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CONTESTO STORICO ITALIANO DOPO LA PRIMA GUERRA MONDIALE, Sintesi del corso di Storia

Realtà politico-sociale italiana: problemi del dopoguerra, contrasti sociali, affermazione del fascismo, scelte di politica interna, nazionalismo e colonialismo, alleanza con Germania e la guerra. Guerra: politica culturale, accademia d’Italia, censura, difesa dell’italianità, intellettuale impiegato: Gramsci e Gobbetti, fine del confronto culturale, consenso al fascismo, opposizione. La lingua: rallentamento dell’unificazione linguistica, interventi del regime, fattori unificazione linguistica

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

In vendita dal 24/09/2019

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Scarica CONTESTO STORICO ITALIANO DOPO LA PRIMA GUERRA MONDIALE e più Sintesi del corso in PDF di Storia solo su Docsity! LA REALTÀ POLITICO-SOCIALE IN ITALIA I PROBLEMI DEL DOPOGUERRA Nonostante le speranze che molti avevano riposto nella guerra, le condizioni del paese, alla fine del conflitto, non si possono certo considerare migliorate. Oltre all’enorme dispendio di energie produttive, distrutte dallo sforzo bellico, altissimo era stato il costo di vite umane. Ai problemi della società italiana se ne erano aggiunti dei nuovi. Già nel 1917 (in un momento di gravi difficoltà anche per gli effetti indotti dalla Rivoluzione bolscevica in Russia) gli operai avevano proclamato scioperi e agitazioni. Si facevano sempre più forti le richieste per una radicale trasformazione dei rapporti di classe, con l’emergere delle spinte rivoluzionarie (nel 1920 molte fabbriche del Nord verranno occupate e autogestite). Anche i nazionalisti non erano rimasti interamente soddisfatti dal nuovo assetto garantito dal trattato di pace di Versailles (1919), che lasciava in sospeso alcune situazioni di confine; in particolare Fiume, che verrà occupata nel 1919 da Gabriele d’Annunzio, e proclamata città aperta. Si apriva poi il problema dei reduci, che incontravano spesso difficoltà per il reinserimento nella vita civile e nel mondo del lavoro, anche a causa delle problematiche condizioni economiche. Di qui il malcontento e il desiderio di rivalsa di coloro che si sentivano traditi e non adeguatamente ricompensati per i sacrifici affrontati. L’ACUIRSI DEI CONTRASTI SOCIALI I deboli governi del dopoguerra non seppero porre rimedio all’aggravarsi dei contrasti sociali. I socialisti, sempre incerti fra riformismo e spinte rivoluzionarie, andarono incontro a una nuova scissione; i marxisti più ortodossi, capeggiati da Antonio Gramsci, si allontanarono per dare vita, nel 1921, al Partito Comunista Italiano. Dalle fila del socialismo proveniva anche Benito Mussolini, che tuttavia, dopo essere stato direttore dell’“Avanti!”, era divenuto fautore di una politica accesamente interventista. In seguito, nella sua scalata al potere, otterrà anche il favore della ricca borghesia agraria e di quella industriale, che si appoggiarono a lui per difendere i loro interessi di fronte ai pericoli di una rivoluzione comunista. L’AFFERMAZIONE DEL FASCISMO Dopo essersi dedicati fin dal 1919 ad azioni di violenza squadristica contro i socialisti, con la “marcia su Roma” dell’ottobre 1922, i fascisti occupano simbolicamente la capitale, senza che le forze governative oppongano resistenza. Nonostante l’esiguo numero di seggi da essi ottenuto nelle elezioni del 1921, il re Vittorio Emanuele III, affida l’incarico di formare il nuovo governo a Mussolini. L’alleanza con i conservatori, e il successo elettorale del 1924, non comportano tuttavia un abbandono dei metodi intimidatori e illegali. Nel medesimo anno l’assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti, commissionato dallo stesso Mussolini, provoca un’ultima ondata di proteste, sotto la quale il fascismo sembra vacillare. I parlamentari democratici manifestano il loro dissenso, ritirandosi sull’Aventino, ma non riescono ad esprimere una forza alternativa capace di opporsi. Superato il momento di crisi, Mussolini prende in mano la situazione e consolida la sua posizione; con il discorso del 1925, liquida definitivamente ogni forma di opposizione e sancisce, di fatto, la fine della democrazia. Da quel momento, per circa un ventennio, la storia politica dell’Italia si identifica completamente con quella del fascismo. La pace sociale viene così imposta, dal momento che alle classi è impedita ogni forma di rivendicazione e di dissenso (con l’abolizione del diritto di sciopero). LE SCELTE DI POLITICA INTERNA Gli anni 1923-25 presentano una ripresa dello sviluppo industriale e parallelamente vengono avviate alcune riforme agricole. Gli sforzi verranno intensificati dopo la crisi internazionale del 1929. Per reagire alle difficoltà, Mussolini ingaggia la “battaglia del grano” e, nel 1936, in seguito alle sanzioni economiche internazionali per l’invasione dell’Etiopia da parte dell’Italia, dichiara l’“autarchia” (la ricerca dell’autosufficienza economica attraverso lo sviluppo della produzione nazionale e la limitazione degli scambi commerciali con l’estero). Anche in campo economico il capo del fascismo si proponeva di conciliare le due “anime” del regime, quella rustico-tradizionalista e quella modernista-industriale, che sul piano culturale avrebbero dato vita agli schieramenti di Strapaese e Stracittà. Intanto venivano anche appianati i contrasti religiosi con la stipulazione, nel 1929, dei Patti Lateranensi, che regolavano i rapporti fra Stato e Chiesa (con il riconoscimento del regime da parte del Vaticano). NAZIONALISMO E COLONIALISMO L’idea nazionalistica che era alla base del programma mussoliniano trovava facili analogie con la potenza dell’antica Roma, di cui Mussolini si propose di emulare le sorti, riportando in vita le condizioni di quella remota grandezza e candidando l’Italia come sua legittima erede. Il nazionalismo fascista trovava così il suo sbocco in una politica imperialistica che si espresse in una ripresa delle iniziative di conquista coloniale. Nel 1936 i soldati italiani riuscivano a conquistare l’Etiopia e Mussolini poteva proclamare l’Impero, nominando Vittorio Emanuele III re d’Italia e imperatore dell’Africa orientale italiana. L’ALLEANZA CON LA GERMANIA E LA GUERRA In Germania nel 1933 era stato eletto come cancelliere Adolf Hitler. Il nazismo tedesco, in particolare, si caratterizzava per l’estremismo provocatorio delle sue scelte: dalle leggi razziali (a cui aderirà anche l’Italia nel 1938) alla corsa frenetica agli armamenti, si accelerava il cammino verso lo scoppio della Seconda guerra mondiale e il genocidio ebraico. Mussolini decise l’entrata dell’Italia in guerra nel 1940, quando i travolgenti successi delle armate hitleriane sembravano prospettare una rapida soluzione del conflitto. Le cose andarono invece diversamente. Quando volsero al peggio e la sconfitta sembrò inevitabile, Mussolini venne deposto (nel luglio del 1943). Riuscì a riparare a Salò, dove diede vita a una repubblica alleata dei tedeschi, la Repubblica Sociale Italiana. L’Italia rimaneva divisa e iniziava la lotta partigiana, che si sarebbe conclusa solo con la fine del conflitto e la sconfitta del nazifascismo. LA CULTURA LA POLITICA CULTURALE DEL FASCISMO Il venir meno delle libertà costituzionali segnò profondamente gli sviluppi della cultura italiana, che il fascismo sottopose a un pesante controllo. Lo scopo non era solo quello di stroncare ogni forma di aperto dissenso, ma anche quello di costruire una più solida base di consenso, coinvolgendo direttamente gli intellettuali. Dopo avere messo a tacere le opposizioni, Mussolini riuscì ad isolare i pochi avversari che rimanevano, circondandosi per il resto di uomini fidati, a cui furono delegate le più importanti mansioni culturali nell’organizzazione dello Stato. Inoltre vennero presi provvedimenti per impedire l’autonomia dell’espressione del pensiero e delle attività intellettuali. Nel gennaio 1926 Mussolini promulgò infatti una legge che sopprimeva la libertà di stampa, per ottenere il controllo della pubblica opinione. L’azione di propaganda si esercitò utilizzando anche i più recenti strumenti tecnologici, dal cinema alla radio. Massiccia fu inoltre l’opera di indottrinamento dei bambini e dei giovani, che venivano irreggimentati. LA SCUOLA E L’ACCADEMIA D’ITALIA Il processo di fascistizzazione coinvolgeva così i più diversi aspetti della vita e della cultura italiana, a partire dalla scuola, i cui programmi erano finalizzati a magnificare il fascismo. Una specifica riforma dell’ordinamento scolastico imponeva la scelta, dopo le scuole elementari, fra l’avviamento professionale e la scuola media, obbediva ad una concezione umanistica e aristocratica, che riservava l’istruzione superiore e la formazione universitaria a un numero ristretto di studenti. Anche l’insegnamento venne interamente controllato dal regime, con l’imposizione di una rigida obbedienza alle sue direttive. Nel 1929 venne fondata l’Accademia d’Italia, in cui Mussolini, per dare alla sua politica lustro e prestigio, si circondò dei più celebri uomini della cultura italiana. LA CENSURA Le attività editoriali e letterarie vennero sottoposte al controllo del Ministero della Cultura Popolare. I funzionari del Ministero avevano il compito di leggere preventivamente le opere proposte per la stampa, prima di autorizzarne la pubblicazione. Si trattava spesso di giungere a soluzioni di compromesso, talora attraverso lunghe trattative, che rendevano comunque incerta e difficile l’attività editoriale. LA DIFESA DELL’ITALIANITÀ Il culto dell’italianità aveva indotto a guardare con sospetto le esperienze artistiche e intellettuali provenienti da altri paesi. Le diffidenze maggiori riguardavano la Russia e gli Stati Uniti, dove avevano raggiunto la loro maggiore potenza quei sistemi politici e socioeconomici che il fascismo avversava: il comunismo e il capitalismo. Il regime boicottò anche alcune espressioni della moderna cultura di massa, come il romanzo giallo, un genere proveniente dagli Stati Uniti e dal mondo anglosassone. Non si trattò di una proibizione assoluta, tant’è vero che la Mondadori poté varare la collana dei suoi “gialli”. Tra i pochi autori che si cimentarono in questo genere, il ligure Alessandro Varaldo si propose allora di “italianizzarlo”, attraverso la figura di un investigatore che, oltre a catturare i colpevoli, forniva modelli pratici di comportamento fascista. Tra i provvedimenti presi e ampiamente discussi, a conferma della grettezza del dibattito culturale, ci fu la lotta contro le parole straniere, di cui si propose l’abolizione e la sostituzione con termini equivalenti nostrani.
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