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CONTROLLO E AUTODETERMINAZIONE NEL LAVORO SOCIALE, Dispense di Sociologia della Devianza e della Criminalità

RIASSUNTO BEN FATTO DEL LIBRO.

Tipologia: Dispense

2023/2024

In vendita dal 07/02/2024

freya-lunas
freya-lunas 🇮🇹

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Scarica CONTROLLO E AUTODETERMINAZIONE NEL LAVORO SOCIALE e più Dispense in PDF di Sociologia della Devianza e della Criminalità solo su Docsity! CONTROLLO E AUTODETERMINAZIONE NEL LAVORO SOCIALE CAPITOLO 1: IL CONTROLLO SOCIALE COME MANIFESTAZIONE DI POTERE NELL’AMBITO DEL LAVORO SOCIALE. Con il termine CONTROLLO SOCIALE si fa riferimento - Ai meccanismi e condizioni che creano una società stabile - Alle azioni intenzionali che vengono messe in atto per regolare la condotta di individui considerati devianti. Cesareo: “il controllo sociale è una particolare specie del più ampio genere di potere”. Il processo attraverso cui il controllo sociale è esercitato può essere scomposto in quattro parti: 1. DEFINIZIONE NORMATIVA DELLA CONDOTTA DEL DEVIANTE 2. SCOPERTA DELLA DEVIANZA 3. PRESA DELLE DECISIONI NEI CONFRONTI DEL DEVIANTE 4. EVENTUALE ATTUAZIONE DI UN PROVVEDIMENTO 1.1 POTERE E LAVORO SOCIALE Il controllo sociale è una manifestazione di potere (=è la capacità di produrre effetti intenzionali). Le prospettive teoriche che vedono la società come un’entità stabile e ben integrata in cui vi è consenso tra i membri dei vari gruppi sociali sui valori e norme  considerano il potere come una –––funzione del sistema sociale: il potere è una risorsa che viene utilizzata per raggiungere scopi collettivi e quindi viene utilizzato per il bene di tutti. Le prospettive teoriche secondo cui la società sarebbe caratterizzata da un continuo scontro tra i diversi gruppi sociali per il conseguimento di risorse strategiche  considerano il potere come uno strumento tramite cui il gruppo dominante impone la propria visione del mondo e persegue i propri interessi. 1.1.1 DUE SIGNIFICATI DEL CONCETTO DI POTERE  Il potere come abilità di fare qualcosa (power to)  Il potere inteso come capacità di un individuo di influenzare il comportamento di un altro senza che l’altro sia in grado di fare altrettanto (power over). POWER TO Capacità di un individuo di realizzare un proprio fine  la capacità delle persone di esercitare un grado di controllo sul proprio corso di vita dipende da una serie di fattori: la definizione di sé come oggetto agente capace di perseguire i propri fini e controllare le circostanze, le abilità, le competenze acquisite nel corso della vita, il capitale sociale di cui dispone, le opportunità, vincoli strutturali che possono condizionare l’azione. La letteratura sul corso della vita evidenzia come l’agency si sviluppi nell’interazione sociale con altri individui significativi (famiglia, amici, compagni di scuola/sport, lavoro)  tutti contesti che possono rafforzare/ indebolire la capacità di perseguire le proprie mete. MECCANISMO DELLA PROFEZIA: descritto dal teorema di Thomas. un soggetto assume progressivamente lo status e identità veicolati dalla definizione della sua situazione e della sua persona prodotta dagli altri significativi, finendo per diventare quello che è stato definito essere. Uno studio su alcuni bambini delle elementari dimostra che  le aspettative e il modo in cui i docenti definiscono gli alunni produce effetti reali. Gli operatori sociali, devono essere consapevoli che le loro definizioni di agency degli utenti potranno avere conseguenze reali  potranno quindi rafforzare/indebolire l’empowerment di tali utenti. POWER OVER In questa accezione il potere è la capacità di cui dispone l’individuo A di far fare qualcosa all’individuo B che non avrebbe fatto senza l’intervento di A che è in grado di imporre la propria volontà a B = forma di potere che si manifesta nell’esercizio del controllo sociale. L’assistente sociale che intende riflettere sul tipo di controllo sociale deve mettere a fuoco due questioni: 1. In che modo sta esercitando il potere 2. Per quali ragioni la persona obbedisce facendo qualcosa che non avrebbe fatto se non fosse entrata in contatto/relazione con l’operatore. 1.1.2 LE FORME DI POTERE Come può A far fare qualcosa a B che B senza l’intervento di A non avrebbe fatto? La capacità di A di indurre in B un determinato comportamento può avvenire attraverso la forza, l’influenza e autorità. Ci si può trovare difronte a persone che non hanno scelto di entrare in contatto con gli operatori e che magari non accettino la definizione che gli è stata data (es. genitore negligente che deve essere aiutato)  INVOLUNTARY CLIENTS. 1.1.2.1 LA FORZA Nelle democrazie gli unici attori sociali che possono usare legittimamente la forza sono: forze dell’ordine e forze armate. Un assistente sociale non può allontanare con forza un minore dalla famiglia, lo possono fare solo le forze dell’ordine su disposizione di un giudice. 1.1.2.2 L’INFLUENZA In una relazione di potere A può ottenere il risultato che desiderava da B indirizzando il suo modo di pensare modificando le sue mappe cognitive. - L’influenza è una forma di potere che può essere utilizzato attraverso la persuasione o manipolazione. 1.4 CONTROLLO SOCIALE DELLA DEVIANZA: il processo di formazione delle norme e le conseguenze della reazione sociale sul deviante. Controllo sociale= manifestazione di potere finalizzato a regolare il comportamento di quelle persone etichettate come devianti. 1.4.1 IL PROCESSO DI FORMAZIONE DELLE NORME Una spiegazione sociologica della devianza (comportamento che viola delle norme sociali) deve tenere conto dei processi attraverso cui queste norme sono prodotte. In ambito sociologico la natura della devianza è  la devianza è relativa. - Le prospettive teoriche che vedono la società come un’entità stabile e ben integrata rispondono affermativamente. il deviante è un soggetto che non è stato adeguatamente socializzato poiché norme e valori che regolano i comportamenti sociali dovrebbero essere condivisi dai membri di una società, in un dato momento storico e contesto sociale. La norma infranta non viene messa in discussione e l’attenzione si focalizza sul comportamento del deviante. La devianza è un fenomeno OGGETTIVAMENTE DATO. In questa prospettiva teorica il deviante dovrebbe conformarsi alle aspettative del ruolo di malato (sick role) delegando all’esperto il potere di definire ciò che è “normale” e ciò che è “deviante”. Dovrebbe considerare indesiderabile la devianza e desiderabile la “normalità” come definita dall’esperto. In questa logica del controllo sociale, non accettare la definizione della propria situazione è sintomo di problema ed incapacità da parte del deviante di stare nei limiti della norma (che non viene messa in discussione poiché si assume che essa sia espressione di un ordine morale condiviso da parte dei membri -non devianti- della società). - Le prospettive teoriche che vedono la società come un aggregato caratterizzato da un continuo scontro tra i gruppi sociali per il conseguimento di risorse strategiche, sostegno, invece, l’origine conflittuale delle norme. nel processo di formazione delle norme, quelle norme “poste a tutela del vivere sociale” non sono considerate espressione di ordine morale della società, ma espressione dell’ordine morale del gruppo dominante. La devianza ha una connotazione anche politica, poiché la definizione di cosa è deviante e che cosa non lo è riflette gli interessi dei gruppi sociali che detengono il potere. Secondo questa prospettiva si deve spiegare il processo attraverso cui un dato comportamento sociale viene definito come deviante: quali attori sociali hanno preso l’iniziativa e in quali interessi e valori essi supportano? Questa visione il controllo sociale è una manifestazione del potere finalizzato a salvaguardare l’ordine morale della classe dominante e l’assistente sociale tutela gli interessi della classe dominante. 1.4.2 LE CONSEGUENZE DELLA REAZIONE SOCIALE SULLE PERSONE ETICHETTATE COME DEVIANTI: Bisogna premettere che non tutti i devianti vengono scoperti e se scoperti non tutti subiscono lo stesso tipo di reazione sociale. REAZIONE SOCIALE è selettiva poiché non è orientata da criteri oggettivi ma è espressione di scelte e interessi di coloro che detengono il potere di “etichettamento”. Numerosi studi evidenziano che la probabilità di essere stigmatizzati e di subire reazione sociale sia maggiore per: - Individui che appartengono a gruppi sociali che sono dotati di minore potere nella società (genere, classe sociale, livello istruzione). - Membri di gruppi che risiedono in ambiti territoriali ritenuti criminogeni. - Individui dal cui aspetto e comportamento si può capire che sono portatori di valori diversi da quelli dominanti. - Individui già stigmatizzati (ex carcerati). Gli individui si differenziano: 1. La loro capacità di evitare che determinati comportamenti sociali vengano etichettati come devianti. 2. Quando adottano un comportamento deviante, si differenziano per la capacità di evitare di essere scoperti e di controllare le impressioni altrui. 3. Se scoperti, si differenziano per il loro potere di contrastare l’etichettamento attraverso la neutralizzazione della disapprovazione sociale e l’abolizione di strategie finalizzate alla conservazione del prestigio e rispettabilità sociale. 4. Se etichettati e trattati come devianti si differenziano per la loro capacità di dimostrare pubblicamente di aver acquisito una identità sociale non deviante. Le prospettive teoriche che vedono la società come un’entità stabile e ben integrata considerano il controllo sociale come una funzione del sistema sociale indispensabile per prevenire, contrastare e ridurre i comportamenti devianti  si devono sanzionare i devianti perché la società deve proteggere sé stessa dalle conseguenze dannose della devianza. REAZIONE SOCIALE DELLE ISTITUZIONI= contribuisce a proteggere la società. Backer analizza le conseguenze dell’etichettamento sugli individui facendo riferimento al concetto di status egemone, Il soggetto etichettato verrà considerato un deviante anche per tutti gli altri aspetti della vita e alla luce dell’etichetta deviante verrà reinterpretato il suo comportamento anche passato per trovare una conferma della sua natura deviate: in seguito a questo processo l’individuo finisce per divenire quello che è stato descritto come essere. I teorici dell’etichettamento e della reazione sociale si ispirano all’interazionismo simbolico in quanto suppongono: - La devianza sia il prodotto dell’interazione tra chi elabora e applica le norme e chi le trasgredisce. - Le etichette di devianza siano simboli che stigmatizzano le persone alle quali sono applicate. Secondo gli interazionisti simbolici l’identità delle persone è il prodotto delle loro interazioni sociali. La forma di potere come influenza evidenzia come il potere dell’etichettamento dell’utente da parte dell’assistente sociale ha conseguenza reali. CAPITOLO SECONDO: SAPERE E CONTROLLO SOCIALE NEL LAVORO SOCIALE DUE PARADIGMI Nell’ambito della tutela dei minori, la valutazione del rischio di pregiudizio si basa su due tipi di approcci: - APPROCCIO CLINICO la valutazione del rischio si fonda sul giudizio professionale dell’operatore. - APPROCCIO PROBABILISTICOutilizza procedure standardizzate per accertare le probabilità che si verifichi una situazione pregiudizievole del minore. Ridurrebbe la discrezionalità dell’operatore e quindi si configurerebbe come procedura conoscitiva-oggettiva e neutrale. Se si adotta una prospettiva del conflitto secondo la quale la devianza è un fenomeno politico, è necessario che l’operatore rilevi la definizione della situazione data dall’utente, la propria interpretazione della realtà e focalizzi la propria attenzione sul processo di etichettamento della devianza.  Tale obiettivo non può essere conseguito se si adottano criteri che si assume siano oggettivi e neutrali, perché sono stati ricavati dall’analisi della realtà attraverso rigorose procedure. 2.1 LA QUESTIONE ONTOLOGICA La questione ontologica da cui dobbiamo partire per studiare e trattare l’abuso e la negligenza è la seguente: 1. Qual è la natura della negligenza o dell’abuso? 2. Sono fenomeni che esistono indipendentemente dalla attività interpretativa del ricercatore e operatore? 3. Esistono indipendentemente dalla attività definitoria degli esseri umani? Gli approcci che si collocano nel paradigma positivista assumono che i fenomeni sociali abbiano un’esistenza indipendente dalla attività conoscitiva degli uomini e delle donne e quindi possano essere osservati empiricamente da un ricercatore neutrale. COSTRUTTIVISTI: sostengono che il mondo sociale è costruito da realtà socialmente costruite, che devono essere investigate attraverso l’interpretazione. Il ricercatore è considerato come uno degli attori nella situazione oggetto di analisi. L’APPROCCIO STORICO e ANTROPOLOGICO: hanno evidenziato come l’abuso e la negligenza siano fenomeni storicamente e culturalmente determinati. standardizzati  se i genitori soggetti all’assistment se i genitori siano in grado o meno di promuovere uno sviluppo adeguato ai loro figli. I FATTORI DI RISCHIO: “FATTI” CONTAMINATI DALLE TEORIE E DAI VALORI. Le ipotesi esplicative e le osservazioni sulla negligenza e l’abuso non sono indipendenti dagli occhiali teorici che si indossano per analizzare tali fenomeni. Dall’osservazione empirica non si può ricavare un modello di genitorialità oggettivo  perché i fatti sono contaminati dalle teorie e dai valori. DEVIANZA NASCOSTA, CONTROLLO SOCIALE E CAMPIONAMENTO. Negli studi sui comportamenti devianti, il campionamento rappresenta una fase strategica del disegno di ricerca. Nella prospettiva positivista, la PRATICA GOLD della spiegazione di un comportamento deviante sarebbe rappresentata dallo studio longitudinale prospettico con un gruppo di controllo. Come articolare un disegno di ricerca?  Selezionare un campione di neogenitori statisticamente rappresentativo di una popolazione (Es. tutti i neogenitori di una determinata città).  Si dovrebbe seguirlo nel tempo.  Si somministra inizialmente un questionario con cui si rilevano i comportamenti in relazione alla loro capacità di soddisfare adeguatamente i bisogni dei loro figli.  Sulla base delle risposte si individuano gli intervistati che possono essere considerati genitori negligenti e si definiscono due gruppi: genitori negligenti e genitori non negligenti.  Nel corso del tempo si intervistano periodicamente i due gruppi di genitori per raccogliere informazioni sulla loro capacità di soddisfare i bisogni dei loro figli. In questo modo si può individuare alcuni genitori maltrattanti individuati al tempo 0 possono essere diventati non maltrattanti e viceversa. Tale prospettiva diacronica è l’unica che potrebbe consentire ai ricercatori di individuare le relazioni causali tra determinati fattori e il fenomeno deviante oggetto di studio. Tale disegno di ricerca è difficilmente realizzabile per una serie di ragioni: 1. È probabile che i neogenitori che dichiarano comportamenti devianti non siano molti  rischio di non aver un numero adeguato di genitori negligenti. 2. Può ridursi notevolmente il numero di partecipanti alle rilevazioni successive. 3. Rischio che il numero dei genitori “maltrattanti” sia sottorappresentato in particolare nella classe media. La maggior parte degli studi sui fattori di rischio è realizzata su campioni che provengono da popolazioni “registrate” o “cliniche” genitori che sono in carico ai servizi di tutela dell’infanzia o che sono denunciati. Negli studi con popolazioni “registrate” e/o “cliniche” la generalizzabilità dei risultati è discutibile per due ragioni teoriche e metodologiche: La registrazione dei soggetti tra i devianti è il risultato delle attività di determinate persone che, nel sistema sociale, definiscono, classificano e registrano determinati comportamenti come “devianti” se un certo comportamento non è ritenuto deviante da tali persone non verrà “registrato” dalle istituzioni. È quindi la natura selettiva del controllo sociale che produce “popolazioni registrate”. È difficilmente sostenibile che gli strumenti di valutazione standardizzati, come le griglie di valutazione, siano strumenti oggettivi  propongono un elenco di comportamenti che sono indicatori di un fenomeno non tanto reale quanto un fenomeno che viene così interpretato dalle istituzioni. 2.2.2. COSTRUTTIVISMO Per i costruttivisti, i fenomeni sociali non possono essere studiati con metodi delle scienze naturali. IL PROBLEMA TEORICO E METODOLOGICO: non è quello di studiare un fenomeno con strumenti oggettivi utilizzati per tutti i casi ma: 1. Di riflettere sulle normatività delle categorie sociali che si usano 2. Sul senso che gli attori sociali attribuiscono ai propri comportamenti. 3. Sulle relazioni di potere tra attori in gioco. Strumenti diagnostici strutturati, come le check list, spingono l’assistente sociale ad andare alla ricerca si tutti quegli elementi che gli consentiranno di collocare il deviante all’interno di una specifica categoria  Es: genitore negligente, con problemi di dipendenza da sostanze psicoattive, in carico da molti anni ai servizi. Operando in questo modo l’operatore può tralasciare una quantità di informazioni che potrebbero falsificare la sua ipotesi non partendo dai significati che il genitore attribuisce al proprio comportamento, in una specifica situazione e contesto sociale, sarà attento a registrare quelle informazioni che possono confermare o meno la presenza di tali fattori. Una volta che il soggetto è collocato in una categoria, gli si applica un’etichetta che orienta il successivo intervento volto a modificare il comportamento dell’utente nella direzione indicata dall’operatore. Se l’operatore deve: riflettere sulle normatività delle categorie sociali che si usano, sul senso che gli attori sociali attribuiscono ai propri comportamenti, sulle relazioni di potere tra attori in gioco: DEVE UTILIZZARE STRUMENTI DI VALUTAZIONE NON STANDARDIZZATI. **chi usa strumenti standardizzati spesso precisano che i fattori di rischio devono essere contestualizzati e devono essere integrati con metodologie qualitative. Esempio visita domiciliare: Bisogna calcolare che in questo caso le assistenti sociali entrano in uno spazio personale/intimo. Entrano in questa circostanza con gli “occhiali” dell’osservatore positivista adottando però dei filtri che sono: 1. Esperienza del suo mondo. 2. Dei suoi valori, dei suoi modelli normativi di casa adeguata. 3. Per le sue conoscenze scientifiche sui fattori di rischio. 4. Della sua esperienza professionali pregressa con persone che appartengono alla stessa “categoria” della signora. Questi filtri selezionano le informazioni che si possono ricavare dall’osservatore. Il problema metodologico, teorico ed etico: non è solo che le informazioni sono raccolte in modo parziale ma che il metodo adottato per raccoglierle non consente all’operatore un’analisi autoriflessiva sul proprio potere di definizione della situazione dell’utente. Non consente di cogliere il vissuto emotivo dell’utente e le sue “buone “ragioni. Le reazioni degli utenti sottoposti a controlli da parte dell’operatore non vengono interpretate come comprensibile resistenza al potere esercitato dall’operatore. Kryczka: osserva che: l’approccio distaccato dell’osservatore neutrale favorisce un’attività valutativa di tipo paternalistico. Una visita domiciliare, che adotta una prospettiva comprendente dovrebbe essere gestita con approccio etnografico. Secondo Fook, una visita domiciliare potrebbe essere presentata come una sorta di attività etnografica, poiché è un tentativo di entrare un po’ più nel mondo fisico di un utente nel proprio servizio: entro nel mondo sociale dell’utente consapevole che sto invadendo il suo spazio privato. Bisogna però tentare di: 1. Osservare quel mondo con i suoi occhi. 2. Comprendere il suo modo di vivere gli spazi. 3. Il suo modello normativo. È necessario che l’operatore, nell’assessment utilizzi un approccio che gli permetta di partire da una situazione di “ignoranza” per essere messo nelle condizioni di ascoltare la persona etichettata come deviante senza adottare cornici interpretative, su rappresentazioni parziali del fenomeno del fenomeno, che lo indurrebbero a tralasciare una quantità di informazioni non prese in considerazione dalla letteratura scientifica. ** famoso esperimento: Due psicologi, un medico, un pediatra, un pittore, una casalinga e uno studente di psicologia si presentano al pronto soccorso di alcuni ospedali psichiatrici simulando sintomi di malattia mentale dicendo si “sentire le voci” (nessun altro dato, né biografico né clinico fu alterato). - Attraverso un processo di assessment costruttivista l’operatore è in gradi di cogliere il punto di vista degli utenti, tentare di osservare il mondo con i loro occhi cogliere la loro definizione della situazione. Entrando nei panni dell’utente si può cogliere il senso delle sue azioni che può consentire all’assistente sociale di evidenziare tutto ciò che la persona fa e ha fatto per tentare di adempiere in modo convenzionale alle aspettative di ruolo. - Un approccio positivista: utilizza strumenti standardizzati per valutare i fattori di rischio e categorizzare gli utenti, non è in grado di cogliere il senso delle azioni etichettate come devianti. Esso consente di raccogliere una serie di segni di una probabile devianza. - L’approccio costruttivista: consentirebbe di comprendere i significati che gli utenti attribuiscono ai loro comportamenti senza ignorare che la mancanza di risorse materiali e di potere condiziona la capacità delle persone di perseguire i propri funzionamenti sociali. - L’approccio neoliberista alle politiche sociali: si fonda sull’idea che i poveri siano responsabili della loro condizione, che i genitori negligenti non siano in grado di soddisfare i bisogni dei loro figli per problemi che non hanno nessun legame con l’ambito sociale ma per problemi interiori. “sei povero, rimasto povero, non sei in grado di migliorare il tuo status sociale e quello dei tuoi figli, la colpa è solo tua!” non tutti i genitori poveri sono etichettati come negligenti. Per contrastare la narrazione neoliberista che incolpa le famiglie per la loro povertà è importante adottare un approccio che consenta di afferrare la relazione tra problemi personali e diseguaglianza strutturale. RICOSTRUIRE LE STORIE.  Come può un’assistente sociale tradurre concretamente nella propria attività di valutazione una prospettiva costruttivista e anti-oppressiva? Deve mettere in atto un processo di ricostruzione critica della propria pratica. Tale processo deve partire da una fase di decostruzione nelle prospettive teoriche dominanti che caratterizzano le attuali logiche di intervento nei servizi sociali con lo scopo di analizzare in che modo tali prospettive presentino le relazioni di potere oppressivo nell’ambito del lavoro sociale e l’ingiustizia sociale nella vita degli utenti: - La griglia di valutazione che sto utilizzando su quale modello di genitorialità è fondata? - Di quali gruppi è visione questo modello? - Che tipo di potere sto esercitando? L’adozione di una prospettiva costruttivista può fornire una nuova cornice interpretativa per riflettere sul proprio potere di definizione dei problemi e bisogni degli utenti. LA PROSPETTIVA DEL CORSO DI VITA 1° assunto  il corso di vita di una persona non consiste semplicemente in un continuo flusso di esperienze nel tempo: la vita è strutturata in fasi della vita che sono regolate da norme sociali specifiche. 2° assunto  rilevante per l’attività valutativa degli assistenti sociali è relativo al fatto che la capacità delle persone di esercitare un certo grado di controllo sui propri corsi di vita è influenzata da diversi fattori: - il contesto storico e sociale: le storie delle persone devono essere sempre collocate in specifici contesti e tempi storici. Ricostruire una storia di una persona collocandola in specifici contesti sociali e tempi storici, permette all’operatore di far presente al protagonista che la sua condizione è condivisa da altre persone. - l’interconnessione delle diverse traiettorie: è fondamentale ricostruire la carriera deviante dell’utente cogliendo le interdipendenze con le altre carriere. - interdipendenza tra i corsi di vita delle persone: fornisce all’assistente sociale degli occhiali con cui osservare tutto ciò che l’utente ha fatto nel corso della sua vita per affrontare determinati eventi biografici spiazzati e cogliere le situazioni nelle quali è stato in grado di attuare efficaci strategie di coping. Una decostruzione del problema mette a fuoco le interdipendenze tra le diverse traiettorie e può consentire all’operatore di individuare e rafforzare le capacità di coping degli utenti, evitando che il potere protettivo diventi oppressivo. ** la povertà: non è responsabilità del singolo individuo, ma una condizione strutturale che può essere modificata da specifiche politiche sociali ed economiche.
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