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Corso di psicologia dello sviluppo, Berti-Bombi-quarta edizione, Sintesi del corso di Psicologia dello Sviluppo

Riassunto scritto da me comprendente fino al capitolo 8 del libro (come richiesto dal docente per l'esame)

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 22/06/2021

Eagone-88
Eagone-88 🇮🇹

4.6

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Scarica Corso di psicologia dello sviluppo, Berti-Bombi-quarta edizione e più Sintesi del corso in PDF di Psicologia dello Sviluppo solo su Docsity! CORSO DI PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO Cap. 1: Lo sviluppo percettivo e motorio 1. Dal concepimento alla nascita Fino agli anni '60 si pensava che le capacità cognitive in un neonato fossero completamente assenti e che venissero a costruirsi nel corso dello sviluppo. Tempo dopo si scoprì che il neonato è un essere competente e che le capacità di memoria e apprendimento sono presenti ancor prima della nascita. - Lo sviluppo prenatale Lo sviluppo prenatale viene suddiviso in tre periodi: • germinale che ha inizio con la fecondazione e termina circa due settimane dopo, quando la piccola massa di cellule si impianta nella parete interna dell'utero ed inizia a duplicarsi fino al formarsi dell'embrione. E' in questa fase che possono generarsi i gemelli. • Embrionale, seconda all'ottava settimana, quando iniziano a formarsi i tessuti, gli organi e si delinea la struttura del corpo. Gli organi che si sviluppano prima sono il cuore, il cervello, l'apparato digestivo e respiratorio (endoderma), lo scheletro, i muscoli e sistema circolatorio (mesoderma), poi appaiono arti e dita; alla fine del secondo mese il corpo del futuro bambino ha pressochè una forma umana, il cuore ed il sistema nervoso (ectoderma) sono già in funzione ed è in questo periodo che possono originarsi i difetti congeniti. • Fetale, dal terzo mese di gravidanza, in cui l'organismo deve solo crescere e perfezionarsi. - Lo sviluppo del cervello e del sistema nervoso Inizia già nel periodo embrionale: l'ectoderma si piega dando origine ad un tubo neurale da cui si formeranno il cervello e il midollo spinale. Una delle estremità di questo tubo si ingrossa permettendo la proliferazione e la migrazione dei neuroni verso il cervello che, una volta a destinazione, inizieranno a creare collegamenti con gli altri neuroni grazie ad assoni e dendriti e a passarsi informazioni grazie alle sinapsi (organizzazione). I collegamenti tra neuroni diventano più efficienti quando gli assoni iniziano a ricoprirsi di una sostanza bianca, la mielina, che li isola consentendo una trasmissione delle informazioni più rapida. Anche i progressi sul piano percettivo sono legati allo sviluppo del sistema nervoso centrale (oltre che all'esperienza), poiché c'è una sincronia tra la maturazione cerebrale e lo sviluppo delle capacità. Si parla di motricità grossolana quando il bambino, grazie allo sviluppo di determinate aree del cervello, riesce a controllare la testa, la parte superiore del tronco e delle braccia, seguite dalla maturazione di altre aree che permettono il controllo di braccia e mani. Verso i 4 anni, si completano i collegamenti tra corteccia e cervelletto necessari per il controllo volontario della motricità fine. - La nascita del neonato Con la nascita inizia il processo di adattamento del bambino all'ambiente circostante, che comprende la respirazione, la nutrizione e i meccanismi di termoregolazione che richiedono tempo e cure. - Il parto e la valutazione di salute del neonato Leboyer sosteneva un tipo di “parto senza violenza” secondo cui il bambino doveva nascere, provenendo dal grembo materno, in condizioni di silenzio e penombra; inoltre, dopo la nascita, dovrebbe essere immerso in acqua per diminuire il contrasto tra la temperatura uterina e l'ambiente esterno, metodo criticato perchè comporta due variazioni di temperatura. La separazione dalla madre, che avviene in molti ospedali, è stata criticata poiché è stato osservato che il contatto materno immediato favorisce l'emergere di rapporti positivi. 1 Subito dopo il parto si effettua la valutazione dello stato di salute del neonato utilizzando due scale: • Apgar che considera 5 indici vitali (colore, frequenza cardiaca, tono muscolare, sforzo respiratorio e risposta riflessiva) dalla quale si ricava un punteggio da 0 a 2; • Brazelton che considera vari stati comportamentali, la presenza di riflessi neonatali, lo stato di vigilanza, l'irritabilità e la risposta a vari stimoli. - Gli stadi neurocomportamentali del neonato: sonno, pianto, veglia • Sonno: durante le prime due settimane di vita, il bambino dorme il doppio dell'adulto. Il sonno dell'infanta si distingue per la sua qualità e svolge importanti funzioni anche sui processi mentali: mentre si dorme, il cervello è sconnesso dall'ambiente circostante e la sua attività si concentra sulle informazioni acquisite nelle ore precedenti già immagazzinate, dando luogo alla formazione di nuove connessioni sinaptiche tra i neuroni presenti nella corteccia e l'ippocampo. Il pisolino pomeridiano aiuta la memoria di riconoscimento. • Pianto: può manifestarsi senza ragioni apparenti anche se, la maggior parte delle volte, dipende da cause specifiche (fame, freddo, rumori) e, a seconda della causa, il pianto cambia così la mamma può comprenderne il motivo ed intervenire. Il pianto è un precursore del linguaggio poiché porta alla produzione di suoni diversi • Veglia: inattiva in cui l'infante è in grado di apprendere maggiormente e di porsi in rapporto con gli altri. La veglia attiva in cui il bambino esercita le proprie abilità motorie e percepisce maggiori stimolazioni ambientali. - Il neonato competente Il periodo natale ed i primi anni di vita sono il momento migliore per verificare l'esistenza (o meno) di abilità innate ed esaminare i primi processi di apprendimento. Lo studio sui neonati e le loro competenze si è rafforzato grazie a due fattori: la presenza di strutture educative per la prima infanzia e strumenti più sofisticati per la registrazione dei comportamenti infantili. Grazie a ciò, oggi si ha un'immagine di un neonato dotato di un repertorio ricco di capacità grazie alle quali può interagire con i vari aspetti dell'ambiente Dall'immagine di un essere inetto e passivo si è passati a quella di un neonato ricco di capacità grazie alle quali può agire con l'ambiente circostante e queste capacità di apprendimento, recentemente, sono state collegate con la presenza di bisogni psicologici ai quali si collegano delle predisposizioni e delle emozioni che provano quando viene o non viene soddisfatto qualche loro bisogno. Dweck ha individuato tre bisogni psicologici basilari: 1. accettazione che corrisponde ad un bisogno identificato come attaccamento e consiste nel bisogno di partecipare ad un'interazione sociale dalla quale ricevere sostegno; 2. prevedibilità, è un bisogno cognitivo e consiste nel comprendere le relazioni tra oggetti ed eventi, di farsi delle idee attendibili del funzionamento del mondo fisico e sociale; 3. competenza (o successo) e riguarda l'acquisizione di abilità per agire efficacemente. I bambini possiedono precocemente abilità e predisposizione per apprendere dalle altre persone sia le abilità che le conoscenze sul mondo. A partire da questi bisogni, nei primi anni di vita se ne formano altri 4: fiducia, controllo, autostima/status e coesione del Sè. - Le capacità comportamentali dei neonati Alla nascita, per interagire col mondo il bambino possiede: • riflessi: reazioni automatiche a determinati stimoli, alcuni sono permanenti mentre altri scompaiono dopo i primi mesi di vita. Questi sono i riflessi neonatali (o arcaici), importanti per la psicologia perchè la loro presenza alla nascita (e la loro successiva scomparsa) indica un normale sviluppo neurologico. • Stereotipie ritmiche sono sequenze ripetute di movimento eseguite senza ragione apparente, con cui i bambini tengono in esercizio muscoli, tendini e nervi. Queste attività verranno 2 fini e coordinati. La velocità con cui ogni bambino acquisisce le diverse abilità motorie è varia ed individuale e in queste differenze l'esperienza ha un ruolo importante. Cap. 2: lo sviluppo cognitivo - Il periodo sensomotorio secondo Piaget Secondo Piaget, durante i primi 18 mesi di vita i bambini interagiscono con l'ambiente solo mediante la percezione e le azioni, non sono ancora in grado di evocare oggetti o eventi non presenti fisicamente. Fino ai 4 mesi i bambini non riescono a distinguere fra sé e la realtà esterna e non considerano le proprie percezioni attraverso le categorie di oggetto, tempo, causa e spazio: 5 La teoria di Jean Piaget. E' uno dei più influenti psicologi del Novecento e le ricerche riguardano una vasta gamma di comportamenti e funzioni psichiche, nel periodo che va dalla nascita all'adolescenza. Secondo Piaget, la conoscenza non deriva da una semplice ricezione degli stimoli, ma dall'azione che può essere motoria (movimenti del corpo) o mentale (riproduzione di eventi o oggetti col pensiero); nel primo anno e mezzo di vita i bambini sanno mettere in pratica solo azioni motorie, verso i due anni diventano capaci di azioni mentali. Esistono 4 stadi ed ogni stadio si costituisce sulle basi di quello precedente: 1- sensomotorio (0-24 mesi): le interazioni del bambini con l'ambiente si limitano a percezioni e azioni motorie guidate da schemi sensomotori, ovvero piani d'azione che collegano percezioni e movimenti. 2- Preoperatorio (2-7 anni): attraverso l'interiorizzazioni delle azioni si formano schemi mentali che consentono di rappresentare mentalmente oggetti ed eventi. Comparsa del linguaggio, gioco di finzione, disegno. Tuttavia il pensiero dei bambini e la loro capacità di collaborare con gli altri presentano dei limiti che derivano dall'egocentrismo intellettuale, ovvero l'incapacità di differenziare il proprio punto di vista da quello degli altri. 3- Operatorio concreto (7-11 anni): molti limiti dello stadio precedente vengono superati grazie alla coordinazione degli schemi mentali in strutture d'insieme. Nel giocare con gli altri bambini, ora riescono a cooperare in giochi che richiedono il rispetto di diverse regole, sono in grado di risolvere problemi concreti ma commettono errori davanti a problemi presentati loro solo in forma verbale. 4- Operatorio formale (dopo gli 11-12 anni): costituisce la tappa più avanzata dello sviluppo dell'intelligenza nella quale i bambini risolvono anche i problemi presentati in forma verbale a astratti (algebra) Secondo Piaget, è il soggetto che costituisce le sue conoscenze e alla base dei processi cognitivi ci sono le invarianti funzionali, ossia funzioni che caratterizzano la vita stessa essendo presenti in tutti gli esseri viventi. Parliamo di: - Organizzazione che riguarda le relazioni tra un organismo e le sue parti, è la tendenza a formare una totalità da un numero crescente di parti differenti e interconnesse. - Adattamento riguarda la relazione tra individuo e ambiente e si divide in due parti: assimilazione (incorporare qualcosa materialmente o cognitivamente) e accomodamento (azione con cui l'ambiente costringe l'organismo a modificare le azioni ad esso indirizzate) L'adattamento c'è quando assimilazione ed accomodamento sono in equilibrio, quando nessuna delle due predomina sull'altra. Molto importante nello sviluppo cognitivo è l'interazione sociale, grazie alla quale i bambini devono confrontarsi con desideri e credenze differenti dai propri e prendere coscienza della differenza tra il proprio punto di vista e quello dell'altro uscendo dall'egocentrismo intellettuale. Ciò avviene più facilmente nella relazione tra pari. Piaget ha definito questo stato psicologico egocentrismo assoluto o integrale. Con il tempo, il bambino riconosce gli oggetti come cose a sé stanti, superando l'egocentrismo assoluto e si passa alla costruzione della realtà, che consiste nel riconoscimento dell'esistenza di oggetti stabili al di fuori di noi insieme alla consapevolezza di sé come centro di attività e percezioni, come corpo che agisce nello spazio e interagisce fisicamente con gli oggetti. Nei primi mesi di vita gli infanti, invece di percepire il rapporto causa-effetto, avvertono un vago senso di efficacia, ovvero la sensazione che i loro sforzi e desideri producano ciò che osservano, la quale si fonda sul fenomenismo, cioè l'impressione che se due eventi sono continui nel tempo l'uno causi l'altro. La costruzione delle categorie termina nel VI stadio, dove gli infanti hanno il senso della soggettività, eseguono azioni piuttosto complesse e possiedono la permanenza dell'oggetto: gli oggetti continuano ad esistere anche quando non sono presenti e sono collocati insieme al soggetto nello stesso spazio Efficacia e fenomenismo si si distaccano e si differenziano dando origine a due concetti: 1. causalità psicologica la quale deriva dall'efficacia e spiega le azioni umane sulla base dei pensieri che inducono a compierle; 2. causalità fisica (o meccanica) che deriva dal fenomenismo e spiega in che modo gli oggetti inanimati interagiscono comunicandosi il movimento attraverso il contatto. Grazie al linguaggio e alle immagini mentali, anche il tempo si dilata e si organizza; i bambini sono in grado di descrivere o ricordare qualcosa che è già accaduto, inventano storie, dicono o immaginano qualcosa che faranno o che succederà. Alla base di queste trasformazioni ci sono gli invarianti funzionali: assimilazione che consente di applicare gli schemi, accomodamento per modificare gli schemi e adeguarli alle proprietà degli oggetti assimilati e organizzazione che spinge a collegare gli schemi gli uni con gli altri. Durante il periodo sensomotorio gli invarianti funzionali possono entrare in azione grazie alle reazioni circolari, ovvero la ripetizione di azioni eseguite per caso che ha prodotto risultati piacevoli. Se ne distinguono 3 tipi: 1. primarie consistono nella ripetizione di movimenti incentrati su sé stessi; 2. secondarie volte alla produzione di risultati che riguardano l'ambiente; 3. terziarie che si caratterizzano per l'introduzione volontaria di variazioni delle azioni ripetute così da poterne osservare gli effetti sugli oggetti. - Gli stadi del periodo sensomotorio • I stadio (0-1 mese), esercizio di riflessi: l'infante possiede schemi riflessi che durante il primo mese vengono esercitati separatamente (suzione, prensione, visione, audizione, fonazione), non esiste ancora la coordinazione intermodale. Di questi schemi, alcuni rimangono immutati, altri scompaiono e altri ancora si trasformano in azioni congenitamente organizzate. • II stadio (2-4 mesi): primi adattamenti acquisiti. Consolida ulteriormente gli schemi riflessi e ne acquisisce di nuovi grazie alla reazioni circolari primarie. E' in questo stadio che inizia la coordinazione dei vari schemi gli uni con gli altri (visione e audizione / prensione e suzione / visione e prensione). • III stadio (4-8 mesi) reazioni circolari secondarie: si formano schemi nuovi, gli schemi secondari, che consentono di produrre effetti visivi e sonori scuotendo gli oggetti. Il bambino non è in grado di comprendere i nessi casuali grazie a cui le sue azioni provocano determinati effetti, e questo lo induce a ripetere le azioni che in certi casi hanno avuto successo anche quando non è appropriato. • IV stadio (8-12 mesi) coordinazione degli schemi secondari e loro applicazioni a situazioni nuove: gli schemi secondari si possono combinare tra loro dando origine a delle sequenze in cui uno costituisce il fine e l'altro il mezzo (avvicinare un giocattolo lontano aiutandosi col piede). Secondo Piaget è solo in questo stadio che il comportamento può essere definito 6 intenzionale, cominciano a costruirsi le categorie di spazio, tempo, oggetto e causa. In questo stadio, i bambini cominciano a cercare l'oggetto quando questo è stato nascosto sotto i loro occhi; si ha dunque la permanenza dell'oggetto ma è ancora limitata poiché se si torna a nascondere l'oggetto in un altro posto, eseguendo l'azione davanti al bambino, questi continuerà a cercare l'oggetto nel primo posto in cui lo ha trovato. Errore “A non B”. • V stadio (12-18 mesi) scoperta di mezzi nuovi mediante sperimentazione attiva: i bambini si impegnano attivamente nella ricerca di nuovi mezzi per ottenere gli effetti desiderati e questo avviene mediante le reazioni circolari terziarie (fanno cadere ripetutamente un oggetto per terra modificando le modalità e osservando come cambia la traiettoria della caduta). In questo modo i bambini affinano la loro comprensione dei rapporti spaziali e di quelli causali e scoprono i diversi effetti che le loro azioni possono produrre, le condizioni che devono essere rispettate per conseguire gli effetti desiderati e l'esistenza di cause dipendenti dalle loro azioni. La causalità appare obiettivata ed esteriorizzata. Si assiste anche alla differenziazione tra causalità psicologica e fisica: i bambini non considerano più le persone come oggetti inanimati, ma interagiscono tra loro comunicando i desideri e aspettando che agiscano da sole. Scompare l'errore “A non B”. • VI stadio (18-24 mesi) la scoperta di mezzi nuovi mediante combinazione mentale: di fronte a problemi nuovi, i bambini trovano subito la soluzione, il che significa che risolvono il problema nella mente prima che nell'azione e ciò avviene perchè ora i bambini possono sperimentare le soluzioni su sostituti simbolici degli oggetti. Ciò è possibile sia per la mobilità degli schemi che permette loro di combinarsi, sia per l'emergere della funzione simbolica (o semiotica o rappresentativa) che permette di evocare mentalmente eventi o azioni o oggetti che non sono presenti. La capacità rappresentativa rende possibile anche un diverso utilizzo del linguaggio: i bambini ora usano le parole per descrivere cose non presenti e raccontare qualcosa che hanno visto o fatto tempo prima. La permanenza dell'oggetto ora è permanente e ci sono progressi nelle nozioni di spazio, causa e tempo; ora basta un effetto perchè i bambini capiscano cosa lo ha provocato, possono ricordare eventi passati o prevederne/immaginarne di futuri, e possono rappresentare mentalmente dei percorsi. - Lo sviluppo del gioco e dell'imitazione La funzione dell'imitazione è quella di arricchire gli schemi ed è necessaria per l'acquisizione del linguaggio, mentre il gioco assicura il consolidamento degli schemi e gratifica chi vi si dedica. Anche imitazione e gioco, secondo Piaget procede per stadi che vanno di pari passo con lo sviluppo dell'intelligenza sensomotoria: • I stadio: gioco ed imitazione non sono presenti, si osserva che il bambino è stimolato a piangere quando piange un altro bambino; • II e III stadio: le azioni diventano gioco solo quando il bambino le esegue per puro piacere e viene indicato dal sorriso; • IV stadio (8-12 mesi): l'imitazione si estende a movimenti che il bambino non può vedere su di sé (tirare fuori la lingua) e imparano azioni semplicemente vedendole eseguire da altre persone. In questo stadio i bambini iniziano a ritualizzare alcuni schemi, cioè utilizzandoli fuori dal contesto abituale e questa è la base del gioco di finzione; • V stadio (12-18 mesi): i bambini imitano azioni a loro nuove in maniera sistematica, anche quando riguardano delle parti del corpo che loro non riescono a vedere, mentre sul piano del gioco continua la costituzione di rituali; • VI stadio (dopo i 18 mesi): diventano capaci di giochi simbolici o di finzioni, e possono far finta che un oggetto sia un altro trattandolo come un simbolo (fingono che un cubo sia una macchinina). L'imitazione si perfeziona e diventa differita, cioè che viene eseguita per la prima volta dopo del tempo da quando è avvenuta l'osservazione 7 concorrono processi e abilità che non sono propri del dominio linguistico, ma derivano dalla ricombinazione e dall0integrazione delle strutture che implicano altre abilità cognitive, percettive, sociali e affettive. - Lo sviluppo fonologico e i processi sottostanti Fin dai primi giorni di vita, i neonati sono capaci di fare discriminazioni, oltre ad ascoltare con piacere la voce umana, ma sono incapaci di produrre suoni linguistici. Nel primo mese riescono solo a piangere e ad emettere suoni riflessi e vegetativi (o fisiologici): anche nello sviluppo del linguaggio si nota uno sfasamento tra le capacità percettive e quelle motorie. Tra gli ostacoli che impediscono ai neonati di produrre suoni linguistici c'è, innanzitutto, l'immaturità del tratto vocale del neonato che presenta caratteristiche anatomiche diverse da quelle dell'adulto, e questo ha varie conseguenze tra cui quella di limitare i movimenti che l'infante può eseguire con la lingua, quindi riduce la gamma di suoni prodotti. Il tratto vocale si modifica nel primo anno di vita, ma il controllo dei movimenti degli organi coinvolti nella fonazione dipende anche dalla maturazione del sistema nervoso centrale e dall'esercizio. L'ultimo ostacolo dipende dalla memoria di lavoro: per ripetere una parola occorre memorizzare la sequenza dei suoni e tenerla attiva il tempo necessario per la riproduzione. - Lo sviluppo fonologico nel periodo prelinguistico Inizia con la fase dei suoni vegetativi, verso i due mesi inizia quella della vocalizzazione non pianto nella quale i bambini emettono suoni vocalici (cooing) quando sono contenti e nelle interazioni sociali con la madre e le altre persone. A queste varietà di vocali, a 4 mesi, si aggiungono alcune consonanti e a 7 mesi inizia la lallazione canonica che sembra avere origine innata poiché si presenta anche in bambini sordi alla nascita. Verso i 10-12 mesi inizia la lallazione variata; la gamma dei suoni emessi si amplia risentendo anche dell'influsso ambientale, infatti scompaiono i suoni non appartenenti alla lingua madre. - Lo sviluppo fonologico nel periodo linguistico I bambini cercano di imitare le parole che sentono e le strutture sillabiche si fanno sempre più complesse. Gli adulti cercano di semplificare le parole e a loro volta i bambini applicano strategie che danno origine a degli errori tipici. A 3 anni padroneggiano tutti i fonemi della loro lingua. - Dalla comunicazione preverbale a quella verbale e l'alternanza di turni e gli pseudonimi E' grazie all'adulto che avvengono gli scambi tra questi ed il bambino, visto che approfitta dei suoi momenti di attenzione; verso i 2 mesi si possono osservare i primi episodi di vere e proprie interazioni sociali, quando l'infante e una persona adulta scambiano a turno delle interazioni. Si tratta di interazioni diadiche che coinvolgono solo i due partecipanti e non si riferiscono a oggetti o eventi esterni alla diade; alcuni autori li chiamano pseudodialoghi. Alla fine degli anni '70 è stata messa in evidenza anche la frustrazione del bambino quando l'interazione con l'adulto cessa improvvisamente grazie all'esperimento del “volto immobile”. -Dalla comunicazione preintenzionale a quella linguistica Gli infanti di pochi mesi non sono in grado di comunicare intenzionalmente i propri bisogni; anche se gesti, suoni e smorfie del bambino sono privi di significato sono gli adulti che cercano di attribuirlo. La comunicazione è ancora preintenzionale poiché si tratta solo di reazioni a status interni del bambino. Verso i 5 mesi la comparsa di abilità motorie e percettive del bambino permettono all'adulto condividere il “focus” dello sguardo allargando l'interazione, ed è qui che si parla di co-orientamento visivo e, in questo modo, l'interazione si arricchisce attraverso la condivisione di argomenti. La comunicazione intenzionale appare verso gli 8 mesi, dove i bambini iniziano ad utilizzare suoni, sguardi e gesti per attirare l'attenzione delle persone o per far fare loro qualcosa. Le prime 10 interazioni comunicative che i bambini riescono ad esprimere sono: • la richiesta quando cercano di indurre qualcuno a fare qualcosa (porgere un oggetto che non riescono a raggiungere; • la dichiarazione quando cercano di coinvolgere l'adulto nel loro interesse verso qualcosa. Con il coinvolgimento di un oggetto o di un'altra persona l'interazione diviene triadica e l'intersoggettività diventa secondaria. Infine, la comunicazione linguistica compare verso i 12 mesi, quando i bambini usano le prime parole; inizialmente viene usata una sola parola che, grazie anche ai gesti, permette agli adulti di comprendere cosa vuol dire. Una singola parola, perciò, può corrispondere ad un'intera frase e viene definita olofrase che permette numerosi atti linguistici (compaiono domande, risposte e il saluto) - Il contributo degli adulti alle comunicazioni con l'infante Il bambino diventa una persona ed un partner intelligente nella comunicazione intersoggettiva proprio perchè l'adulto lo tratta come un interlocutore competente. L'adulto spiana la strada alla comunicazione vera e propria, favorendo lo sviluppo del linguaggio rispondendo in maniera appropriata al bambino, utilizzando un linguaggio semplice e comprensibile (baby talk), ripetendo ed espandendo le espressioni del bambino oltre che stimolandolo a parlare. Secondo Bruner gli adulti svolgono una funzione di sistema di supporto per l'acquisizione del linguaggio senza il quale non sarebbe possibile l'attivazione dei processi interni postulati da Chomsky. - Lo sviluppo del lessico, le prime parole L'associazione tra le parole e gli oggetti a cui si riferiscono è facilitata dall'adulto poiché, durante una conversazione, questi condivide l'attenzione con l'infante sull'oggetto o l'evento di cui sta parlando, ma è solo verso i 12 mesi che i bambini usano alcune sequenze dei suoni in modo coerente. Compaiono le protoparole che non corrispondono alle parole del linguaggio adulto, ma sono legate a contesti specifici e sono parte integrante delle azioni in corso; il bambino, solitamente, capisce più parole di quante ne pronuncia, ma non c'è correlazione tra la comprensione e la pronuncia poiché un bambino che capisce più parole di un suo coetaneo, potrebbe comunque dirne di meno. Verso i 18 mesi si verifica una brusca impennata nell'accrescimento del lessico di un bambino che prende il nome di esplosione del vocabolario; le prime parole apprese sono quelle necessarie all'interazione con l'altro (no, ciao, su...) e quelle che indicano oggetti della vita quotidiana o persone con cui i bambini sono stati a contatto e, in generale, in questo periodo le parole sono accompagnate da gesti. Secondo la Nelson non conta soltanto la presenza percettiva, ma i bambini selezionano quegli aspetti dell'ambiente che sono più coinvolti nelle loro attività, mentre Gentner i nomi sono più frequenti dei verbi perchè possono essere accoppiati alle conoscenze acquisite grazie alla percezione. - I significati delle prime parole Le prime parole che i bambini usano sono legate a specifici contesti e gradualmente estendono il significato delle parole. Un'altra caratteristica delle prime parole è il far parte integrante delle azioni in corso, poiché vengono utilizzate per indicare, descrivere, commentare quello che sta succedendo. Dapprima le parole denotano un livello di categorizzazione di base che corrisponde alle differenze percettive più evidenti, ma il fatto che un bambino usi un termine non significa che gli abbia attribuito lo stesso significato che possiede nell'uso adulto. Molto spesso i bambini tendono ad estendere un nome ad un oggetto che che somiglia a quello indicato ma vogliono riferirsi ad un insieme di oggetti molto più ampio; in questo caso si parla di sovraestensione (viene chiamato “papà” ogni uomo adulto) che sembra essere un mezzo con il quale i bambini 11 compensano la limitatezza del loro lessico. Non sapendo come si chiama un oggetto, lo indicano con il nome di qualcosa che gli assomiglia. Il fenomeno opposto viene definito sottoestensione; se il bambino non usa spontaneamente una certa parola non possiamo sapere se ciò dipende dal significato ristretto della parola o semplicemente perchè non hanno voglia di dirla. - L'esplosione del vocabolario Avviene intorno ai 18 mesi. Quando sentiamo una parola nuova formuliamo delle ipotesi che sono guidate da vincoli, ovvero dei principi che limitano le possibilità di scelta rispetto a quelle logicamente possibili. Secondo Ellen Markman sono 3 i vincoli particolarmente importanti: 1. il vincolo dell'oggetto interno stabilisce che una parola si riferisce ad un oggetto nella sua totalità; 2. il vincolo tassonomico stabilisce che una parola denota una categoria, non un singolo oggetto né un raggruppamento tematico; 3. il vincolo dell'esclusione reciproca stabilisce che ogni cosa ha un nome solo e consente ai bambini di delimitare il significato di termini precedentemente sovraestesi. Questo vincolo, inoltre, facilita l'acquisizione di parole diverse dai nomi. - Lo sviluppo morfosintattico I bambini usano “parole di contenuto” omettendo congiunzioni, ausiliari e tutte le parti del discorso che hanno funzioni grammaticali; Roger Brown ha chiamato questo tipo di linguaggio “telegrafico”. Tra i 2 e i 3 anni, gli enunciati di due parole diventano sempre più frequenti e compaiono congiunzioni, articoli, avverbi, ecc... ed entro i 3 anni e mezzo quasi tutti i bambini riescono a ripetere le frasi pronunciate da un adulto senza omettere niente. Fra i 3 e i 6 anni si verificano molti altri progressi a cominciare dalla capacità di usare pronomi dimostrativi per parlare di qualcuno o di qualcosa che non è presente. - La spiegazione dello sviluppo linguistico Oltre alle interazioni con gli adulti, anche lo sviluppo della memoria di lavoro contribuisce all'acquisizione del linguaggio; secondo Newport il bambino impara le lingue più facilmente rispetto agli adulti o agli adolescenti perchè le capacità della memoria di lavoro sono più limitate, il che li costringe a prestare attenzione solo alle sequenze brevi e facili da analizzare. - Il linguaggio egocentrico Secondo Piaget, sentendo parlare i bambini è possibile distinguere due gruppi di frasi: • il linguaggio egocentrico quando il bambino parla per sé stesso e non cerca in alcun modo di porsi nel punto di vista degli altri. Comprende ecolalie (ripetizioni di parole che ha sentito dire) e monologhi (discorsi che fa per sé); • il linguaggio socializzato che comprende le locuzioni volte a scambiare il suo pensiero con altri e parla dal punto di vista dell'interlocutore e la funzione del linguaggio consiste nel comunicare il suo pensiero. Il linguaggio socializzato comprende l'informazione adattata (comprensibile a chi ascolta), domande, risposte, ordini, preghiere, minacce e critiche. Dai 3 ai 7 anni il linguaggio egocentrico diminuisce e questo deriva dal fatto che l'egocentrismo intellettuale diminuisce con l'età e la proporzione del linguaggio egocentrico dipende anche dal tipo di interlocutore che si trovano davanti; con gli adulti è maggiore che con i coetanei perchè con i primi il bambino parla senza interruzione, mentre con i secondi il discorso è interrotto da domande ed interventi. Gli scambi tra bambini sono più efficaci per superare l'egocentrismo intellettuale e verbale. Le ricerche condotte da Vygotskij mostrano che il linguaggio egocentrico è importante ed influisce sul comportamento dei bambini; la produzione dei monologhi tende ad aumentare quando il 12 anche dalla capacità di riflettere su sé stessi. - La comparsa delle emozioni fondamentali Esistono diverse teorie sulle emozioni, ma gli studiosi concordano sui periodi della loro comparsa: • Nelle prime settimane di vita i bambini sorridono, così come, ad un mese, sorridono alla vista di un giocattolo familiare o ad un oggetto in movimento. Tra il secondo ed il terzo mese compare il sorriso sociale quando interagiscono con una persona. • Dopo i 6 mesi si manifestano paura e rabbia; la paura è provocata soprattutto dall'avvicinamento di una persona estranea. Grazie alla paura gli esseri umani mantengono attivi i rapporti affettivi e sociali. • Angoscia da separazione, 7-8 mesi, reazione che si verifica quando la mamma si allontana. Questa emozione svolge una funzione adattiva impedendo ai bambini di allontanarsi alle figure di attaccamento e limitando le situazioni di pericolo. - La comparsa di emozioni sociali (o autocoscienti) Affinchè queste emozioni possano manifestarsi, è necessario acquisire la consapevolezza di sé, poiché grazie questa consapevolezza è possibile una prima serie di emozioni sociali che Lewis chiama emozioni esposte poiché esponendo il proprio Sè allo sguardo altrui (o proprio) richiedono che si rivolga l'attenzione su se stessi. Le emozioni esposte comprendono imbarazzo, invidia e gelosia. Le emozioni autocoscienti o valutative comprendono un altro gruppo importante di emozioni quali orgoglio, senso di colpa, vergogna, originate da un confronto tra il proprio comportamento e le norme sociali. - La regolazione delle emozioni Nel primo anno di vita, la regolazione delle emozioni avviene soprattutto grazie all'intervento dei genitori; essi evitano che il bambino arrivi a provare emozioni troppo forti e li aiutano ad acquisire la capacità di regolare le proprie emozioni prima che queste raggiungano picchi sui quali, poi, è difficile intervenire con successo. Tuttavia, esiste già negli infanti una rudimentale capacità di regolare le emozioni, ad esempio grazie alla suzione non nutritiva. Le capacità di autoregolazione delle emozioni migliorano parallelamente allo sviluppo di capacità che consentono al bambino il controllo sugli stimoli, inoltre l'acquisizione del linguaggio consente di parlare delle loro emozioni 15 Teorie dello sviluppo emotivo Le emozioni sono dei processi che hanno inizio con degli eventi, hanno un'attivazione fisiologica, ci inducono ad agire in certi modi e influiscono sui nostri processi cognitivi. Sullo sviluppo delle emozioni c'è un notevole disaccordo e si possono identificare due punti di vista principali: 1. la teoria della differenziazione secondo la quale i neonati provano solo una generica eccitazione; emozioni distinte appaiono successivamente, man mano che nei bambini si presenta uno sviluppo cognitivo e sociale (lo sviluppo emotivo è subordinato a quello cognitivo); 2. la teoria differenziale che distingue due tipi di emozioni: quelle fondamentali (primarie o basiche) che sono presenti in animali ed esseri umani ed esistono già alla nascita o compaiono nel primo anno di vita, e le emozioni complesse (secondarie o sociali) che compaiono successivamente e sono presenti solo negli esseri umani. Di recente è stato proposto l'approccio funzionale o organizzazionale che è una sintesi dei precedenti e sostiene che l'organizzazione generale delle emozioni è presente dopo la nascita in forma rudimentale, ma tutte le sue componenti si sviluppano grazie a processi simili a quelli che caratterizzano lo sviluppo cognitivo. e questo aiuterà i bambini a comprendere cosa le provoca e come fronteggiarle. L'esperienza di aver ricevuto conforto favorisce lo sviluppo della capacità di confortare sé stessi. - La comprensione delle espressioni Comprendere le emozioni altrui è una componente fondamentale della competenza sociale, già dal primo anno gli infanti comprendono le emozioni altrui e ne vengono influenzati. I genitori comunicano le emozioni ai loro figli grazie ad una gamma di espressioni emotive che si va arricchendo man mano che i figli crescono e, intorno ai 12 mesi i bambini comprendono che le emozioni hanno un carattere referenziale: per ogni emozione c'è un motivo. Quando si trovano in una situazione di incertezza, iniziano a guardare le espressioni degli altri per ricavarne informazioni sulle situazioni e questa strategia viene chiamata riferimento sociale ed è anche utile per permettere ai bambini di riconoscere le situazioni sicure e quelle pericolose. Il riferimento sociale, però, ha anche una conseguenza: c'è il rischio che i bambini facciano proprie anche incertezze, paure, o ripugnanze irragionevoli. - Lo sviluppo dell'empatia Già nei primi mesi di vita, alla vista delle emozioni altrui gli infanti rispondono con delle emozioni. Secondo Darwin esistono negli esseri umani la capacità innata di comprendere le espressioni emotive e un contagio emotivo che ci spinge a provare emozioni simili. I neuroni specchio potrebbero costituire la base neurale dell'empatia; come stato affettivo, l'empatia è stata definita come una risposta affettiva che sorge dalla comprensione o dalla percezione degli stati emotivi dell'altra persona, ma l'emozione empatica provata da chi osserva non sempre corrisponde a quella che l'altro sta realmente provando. Alcuni studiosi propongono una distinzione tra: • simpatia, quando il bambino è consapevole che le proprie emozioni derivano da quelle di un'altra persona e dirige l'attenzione su quest'ultima preoccupandosi per lei; • disagio personale quando il bambino rivolge a sé stesso la sua sofferenza pur sapendo che è stata provocata da quella altrui. Simpatia e disagio personale si verificano quando c'è una consapevolezza della natura vicaria della propria emozione, il contagio emotivo quando questa manca. 16 I meccanismi che determinano risposte empatiche alla condizione altrui Secondo Hoffman ci sono diversi meccanismi che ci fanno reagire emotivamente alla situazione di un'altra persona e si presentano in diversi momenti dello sviluppo con diversi gradi di complessità: - contagio: meccanismo semplice e presente già alla nascita e consiste di risposte innate a certi stimoli scatenanti, come il pianto o le espressioni facciali; - condizionamento classico: si costruisce un collegamento tra le espressioni facciali o verbali di una persona e il dispiacere che si sta provando in quel momento; il ripresentarsi di queste espressioni può suscitare il dispiacere come risposta condizionata; - associazione tra ciò che accade ad un'altra persona e una propria esperienza dolorosa. Con lo sviluppo del linguaggio questo avviene anche quando le esperienze sono raccontate verbalmente; - immaginare di essere nei panni di un'altra persona, cercare di raffigurarsi ciò che la persona prova in quel momento. Questo meccanismo richiede attività volontarie del pensiero. - L'origine delle differenze individuali Le emozioni e la loro regolazione variano da un individuo all'altro ad ogni età e per spiegare queste differenze sono state condotte delle ricerche sul temperamento. Gli studiosi dello sviluppo hanno individuato 6 criteri che permettono di considerare certe caratteristiche come tratti temperamentali: 1. appartenenza ad un dominio tra: emotivo, attenzionale, attentivo e sensoriale; 2. manifestazioni misurabili in termini di intensità di risposta, tempi di latenza, durata, soglia e tempo di recupero; 3. comparsa precoce; 4. corrispondenze nel mondo animale 5. stretto legame con meccanismi biologici 6. persistenza a lungo termine con esiti concreti. In una ricerca degli anni '60 condotta da Thomas e Chess, si è arrivati a individuare 3 profili temperamentali: • bambini facili: regolari nei ritmi biologici, attratti dalle novità, si adattano facilmente ai cambiamenti, sono di buon umore e reagiscono moderatamente agli stimoli; • bambini difficili: ritmi biologici imprevedibili, evitano le novità, si adattano lentamente alle esperienze, sono spesso di malumore e reagiscono in modo eccessivamente intenso agli stimoli; • bambini “lenti a scaldarsi”: basso livello di attività, iniziale ritrosia davanti alle novità, lentezza nell'adattarsi, umore non proprio ottimo e reattività esagerata. Questo si presenta inizialmente, dopo un po' si comportano in maniera simili ai bambini dal temperamento facile. - Dal temperamento alla personalità Secondo Caspi, nella prima infanzia il temperamento interferisce con i processi di apprendimento e le differenze temperamentali suscitano reazioni diverse nell'ambiente. Inoltre, le caratteristiche temperamentali del bambino suscitano negli altri delle reazioni che sono in grado di consolidare queste caratteristiche o convogliarle verso esiti più o meno adattivi. Il temperamento influisce sullo sviluppo mediando la percezione dell'ambiente da parte del soggetto, il temperamento contribuisce a definire le lenti attraverso cui vediamo il mondo. Cap. 5: lo sviluppo sociale - La teoria dell'attaccamento John Bowlby: gli esseri umani, insieme ad altri mammiferi e a uccelli, hanno una tendenza innata a ricercare il contatto con uno o più individui. Afferma che, nella prima e seconda infanzia, i legami con i genitori vengono ricercati perchè diano protezione, sostegno e conforto; durante l'adolescenza vengono a formarsi nuovi legami solitamente di natura eterosessuale. La capacità di stringere legami emotivi intimi con altre persone è una delle caratteristiche principali di un funzionamento efficace della personalità e della salute mentale.. Dati i risultati delle sue ricerche sui bambini e quelli sugli animali di Harry Harlow, Bowlby giunge alla conclusione che esiste un sistema comportamentale dell'attaccamento che è indipendente dalla nutrizione e dal sesso, ma è rivolto alla ricerca e al mantenimento della vicinanza di uno o più individui, oltre che essere all'origine dei legami affettivi. I genitori sono programmati biologicamente per rispondere ai richiami del bambino, si parla, quindi, di mutuo attaccamento: un attaccamento reciproco nella relazione tra bambino e adulto. - Le fasi di sviluppo del comportamento di attaccamento Affinchè si verifichi un comportamento di attaccamento, i bambini mostrano una preferenza , 17 smontata da uno studio che ha mostrato che la proporzione di attaccamento sicuro è la stessa dei bambini normali. La proporzione, invece, si abbassa tra i bambini le cui madri hanno dei problemi. Il comportamento della mamma, invece, è influenzato da diversi fattori (problemi a lavoro, dissapori tra i coniugi...) che possono riversarsi sul rapporto genitori-figli; anche il rapporto di attaccamento che lei stessa ha avuto durante l'infanzia può influire. In un intervista (Adult Attachment Interview, AAI) viene chiesto di descrivere ai genitori le loro esperienze con i genitori quando erano bambini, e queste ricerche mostrano che le donne che descrivono una fanciullezza serena hanno bambini più sicuri delle altre. - Stabilità dell'attaccamento Grazie a diversi studi e alla costruzione di diversi strumenti, è stata studiata la stabilità dell'attaccamento a partire dall0infanzia, alla fanciullezza, all'età adulta. La più recente sintesi dei risultati è giunta alle seguenti conclusioni: • la stabilità dell'attaccamento non è influenzata né dal sesso dei bambini né da quello della figura a cui è rivolto; • varia a seconda dell'età in cui l'attaccamento è stato misurato per la prima volta e dalla distanza tra le due misurazioni. Più l'intervallo è breve più la stabilità è maggiore e cessa del tutto se l'intervallo è superiore ai 15 anni; • è più stabile l'attaccamento sicuro di quello insicuro, ma ci sono casi in cui anche l'attaccamento sicuro può diventare instabile se i bambini vivono in condizioni difficili. - Conseguenze dell'attaccamento Tesi centrale della teoria dell'attaccamento: i modelli operativi influiscono sul modo in cui una persona elabora le informazioni sociali e, tramite esso, anche sui suoi comportamenti nei confronti degli altri. • Bambini che in età prescolare e scolare erano risultati insicuri, hanno una percezione più negativa dei loro coetanei, attribuiscono azioni ostili ad azioni ambigue e hanno minore capacità di spiegare il comportamento altrui in base ad emozioni e intenzioni. • Gli adolescenti con un attaccamento insicuro si aspettano di essere rifiutati dagli altri e pensano di non ricevere conforto o aiuto nei momenti di bisogno. • Gli adulti tendono ad avere meno fiducia negli altri, attribuire loro intenzioni ostili e hanno una percezione più negativa sia del partner che dei figli. Alan Sroufe, dopo aver misurato con la Strange Situation l'attaccamento di un gruppo di bambini di 2 anni, ha continuato ad esaminare le loro abilità sociali fino all'età adulta. E' emerso che: • i bambini con attaccamento sicuro in età prescolare erano più curiosi, facevano giochi più complessi, dedicavano più tempo alla soluzione di problemi difficile, nell'ambito della scuola materna, instauravano buoni rapporti con le insegnanti e gli altri bambini; • i bambini con attaccamento evitante tendevano ad isolarsi, ad essere ostili e poco socievoli, pur cercando continuamente attenzioni; • i bambini con attaccamento ambivalente erano impulsivi, spesso in preda all'ira oppure passivi e bisognosi di aiuto. Le differenze tra bambini persistevano anche nelle età successive, e da adulti quelli che da piccoli avevano sviluppato un attaccamento sicuro avevano un livello di istruzione più alto e relazioni sentimentali più soddisfacenti. - Le relazioni con le altre figure adulte; il padre La teoria dell'attaccamento, fondando l'origine dei legami affettivi su bisogni diversi dall'alimentazione, richiama l'attenzione sul ruolo del padre. Gli studi condotti a riguardo hanno mostrato che i bambini con attaccamento sicuro alla madre hanno un attaccamento sicuro anche nei confronti del padre, tuttavia ci sono eccezioni in cui l'attaccamento al padre risulta più solido di quello alla madre. I bambini tendono a rivolgersi alla mamma nei momenti di crisi e al papà per le 20 interazioni giocose; spesso madre e padre svolgono ruoli complementari. Durante l'infanzia e la fanciullezza, i bambini passano più tempo con la madre poiché questa è più sensibile ai loro cambiamenti, soprattutto negli adolescenti e, parlando delle figure di riferimento a scuola, queste non sostituiscono il genitore ma possono compensare in situazioni di attaccamento insicuro. - Figure educative extrafamiliari Numerose ricerche hanno studiato gli effetti della minor presenza delle mamme in casa sullo sviluppo dei piccoli. Il lavoro della mamma nel primo anno di vita, soprattutto se a tempo pieno, influisce negativamente sul loro sviluppo cognitivo, ma se la mamma lavora nel secondo o nel terzo anno di vita del figlio l'influenza è positiva. Per contrastare i possibili effetti negativi dell'assenza della mamma, non è importante solo il contributo del padre, ma anche la disponibilità e la qualità dei servizi per l'infanzia. In generale sembra possibile per il bambino stabilire relazioni di attaccamento all'interno del nido a patto che non ci sia un cambio troppo frequente delle figure di riferimento; le educatrici svolgono un ruolo complementare e compensatorio ed è per questo che riescono a fornire risorse affettive aggiuntive ai bambini con attaccamento insicuro ma, affinchè ciò avvenga, all'interno del nido devono verificarsi ripetute esperienze positive che permettano al bambino di riporre la sua fiducia nelle figure che interagiscono con lui. - I rapporti con gli altri bambini Una delle ragioni che spingono i genitori ad iscrivere il proprio bambino al nido, è l'opportunità di socializzare con altri bambini della stessa età e, solo in casi eccezionali, i bambini formano legami di attaccamento con i coetanei. Fino al sesto mese, quando un lattante vede un altro bambino vocalizza, sorride, mostra interesse, ma è come se avesse davanti un oggetto inanimato. Tra i 6 e i 9 mesi, iniziano i gesti specificamente sociali, ma all'azione del primo bambino non corrisponde ancora un'azione del secondo, i contatti tra bambini rimangono unilaterali fino al termine del primo anno, e questo perchè per un infante è più difficile interagire con un coetaneo che con un adulto, poiché l'adulto regola i propri comportamenti per facilitare la relazione col piccolo, mentre i coetanei presentano gli stessi limiti e capacità. Nel secondo anno di vita si verificano molti progressi nel repertorio sociale: oltre ad osservare interazioni complementari, dopo i 12 mesi gli scambi interattivi si fanno più lunghi e si caratterizzano per una crescente coordinazione. Dopo i 18 mesi riescono a collaborare con un coetaneo utilizzando a turno un giocattolo e queste abilità permettono ai bambini di cimentarsi nei primi giochi sociali, ma perchè si possa parlare di giochi sociali devono essere soddisfatte due condizioni: 1. i due bambini devono condividere l'idea che si tratti di un gioco; 2. devono riuscire a portarlo avanti coordinando le loro azioni. In questo secondo anno, inoltre, i bambini iniziano a mostrare segni di preferenza sociale, anche reciproca, e questo è uno dei criteri identificativi delle relazioni amicali. Cap 6: Lo sviluppo cognitivo - La prima fanciullezza - La fioritura della funzione simbolica La prima fanciullezza è il periodo compreso tra i 2 e i 6 anni, e per questo viene anche chiamata “età prescolare” o “età del gioco” ma non solo per indicare che, in questo periodo, il gioco è l'attività a cui i bambini si riferiscono con più entusiasmo, ma che esso è anche indispensabile per alimentare la loro vita intellettuale, sociale ed emotiva. Corrisponde al periodo preoperatorio di Piaget. Nella prima fanciullezza fioriscono il linguaggio, il disegno e il gioco simbolico. Le ricerche condotte da Piaget utilizzavano il metodo del colloquio clinico ed una sua particolare estensione, il metodo critico, che coinvolgeva anche l'utilizzo del linguaggio per uno scambio 21 verbale utile ai fini dell'indagine; viene da sé che questi metodi erano poco adatti a bambini inferiori ai 4-5 anni. Secondo le ricerche più recenti, invece, la funzione simbolica pare sia presente più precocemente di quanto sostenuto da Piaget; è proprio nella prima fanciullezza che i bambini dedicano gran parte del loro tempo alle attività in cui la funzione simbolica è coinvolta. - Lo sviluppo del gioco simbolico Lorraine McCune ha individuato 5 livelli di sviluppo del gioco ordinabili in base a 3 parametri: 1. il progressivo decentramento delle azioni del bambino, quindi il coinvolgimento di persone o pupazzi in veste di agenti o oggetti; 2. maggiore decontestualizzazione, cioè l'uso di oggetti diversi rispetto a quelli richieste dalle azioni che vengono simulate (fingere di telefonare con le dita delle mani); 3. integrazione crescente di più attività simboliche Secondo l'autrice, questa sequenza è stadiale poiché l'ordine delle fasi è costante ma non implica età “normali”, e le modalità più semplici continuano a coesistere con quelle più complesse. I livelli di sviluppo del gioco simbolico sono 5: 1. schemi presimbolici: uso ritualizzato di azioni quotidiane fuori dal contesto abituale (mescolare una tazza vuota); 2. schemi autosimbolici: il bambino manifesta una consapevolezza della finzione (aspirare rumorosamente un liquido che non c'è da una tazzina); 3. gioco simbolico decentrato: il bambino applica agli altri gli schemi simbolici che conosce, imitando azioni materne in contesti reali (fingere di dar da mangiare all'orsacchiotto); 4. gioco simbolico combinatorio: combinare più schemi in una sequenza coordinata (fingere di preparare un pasto e poi nutrire il pupazzo); 5. gioco simbolico gerarchico: i bambini iniziano a pianificare sequenze complesse, a volte pensate e a volte esposte prima di essere messe in atto, o commentate durante l'esecuzione. La combinazione e la gerarchizzazione possono avvenire sia nel gioco individuale che in quello con gli altri bambini, ed è così che nasce il gioco sociodrammatico. - Lo sviluppo del disegno Verso i 12 mesi si verificano i primi tentativi di tracciare delle linee con matite colorate; i bambini iniziano a tracciare degli scarabocchi, ma solo verso i 2 anni questi scarabocchi iniziano a presentare delle caratteristiche che denotano un controllo visivo del movimento. Gli scarabocchi non nascono da un intento rappresentativo, ma nel loro disordine si possono già riconoscere forme ricorrenti con cui i bambini comporranno le prime rappresentazioni unendo le forme base in combinazioni e aggregati. Appena colgono la potenzialità significativa dei segni grafici, i bambini sono pronti a passare dallo scarabocchio al disegno, sviluppano la capacità del “come si fa” a rappresentare un certo oggetto. Il compito di trasferire su carta degli oggetti solidi è stato visto come una forma di problem solving in cui il bambino diventa sempre più esperto: il primo passo è costruire un sistema di denotazione che determini una corrispondenza tra segni e oggetti. Inizialmente il bambino tende ad usare due tipi di segni (cerchi e linee) poi questo uso dei segni si specializzerà in modo che i volumi siano indicati sempre da superfici chiuse e il numero delle parti componenti si arricchisce. A 4-5 anni troviamo la figura convenzionale in cui il bambino rappresenta gli oggetti con regioni distinte (figura umana) e continuerà con la figura a blocchi fino ai 7 anni. - I limiti del pensiero preoperatorio Secondo Piaget, l'acquisizione della funzione simbolica segna l'ingresso in una nuova fase della vita; ora i bambini sono più simili agli adulti rispetto a quando erano impossibilitati ad immaginare un futuro e a rievocare un passato (stadio sensomotorio). Tuttavia essi non possono essere considerati degli adulti in miniatura; pur avendo appreso l'abilità di eseguire azioni interiorizzate, non sono ancora in grado di collegarle in sistemi che consentono di attivarle rapidamente e in 22 più abilità di quelle individuate da Piaget; di conseguenza la maggiore capacità dei bambini più grandi, nella risoluzione dei problemi, può dipendere dalle maggiori conoscenze e dalle migliori capacità di memoria e attenzione. - I bambini come teorici in erba L'idea che le concezioni dei bambini possano essere considerate delle teorie vere e proprie è stata proposta a più riprese nella psicologia. Susan Carey propone un punto di vista alternativo sia a quello olistico di Piaget che a quello pluralistico dell'HIP: secondo questo punti di vista, le teorie possedute dai bambini (teorie ingenue) impiegano concetti che si riferiscono a entità e processi non osservabili (concetti astratti), sono coese e si appellano a strutture causali sottostanti. Le loro funzioni sono predire, interpretare, spiegare. Nelle teorie dei bambini è possibile distinguere: • teorie cornice che definiscono una serie di entità e processi fondamentali; • teorie specifiche che spiegano complessi fenomeni più delimitati servendosi di entità e processi - Origine e sviluppo della psicologia della mente (teoria della mente) Secondo Gopnik e Meltzoff, l'iniziale teoria della mente di cui gli infanti sono dotati alla nascita è costituita dalla consapevolezza di essere simili alle altre persone e da una rappresentazione astratta del corpo. Questa teoria embrionale consente di generalizzare agli altri le informazioni acquisite attraverso le esperienze vissute in prima persona; sperimentano su sé stessi e attribuiscono agli altri sensazioni cinestetiche ed emozioni. I primi discorsi spontanei dei bambini indicano che, già a 18 mesi, è presente la nozione di desiderio e capiscono che questi sono diversi dalla realtà materiale; a 2 anni, il fulcro della teoria della mente è il desiderio, a 3 appaiono termini che si riferiscono al pensare, credere e sapere, e a 4 anni compare la credenza che consente una spiegazione più complessa dei comportamenti e delle emozioni; comprendono anche che le persone possono avere delle false credenze. Le nozioni di percezione, credenza, desiderio, emozione si riferiscono a processi transitori e ci consentono solo di prevedere e spiegare perchè una persona esegue una certa azione in un dato momento, mentre per spiegare azioni ricorrenti bisogna fare riferimento ai concetti disposizionali che indicano delle proprietà permanenti anche se queste si presentano solo in certi momenti o circostanze (la fragilità del vetro): i concetti disposizionali della psicologia sono i tratti della 25 Teorie, moduli, generalizzazioni empiriche Le teorie convivono con altre strutture che riguardano abilità e conoscenze. Le abilità possono essere: - Motorie: importanti nei primi anni di vita quando i bambini iniziano a muoversi; - Cognitive: come regolare attenzione e memoria, consentono di acquisire e confrontare vari tipi di dati, scoprendo collegamenti o contraddizioni; - sociali: permettono ai bambini di arricchire le proprie teorie o scoprirne i limiti e le incongruenze. Un altro tipo di strutture riguarda, invece, le conoscenze del mondo: si tratta delle generalizzazioni empiriche o conoscenze di fatti, costruite da formulazioni di tipo generale (i cigni sono bianchi, se strillo mamma mi da il ciuccio) che sintetizzano informazioni ricavate dall'esperienza. Alcune generalizzazioni empiriche (script o copioni) descrivono la struttura di eventi ricorrenti mentre altre descrivono sequenze temporali di azioni e gli stati mentali che le accompagnano (narrazioni). Infine ci sono i moduli che operano solo su certi tipi di stimoli (stimoli visivi o sequenze di parole) producendo automaticamente un certo output come, ad esempio, la comprensione di una frase o il significato di una parola. personalità. - La biologia ingenua I bambini in età prescolare hanno una scarsissima conoscenza degli organi interni e rappresentano l'interno del corpo come un'unica cavità nella quale il cibo ingerito si muove liberamente andando a finire direttamente nelle braccia o nei piedi. A 4-5 anni i bambini sanno che la morte è universale ma la concepiscono come se fosse un comportamento, quindi credono che essere morti sia simile al dormire e che nelle persone morte permangano alcuni bisogni e funzioni presenti soltanto in chi è vivo. I bambini dai 7-8 anni vedono il corpo come un contenitore di aria, cibo ma anche come responsabile di movimento. Questa concezione si perfeziona verso i 10 anni. Cap. 7: lo sviluppo del sé, delle emozioni e della moralità - Il concetto di sé Verso i 2 anni e mezzo i bambini mostrano di avere una rappresentazione del sé poiché utilizzano pronomi che li riguardano (mio, io, me) e parlano del proprio aspetto fisico, dei propri possessi e delle proprie emozioni; questo Sè comincia ad avere una storia, una continuità nel tempo. Verso i 7-8 anni i bambini valutano le proprie prestazioni confrontandole con quelle passate (confronto temporale) e questo confronto personale costituisce un rinforzo positivo e un incentivo all'impegno. In questo periodo si verifica anche un confronto sociale, ovvero i bambini confrontano le proprie prestazioni con quelle degli altri. • Consapevolezza del sé: la presa di coscienza che il bambino è un essere distinto, separato dagli altri e con una propria identità. • Concetto di sé: la specifica rappresentazione mentale che ogni persona crea di sé stesso per rispondere alla domanda “chi sono io?”. • Stima di sé: il valore che ciascuno di noi attribuisce alle sue qualità Molte informazioni circa le proprie capacità e il proprio valore, i bambini le ricevono dagli altri significativi, cioè le persone che svolgono un ruolo importante nella loro vita e, nei primi anni, si tratta soprattutto dei membri della famiglia ai quali si aggiungono insegnanti e coetanei: se i bambini ricevono messaggi negativi o non godono di cure adeguate, elaboreranno un'immagine negativa di sé. - Il concetto di sé e teorie sulle abilità Anche se la rappresentazione di sé viene definita come concetto, in realtà è una vera e propria teoria, poiché è formata da un insieme di credenze interconnesse e contiene concetti che si riferiscono ad entità e processi non osservabili. In una serie di ricerche, Dweck ha scoperto che le teorie di sé e delle altre persone riflettono due concezioni più generali: 1. teoria dell'entità: le persone possiedono qualità o tratti innati, permanenti e difficilmente modificabili, rilevabili dal comportamento; 2. teoria incrementale: le persone possiedono delle potenzialità sulle quali influisce l'ambiente e che possono essere modificate dall'impegno personale. Queste concezioni sono state studiate soprattutto in relazione all'intelligenza; i bambini in età prescolare non distinguono intelligenza e sforzo poiché sono convinti che l'impegno assicuri il successo. Tra i parametri che i bambini usano per valutare sé stessi non rientra l'intelligenza, quando la cattiveria e la bontà che sono caratteristiche che ognuno possiede stabilmente (teoria dell'entità) e chi sbaglia è cattivo e merita di essere punito. Dall'altra parte, la teoria incrementale stabilisce che non ci sono bambini stabilmente buoni o cattivi; se capita che un bambino sbagli, non è detto che quello sia il suo comportamento abituale. 26 - Lo sviluppo emotivo La capacità di rappresentare sé stessi consente ai bambini di nutrire dei sentimenti anche nei propri confronti, cioè di avere un'autostima che è tanto piùelevata quanto i bambini sono curiosi, attivi e socievoli - Senso di colpa e vergogna Gli studiosi contemporanei sono convinti che il senso di colpa sia un'emozione positiva ed è suscitato dalle azioni che provocano sofferenza nell'altro. La capacità di provare senso di colpa è necessaria per lo sviluppo di una condotta socialmente responsabile e per la formazione di relazioni interpersonali durature. C'è differenza tra senso di colpa e vergogna: • il senso di colpa comprende una valutazione negativa che riguarda una specifica azione e ci spinge a riparare il danno provocato; • la vergogna indirizza la valutazione negativa alla nostra intera persona e ci fa venire voglia di nasconderci. E' vero che ci induce ad evitare di nuovo che avvenga il misfatto, ma non ci induce a porre rimedio alla malefatta. Chi ha spesso occasione di provarla può risentirne molto negativamente. La disposizione alla vergogna influisce sul benessere dei bambini poiché può diventare un fattore di vulnerabilità a vari disturbi psicologici. La disposizione alla vergogna deriva dall'intreccio di due fattori: 1. aver vissuto esperienze frequenti o intense, come il favoritismo, pratiche disciplinari basate sul ritiro dell'affetto o sulla denigrazione dei bambini che li fanno sentire inadeguati o stupidi, eccessivo controllo, maltrattamenti e abusi sessuali e stigmatizzazioni, cioè l'essere fatti sentire diversi e non accettati a causa di caratteristiche fisiche o psicologiche. 2. Temperamento, che influisce sul modo in cui una persona reagisce a tali situazioni - La conoscenza delle emozioni Pons e Harris hanno costruito un test per valutare le componenti principali della conoscenza emotiva nell'arco di età compreso fra i 3 e gli 11 anni; si tratta del Test di comprensione delle emozioni (TEC). I risultati di questo test hanno permesso di individuare 3 periodi nel corso dei quali aumenta il numero delle componenti comprese: 1. periodo esterno (5 anni): nel quale i bambini riconoscono le espressioni delle emozioni fondamentali e gli eventi che le suscitano; 2. periodo mentale (verso i 7 anni): nel quale i bambini capiscono anche il ruolo di credenze, desideri e ricordi e capiscono che l'intensità delle emozioni diminuisce nel tempo; 3. periodo riflessivo (9-10 anni)in cui comprendono la possibilità di regolare le emozioni attraverso processi mentali e capiscono anche che un individuo può riflettere su una situazione da diversi punti di vista. - Le regole di esibizione Non sempre le emozioni che una persona manifesta corrispondono a quello che prova veramente; a 27 Quando il senso di colpa diventa patologico Si possono distinguere due tipi di senso di colpa: benefico e patogeno. Anche dopo aver differenziato vergogna e senso di colpa è possibile identificare due tipi di senso di colpa: - predisposizionale che consiste nella tendenza a provare senso di colpa in circostanze appropriate; - cronico, ovvero la tendenza a sentirsi sempre in colpa ed è significativamente associato a disturbi mentali - Genesi e sviluppo del senso di colpa Il senso di colpa è un intreccio di dispiacere empatico, coscienza di sé e attribuzione a sé stessi di un'azione dannosa. Secondo Hoffman, questo intreccio non è possibile senza l'intervento dei genitori o di una persona adulta; i bambini tra i 12 mesi e i 3 anni si sentono coinvolti dal dispiacere degli altri solo quando non sono stati loro a provocarlo (spettatore innocente); quando il dispiacere è il risultato di una loro azione involontaria o volontaria il piccolo aggressore non fa caso alla sofferenza della vittima perchè ha altro per la mente ed è, dunque, necessario un intervento esterno che lo blocchi e gli faccia capire che non ci si comporta così perchè si danneggia l'altro bambino, invocando i sentimenti feriti con i bambini più grandicelli (intervento disciplinare basato sull'induzione). In questo modo si fa capire ai bambini dove hanno sbagliato e si insegna come rimediare. Meno efficaci sono altri due tipi di intervento disciplinare: • asserzione di potere, quindi usare o minacciare la forza fisica o privare il bambino di possessi o privilegi; • ritiro dell'amore quando si dice al bambino che non gli si vuole più bene, non rivolgendogli la parola o non dandogli il bacio della buonanotte. Questi due tipi di intervento, però, a volte sono necessari e si possono combinare con l'induzione, ma se sono quelle usate più di frequente diventano controproducenti poiché: l'asserzione di potere può portare i bambini a fare altrettanto e può indurli ad un'obbedienza fondata sulla paura, la rabbia e tendenze oppositive che poi sfogano in altri contesti. Il ritiro dell'amore, invece, può suscitare ansia nei bambini e ostacolare la comprensione del perchè il proprio comportamento è sbagliato; inoltre, comunica una valutazione negativa del bambino portandolo a provare vergogna invece che senso di colpa. Esistono due tipi di senso di colpa principali: 1. senso di colpa per la trasgressione che si manifesta dopo aver compiuto una malefatta ed è di scarsa utilità nella vita sociale poiché non evita il ripetersi di azioni che danneggiano gli altri; 2. senso di colpa anticipatorio che funziona da deterrente, è il senso di colpa che proviamo prima di una malefatta al solo pensiero di compierla e si forma in base alle esperienze passate. Queste esperienze vengono memorizzate in script o copioni nei quali viene rappresentata l'intera sequenza della trasgressione. - Differenze individuali nell'empatia e nel senso di colpa Sono differenze individuali dovute a diversi tipi di fattori: • fattori biologici: danni o caratteristiche delle strutture cerebrali che mediano la sensibilità alla sofferenza altrui (psicopatici, assenza di empatia o senso di colpa); • fattori sociali: contesto familiare e pratiche educative dei genitori. I bambini maltrattati reagiscono diversamente rispetto a empatia e senso di colpa; • fattori interni: caratteristiche psicologiche come l'emotività (ovvero la tendenza a provare emozioni con frequenza e intensità, soprattutto negative) e la capacità di regolare le emozioni Un'altra fonte di differenze individuali risiede nella tendenza ad attivare o meno meccanismi volti a prevenire o ad attivare il senso di colpa o l'empatia nei confronti della sofferenza altrui; Bandura parla di questi meccanismi come disimpegno morale. Con il termine razionalizzazione, invece, altri studiosi indicano azioni riprovevoli che vengono distinte in giustificazioni e scuse; con le giustificazioni ci si prende la responsabilità delle proprie azioni ma se ne nega la gravità, mentre con le scuse si riconosce la gravità ma si nega la responsabilità attribuendola ad altre persone, chiamando in causa le proprie condizioni fisiche e, in certi casi, perchè non si hanno le conoscenze necessarie per prevedere gli esiti delle proprie azioni. 30 - Il comportamento morale Per agire in base ai propri principi morali, una persona deve essere in grado di autoregolare il proprio comportamento. Una prima capacità di controllo inibitorio si manifesta verso i 12 mesi e aumenta notevolmente tra i 2 e i 3 anni. Già a 12 mesi, quindi, i bambini sono in grado di obbedire a semplice ordini e nei due anni successivi possono farlo con maggiore costanza. Man mano che i bambini crescono cambiano anche i contenuti delle regole, e le prime regole a venire imposte sono quelle che riguardano la sicurezza dei bambini, con i divieti di fare o toccare cose pericolose; inizialmente i bambini sono in grado di rispettare i divieti solo in presenza di chi li impone ma, una volta acquisita la capacità di impartire a sé stessi un comando (con l'acquisizione del linguaggio) i bambini non hanno più bisogno della presenza del genitore per rispettare le regole. Per obbedire alle richieste di qualcun altro occorre anche essere motivati, e Grazina Kochanska ha potuto identificare due tipi di obbedienza: 1. l'obbedienza situazionale che è tenuta viva dalla mamma che ha il compito di supervisionare il bambino affinchè rispetti una regola o porti a termine un compito; 2. l'obbedienza convinta che si verifica quando i bambini obbediscono di buon grado alla richiesta. Questo tipo di obbedienza è connessa ad un attaccamento sicuro e porta i bambini a costruire un'immagine positiva di sé che li gratifica e li porta ad obbedire anche quando la mamma non è con loro. Affinchè le buone intenzioni non naufraghino, è necessario che il bambino diventi capace di inibire gli impulsi che li spingerebbero a compiere azioni più gratificanti: questa capacità viene studiata nel paradigma del differimento della gratificazione, che consiste nel mettere in tentazione un 31 I meccanismi di disimpegno morale La catalogazione dei meccanismi di disimpegno morale si deve ad Albert Bandura. I primi tre meccanismi che agiscono sulla valutazione o l'interpretazione della condotta sono: 1) giustificazione morale: rende accettabili ed encomiabili condotte immorali definendole come necessarie per raggiungere fini superiori (azioni violente in particolare); 2) confronto vantaggioso: paragonare un'azione o un evento con un altro di maggiore gravità; 3) etichettamento eufemistico: eventi o azioni ripugnanti che provocano sofferenza a qualcuno, mascherate con espressioni neutrali, asettiche o addirittura rispettabili (fuoco amico, danni collaterali) I successivi due meccanismi consistono nel minimizzare la propria responsabilità attribuendola a qualcun altro o a circostanze esterne non controllabili: 1) spostamento della responsabilità: l'aver soltanto eseguito gli ordini; 2) diffusione della responsabilità: resa possibile da una decisione di gruppo e da divisioni del lavoro grazie alla quale ogni persona svolge una singola azione apparentemente innocua ma che concorre al risultato finale. Quando ci sono più persone coinvolte, ognuno può attribuire la colpa agli altri. L'ultimo insieme di meccanismi riguardano chi subisce l'azione: 1) disumanizzazione della vittima: volta a prevenire le emozioni empatiche nei suoi confronti e viene realizzata classificando la vittima come appartenente ad una razza inferiore (selvaggio), ad una specie inferiore (bestia, verme, troia, porco) o al novero di creature infernali (strega, incarnazione del male); 2) l'attribuzione del torto alla vittima: oltre a giustificare la violenza ne aumenta gli effetti devastanti, poiché può indurre la vittima a condividere il punto di vista dell'aggressore e a colpevolizzare sé stessa (lo stupratore che afferma di essere stato provocato). Diversi meccanismi di disimpegno morale spesso operano simultaneamente. bambino dopo aver pattuito una regola (lo sperimentatore lascia un dolcetto sul piatto e si allontana dalla stanza, promettendone uno più grande se il bambino non mangia quello nel piattino). Il progresso dell'obbedienza va di pari passo con quello della disobbedienza; tra i 2 e i 5 anni dal rifiuto semplice si passa alla capacità di sfidare l'adulto facendo di proposito ciò che viene proibito, fino ad arrivare alle strategie di negoziazione che prendono la forma di scuse (non posso prendere lo sciroppo sennò vomito) o contrattazioni (se prendo lo sciroppo, dopo me lo dai un cioccolatino?). - Il giudizio morale Secondo la psicoanalisi freudiana e il comportamentismo, la moralità deriva da un processo di interiorizzazione e pongono l'accento sul ruolo degli adulti nella trasmissione delle regole e nella vigilanza sulla loro acquisizione. Piaget, invece, propone due tipi di moralità e solo una di queste si fonda sul giudizio degli adulti: la moralità eteronoma che costituisce solo il primo passo verso l'autonomia morale. Durante la fanciullezza sembra che esistano due tipi di concezione morale: 1. la morale eteronoma che prevale fino agli 8 anni, caratterizzata dal fatto che i bambini identificano il bene con l'obbedienza, cioè con l'accettazione delle regole; 2. la morale autonoma che si afferma verso i 9 anni, che è costituita dal principio di trattare gli altri come si vorrebbe essere trattati e viene sentita come una propria esigenza. La parola che esprime meglio la morale autonoma è, per Piaget, la giustizia: • quella relativa al rapporto tra colpa e punizione (retributiva) • quella che riguarda l'uguaglianza tra le persone (distributiva) Piaget ha individuato tre periodi nello sviluppo dell'idea di giustizia: • I periodo (fino ai 7-8 anni) in cui è giusto quello che stabilisce l'adulto e le azioni ingiuste coincidono con quelle proibite; • II periodo(tra 8 e 11 anni) quando i bambini fanno coincidere la giustizia con l'uguaglianza e affermano che a tutti vanno dati gli stessi beni e incombenze; • III periodo (dopo i 12 anni) quando i ragazzi affinano la nozione di uguaglianza e la trasformano in equità, che tiene conto delle differenze degli individui e cerca di compensarle - La revisione della prospettiva Piagettiana Le ricerche più recenti hanno modificato il quadro di Piaget mostrando che, già a partire dai 3 anni, i bambini distinguono le regole morali (che riguardano il benessere delle persone e hanno carattere universale) da quelle convenzionali (che riguardano il modo di condurre certe attività, decisi da autorità o dall'accordo spontaneo dei partecipanti) e la precoce distinzione tra questi tipi di regole è resa possibile dai modi in cui vengono introdotte e dalle diverse reazioni suscitate dalla loro infrazione. E' importante anche la reazione dei coetanei: i bambini che subiscono soprusi reagiscono intensamente ribellandosi o mettendosi a piangere. Compare precocemente anche l'idea che ci siano delle attività che non influiscono sul benessere di nessuno e sulle quali non esistono regole, e queste costituiscono una sfera personale sulla quale si esercita l'autonomia del singolo Cap. 8: lo sviluppo sociale Uno degli aspetti più evidenti del processo di socializzazione nella prima fanciullezza, è l'ampliarsi dello spazio di vita, ovvero l'insieme di luoghi, situazioni e interazioni accessibili a una persona in uno specifico momento della sua vita. Fin dai primi giorni di vita il bambino subisce l'influsso dell'ambiente, in senso fisico e psicologico, infatti nascere in un ambiente piuttosto che in un altro 32 - Relazioni diadiche Anche nella scuola dell'infanzia possiamo trovare delle diadi che emergono dal resto del gruppo per il trattamento speciale che l'uno riserva all'altro: • più interazioni positive • più cooperazione • giochi più complessi Nel caso di queste relazioni, la denominazione “amicizia” si fa sempre più appropriata. Nell'ambito della scuola dell'infanzia si assiste al crescere di competenze sociali importantissime, ma i bambini sono ancora dipendenti dal sostegno degli adulti. - Gradi di coinvolgimento sociale Parten ha classificato le attività infantili in base al grado di socializzazione che tutt'oggi rimane valida; anche se, nell'ambito dell'asilo, i bambini si trovano in un ambiente che favorisce le interazioni sociali, prima o poi ciascuno di essi compie delle azioni non sociali, come giocare da solo o stare a guardare gli altri. La frequenza delle azioni non sociali declina rapidamente, ma da 35 Che cos'è un gruppo? Un gruppo può essere inteso come una categoria sociale che comprende un'etnia, persone che non si sono mai viste ma che condividono il senso di appartenenza ad un gruppo, mentre, in un significato più circoscritto, un gruppo (piccolo gruppo o gruppo faccia a faccia) è un insieme di persone che si conoscono direttamente ed hanno dei rapporti protratti nel tempo, ed è a questo tipo di gruppi che si fa riferimento quando si parla di scuola. Si parla di piccolo gruppo per insiemi di persone che vanno da 3 a 30 e, all'interno del gruppo vi sono obiettivi condivisi e norme di comportamento a cui ci si aspetta che ognuno si adegui. All'interno del gruppo vi sono delle strutture stabili tra membri che possono essere: - affettive, determinate da simpatie e antipatie; - di potere, relative ai modi in cui i membri dei gruppi possono influenzare il comportamento degli altri; - di ruolo, quando a ciascun membro sono assegnati contenuti specifici. Il compagno immaginario Frutto della fantasia del bambino, questo compagno può essere una persona o un oggetto personificato, e la sua caratteristica principale è che lo vede solo chi lo inventa, che interagisce con lui come se fosse una persona reale e questa relazione condivide molte caratteristiche delle relazioni reali differendo per “il controllo sul partner”, cioè gli amici immaginari assumono caratteristiche idealizzate e si adattano alle esigenze del bambino. Soprattutto, con lui non si litiga. Sono stati a lungo considerati indizi di difficoltà psicologiche, fantasie prodotte da bambini insicuri che cercavano di compensare la mancanza di amicizie reali. Studi di impostazione psicoanalitica hanno evidenziato aspetti positivi del compagno immaginario: permette al bambino di allontanare da sé caratteristiche inaccettabili assegnandole al compagno immaginario. Il fenomeno del compagno immaginario può essere considerato come parte integrante del normale processo di sviluppo psichico; sono più diffusi di quanto si creda, li hanno più frequentemente i figli unici o i primogeniti, e si è visto che tale fantasia può permanere fino all'età adulta. Secondo Piaget, il compagno immaginario è una specie di banco di prova con cui il bambino può affinare ed esercitare le proprie competenze relazionali, senza mettere a repentaglio la propria autostima e l'immagine di sé. studi successivi risulta che questi sono ancora presenti nei bambini di 3-4 anni. Troviamo 3 gradi di coinvolgimento sociale: 1. gioco parallelo: i bambini giocano indipendentemente l'uno dall'altro ma in circostanze che li accomunano, per esempio usando lo stesso tipo di giocattoli; 2. gioco associativo: i bambini svolgono attività uguali o simili rivolgendo un interesse particolare al carattere comune dell'azione. I bambini comunicano tra di loro, conversano, si scambiano oggetti e prestano attenzione a ciò che fanno gli altri; 3. gioco cooperativo: gioco organizzato in cui i partecipanti rivestono ruoli diversi ma necessari all'attività; è in relazione a questo tipo di gioco che nasce la figura del leader che stabilisce il gioco. Secondo Howes e Matheson, i gradi individuati da Parten sono corretti ma non stadiali, poiché i giochi paralleli continuano ad esserci anche quando si presentano i giochi associativi. - Gioco e socializzazione Molti autori concordano nel ritenere il gioco un insieme di disposizioni applicabile a qualunque azione; il bambino che gioca è libero dallo sforzo di adeguare la sua condotta alle richieste della realtà esterna e può fare quello che gli piace. Grazie a questa proprietà, il gioco svolge importanti funzioni psicologiche: l'esercizio delle abilità motorie ed intellettuali e il controllo -fantasioso- su eventi problematici passati e futuri. Nell'ambito della psicologia sociale, Mead parla di interazionismo simbolico: gli scambi sociali sono possibili perchè viene condiviso il significato delle parole, soprattutto quello delle parole nel corso della comunicazione, e tale condivisione viene costruita nel corso dello sviluppo. Per interagire efficacemente bisogna essere contemporaneamente sé stessi e l'altro e questo, secondo Mead, è possibile grazie all'istanza psicologica dell'altro generalizzato, cioè uno spettatore interno che riassume in senso astratto i punti di vista e le risposte degli altri, andando quindi a rappresentare la società in cui si vive. Il role taking, ovvero l'assunzione del punto di vista dell'altro, viene appresa attraverso: • scambi interpersonali, dove il bambino sperimenta azioni-reazioni. Inizialmente sono concreti, poi gli elementi costitutivi dei vari scambi assumono una forma astratta e generalizzata; • giochi di finzione o simbolici in cui il bambino può svolgere più ruoli e gli permettono di identificarsi in personaggi per lui rilevanti 36 I giocattoli e l'ambiente di gioco Per giocare il bambino non ha bisogno di strumenti particolari; con l'emergere della funzione simbolica, ogni cosa può essere trasformata in gioco, spesso si gioca anche senza niente in mano. Tuttavia, la disponibilità di giocattoli è una sorta di invito al gioco e ne influenza le modalità: nelle società tradizionali il gioco dei bambini non viene incoraggiato, poiché essi partecipano fin da piccoli ad attività produttive ed i giocattoli sono rari. Invece, nella nostra società il gioco viene facilitato dai giocattoli, scelti in maniera appropriata e, talvolta, un orsacchiotto (o qualche altro gioco) può sostituire la figura materna diventando “oggetto transizionale” diventando compagno inseparabile del bambino. Molti studi hanno determinato alcune tipologie di giocattoli distinguendo quelli che sono più utili al gioco individuale, altri per il gioco collettivo sia di esercizio che sociodrammatico. Inoltre, si ritiene che giocattoli molto specifici siano meno utili allo sviluppo perchè stimolano di meno la fantasia rispetto a materiali di gioco più generici. - Il gioco sociodrammatico Dai 3 anni in poi le capacità cognitive dei bambini divengono abbastanza sofisticate da riuscire a rispondere all'immaginazione di un coetaneo: nasce così il gioco simbolico condiviso, comunemente detto sociodrammatico. Nel gioco sociodrammatico il bambino svolge una parte da solo, ma per eseguirla bene deve considerare quali sono le cose che possono fare gli altri, tener conto dei ruoli che non è lui ad eseguire. Questo tipo di gioco può essere considerato una vera e propria commedia, data la durata e la complessità, ed i bambini sono contemporaneamente autori, attori e registi ed il cui copione difficilmente viene realizzato dall'inizio, il che porta i bambini ad entrare ed uscire dai ruoli. Queste uscite indicano una consapevole differenziazione tra realtà e finzione. Il gioco sociodrammatico, inoltre, sembra utile a rafforzare numerose abilità cognitive (attenzione, memoria, creatività, ragionamento logico) oltre che favorire l'assunzione dei ruoli. - Differenze di genere nel gioco Erikson mise in luce il fatto che i maschietti preferivano giocare con oggetti che richiamassero forme falliche e le femminucce con giochi dalle strutture basse ed ampie che alludevano all'accogliere dentro di sé. In una recente ricerca, invece in tutte le scuole si è riscontrata una separazione degli alunni per genere e per passatempi scelti. - Lo sviluppo delle differenze di genere Nonostante gli insegnanti cerchino di contrastare il crearsi di due emisferi separati di maschi e femmine, incoraggiando attività comuni, la divisione continua a formarsi anche dopo il loro intervento. La divisione in gruppi omogenei è conseguenza e causa della diversità di interessi e comportamenti; la condivisione di interessi e la somiglianza di interessi porta ad interagire più volentieri con le persone a noi affini e l'appartenenza al gruppo incrementa l'omogeneità tra i membri del gruppo e la diversità dagli altri. - Componenti per la tipizzazione di genere Per tipizzazione di genere si intende l'assunzione di comportamenti e preferenze che concordano con quelli ritenuti appropriati al proprio sesso. Secondo Aletha Huston si manifesta in almeno 6 ambiti: 1. sesso biologico o categoria sessuale 2. attività e interessi 3. attributi personali e sociali (forza, gentilezza...) 4. relazioni sociali 5. stili e simboli 6. valori. Mediante 4 punti di vista psicologici: • comportamento: i maschi che lottano e le bimbe che prendono il tè • motivazionale: giocano così perchè preferiscono quel gioco? • Identità: ci aiuta a capire quanto ciò contribuisca a definire di sé dei protagonisti • cognitivo: quanto sono consapevoli dei giochi appropriati a ciascun sesso? - In che cosa differiscono maschi e femmine? Talvolta, le ricerche effettuate sulle differenze di genere hanno portato a rafforzare le differenze e a far spiccare il sesso maschile rispetto a quello femminile. Un caso famoso fu quello di una ricerca sulle abilità matematiche che concludeva che i maschi fossero superiori alle femmine e questo ha portato alle cosiddette “profezie che si autoavverano”: le madri che seguirono il dibattito finirono col credere che le figlie avrebbero avuto delle difficoltà nella matematica. Anche se le differenze tra maschi e femmine sono presenti, parlare di una differenza tra i due sessi sarebbe fuorviante 37
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