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Contro il cesaro-papismo: la riforma gregoriana, Sintesi del corso di Diritto Medievale E Moderno

Sintesi di Diritto medievale e moderno da Cluny all'amministrazione della giustizia.

Tipologia: Sintesi del corso

2013/2014

Caricato il 16/05/2014

antonella.dambrosio1
antonella.dambrosio1 🇮🇹

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Scarica Contro il cesaro-papismo: la riforma gregoriana e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Medievale E Moderno solo su Docsity! CONTRO IL CESARO-PAPISMO: LA RIFORMA GREGORIANA Da Cluny la riscossa. La tendenza cesaro-papista rinnovata dagli Ottoni si scontrò nettamente con l'ideale di una società ordinata per l'affermazione dei valori cristiani. Ancora una volta, il MONACHESIMO svolse un ruolo decisivo per precisare la fondamentale contrapposizione la controffensiva prese avvio dal monastero di Cluny: da qui trasse origine il messaggio riformatore, il quale si concentrò sulla rivendicazione dell'AUTONOMIA DELLE ISTITUZIONI ECCLESIASTICHE. Anzitutto, il monastero doveva essere esente dall'autorità vescovile locale, e sottoposto esclusivamente al papato. Tale monastero, inoltre, finì col diventare la SEDE CENTRALE di un movimento più ampio ( a differenza della propensione atomistica manifestata finora dagli altri monasteri ): a metà del X sec. approdò con una propria sede a Roma, a Pavia fondava la prima comunità nel 967. Fu Cluny, inoltre, a teorizzare la figura del SANTO CAVALIERE, che impugna la spada per fini santi. Il monastero svolse inoltre un ruolo importante nel promuovere le PACI DI DIO movimento nato in Francia del sud, che aveva lo scopo di contenere le violenze dei cavalieri e dei soldati ( es. proibì l'aggressione ai poveri, ai deboli, alle donne, oppure in certi giorni quali la domenica ). È ben evidente, quindi, come il movimento di Cluny costituì una replica alla TEMPORALIZZAZIONE DELLA CHIESA, aprendo una frattura insanabile con tutti gli apparati di potere del tempo ( inclusi quelli ecclesiastici ). L'imprevedibile esito dello scontro fu dovuto al verificarsi di due fattori: 1. da un lato si reclamava un apparato monastico immune dagli interventi laici anche oltre il proprio ambito; 2. dall'altro lato, agli inizi dell'XI sec., assursero al seggio papale pontefici di alto profilo, consci della superiore funzione loro conferita da Dio. occorre inoltre tenere presente che la commistione tra lo spirituale e il temporale aveva ormai permeato la cultura del tempo, al punto che non era neppure concepibile una soluzione dualistica di tipo gelasiano, che dipanasse l'intreccio creatosi assegnando il potere temporale all'impero e riservando quello spirituale al papato. ↓ Si rivendicò, perciò, l'AUTONOMIA DEI VESCOVI dai propri metropoliti e dai sinodi provinciali, per garantire loro una sfera indenne dai potenti laici, e si rivendicò il RUOLO DI SUPREMO GARANTE al papa, signore del mondo al pontefice viene riservato il diritto di convocare e confermare i deliberati dei sinodi, le sue pronunce sono superiori allo stesso diritto statale tutto ciò attraverso le DECRETALI PSEUDO-ISIDORIANE. Gregorio VII e la morte della consuetudine ( cattiva ). L'avventura autonomistica di Cluny indusse ad un cambiamento radicale, ben sintetizzato dal manifesto di papa GREGORIO VII, il DICTATUS PAPAE. Esso si compone di 27 proposizioni, che affermano principi assolutamente in contrasto con la costituzione sia della Chiesa sia dell'Impero, es. : 1. solo il papa può deporre, trasferire e riconciliare i vescovi 2. colui che viene ordinato dal papa potrà presiedere una chiesa, ma non essere vassallo, né gli sarà permesso di accettare una carica più elevata da un altro vescovo 3. nessun sinodo può essere detto "generale" senza il suo assenso 4. le sue sentenze non potevano essere respinte, mentre egli solo poteva respingere le sentenze di tutti senza essere giudicato da nessuno 5. non può essere considerato cattolico chi è in contrasto con la Chiesa romana, la quale non ha mai sbagliato e non sbaglierà mai viene ripresa la teoria dell'infallibilità del pontefice, indipendentemente dai suoi pregi personali. Si trattava di affermazioni gravi, tali da suscitare scalpore persino tra i prelati, anche perché seguite nei fatti quotidiani dal contegno autoritario del Papa. Gregorio finì per essere ripudiato dai suoi stessi cardinali, e morì nel 1085 in una sorta di prigionia da parte dei Normanni a Salerno. ↓ Comunque, un sovvertimento dell'ordine previgente era già avvenuto, anche se sul piano mentale, culturale, anziché nella realtà effettiva con quelle richieste, infatti, si pretese di invertire completamente l'ambizione dei laici di ergersi a tutori del Papato e delle chiese il Papato doveva essere, secondo Gregorio, al centro della cristianità, come AUTORITA' SUPREMA, anche nei confronti dei poteri vescovili. ↓ Da potere subalterno il papato diveniva POTERE EGEMONE in una duplice direzione: 1. nei confronti dei laici non dovevano più intervenire nella vita di chiese e abbazie 2. nei confronti dei vescovi La disciplina gregoriana si estese oltre i confini dell'Impero, dato che il Papato operava universalmente: in Francia, in Spagna, in Inghilterra. In questo modo, col tempo si completa l'assimilazione del papa alla figura di un sovrano temporale atipico. Già nel IX sec. la sede apostolica era denominata palatium e il papa indossava un mantello rosso cavalcando per Roma su un cavallo bianco: nella Donazione di Costantino il Papa si appella "strator" e porta le briglie come un palafreniere; i messi incominciano a chiamarsi "legati" ( come quelli imperiali ). È quindi ben evidente come il Dictatus contenesse formule eversive rispetto all'ordine giuridico preesistente fondato sulla CONSUETUDINE DEL PRIMATO LAICO Tale editto fu la pietra angolare del feudo lombardo ( cioè del Regno italico ). Nei decenni successivi, per via consuetudinaria, questa normativa avrebbe coperto anche i vassalli "privati". La complessa tipologia della consuetudine. La parola consuetudine poteva avere una pluralità di significati: • essa poteva indicare i PRIVILEGI LOCALI, i diritti acquisiti dalla comunità nei confronti dell'amministrazione regia in questo senso, ad esempio, il rispetto delle consuetudini venne garantito dai re d'Italia ai cittadini di Genova nel 958 • essa poteva indicare il POTERE ACCETTATO o SUBITO CONSUETUDINE SOGGETTIVA, ossia il diritto soggettivo il cui esercizio è fondato, appunto, dal suo riconoscimento continuato nel tempo. Es. un dazio di importazione occorre sottolineare come, in quell'epoca, normalmente, salvo che per il contrasto tra Papato e Impero, non c'era la coscienza di un contrasto tra norme usuali, tradizionali, e norme di diritto nuove, del legislatore. Tant'è vero che legge e consuetudine di solito convivevano pacificamente la situazione era comunque caratterizzata da una certa contraddittorietà, dovuta al fatto che, in questa fase di transizione, un contrasto tra legge e consuetudine si risolveva a favore di quest'ultima: sicchè i testi normativi del tempo finivano, in sostanza, con l'offrire soluzioni, più che imporle, agli operatori del diritto addirittura, gli scritti normativi vengono modificati dagli operatori del diritto, per adattarli alla prassi. Rimane comunque, contemporaneamente, l'idea fortissima che • il diritto sia contenuto nel Libro, il quale è per principio privo di contraddizioni ( sta quindi al dotto dimostrare che quelle eventualmente presenti sono soltanto apparenti ) • che il giudice deve limitarsi ad applicare la legge scritta nelle sentenze è infatti frequente il richiamo puntuale alla legge scritta. La lingua nell'età di transizione. Anche la lingua si evolve: le parlate italiche cominciano ormai a divergere, autonomizzandosi l'una dall'altra, anche se con radici romane comuni. Si potrebbe parlare, al riguardo, di varietà omogenee radicate su un ceppo comune Le autonomie. L'Italia dell'epoca è caratterizzata da due facce: • da un lato una cultura urbana e pubblica, che riesce a conservarsi nonostante le difficoltà dell'epoca ( X e XI sec ) • dall'altro lato le zone rurali e boschive, destinate ad un'economia di pura sussistenza silvo-pastorale, spesso divenute oggetto di signorie fondiarie laiche ed ecclesiastiche ↓ AFFERMAZIONE DI DOMINATI LOCALI nelle zone rurali, di signori laici ed ecclesiastici, che esercitano un potere di carattere pubblico sugli abitanti locali ( es. attraverso prestazioni obbligatorie ) al fine di negoziare il rapporto con il dominus, si sviluppano forme di solidarietà collettiva: per poter disporre dei propri beni, per quantificare le prestazioni di carattere pubblico dovute,… esse diverranno vere e proprie REGOLE TERRITORIALI del luogo; nate come consuetudinarie, dal X sec. assumono talora anche la forma scritta, in funzione garantisca ( = per evitare discussioni sulla loro vigenza ). Tali prestazioni verranno, dopo il X sec., denominate CARTE DI LIBERTA'. Sempre in virtù della loro perifericità rispetto alle aree di sviluppo economico, e anche a causa della scarsa mobilità umana, tali collettività, che si trovano ad essere, quindi, relativamente isolate, tenderanno a sviluppare regole tradizionali di diritto privato, penale e processuale siamo alle premesse da cui poi si svilupperanno gli STATUTI RURALI. ↓ Ciò è anche espressione di una tendenza dei gruppi locali a organizzarsi autonomamente, gettando i semi di ciò al centro-nord porterà agli sviluppi comunali successivi. Da Venezia a Genova e Pisa. VENEZIA Essa è caratterizzata da un'ambiguità precoce, che sarà poi tipica delle città del centro-nord: • da un lato, in questi tempi ogni DOGE si faceva confermare, dal nuovo titolare dell'Impero d'Occidente, privilegi e patti risalenti addirittura all'età carolingia ( sec. IX ) • dall'altro lato, carico di honores bizantini, il doge riceveva anche uno stipendio come magistrato bizantino, e pagava un tributo a Bisanzio. Quasi tutte le città del Regno d'Italia furono investite da sviluppi fortemente autonomistici. Questi furono favoriti dai diplomi regi, che a partire dal X sec. donarono le mura cittadine o diritti fiscali, oppure riconobbero consuetudini varie ( nel senso di diritti acquistati dalle città ) l'AUTOGOVERNO CITTADINO si rafforza sempre più. Esempio di questo forte sviluppo furono, in particolare, le città marinare, le più precoci sul piano economico e anche istituzionale: ad es. Genova e Pisa. GENOVA E PISA Già nel 1015-1016 Genova e Pisa, alleate, erano in grado di intervenire in Sardegna dietro sollecitazione pontificia contro i Saraceni, e per il resto di quel secolo e di quello successivo effettuarono operazioni militari congiunte in buona parte del Mediterraneo ( Spagna, Africa, Baleari, Palermo, … ). Con le CROCIATE, poi, le varie città acquisirono numerosi privilegi. Già a partire dalla metà del 1000 le due città erano ritenute entrambe "magnifiche": la situazione ideale perché i ceti cittadini avvertissero come necessario il darsi delle REGOLE • per rafforzare la propria organizzazione locale; • per aspirare al godimento certo dei diritti acquisiti nei confronti delle autorità esterne. Vivacità urbana da Roma al sud. ROMA La crisi dell'iconoclastia con Bisanzio, a fine 600, significò piena assunzione delle funzioni di governo da parte del Papa e dell'aristocrazia militare che lo attorniava da lì inizia la storia dello Stato pontificio ( pur all'epoca ancora chiamato Patrimonio di San Pietro ). AL SUD Anche Napoli, Amalfi e Gaeta, in posizione analoga a Venezia al nord, operavano autonomamente, anche se con rapporti privilegiati con Bisanzio. Esse stringevano PATTI con i principi longobardi di Benevento e di Salerno che sono molto importanti per la storia del diritto, in quanto fissavano regole di tipo inter-statuale dirette ad influenzare molto i commerci tali città erano ormai centri di potere autonomo, al punto che mandavano ambascerie ovunque. Si parla, al riguardo, di POLICENTRISMO, il quale si accompagna a un'accentuata frammentazione e stratificazione sociale si distingue tra CAPITANEI ( = vassalli di vescovi, marchesi, … ), VALVASSORI ( dipendenti dei capitanei ) e POPOLARI o CIVES; ma bisogna pensare che a tale tripartizione si accompagna ad altri profili giuridico-sociali: ecclesiastici, mercanti, servi. ↓ In questa polverizzazione, l'elemento unificante diventa l'appartenenza alla città conseguentemente, diventa irrilevante la cittadinanza dell'Impero 2. dall'ORALITA', perché privo di scambio di memorie scritte tra le parti 3. dalla PUBBLICITA', in quanto svolto dinanzi al popolo 4. dal CARATTERE PARTECIPATIVO della sentenza, cui partecipavano tutti i giudici e i saggi presenti 5. dall'UNICO GRADO DI GIUDIZIO la mancanza di appello fu uno dei motivi del successo del tribunale vescovile, a cui si ricorreva invocando la "denegata giustizia" nel tribunale laico. poiché però, di fatto, non era facile far eseguire i deliberati delle corti ( in quanto mancavano apparati di governo stanziali e capaci di coazione ), si cercava di realizzare un ACCORDO TRA LE PARTI = delle vere e proprie transazioni. Oppure ancora, le parti decidevano di risolvere la loro controversia al di fuori del processo formale, tramite un arbitro ( LODO ARBITRALE ) Dati questi caratteri del processo, si nota la TENDENZIALE UGUAGLIANZA DELLE PARTI dinanzi alla corte questo processo viene perciò detto ISONOMICO dagli studiosi. Ovviamente tale uguaglianza non va mitizzata, potendo essere talora soltanto formale. Il potere politico confermava di essere titolare della funzione giudiziari, ma: 1. la decisione sostanzialmente era presa di fatto da giudici che si confondevano con i notabili del luogo, che fossero o meno esperti conoscitori del diritto 2. come quello civile, il processo penale è essenzialmente ACCUSATORIO, nel senso che si fonda sull'iniziativa della parte lesa o dei suoi eredi, anziché di un organo pubblico. Da tutto ciò si capisce come il diritto dell'epoca fosse molto eterogeneo: c'erano numerosi diritti co-vigenti, varie possibilità diverse di azione per chi volesse proporre cause, … Soltanto le soluzioni finali erano relativamente uniformi: • o si condannava a restituire il bene illecitamente occupato o la somma a suo tempo ottenuta • oppure si condannava ad una pena pecuniaria, con cui si esauriva l'esecuzione della sentenza non era infatti ancora previsto il carcere di durata, espiativo ( se non per i chierici, ma soltanto perché essi non potevano essere condannati a morte ) Le pene, infatti, erano o corporali ( forca, per omicidi e ladri, o mutilazioni varie ) oppure pecuniarie ( = composizioni in denaro da doversi pagare in parte al danneggiato del reato, in parte al fisco ) Il placito di Marturi. Il PLACITO DI MARTURI del 1076 è il più famoso rendiconto a noi pervenutoci del processo medievale. Di esso possediamo, purtroppo, soltanto un testo scritto a fini di memoria e di prova, privo di sottoscrizioni di notaio e testimoni, redatto per l'abbazia vincitrice ( che si trovava appunto a Marturi, vicino a Poggibonsi in Toscana ). Il documento è conservato insieme alla refutatio della parte perdente, ossia alla dichiarazione con cui questa riconosceva all'abbazia la proprietà dei beni contestati, e s'impegnava a non turbarla anche con promessa di una penale. Tale testo indica sia i membri della corte ( in particolare il messo rappresentante del potere ufficiale, cioè della duchessa e marchesa di Toscana Beatrice ), sia le parti del processo. In sostanza oggetto del processo era la pretesa, da parte dell'abbazia di Marturi, di riprendere il possesso di determinati beni, a cui la controparte, attuale detentrice degli stessi, opponeva la prescrizione del diritto, avendo essa posseduto tali beni per più di 40 anni. Tuttavia, l'abbazia vinse sostenendo che per 3 volte, nel tempo addietro, aveva provato a riprendersi i beni, in questo modo interrompendo il corso della prescrizione l'abbazia vinse, e il giudice condannò l'attore alla RESTITUTIO IN INTEGRUM È evidente come non vi sia stato nessun duello, e che chiave di volta della soluzione fu un rimedio ( RESTITUTIO IN INTEGRUM ) tratto dal Digesto. LA SVOLTA DEI SECOLI XII E XIII: VERSO IL "SISTEMA DI DIRITTO COMUNE" DIRITTO ROMANO E UNIVERSITA' Il contesto di grandi novità. Intorno al 1100 si verifica un evento che, inizialmente circoscritto, condurrà in pochi decenni a una novità clamorosa: l'INIZIO DI CORSI DI INSEGNAMENTO SUPERIORE incentrati sul CORPUS IURIS CIVILIS si trattava di un insegnamento elitario, destinato a poche centinaia di studenti, ma pur tuttavia quello studio scientifico del diritto produsse, in pochi decenni, notevoli effetti pratici, sia sulle istituzioni e il loro diritto, sia sui loro sudditi. La riscoperta romanistica intorno al 1100: l'opera di IRNERIO. I testi integri del diritto romano giustinianeo, tanto vasti e complicati, si erano in qualche modo "perduti" nei secoli alto-medievali, dominati da governanti germanici e da un forte degrado dell'organizzazione sociale. I testi del diritto potevano pure essere venerati in alcuni ambienti, ma la scrittura era così cara e rara che si preferiva riservarla ai testi teologico-filosofici classici o dei Padri della Chiesa, negli scrittoi monastici del tempo. IRNERIO ha avuto il merito storico di rimettere in circolazione in modo nuovo il diritto giustinianeo, e il Digesto in particolare. Al tempo stesso, egli è considerato l'iniziatore dell'insegnamento che noi diciamo di tipo universitario, all'epoca detto "DEI GLOSSATORI". Egli era un maestro di arti, un maestro di quella grammatica che faceva parte del vecchio insegnamento del Trivium: GRAMMATICA, DIALETTICA e RETORICA. MA IN CONCRETO CHE TIPO DI OPERAZIONI FILOLOGICHE HA FATTO IRNERIO? Quanto al Codex, si sa pochissimo, perché non sono conservati manoscritti originari dell'opera, perciò quelli che conosciamo recano già le tracce dell'operosità filologica dei glossatori ( = dei giuristi seguaci di Irnerio ). A questi ultimi si deve la riemersione dei Tres libri, ossia gli ultimi tre libri del Codex, ma anche RICOSTRUZIONE DEL CODEX stesso così come lo conosciamo oggi, infatti, non è facile dire quanto corrisponda il Codex al testo varato da Giustiniano, perché è il frutto dell'operosità restauratrice dei glossatori. Irnerio, inoltre, fu colui che RISCOPRI' IL DIGESTO, fino ad allora sconosciuto, in quanto quasi totalmente messo da parte durante l'alto Medioevo egli scoprì dapprima i primi 24 libri ( Digestum Vetus ), poi gli ultimi libri ( Digestum Novum ), e solo alla fine sarebbero riemersi i libri intermedi ( Digestum Infortiatum ) da ciò deriva la suddivisione del Digesto in 3 volumi, che però complica quanto sappiamo della tradizione di questo testo, non fosse altro per il fatto che il manoscritto più antico conservato ( la Littera Florentana o Pisana del Digesto ) era suddiviso in 2 volumi ed ha un testo in più parti diverso da quello generalmente usato nelle università medievali ( probabilmente perché esso tramanda i passi greci originari del Digesto, ignorati dai Glossatori in quanto non conoscevano il greco ) il testo adottato dalle università medievali è perciò detto VULGATA. Iniziata con Irnerio, la critica del Digesto, fu poi portata ad altissimi livelli dal nostro Umanesimo, e fu poi proseguita fino alla grande filologia tedesca ottocentesca. Un altro problema fu quello delle Novellae ( leggi ) di Giustiniano, che circolavano nella raccolta detta Authenticum, ma di cui si dubitava l'originalità. Superate le obiezioni sulla loro genuinità, Irnerio inserì tratti delle novelle nei luoghi competenti per materia del Codex, ma distinti dal testo. In questo modo si poteva evidenziare quel che era vero almeno nel VI sec. ( = che si trattava di ius novissimum, un diritto recente che modificava quello del Codex ) I glossatori. IL DIRITTO CANONICO DEL PAPATO TRIONFANTE La pietra angolare del diritto canonico: il Decretum di Graziano. Siamo in grado di capire pienamente l'interesse del Papato per l'Università solo se proseguiamo il discorso sugli sviluppi del diritto canonico c'era il problema, per il papato con aspirazioni centralistiche, di mettere ordine in quel diritto canonico cresciuto in modo spontaneo nelle varie sedi, in modo quasi anarchico corrispondente all'articolazione allora ancora policentrica della Chiesa. MA COME PRIVILEGIARE UNA SPECIFICA RACCOLTA CANONISTICA TRA LE TANTE CRICOLANTI? Ancora una volta, la scelta viene dal "basso": la grande, nuova raccolta, che ebbe lo straordinario successo di superare le raccolte circolanti, la dobbiamo a Graziano, che non a caso la redasse a Bologna, centro degli studi giuridici per la Cristianità. Di Graziano si sa molto poco: quasi certamente era un monaco, probabilmente nato a Chiusi, e operante nel Monastero dei Santi Felice e Naborre a Bologna. Data molto probabile in cui completò la sua opera è il 1140. Il DECRETUM GRATIANI è un'opera molto complessa, essendo sia una raccolta di testi, sia una riflessione sugli stessi i testi raccolti erano i più vari: si va dai canoni conciliari e le decretali pontificie ai testi dei Padri della Chiesa, alle Sacre scritture, addirittura all'Editto di Rotari. Ma il motivo per cui il Decretum ebbe tutto questo successo non è questo, bensì un altro: esso infatti diede una risposta alla questione dell'unità e identità del diritto canonico, e del primato papale nella Chiesa e nel mondo ciò attraverso i commenti che Graziano appose ai testi raccolti, in modo da appianare le discordanze evidenti, elaborando criteri per concordare i testi ( es. distinguendo tra precetti e semplici consigli, tra regole generali e locali, … il titolo originale dell'opera doveva infatti essere Concordia discordantium canonum ). Il tentativo, in pratica, di isolare i problemi esterni, rilevanti per il tribunale pubblico ( il cd. FORO ESTERNO ), da quelli di competenza del tribunale della coscienza, del peccato, destinati al tribunale del FORO INTERNO, ossia da purgare con la confessione e la penitenza inflitta dal confessore per un futuro di beatitudine. Anche il FORO ESTERNO fu posto da Graziano sotto il primato pontificio egli infatti riconobbe al Papa il potere legislativo, oltre che il potere di interpretare la legge, in quanto suo autore. STRUTTURA DELL'OPERA È suddivisa in 3 parti, raccolte in un unico volume. • I PARTE consta di 101 distinzioni: le prime 20 sono relative ai problemi generali del diritto ( legge, consuetudine, diritto naturale e divino, … ad es. Graziano parla del diritto naturale come diritto comune a tutte le genti, imposto dall'istinto di natura, e non da una decisione del legislatore ); le altre ( 21-101 ) trattano invece del governo ecclesiastico e della sua disciplina ( vescovi, gerarchia, … ) • II PARTE consta di 36 causae ( = casi, controversie figurate ), ognuna su un problema ipotetico del quale si danno diverse soluzioni ( es. sulla simonia, sulla procedura, sui monaci e la loro disciplina ) • III PARTE consta di 5 distinzioni, con canoni al loro interno. La comparsa del Decretum eliminò dalla circolazione le antiche raccolte canonistiche del secolo XI. Fino alle decretali di Gregorio IX ( 1234 ). Il papato non recepì mai ufficialmente il Decreto come testo di legge, ma la sua applicazione pratica gli pose subito il problema di intervenire sulle soluzioni prospettate da Graziano, oppure sui dubbi che la sua opera apriva concretamente. Fece ciò attraverso le LETTERE DECRETALI, contenenti principi giuridici che integravano o correggevano il Decreto, e che erano dirette ai vescovati ed abbazie, per la loro naturale litigiosità. Ben presto, vista anche l'applicabilità pro futuro di ogni singola decretali emanata, che era applicabile anche per la soluzione di casi simili, si cominciò a raccoglierle unitamente ai decreti dei grandi concili che ebbero luogo nel corso del 1100 ( es. il Concilio Lateranense III ), sistemandole per materie. Tra le varie raccolte, molta fortuna ebbe la Compilatio I, ad opera di Bernardo da Pavia, che la redasse nel 1190 attingendo direttamente ai registri papali opera di circa 900 pezzi, che ebbe successo per la sua genuinità e sistematicità. Il successo di tali raccolte era anche dovuto al fatto che, raccogliendo la normativa maturata dopo il Decreto di Graziano, e quindi la volontà papale più recente sui temi affrontati, il testo era di grande attualità. Alla Compilatio I seguirono poi una Compilatio II, e una Compilatio III, e una Compilatio IV, fino alla Compilatio V ( tutte di autori diversi tra loro ) il papato di quegli anni era infatti attivissimo, producendo numerosissime decretali. In particolare, importante è la Compilatio V, redatta da TANCREDI su ordine di Onorio III: il Papa, infatti, stabilì che i testi dovevano essere citati nei tribunali così come figuravano nella raccolta di Tancredi per la prima volta il papato assumeva consapevolmente il ruolo di legislatore per la Cristianità tutta. Il Liber Extra. Voluto da papa GREGORIO IX, esso opera un raccordo tra le 5 Compilationes, tagliando il superfluo e il contraddittorio e aggiungendo, se del caso, il nuovo materiale normativo ( decretali ad hoc di Gregorio ) necessario per armonizzare il tutto esso fu un lavoro di CODIFICAZIONE IN SENSO STRETTO, se si pensa che Gregorio volle anche esplicitamente abrogare le precedenti compilazioni. Il lavoro fu terminato da Raimondo di Penafort nel 1234, e fu ufficialmente promulgato mediante invio del testo all'Università di Bologna. Tale testo fu anche definito DECRETALI DI GREGORIO IX, anche se accoglie tante decretali non sue. L'opera è espressione di come il Papato volesse ormai sostituire l'imperatore nella guida del mondo: la legislazione viene impiegata, quindi, come STRUMENTO DI GOVERNO esse esprimono, quindi, il primato conseguito dal Papato del tempo, proteso al controllo degli apparati pubblici, laici ed ecclesiastici, e della società tutta. Il diritto è pienamente colto nella sua funzione di regolamentazione sociale: il papato non rivolge le proprie decretali solo agli ecclesiastici, bensì alla società dei fedeli tutti, destinatari non solo di norme religioso-morali, ma anche di un complesso di norme positive, da seguire nella vita quotidiana. ↓ Ecco che le norme canonistiche cominciano a incrociarsi e scontrarsi con le norme dettate dai poteri laici. I concili e i papi intervengono ora attivamente, con norme che riguardano la famiglia, l'economia, le istituzioni: ▲ CONCILIO LATERANENSE I ( 1123 ) ad es. proibì il conio e lo spaccio di moneta falsa, emise disposizioni di diritto locale riguardanti la successione ereditaria ( valide entro le mura di Roma ), … ▲ CONCILIO LATERANENSE II ( 1139 ) ad es. accolse norme contro i briganti e gli usurai, i partecipanti ai tornei, gli incendiari, i "balestratori". ▲ CONCILIO LATERANENSE III ( 1179 ) ad es. condanna l'usura, le prestazioni di lavoro a favore dei saraceni, proibisce agli Ebrei di tenere servi cristiani, ordina una crociata contro l'eresia dei Catari ( fu la prima crociata contro altri cristiani ), prevedendo indulgenze per chi si armasse contro di loro. ▲ CONCILIO LATERANENSE IV ( 1215 ) fu voluto da Innocenzo III, che pose al centro dello stesso la lotta all'eresia le nuove religioni ( come quella Francesca e Domenicana ) avrebbero dovuto essere approvate dal Papato, e inserirsi entro le regole da esso approvate; tra le altre cose, si adottava la procedura scritta obbligatoria nel processo, e si emanavano norme sul matrimonio, sulle decime e contro l'usura. Tutte le norme fin qui viste passarono nel Liber Extra regola in modo capillare quasi ogni aspetto della vita, religiosa e quotidiana. Una raccolta importante: il trionfo articolato del diritto. Ovviamente, anche al Liber Extra arrise grande fortuna fu ampiamente studiata dai decretalisti ( = canonisti esperti di decretali, in opposizione agli studiosi del Decreto grazianeo, i decretisti ). L'autorità di questo libro fu infatti indiscutibile, soprattutto se pensiamo che ci si trovava in un momento di ASSOLUTISMO PONTIFICIO. Il XIII sec. si conclude quindi con i pilastri del diritto canonico già sistemati: • Il Decreto, con il suo ius vetus, tradizionale • Le Decretali di Gregorio IX ( presto aggiornate dai suoi successori ), con il suo ius novum, direttamente espressivo della volontà pontificia. La giuridicizzazione investì anche le articolazioni periferiche e le categorie che vengono ora inquadrate all'interno della Chiesa: gli ordini mendicanti, gli ordini militari, le confraternite di laici, … si daranno STATUTI o REGOLE, con normative che precisano i loro fini, l'organizzione interna e i loro rapporti con la superiore autorità ecclesiastica ( papa o vescovo locale ). I PROTAGONISTI DELLA TEORIA E DELLA PRASSI I notai. Essi ebbero un ruolo centrale nella diffusione della nuova "dottrina" giuridica, in particolare in Italia, dove era fortemente sentito il nesso con la romanità. In quest'ambiente, quindi, si diffonde la SCRITTURA PUBBLICA, che fa fede. Intanto, si diffondeva intorno al 1200 l'uso di libri iurium, una sorta di cartolari comunali che indicavano i diritti col tempo acquisiti dai comuni notariato e movimento comunale si diffondono contestualmente, in quanto il primo dette un sostegno tecnico notevolissimo al secondo nell'ambiente notarile dotto nascono i TRATTATI DEL GOVERNO COMUNALE, fondamentali per fondare gli ideali repubblicani dei Comuni italiani più agguerriti. Nel mentre, i Comuni cominciano a conferire auctoritas ai giovani licenziati dalle scuole e dai collegi notarili locali il notariato assume, grazie al Comune, un PRESTIGIO CRESCENTE: in sostanza, le due istituzioni si accreditano a vicenda. DIRITTI DI CATEGORIE SOCIALI E DI CATEGORIE LOCALI Una distinzione introduttiva. I diritti insegnati nelle università furono una minima parte della produzione normativa circolante in quel tempo pluralismo dei poteri e delle culture che si tradusse in una TAVOLOZZA DI NORME INCREDIBILMENTE RICCA. Ogni centro di potere infatti, dalle Comuni piccoli e grandi, ai grandi regni nazionali ( ma anche quelli minori, es. il Regno di Castiglia ), agli enti religiosi, agli enti ospedalieri, ai mercanti, … ebbe le sue normative. La tipologia di questo universo normativo è molto variegata. La distinzione principale da fare è comunque tra complessi normativi: • A sviluppo TERRITORIALE = normative destinate a disciplinare ( almeno in origine ) tutti gli abitanti di territori determinati • A sviluppo SETTORIALE, per categorie = normative destinate a disciplinare i membri di determinate categorie ( es. mercanti, feudatari, artigiani, nobili, … ) Le complicazioni nascono dal fatto che più volte capitò che norme, nate come settoriali, divenissero territoriali, e viceversa. La sistemazione del diritto feudale: dopo Corrado II. A proposito di categorie sociali, quella più rappresentativa dell'epoca è sicuramente quella dei signori feudali. Alla legge di Corrado II il Salico, di cui si è già parlato, seguirono altri interventi legislativi importanti, che tesero ad evitare che il feudo sfuggisse al controllo del signore concedente per via di vendite successive già Lotario II intervenne nel 1136, per vietare l'alienazione del beneficio senza l'assenso del concedente, perché veniva meno il servizio militare che il beneficio doveva assicurare e che era causa della concessione. In seguito Federico I proibì la pratica di dare in pegno i beni infeudati. Altra norma importante introdotta allora riguardò la divisione del feudo: il feudo, infatti, era ereditario, e quindi in teoria alla morte del feudatario poteva essere diviso tra i suoi eredi l'imperatore, però, stabilì che ciò non poteva avvenire per ducati, marche e contee, in quanto essi costituivano circoscrizioni pubbliche imprescindibili per il governo territoriale. Altro problema nacque dal fatto che i signori feudali furono, volenti o nolenti, costretti a far parte delle sovversive coniurationes comunali, e a portare le loro armi a servizio della città da qui una fondamentale AMBIGUITA' di parte della nobiltà del tempo: quella che s'inurbava, e condivideva fino in fondo le fortune del Comune, conservava in campagna diritti vari, anche signorili e feudali, ma nel conflitto tra fedeltà al Comune e all'Impero sceglieva di solito il primo, il potere più vicino. ↓ La nobiltà, a partire dagli inizi del Duecento, nel conflitto tra Papa e Impero comincia a schierarsi col Papa: essa diviene GUELFA; i nobili che invece sostengono l'Imperatore, attaccati ai propri titoli feudali, sono detti GHIBELLINI. È quindi evidente quanto l'IDEALE NOBILIARE fosse ben radicato in Italia: prova di ciò è anche la diffusione della letteratura cortese di origine francese persiste un ideale MONARCHICO-IMPERIALE. Il signore cavaliere, quindi, anche se inurbato e interessato a imprese commerciali e marittime in città, era anche proprietario o possessore a titolo feudale di castelli nelle campagne e nelle aree montane. MA QUALI POTERI, CONCRETAMENTE, GLI DERIVAVANO DA QUESTI POSSESSI? Il problema del CONTENUTO DEI DIRITTI FEUDALI né Corrado né i suoi successori potevano affrontarlo esplicitamente, attraverso le loro leggi, in quanto rischiavano di turbare le aspettative-pretese ( CONSUETUDINI SOGGETTIVE ) dei signori. Spesso infatti la concessione feudale serviva all'imperatore per legare a sé un potente che aveva già organizzato in modo spontaneo ( e quindi formalmente illegittimo ) un distretto incastellato, il cd. Dominatus loci., che veniva ricondotto sotto la iurisdictio dell'Impero l'imperatore, quindi, aspirava ad essere la fonte diretta o indiretta di ogni potere ( direttamente delegato a ciò, nell'ideologia ghibellina, da Dio ). Quei territori infeudati finivano così per avere un supremo dominus ( = l'imperatore ) che era però un signore puramente formale, e un signore effettivo, che era il concessionario del privilegio di concessione, che appariva però come un delegato autorizzato dall'Impero a esercitare poteri di governo localmente. In sostanza, quindi, il contenuto del potere feudale non era predeterminato o predeterminabile, proprio perché le situazioni locali erano molto differenziate: davano vita a diverse "consuetudini" locali di sfruttamento di persone e cose. L'impegno della dottrina: i Libri Feudorum. I civilisti, cioè gli studiosi di diritto romano, ravvisarono da subito, nel 1100, una forte analogia tra la situazione del feudatario e quella dell'usufruttuario. Inteso in tal senso, l'istituto si diffuse talmente tanto che non poteva più essere ignorato dai giuristi: nasce così, a metà del secolo XII, il primo embrione dei futuri LIBRI FEUDORUM raccolta di diritto feudale, in cui coesistono norme di origine legislativa con norme consuetudinarie. Nati, secondo la tradizione, da due lettere che un giudice longobardista ( = studioso del diritto franco-longobardo ) avrebbe scritto al proprio figlio studente a Bologna, il quale lamentava il disinteresse che i suoi maestri mostravano per l'argomento, tali libri furono il frutto di successivi integrazioni di altri giudici e consoli, fino a dar vita alla prima redazione dei Libri feudorum, che vennero poi integrati dalle costituzioni federiciane ( REDAZIONE ARDIZZONIANA ). Questa redazione avrebbe poi assunto, nel primo Duecento, la sua forma definitiva, quando fu nuovamente ritoccata dalle università e aggiunta alle Novelle di Giustiniano, andando a formarne il decimo libro ( su proposta di Ugolino de Presbiteri ) Occorre sottolineare, comunque, che quel testo, studiato nelle università, dava i concetti fondamentali di quel diritto e certe soluzioni generali ai suoi problemi fondamentali, ma non escludeva certo che localmente valessero altre regole: non ci fu infatti un solo diritti feudale, bensì più diritti feudali, in base agli sviluppi locali in sostanza, nelle università si studiava quello che oggi potrebbe essere definito come DIRITTO FEUDALE COMUNE. Diritti feudali locali e Liber augustalis ( 1231 ). Localmente le cose andavano diversamente, proprio perché il rapporto feudale risentiva enormemente e direttamente della situazione politico-sociale. Esso comunque ebbe una notevolissima diffusione e importanza: si diffuse infatti nel Patrimonio di San Pietro e anche nel Regno di Sicilia, dove fu importato dai Normanni, che lo aveva già sperimentato dapprima nel loro ducato di Normandia, poi in Inghilterra. ↓ non è quindi un caso che il feudo fosse ben presente ai primi legislatori del Regno di Sicilia, RUGGERO II ( presentò, nel 1140, le sue Assise, la prima raccolta di diritto generale per il regno ) e poi FEDERICO II ( promulgò, nel 1231, il LIBER AUGUSTALIS ). Il feudo era quindi uno strumento di governo efficiente, ma pericoloso: il recupero di un feudo da parte di un concedente ( cd. Devoluzione ) era infatti sempre un fatto difficile e problematico. Il diritto marittimo comune. Nell'antichità, nell'ampia area mediterranea vennero a formarsi delle regole che trovavano applicazione tra operatori economici di vari paesi, al punto da influenzare anche il diritto romano: ci si riferisce alla cd. Lex Rhodia de iactu, oltre al foenus nauticum ( prestito marittimo ). Nel corso del Medioevo, in Italia, da un lato ciascuna delle principali città marinare ( Genova, Venezia, Pisa ) sviluppò delle proprie regole di diritto marittimo ( cd. REGOLE LOCALI ), dall'altro lato, invece, si sviluppò un DIRITTO MARITTIMO COMUNE da questo punto di vista, il testo più importante è il Consolato del mare, nato dalla fusione delle regole di Venezia, Pisa, Genova, Valenza, Maiorca, Barcellona dal 1000 in poi per risolvere le questioni attinenti alla navigazione marittima ( es. avarie, liti tra soci o col capitano della nave, … ). Le cose sono poi rese più complicate se si pensa agli accordi tra sovrani ed enti soggetti al loro dominio: es. le CARTE DI LIBERTA' e DI PRIVILEGIO, diffusissime in quel periodo dal 1100 questi accordi furono la regola, ed erano ritenuti talmente preziosi da andare a impinguare i registri custoditi gelosamente dai Comuni dominanti, i loro libri iurium ( = registri dei diritti acquisiti ) sono fonti sostanzialmente pattizie, caratterizzate dal fatto che erano patti diseguali, in cui la città dominante di fatto costringeva l'ente dominato politicamente, ma del suo consenso non poteva fare completamente a meno se voleva una fedeltà cristallina, che non venisse meno al primo segno di debolezza della città dominante. Detto questo occorre, infine, operare un'ultima distinzione: tra • LEGGI NUOVE sono norme volute, autoritarie, espressione di una volontà per raggiungere un fine • CONSUETUDINI sono norme trovate, già prodotte, e quindi subìte, più che volute. Il particolarismo territoriale: normative locali urbane. Un'altra grande novità del 1100, tumultuosa mano a mano che ci si avvicina al 1200 e lo si travalica, è costituita dalla crescita esponenziale delle NORMATIVE CITTADINE SCRITTE. Tale fenomeno nacque dalla REDAZIONE SCRITTA delle consuetudini esistenti; ben presto, però l'elaborazione di normative cittadine scritte divenne necessaria per unificare la disciplina giuridica a livello cittadino, premessa necessaria se non dell'unità quantomeno dell'identità politica. Più in particolare, le città operarono su tre fronti per questa crescita normativa: 1. Anzitutto, mettendo per iscritto le norme consuetudinarie tradizionali del territorio fu un fatto particolarmente diffuso in Italia, ma presente anche altrove, es. in Francia. Esempi di normative scritte sono le consuetudini di Amalfi o Tavola di Amalfi, oppure le consuetudini di Bari, scritte queste ultime nel XII sec. E' poi importante anche l'Usus Venetorum, redatto a Venezia nel 1195 2. Secondo poi, furono messi per iscritto anche gli IMPEGNI GIURATI assunti dai titolari delle massime cariche cittadine ( qualcosa di equivalente al giuramento del re negli ordinamenti monarchici ) es. la Promissio ducis ( 1192 ), ossia la promessa con gli impegni che il doge assumeva all'atto di prender possesso della carica ( eseguire le sentenze dei giudici, difendere lo Stato, … ) 3. Infine, la scrittura riguardò la LEGGE IN SENSO STRETTO, la normativa emanata appositamente per innovare il patrimonio giuridico corrente. Una storia statutaria complessa: Pisa. Per quel che riguarda pisa i tre tipi di normazione comunale possono essere considerati analiticamente, perché val la pena di prenderli come modelli. La redazione più antica pervenutaci: • DI LEGGI è la Constitutum legis affidati all'applicazione di una particolare corte di giudici, la curia legis • DI CONSUETUDINI è la Constitutum usus affidati all'applicazione di una particolare corte di giudici, la curia usus • DI IMPEGNI GIURATI è il Breve dei consoli Ma i constituti rappresentano già il risultato di più decenni di lavorìo attorno al corpo giuridico della città ( di ciò ne abbiamo prove certe ). Le difficoltà di una datazione precisa stanno nel fatto che le normative potevano avere un'origine informale, ed essere quindi difficilmente qualificabili MANCANZA DI FORMALIZZAZIONE DEI PROCESSI LEGISLATIVI DELL'EPOCA. Non vale la pena di schematizzarlo, leggilo dal libro pag 182-186 La pace di Costanza. I vari statuti cittadini fin qui esaminati ( ma se ne potrebbero aggiungere altri, come quello di Bologna, di Piacenza, … ) sono anteriori alla PACE DI COSTANZA del 1183, che venne interpretata e difesa dai Comuni come fondamento della potestà legislativa comunale anche quando venne revocata da Federico II, e che stimolò enormemente i Comuni a emettere statuti. La pace riconosceva le consuetudini cittadine in ordine alla decisione delle cause feudali e livellarie, e ammetteva addirittura che gli appelli più importanti, pur assegnati al missus imperiale in città, si decidessero secondo gli usi e leggi della città tali consuetudini erano introdotte dai Comuni attraverso i loro statuti. Dal 1183 in poi fu un crescendo statutario, che culminò nei primi decenni del '200 ( a quegli anni risalgono le raccolte più antiche pervenuteci ). Sempre in quegli anni cominciò anche a perdersi la denominazione di consuetudini per le raccolte, e si parlò sempre più spesso soltanto di statuti la normativa locale, dopo Costanza, non deve più essere nascosta sotto le spoglie della consuetudine, della tradizione: ora è esplicitamente ammissibile il potere legislativo innovativo dei Comuni ( prima del 1183 esso era soltanto di fatto, e operava apportando modifiche alle "consuetudini" nel momento in cui venivano poste per iscritto ). Il governo del potestà e il ruolo dello statuto. Il podestà come ufficiale a capo delle città nel Regno d'Italia era già stato sperimentato dall'imperatore per imporre localmente un proprio fiduciario nel corso del 1100. Dopo Costanza, però, furono invece i Comuni a scegliere, chi prima chi dopo, di passare dal governo ( annuale ) dei consoli, cioè di cittadini eminenti, a quello dei PODESTA', sempre forestieri, cavalieri o dottori di diritto. Egli era un ufficiale in carica a tempo determinato ( di solito 1 anno ), assunto da fuori per rafforzarne l'imparzialità di fronte ai ceti sociali e politici coinvolti in lotte fratricide. Grazie a questa novità, lo statuto divenne ancora più importante: il podestà doveva, infatti, appena eletto in carica, giurare di rispettarlo, anche a nome dei membri della propria equipe ( giudici, notai, … ) Per questo motivo, era necessaria la scritturazione più completa possibile dello statuto, perché esso doveva essere letto periodicamente dal podestà ai consiglieri del Comune, di modo che essi non ne potessero allegare l'ignoranza in pochi anni, le redazioni vedono MOLTIPLICARSI LE LORO NORME, che cominciano a venire divise in libri, grosso modo per materia, sull'esempio del Digesto e del Codice. Lo Statuto divenne così l'emblema stesso del Comune. Statuti rurali. Questa scritturazione, va ricordato, fu generale: essa non investì solo i centri urbani, ma anche le comunità rurali o montane in questo caso, però, non ci troviamo di fronte alle grandi redazioni statutarie, ad un diritto unificato da un intervento legislativo influenzato dal diritto romano, bensì a rudimentali e scheletriche cartae, che proseguono la tradizione di quelle anteriori, le carte di libertà precisano i diritti e i doveri degli abitanti del centro, in seguito ad un accordo con il signore laico o ecclesiastico, titolare di diritti feudali o puramente signorili. Tali "cartae" non vanno trascurate, in quanto bisogna sottolineare che la maggior parte della popolazione viveva in quelle aree rurali, il cui sviluppo anche demografico favorì, tra l'altro, il poderoso incastellamento di questi secoli. Anche qui in campagna si parla di Comuni, anche qui nel corso del 1100 si affacciano i consoli come controparti del signore, ma il COMUNE RURALE o DI CASTELLO non fu mai soggetto politico di rilievo. In quest'ambito gli STATUTI RURALI presentano norme peculiari, relative all'allevamento del bestiame e la sua transumanza, alle colture agricole, alla gestione e utilizzo di proprietà collettive, … es. la CARTA DI TENDA del 1041, e la CARTA DI TINTINANNO del 1207. Occorre sottolineare, quindi, che, dato lo sviluppo delle campagne, è ovvio che gli statuti rurali furono diffusissimi. Le normative di categoria: fondamento del particolarismo soggettivo. Lo sviluppo delle normative di categoria ( = valide soltanto per una particolare categoria di persone ) fu un fenomeno impressionante per la sua vastità e ubiquità: inizialmente vi furono le regole degli ordini religiosi e cavallereschi, dei monaci militari ( es. Templari ), ecc. ; poi vi furono le norme che si davano le nobiltà locali, con cui si costituivano, ad es., le CONSORTERIE, cui cominciarono a contrapporsi nel 1200 le SOCIETA' DI POPOLO, dette di pedites. Ci furono anche le norme delle categorie professionali, ad es. i collegi dei notai e dei dottori universitari, oppure delle varie categorie degli artigiani locali o dei mercanti. È quindi evidente come si tratti di una fenomenologia amplissima. Si trattava di normative cresciute, in un primo tempo, autonomamente, in quanto frutto di reale autonomia del soggetto interessato, che provvedeva alla raccolta delle proprie regole. Tuttavia tale autonomia andò restringendosi mano a mano che si organizzarono i poteri superiori, territoriali o meno, nel corso del 1100 le normative perciò vengono sempre più sottoposte al CONTROLLO DEL POTERE SUPERIORE della categoria cui si apparteneva ( es. per gli ecclesiastici era il vescovo, se la normativa rimaneva entro i confini della diocesi, oppure il Papa ): anche i Comuni, intorno al 1200, cominciano a pretendere di visionare gli statuti delle corporazioni locali, per concedere o meno la loro approvazione il governo cercava di acquisire il MONOPOLIO DELLA GIURISDIZIONE E DELLA REPRESSIONE DEL CRIMINE. LA GIUSTIZIA E LE SUE ISTITUZIONI. Il processo nella transizione. Intorno al 1200 si impose nelle corti laiche un'altra novità tecnica notevole: si tratta dell'uso per cui il giudice si rivolgeva a giuristi accreditati delle università per avere lumi su uno o più PUNTI DI DIRITTO incerti della causa che stava discutendo l'innovazione sta nel fatto che ben presto il parere ufficialmente richiesto divenne VINCOLANTE per il giudice. La prassi di ricorrere ai pareri del giurista si amplificò enormemente con l'avvento del tribunale podestarile. FONDAMENTI DEL SISTEMA DI DIRITTO COMUNE La recezione e le funzioni del diritto comune. In Italia, prima che altrove, si assistette a partire dal 1100 ad una "recezione" delle dottrine elaborate dai professori. In un primo tempo esse s'imposero di fatto, per la loro validità e opportunità: solo a partire dal XII secolo si ebbero le prime recezioni ufficiali. Due erano i diritti comuni: quello ROMANO e quello LONGOBARDO vi era quindi una duplicità di diritti: da un lato uno generale, ROMANO-CANONICO, dall'altra la massa variegata di DIRITTI PROPRI, territoriali o di categorie. Il diritto comune universitario ebbe in questa situazione queste funzioni: • Fu elemento di FORMAZIONE CULTURALE PER I GIURISTI, e in particolare di UNIFORME FORMAZIONE • Fu un modello di LEGISLAZIONE SCRITTA SUPERIORE, ineguagliabile perché corroborata dall'antichità e da una saggezza plurisecolare ( quanto al diritto romano ) • Fu uno stimolo al PROCESSO DI TECNICIZZAZIONE E SCRITTURAZIONE DELLE NORMATIVE LOCALI • Fu un CRITERIO D'INTERPRETAZIONE delle legislazioni locali • Fu un MEZZO DI INTEGRAZIONE, di completamento dei diritti locali ogni qualvolta questi mostrassero una lacuna Diritto comune e diritti propri nei giuristi. COME FU VISSUTO DAI GIURISTI IL RAPPORTO TRA IUS PROPRIUM E IUS COMMUNE? Nel 1100 il problema di un diritto locale che derogasse da quello imperiale fu impostato come un problema di consuetudine: si distingueva tra CONSUETUDINI GENERALI di tutto l'Impero, che potevano certamente abrogare le leggi, e CONSUETUDINI LOCALI, che potevano derogare solo nell'ambito locale. Già Boncompagno da Signa, professore a Bologna, nei primi del Duecento riconosceva che ogni città d'Italia ormai si dava statuti anche contrari alle leggi, frutto dell'arbitrio legislativo di ogni Comune conseguenza di ciò fu, tra l'altro, il sorgere del problema del CONFLITTO TRA STATUTI DI COMUNI DIFFERENTI dalle riflessioni su questo tema vengono le premesse di quello che poi sarà il diritto internazionale privato. DAL MEDIOEVO AL RINASCIMENTO ( 1250 CA - 1500 ): IL TRIONFO DEL SISTEMA DI DIRITTO COMUNE PERFEZIONAMENTO E CONSOLIDAMENTO DEL SISTEMA Alcune novità dottrinali e legislative del secondo Duecento. Con la metà del Duecento, si assiste ad una serie di fatti nuovi: la fine degli Svevi, che comportò la vacanza del trono imperiale fino all'avvento degli Asburgo ( 1273 ); il definitivo dissolversi del Regno d'Italia, con il consolidarsi dei governi cittadini; il consolidarsi delle monarchie europee. Si entra in una FASE NUOVA della storia giuridica medievale: unitariamente ai diritti locali e di categoria, il diritto dotto universitario dà vita a quello che gli storici chiamano "SISTEMA" DI DIRITTO COMUNE un insieme complesso, ma ordinato e coordinato, di ordinamenti giuridici. In tutta Europa c'è una vittoria su tutti i fronti del diritto comune, che diviene SISTEMA, nel senso che i protagonisti della vita giuridica ( dottori delle università, legislatori, giudici e notai ) si conoscono e si riconoscono a vicenda nella comune "koinè" europea: il diritto romano-canonico ormai concluso e i diritti locali in crescita esponenziale rinviano ormai gli uni agli altri, anche implicitamente. Tale sistema si basava su una triplice dialettica: 1. Dialettica di LEGGE e DOTTRINA legislatori e dottori si divisero il campo, perlopiù pacificamente, della produzione normativa 2. Dialettica di LEGGE e CONSUETUDINE le forze sociali e gli operatori pratici ( perlopiù i notai ) plasmavano le scelte dei legislatori e dottori, modificandole più o meno impercettibilmente nell'attuazione pratica: siamo alla consuetudine abrogativa, modificativa o integrativa del diritto ufficiale 3. Dialettica di DIRITTO GENERALE e DIRITTO SPECIALE ( locale, di categoria ) con l'ormai consolidato declino del potere centrale imperiale, fiorisce il DIRITTO PROPRIO ( = LOCALE ): è questo il tempo dei legislatori locali, principi o città questi legislativi hanno in comune con i Corpora ( civile e canonico ) completati nella fase precedente innanzitutto il LINGUAGGIO ROMANISTICO: ovunque si scrive con il lessico universitario ( tranne le regioni più periferiche ) Il prestigio del giurista e la gestione del sistema giuridico. I giuristi acquisirono un altissimo prestigio sociale ( per sé e per la propria famiglia ) in un'epoca di crescita esponenziale del diritto, sono infatti importantissimi. Il diritto comune era da loro sentito come CONCENTRATO DI SAGGEZZA, espressione di razionalità: era un diritto buono non perché romano, ma perché giusto. Rapporto tra diritto comune e diritto locale: tra "dottore" e legislatore. Posto che il diritto comune era, secondo il giurista, saggio per definizione, ne derivava che i vari diritti propri lo dovevano considerare come un presupposto indispensabile, costituendo essi, per definizione, solo una risposta a problemi locali peculiari nella cultura fatta prevalere dai giuristi, i diritti propri sono deviazioni dall'ordine razionale disegnato dal diritto comune conseguenza gravissima di ciò fu che i giuristi riuscirono a far prevalere la loro idea che i diritti propri andassero INTERPRETATI RESTRITTIVAMENTE ( almeno in linea di principio ): al di fuori delle singole ipotesi per cui le disposizioni di diritto proprio furono dettate, può operare solo il diritto comune. Tale impostazione ebbe tale diffusione che i giuristi riuscirono a farla attestare anche nelle disposizioni statutarie stesse ( siamo nella fine del Duecento ), che dispongono la loro applicazione letterale, senza interpretazione. Ci si trova così di fronte ad una situazione grottesca: mentre, infatti, da un lato gli statuti esigono di essere applicati prioritariamente e così dispongono, sulla gerarchia delle fonti, che venga applicata 1. Dapprima la NORMA STATUTARIA 2. Poi ( di solito ) la CONSUETUDINE 3. Infine il DIRITTO COMUNE o la RAGIONE Dall'altro lato la proclamata sussidiarietà del diritto comune è in realtà di fatto smentita dalla superiorità del diritto comune nella lettura del diritto locale, che veniva interpretato dagli operatori in modo che ledesse il meno possibile il diritto comune messo alla porta dal legislatore, il diritto comune rientrava trionfalmente dalla finestra grazie ai dottori. È quindi ben comprensibile come in questo periodo si trovino non poche testimonianze del disagio tra dottori e diritto locale. I primi a lamentarsi dell'eccesso di legislazione locale che toglieva spazio al loro diritto "perfetto", i secondi a lamentarsi a loro volta che i giuristi distruggevano il diritto locale. Nel complesso, furono i giuristi ad averla vinta: essi riuscirono a far pensare che la nuova legislazione fosse quasi un male, un fatto deviante, anziché abituare al naturale evolversi delle normative. Ma oltre al diritto imperiale concentrato nel Corpus Iuris Civilis, c'era un'altra categoria da opporre al legislatore: quella del DIRITTO NATURALE il legislatore non poteva legiferare ad arbitrio, avvertivano i giuristi, perché il potere politico deve avere delle buone motivazioni e tenersi nel rispetto dei grandi principi, variamente intesi ed enunciati, di un diritto superiore. Il completamento del Corpus canonistico. Dopo il 1234, anno del Liber Extra, il Papato continuò a emanare decretali, e quindi nuove norme. Queste nuove norme circolavano in appendice alla raccolta di Gregorio IX come "Novelle", ma tuttavia si sentì ben presto il bisogno di un riordinamento a tale necessità ovviò Bonifacio VIII, che diede ordine ad una commissione di mettere ordine, in 5 libri, al materiale, e lo chiuse con una serie di REGULAE IURIS. civilistico era quello ritenuto più giusto e sintetico, semplice e chiaro TENDENZA AL "BARTOLISMO": ossia a riferirsi a lui in modo sostanzialmente acritico, ad approvarlo anche quando il contesto non lo richiedeva ( per questo motivo, questo orientamento era anche criticato, in quanto sbarrava la strada a ogni ricerca ulteriore). Lato positivo del Bartolismo fu che esso contribuì in modo poderoso all'unificazione della dottrina e della pratica del diritto in Europa. Occorre menzionare, infine, il Tractatus universi iuris ( 1584 ), che raccoglie in 28 volumi gran parte dei trattati di diritto comune prodotti in quel periodo I giuristi più notevoli. POST-ACCURSIANI: Guido da Suzzara, Martino da Fano, Iacopo da Belviso, … CANONISTI: Guido da Baisio, Dino del Mugello, Guglielmo Durante, … NEL TRECENTO: Bartolo da Sassoferrato civilista Giovanni d'Andrea canonista di grande fama NEL QUATTROCENTO: Baldo degli Ubaldi, Lorenzo Ridolfi, Paolo di Castro, Luca da Penne, … Occorre precisare che i giuristi del Regno di Sicilia, sia per l'ordinamento monarchico in cui si trovarono ad operare, sia per il frequente loro impiego in cariche pubbliche, ebbero anche una speciale attenzione per tre ambiti peculiari: • Per i PROBLEMI FEUDALI • Per il DIRITTO LONGOBARDO • Nel campo dell'ORGANIZZAZIONE STATALE, vista l'esperienza di governo centralizzato del Regno. *** nel periodo in esame, era abbastanza normale che il civilista fosse anche canonista e viceversa. Costituzionalismo medievale. Vi fu, all'epoca, una discussione fortissima sui LIMITI DEL POTERE PUBBLICO, laico o ecclesiastico che fosse se il potere politico è sciolto dalle leggi, come dicono le fonti studiate nelle università e come ripetevano i papi per affermare il loro assolutismo, come può vivere secondo diritto, sub lege? Quand'è che esercita un giusto potere, e quand'è che diventa un tiranno? Fu una discussione delicata, e con sviluppi diversi in sede laica e in sede ecclesiastica: • SEDE LAICA si discusse del "buon re" • SEDE ECCLESIASTICA si discusse della sovranità papale: che libertà di movimento ha il Papa, rispetto alle Sacre Scritture e alla tradizione teologico-canonistica? Fino a che punto deve sentire il parere della societas Christiana riunita a concilio? La risposta data ad entrambi i problemi fu validissima: il PARLAMENTARISMO. A differenza dei Comuni, infatti, che operavano attraverso le loro vitalissime assemblee, negli ordinamenti principeschi in senso lato ( dall'Impero ai Regni, compreso quello pontificio, ai vari principati minori ) la necessità di consulenza politica stimolò la ben diversa pratica dei PARLAMENTI tale pratica poggiava su una motivazione giuridica fortemente discussa, perché effettivamente debolissima, in quanto priva di appigli giuridici forti: il principio secondo il quale i provvedimenti interessanti tutti i consociati devono essere in un modo o nell'altro approvati dagli stessi. Il che non voleva dire DA TUTTI, ma da RAPPRESENTANZE DEL POPOLO TUTTO, che per il tempo erano i ceti sociali giuridicamente definiti e ammessi: nobili, ecclesiastici e abitanti delle città che conseguissero tale diritto/privilegio. Essi si diffusero in Europa con i nomi più vari: CORTES in Spagna, PARLIAMENTS in Inghilterra, STATI GENERALI E PROVINCIALI in Francia nasce la concezione pattizia del potere: in tanto il sovrano può dettare regole nuove che incidono sulla sfera giuridica dei sudditi, in quanto essi vi acconsentano. Tale sviluppo non coinvolse invece il Papato ( tranne il breve periodo conciliare ) e le città-Stato, le quali continuavano a imporre tasse e prestazioni militari anche molto onerose prescindendo totalmente dal consenso dei sudditi in particolare, le città-Stato continuano ad usare i vecchi consigli cittadini, che non erano rappresentanza di ceti distinti, ma soltanto dell'unico ceto dei cittadini, unificati nello status dal privilegio di avere pieni diritti politici. I paradossi veneziani. Intorno al 1300, maturò il DISTACCO del sistema giuridico veneziano dal diritto comune. Difatti, man mano che nel corso del Duecento Venezia si integrava nel sistema di diritto comuni, cresceva entro il suo ceto dirigente un grido d'allarme: i NOBILI MERCANTI veneziani avvertivano infatti il pericolo di una cultura giuridica secondo loro legata troppo a Roma e all'Impero VIENE PERCIO' RIFIUTATO IL DIRITTO COMUNE in sede laica, proprio nel momento in cui altrove esso trionfava ( = la Repubblica non volle che il diritto universitario prendesse il ruolo suppletivo-interpretativo che altrove stava conquistando ) a Venezia, dopo le leggi e le consuetudini locali, il giudice avrebbe fatto ricorso all'EQUITA', al prudente apprezzamento la giustizia interna resta sotto stretto controllo locale, amministrata dai saggi politici- mercanti veneziani stessi. Il fatto è rimarchevole, in quanto attesta che la professionalizzazione del diritto e la sua gestione universitaria non erano affatto nel DNA della cultura medievale, nonostante la fortissima eredità romanistica. Le città e il loro diritto. Gli statuti conoscono da metà Duecento in poi la loro vera stagione. Lo statuto dell'epoca copriva ormai ogni possibile area del disciplinabile: dal diritto che oggi chiamiamo costituzionale a quello civile, amministrativo, penale, processuale non c'è area esente: al punto che si giunse ad avere la legislazione suntuaria ( = disciplinatrice del lusso ), quella sulla liberazione dei servi e sul loro inurbamento, … Nonostante qualche opinione contraria, non era esente dall'area degli statuti nemmeno il diritto privato: vi furono infatti interventi per regolare il diritto di famiglia e le successioni. A normare in materia di diritto commerciale c'erano poi istituzioni specifiche: le MERCANZIE esse, senza annullare le singole corporazioni, assumono la rappresentanza generale, dal punto di vista politico- istituzionale, di tutto il mondo imprenditoriale cittadino. In tale veste trattavano col potere politico locale e con le istituzioni di altre città ( per fiere, viabilità, … ). Esse avevano i propri statuti, le proprie deliberazioni, ed addirittura il proprio tribunale, con tanto di carcere ( es. per i debitori insolventi ). È ben evidente come essi furono un elemento di propulsione del diritto commerciale e marittimo e al tempo stesso del pluralismo istituzionale medievale. Gli statuti rurali, invece, si limitano a previsioni minori ( microcriminalità, danni all'agricoltura, … ): ciò perché essi finiscono presto per presupporre la legislazione o lo statuto della città dominante, che ha inglobato il villaggio o la cittadina nel proprio territorio la città si sovrappone a queste realtà minori, anche con la violenza militare. In questa matura e tumultuosa fase statutaria, fino a metà del Trecento, di solito si identificò anche una serie di norme statutarie tanto caratterizzanti per il ceto politico dominante che si vollero IMMODIFICABILI ( cd. STATUTARIA PERPETUA ), e se ne vietava la abrogazione o correzione naturalmente, queste cautele esorcizzavano un pericolo che si sapeva incombente, ed erano proprio queste le prime norme che facevano le spese di una mutatio status o regiminis. Tuttavia, sebbene nelle campagne fosse pratica comune il RICORSO SUSSIDIARIO al diritto della città dominante, occorre sottolineare che la città Dominante stessa NON estendeva mai il proprio statuto al territorio fuori le mura ad essa soggetto, perché NON voleva estendere la cittadinanza, con i consueti privilegi. Tutt'al più la città dominante emanava leggi fiscali o d'intervento nell'economia con validità su tutto il territorio, e che si sovrapponevano agli statuti derogando ad essi si trattava però di LEGGI SPECIALI. Mentre in questo modo si estendeva la loro applicazione nello spazio, si ebbe anche una relativa STABILIZZAZIONE DEGLI STATUTI da metà Trecento in poi: non si ebbero più, come prima, riforme annuali degli statuti ( diffuse tra primo Duecento e primo Trecento ), ma un testo che rimaneva stabile a dare un'identità anche culturale alla città le eventuali riforme continue di questo o quel particolare erano adottate con provvedimenti a sé. Ciò avveniva nonostante, magari, parte degli statuti stessi cadesse man mano in DESUETUDINE mancavano le cd. Riforme razionalizzatrici, in quanto ritenute faticose e costose IMMOBILISMO CHE E' DIRETTA CONSEGUENZA DI UN ECCESSO LEGISLATIVO, di un eccesivo giuridicismo. Mentre gli statuti dei Comuni cittadini erano in latino scolastico ( o addirittura in latino umanistico ), gli STATUTI MINORI ( = gli statuti delle comunità più piccole ) erano invece in VOLGARE, in quanto elaborati dalle comunità stesse, al massimo con l'aiuto di un notaio locale o della città dominante. L'AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA Le questioni erano cresciute già nel Duecento, tanto che durante la fase avignonese Giovanni XXII istituì la SACRA ROTA ROMANA ( 1331, è l'unico tribunale medievale ancora oggi esistente ininterrottamente ) essa fu da subito un tribunale collegiale, formato da più auditores, per lo più dotti. Essi, cosa inaudita per il tempo, cominciano a dotarsi di una propria giurisprudenza, cominciando a mettere per iscritto le motivazioni di certe decisioni di un tribunale e conservandole nascono così le raccolte di Decisiones, che ebbero un grande successo in quanto da esse si poteva pensare di avvicinarsi all'orientamento che la stessa corte avrebbe preso in futuro su un caso simile. Sulla scorta della rota romana, anche le altre corti centrali cominciano a raccogliere la propria giurisprudenza; in particolare, è importante la raccolta di decisioni del SACRO REAL CONSIGLIO, organo centrale della giustizia civile a Napoli. Tali discussioni circolavano abbondantemente proprio perché svincolate dal caso specifico da cui erano nate: esse erano infatti delle motivazioni di diritto. Giustizia e politica, ovvero: giurisdizione e legislazione. Sebbene l'amministrazione della giustizia, la giurisdizione, fosse originariamente un compito del re, essa ben presto fu da questi delegata ad altri soggetti: si era capito da un pezzo, infatti, che compito del re, del principe, e così via era di occuparsi del Paese. I re hanno ormai, accanto ai loro consiglieri per la gestione del paese, dei consiglieri speciali, cui affidare gli affari di giustizia ( di solito, in questo periodo, sono dei giuristi ). Sempre in questo periodo, come visto nel paragrafo precedente, nascono i Consigli di giustizia, i quali non hanno soltanto la funzione di "sgravare di lavoro" la cancelleria del principe, bensì sono organi di giustizia a latere del principe che operano come se fossero lui stesso sono, quindi, organi che di regola possono ritenersi sovrani dell'interpretazione, pretendendo di avere quindi larghi poteri equitativi. Lo stesso accade nei comuni, dove anziché i consigli di giustizia ci sono i Capitani di giustizia. Sia il princeps sia i Comuni si riservavano, comunque, di intervenire in ultima istanza con interventi straordinari, di grazia. Occorre sottolineare, comunque, che, a differenza dei giorni odierni, la separazione tra politica e legislazione non implicava anche l'estraneità, l'alterità delle attività di governo dei politici e di giustizia dei giudici il collegamento c'era anche in forza del fatto che era il governo a nominare i giudici. Tuttavia, la distinzione concettuale tra politica e legislazione era già sentita un governo che si fosse intromesso nella giustizia era avvertito come tirannico. Essa era sentita, si, poteva, anche non essere effettiva: non mancarono, infatti, all'epoca, casi di ingerenza del potere politico sui processi, che vennero usati per risolvere indirettamente problemi politici es. il processo ai Templari, condannati con accuse infamanti dal potere laico francese e il cui ordine fu sciolto su ordine del Papa; il processo contro Jan Hus; il processo contro Giovanna d'Arco; il processo contro Savonarola; … Nelle campagne. Nelle campagne i fatti andavano in modo probabilmente molto diverso. In esse, infatti, la giustizia, quando era amministrata, lo era in modo spesso intermittente o approssimativo, ad opera di vicari o notai spesso mal pagati. Essi di regola amministravano una giustizia penale e civile di prima istanza e di scarso valore, oppure per reati minori, e dovevano cercare di arrotondare il salario previsto con multe o tasse sugli atti gli abusi e gli arbitri erano all'ordine del giorno. La campagna era ad esempio ricettacolo di banditi, che vi si rifugiavano contando sul fatto che lì le forze di polizia erano quasi totalmente assenti per risolvere il problema, si dispose che, nei casi in cui non si trovava il colpevole, la comunità era considerata responsabile solidalmente e oggettivamente dei reati che vi venivano commessi. Altra caratteristica di questa giustizia minore è che essa si attivava su iniziativa privata, anche anonima, in modo da evitare ritorsioni, e conduceva di solito soltanto a pene pecuniarie ( per evitare il carcere che obbligava a predisporre spazi per le celle e spese per i loro custodi ). Giustizia civile e giustizia penale: un'ammissione significativa. Il diritto romano e i suoi dottori erano un filtro indispensabile, anche quando si sarebbero volute cause rapide, che riconoscessero i propri crediti e le proprie proprietà questo soprattutto interessava a chi contava, in particolare i giuristi. Come a FRANCESCO GUICCIARDINI, il primo grande storico italiano, che nei primi del Cinquecento dichiara che è nella giustizia civile che bisogna essere scrupolosi, legati alla ricerca attenta della verità, mentre in quella penale si poteva largheggiare, non andar tanto per il sottile dichiarazione importantissima, in quanto va contro il principio dell'in dubio pro reo ( suggerisce infatti il ricorso all'interpretazione estensiva delle norme penali ) ai giuristi dell'epoca quindi, parte integrante del ceto dirigente, interessava soltanto un ordine rigoroso per garantire la titolarità dei beni ( giustizia civile ) da ogni attacco esterno a essi e alla società ( giustizia penale ) viene espresso quindi quello che l'ETHOS della società dell'epoca ( e di quella precedente ): nessuna garanzia per l'imputato, specie se si è inquisiti per il reato di "eretica pravità". È facile immaginare quanti e quali abusi siano stati commessi in questo modo in quell'epoca ( e ne abbiamo anche fedeli resoconti scritti, da cui sappiamo, ad esempio, che la tortura raggiunse rari livelli di perfezione ). Anche la stratificazione delle fonti nel tempo contribuiva a produrre evidenti ingiustizie: ad es. a Siena, per lo stesso reato si poteva essere condannati a una piccola multa, oppure addirittura alla pena di morte. Spesso il governo interveniva anche pesantemente nella giustizia, con PRECISI ORDINI ai giusdicenti ( in ambito penale ) questo quando si riusciva a catturare il delinquente, spesso invece latitante e condannato in contumacia, in quanto rifugiatosi o nelle campagne o in un altro Stato. Bisognava però comunque colpire, dar mostra di esercitare la giustizia: lasciar impuniti i delitti era, secondo i predicatori, un peccato grave per un governante ( tollerare il male era come farlo ). Di qui un impeto repressivo che raggiungeva, come s'è detto, il fanatismo irresponsabile, specie nella repressione dell'eretica pravità. Nel complesso, comunque, si tendeva, quando possibile, a cercare di favorire ACCORDI tra le parti lese, dette TREGUE GIURATE, per evitare che tra le parti stesse scoppiassero faide senza fine. Nonostante, comunque, una legislazione penale così dura, fu un mondo molto violento ( almeno fino al Trecento ), tenuto sotto controllo solo in modo molto imperfetto e saltuario da parte dell'autorità pubblica.
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