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Contesto storico italiano, Appunti di Letteratura Italiana

Riassunto del periodo storico studiato in letteratura italiana

Tipologia: Appunti

2015/2016

Caricato il 20/10/2016

gabri0797
gabri0797 🇮🇹

3.7

(7)

6 documenti

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Scarica Contesto storico italiano e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! Si distinguono due fasi, divise dalla morte di Lorenzo de Medici e dalla scoperta dell’America (1492) a partire dalla quale comincerebbe l’età moderna. La prima fase raggiunge il momento del suo massimo splendore a Firenze; nella seconda si manifestano forti momenti di crisi religiosa con la nascita della Riforma protestante e, in Italia, di crisi politica. Per la letteratura italiana, nell’età che va dalla fine del '300 al Concilio di Trento, si possono distinguere tre momenti: 1) Il primo va dal 1380 al 1469 in cui prevalgono gli interessi umanistici e una prevalenza del latino; 2) Il secondo va dal 1469 al 1492 (età di Lorenzo de' Medici) ed è caratterizzato dalla rinascita delle letteratura in volgare, è il periodo dell'"Umanesimo volgare", anche se è presente una produzione in latino; 3) Il terzo va dal 1492 (morte di Lorenzo) al Concilio di Trento (1545), in cui c'è un predominio della letteratura in volgare e una riformualzione dei canoni e dei generi letterari. In particolare la Francia e l’Inghilterra escono spossate dalla guerra dei Cent’anni, conclusasi nel 1453. Nel '400 le guerre diventano sempre più costose, e sempre più sanguinose anche a causa della polvere da sparo e dello sviluppo dell’artiglieria. Ciò diminuisce anche l'importanza medioevale del cavaliere. I Turchi conquistano Costantinopoli nel 1453 e premono ormai non solo sull’Europa occidentale ma anche sul Mediterraneo, minacciando i traffici veneziani e insediando già il sud dell’Italia. In Italia, rispetto al resto d’Europa, si hanno invece sintomi di ripersa soprattutto al Nord con le città di Milano, Torino e Venezia. Invece nel sud e anche sul litorale toscano al situazione economica tende a peggiorare. E’ in questo periodo che incomincia a manifestarsi differenza di sviluppo tra Nord e Sud. La borghesia rurale getta le basi di un capitalismo agrario grazie alle opere di bonifica e di canalizzazione delle acque in Valle Padana che assicurano la disponibilità di nuove terre da lavorare. A Firenze continua una borghesia più dinamica, che riesce a far fronte alla crisi della manifattura della lana sviluppando quella dei tessuti di seta. I mercanti italiani tendono infatti a specializzarsi sempre di più nei traffici dei generi di lusso. La tendenza sembra indirizzarsi all’acquisto della terra e a spese per palazzi, opere d’arte e generi di lusso. La parte più ricca della nuova e della vecchia borghesia cittadina (il "patriziato") e della antica nobiltà feudale costituisce ormai un’unica aristocrazia che ha il dominio dei nuovi Stati regionali. E’ il sistema delle Signorie. Questa aristocrazia forma un'oligarchia che gestisce in proprio il potere oppure lo assegna a un unico signore, che lo tramanda ai figli. Lo Stato diventa insomma una proprietà personale e famigliare; ci sono quindi dei vantaggi come la diminuzione delle contraddizioni interne e alcuni svantaggi quali il potere sottoposto sull’insidia delle congiure all’interno dell’oligarchia dominante talvolta della stessa famiglia del signore. Il razionalismo diventa importante per ragioni di tipo economico e per un atteggiamento culturale. Esso caratterizza anche gli studi dei classici, assumendo la forma di una nuova disciplina, la filologia che mira alla ricostruzione e alla corretta interpretazione di testi letterari e all’eventuale attribuzione della paternità dell’opera. La filologia si sviluppò nel '400 e con Lorenzo Valla e poi Poliziano si cominciò un procedimento volto a collezionare i codici di una medesima opera per riscoprire la versione autentica. Valla sottopose a procedimento filologico anche la Bibbia e mostrò anche la falsità del documento con cui la Chiesa faceva risalire a Costantino l’origine del suo potere temporale. Nello stesso tempo la conoscenza del greco permise di risalire alle fonti filosofiche dell’antichità. La lingua greca divenne accessibile dopo la caduta di Costantinopoli in mano ai Turchi (1453) e la conseguente fuga in Italia di numerosi studiosi bizantini. Essi portarono nel nostro paese preziosi manoscritti greci e ne insegnarono la lingua ai nostri umanisti. Un atteggiamento filologico è riscontrabile anche nelle arti attraverso il viaggio a Roma e attraverso lo studio dei tratti classici. Nelle arti esso si accompagna allo studio diretto della natura. Di classici si apprende infatti l’idea- base dell’imitazione e l’osservazione della natura e l’applicazione rigorosa dei criteri matematici e geometrici. L’artista di fatto cessa di essere un artigiano e diviene un intellettuale umanista. Viene così superato il senso di inferiorità che nel Medioevo contrassegnava le attività artistiche coincidenti con le arte meccaniche, che allora erano considerate di livello inferiore perché contraddistinte dal lavoro manuale. L’artista diventa una figura principale dell’immaginario umanistico- rinascimentale. Ormai più frequentemente le committenze sono private, e sempre meno dipendono dalla richiesta di Chiese e conventi; inoltre i temi tendono a diventare sempre più spesso profani, essendo le opere destinate a uso privato ed infine i nuovi mecenati tendono a divenire dei collezionisti d’arte, e questo fatto provoca un aumento dell’offerta. Il principale elemento di novità dell’età moderna umanistica è la nascita dell’intellettuale-cortigiano, che dipende dal mecenatismo signorile. A Firenze e a Venezia sopravvive fino al quarto decennio del '400 un “ Umanesimo repubblicano o civile ”, in cui prevale la figura dell’intellettuale-legista , cioè notaio o politico. A Milano, Ferrara, Mantova, Roma, Napoli abbiamo un “ Umanesimo cortigiano ”, promosso dal signore ed espressione del mecenatismo: gli intellettuali provengono dalla nobiltà cittadina e vivono in una condizione subordinata nei confronti del potere. A Venezia e a Firenze “l’Umanesimo civile” nasce nell'alta borghesia cittadina che detiene il potere e promuove l’affermazione e la diffusione degli ideali di rinnovamento culturale. I rappresentanti dell’Umanesimo civile sostengono il primato della vita attiva. Gli intellettuali-legisti ricoprono ruoli dirigenti di primo pianoall'interno dell'amministrazione statale. Mentre gli intellettuali cortigiani, vivendo a corte, praticano e teorizzano l’otium letterario, la separazione dagli impegni pratici per dedicarsi agli studi. Alla metà del secolo la figura dell'umanista civile tende a scomparire, poi anche a Firenze, dove rimase fino a Machiavelli, si affermò la figura dell'intellettuale che vive a corte sotto la protezione del signore. Con la scomparsa dell’Umanesimo civile, si possono distinguere due principali carriere di intellettuali: quella del cortigiano vero e proprio e quella del chierico. La prima dipende da un signore, la seconda da una gerarchia ecclesiastica. Queste due figure sociali prevalgono ormai sull’altra dell’intellettuale-legista, che era invece tipica dell’età comunale. Per esempio, a Venezia, lo stampatore Aldo Manuzio, grande filologo, a partire dal 1491 cominciò a riunire presso la sua stamperia i dotti della sua città fino a formare qualche anno dopo l' Accademia Aldina. Altra forma di organizzazione culturale è la biblioteca pubblica. Essa può essere creata da privati ma più spesso è promossa dal principe mecenate. A volte può trattarsi di biblioteche specializzate che si limitano a raccogliere codici antichi e manoscritti. In genere però la biblioteca tende ad accogliere tutta la numerosissima nuova produzione libraria di stampa. I libri cominciano a essere in prestito dietro un pegno in denaro. Inoltre il bibliotecario è spesso un noto umanista che promuove momenti di aggregazione con altri dotti. Un ruolo minore ha l’insegnamento universitario. L’ambiente resta refrattario all’Umanesimo e più legato alla tradizione medievale. In genere le università continuano a fornire la preparazione professionale degli uomini di legge e dei medici, e dipendono sempre più strettamente dal potere politico. A volte si giunge a una divisione dei compiti fra centri umanistici di corte e attività accademica: è il caso di Milano e Pavia. Vicino ai centri umanistici cominciano poi a sorgere collegi-convitti per giovani, prima in Francia e poi in Inghilterra, poi anche in Italia. ****A partire dal '400, "accademia" significa "associazione di artisti", di letterati o di scenziati che si riuniscono con il fine di incrementare la cultura, promuovendo gli studi in vari campi". Oggi "accademia" ha anche un significato figurato: "ostentazione di erudizione o di eloquenza, discussione a vuoto"; questa accezione negativa è presenta anche nell'aggettivo "accademico" che, accanto al significato primario di "relativo all'accademia", vale "che segue pedantemente la tradizione, privo di novità, vuoto". Un altro significato odierno del termine "accademia" è "università". Un accademico è un professore universitario.**** Prima dell’invenzione della stampa, intorno al 1450, esistevano tre tipi di libri manoscritti: 1. Il libro universitario, o da banco, di gran formato, in caratteri gotici, su due colonne con ampi margini esterni. 2. Il libro umanistico, di medio formato, testo a piena pagina con margini più ristretti. 3. Il libro da bisaccia, di piccolo formato in doppia colonna, senza margini, assai meno costoso, prodotto da scribi non professionisti e destinato a un pubblico popolare. Dopo l’ invenzione della stampa a partire dal 1475 , una collaborazione fra umanisti e tipografi creò un libro di medio formato , contenente opere di classici e opere moderne di umanisti , stampato a piena pagina in carattere tondo o romano. Caratteristiche particolari hanno invece le edizioni scritte in ottavo dei classici latini e greci, pubblicate senza commento e in caratteri corsivi o italici da Aldo Manunzio. Solo in un secondo momento si diffonderanno edizioni popolari a stampa dei libri da bisaccia. Si possono distinguere così due tipi di pubblico, corrispondenti ai due diversi tipi di produzione libraria. Il pubblico a cui si rivolgono gli umanisti e i dotti, dall’altro un pubblico più minuto e popolare a cui si rivolgono i predicatori, i divulgatori e gli autori di cantari. Il primo è formato da due categorie principali: il principe , la sua famiglia e tutti coloro che vivono a corte da un lato, gli umanisti e i dotti in genere dall’altro. Il secondo è del tutto separato dal primo infatti si tratta di mercanti, artigiani, popolani, frati e monache di città, borghi e campagne, ai quali è rivolta una lettura di devozione o di intrattenimento o di divulgazione in volgare. Il libro da bisaccia a stampa si diffonderà solo a partire dal '500, come si può dedurre dal fatto che la stragrande maggioranza degli incunaboli – cioè delle opere stampate entro il 1500 compreso – sono scritti ancora in latino. L’invenzione della stampa a caratteri mobili avvenne a Magonza nel 1455: la prima opera fu una Bibbia che fu firmata non da Gutenberg, cui in genere si attribuisce la scoperta, ma dai suoi ex soci Fust e Schoffer. Essa poi si diffuse in tutta Europa, trasformando il sistema di comunicazione. Il libro a stampa contribuisce a togliere alla scrittura il suo carattere sacro e solenne e a laicizzare la cultura: esso tende a diventare una merce come un’altra , facilmente riproducibile, modificandone, in secondo luogo , anche il rapporto con l’immagine. In terzo luogo la lettura diviene sempre più astratta: cessa di essere ad alta voce e diventa muta. Il libro favorisce l’alfabetizzazione, allarga il pubblico dei lettori, trasforma l’insegnamento sostituendo sempre di più l’oralità con la lettura. Altre conseguenze importanti sono che: 1) mentre il testo manoscritto, passando di trascrizione in trascrizione, veniva modificato, trasferito nel presente e ciò favoriva, nella tradizione medievale, una confusione fra passato e l’attualità, ora il testo a stampa dei classici, reintegrati nelle loro versioni originali, li riconduceva alla loro lontananza temporale ed estraneità all’oggi, favorendo il distacco scientifico e filologico degli studi; 2) il libro a stampa è più stabile di quello manoscritto; 3) diventa costante in esso l’impiego della punteggiatura, assente nei codici antichi; 4) la scelta delle opere pubblicate dai maggiori editori si presenta a diventare un canone, a stabilire cioè una tradizione e una gerarchia di valori; 5) la lingua viene fissata in un modello astratto e immobile che favorisce la sempre maggior distanza fra parlato e scritto. ****Mentre nel Medioevo dominano i codici manoscritti su pergamena (ovvero su pelle di pecora o di capra conciata e lisciata in modo da essere adatta alla scrittura), a partire dal 12° sec, con l'introduzione della carta a opera degli Arabi, si diffondono i codici cartacei: la maggiore felicità della rilegatura è un primo passo verso la produzione del libro quale oggi noi l'intendiamo. Decisiva sarà, in tal senso, l'invenzione della stampa, i cui primi esemplari, ovvero quelli compresi tra la metà del '400 e la data convenzionale del 1500, sono detti "incunaboli". Il termine, derivato dal latino incunabula (derivato da cuna "culla"), significa "fasce dei neonati" e, in senso figurato, "nascita", "origine", "prime prove". Naturalmente la stampa dei primi libri non fece automaticamente sparire i manoscritti; e anzi non sono rari manoscritti copiati da edizioni a stampa. Gli incunaboli prodotti in Europa, da un migliaio di tipografie, sono circa 10 milioni, di cui poco meno della metà di argomento religioso e gli altri di opere volgari del secolo precedente o contemporaneo, di scritti umanistici e di classici latini e greci.**** Nella concezione umanistica-rinascimentale l’uomo è come un dio terreno, infatti è creatore e signore del mondo. L’uomo è concepito come un microcosmo, cioè come una parte del mondo che riflette in sé l’armonia del macrocosmo, vale a dire dell’universo nella sua interezza. L’uomo deve il proprio potere a Dio, che lo ha fatto a sua immagine e somiglianza. Di qui il tema ricorrente del valore dell’uomo, non solo del suo ingegno ma anche del suo corpo: l’uomo infatti è concepito come equilibrio fra materia e spirito. Ne deriva una rivalutazione dei valori laici e terreni e delle possibilità conoscitive dell’uomo, e un atteggiamento speculativo più libero e spregiudicato. Crollata la rigida e sistematica visione del mondo legata alla Scolastica e all’aristotelismo, vengono privilegiate le indagini concrete e immediatamente utilizzabili. Si giunge a una concezione più attiva e dinamica della natura. Essa cessa di essere un’entità passiva, e viene vista invece come vita in movimento collegata da mille fili all’esistenza umana. La magia, l’alchimia, l’astrologia che si diffondono rapidamente negli strati più elevati della società, portano tutte con sé un'ambiguità, ma sono comunque già un segno dell’avvenuto superamento degli schemi medievali e di un’esigenza di manipolare il mondo naturale e di conoscerne le leggi. Nell’età umanistica e rinascimentale il razionalismo scientifico e misticismo irrazionale e magico si intrecciano e possono convivere anche negli stessi pensatori. Il bisogno che l’uomo prova di forgiare il proprio destino lo induce a una nuova attenzione per la formazione dei giovani, per i processi educativi e per la pedagogia in generale. In questo atteggiamento si riflette anche l’esigenza pratica di innalzare a teoria la pratica di precettori dei figli del signore che impegna direttamente molti umanisti. ****Il termine Alchìmia deriva, attraverso il basso latino alchimia, dall'arabo alkimiya, "pietra filosofale". L'alchimia aveva come obiettivo la trasformazione dei metalli vili in metalli preziosi tramite la "pietra filosofale", una pietra fluida che si riteneva potesse penetrare il mercurio e tutti i corpi duri o teneri e trasformarli in una sostanza idonea a produrre l'oro. Si pensava inoltre che potesse guarire dalle malattie e che con essa si potesse forgiare il vetro e colorare le pietre preziose di rosso rubino. L'intervento dell'alchimista investita perciò anche la sfera biologica e la medicina.**** L’ “UMANESIMO CIVILE” Il primo Umanesimo fiorentino è caratterizzato da un forte legame fra elaborazione intellettuale e impegno politico. Gli umanisti "repubblicani" o "civili" sono intellettuali laici, legati a una formazione di tipo giuridico, essi concepiscono ancora l’attività intellettuale come un impegno al servizio della comunità e si ispirano ai modelli classici per propagandare un ideale di vita attiva, di laboriosità, di moralità pubblica. Questa concezione tenderà a venir meno nella seconda metà del secolo, quando l’elogio della vita contemplativa prevarrà su quello della vita attiva e si diffonderà una filosofia ispirata al neoplatonismo. Due aspetti caratterizzano l’umanesimo civile fiorentino: il ritorno ai classici latini e greci e la teoria etica del primato della volontà come fondamento della vita civile. Nel '400 la generale predilezione per Platone nasce nel segno del rifiuto della Scolastica e del pensiero aristotelico quale era stato elaborato dal tomismo. Il pensiero platonico può offrire la possibilità di concepire la religione in modo diverso rispetto al rigido razionalismo aristotelico-cristiano che l’ortodossia tomista aveva presentato. Insomma l’opposizione tradizionale Aristotele – Platone viene ora rivissuta in termini nuovi. Nel Medioevo Platone aveva avuto una larga influenza sino alla seconda metà del '200; il suo pensiero aveva influenzato sant’Agostino e attraverso questi era giunto al movimento francescano. deve essere quello che ogni figlio ha con il padre. La discussione più famosa avviene fra Paolo Cortese e Poliziano. Il primo rivendica la necessità di un modello unico da imitare, Cicerone; per il secondo, Cicerone, pur essendo somma autorità rappresenta un invito a creare originalmente, a essere se stessi attraverso la sperimentazione continua. L’esigenza della sperimentazione si faceva valere anche nel sistema dei generi letterari. Poliziano sperimenta un inedito connubio raffinato tra mitologia classica e volgare. Lo sperimentalismo all’interno dei generi e nella loro commissione è una caratteristica del periodo. Nel campo della narrativa lunga in ottave il genere del cantare viene profondamente rinnovato e modificato o in direzione comica e giocosa (Pulci), o, all’opposto in direzione encomiastica e cortese (Boiardo): nasce il poema cavalleresco. Sannazzaro concilia in modo nuovo poesia bucolica e romanzo, e così dando vita a un nuovo genere, il romanzo pastorale. Rinasce il teatro , in cui alle sacre rappresentazioni di argomento biblico o religioso si alternano le rappresentazioni mitologiche di gusto profano, molto di moda nelle corti. A tale rinascita contribuisce la riscoperta della commedia latina. I generi tipici dell’Umanesimo dalla fine del '300 a Lorenzo de Medici, sono il dialogo, l’epistola, l’orazione, l’invettiva. E’ evidente il primato della saggistica e della filologia sulla poesia o sulla narrativa. Per il dialogo, fu decisivo, nel periodo dell’Umanesimo civile, il modello ciceroniano di, concepito come forma aperta, campo in dialogo cui si fronteggiano alla pari varie opinioni e diversi principi, senza soluzioni precostituite. La dimensione etico-politica, è ancora prevalente. Successivamente, tende invece ad affermarsi il modello di dialogo platonico, e i contenuti possono diventare più astratti, riguardare i grandi temi della sapienza e del rapporto con il divino. Nell’atmosfera dell’Umanesimo civile si diffondono anche generi già affermati nei secoli precedenti come la storiografia, il trattato politico o etico, e quello tecnico scientifico. Il pubblico di questi generi è quasi sempre costituito dai membri stessi della repubblica delle lettere, dalle famiglie signorili e dai funzionari di corte; quando i dialoghi e i tratti sono in volgare, il pubblico tende ad allargarsi: il destinatario, allora, è anche la borghesia cittadina. Quando nell’ultimo trentennio del '400, il volgare diventa di nuovo la lingua della letteratura alta, si profilano due pubblici separati e molto diversi: il volgare ormai può essere utilizzato per una lettura popolare di intrattenimento o di devozione, oppure per una letteratura raffinata e colta. Questa situazione esprime una profonda frattura sociale fra le classi e una crescente distanza culturale fra città e campagna. LA SITUAZIONE DELLA LINGUA E' questo il momento in cui nascono le prime grammatiche del volgare detto ora fiorentino, ora toscano, ora italiano: la prima, anonima ma forse dell'Alberti, si intitola "Regole della lingua fiorentina". Per buona parte del '400, l'uso del latino prevale sul volgare, che viene riservato per la vita pratica e civile: il volgare diventa la lingua ufficiale anche nei tribunali, a partire da quello fiorentino. In latino si compongono non solo trattati, dialoghi, orazioni, ma anche poesie, novelle, poemi, tragedie. Il latino impiegato è assai diverso da quello medievale, perchè pra modellato, nel lessico e nella sintassi, su quello classico. Quando il volgare letterario tornerà a imporsi negli anni di Lorenzo de' Medici, esso risulterà anche arricchito dalla precedente vasta esperienza della lingua latina, fatta dagli umanisti italiani. Una serie di termini provenienti da questa lingua entreranno a far parte per la prima volta del volgare. Nella ripresa del volgare ebbe un ruolo importante, già nella prima metà del '400, Leon Battista Alberti. Nel Proemio dei suoi libri "Della famiglia", egli ne sostenne la pari dignità rispetto al latino. Per rilanciare il volgare, l'Alberti promosse un Certame coronario in poesia volgare. Il tema era l'amicizia. Nessuno degli otto concorrenti (nemmeno l'Alberti) ebbe il premio; e tuttavia la data del Certame, il 1441, segnò un momento importante della ripresa del volgare. Per giungere prò a una sua nuova affermazione cme lingua letteraria occorre aspettare l'età di Lorenzo, il quale promosse l'uso del volgare come lingua ufficiale della cultura e delle corti. D'altra parte si andava diffondendo a livello nazionale una lingua cortigiana (una lingua parlata nelle corti) fondata su un volgare depurato da elementi dialettali e fortemente influenzato dal latino. Nella lingua letteraria la tendenza all'unificazione sulla base del toscano è già avanzata in poesia, anche a causa del fenomeno del petrarchismo che si sviluppa dalla seconda metà del secolo. Nella narrativa e nella poesia popolare si registra invece una presenza più netta delle parlate locali. La ripresa del volgare insomma si differenzia: da un lato abbiamo il suo impiego nella vita quotidiana e nella letteratura popolare (devota o d'intrattenimento), dall'altro la sua elaborazione dotta e letteraria per una cerchia ristretta di letterati e di uomini di corte. L'EPISTOLA UMANISTICA L'uso dell'epistola in latino era largamente praticato in tutto il Medioevo. L'epistola umanistica ha tuttavia caratteri propri: infatti ha una maggiore diffusione perchè serve a collegare i vari umanisti e i vari cenacoli, a dar conto dei risultati delle ricerche filologiche e dei viaggi compiuti a questo scopo. L'epistola è utilizzata per le polemiche letterarie e anche per dare forma a trattatelli d'ordine etico- filosofico o scientifico. Nella sua forma aperta, essa riflette bene il nuovo modo interdialogico di concepire la verità e il processo di avvicinamento a essa che qualifica la cultura umanistica. L'epistola diventa un genere assai flessibile, che può oscillare dai toni colloquiali delle lettere agli amici a quelli seri e solenni della trattatistica morale e filosofica. L'ORAZIONE L'orazione nasce sul modello ciceroniano. E' concepita come un discorso da tenersi in pubblico, anche se il suo carattere orale può essere fittizio. Come ogni discorso pubblico, mira a convincere l'uditorio sostenendo una tesi precisa. L'orazione può assumere la forma di un trattatello filosofico, etico o letterario. Ma comunque il carattere oratorio e l'eloquenza del discorso restano prevalenti. L'orazione più famosa del '400 è stata scritta da Giovanni Pico della Mirandola, con il titolo "Oratio de hominis dignitate", in cui sostiene l'assunto della dignità dell'uomo, tema ricorrente nella cultura umanistica. Inoltre difende il metodo di trarre la verità non solo dalla Bibbia, ma anche dagli autori classici e orientali. IL DIALOGO Il dialogo nasce e si sviluppa sul modello ciceroniano, anche se subisce l'influenza pure di quello platonico. Esso riflette la consuetudine della discussione e del dibattito culturale che avveniva nei cenacoli umanisti. Nello stesso tempo esprime un nuovo modo di concepire la verità, non più come qualcosa di prestabilito da apprendere, ma come un processo a cui concorrono voci e tesi diverse. Come l'epistola umanistica, rivela dunque una concezione interdialogica della verità e del processo che può favorirne l'avvicinamento. Importante esponente è Leonardo Bruni, un intellettuale fortemente legato alla vita politica della sua città (Firenze). L'idea della perfezione umana e della possibilità di raggiungerla è collegata da Bruni alla vita civile e comunitaria: solo dalla società civile – egli sostiene – l'uomo trae "la sufficienza e la perfezione" che non trova in se stesso. Il dialogo è prevalentemente in latino. Non mancano, tuttavia, esempi di dialoghi in volgare; fra questi ultimi i più importanti sono quelli di Leon Battista Alberti, che è una delle personalità più importanti dell'Umanesimo ed uno dei principali autori di trattati del '400, sia tecnici, d'arte soprattutto, sia etico-filosofici. La sua formazione risente del clima dell'Umanesimo civile: di qui l'interesse per i problemi economici e politici, per l'architettura e per il volgare stesso, sentito come lingua e legame sociale di una comunità. Però egli appartiene a una generazione che sperimenta la crisi degli ideali dell'Umanesimo civiele. La sua riflessione morale ne risente, e appare infatti improntata a un amaro e spregiudicato pessimismo, assai lontano dalla fiducia serenamente ottimistica della precedente generazione. A fondamento di tutte le arti, Alberti pone lo studio della matematica e della geometria. I principali criteri che ispirano la ricerca di Alberti sono: 1) alla base di tutto c'è l'imitazione della natura; 2) l'uomo deve aggiundervi però la "bellezza"; 3) per imitare la natura e raggiungere la bellezza è necessaria la conoscenza dei fondamenti scientifici delle arti (matematica e geometria soprattutto); 4) l'artista deve essere un umanista e formarsi nello studio delle lettere, a contatto con i cenacoli umanisti, e non nelle botteghe degli artigiani. A questi criteri generali egli aggiunge per l'architettura quello dell'utilitas (cioè dell'utilità o funzionalità), da congiungere alla venustas (bellezza). L'opera intitolata "Della famiglia" è scritta in volgare e ne contiene una difesa: il volgare infatti può "giovare a molti" e non solo "piacere a pochi" come invece il latino; inoltre può raggiungere la stessa raffinatezza del latino. Il trattato è concepito come una serie di dialoghi fra i vari membri della famiglia Alberti, incontratisi a Padova in occasione della morte, nel 1421, di Lorenzo Alberti, padre dell'autore. Al centro dell'opera è il tema della famiglia, considerata come il nucleo primo e il perno della vita associata, fondamento della vita perfetta e della felicità dell'uomo. Il primo libro tratta dell'educazione dei figli; il secondo dell'amore e del matrimonio; il terzo dell'organizzazione domestica, degli affari, dell'economia e della "masserizia"; il quarto dell'amicizia. IL TRATTATO Il trattato ha una struttura argomentativa rivolta a sostenere una verità d'ordine intellettuale, morale o scientifico. Dall'antichità era passato al Medioevo, in cui aveva assunto il carattere della dimostrazione di una verità, con una forte prevalenza, soprattutto dopo l'affermazione dell'aristotelismo e della Scolastica, dell'aspetto logico e sillogistico dell'argomentazione. Passando all'età umanistica la trattazione si fa più aperta e problematica: non mira più ad illustrare una verità superiore ed eterna, ma a dimostrare una verità particolare, specifica, limitata. Inoltre, più della struttura logica dell'argomentazione, contano l'eloquenza del discorso, la sua eleganza formale, la capacità dell'autore di essere brillante ed erudito attraverso il riferimento al mondo dei classici e a quello mitologico. La lingua del trattato è quasi sempre il latino. Autori di trattati furono il fiorentino Giannozzo Manetti e il romano Lorenzo Valla. LA STORIOGRAFIA E LA MEMORIALISTICA Nella storiografia si registra il tramonto della cronaca medievale, con il suo universalismo provvidenzialistico e con il suo particolarismo municipalistico. Ora la storiografia diventa un vero genere letterario, impostato secondo studiate procedure retoriche e fondato sul modello classico di Tito Livio. Racconta la storia di popoli e di Stati, vedendovi riflesso il contrasto fra "virtù" individuale e fortuna. Ciò comporta una selezione dei fatti da narrare che era ignota alla storiografia medievale che mirava a raccontare tutto ciò che era successo in un determinato periodo. Oltre alle "Historiae florentini populi" di Leonardo Bruni, occorre ricordare la continuazione fattane, con lo stesso titolo, da Poggio Bracciolini e "Historiarum Ferdinandi regis Aragonae libri III", opera scritta da Lorenzo Valla. Il genere autobiografico che comincia a svilupparsi nel '400 per affermarsi poi nel '500 è in Questi cantari, coordinati spesso in cicli, venivano recitati in giornate successive al pubblico che si ripresentava al banco dei canterini in ore stabilite. Si venivano così ad intessere avventure più articolate e complesse, più ricche di peripezie e colpi di scena. Questa produzione semipopolare non mancò di far sentire il proprio influsso sulla nascita del poema cavalleresco colto e con intenti d’arte che si registra nella seconda metà del '400: le opere del Pulci e del Boiardo prima e dell’Ariosto poi. Ma quali elementi caratterizzano il poema cavalleresco rispetto ai cantari cavallereschi? Innanzitutto il mutamento di produttori, di destinatari, e di forme: è indubbio che i produttori abbiano maggiore cultura; l’ambiente socialmente elevato, borghese e più ancora cortigiano, fornisce poi i destinatari principali; l’opera infine è composta subito per iscritto ed è destinata alla stampa. C’è dunque un salto di qualità dovuto soprattutto ad una maggiore cura e controllo formale. Mentre il cantare si fonda sull'oralità, presuppone un canterino che lo canta e una piazza popolare che lo ascolta, il poema cavalleresco è essenzialmente un testo scritto con ambizione letteraria, destinato alla lettura di una cerchia ristretta e selezionata di pubblico borghese e nobiliare. Vengono così a cadere le formule ripetitive e gli stereotipi inseriti nei cantari per confermare le attese del pubblico, così come gli artifici volti a tenere avvinta un'attenzione sempre precaria. Anche la trama cessa di essere casuale e improvvisata, e l'intreccio si fa più sapientemente costruito e rigoroso. Il passaggio dai cantari al poema cavalleresco segna anche un momento di transizione da una produzione popolaresca e borghese di tipo medievale a una cortigiana di tipo umanistico- rinascimentale. La letteratura dotata di alto valore estetico si rivolge ormai a una ristretta cerchia di signori. Scendendo ora ad esaminare più in dettaglio le due maggiori opere quattrocentesche che seguono la nascita del poema cavalleresco, bisogna fare delle distinzioni perché il Morgante del Pulci e l’Orlando innamorato del Boiardo costituiscono due esiti diversi di un medesimo processo. L’Orlando innamorato è l’esito scritto del processo di assunzione dell’epica medievale e della tradizione canterina nella cultura umanistico-rinascimentale, mentre il Morgante ne rappresenta l’esito comico. L’Orlando innamorato nasce in un contesto cortigiano e marcatamente signorile (la corte degli Estensi a Ferrara), il Morgante nella città che più manteneva desta la tradizione comunale, pur nell’egemonia medicea (Firenze); il primo è caratterizzato da una sia pur volga nostalgia del mondo cavalleresco medievale idealizzato alla luce delle aspettative e dei valori dei destinatari Estensi (il Boiardo stesso è un feudatario) e privilegia i sentimenti e le passioni nobilmente intese, i tradizionali valori di gentilezza, coraggio, cortesia e lealtà. Quello di Boiardo affonda le radici nell’epica francese e nella tradizione canterina depurata e nobilitata. Il secondo è invece la parodia di quel mondo e di quei valori, accentua il gesto e l’azione nei loro aspetti materiali (lo schiaffo, il pugno, il cibo, il bere, ecc.). Quello del Pulci innesta nella tradizione canterina l’esperienza comico-gioiosa principalmente toscana. Radici duecentesche aveva a Ferrara la signoria degli Este la quale nel '400 domina il territorio appoggiandosi alle famiglie aristocratiche. Esiste anche una nuova borghesia rurale e mercantile che concorre alle cariche dell'amministrazione, entra nella corte e nell'università, dalle campagne porta un fresco sentimento di conquista e di costruzione. Essa vuole rompere il particolarismo della vecchia aristocrazia urbana, incapace di atteggiamenti dinamici a causa della pacifica acquiescenza alla politica ducale ma quasi tutti i maggiori magistrati del comune nel '400 appartengono all'aristocrazia e sono odiatissimi dal popolo per l'esosità fiscale e le prepotenze: il popolo su di essi riversa ingiurie e maledizioni. Quell'aristocrazia imperiale o papale, ferrarese o forestiera, rappresenta il collegamento o le relazioni estensi con le fonti da cui la loro autorità deriva, con le altre corti italiane. La borghesia assorbe ormai invece le vaste attività commerciali del ducato e si presenta come classe nuova in una corona di fatti nuovi, ma nella propria espansione è controllata dalla politica della Signoria e non porta a termine la sua funzione; partita di slancio alla conquista di una realtà politico-economica e dei posti di direzione trova l'ostacolo politico negli Estensi e si ripiega su se stessa. La formazione della nuova borghesia avviene nella prima metà del '400 e il primo dei grandi arricchiti col commercio, il più ricco uomo di Ferrara del tempo suo, è Bartolomeo Pendaglia che nel 1452 è creato cavaliere dall'imperatore Federico III; ma numerose altre famiglie di borghesi operosi e abili si vengono costituendo nella seconda metà del secolo con il commercio a causa delle accresciute relazioni e dei traffici più intensi di merci e della più intensa circolazione delle persone. Esse si costruiscono palazzi adorni di giardini con fontane, pozzi sculturati e adornano i palazzi con quadri, tele. Al tempo di Ercole I in Ferrara è tutto un fervore di costruzione di palazzi per aristocratici e borghesi, di chiese, conventi e monasteri. Specialmente i borghesi, «a gran furia», come Bernardino Taruffo, si costruiscono case e ad essi si uniscono dottori dello Studio come Battista Guarini («poeta legente») e consiglieri di giustizia del duca come Giovanni Dal Pozzo. L'Addizione erculea diventa la parte nuova di Ferrara in cui le famiglie arricchite hanno l'immagine dello splendore dei tempi e della raffinatezza e un architetto insigne — Biagio Rossetti — dà alla città una impronta stilistica inconfondibile. Inutilmente, però, la borghesia urta contro l'organizzazione padronale della città e del territorio: la particolarità politica della dinastia estense tronca lo sviluppo dei grandi ricchi la cui classe non può maturare il lievito antifeudale che essa porta con sé. Lo svecchiamento presso la corte era relativo perché limitato al solo aspetto estetico, mentre permaneva la struttura politica feudale. Sostanzialmente la casa d'Este e la nobiltà feudale si oppongono alla borghesia che si lascia assorbire, privata di slancio e di vitalità. I suoi vari gruppi si inquadreranno nelle ramificazioni di vita cortigiana o cavalleresca, e nei bei palazzi che continuano a sorgere si conclude in una ritirata il ricco e multiforme ritmo di vita unitaria che forze organiche concorrenti avevano suscitato. Il massimo splendore per la corte estense si ebbe sotto Ercole I. Il Ducato aveva un'espansione territoriale limitata e discontinua, dall'Appennino all' Adriatico; ma era luogo strategico e culturale di grande importanza trovandosi fra gli stati di Milano, di Venezia e di Mantova a Nord e quello di Firenze al centro. Grandi intellettuali soggiornarono a Ferrara, dall'Alberti a Pico della Mirandola. Un ruolo notevole di promozione della cultura ebbero anche due figlie di Ercole I, Isabella d'Este, che andò sposa a Mantova a Francesco II Gonzaga, e Beatrice d'Este, che fu moglie a Milano di Ludovico il Moro. E' questo un momento in cui le donne svolgono a corte un'importante funzione culturale, che contribuisce a creare un clima unitario, nel campo della cultura e delle arti, tra le varie corti padane. Una caratteristica comune è la diffusione degli spettacoli teatrali. Ma Ferrara aveva un ruolo di primo piano soprattutto per la tradizione cavalleresca che gli Estensi avevano coltivato anche allestendo, presso la corte, una biblioteca specializzata nei romanzi francesi e nei poemi franco-veneti. Gli Estensi avevano sviluppato una precisa politica culturale, in cui nel culto per le avventure cavalleresche si esaltava in realtà un ideale di "cortesia" e di nobiltà che doveva non solo ispirare la raffinatezza della vita di corte ma anche sostenere e in qualche modo favorire il rapporto fra il duca e la piccola nobiltà feudale che lo circondava. Si creò così un "gusto cavalleresco cortigiano", che presentava caratteri più colti e raffinati rispetto alla tradizione toscana dei cantari in cui in qualche modo Pulci ancora si inseriva. Il poema cavalleresco di Boiardo e poi di Ariosto nasce appunto in questa atmosfera. MILANO, MANTOVA E URBINO: MECENATISMO E RUOLO DELLE DONNE NELLE CORTI Le donne, figlie o mogli del signore, hanno un ruolo di primo piano nella politica culturale signorile alla fine del '400 e poi in tutto il '500. Spesso viene loro delegata la politica culturale degli Stati, vale a dire il mecenatismo, l'attività di propaganda volta a celebrare la casata, l'allestimento delle feste e degli spettacoli teatrali. Il fenomeno delle donne poetesse che caratterizzerà la lirica cinquecentesca trova le radici proprio in questa nuova capacità di iniziativa culturale che ora viene riconosciuta alle donne nell'ambito della corte. Il periodo d'oro della corte milanese corrispondente al ventennio della reggenza e poi del potere diretto di Ludovico Sforza, detto il Moro, fra il 1480 e il 1500. A Venezia prevalgono la storiografia, l'Umanesimo filologico e l'amore per i classici latini, alimentato dal cenacolo-stamperia di Manuzio. IL ROMANZO PASTORALE: L'ARCADIA Gli umanisti avevano rinnovato la tradizione bucolica classica, rifacendosi a Teocrito e soprattutto a Virgilio. Ma non potevano ignorare l'evoluzione che il genere aveva avuto nel Medioevo, con Dante, Petrarca e Boccaccio, quando esso aveva assunto contenuti morali e allegorici. Nè poteva essere dimenticato il taglio mitologico e narrativo che gli era stato impresso da Boccacio con il Ninfale fiesolano. La ripresa umanistica era andata nella direzione dell'egloga sciolta, coltivata anche da Boiardo. Si assiste a un grande rigoglio del genere bucolico. La novità si Sannazaro sta nel dare ordine romanzesco a una raccolta di egloghe, alternandole alla prosa, che acquista anzi una funzione decisiva e di primo piano. Nasce così il romanzo pastorale. Sotto spoglie mitologiche e pastorali le vicende delle corti e delle accademie vengono allontanate e mitizzate, trasposte in una Arcadia favolosa. Dietro i pastori che ne sono protagonisti è possibile riconoscere personaggi reali, ma collocati in una dimensione e in un'atmosfera antirealistiche. Il romanzo pastorale ben riflette, sul piano ideologico e tematico, l'aspirazione all'evasione idillica del letterato umanista, e, sul piano formale, la tendenza a una poesia fortemente convenzionale e letteraria. IL TEMPO E I LUOGHI: DAL RINASCIMENTO MATURO AL MANIERISMO Il momento in cui il rinascimento raggiunge il suo culmine è chiamato "rinascimento maturo", periodo che va dalla morte di Lorenzo il magnifico (1492) al sacco di Roma (1527). Dopo nelle arti comincia il cosiddetto "manierismo", concetto che implica l'idea di un' imitazione artificiosa dello stile o "maniera" dei decenni precedenti. Dopo la morte di Lorenzo il primato di capitale culturale d'Italia passa da Firenze a Roma, che i papi trasformano nel principale centro rinascimentale d'Europa. Grazie alla scoperta dell'America il centro Gli intellettuali allesrivano spettacoli, facevano i precettori, scrivevano opere encomiastiche, assolvevano compiti di tipo diplomatico e amministrativo. Potevano scegliere fra la corte e la curia, che assicurava funzioni più precise e durature. Ma in ogni caso nei loro compiti prevaleva una funzione letteraria e umanistica. Mentre nel Medioevo i centri maggiori erano le abbazie, nella civiltà umanistico-rinascimentale i centri culturali sono: le accademie, associazioni in cui i letterati esprimono confronti e opinioni; le case editrici, la stampa, infatti, dopo la sua nascita, divennero fondamentali ed importanti furono le "edizioni aldini", da Aldo Manunzio; infine, le corti, il centro di massima produttività. I letterati cortigiani ebbero un rapporto ambivalente con la corte: da un lato si rendevano conto che il letterato poteva ottenere apprezzamenti solo all'interno della corte, dall'altro la loro libertà era limitata. C'è da dire che Firenze, nella prima metà del '500, tende a veder diminuita la propria importanza culturale, mentre cresce quella di Roma, Venezia, centro editoriale e capitale dell'unica potenza economica e militare italiana, e Padova, a causa dello sviluppo della sua università. Inoltre vi furono, in questo periodo, l'inquisizione, la censura sulla stampa e poi l'Indice dei libri proibiti, strumenti repressivi di controllo religioso e politico che si fa sempre più pesante e che interviene sul lavoro intellettuale stesso. Sia che trovi impiego nella curia o nella carriera ecclesiastica, sia che lavori presso un principe, l'intellettuale deve trasformarsi in "ministro": deve diventare cioè un funzionario con precise competenze tecniche e professionali che risponde del proprio operato non già direttamente a un principe mecenate ma a caste burocratiche in cui di fatto viene a inserirsi in ruoli subordinati. Al di là del lavoro intellettuale nelle corti o a quello nella curia restavano altre due possibilità di carriera intellettuale: quella delle università e quella editoriale. Il filosofo Pomponazzi, che insegnò all'università di Padova, fornì un esempio del primo tipo di carriera; Pietro Aretino, invece, che fece attività editoriale a Venezia, capì che la stampa poteva diventa un'industria e che il libro si poteva vendere come un prodotto qualsiasi: occorreva rivolgersi a un pubblico ampio, borghese e anche popolare: il che indusse la Chiesa a rafforzare la censura sulla stampa e poi a istituire l'Indice dei libri proibiti. Ma ciò non impedì la circolazione di edizioni clandestine. Queste novità comportarono un'uniformità della grafia, della punteggiatura, della grammatica. L'ESTETICA E LE POETICHE RINASCIMENTALI L'arte deve essere fondata su elevati contenuti intellettuali e su un rigore formale desunto dai grandi modelli dell'antichità. Si teorizza la necessità tanto dell'imitazione dei classici, quanto dell'imitazione della natura, nel tentativo di giungere a una sintesi superiore fra assimilazione della norma classicistica dai maestri dell'antichità e studio diretto della vita. L'estetica cinquecentesca è insomma di tipo precettistico. A partire dagli anni '30, la Poetica di Aristotele viene assunta come base di ogni discorso sull'arte. Proprio a partire dalla Poetica, in nome della poetica del "verisimile", vengono fissate per la tragedia le regole delle tre unità: unità di azione, unità di tempo e unità di luogo. L'azione, ovvero l'argomento del dramma nello svolgimento del suo intreccio, doveva essere unica, nel senso che non doveva essere disturbata da episodi secondari; unico doveva essere il luogo, e parimenti unico il tempo (un giorno) in cui si svoolgeva l'azione. Queste regole vennero assunte del '500 come canone di perfezione della tragedia classica. Per quanto riguarda la lingua, mentre viene affermata la pari dignità del volgare rispetto al latino, prevarrà l'ipotesi classicistica di Pietro Bembo, teorizzatore del petrarchismo come modello non solo linguistico ma letterario. Per la prosa, il modello sarà rappresentato piuttosto dal Boccaccio del Decameron. Alla tendenza dominante del classicismo e del petrarchismo si oppongono poetiche realistiche o "comiche", caratterizzate dall'immediatezza del parlato o addirittura del dialetto e dalla contraffazione parodica del sublime. IL CLASSICISMO RINASCIMENTALE NELLE ARTI, LA SUA CRISI, LA NASCITA DEL MANIERISMO La figura dell'artista nella civiltà rinascimentale si pone a modello di eccellenza a cui deve mirare l'uomo, inteso come "artifex" (artefice) della propria vita, creatore del proprio destino. Si tratta di un'arte aristocratica, che esclude dalla sua fruizione vaste categorie di pubblico: infatti non aspira alla comunicatività e al calore, ma alla padronanza di sè, alla misura, alla repressione degli affetti e dell'emotività. E' un'arte che tende all'accentramento e alla subordinazione, e infatti vi domina la gerarchia dei piani. Nasce il Manierismo, che dissolve la regolarità e l'armonia del classicismo e privilegia forme più soggettive e turbate, e anche più bizzarre, fino a sfiorare talora l'astruseria. I modelli classici sono ancora imitati, ma ormai si sente che questa imitazione è solo "una fuga davanti alla minaccia del caos". Di qui una nuova, difficile ricerca tra formalismo dell'imitazione e anarchia formale, fra astrazione e bisogno di concretezza, fra spiritualismo e naturalismo. LA QUESTIONE DELLA LINGUA: IL LATINO, IL VOLGARE-MODELLO, GLI ANTIMODELLI L'umanesimo diede importanza al latino classico, quindi non a quello medievale di Dante. Il latino classico veniva ancora utilizzato durante il Rinascimento ma con predilizione per il volgare. Gli umanisti preferivano il latino classico, mentre i rinascimentali il latino volgare. Tra i letterati, inoltre, nacque il problema della lingua. Questi sentono l'esigenza di avere una lingua unitaria. (Ariosto pubblicò, per esempio, tre edizioni de "L'Orlando furioso" per problemi linguistici ed inoltre cercò di evitare il dialetto padano). Il latino resta come lingua delle scienze, della medicina, degli atti giudiziari e dei verbali nei processi, dell'insegnamento universitario. Inoltre il latino continua ad essere la lingua della Chiesa. Dall'Umanesimo deriva la pratica comune di volgare e di latino, una tendenza a viverli in simbiosi. Queste "miscele" linguistiche sono anche una reazione all'impostazione di un modello unico, basato sui classici del '300, che si afferma dopo le "Prose della volgar lingua" di Bembo. Nei primi decenni del '500 vennero presentate diverse tesi sull'uso della lingua, ma quelle principali furono tre: 1) ARCAICIZZANTE O BEMBIANDA: Il portavoce di questa tesi è il Cardinale Pietro Bembo (da egli la denominazione "bembianda"). Ne parla ne "Prose della volgar lingua". Egli afferma che i letterati devono rifarsi e quindi imitare Petrarca per la poesia e Boccaccio per la prosa. Bisognava ispirarsi, però, al Boccaccio delle cornici del "Decameron" poichè il linguaggio è elevato, mentre nelle novelle è osceno, quindi deve avere un linguaggio ipotattico (una principale e tante subordinate). Dante viene escluso a causa del suo plurilinguismo; 2) TESI CORTIGIANA: Fa capo a Baldassar Castiglione, ma anche al Calmeta (Vincenzo Colli) e a Giangiorgio Trissino. Castiglione ne "Il cortigiano" si chiede perchè si debba tornare indietro ed ancorarsi a Petrarca e Boccaccio, che sono del 1300. Secondo lui bisogna tener conto dell'apporto linguistico di tutte le corti ed in particolar modo della Curia Romana. Si deve prendere dunque a modello la lingua in uso nelle corti italiane, cioè una lingua "mista" anche se su una base di toscano; 3)TESI FIORENTINISTA O MACHIAVELLIANA: Il portavoce è Machiavelli. Secondo lui bisogna rifarsi al fiorentino colto, ma non quello di Boccaccio e Petrarca, e quindi bisogna utilizzare quello d'uso vivo, cioè quello parlato. Con la letteratura di massa il fenomeno della distinzione fra lingua scritta e parlata, cambia. Prevalse il monolinguismo teorizzato da Bembo. Esso rispondeva all'esigenza di una cultura unitaria aristocratica, separata dalla vita quotidiana e dai bisogni del presente e invece fondata sul classicismo e dunque sul culto del passato. Ispirarsi, per la scrittura letteraria, a una lingua di due secoli prima comportava una netta separazione fra scritto e parlato. L'unificazione linguistica avviene in nome del "bello stile" e del classicismo linguistico. La prosa subisce con minore rigore la norma bembiana. Oltre alla commedia, anche la novella presenta una certa libertà e un'apertura verso il plurilinguismo e il parlato. E altrettanto per quanto riguarda la saggistica storica e politica. IL SISTEMA DEI GENERI E IL PUBBLICO Data l'impostazione classicistica, il sistema dei generi tende a modellarsi sugli esempi del passato: rinascono così la tragedia e la commedia, mentre il poema eroico viene modellato su quello omerico e sulle indicazioni della Poetica aristotelica. Il sistema dei generi presenta poi una precisa gerarchia. Il poema eroico e la tragedia, per il tipo di materia elevata e di personaggi nobili che presuppongono, sono considerati i generi più alti, insieme con il trattato filosofico. Infine si tende a limitare al massimo i generi misti e a semplificare i generi e le forme esistenti riducendone il numero. Dei generi della tradizione in volgare vengono continuati la novellistica e la lirica, quest'ultima irrigidita nel canone petrarchescoteorizzato da Bembo. Il filone della poesia "comica" e burlesca viene ripreso e rinnovato: nasce, dal nome del suo fondatore, Francesco Berni, la poesia bernesca, in esplicita polemica con il modello petrarchesco. Il trattato assume ora un'importanza fondativa nelle due forme del dialogo (Bembo, Castiglione) o della trattazione diretta (Il Principi, di Machiavelli). Di fatto, soprattutto con Machiavelli e con Guicciardini, nasce ora la moderna saggistica, in cui l'autore si assume la responsabilità delle tesi presentate. La novità più consistente sta nella rinascita del teatro laico. La corte è nello stesso tempo committente e fruitrice degli spettacoli teatrali. La commedia, assai più della tragedia, diventa un genere di successo, soprattutto in occasione delle feste di corte. Anche il teatro laico era un genere per un pubblico aristocratico. Sebbene qualche volta fossero ammessi borghesi o servitori, le commedie erano rivolte al pubblico della corte e destinate a un gruppo di invitati selezionati. Lo spettacolo dunque non era a pagamento: era il signore ad assumerne le spese ed erano gli intellettuali di corte a curarne l'organizzazione. Solo nella Venezia repubblicana nascono sale di rappresentazione per un pubblico pagante. D'altra parte, l'arte classicistica è destinata a un'élite ed è dunque sostanzialmente aristocratica. Nel suo complesso non è più rivolta alla borghesia cittadina come quella dell'età comunale. Occorre dire però che l'incipiente industrializzazione della stampa spinge verso un allargamento del pubblico. Il latino maccheronico consiste nell'applicazione delle norme morfologiche sintattiche e metriche del latino classico al lessico volgare, che nel caso di Folengo non è solo il toscano, ma anche il dialetto veneto e padano. Esso fiorì nell'ambiente studentesco di Padova (e in questa città Folengo soggiornò dal 1513 al 1516), dove era stato portato a dignità letteraria da un padovano, Tifi Odasi. Questi, morto nel 1492, era autore del poemetto "Macharonea", che ebbe su Folengo notevole influenza. Il linguaggio maccheronico non è affatto segno d'ignoranza o di scarsa conoscenza dei classici; presuppone anzi un'ottima educazione umanistica: solo chi ben conosce il latino e la poesia degli antichi può giocare con successo sullo scarto fra l'elevatezza della sintassi e della metrica e l'aspetto umile e dimesso del lessico dialettale. Analogamente il pubblico deve avere un buon livello culturale per apprezzare l'aspetto comico-caricaturale delle soluzioni linguistiche prospettate. Ciò vale anche per la lingua fidenziana (o pedantesca), che appare opposta al maccheronico. Essa consiste nell'attribuzione dell'intonazione morfologica sintattica e metrica del volgare al lessico latino. Il nome deriva dai "Cantici di Fidenzio Glottocrisio Ludimagistro", composti fra il 1540 e il 1545 dal nobile vicentino Camillo Scroffa. In entrambi i casi – il maccheronico e il fidenziano – si è in presenza di una reazione consapevole, ironica fino alla parodia, agli eccessi del gusto classicistico. L'invenzione del latino maccheronico rispecchia, a fini artistici, le frequenti miscele linguistiche che ancora nel 16° sec si presentavano in Italia, dove latino e volgare convivevano in stretta simbiosi. Folengo , nelle sue Maccheronee (in cui è compreso il Baldus), dà una definizione dell'arte maccheronica come arte derivata dai maccheroni, una pietanza rozza fatta con un miscuglio di farina, formaggio e burro. In effetti, il latino maccheronico è un miscuglio di italiano e latino, quindi un latino grossolano, rozzo: non nel senso che esso era usato da uomini incolti, ma nel senso che i letterati se ne servivano per mettere in burla la goffaggine di chi si avventurava a esprimersi in latino non avendone più la competenza necessaria. Spesso infatti negli atti notarili o nel parlare di certi ecclesiastici poco colti il latino compariva in una forma sgrammaticata e approssimativa. L'effetto parodico del latino maccheronico non sta naturalmente nel riprodurre un latino scorretto ma nell'uso della contaminazione linguistica. Il paese di Cuccagna è un mito radicato nella fantasia popolare, che si manifesta a livello letterario già in Boccaccio per diventare motivo diffuso nella poesia comico-burlesca e nella letteratura che si rifà alla tradizione carnevalesca. Questa, ispirandosi al riso del carnevale, esprime una visione dal basso della realtà, dando voce ai bisogni materiali dell'esistenza e ai settori emarginati e subalterni della vita sociale, come quello contadino. Il paese di Cuccagna è strettamente legato al mondo alla rovescia del carnevale, che era il periodo del ribaltamento dei ruoli: il basso diventava alto e viceversa. E' con Folengo che questo tema raggiunge nel '500 la massima diffusione letteraria. Folengo apre il Baldus all'insegna del paese di Cuccagna. Rovescia così il paesaggio arcadico, tradizionale sede delle Muse: niente più boschetti, limpide acque, fresche ombre, ma un paese costituito solo di delizie culinarie. Egli ne disegna una precisa topografia, che fissa lo stereotipo popolare. Folengo usa la metafora del cibo e del paese di Cuccagna per rovesciare, sul piano dei contenuti e dello stile, i generi alti della letteratura illustre. NOVELLISTICA E ROMANZO MODERNO IN EUROPA Nel '500 il romanzo in prosa si sviluppa in Francia e in Spagna; in quest'ultimo Paese, all'inizio del '600, esce il primo grande capolavoro romanzesco della modernità, il "Don Chisciotte" di Cervantes. A differenza che in Spagna, in Italia il romanzo in prosa con finalità d'arte è raro e resta comunque un'esercitazione dotta, di letterati umanisti per altri umanisti: tende piuttosto all'evasione dalla realtà che alla sua rappresentazione realistica, come stanno a mostrare gli esempi dell'Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna e dell'"Arcadia" di Sannazaro. Nel nostro paese si sviluppa piuttosto la novellistica, sia nella variante "municipalista" toscana che in quella "cortigiana" degli autori settentrionali. NOVELLISTICA "MUNICIPALE" Nel '500 si ebbe una grande diffusione della novellistica. Dopo la sua affermazione nel '300, essa era decaduta nel corso del '400, secolo in cui era cominciato l'uso di scrivere novelle in modo occasionale nella forma delle "spicciolate". Castiglione e Bembo contribuirono, negli anni '20 del '500, a determinare alcune norme del genere. Le ragioni della grande diffusione della novella nel '500 sono d'ordine sociale ed editoriale: il racconto si pone come punto d'incontro fra la letteratura alta, destinata a pochi, e letteratura d'intrattenimento, rivolta a lettori più numerosi e di cultura più modesta. Dato il successo di pubblico cui poteva aspirare, l'affermazione della novellistica corrispondeva a precise esigenze editoriali. Il che produce due conseguenze: da un lato si dedicano alla novella anche autori dilettanti, poco colti o di scarsa coscienza letteraria; dall'altro, il racconto tende al realismo, spesso esasperato: anche gli autori più dotati artisticamente non esitano a calcare le tinte, indulgendo a toni violenti, tragici, strani o crudeli, che possono maggiormente attrarre i lettori. In quest'ultima disposizione gioca anche la tendenza al manierismo, sempre più forte a partire dagli anni '40. Vi è poi una seconda ragione nel successo della novella, d'ordine culturale: l'individualismo rinascimentale poteva compiacersi per le beffe, per i motti e per le avventure di personaggi che agiscono in una dimensione ormai del tutto laica e borghese. Si possono distinguere due linee diverse: quella toscana, che continua a ispirarsi alla cronaca "comunale" o "cittadina" sull'esempio di Boccaccio ma anche di Sacchetti, e quella "cortigiana", dovuta ad autori settentrionali, più autonoma rispetto alla materia del Decameron e tendente semmai, con Bandello, a trarre argomento per i racconti più dalle vicende storiche che dalla cronoca cittadina. ASPETTI CULTURALI E SOCIALI DEL PETRARCHISMO Dall'ultimo decennio del '400 fino alla fine degli anni '20 del '500, permane ancora la poesia lirica cortigiana, in cui il petrarchismo convive con altre tendenze ma già tende a depurarsi e a divenire centro ispiratore largamente prevalente; a partire dalla fine degli anni '20, s'impone il petrarchismo bembistico: il lessico trecentesco e le situazioni liriche del Canzoniere di Petrarca diventano un codice espressivo unico, omogeneo, quasi obbligato. Attraverso il petrarchismo, la società cortigiana tende a divenire una società letteraria: una società omogenea, unificata linguisticamente e culturalmente, grazie al nesso petrarchismo-platonismo. Il petrarchismo crea un immaginario e una sensibilità comuni, comuni costumi e persino una moda comune che si manifestano non solo nella poesia, ma nella corrispondenza, nella conversazione mondana, nel modo quotidiano con cui le classi più elevate vivono il paesaggio, l'amore, la religione. Attraverso di esso dame e gentiluomini si riconoscono appartenenti allo stesso ambito di civiltà, accomunati da un'ideologia elitaria ma facilmente accessibile, che comporta un alto tasso di idealizzazione e di astrazione, implica la sublimazione delle contraddizioni reali e l'evasione da esse, e favorisce l'autopromozione sociale. Il petrarchismo insomma è fenomeno, insieme, "di massa" e di élite, e ciò è reso possibile dal fatto che si pone come codice di comunicazione sociale raffinato ma alla portata di qualsiasi persona che ambisa a una certa elevazione, dato che è depositato in un unico libro, il Canzoniere, stampato sempre più frequentemente da un numero crescente di editori e a prezzi molto più accessibili rispetto alla produzione manoscritta. LIRICA ITALIANA DEL '500 Al carattere elitario dell'esperienza amorosa, esistenziale e religiosa, deve corrispondere il carattere elitario della lingua. Lo stile deve tendere a un massimo di misura, di grazia, di decoro: qualità a un tempo di stile e di distinzione sociale. I versi devono succedersi in modo fluido e armonico. Le figure retoriche devono indulgere ad antitesi, o a studiati parallelismi, o a giochi di corrispondenza e di simmetria. L'"INVENZIONE" DEL TEATRO Gli studiosi hanno parlato di una "invenzione del teatro" avvenuta nei primi decenni del '500. L'importanza del testo e degli autori che lo compongono conferisce dignità letteraria e culturale al teatro; l'individuazione di spazi specifici e la scenografia affidata a professionisti di valore gli danno dignità artistica e sicura stabilizzazione nell'ambito della vita di corte. Il primo teatro provvisorio in legno si ebbe in Campidoglio a Roma nel 1513; ma i palazzi ducali e patrizi riservavano, già alla fine del '400, appositi spazi per la messa in scena. Alla base dell'"invenzione" cinquecentesca del teatro stanno due fattori, uno culturale, l'altro politico. Sul piano culturale, l'Umanesimo aveva scoperto il teatro latino e greco. Plauto e Terenzio per la commedia, Seneca per la tragedia divennero modelli da imitare. Lo studio del trattato latino di Vitruvio, dedicato all'architettura, ma con un libro, il 5°, sulla scenografia e sugli edifici teatrali, dette suggerimenti sull'impostazione delle scene. Il teatro cessò così di essere rappresentazione popolare o borghese di sacre rappresentazioni religiose e divenne spettacolo signorile e cortese di natura laica e profana. Il popolo poteva talora assistervi, quasi mai parteciparvi direttamente. Gli Estensi furono all'avanguardia in questo campo: spinsero Ariosto a comporre varie commedie e fecero della corte un centro di diffusione e di propulsione di questo genere di spettacolo. Si può cogliere qui l'elemento politico che favorì lo sviluppo del teatro: la rappresentazione delle commedie in occasione di feste divenne un fatto mondano e culturale che sottolineava solennemente momenti cruciali della politica dinastica e dava comunque particolare prestigio alla corte: le cerimonie e gli spettacoli erano oggetto di descrizione e di vere e proprie relazioni che ambasciatori e cortigiani di altri Stati inviavano ai loro superiori. Si sviluppava così la concorrenza fra le varie corti, che cominciarono a pagare cifre notevoli per la scenografia e la messa in scena degli spettacoli. Proprio queste ragioni politiche favorirono in un primo tempo lo sviluppo della commedia rispetto alla tragedia: la prima si prestava assai meglio a celebrare le feste di corte. All'inizio prevalgono forme sperimentali, poi, negli anni '30 e soprattutto nel corso dei '40, il modello si stabilizza e infine viene codificato in modi che diventano (soprattutto per la tragedia) sempre più rigidi e costrittivi. Fra la fine del '400 e i primi decenni del '500, i vari generi teatrali vengono ad assumere una loro precisa fisionomia. Anche la scenografia si specializza. La commedia ha per ambiente la città, rappresentata con rilievi, e addirittura già a tre dimensioni, secondo visioni prospettiche che si possono cogliere al meglio dalla posizione centrale, occupata in sala dal principe. L'argomento della commedia è borghese e cittadino, mostra il contrasto fra le generazioni e talora fra le classi, con una carica di aggressività che si va pian piano stemperando con il passare degli anni fino alla sempre più scontata conclusione pacificatrice attraverso un matrimonio nelle commedie degli anni '30 e soprattutto '40. Per quanto riguarda la sua forma, essa passa da una generica rappresentazione realistica in forma dialogata, in prosa o in versi, senza precisa scansione interna, com'era ancora alla fine del '400 e NUOVA CONCEZIONE DELL'UOMO, DELLO SPAZIO, DEL TEMPO Le scoperte geografiche e i viaggi ponevano l'uomo occidentale di fronte a una pluralità di culture, di costumi, di civiltà precedentemente sconosciuta. Se era facile sottomettere e cercare di normalizzare la "diversità" rappresentata dal "salvaggio", più difficile era assumere lo stesso atteggiamento verso l'antica civiltà della Cina. Si modificava così l'idea del "tempo". Sul piano della mentalità e dell'immaginario, tendeva a porre sotto accusa ogni atteggiamento critico riproponendo un sistema certo di sicurezze; sul piano psicologico, mirava a potenziare il senso dell'autorità, rafforzando quella religiosa con la civile e viceversa, e a suscitare sensi di colpa per ogni tipo di trasgressione: il deviante, il marginale, il "diverso", il dissidente dovevano essere ricondotti alla norma oppure esclusi ed eliminati. La sorte delle streghe non è diversa da quella dei "selvaggi" massacrati in America Latina o degli intellettuali perseguitati in quanto liberi pensatori. La società diventa sempre più ritualizzata; la cerimonialità trasforma i costumi; i sentimenti sono ridotti a maschere e a convenzioni; trionfa il culto della forma esteriore. Nei rapporti interpersonali si impone l'abitudine spagnolesca del "lei". Anche chi mantiene la propria autonomia di pensiero nei confronti del conformismo imperante deve in qualche modo adattarvisi negli aspetti esteriori. DISCUSSIONE SULLA POETICA ARISTOTELICA La discussione teorica si orienta verso i seguenti punti: 1) l'arte imita la natura, ma non rappresenta direttamente il vero, bensì il verisimile; 2) la poesia ha una natura razionale e va collocata al fianco della logica, della retorica e della grammatica; 3) la caratteristica specifica della poesia, che la differenzia dalla filosofia, sta nel suo tendere non solo all'utile ma al piacevole e cioè di mirare al diletto; 4) sia che si sottolinei lo scopo morale, sia che si privilegi l'aspetto edonistico, la retorica viene ad avere un ruolo centrale; 5) da questo incontro fra poesia e retorica derivano una specializzazione e tecnicizzazione del discorso letterario e una nuova attenzione verso gli aspetti formali del discorso poetico, nonchè un interesse per il pubblico, per i modi della ricezione letteraria, per le tecniche persuasive dell'oratoria o per l'efficacia catartica della tragedia. SISTEMA DEI GENERI LETTERARI E PUBBLICO La commedia entra in crisi a metà del secolo e viene a poco a poco sostituita dalla "commedia dell'arte", in cui la parola perde ogni importanza a tutto vantaggio della mimica e dall'azione. Il carattere critico, ironico, satirico della commedia non si concilia infatti con la dominante cultura controriformistica. Complessivamente parlando, gli unici generi veramente attivi e capaci di originali evoluzioni sono quelli teatrali e il poema eroico. E' nell'ambiente di corte che ancora vengono letti a voce alta i poemi e recitati i vari spettacoli teatrali. E' la corte poi a organizzare direttamente le rappresentazioni sceniche e a impiegare in questo campo l'attività degli intellettuali. Mentre dunque la lirica e la novellistica risultano generi statici, chiusi ancora l'una negli schemi del petrarchismo e l'altra in quelli dell'imitazione boccacciana, il poema eroico e il teatro appaiono in piena evoluzione: il primo raggiunge con Tasso i suoi risultati più elevati, il secondo tocca vette altissime di elaborazione letteraria tanto in Inghilterra quanto in Spagna. In Italia poi, il teatro è contrassegnato da un notevole grado di sperimentazione. Il melodramma nasce alla fine del secolo, nell'ambiente fiorentino della "Camerata dei Bardi", un gruppo di letterati e di musicisti che si riunivano in casa del conte Giovanni Bardi con il proposito di ridare vita all'antica tragedia in cui la musica aveva uno spazio di primo piano. Il primo libretto per l'opera in musica risale all'ultimo decennio del '500: è "La favola di Dafne" di Ottavio Rinuccini. ACCADEMIA DELLA CRUSCA Nonostante la scelta della Chiesa di privilegiare il latino sia nella liturgia sia nel testo delle Sacre Scritture, il volgare s'impone decisamente sul latino, in ogni campo della vita civile, come lingua scritta. Esso diventa dominante anche nei documenti anche nei documenti pubblici, negli atti giudiziari, nel linguaggio delle burocrazie e delle cancelliere. Nello stesso tempo il volgare parlato dalle persone colte in tutte Italia tende sempre più a omogeneizzarsi, anche sul piano ortografico, sulla base del toscano. Fu l'intervento di Benedetto Varchi ad aprire la strada a un compromesso tra fiorentinismo e bembismo. Egli infatti introdusse la distinzione fra lingua parlata, a decidere la quale è il popolo, e la lingua scritta, che viene invece stabilita dagli scrittori. Anche se Varchi continuava a dare importanza decisiva al fiorentino parlato, la lingua scritta prevalentemente era quella proposta da Bembo. Il compromesso fu realizzato da Leonardo Salviati e realizzato dall'Accademia della Crusca. Salviati progettò un vocabolario che doveva avere un valore normativo: gli scrittori potevano usare solo i termini in esso contemplati e che si fermano "innanzi all'anno del 1400". Salviati morì prima che il vocabolario, a cui lavorarono vari membri dell'Accademia della Crusca, venisse completato. Esso infatti uscì solo nel 1612. La sua pubblicazione costituì un vero e proprio evento linguistico: esso era infatti "il più grande lessico che fino ad allora possedesse una lingua europea" e restò per secoli "un punto di riferimento cardinale".
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