo aver continuati a frequentare il collegio,non si fa più vedere per poi ricomparire. Preso il diploma si trasferisce a Roma perché voleva studiare lettere all'università, ma non arriverà mai a laurearsi perché è attratto dalla mondanità dei salotti del tempo, ai quali si presenta facendo innamorare le donne, facendo parlare di lui nei giornali, artefice di scandali e amori, confluiti nel matrimonio con la duchessa Maria di Hardouin, che inizia a frequentare nell’82 ed è costretto a sposare in quanto inconta. Avrà da lei 3 figli, ma il matrimonio dura pochi anni a causa dei suoi continui tradimenti, che lo collocano al centro della vita mondana. Il romanzo si chiude con l’immagine di un Andrea solo, isolato, sconfitto, che si rende conto di vivere un periodo di crisi e cambiamenti, in cui le classi sociali si contaminano tra di loro. Sperelli vive la spessa crisi vissuta dall’autore, che, comprendendo l’inefficienza dell'estetismo in ambito sociale, decide di ripiegarsi sul superomismo. Prima del pieno approdo al superomismo, il poeta si interessa per un periodo alla letteratura russa, e ai grandi come Dostoevskij e Tolstoj; scrive “Giovanni episcopo”, “l’innocente”, e la raccolta di poesie “poema paradisiaco”, in cui si riprende il tema della famiglia, degli affetti, e dell’infanzia, che si congiungono a note di desolazione, cui fa capo il senso della morte, la descrizione di paesaggi cupi e abbandonati, giardini incolti… (elemento prettamente decadente). 3- Nel 90, dopo la lettura e interpretazione delle opere di Nietzsche, approda definitivamente al superomismo. Il superuomo descritto da d'Annunzio è un essere eccezionale, unico, superiore a tutto e a tutti, colui che fa dell’estetismo la caratteristica fondamentale per condurre una vita inimitabile pur influenzando la società e dominando chi ha attorno. Deve essere violento, desideroso, guidato dall’istinto, antidemocratico, contro l’uguaglianza, vista come un valore che schiaccia e opprime. Secondo il superuomo l'essere considerati uguali non lascia spazio ai migliori di emergere, con forza e vitalismo, amore per la vita, abbandonando ogni timore. Non prova pietà, altruismo e solidarietà per nessuno: la sua è una ideologia imperialista, antiborghese, che non resta rinchiusa in un mondo lussuoso e sfarzoso, ma deve agire e influire sulla società. Se l’estetismo propugnava un rifiuto della realtà, ora, pur essendo tale elemento presente, deve essere uno strumento di dominio sulla realtà, appartenente a un'élite estremamente ristretta e aristocratica, raffinata e violenta. Il superuomo ha missione politica: è il d’Annunzio vate, che in quanto superuomo deve rendersi portavoce delle nuove ideologie nascenti, e non rimanere isolato ai margini della società; questo nuovo sentire si esprime chiaramente nel romanzo del 1895 “le vergini delle rocce”. “LE VERGINI DELLE ROCCE” Questo romanzo testimonia il passaggio del poeta dall'estetismo al superomismo; il titolo ricalca il quadro “la vergine delle rocce” di Leonardo, che ritrae la figura della madonna: il poeta dà un'interpretazione personale della religione, vedendo nella donna una semplice generatrice di figli. Il protagonista, Claudio Cantelmo, è un uomo forte, deciso e sicuro (a differenza di Sperelli, che è estraneo alla sua stessa vita); questo atteggiamento gli permette di affrontare con serenità anche le incombenze della vita. Dopo aver esposto la teoria del superuomo, Cantelmo è alla ricerca della “benedetta tra le donne”: la donna con la quale dare alla vita tale essere eccezionale, il “futuro re di Roma”, che deve guidare l’italia verso destini imperiali; la cerca proprio tra “le vergini delle rocce”, tre sorelle che, durante l’era di Crispi vivono sotto i Borboni. Le tre ragazze, provenienti da una famiglia arretrata del principe Capece Montaga, vivono isolate in una villa in sfacelo, nella quale sono presenti gli elementi prettamente decadenti della malattia e della follia; Cantelmo, essendo però un superuomo, può affrontare anche tale scenario in decadenza e permeato dall’idea della putredine e della morte. Le ragazze sono descritte nei loro tratti contraddistintivi: -Massimilla è dolce, femminile, soave e gracile ma in lei c'è qualcosa di fragile che fa in modo che sia semplice da sottomettere, e ciò fa sì che il protagonista non ne sia attratto -Violante è affascinante, lussuriosa, erotica (simile a Elena Muti); si sta lentamente uccidendo con i profumi, è artefice di un eros distruttivo e perverso, per questo inadatta a fare la madre -Anatolia sarebbe la donna ideale, dal portamento regale, viene descritta con la forza e la maestà della regina, presenta i tratti tipici della regalità che deve avere il superuomo, ma non può sposarsi in quanto deve sostenere la famiglia, tra cui la madre demente, i fratelli malati e il vecchio padre. Alla fine del romanzo, Claudio non compie alcuna scelta; è questo il destino tipico dei protagonisti dannunziani, che dopo aver esercitato a lungo il culto dell’eroismo, si dimostrano deboli e sconfitti, incapaci di tradurre le loro aspirazioni in azione. E se alla fine la scelta non si conclude, è evidente quanto Sperelli non sia l’uomo forte che pensava di essere. La decadenza, il disfattismo, la negatività e la morte, esercitano sempre su di essi un inspiegabile attrazione. Tale romanzo è fondamentale per comprendere il programma politico del superuomo, che, proprio come un re deve imporsi per cambiare la corruzione dilagante del tempo, l'ignoranza, il trasformismo parlamentare, e deve restaurare e incarnare il più alto valore aristocratico contro la borghesia dominante. Pur essendo un romanzo, mantiene le caratteristiche del poema: lo stile è aulico e ricercato, è presente un’ampia indagine psicologica, infarcita di riflessioni e esaltazione dell’idea stessa del bello. → “IL PROGRAMMA POLITICO DEL SUPERUOMO” pag 448 → “UN RITRATTO ALLO SPECCHIO”, pag 431 D’Annunzio scrive 3 cicli di romanzi, che prendono il nome di tre fiori, utilizzati per simboleggiare le tappe evolutive che il poeta vorrebbe che il suo spirito affronta, per passare dalla schiavitu delle passioni alla vittoria sy esse: -ciclo della rosa: racchiude romanzi quali “il piacere” “il trionfo della morte” e “l’innocente”, accumunati dall’amore sensuale, erotico e materiale, strettamente ancorato alle passioni -ciclo del giglio: contenente “le vergini delle rocce” rappresenta un primo tentativo di purificazione del poeta dalle passioni, l’uomo che tenta di elevarsi al di sopra di esse -ciclo del melograno: contenente il romanzo “il fuoco”, il melograno è il simbolo del pieno dominio sulle passioni ALCYONE “Alcyone” è una raccolta poetica che fa parte di un progetto poetico più vasto: le laudi, ovvero un corpus poetico che doveva dividersi in: -laudi del cielo di tutte prendiamo in considerazione solo Alcyone perché è la raccolta che ha -laudi del mare → maggiormente influenzato la letteratura del 900, a differenza delle altre, che sono piu -laudi della terra retoriche e celebrative. -laudi degli eroi Nell’estate del 1899 il poeta trascorre in fatto una stagione in Toscana, con l'amante Eleonora Duse, nella celebre villa chiamata la “capponcina”; questo periodo gli ispira nella scrittura di poesie che raccontano di un viaggio alle foci dell’Arno, nella Maremma, in Versilia. Il poeta racconta in forma di lirica la sua estate. Sono poesie sistemate secondo una struttura a parabola, che dal finire della primavera (il periodo delle aspettative) si ricongiunge all’autunno (la morte), passando per l’estate (l'età matura), descritta come il culmine della passione, delle esperienze dalla breve durata, in quanto destinate a tramontare con l’imminente sopraggiungere dell’autunno. Il poeta rappresenta così una spiccata allegoria della parabola della vita, nella quale gli 88 componimenti si rendono una manifestazione eloquente della fusione con la natura che il poeta e la donna avvertono. La natura stringe il poeta e la sua donna in un abbraccio sensuale, fino ad avvolgerli in un naturalismo panico che annulla i confini tra l’uomo e il mondo che lo circonda, fino a culminare in una vera e propria metamorfosi, che li porterà a perdere la propria identità umana per fondersi con la natura. La poesia di d’Annunzio si rende così ricchissima di musicalità; non è una poesia né semplice né logica, non segue passaggi prestabiliti, eclissa delle parole e compie diverse analogie. → “LA SERA FIESOLANA” “LA PIOGGIA NEL PINETO”, pag 494 Questo componimento tratto da “Alcyone” ci ritrae l’apice della fusione panica in cui poeta e la sua donna si imbattono, resa tramite una sollecitazione continua dei sensi. Il poeta e la sua donna (che viene chiamata per sosfiticazione linguistica Hermione, riprendendo il nome mitologico della figlia di Elena e Menelao) si trovano in un pineto, quando vengono sorpresi da un acquazzone estivo. I due, anziché esserne dispiaciuti, si lasciano trasportare da questa nuova esperienza, vivendola come un mezzo per raggiungere la metamorfosi e realizzare la loro dimensione panica (“e noi siam nello spirto/ silvestre/ d’arborea vita viventi/ il tuo volto ebro/ è molle di pioggia/ come una foglia”, “e il verde vigor rude/ ci allaccia i malleoli/ c’intrica i ginocchi ”...). Evidenti sono gli inviti del poeta alla donna a partecipare attivamente alla trasformazione, al mistero della fusione improvvisa tra due amanti e la natura (“taci”, “ascolta”... ) La metamorfosi è però duplice: non solo gli uomini diventano parte integrante della natura, ma la natura stessa si antropomorfizza, e si modella a immagine e somiglianza degli uomini (v.51), restituendoci l’immagine di due amanti intrappolati da arbusti che vogliano trattenerli con loro, conformati alla vegetazione lussureggiante e intricata che li attornia, tanto da ubriacare gli uomini, e renderli ebbri di essa. Dal punto di vista metrico, la poesia si compone di 4 strofe in versi liberi (non c'è un numero preordinato di sillabe) e sciolti (non ci sono rime). Ricorrendo sono le anafore, parallelismi, sineddochi e metafore, mentre l’uso transitivo del verbo “parlare” da una connotazione umana e antropomorfizzata alla pioggia, congiunta con l’aspetto stesso della poesia, in cui i versi brevi e a volte composti da una sola parola, contribuiscono a rendere l'idea della pioggia che cade. La ripetizione degli ultimi versi con alcune strofe interne alla poesia indica l’alterazione della realtà alla quale il poeta e la donna sono assoggettati. PASCOLI La letteratura decadente, che con d'Annunzio aveva assunto il volto dell’eroismo, del vitalismo e del superomismo, si ripiega con Pascoli nel suo lato più intimistico e desolato; Pascoli non è il poeta dominatore il cui disagio esistenziale viene sublimato in esteriorità e dominio: è il poeta la cui fuga della realtà si tramuta in una personalità riservata e schiva, intrisa di sfiducia per la scienza e disagio nei confronti della cultura del suo tempo. Alla visione positivista e scientista dominante al suo tempo, egli contrappone la concezione della vita come perpetuo dolore, alludendo ad una realtà altra , un senso ultimo delle cose che, sfuggendo dalla materialità e dall’apparenza, risulta inspiegabile alla scienza. Essa non sa infatti rispondere al problema del dolore e della morte, non dà risposte precise a problemi reali e alle grandi domande dell’uomo; essa spiega i processi biologici che portano alla morte, ma qual’è il fine ultimo di essa? VITA 31 dicembre 1855 → nasce a San Mauro di Romagna da una famiglia della ricca borghesia, quarto di dieci figli. Il padre lavorava nella tenuta agricola dei duchi di Torlonia come amministratore, e Giovanni conduce un’infanzia tranquilla nella loro tenuta “la torre”. La famiglia lo fa studiare nel collegio dei padri Scolopi di Urbino, dove riceverà una formazione classica, orientata allo studio del greco e del latino. 10 agosto 1867 → il padre viene fucilato di ritorno dal mercato di Cesena, da carnefici ignoti (fatto che detto nel giovane Giovanni un profondo senso di ingiustizia); anche se si sospetta fossero stati dei rivali lavorativi. Non è questa l’unica tragedia, ma solamente la prima di una lunga serie di lutti: nel giro di pochi anni muore la madre, la sorella e tre fratelli, scandendo nella vita del poeta una prima visione della vita come disperazione costante, mero susseguirsi di eventi che ha come punto focale il lutto e la tragedia, e contribuendo alla formazione di un primo mondo poetico interiore. Dopo gli studi liceali conclusi a fatica a causa dei problemi economici, ottiene una borsa di studio e si iscrive alla facoltà di lettere a Bologna, dove è allievo di Carducci. Bologna era al tempo una città vivace, impregnata del nuovo spirito positivistico imperante al tempo, e Pascoli entra a far parte del movimento socialista, aderendo non per convinzione ideologica, ma attratto dall’aspetto di uguaglianza e fraternità; l'esperienza adricesta ha però breve durata, perche nel 1879 sarà costretto a dover scontare tre mesi di carcere per aver partecipato ad una manifestazione. Subì il processo e fu assolto, ma si allontanò per sempre dalla politica. 1882→ riprende gli studi e si laurea in lettere presentando una tesi sul poeta greco Alceo. L'università lo porterà anche a Messina, per poi prendere a Bologna il posto del maestro Carducci. Sono anni in cui si dedica all'insegnamento e allo studio continui; partecipa a concorsi europei sulla lingua latina, vincendo per 12 volte consecutive il concorso europeo più importante del tempo, che lo qualificherà come miglior latinista di tutti i tempi. Non si sposerà mai, ma vivrà con le due sorelle Ida e Maria (Mariù); era talmente legato a loro da avvertire il matrimonio di Ida come un tradimento: è il manifesto del suo attaccamento morboso, che si mostra come un’evidente fragilità psicologica; con le sorelle, il poeta voleva ricostruire il nido familiare che le incombenze della morte avevano distrutto. Contraddittoriamente, la sua volontà di voler ossequiosamente proteggere le sorelle, mostra quanto lui stesso fosse il primo a necessitare di protezione. Si stabilisce a Castelvecchio di Barga (Lucca), nella campagna toscana, che rispecchia la tranquillità e la pace interiore, contrapposta alla frenesia e al disordine della città; nel frattempo insegna a Bologna, prima letteratura italiana, poi greco e latino. 6 aprile 1912 → muore a Bologna, dove si era trasferito per curare un tumore allo stomaco (probabilmente, in ottica prettamente decadente, provocato dall’alcol o sostanze stupefacenti). IL PENSIERO E LA POETICA Il pensiero pascoliano condensa in sé uno stretto rancore nei confronti della presunzione positivistica, che si congiunge ad un perpetuo senso del mistero, volto ad evidenziare la realtà profonda che si cela oltre tutte le apparenze sensibili. A questo proposito viene attribuita una grande attenzione agli oggetti, anche quelli più infimi e apparentemente insignificanti: sono proprio le piccole cose a celare l’ignoto e l’assoluto oltre la materialità, caricando di significati simbolici e rimandano all’essenza segreta delle cose. Il poeta scopre infatti le cose nella loro totalità, non come fenomeni sensibili e materiali, ma come essenze trascendenti e cariche di significato simbolico: per fare ciò bisogna abbandonare la propria abitudinaria visione del mondo, per guardare quest’ultimo con gli occhi di un bambino, e recuperare la capacità di stupirsi nei confronti di esso. IL FUTURISMO Il futurismo è un movimento d'avanguardia (gruppi di intellettuali appartenenti a ambiti diversi, che propongono programmi, manifestazioni, vademecum, riflettendo la crisi della cultura europea del tempo), che obbedisce a precise linee pragmatiche ed adempie ad un manifesto, e propone una nuova concezione dell’arte e della letteratura dall'impatto fortemente rivoluzionario e trasgressivo. Nato nel 1900, il futurismo è la prima delle avanguardie storiche, e basandosi sulla rivoluzione industriale e le nuove idee progressiste e scientiste, si basa sui due concetti cardine di movimento e velocità, denunciando la piattezza e l’immaginismo tipici della letteratura finora condotta. Fortemente polemica è la posizione nei confronti della tradizione, il sentimentalismo romantico, il classicismo immobile, il conformismo e il perbenismo borghese; la loro è una volontà di scardinare tutte le regole, e una tendenza aggressiva e distruttiva, fortemente violenta, che si concretizza nella guerra come “sola igiene del mondo". Il culto vigente è quello dell’affermazione individualistica dell’uomo, che è tutto proiettato al futuro, all’esaltazione del progresso tecnologico e scientifico, e la macchina (intesa anche come automobile e aereo). Il ruolo del poeta, con il futurismo, cambia incontrovertibilmente: i futuristi deridono il poeta vate, e affermano la non necessità della poesia di contribuire moralmente, socialmente e storicamente; come denotato dalla celebre poesia di Aldo Palazzeschi, la poesia può, anzi deve, essere condotta come semplice divertimento, a scopo di dilettare il poeta senza trasmettere valori. Il fondatore del movimento è Filippo Tommaso Marinetti, autore de “il manifesto del futurismo”, con il quale si prefigge di distruggere non solo le istituzioni culturali del passato, ma ogni forma d’arte finora praticata, in vista di un cambiamento radicale; questo si esprime tramite la contaminazione e fusione tra i diversi linguaggi espressivi adottati dalle varie forme d’arte. 1909 → Marinetti scrive “il manifesto del futurismo”, nel quale la sua concezione della vita deve essere egemonica, mentre la cultura finora praticata va distrutta tramite i valori della frenesia, dell’attivismo, del dinamismo; il femminismo e il parlamentarismo vengono respinti a favore dell’individualismo. Tutto è progresso, tutto è aggressività; vengono a mancare la psicologia, l’io lirico, il sentimentalismo, il romanticismo: l’uomo è importante nella misura in cui fa. In un mondo in continua velocità e in perpetuo cambiamento, la letteratura è rimasta ancorata a valori retrogradi e immobili, in quanto aveva tralasciato la velocità, il mito del progresso a favore dell’immobilismo. STILE La proposta tecnico-stilistica si basa sul paroliberismo, la “teoria delle parole in libertà”; le parole si svincolano dalla sintassi che viene spezzata come simbolo di rottura con la tradizione, eliminazione della punteggiatura, assenza di connettivi e disposizione particolare delle parole; la libertà delle parole riflette la velocità, la frenesia della vita tecnologica. Frequenti sono le analogie, non sempre logiche ma spesso strane e ardite, come anche le onomatopee. La forma e sintetica e più abbreviata, volta a rappresentare "l'ossessione lirica della materia”; l’analogia assume però un significato nuovo: se nel decadentismo doveva essere il mezzo che permette al poeta di scoprire il mistero, l'ignoto che si cela oltre tutte le cose, nel futurismo non si rimanda ad altro, tutte materiale tramite una giustapposizione di pensieri tra loro concatenati. La forma grafica assume un notevole significato, come effetto di rafforzamento di un concetto,e la parola viene vista come un segno concretamente visibile, che deve produrre impressioni e a volte suggerire suoni. Come nel “palombaro”, l’apice del futurismo si manifesta tramite la fusione tra immagini e segni grafici. FILIPPO TOMMASI MARINETTI 1876 → nasce ad Alessandria d’Egitto Studia a Genova e si laurea in giurisprudenza; la sua formazione è fortemente cosmopolita, e le sue prime opere vengono scritte in francese. 1905 → fonda a Milano la rivista “poesia” e nel 1909 pubblica su "le figaro" il manifesto del futurismo Marinetti è un uomo ridondante, attira attorno a sé tanti intellettuali, usa slogan pubblicitari, fa scandalo e provoca. è un antidemocratico, che percepisce nell’aria il sentore dell’imminente guerra mondiale, 1929 → nonostante la sua pretesa di scardinare la tradizione diventa “accademico d’italia” 1944 → muore a Bellagio durante una di quelle guerre nella quale lui aveva sempre creduto → “IL MANIFESTO DEL FUTURISMO” p 668 → “E LASCIATEMI DIVERTIRE” Aldo Palazzeschi, p.668; questa poesia è una critica tagliente nei confronti della tradizione poetica, ironia contro il buon gusto del pubblico. Deridendo il ruolo del poeta Vate, Palazzeschi rivendica la libertà che il poeta ha di scrivere esclusivamente per divertimento, ed essere disimpegnato. I POETI CREPUSCOLARI Sono contemporanei al futurismo, ma se il futurismo era un movimento, i crepuscolari sono un modo di sentire condiviso, non hanno un programma. Il loro nome è stato attribuito dal critico Borghese, riferendosi all'atmosfera che si crea prima del tramonto e prima dell’alba; i poeti avvertono infatti il tramonto di un’epoca, la fine della grande poetica tradizionale. Da essa recuperano però qualcosa, come l’attenzione per le piccole cose di Pascoli, apparentemente insignificanti, ma diversamente dal grande poeta decadente, i crepuscolari le guardano nella loro materialità. Le piccole cose di cui si tratta non sono sempre positive: si parla di orti, edifici non abitati, corridoi ospedalieri, scodelle, la donna è cantata per la sua bruttezza, si trattano di cose comuni e quasi banali, che non rimandano mai ad altro. Sono “buone cose di pessimo gusto", semplici ma quotidiane e rassicuranti. Con il futurismo condividono la rottura con la poetica tradizionale, l'inutilità del ruolo del poeta, ma i contenuti dei crepuscolari sono umili, sono più ovvi e banali, non si impongono prepotentemente come nel futurismo, non conducono azioni eclatanti e sconvolgenti, puri prendendo una posizione, sono testimoni di una nuova sensibilità. Si percepisce il senso della sconfitta, la mancata realizzazione della vita e dell'arte; il poeta è inutile in una realtà così indirizzata. Dono i poeti rassegnati che rinunciano alla lotta, si rifugiano nelle cose semplici, dritte ma rassicuranti. Il linguaggio è semplice e dimesso, colloquiale e familiare sembra una narrazione più che una lirica; in Gozzano sono ricorrenti gli scostamenti (felice con Nietzsche). è il tramonto della grande poesia; non c'è complessità, non c'è ricercatezza, non ci sono rimandi profondi; ma il tramonto preannuncia anche qualcosa di nuovo, ovvero un nuovo modo di condurre una poesia disinteressata e disimpegnata. GOZZANO Nato a Torino, Gozzano si iscrive all'università di giurisprudenza, che abbandonerà per frequentare quelle di lettere; acquista posizione di rilievo fino a diventare tra i più importanti scrittori torinesi. Allievo di Arturo Graf, si forma su una larga tradizione letteraria, sui più importanti letterati e pensatori del tempo (Dante, Petrarca, Nietzsche). 1907 → esce “la via del rifugio”, la sua prima raccolta di versi, seguita da “i colloqui", che ne consacrarono la fama di poeta. L’ironia è lo strumento usato dal poeta per reagire alle delusioni della vita, in particolar modo il difficile e sofferto legame sentimentale con Amalia Guglielminetti, poetessa di gusto dannunziano e autrice di racconti di successo. Colpito da tubercolosi, alterna la residenza a Torino con i soggiorni in Liguria, dove approfondisce l’amicizia con alcuni scrittori del luogo e compie un viaggio in India. 1916 → muore a Torino OPERE: -”verso la culla del mondo”, tratta del suo viaggio in India dal quale è rimasto attratto dal fascino delle religioso orientali, inviando una serie di articoli a “la stampa", corrispondenze raccolte in quest'opera -collaborazioni con quotidiani e riviste, scritti di rievocazione storica, fiabe . La scrittura di prose è fondamentale per comprendere l’inconfondibile disposizione di Gozzano, che tende ad allontanare e a rimuovere il rapporto con la realtà, mediando attraverso lo scherno della finzione letteraria. -”i Colloqui”: ripercorre l’itinerario poetico ed esistenziale del poeta, in cui si rievoca il motivo di rimpianto, la vita che il poeta non ha vissuto e che altri hanno vissuto per lui, filtrata da un’ironia amara e disincantata, unita all’angoscia della morte, il motivo della malattia,l'impossibilità di fuggire dalla brutalità del presente. Gozzano paralizza l’immagine dannunziana della donna fatale al quale contrappone la donna di provincia; è in contrario del superuomo, al quale contrappone l’uomo borghese, in quanto tutto è permeato dall’angoscia della morte. Condo Code l'immagine del grigiore quotidiano, ma si distingue per la sua ironia, il suo distacco nei confronti della rata; è consapevole di vivere in un'epoca che ha bricato i suoi miti. Non fa polemiche, rimpiange il passato, è un uomo nutrito di di profonda cultura, che gli impedisce di essere piatto nella sua poesia, emerge infatti la riflessione filosofica. Non è una poesia portatrice di valori, non è didattica, ma semplicemente il manifesto del malessere, dell’insicurezza, della decadenza; il lessico è colloquiale ma sorveglia tissimo, ricco di accostamenti eruditi. → “LA SIGNORINA FELICITA OVVERO LA FELICITÀ", P.772 ITALO SVEVO Svevo è un romanziere che ha portato grande innovazione alla letteratura del suo tempo; con lui i protagonisti non sono più gli eroi dannunziani o i deboli della poetica verista, ma gli inetti, gli antieroi, gli abulici, incapaci di vivere e di tenere testa alla vita. Fonda il romanzo analitico, il romanzo dell'esistenza, del vivere, contano i vissuti e non i fatti, contano le risonanze che i fatti provocano nel soggetto, come egli vede la realtà, i pensieri del protagonista. Il suo vero nome è Aron Hector Schmitz; quando inizia infatti a pubblicare i suoi primi romanzi adotta uno pseudonimo, che racchiude la sua identità (nell’impero asburgico vi erano al tempo tante etnie, e vigeva l’editto di tolleranza). Questo pseudonimo è il manifesto della sua multiculturalità;si sente infatti in parte italiano e in parte tedesco, ma rimuove l'identità ebraica in quanto non è mai stato un ebreo praticante (quando sposerà Livia Veneziani si farà addirittura battezzare per farle un favore). VITA 1861 → nasce nell’aperta e vivace Trieste (per la quale manifesta forti sentimenti irredentisti), citta porto dell’impero asburgico, da famiglia borghese. Il padre era proprietario di un'azienda che, dopo aver conosciuto il fallimento, costringe Svevo a cercare forzatamente lavoro; lavora in banca per 20 anni, ma coltiva sempre la passione per la letteratura. Il lavoro in banca, assorbe lo scrittore al punto da distaccarlo temporaneamente dall'attività letteraria pur continuando a leggere la letteratura europea; l’esperienza in banca è per lui penosa inadatta alla sua indole, e chiari riferimenti sono riportato nel suo primo romanzo “una vita”. 1896 → sposa Livia Veneziani, il cui padre gli propone un lavoro nella sua industria di vernici; se prima Svevo è titubante decide di accettare, trovando in tale esperienza lavorativa, una mansione più dinamica. Diventa un industriale accorto e capace, viaggia e fa fortuna, ha la possibilità di stimolare la sua creatività e di avere contatti con l’inghilterra; sente a tale proposito la necessità di imparare l’inglese, e inizia a frequentare le lezioni private di Joyce, con il quale nasce una grande sintonia e amicizia, accomunati dal l'innovatività che la loro poetica ha apportato alla letteratura internazionale. Sarà Joyce a lanciare Svevo a livello europeo, con i suoi due romanzi; “una vita” (1892) e "senilità" (1898) diventano così conosciutissimi a livello europeo, ma ancora oscuri al pubblico italiano. Per la pubblicazione di entrambi i romanzi, Svevo era stato rifiutato dalla casa editrice Treves (che aveva pubblicato opere di grandi intellettuali come d’Annunzio e Verga), ed è dunque costretto a pubblicarlo a sue spese presso una piccola libreria di Trieste. In entrambi i romanzi ricorre il motivo della critica tagliente alla borghesia, toccandone con mano le contraddizioni (il suo stesso pubblico era borghese). Sono questi gli anni nel quale viene influenzato dalle teorie di Freud, e il metodo psicoanalitico entrerà fortemente a far parte della sua letteratura; Svevo non è però del tutti favorevole, in quanto, pur reputandolo uno strumento utile per conoscere se stessi, non lo considera una terapia di guarigione. 1923 → pubblica “la coscienza di Zeno", lanciato da Joyce a livello europeo; con questo romanzo Svevo viene considerato a livello europeo, ma in italia nessuno lo legge. 1928 → a Motta di Livenza Svevo muore in un incidente stradale. Il primo ad accorgersi della sua grandezza sarà Eugenio Montale, giornalista, poeta, critico letterario e musicale, che percepisce la fama di Svevo a livello europeo, la sua originalità come autore diverso da ogni precedente. 1925 → Montale fa scoppiare in Italia il caso Svevo pubblicando un articolo; il suo nome inizia a circolare. GLI INFLUSSI Fondamentale nelle sue opere è la formazione culturale; molto vasta e articolata, essa attinge dal positivismo, rifiuta l’idealismo, si sente in lui l'influsso di Darwin, di Marx (critica della borghesia e concetto di lotta di classe), Schopenhauer (per la capacità di cogliere gli autoinganni, concetti di voluntas e noluntas), Nietzsche (critica dei valori borghesi), FReud (complessità dell’io), Dostoevskij (analisi dell’io), Joyce (stream of consciousness), Kafka (innovazioni letterarie). I PROTAGONISTI Il protagonista delle sue opere è l’inetto: l’individuo che si trova in una società nella quale non trova corrispondenza, non è integrato, è diverso ed estraneo da tutti, e vive situazioni di profondo disagio interiore ed esistenziale, incapace di intessere rapporti. Non prende parte attiva alla sua vita ma lascia che i giorni scorrano rimanendone spettatore. che usa la conoscenza e il progresso per proiettarsi verso la catastrofe finale); Zeno è un essere in evoluzione, la sua non è un inettitudine statica, ma ha il desiderio di cambiare. Tutti i suoi propositi falliscono; vorrebbe sposare Ada ma finisce per sposare la sorella Augusta, tenta disperatamente per tutto il romanzo di smettere di fumare ma non ci riesce, vorrebbe rientrare negli standard della sua classe sociale ma continua a danneggiare, fumando, quella salute alla quale i borghesi tanto tenevano. Alla fine del romanzo, Zeno comprende, che quella società dei “sani” dalla quale si sente estraneo, tanto sana non è:finché descrive la salute della moglie infatti, essa si trasforma in malattia, ed analizzandola, analizza la malattia della società; Zeno è per Svevo, uno strumento di conoscenza e analisi della società. La prosa, se confrontata con quella degli autori precedenti, è antiletteraria: non vi sono suggestioni poetiche e liriche, lo stile è concreto e pratico, ricco di espressioni del parlato e del gergo impiegatizio, industriale e privo di sofisticazioni. → IL FUMO → LA MORTE DEL PADRE PIRANDELLO L'innovatività di Pirandello sta nel saper cogliere quella frammentazione dell’io già avvertita da Svevo: la realtà visibile, quella polivalente e sfaccettata, non è altro che una finzione continua. Gli uomini, inseriti nella societa e costretti a incastrarsi nei ruoli che essa predispone, non è altro che una recita continua: siamo tutti attori mascherati di un enorme teatro, nel quale nessuno, nemmeno con se stesso, è chi è veramente. Siamo inseriti in un divenire continuo, in una trasformazione perpetua di eventi resa tragica attraverso lo strumento dell’umorismo. VITA 1867 → nasce a Girgenti da famiglia agiata di condizione borghese, dove il padre imprenditore aveva preso in affitto delle miniere di zolfo. Dalla facoltà di lettere di Palermo si trasferisce all'università di Bonn perché aveva avuto una discussione con un professore: mentre stava ascoltando una lezione di latino, sembra che il professore avesse fornito un'interpretazione errata: Pirandello diede un colpo di spalla al compagno, evidenziando l’errore del professore. Viene bandito da tutte le università italiane. A Bonn si laureò in filologia romanza, con una tesi sul dialetto do Girgenti, ed era a contatto con gli autori romantici tedeschi e il contesto intellettuale del luogo. Si stabilisce a Roma, dove conosce Capuana, e scrive il suo primo romanzo, "l'esclusa". A Girgenti sposa Maria Antonietta Portulano, con la quale va a vivere a Roma. Insegna italiano nelle scuole superiori, scrive saggi e articoli, abbozza le sue grandi opere. Un evento sconvolge però la sua vita: una frana causa un allargamento delle cave di Zolfo del padre, annullando tutti i suoi investimenti. La disperazione è anche della moglie, perché parte della sua dote era stata investita in tali miniere; fu così che Maria Antonietta iniziò ad essere instabile di mente. Questo evento, porta Pirandello a riflettere sull'istituzione della famiglia come prima gabbia sociale, che lo costringe, per mancanza di soldi a scrivere a livello commerciale, per poi soccombere ai deliri della moglie; la posizione economica, così come la salute dei familiari, imbrigliano la spontaneità umana. In questo periodo lavora anche per il cinema, per il quale scrive sceneggiature per il film, vivendola come una declassazione: dalla condizione di agio borghese, proprio come Svevo, si ritrova ad essere un piccolo borghese. Non considerato dalla critica, si dedica alla scrittura di opere teatrali. 1915 → a Milano mette in scena la sua prima commedia “se non così". Scrive diversi drammi, come “pensaci Giacomino” “il berretto a sonagli", “gioco teatrale”... Durante la prima guerra mondiale il teatro è molto impegnativo, in quanto la realtà circostante lascia poco spazio all’umorismo. Nei conflitti, si schiera dalla parte degli interventisti; vede la guerra come la fase finale del risorgimento italiano, per poi cambiare posizione in seguito alla prigionia del figlio da parte degli austriaci. Dopo il peggioramento della malattia mentale della moglie, è costretto a chiuderla in un ospedale. Con l'opera “quattro personaggi in cerca d’autore”, egli sperimenta la strategia del metateatro, non compresa dalla critica. Intraprende la carriera di insegnante universitario, per poi, nel 1922, iniziare la direzione del teatro di Roma, legandosi sentimentalmente con l’attrice Marta Ava; ruolo ottenuto in seguito all’iscrizione al partito fascusta, da lui ammirato per l'ordine, che gli dava l’illusione di un soffocamento di quei ruoli sociali a lui tanto stretti. Arriva per a disprezzare il partito, percependo che, oltre le parate e l’apparenza, si nascondeva una fpndametale vuotezza: era in fondo un anarchico, un ribelle, un anticonformista; anche la politica cistringe a ruolioe regole. Compone “novelle per un anno” e "maschere nude”. 1934 → nobel per la letteratura 1936 → si ammala di polmonite e muore. LA VISIONE DEL MONDO Tutta la realtà pirandelliana è dominata dal concetto di vitalismo: tutta la realtà è vita, fluire continuo, divenire dinamico in continua trasformazione, che si conforma con il movimento continuo di persone e cose; se qualcuno si stacca si irrigidisce e muore. Chi è intrappolato in una maschera inizia a morire, in quanto muore la sua spontaneità. L’uomo, immerso nel divenire, è però costretto a indossare una maschera e acquisire una forma; non è unica e oggettiva, le maschere che indossiamo sono tantissime, che nascondono fluire distinti, non un io unitario e oggettivo. A questo punto è chiaro che la dimensione dell'identità viene da Pirandello completamente decostruita. Nell'epoca delle macchine, dell'industrializzazione, del lavoro in serie in fondo, l’uomo aveva pienamente smarrito la sua identità, e diventa un numero nell’enorme ingranaggio della burocrazia. Anch'io rapporto vengono personalizzati e si smarriscono nel caos delle grandi città; è un disagio tipico decadentismo; con Pirandello però si va oltre la chiusura interiore di Pascoli: con lui l’io si sfalda, diventa un tutt’uno con la dinamicità del mondo, smarrendosi come un’ombra irrilevante in esso. La mancanza di gettata nelle persone determina che tutti siano "nessuno": la nullificazione dell’individuo porta a percepire la società come la peggiore delle trappole, che imbriglia la spensieratezza e la spontaneità coprendola con le maschere, come costruzioni artificiose e fittizie. L'impossibilità di vivere appieno la vita, congiunta con la morte dell'identità, porta la poetica pirandelliana a colorarsi di un radicale pessimismo, nel quale, la molteplicità dell’io (influenza dello psicologo Binet, per il quale dentro l’umano vivono migliaia di esseri diversi), porta alla sua completa disgregazione; l’io si sfalda definitivamente, nel naufragio di tutte le certezze. L’avvertimento di non essere “nessuno” consegue a uno stato di solitudine agghiacciante; è un'umanità che si “vede vivere”, si osserva dall’esterno come accostamento di stati incoerenti, senza mai prendere parte alla propria vita. Le principali agenzie sociali che secondo l’autore imbrigliano primariamente la spontaneità sono: -la famiglia come istituzione imperante della vita umana, ne scandisce le tappe, ne detta le regole, e costringe a essere fin da subito inseriti nella trappola della condizione economica, dei ruoli gerarchici -l’economia, il lavoro come un sottostare continuo al volere di altri L’autore però, trova rifugio nell'immaginazione, vista come un staccarsi dalla società per collocarsi in un mondo ad essa alieno; è un evadere dalla minaccia del reale, per trovare rifugio presso un altrove fantastico fino a sfociare nella rottura completa con tutte le regole: la follia. La condizione di chi evade in un mondo immaginifico è da Pirandello appellata come quella di un “forestiere della vita”; è colui che comprende la funzione continua in cui siamo immersi, un comprendere che nulla può essere percepito come autentico. E una volta isolato il mondo della finzione, lo guarda con occhio umoristico; vede un'umanità imbrigliata nei ruoli, che si mostra all’autore in modo ridicolmente tragico. Adotta la “filosofia del lontano”: essa consiste nel contemplare la realtà da un’infinita distanza, per vedere da una prospettiva straniata tutto ciò che la società considera “normale”, per coglierne l'inconsistenza, l'assurdità, la vuotezza totale di senso. La realtà è polivalente, magmatica e sempre in trasformazione: ne deriva l'impossibilità di rinchiudersi egro schemi totalizzanti e onnicomprensivi, in quanto ogni immagine globale è il sunto di tante proiezioni soggettive. Ognuno ha la sua verità; questo si concretizza in un relativismo conoscitivo che fa in modo che ognuno abbia la sua verità, la sua visione del mondo, il suo personale modo di percepire la realtà. E tra le varie realtà che ognuno produce, vige una sostanziale incomunicabilità (tema fondamentale del 900), che contribuisce ad accrescere la solitudine esistenziale che aleggia tra gli individui. In questo contesto Pirandello esula dalla visione prettamente decadente per la quale oltre la superficiale falsità della realtà vi è un mondo spirituale conoscibile da pochi; per lui ogni aspetto del reale è il frutto di contraddizioni continue, e tutto concorre al brutale spettacolo della vita, in una realtà che si sfalda in migliaia di frammenti che non hanno significato tra loro. 1908 → esce il saggio “l’umorismo”, che per l’autore fa riferimento al “sentimento del contrario”; per spiegare tale concetto, egli stesso riporta un esempio: se vedo una vecchia signora imbellettata avverto che essa è il contrario di ciò che dovrebbe essere; questo “avvertimento del contrario" è di per sé comico, ma nel momento in cui scoprono che l'atteggiamento è dovuto all’illusione del poter trattenere con sé il giovane marito, ecco che si passa al “sentimento del contrario", ovvero l'aspetto umoristico. La realtà viene così vista nel suo carattere molteplice e contraddittorio, permettendo di vederla da diverse prospettive contemporaneamente. In una realtà multiforme e polivalente, tragico e comico si completano per donare al mondo il suo aspetto contraddittorio. I PERSONAGGI Tutti i suoi personaggi, sono ritratti in tono fortemente umoristico come delle caricature; ci propone una galleria sterminata di difetti umani, di maschere avvilite da una sofferenza senza riscatto, schiacciate dalla “pena di vivere così". Pirandello si accanisce nel deformare i tratti fisici, carica sino al parossismo gesti e movimenti, trasformando le figure umane in allucinate marionette, portando sino all’estremo e all'inverosimiglianza i casi più comuni della vita. La legge che li domina non è il determinismo naturalistico, ma la casualità più comica, che slega gli eventi da ogni senso. OPERE NOVELLE PER UN ANNO Raccolta copiosissima che raccoglie tutte le novelle scritte da Pirandello in tutto l'arco della sua vita; a differenza della tradizione novellistica di Boccaccio, esse non sono disposte in un ordine preciso, lo stesso titolo presagisce infatti qualcosa di generico. Se l’approccio si mostra spiccatamente verista, del verismo Pirandello non conserva l'estrazione del narratore, e non c'è ricerca storica e sociale. La sua è una società che fa sorgere miti ancestrali, archetipi nalizzati (terra, luna). All’interno di questa raccolta è possibile distinguere le così chiamate “novelle siciliane": sono ambientate in una Sicilia contadina e rurale, spesso del ceto impiegatizio della capitale. Evidentissimo è il sostrato ancestrale, mitico e folklorico della terra siciliana, che rivela il clima decadente. Dall'altro lato, quelle figure dell’arcaico mondo contadino vengono deformate fino al parossismo di una carica grottesca, che le trasforma in immagini bizzarre, stravolte, allucinate, ai limiti della follia e oltre, e le vicende diventano paradossali, estremizzate fino all’assurdo. →CIAULA SCOPRE LA LUNA Ciaula (il cui nome in dialetto siciliano significa “cornacchia”), è un minorato mentale che lavora in una miniera di zolfo (riferimento biografico ), maltrattato dalle mire tiranniche di Zi Scarda; il lavoro lo impegna tutta la giornata, e quando torna a casa al tramonto, sfinito, dorme fino al mattino seguente. Questo fa in modo che Tayla non abbia mai visto la luna, e paura del buio, come realtà che non ha mai conosciuto. Un giorno Zi Scarda impone di lavorare dopo l’orario consueto; Ciaula viene caricato di sacchi di zolfo fino al cedimento delle gambe, ma la sua preoccupazione non è la fatica, bensì il dover uscire dalla cava con il buio, e a questo proposito continua ad aggiungere olio alla sua lampada. Ma quando esce, una rivelazione, una teofania si impossessa di lui, scatenando il pianto del protagonista; conosce la luna, che gli illumina il cammino soccorrendolo. La sua è una vera e propria rinascita, manifestata tramite le espressioni “veniva su dal ventre della montagna”, “appena sbucato all’aperto”, “ora era sbucato dal ventre della terra”: la luna si manifesta come l’apparizione di una divinità, un moto ancestrale che consola, libera dalla paura il protagonista. La novella si manifesta sulla scia di “Rosso Malpelo", ma si differenzia per: -la conclusione, che a differenza della novella verista lascia al protagonista una via di liberazione -l’incnsapevolezza del protagonista della sua condizione di sfitatto e maltrattato, accentuato dal tema della follia -mentre la vita di Ciaula cambia e si riscatta, Malpelo è costretto a soccombere alla desolata fine tipiche dell'umanità dei vinti ritratta da Verga. IL FU MATTIA PASCAL Questo romanzo accentra in sé la visione del mondo pirandelliano, l'umanità delle maschere, la conformazione ai ruoli e la volontà di un protagonista di evadere da esso, scoprendone rassegnatamente l'impossibilità. Già il titolo del romanzo è esemplificativo dell’opera: “il fu” presagisce la continuazione dell’esistenza del personaggio seppur inserito nella non esistenza, “Mattia” significa “pazzia” in dialetto siclinano, che in questo romanzo viene vista come elemento che dà consapevolezza della realtà, “Pascal” fa riferimento al filosofo Blaise Pascal, da cui Pirandello è stato ispirato per il pensiero 180. “Io non so nè perchè venni al mondo, ne come, ne cosa sia il mondo, nè cosa io stesso mi sia”; si apre così la riflessione sul tema dell'identità dell'uomo, che nel romanzo viene distrutta, rivelando al contempo l'impossibilità di vivere al di fuori delle maschere, di fuggire alla dimensione tragica e comica dell’esistenza. SABA Saba si caratterizza per una totale estraneità nei confronti delle mode letterarie e delle correnti del tempo. L'isolamento è infatti un tratto caratteristico della sua vita e della sua poetica, e gli permette di concentrarsi sulla sua interiorità, nella volontà di vivere in armonia con il mondo. La sua produzione ne risente fortemente; è una poetica venata di tristezza e desolazione, che sgorga dall’io del poeta. 1928→ la rivista fiorentina “solaria” lo consacra come poeta, dedicandogli un intero numero e non riconducendolo a alcune corrente VITA 1883 → nasce a Trieste; la madre, Rachele Coen appartiene ad una famiglia ebraica di commercianti, mentre il padre, Ugo Edoardo Poli appartiene ad una famiglia cristiana veneziana, e si era convertito all’ebraismo per sposare Rachele, che successivamente abbandonerà. Non prende il cognome del padre in quanto lo ripudia come figura assente e noncurante dei figli: lo descrive come “gaio e leggero”, superficiale e sempre in difficoltà economica, che aveva sposato la madre solo perché incinta, per poi abbandonarla. La figura paterna sancisce in Saba una profonda lacerazione, evidente nelle sue poesie. La scelta del cognome è dovuta alla baia a cui è stato affidato da bambino, una contadina slovena che dopo aver perso il figlio appena nato si offre per allattare Umberto; si chiamava Peppa Sabaz, e tra i due nasce una sintonia tale da indurlo ad adottare il suo cognome, modificandolo per rendere maggio alla madre: Saba, in ebraico significa “pane”. Vive a Trieste, frequente la scuola con scarso profitto, la abbandona per proseguire come autodidatta; nel frattempo trova un impiego presso una ditta triestina, dove subisce la tirannia di un lavoro lento e monotono. 1903 → si trasferisce in Toscana, a Pisa, dove frequenta l'università, per poi recarsi a Firenze do e intrattiene ferventi rapporti con gli ambienti culturali del tempo 1909→ torna a Trieste dove sposa Carolina Welfare, cantata come “Lina” nelle sue poesie; è la sua musa ispiratrice, donna amatissima che gli darà la figlie Linuccia Allo scoppio del dibattito sulla prima guerra mondiale è interventista; combatte nella guerra prestando servizio delle retrovie. Tornato dalla guerra apre a Trieste una libreria antiquaria, che funge da sua casa editrice personale; trascorre nella libreria gran parte della sua vita, ed è il punto di equilibrio tra la sua passione letteraria e l'attività commerciale, riprendendo la tradizione della famiglia della madre. 1920 → pubblica delle raccolte di poesie 1921 → pubblica la prima raccolta del “Canzoniere”, opera cui lavora per tutta la vita, arricchendola di nuove poesie 1924 → pubblica “autobiografia” Sono anni di formazione dal punto di vista letterario, ma anche anni durissimi in quanto si aggrava la sua malattia nervosa; decide di mettersi in cura dallo psicanalista Edoardo Weiss, allievo di Freud. Continua a scrivere anche durante i continui ricoveri ospedalieri. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, a causa delle sue origini ebraiche è costretto a rifugiarsi a Parigi; lascia la libreria a un suo fedele commesso,che la gestisce con cura e impegno. Tornato da Parigi, è ricercato dai fascisti; passa per Milano, dove conosce Giulio Einaudi, che pubblicherà l’ultima delle tante edizioni del canzoniere. Va a Roma, dove vive nascosto a casa di amici. Per ribellione, e non per convinzione ideologica si iscrive al partito comunista. 1945 → seconda edizione del canzoniere 1946 → premio letterario Viareggio Costretto a continui ricoveri, scriverà in ospedale il romanzo “Ernesto”. Riceve la laurea in lettere honoris causa dall'università di Roma. 1957 → muore in una clinica psichiatrica a Gorizia, dove poco prima aveva ricevuto la straziante notizia della morte della moglie, ricevendo dalla clinica il permesso di uscire in occasione del funerale. LA POETICA Evidente in Sba è la volontà di ritorno alla poesia tradizionale, caratterizzata dalla semplicità, parole semplici e comuni inserite in un contesto familiare e quotidiano, domestico. Nonostante ciò non è però mai superficiale, perché nasce dalla profondità dell’animo, da un'ispirazione profonda. Dalla coscienza, l’autore riesce a sublimare nelle sue poesia conflitti, angosce, dolori e contraddizioni. La psicanalisi viene dunque vista come mezzo per conoscere la provenienza della sua poesia, che, per i suoi aspetti ambivalenti, viene definita dalla critica come “facile e difficile”. è una poesia semplice nel suo essere discorsiva, immediata comune ed elementare (riduzione al grado 0), ma allo stesso tempo estremamente complessa a causa della moltitudine significati attribuiti alle parole, che nascondono in sé una verità: "verità che giace sul fondo delle parole”. Nelle sue poesie Saba si interroga sulla vita dell’uomo, sulle sue angosce e contraddizioni. I temi sono svariati, e si estendono dalla città di Trieste, alla moglie, alla figlia, che personificano l’amore per la vita. Ma pregnanti sono anche i temi del dolore, dell’angoscia, della famiglia, della maternità; la moglie viene spesso paragonata ad un animale da cortile, come paragone tra l’amore e le forze della natura. Nella moglie, il poeta ricerca i tratti della madre. OPERE IL CANZONIERE è la sua raccolta più significativa, che ha contado tutta la sua vita, che si vede scorrere nell'opera come una cronaca della sua esistenza. L’opera è stata definita dall’autore “una storia"; è la storia della sua vita, che si scandisce sulla base dei tre periodi della giovinezza, maturità e vecchiaia. Definisce la sua poesia “onesta più che bella”; parla di cose quotidiane e semplici senza sofisticazioni retoriche, parla di una realtà concreta e terrena che ha come centro propulsore l’uomo in tutte le sue sfaccettature. Lo strumento privilegiato per comprendere la realtà è la psicologia, in particolar modo la psicoanalisi come svincolamento da una realtà opprimente, infarcita di condizioni moralistiche. Nella psicoanalisi non c’è il filtro del bene e del male: è per il poeta un ‘evasione dalla finzione e un tuffo a capofitto nella realtà dell’uomo. UNGARETTI VITA 1888 → nasce ad Alessandria d'Egitto, dove i genitori italiani possiedono un forno; il padre, che lavora per la costruzione del canale di Suez, muore quando il figlio ha solo due anni, a causa di un incidente nel cantiere. 1912 → si trasferisce a Parigi per studiare all'università, dove avrà per docente Bergson; a Parigi entra in contatto con la grande poesia decadente, ammiratore di Baudelaire e Mallarmé. Rilevanti sono anche i contatti con i futuristi italiani e Palazzeschi. Nell’Europa dominata da l'incombere della guerra mondiale, Ungaretti vive quello spirto di tensione che accomuna molti intellettuali del suo tempo: sarà interventista 1914 → torna in Italia per arruolarsi volontario nel conflitto come fante. Convinto della positività della guerra, combatterà nel Carso tra il 1914 e il 1915, per poi, nel 1918, combattere sul fronte francese. Ne tornerà distrutto: l’esperienza di vita in trincea disintegra moralmente l’autore, che vive una realtà diversa da quella immaginata. Le sue prime poesie e le sue prime raccolte vengono scritte durante la guerra, e hanno come tema centrale lo strazio, la brutalità, il dolore del conflitto; dalla crudeltà e dalle atrocità della guerra, l'autore sa trarre valori esistenziali che accomunano tutti gli uomini, facendo nascere dalla negatività dei valori anche positivi. 1916 → pubblica la prima raccolta, “il porto sepolto” 1919 → pubblica la seconda raccolta, "allegria di naufragi” 1931 → le precedenti raccolte, all’inizio pubblicate singolarmente, vengono riunite in un’unica raccolta chiamata “l'allegria" 1921 → si trasferisce a Roma dove lavora come ministro degli esteri, aderendo al fascismo (si riscontra la sua firma nel “manifesto degli intellettuali fascisti”); tale adesione rimane però inspiegabile, e getta un'ombra sulla sua opera, stridendo con le sue considerazioni sulla guerra e sulla poesia intesa come portatrice di un messaggio solidale e fraterno. Diventa corrispondente del giornale “popolo d’Italia”, fondato da Mussolini nel 1914. 1933→ pubblica “il sentimento del tempo" Sono anni in cui si dedica alla collaborazione con riviste e giornali, affermandosi come uno dei maggiori intellettuali 1936 → ottiene la cattedra di letteratura italiana all'università di San Paolo in Brasile, dove rimane fino al 1942 Alla morte del figlio Antonietto (appendicite mal curata), il poeta subisce un grave perdita affettiva, alla quale si congiunge la morte del fratello; il dolore accumulato prende forma nei versi de “il dolore”. Tornato in Italia, grazie all’adesione al fascismo ottenne la cattedra di letteratura italiana contemporanea all'università di Roma, città che funge da base per l’osservazione degli orrori della seconda guerra mondiale. Sono anni dediti all'insegnamento e alla traduzione di testi inglesi e francesi. 1970→ decide di raccogliere la sua intera poetica della raccolta “vita di un uomo", nel quale il poeta narra in forma autobiografica gli avvenimenti della sua vita e le esperienze da lui compiute, ma in poesia. Muore a MIlano nello stesso anno. POETICA Due sono i tratti fondamentali riscontrabili nella sua poetica: -la forte fiducia nella parola come capace di esprimere l’essenziale -le innovazioni nella forma, che sfociano in un modo di fare poesia che assume i caratteri dell'ermetismo La poesia assume con Ungaretti la funzione di illuminare la realtà, svelare il senso profondo delle cose. Questo si attua tramite una distruzione del vero classico, rompendo definitivamente con la tradizione poetica grazie a una rottura totale della sintassi. Sono poesie brevi, sintetiche, composte di poche parole ma capaci di comunicare l’essenza della vita attraverso l’analogia (non quella del’800, che aveva tentato una conoscenza analitica e immediata del reale istituendo collegamenti chiari tra le cose (“le rotaie”, “i ponti”)). La sua è un’analogia difficile, che gioca tra contrasti tra immagini tra loro lontane dal significato non immediato e comprendono solo riflettendo singolarmente sulle parole ( → Mallarmé, poesia evocativa che isola le parole nella loro purezza). Non è un poesia narrativa e discorsiva, ma composta da brevi enunciati, diretti, immediati, fulminei. “il poeta d'oggi cercherà di mettere a contatto immagini lontane, senza fili. Della memoria all’innocenza, quale lontananza da varcare; ma in un baleno”. Così facendo il poeta supera “in un baleno” la distanza che separa il mondo della realtà e della storia (“la memoria"), da un mondo superiore e divino che gli rivela l’essenza delle cose (“l’innocenza”). Il poeta si rende così il sacerdote della parola; la parola poetica ha valore sacrale come strumento fondamentale per cogliere l’essenza del mondo, che non può essere spiegata in modo narrativo ma solo attraverso le intuizioni. La poesia appare al poeta intuitivamente come un lampo, è un'apparizione, una rivelazione fulminea. Il verso tradizionale viene distrutto (frequenti le frasi nominali, versi scarni che appaiono come distaccati gli uni dagli altri, le subordinate sono rare e la punteggiatura è spesso assente). OPERE IL PORTO SEPOLTO Il titolo della raccolta richiama il segreto insito nell’uomo; allude al porto di Alessandria D’Egitto, città fondata da Alessandro Magno, ma si dice che il porto esistente all'epoca di Tolomeo. “Il porto sepolto” allude al segreto della poesia, celato nel fondo di un “abisso” valocavile solo dal poeta; ed è "sepolto" nel fondo dell’animo umano, tema sul quale riflette durante la vita in trincea, scosso dalla desolazione e dalla violenza della guerra. ALLEGRIA DI NAUFRAGI Il titolo è un espressione ossimorica che rivela l’allegria come il momento di gioia nel quale si scopre di essere sopravvissuti alla morte; una persona che sopravvive a un naufragio, sarà persa momentaneamente da una forte allegria, per poi sprofondare nel dolore alla lista dei compagni morti. “Allegria” allude all’”esultanza di un attimo”, mentre “naufragio” allude all'effetto distruttivo della morte, travolto, soffocato consumato dal tempo. Eppure, per le foglie è naturale farlo, mentre l’uomo, in guerra è estrapolato da se stesso, e immerso in una realtà che lo sconvolge e tormenta; può esserci qualcosa di naturale in questo? L’ERMETISMO Più che come un movimento, l’ermetismo si configura come un atteggiamento letterario tipico dei poeti del 900. Il termine venne utilizzato per la prima volta nel 1966 dal critico Francesco Flora, il quale voleva indicare una poesie scarna, che si intesse sulla base di un linguaggio difficile, misterioso e oscuro, quasi al limite dell'incomunicabilità. Hermes, nella mitologia greca, era infatti il dio delle scienze occulte, misteriose, e il protettore dei ladri, che agiscono nell'oscurità. La particolarità dei poeti ermetici è che non raccontano, non descrivono, non ragionano e non spiegano; la loro attività sta nel fissare frammenti di verità attraverso la capacità evocativa della parola, cercano do scoprire il mistero della vita attraverso l’indagine interiore. I testi appaiono così brevi e concentrati, composti da poche parole che hanno capacità allusiva e valenza analogica e simbolica. La parola non è mero veicolo di comunicazione, ma sa essere simbolica se colta nella sua essenzialità. è una poesia dura, che vuole liberarsi dalla retorica, dal sentimentalismo e dalla ricchezza tematica e lessicale. Si svincola così da ogni finalità e praticità, in quanto fatta di stati d’animo e immagini frammentate. I poeti ermetici sono testimoni del loro tempo; vivono e scrivono nel difficile periodo della guerra, del fascismo e sono condannati a una solitudine morale, ossa dalla violenza di un mondo offeso dalla dittatura. Sono privi di ideali, non lanciano un grido rivoluzionario ma si abbandonano al fatalismo, senza proporre alternative; è un mondo che non ha più certezze né appigli. Temi: mancanza di fiducia, crollo dei miti (solidarieta, progresso, positivismo, civiltà..), dolore, solitudine QUASIMODO VITA 1901 → nasce a Modica ( Ragusa, all’epoca Siracusa); la sua infanzia è difficile, in quanto trascorsa in vari luoghi della Sicilia, costretto a cambiare continuamente città in quanto il padre era capostazione per le ferrovie dello stato. 1908 → si trasferisce a Messina dove consegue il diploma di geometra presso un istituto tecnico Trasferitosi a Roma per studiare all'università, passerà dalla facoltà di ingegneria a quella di agraria, non arrivando mai alla laurea; nel frattempo, servendosi dell’aiuto di un monsignore, inizia il suo approccio al greco e al latino, svolgendo diversi lavori per mantenersi. Si trasferisce a Reggio Calabria dove lavora in virtù del suo diploma tecnico; passa anche per Firenze (dove incontra Montale) per poi stabilirsi a Milano. 1932 → pubblica la sua prima raccolta di poesie, “acque e terre”, emblematiche della poesia ermetica 1936 → diventa l’esponente più autorevole dell'ermetismo, e la sua fama viene consacrata grazie all’opera “erato e apollion" Ha subito grande successo e questo gli consente di dedicarsi al giornalismo, approdando definitivamente dal mondo tecnico a quello letterario. 1940 → pubblica la raccolta di traduzioni classiche “lirici greci” 1941 → diventa professore di italiano al conservatorio di Milano per “chiara fama” 1942 → pubblica la raccolta “ed è subito sera” Con la seconda guerra mondiale ha fine la sua prima fase poetica, per iniziare una seconda fase; quella di impiego civile, consacrata con la raccolta “giorno dopo giorno” del 1947. Alla morte della moglie sposa abito un'altra donna (avrà un sacco di donne). 1959 → vince il nobel all'università di Oxford destando la sorpresa dell’ambiente culturale del tempo 1967 → riceve la laurea ad honoris all'università di Oxford 1968 → muore a Napoli, colpito da ictus POETICA La poetica di Quasimodo si può racchiudere in due fasi: -ERMETISMO (“acque e terre”): in questa fase rientrano tutte le caratteristiche della poesia ermetica (poesia scarna, oscura, sintassi frammentata e nominale…) I temi sono quelli legati alla sua terra natale, alla sua casa, alla sua famiglia, la madre, l’infanzia e la nostalgia per la sua terra. La Sicilia diventa così lo specchio della condizione esistenziale dell’uomo; si sente in fondo un esiliato, uno sradicato, un giovane costretto a vagare le città a causa del lavoro del padre, sempre pervaso dalla solitudine "l'essenza della condizione umana è la sua solitudine". Parla della città disordinata e caotica delle metropoli che ritiene privo di senso, mentre lui resta ancorato a una terra selvaggia, che viene idealizzata, mitizzata: la Sicilia diviene così un mito, un paradiso perduto -CIVILE (“giorno dopo giorno”): il verso torna ad essere lineare e lungo, i termini si rendono più concreti e la poesia è semplice e comunicativa. Dopo la seconda guerra mondiale, Quasimodo ci comunica il dolore della guerra, in poesie che prendono spunto da fatti concreti, di storia e cronaca. Si sente investito di un compito civile: quello di rifare l’uomo, ricostruire l'umanità in seguito alla tragedia della guerra, dargli un'identità e farla interrogare sui valori della vita, lei che nella sua storia è sempre stata caratterizzata dalla violenza POESIE “ED è SUBITO SERA” Questa poesia rispecchia pienamente lo stile ermetico: i versi sono frammentati, il titolo non è poi come in Ungaretti, parte integrante della poesia, e la punteggiatura è posta volutamente nei punti errati. Solo / sole = paronomasia + allitterazioni Quasimodo ci parla di un'umanità (includendo ogni persona con il pronome “ognuno”), che si sente sola seppur “nel cuore della terra”: l’espressione osmotica è volta ad indicare la solitudine esistenziale che caratterizza la natura umana, seppur posta laddove la vita pulsa e trae la sua origine. Il sole, che in Ungaretto è simbolo di vita, “trafigge” ora l’uomo: i raggi del sole, seppur elemento che infonde la vita sulla natura, sono taglienti e spigolosi, un'arma letale per l’uomo. Con il verso finale, che riprende il tirolo, Quasimodo vuole evidenziare la caducità della vita umana; la “sera” della vita è imminente ed incombente, e la morte, imprigiona nei versi come una forza ultraterrena, è l'approdo finale dell'esistenza umana. “ALLE FRONDE DEI SALICI” La poesia si propone come obiettivo quello di spiegare il motivo dell’assenza di poesie durante la seconda guerra mondiale: Quasimodo spiega che gli orrori della guerra erano tali da ammutolire persino la creatività poetica; scopo didattico. Prende spunto dal salmo 136, che racconta la deportazione degli brei in babilonia: proprio come gli ebrei durante la deportazione non hanno cantato, i poeti hanno taciuto durante la guerra. Il poeta allude all’impossibilita di fare poesia “con il iede straniero sopra al cuore”, evidenziando immagini di morte e disperazioe tipche dlla guera (morti abbandonati nelle piazze, l’erba dura come il ghiaccio, i fanciulli che piangono ingenuamente, madri che vanno incontro a figli impiccati sul palp del telegrfo). L’immagine metaforica finale rappresenta pienamente il dolore e la disperazione dei poeti, che appendono le loro “cetre” (la loro arte, creatività) ai salici (albero del pianto), quasi come un voto, una scelta unanime (immagine della salvezza, dell'impossibilità di esprimere il proprio parere in guerra), e oscillavano lievi al triste vento. La poesia non ha più significato in un mondo sconvolto e distrutto dalla guerra. Molti sono i termini che si riferiscono a dei passi biblici (agnello, crocifisso, madre) e ci restituiscono immagini di sofferenza atroce. MONTALE Montale, poeta, scrittore, critico letterario, cinematografico e musicale, giornalista, traduttore, pittore… è il più grande poeta italiano del 900. Erroneamente considerato ermetico, conduce in realtà una pratica totalmente personale e disancorata da ogni corrente; è il massimo interprete della crisi che investe l’uomo contemporaneo; il male di vivere prende nei suoi versi forma, incanalando si in un dolore esistenziale che porta alla percezione della vita come una “muraglia” invalicabile. è la fine delle illusioni, la fine delle certezze, da cui ci si può sottrarre apparentemente solo tramite l’indifferenza. VITA PERIODO GENOVESE 1896 → nasce a Genova da una famiglia alto borghese; il padre ha una ditta commerciale 1915 → si diploma come ragioniere Da sempre appassionato di musica prende lezioni di canto, ma abbandona tale passione per partecipare alla guerra come sottotenente di fanteria (1ww). 1925 → fonda la rivista “il Baretti", e fa esplodere in Italia il caso Svevo, pubblicando su di lui un articolo sulla rivista “esame”. Nello stesso anno esce la sua prima raccolta, “ossi di seppia”, e firma il manifesto degli intellettuali antifascisti redatto da Benedetto Croce. In questo periodo, l’ascesa del fascismo lo porta ad isolarsi, condurre un'esistenza appartata PERIODO FIORENTINO 1927 → si trasferisce a Firenze dove inizia a frequentare un gruppo di intellettuali concentrato sulla rivista “solaria”; essi percepiscono le discipline umanistiche l’ultimo barlume di civiltà in grado di riscattare l'umanità dalle barbarie dell'imminente società di massa, che mette a tacere il pensiero, concezione elitaria della cultura. A Firenze diventa direttore del Gabinetto letterario Vieusseux, l’istituzione culturale più importante del tempo, che congiungeva la cultura scientifica e letteraria (ci erano passati Leopardi, Manzoni, Zola, Kipling, Schopenhauer, Dostoevskij …) ma viene sollevato dall'incarico perché non aderisce al fascismo. 1933 → incontra Irma Bandes, studiosa americana venuta a Firenze per studiare Dante; hanno una traslazione e la canta nelle sue poesie come Clizia; deve però abbandonare l’Italia perche di origine ebrea. 1939 → esce la sua seconda raccolta, “le occasioni” Inizia la sua attività di fervente traduttore. Incontra la sua futura moglie, Drusilla Tanzi, cantata come Mosca nelle sue poesie ( aveva degli occhiali con le lenti molto spesse), con lei si sposta a Milano. PERIODO MILANESE A MIlano diventa giornalista per il Corriere della sera, sul quale scrive di cultura. 1967 → viene nominato senatore a vita e frequenta ferventemente i salotti Pubblica “la bufera e altro", “satura” che contiene gli xenia dedicati a Mosca. 1975 → vince il nobel per la letteratura 1981 → muore a Milano, ma la sua tomba è a Firenze assieme a quella della moglie LA POETICA A differenza degli ermetici Montale denota una sostanziale sfiducia nella parola; non pensa che essa sia un mezzo di raggiungimento dell’assoluto, e non cede che la poesia possa trasmettere delle certezze: al massimo può dare delle definizioni per negazione "spiegare ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”. La musicalità del verso viene rifiutata, ed evidente è l’assenza di analogia e la predilezione degli oggetti; essi rivestono un ampio ruolo nella sua poetica; tramite la strategia del "correlativo oggettivo" utilizzata anche in letteratura inglese da TS Eliot, essi hanno sempre significato esistenziale, privati di tutti gli ornamenti della tradizione. Negli oggetti egli vede il destino dell'umanità, la sua situazione esistenziale intessuta sulla base dell'infelicità e dell'inquietudine. Sono oggetti umili, quotidiani e semplici; non ama la poesia aulica e ricercata, tipica dei poeti “laureati” Laddove utilizza termini aulici lo fa per ironizzare, e spesso sono accostati termini molto più umili e stonanti. Il verso tradizionale e l’endecasillabo viene restaurato, ed evidenti sono le alterazioni e i suoi duri, che evidenziano la durezza dell'esistenza.
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