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Guide e consigli
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Contesto storico del primo 900, Sintesi del corso di Italiano

Situazione economica e sociale: industrializzazione, emigrazione, governo di Giolitti, Italia in guerra. Ideologia: crisi del positivismo, Nietzsche e Bergson, partito degli intellettuali, Croce e la rinascita dell’idealismo. Istituzioni culturali: intellettuale protagonista, riviste + schema, programmi e critica militante, editoria e giornalismo. Lingua: scuola, la stampa, decollo dell’industria e emigrazione, espansione della burocrazia, vita militare e nascita dell’italiano popolare

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

In vendita dal 24/09/2019

GGiadArte
GGiadArte 🇮🇹

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Scarica Contesto storico del primo 900 e più Sintesi del corso in PDF di Italiano solo su Docsity! IL PRIMO NOVECENTO 1) SITUAZIONE STORICA E SOCIALE INDUSTRIALIZZAZIONE, INURBAMENTO, EMIGRAZIONE L’Italia all’inizio del ‘900 è ancora un paese prevalentemente agricolo, ma cominciano ad affermarsi strutture di un’economia più europea. Lo sviluppo industriale comporta la costituzione di un proletariato cittadino, soprattutto a Torino, che si avvia a diventare una forza sociale organizzata e consapevole. L’abbandono delle campagne e l’inurbamento costituiscono i primi segni di un’emigrazione interna, anche se prevale ancora il problema dell’emigrazione oltre confine, mentre peggiora la “questione meridionale”, che determina nel Sud sacche profonde di sottosviluppo. L’illusione di poter risolvere questi problemi alimenta ancora una volta le spinte di una politica coloniale: ma la conquista della Libia (1911-12) rappresenta un successo apparente e “di facciata” più che vera alternativa alla grave situazione economica. IL GOVERNO DI GIOLITTI E LA POLITICA ECONOMICA Ancora alla fine dell‘800 i tumulti cittadini e gli scioperi nelle campagne erano stati duramente repressi dalle forze dell’ordine. Con l’elezione del nuovo re, Vittorio Emanuele III, si avvertono i primi segni di cambiamento. I governi Saracco e Zanardelli avevano attenuato leggi più restrittive nei confronti lavoratori, ma maggior impulso al rinnovamento va attribuito a Giovanni Giolitti, eletto capo del governo nel 1903, che aveva avviato una politica di accordo fra i partiti. Oltre ad avviare una politica di risanamento e di attenta amministrazione, Giolitti vara importanti provvedimenti a tutela dei lavoratori anche per le donne e i minori. Anche in Italia cominciano così ad apparire i primi segni della “modernità”, soprattutto nel paesaggio cittadino modificato dall’elettricità e altre innovazioni tecniche. L’aumento del benessere caratterizza nelle classi abbienti la belle époque, l’età dei divertimenti e dei piaceri. Giolitti nel 1912 fece approvare la legge sul suffragio universale maschile. Il successo dei socialisti induce Giolitti a tentare un accordo con il Partito Cattolico, forte nelle campagne, Ma il “Patto Gentiloni” – 1913 – che prevedeva accordo fra cattolici e liberali, provocò forti resistenze da parte degli elementi più conservatori e Giolitti fu indotto a dimettersi. L’ITALIA IN GUERRA La situazione è destinata a precipitare con lo scoppio 1^ G.M nel 1914, che rappresenta uno sbocco drammatico dello sviluppo tecnologico- industriale, già in parte finalizzato alla produzione di armamenti e a tale esigenza interamente convertito negli anni del conflitto. Alla fine delle ostilità l’Europa si ritrova debole e impoverita con lacerazioni e squilibri ancora più profondi. L’Italia entra nel conflitto, nel 1915, non senza incertezze e contrasti fra: 1)Neutralisti (giolittiani, cattolici, gran parte socialisti) 2)Interventisti → fronte più consistente e animato, composto da: - Nazionalisti = ambivano a rilanciare ruolo Italia come potenza; - Irredentisti = aspiravano a liberazione terre ancora soggette all’Austria; -Frangia dei Socialisti = illudendosi dei benefici economici portati dalla guerra, attendevano un miglioramento delle condizioni di vita del proletariato; - Intellettuali = vedevano la guerra come una sorta di dovere morale o riscatto; 2) IDEOLOGIA LA CRISI DEL POSITIVISMO Il positivismo alla fine del‘800 entra in crisi, mostrando i limiti sua visione meccanicistica della realtà. Con la teoria della relatività, Albert Einstein, dimostrava che anche le scienze dette “esatte” (matematica, fisica, geometria) si fondano su presupposti convenzionali e “relativi”. Con la psicoanalisi, Sigmund Freud, liquidava le vecchie concezioni psichiatriche e antropologiche, contrapponendo loro la teoria dell’inconscio. Riferimenti che rientrano nel clima del rinnovamento attribuendo un’importanza crescente al ruolo attivo del soggetto, cioè si passa in modo progressivo da una concezione della realtà come fatto oggettivo, semplice e lineare, a una diversa percezione della complessità del reale, dove entrano in gioco elementi molteplici, irriducibili a una visione schematica e quantitativa dell’esistenza (come si era illuso di poter fare il Positivismo, spiegando e controllando in questo modo l’intera realtà). NIETZSCHE E BERGSON Questo mutamento delle coordinate conoscitive riguardava l’immagine stessa dell’uomo nei confronti della società. Il pensiero asistematico e “negativo” di Friedrich Nietzsche si stava diffondendo anche in Italia. La sua opera confuta le certezze della filosofia e della scienza ufficiale e smaschera le falsità delle ideologie. Tra le suggestioni filosofiche che influenzarono la cultura italiana, si deve ricordare Henry Bergson, che insiste su una concezione dinamica e in continuo divenire della realtà; la vita è intesa come “slancio vitale” che si può conoscere solo con l’intuizione, mentre la scienza dà delle cose una visione riduttiva e parziale. IL PARTITO DEGLI INTELLETTUALI Il bisogno di trasformare la cultura e la letteratura italiane è ampiamente diffuso presso la più giovane generazione degli intellettuali che, con la fondazione di alcune importanti riviste, creano i presupposti per lanciare le loro idee e i loro programmi. L’intento è anche quello di promuovere il miglioramento e la trasformazione della società, con una forma di intervento politico: non a caso si è parlato di “partito degli intellettuali” che, esprimendo un duro giudizio contro classe dirigente, si propongono come forza alternativa. Prevalgono le tendenze antidemocratiche e antisocialiste, il rifiuto dei valori borghesi considerati meschini e spregevoli, conduce alla richiesta di soluzioni autoritarie, lontane dall’egualitarismo di molte correnti dell’800. Al loro posto si afferma il culto dell’eroismo e della forza. L’esaltazione della macchina si trasforma nella propaganda a favore della guerra, definita “sola igiene del mondo” dai futuristi. L’ideologia nazionale si involve rapidamente in un acceso nazionalismo che spingerà l’Italia a entrare nel conflitto mondiale. Anche amore per la classicità finisce per riproporre quel mito della grandezza romana che verrà ripreso ed esaltato dal fascismo. CROCE: LA RINASCITA DELL’IDEALISMO Contro queste posizioni estremistiche si schierò Benedetto Croce: formatosi alla scuola del Positivismo, se ne staccò ben presto diventando il più autorevole esponente europeo della rinascita del pensiero idealistico. La sua riflessione di tipo teorico e critico, si sviluppo nei più diversi ambiti della filosofia, storia e letteratura, esercitando un’ influenza duratura sulla cultura italiana del 900. In Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale Croce rifiuta ogni spiegazione dell’opera d’arte legata agli schemi positivistici, come prodotto di circostanze sociali e ambientali, storiche e biografiche. Riprendeva il concetto di “autonomia” dell’arte, riconoscendo la sua più completa libertà: essa non obbedisce ad altre leggi al di fuori di se stessa. L’ideale di Croce respingeva le esperienze letterarie di tipo decadente e avanguardistico, ritenendole negative e “malate”; l’armonia da lui cercata nelle opere corrispondeva a un’esigenza di equilibrio e di “sanità” che non riusciva a comprendere le problematiche espresse dalla letteratura contemporanea. 4) LA LINGUA LA SCUOLA Durante l’età giolittiana cresce l’interesse dei governi per la scuola e la scolarizzazione subisce un incremento, determinando un regresso dell’analfabetismo. Persistono certo difficoltà al diffondersi dell’istruzione: scarsità di investimenti e quindi di mezzi per la scuola, larga evasione all’obbligo scolastico, specie al Sud, dove i bambini vengono spesso avviati al lavoro precocemente, e istruzione limitata al livello elementare, con il conseguente ritorno all’analfabetismo per coloro che poi non continuavano a esercitare la lettura e la scrittura. Gli effetti dell’istruzione si cominciano a fare sentire: sempre più persone sono in grado di parlare l’italiano, più o meno correttamente, oltre al loro dialetto. Nei ceti popolari, medi si comincia a parlare un italiano costellato di termini dialettali, mentre il dialetto resta predominante nella comunicazione familiare e quotidiana. LA STAMPA Accanto alla scuola, accresce la sua influenza la stampa quotidiana e periodica. Si affermano sempre più testate giornalistiche a diffusione nazionale, come il “Corriere della sera” o “La Stampa”. Si aggiunge anche il fenomeno della stampa di partito; è ovvio che i giornali sono un importante veicolo di diffusione della lingua nazionale. L’estendersi della lettura della stampa quotidiana incide sulle trasformazioni della lingua. I giornali devono farsi capire da larghi e diversi strati di pubblico e devono comunicare con rapidità: ne scaturisce un italiano più agile ed essenziale, con frasi brevi e un lessico semplice e comune, meno aristocratico di quello letterario. La lingua letteraria si avvicina sempre di più a quella parlata. IL DECOLLO DELL’INDUASTRIA E L’EMIGRAZIONE Alla diffusione della lingua nazionale dà un apporto decisivo il decollo dell’industrializzazione, che in Italia si verifica proprio nel primo decennio del Novecento. Grazie alla politica liberale illuminata di Giolitti, si garantiscono ai lavoratori migliori salari, orari di lavoro meno pesanti, e tutto ciò contribuisce a un incremento della lettura tra gli operai. L’espansione dell’industria determina il fenomeno delle migrazioni interne, che cominciano ad assumere proporzioni consistenti. Tanti contadini lasciano le campagne per trovare lavoro nelle industrie cittadine. Spesso la migrazione avviene all’interno della stessa regione, dai piccoli centri rurali alle maggiori città; coloro che migrano nel nuovo ambiente per capire e farsi capire sono obbligati ad abbandonare il loro dialetto e ad acquisire quello cittadino o a usare l’italiano. Si verificano migrazioni anche dalle campagne del Sud alle città industriali del Nord e gli emigrati, data la differenza delle loro parlate e quelle locali, sono costretti ad acquisire una minima conoscenza della lingua nazionale. A volete si cerca di usare il dialetto locale, dando luogo al fenomeno dell’ibridazione. L’emigrazione è massiccia anche all’estero. Proprio in questa occasione le persone si rendono conto di quanto sia importante l’istruzione e che devono mandare i propri figli a scuola. L’ESPANSIONE DELLA BUROCRAZIA E DEL COMMERCIO Altro fattore di unificazione linguistica è la sempre maggiore espansione della burocrazia. L’apparato burocratico dello Stato cresce perché cresce la popolazione, crescono le attività economiche e di conseguenza l’amministrazione deve affrontare sempre nuove e più complesse esigenze. Gli effetti linguistici si riscontrano in primo luogo sui burocrati stessi che a causa della centralizzazione amministrativa vengono spesso trasferiti lontano dal luogo d’origine. La burocrazia penetra ormai capillarmente nella vita quotidiana dei cittadini, i quali in innumerevoli occasioni devono fare i conti con essa. La lingua della burocrazia subisce influssi da parte delle parlate meridionali, poiché impiegati e funzionari spesso provengono dal Sud. Si viene a creare un vero e proprio linguaggio settoriale, chiamato “burocratese”. Con l’unificazione spariscono le dogane interne e così migrazioni e scambi commerciali non avevano nessuna barriera da superare. LA VITA MILITARE Il servizio militare è stato un altro fattore di omologazione linguistica dell’Italia. Proprio ai fini dell’unificazione nazionale, i giovani del Sud erano mandati nelle caserme del Nord e viceversa. Così i ragazzi venivano a contatto con ambienti dal dialetto e dalla cultura diversi e dovevano abituarsi a parlare italiano. Spesso gli analfabeti trovavano nel servizio militare l’occasione di compiere i primi studi. LA NASCITA DELL’ITALIANO POPOLARE Tutti questi scambi, dovuti alle migrazioni, ai trasferimenti burocratici, ai rapporti commerciali, al servizio militare, all’esperienza bellica, se da un lato favorirono l’uso della lingua nazionale, dall’altro lato fecero sì che espressioni e termini dialettali entrassero nell’italiano parlato, o addirittura in quello scritto. Si venne così a poco a poco a costruire un italiano popolare, diverso dalla lingua colta che si parlava nelle università, ma comunque una lingua viva e utilizzata sempre di più a fianco al dialetto.
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